Marco Morselli
L‟ebraismo e i diritti culturali
Stiamo per entrare nell‟anno giubilare della scomparsa di Raïssa Oumançoff
Maritain. Esattamente 49 anni fa, il 4 novembre 1960, Raïssa lasciava questo mondo: «J‟ai
reçu la grâce d‟avoir auprès de moi, toute ma vie, et pour se sacrifier à mon pauvre travail,
deux saintes filles d‟Israël, Raïssa et sa soeur [Vera], dont les ancêtres étaient des hassidim
et qui ont aimé Jésus de tout leur coeur; et c‟est à elles que je dois tout». 1 Sia il loro ricordo
in benedizione.
1. Per poter parlare dell‟ebraismo dobbiamo innanzi tutto, brevemente, parlare della
Torah. Che cos‟è la Torah? Il termine significa insegnamento, e designa in primo luogo
cinque libri, il Pentateuco: Bereshìt/In principio, Shemòt/Nomi, Wayiqrà/Chiamò,
Bamidbàr/Nel deserto, Devarìm/Parole. A questi libri vanno aggiunti i Neviim, ossia gli
scritti dei Profeti, e i Ketuvim, gli Agiografi. Se eliminiamo la divisione in libri, capitoli e
versetti, abbiamo 304.805 lettere\numeri che possono essere studiati anche da un punto di
vista strettamente matematico.
Occorre inoltre tenere presente che non vi è solo la Torah scritta, vi è anche la Torah
orale, che precede e accompagna la Torah scritta. In una situazione di estremo pericolo per
l‟esistenza stessa del popolo ebraico 2 la Torah orale venne messa per iscritto, e abbiamo così
la Mishnàh. I commenti alla Mishnah costituiscono il Talmùd. Abbiamo poi ancora il Midràsh
e la Qabbalàh.
Elie Wiesel ha definito il Talmud «un oceano vasto, turbolento eppure confortante,
che suggerisce l‟infinita dimensione dell‟esistenza e l‟amore per la vita, oltre che il mistero
della morte e dell‟istante che la precede». Il Talmud fa parte della storia degli ebrei da
millenni, se consideriamo la sua storia dalle tradizioni orali alla Mishnah, alla discussione
della Mishnah, al Talmud orale, al Talmud manoscritto, poi stampato, poi su Internet. Al suo
interno, il qui e l‟ora sono intimamente connessi con altri tempi e altri luoghi, i Maestri del I
secolo discutono con i Maestri del XX secolo, i Rabbini babilonesi con quelli francesi. Più
che un libro, è un approccio all‟esistenza, nel quale la ricerca e la discussione collegano le
realtà di questo mondo alle realtà del mondo a venire.3
Quello che il Talmud è per la Mishnah, il Midrash è per la Torah. Il termine deriva da
darash, ricercare. Vi sono moltissimi punti oscuri nella Bibbia, incomprensibili senza il
riferimento a una tradizione esegetica che precede, accompagna e segue il testo.4
La Qabbalah è la mistica ebraica. La realtà è un‟unità in cui il visibile e l‟invisibile, la
materia e lo spirito si compenetrano. Il progressivo disvelamento della Qabbalah ha valenze
1
Lettre à André Neher del 21 agosto 1972, in J. Maritain, Le mystère d‟Israël, Desclée de Brouwer, Paris 1990,
p. 297 (ed. it. a c. di V. Possenti, Massimo, Milano 1992).
2
Mi riferisco a quelle che i Romani chiamarono la I e la II Guerra Giudaica. Durante la I venne distrutto il
Tempio di Gerusalemme e, riferisce Flavio Giuseppe, non vi erano più alberi in Israele perché centinaia di
migliaia di Ebrei erano stati crocifissi dalle truppe di occupazione romane: «Secondo i dati forniti
indipendentemente da Giuseppe e da Tacito, oltre 600.000 Ebrei avrebbero trovato la morte nel corso delle
operazioni militari, circa il 25% della popolazione, e molti altri vennero fatti prigionieri e venduti come schiavi.
Con ciò sembra possibile che qualcosa come la metà della popolazione ebraica sia stata eliminata fisicamente»
(J. A. Soggin, Storia d‟Israele, Paideia, Brescia 1984, p. 485). Nel 135 i morti furono 850.000 (Soggin p. 492).
3
E. Wiesel, Sei riflessioni sul Talmud, Bompiani, Milano 2000; Id., Celebrazione talmudica, Lulav, Milano
2002; A. Steinsaltz, Cos‟è il Talmud?, Giuntina, Firenze 2004; M. A. Ouaknin, Invito al Talmud, tr. di R.
Salvatori, Bollati Boringhieri, Torino 2009.
4
G. Stemberger, Il Midrash, Dehoniane, Bologna 1992.
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escatologiche. Vi sono dei momenti privilegiati del passaggio dei segreti dalla sfera esoterica
a quella essoterica. Nell‟anno 1240, corrispondente all‟anno 5000 nella datazione ebraica, ha
avuto inizio il sesto millennio, e ha fatto la sua comparsa lo Zohar, il principale testo
cabbalistico. Altra data importante è il 1840, corrispondente al 5600. Siamo ora nell‟anno
5770, in un‟epoca in cui la preparazione messianica si intensifica. 5
2. Il fondamento biblico dei diritti umani si trova in Gn 1,26: «Wa-yomer Eloqim:
“Naaseh adam be-salmenu ki-demutenu”» e nel v. 27 si precisa che imago D. non è il
maschio, ma la coppia maschile-femminile: «Wa-yivra Eloqim et ha-adam be-salmo be-selem
Eloqim bara oto zakhar (maschio) u-neqewah (femmina)». Se ho un testo che dice: «Dio crea
Adamo» mi trovo davanti a un testo maschilista, perché non ho invece: «Dea crea Adamà»?
Ma nell‟originale abbiamo uno dei due Nomi di D., che è un plurale e, a Sua immagine e
somiglianza, Adam, che è maschio-femmina. Se osserviamo l‟albero delle Sefirot, vediamo
forze maschili e femminili, abbiamo un Abba\Padre e una Imma\Madre, un Ben\Figlio e una
Bat\Figlia.
Dalla coppia Adam-Hawah nasce tutta l‟umanità futura, e questo rende ogni razzismo
privo di fondamento biblico. Anche Shem, Ham e Yafet, che sono stati in seguito trasformati
nei capostipiti delle tre “razze” umane, sono in realtà fratelli, figli di Noah\Noè (Gn 5,32).
«Ha-shomer ahi anokhi? Sono forse il custode di mio fratello?» risponde Qain ad HaShem subito dopo aver ucciso Hevel (Gn 4,9). Sì, siamo responsabili dei nostri fratelli.
E lo straniero? «Come un nato tra di voi sarà ha-ger ha-gar, colui che risiede presso
di voi, we-ahavta lo kamokha e lo amerai come te stesso» (Lv 19,34).
Come si vede da questi pochi ma significativi esempi, che potrebbero essere
moltiplicati, l‟accento è posto molto più sui doveri che sui diritti e a questo proposito viene in
mente il Mahatma Gandhi quando scriveva: «Tutti i diritti da meritare e da preservare
derivano da un dovere ben fatto».6
3. Quali insegnamenti etici contiene la Torah per gli esseri umani? Per millenni
l‟ebraismo è stato accusato di essere una religione particolaristica. Rav Elia Benamozegh
(Livorno 1823-1900) è tra coloro che più si sono adoperati per dimostrare l‟infondatezza di
tale accusa. Come sarebbe mai stato possibile che da tale particolarismo scaturissero due
religioni universali (o meglio: aspiranti all‟universalità) come il cristianesimo e l‟islamismo?
Vi è nell‟ebraismo una duplice struttura, articolata in noachismo e mosaismo. L‟alleanza con
Noè non è in nulla inferiore all‟alleanza con Mosè. Colui che si convertiva doveva presentarsi
davanti a tre rabbini e dichiarare di voler appartenere alla religione noachide. E‟ probabile che
la conversione fosse accompagnata dal battesimo, ossia dall‟immersione nelle acque vive del
miqweh. Il noachide si impegna a rispettare sette precetti: 1) istituzione di tribunali (= ogni
società umana ha bisogno di giustizia); 2) divieto di blasfemia; 3) divieto di idolatria; 4)
divieto di adulterio; 5) divieto di omicidio; 6) divieto di furto; 7) divieto di mangiare una parte
di un animale vivo (= divieto di crudeltà nei confronti degli animali). Rispettando tali
comandamenti il noachide entrerà nel mondo a venire, ossia avrà parte alla vita eterna.7
Ad alcuni questi sette precetti sembrano troppo poco per condurre una vita di alta
spiritualità. Non è di questo parere Emmanuel Levinas, il quale scrive: «La Legge di Dio è
5
A. Safran, Saggezza della Cabbalà, Giuntina, Firenze 1998; Id., Tradizione esoterica ebraica, Giuntina,
Firenze 1999; A. Steinsaltz, La rosa dai tredici petali, Giuntina, Firenze 2000; G. Scholem, Le grandi correnti
della mistica ebraica, Einaudi, Torino 1993.
6
Citato in M. Flores, Storia dei diritti umani, Il Mulino, Bologna 2008, p. 222.
7
E. Benamozegh, Israele e l‟umanità, a c. di M. Morselli, Marietti, Genova 1990; Id., Il noachismo, a c. di M.
Morselli, Marietti, Genova-Milano 2006; A. Pallière, Il Santuario sconosciuto, a c. di M. Morselli, Marietti,
Genova-Milano 2005.
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Rivelazione poiché in essa si enuncia: “non uccidere”. Tutto il resto è forse un tentativo di
pensare questo – una “messa in scena” certamente necessaria, una “cultura” in cui ciò “si può
capire”. E‟ per lo meno così che cerco di dirlo a me stesso. Beninteso, “non uccidere”
significa: “fa di tutto affinché l‟altro viva”». 8 «Non uccidere», il resto è commento.
La Torah è dunque un libro da fare: 613 miswot per gli ebrei e per chi voglia entrare
nell‟alleanza di Mosè, 7 miswot per chi voglia entrare nell‟alleanza di Noè, con la libertà di
osservare, volendo, anche un certo numero delle restanti. 9 Il Santo, benedetto Egli sia, nella
sua trascendenza è assolutamente inconoscibile. Di Lui possiamo conoscere ciò che Lui ha
voluto rivelarci: la sua volontà. Aderendo alla sua volontà noi ci avviciniamo a Lui. Come Lui
è santo, così noi cerchiamo di santificarci, anche nelle minute attività della nostra vita
quotidiana. Ciò che la Torah ci indica, più che una ortodossia, è una ortoprassi. Il primato
dell‟etica non è un rifiuto della Rivelazione, ma proprio il contenuto della Rivelazione.
Abbiamo impostato il discorso in modo da evitare una contrapposizione tra etica
“veterotestamentaria” ed etica “neotestamentaria”. Ci auguriamo che l‟epoca della
controversistica ebraico-cristiana si sia conclusa. Un‟unica Torah, due Alleanze, quella di
Noè (con i suoi 7 precetti) e quella di Mosè (con i suoi 613 precetti): questo è l‟insegnamento
della Tradizione ebraica, questo è anche l‟insegnamento di Yeshùa e del cristianesimo delle
origini. 10 Le miswot degli uni e degli altri illuminano la nostra vita terrestre, ma anche
preparano le nostre anime alle vite future, tessono le vesti di luce indispensabili per godere
delle beatitudini celesti.
Le anime procedono dalla seconda Sefirah, Hokhmah (il pensiero divino) ma
compiendo le miswot accedono alla prima Sefirah, Keter (la volontà divina). Il valore
numerico di Keter è 620 (613+7): «Questo numero designa i 620 comandamenti
dell‟ebraismo, e la Qabbalah parla delle 620 colonne di luce che uniscono il mondo dell‟Alto
al mondo del Basso».11
Non vi è una Nuova Alleanza che si contrapponga a una Vecchia Alleanza, non vi è
neppure un‟unica Alleanza Vecchio-Nuova che costringerebbe gli ebrei a farsi cristiani o i
cristiani a farsi ebrei. Vi è un‟unica Torah eterna che contiene molte Alleanze, i molti modi in
cui il Santo, benedetto Egli sia, rivela il suo amore per gli uomini e indica le vie per giungere
all‟incontro con Lui.
Poiché l‟alleanza noachide non prescrive nessuna cultura, nessuna religione, nessun
mito, nessun rito, è compatibile con tutte le culture e con tutti i diversi modi di essere umani:
in questo senso è cattolica, ossia universale. 12 Scrive Rav Jonathan Sacks: «L‟unità in cielo
crea diversità sulla terra. Lo stesso vale per le civiltà. Il messaggio fondamentale della Bibbia
ebraica è che l‟universalità – il patto con Noè – è solo il contesto e il preludio dell‟irriducibile
molteplicità delle culture, quei sistemi di significato tramite i quali gli esseri umani hanno
cercato di comprendere il rapporto che li lega, il mondo e la sorgente dell‟essere.
L‟affermazione platonica dell‟universalità della verità è valida quando la si applica alla
scienza e alla descrizione di ciò che è. Non lo è se la si applica all‟etica, alla spiritualità e al
nostro senso di ciò che dovrebbe essere. Vi è una differenza tra physis e nomos, descrizione e
prescrizione, natura e cultura. Le culture sono come le lingue. Il mondo che descrivono è lo
stesso, ma i modi in cui lo fanno sono quasi infinitamente variabili». 13
8
E. Levinas, Trascendenza e intelligibilità, a c. di F. Camera, Marietti, Genova-Milano 2009, pp. 36-7.
Qui trova il suo fondamento il tema della libertà del cristiano, ma si tratta di libertà nella Legge e non dalla
Legge.
10
Cfr. la Didachè. La Torah del Messia attraverso i Dodici Apostoli ai goyim, a c. di G. Maestri e M. Morselli,
Marietti, Genova-Milano 2009.
11
J. Eisenberg e A. Steinsaltz, Le chandelier d‟or, Verdier, Paris 1988, p. 356.
12
E‟ Rav Benamozegh a parlare della «cattolicità d‟Israele», nel già citato Israele e l‟umanità.
13
J. Sacks, La dignità della differenza. Come evitare lo scontro delle civiltà, tr. di F. Paracchini, Garzanti,
Milano 2004, p. 66.
9
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4. «Come ha così bene detto un grande biologo francese, Jean Hamburger, niente è più
falso dell‟affermazione secondo cui i diritti umani sono “diritti naturali”, ossia coessenziali
alla natura umana, connaturati all‟uomo. In realtà, egli ha notato, l‟uomo come essere
biologico è portato ad aggredire e soverchiare l‟altro, a prevaricare per sopravvivere, e niente
è più lontano da lui dell‟altruismo e dell‟amore per l‟altro […] i diritti umani sono una vittoria
dell‟io sociale su quello biologico […] il concetto di diritti dell‟uomo non è ispirato alla legge
naturale della vita, è al contrario ribellione contro la legge naturale». 14
L‟idea che i diritti umani siano culturali e non naturali è particolarmente congeniale
all‟ebraismo, dal momento che nella Torah il termine “natura” neppure compare: «Se si
ricercano nell‟ebraico biblico dei termini che corrispondano alla physis greca, intesa come
natura creatrice, è possibile constatare come questo concetto è praticamente introvabile».15
Dopo aver esaminato sei radici ebraiche, Rav Di Segni conclude: «Molto spesso, invece di
indicare „la natura‟, l‟ebraico biblico ricorre alla elencazione dei vari elementi naturali (cfr. Ps
98), o usa delle frasi come „la terra e ciò che la riempie‟ (Jes 34:1), oppure dei termini più
generali, come „olàm, il mondo, l‟universo» (p. 24).
Abbiamo ascoltato da Gabriela Häbich che i diritti culturali non sono un‟appendice dei
diritti umani, ma sono la condizione della loro applicabilità e del loro sviluppo: la loro
promozione costituisce la condizione per la realizzazione di tutti gli altri diritti.
Nell‟art. 3 della Dichiarazione di Friburgo (2007) si afferma che ogni persona ha
diritto «di scegliere e veder rispettata la propria identità culturale nella diversità dei suoi modi
di espressione» (comma a) e «di conoscere e veder rispettata la propria cultura» (comma b).
Non so se questo fosse nelle intenzioni degli estensori della Dichiarazione, ma mi chiedo se
tale principio non possa essere applicato anche al passato.
Siegfried Kracauer (1889-1966) ha scritto un importante libro intitolato History. The
Last Things Before the Last 16 in cui assegna alla storia un‟area intermedia tra scienza e
metafisica, nella quale si tratta di ricercare «una conoscenza provvisoria delle ultime cose che
vengono prima delle ultime». Si tratta cioè di riabilitare «finalità e modi di essere ancora privi
di nome e per questo trascurati e fraintesi», di riscoprire «possibilità senza nome nascoste
negli interstizi delle dottrine e dei movimenti dominanti». Secondo una leggenda ebraica,
esistono in ogni generazione trentasei saddiqim, giusti, che sostengono il mondo: «Senza la
loro presenza il mondo sarebbe distrutto e perirebbe. Tuttavia nessuno li conosce; e neppure
essi sanno che si deve alla loro presenza se il mondo è salvato dalla rovina. L‟impossibile
ricerca di questi giusti nascosti (sono veramente trentasei in ogni generazione?) mi sembra
una delle più eccitanti avventure nelle quali la storia si possa imbarcare» (p. 15).
E‟ una delle più eccitanti avventure nelle quali la storia si possa imbarcare perché è il
tentativo, e la speranza, di ridare giustizia a tutti coloro ai quali i diritti umani e culturali ne l
corso dei secoli non sono stati riconosciuti. Una folla enorme di persone ignote, di cui non è
rimasta traccia, ma per ognuno di loro bisogna intraprendere il lavoro impossibile di ricercare
il nome, perché ognuno di loro era forse uno dei trentasei giusti senza il quale il mondo non
può esistere.
5. Uno dei titoli più citati e dei libri meno letti degli ultimi anni è sicuramente The
Clash of Civilizations and the Remaking of World Order di Samuel Huntington (1927-
14
A. Cassese, I diritti umani oggi, Laterza, Bari-Roma 2005, pp. 230-1.
R. Di Segni, Le unghie di Adamo. Studi di antropologia ebraica, Guida, Napoli 1981, p. 22.
16
S. Kracauer, History. The Last Things Before The Last, Oxford U.P., New York 1969 (tr. di S. Pennisi,
Marietti 1985).
15
Pagina 4
2008).17 In questo libro l‟autore sostiene che nel nuovo mondo del Dopo-guerra fredda i
conflitti più profondi, laceranti e pericolosi saranno quelli tra gruppi appartenenti ad entità
culturali diverse. Tali civiltà vengono così identificate da Huntington:
1. Occidentale
2. Latino-americana
3 Africana
4. Islamica
5. Cinese
6. Induista
7. Ortodossa
8. Buddhista
9. Giapponese
Tale classificazione suscita molte perplessità: in alcuni casi ci si trova di fronte a un
indicatore etnico, in altri casi religioso, in altri ancora geografico. Ma ciò che è ancor più
degno di nota è che si parla di civiltà islamica, induista, buddhista, ma non si parla invece di
civiltà cristiana (c‟è solo un riferimento a una sua componente, quella ortodossa) e ancor
meno di civiltà ebraico-cristiana. Si parla invece di una civiltà “occidentale”, ossia
caratterizzata solo da un riferimento geografico.
Il libro di Huntington è da criticare non in quanto si faccia promotore di uno scontro
delle civiltà (non è così, anzi il libro termina con un generico invito alla comunanza delle
civiltà) ma perché manca una giustificazione della sua classificazione delle civiltà e delle loro
caratteristiche. E questo vale in particolare per quella che viene definita la civiltà occidentale.
Se si mettono a confronto le due espressioni «civiltà ebraico-cristiana» e «civiltà
arabo-islamica» ci si rende subito conto che non sono equivalenti. A ben vedere, una civiltà
ebraico-cristiana non è mai esistita: la teologia della sostituzione, l‟insegnamento del
disprezzo e la conseguente prassi discriminatoria ed escludente dovrebbero semmai far parlare
di una civiltà ebraico-cristiana, dove una X è posta sul primo termine, allo stesso modo in cui
Heidegger poneva una X sul Sein cancellato dalla dimenticanza della differenza ontologica.
Niente di simile è avvenuto nella civiltà arabo-islamica, dove gli islamici non hanno
certo accusato per secoli gli arabi di deicidio, né hanno dichiarato decaduta la loro elezione
sostituendosi all‟Arabia come Nuova Arabia, come è invece avvenuto nella Cristianità, dove
la Chiesa si è per secoli autodefinita come Nuovo Israele o Vero Israele.
La civiltà ebraico-cristiana è una utopia da realizzare, non una realtà del passato da
difendere. Non si tratta di privilegiare arbitrariamente, sia pure in nome di un‟identità
storicamente determinata, e anche in parte gloriosa, due religioni a scapito delle altre. Il
sintagma «ebraico-cristiano» è una formula della universalità in cui vale il principio del terzo
incluso. Tra a e non a non vi può essere un terzo escluso, perché il terzo, il quarto e così via
all‟infinito, sono già inclusi. Per sottolineare questo aspetto “utopico” preferiamo parlare di
una civiltà messianica come luogo di incontro delle civiltà.
6. Il dialogo ebraico-cristiano era giunto negli ultimi mesi a un punto di crisi che
sembrava insormontabile, intorno alla questione della conversione degli ebrei. In un recente
incontro tra Autorità rabbiniche e Autorità episcopali italiane si è chiarito che non vi è
nessuna intenzione da parte della Chiesa Cattolica di operare attivamente per la conversione
degli ebrei e che di conversione si parla solo in una prospettiva escatologica.
17
S. Huntington, The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order, Simon & Schuster, New York
1996 (tr. di S. Minucci, Garzanti 1997).
Pagina 5
Una delle tesi de I passi del Messia 18 è che la prospettiva escatologica preveda non già
la conversione\apostasia d‟Israele, ma la conversione\teshuvah dei cristiani.
«I cristiani non possono non pregare per la conversione del mondo intero, e in
particolare per Israele». Lasciando per il momento da parte la questione della conversione del
mondo intero, per quanto riguarda Israele non è così. Altro è che i cristiani desiderino che il
Messia sia riconosciuto da Israele, altro è che sperino e preghino per la conversione d‟Israele,
ossia per la sua apostasia.
Quando Yeshua predicava: «Shùvu!» (Mt 4,17) (stessa radice di teshuvah) voleva dire:
«Ritornate a Ha-Shem Eloqim!» e non: «Cambiate religione!», «Smettete di essere ebrei!»,
«Ripudiate la perfidia giudaica!», «Non osservate più la Torah e le miswot!» come da secoli e
in parte tuttora i cristiani ex gentibus credono.
Altro è che i cristiani siano testimoni della messianicità di Gesù, anche e innanzi tutto
nei confronti d‟Israele (e si tratta di vedere quali caratteristiche tale testimonianza debba
avere) altro è che facciano coincidere la loro testimonianza con la speranza nella apostasia
d‟Israele.
A chi afferma che il cristianesimo è per sua natura missionario occorre ricordare che la
missione è partita da Gerusalemme, dagli ebrei della Ecclesia ex circumcisione, e che era
rivolta alle genti, non viceversa. E‟ avvenuto un vero e proprio ribaltamento.
Sulla scorta di Cornelius a Lapide (1567-1637) Maritain era arrivato al convincimento
che la riconciliazione finale «ne doit pas être appelé la conversion d‟Israël mais bien sa
plénitude».19
Rav Elia Benamozegh in un‟opera postuma pubblicata a Parigi nel 1914 scriveva: «La
riconciliazione sognata dai primi cristiani come una delle condizioni della Parusia, o avvento
finale di Gesù, il ritorno degli ebrei nel seno della Chiesa, senza di cui le diverse confessioni
cristiane sono concordi nel riconoscere che l‟opera della redenzione rimane incompleta,
questo ritorno si effettuerà non come lo si è atteso, ma nel solo modo serio, logico e durevole,
e soprattutto nel solo modo proficuo al genere umano. Sarà la riunione dell‟ebraismo e delle
religioni che ne sono derivate, e, secondo la parola dell‟ultimo dei profeti, il sigillo dei
veggenti, come i dottori chiamano Malachia, “il ritorno del cuore dei figli ai loro padri”» (Ml
3,24).20
«Sono persuaso che lo scopo supremo della storia sia questa riconciliazione definitiva
tra il popolo eletto e la cristianità che san Paolo descrive come una risurrezione dei morti e
come la gloria del vecchio tronco d‟Israele sul quale, allora, la Chiesa di Cristo apparirà a
tutti come innestata. Allora tutto sarà compiuto. Ma comprendiamo anche che nel tempo
questo non è ciò che precederà, bensì ciò che completerà la realizzazione della nostra
speranza.
Nel frattempo, quello che si esige con assoluta necessità è lo sviluppo, per tutto il
tempo che sta davanti, di un‟amicizia sempre più stretta. Non dico amicizia vera, ma
veramente fraterna, e veramente efficace, e veramente dono di sé, tra i figli della Casa
d‟Israele e i figli della Chiesa di Cristo». 21
18
M. Morselli, I passi del Messia. Per una teologia ebraica del cristianesimo, Marietti, Genova-Milano 2007.
Maritain lo scrive sia nel 1943 che nel 1964: cfr. J. Maritain, Le mystère d‟Israël, cit., pp. 198 e 250. Nel 1941
scriveva invece ancora: «Les promesses de Dieu sont sans repentance, le peuple d‟Israël se convertira» (p. 153).
20
E. Benamozegh, Israele e l‟umanità, cit., p. 30.
21
Lettera di Maritain a Chouraqui del 5 ottobre 1971, in A. Chouraqui, Il destino d‟Israele. Corrispondenza con
Jules Isaac, Jacques Ellul, Jacques Maritain, Marc Chagall, tr. it. di P. Pellizzari, Paoline, Milano 2009, pp.
181-2.
19
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