La “libertà del filosofare”
Considerazioni epistemologiche sulla “Parte seconda” di Degli studi dell’Autore
Markus Krienke (Lugano)
“Oportet praeterea liberali animo philosophum esse”1.
“Chè la Filosofia non si stabilisce sopra alcuna autorità, nè pur divina, non che umana; poichè la Filosofia è
ragionamento, e non altro che ragionamento”2.
1. La “libertà del filosofare” come paradigma della filosofia moderna
Il pensiero medievale trattava della “filosofia della libertà”3 in quanto oggetto di speculazione
teoretica e quindi sottoposta alla conoscenza teologica; perciò la “libertà del filosofare” si
realizzava nell’adempimento della sua funzione “ancillare” riguardo alla teologia. Per questo
la “libertà” non apparteneva ad essa in quanto scienza4: epistemologicamente, i suoi risultati
si qualificano come praeambula5. Da questa impostazione epistemologica non era possibile
intendere la “libertà del filosofare” in quanto discorso fondativo della filosofia.
Ponendo, dunque, come fa Rosmini nel testo che analizzeremo, la questione della “libertà del
filosofare” come criterio metodologico della filosofia, si suppone la svolta epistemologica
della filosofia all’inizio della modernità, che riconosce nella libertas philosophandi il suo
“motto” paradigmatico6. Il dibattito assume spessore epistemologico nel XVII secolo e precisamente nel contesto della differenziazione ed emancipazione della filosofia e delle diverse
“scienze” dalla teologia. L’intrinseca tensione di questo sviluppo si scatenò nelle “dispute
cartesiane” che ebbero inizio in alcune università olandesi nella seconda metà del ’600 (Utrecht, Leiden): i “novatores” che lottavano per l’introduzione del metodo cartesiano si identificarono con questa formula, ritenuta un concetto di Cartesio stesso, anche se effettivamente
nei suoi scritti non si trova7; e successivamente, passo a passo nei Paesi Bassi, in Inghilterra e
nella Germania protestante si formarono dei movimenti di libertas philosophandi8, miranti,
appunto, all’autonomizzazione della filosofia e delle scienze attenenti. Questi movimenti si
1
Alcinous, In Platonicam Philosophiam Introductio, a cura di J. Fell, Oxford 1667, 2.
A. Rosmini, Degli Studi dell’Autore, in: id., Introduzione alla filosofia, a c. di P. P. Ottonello, Roma
1979, pp. 11-194 (d’ora in poi: IF, DSA, cit. secondo i paragrafi), 49.
3
Cfr. W. Kluxen, Philosophische Ethik bei Thomas von Aquin, Hamburg 19983, 206.
4
Cfr. pars pro toto ScG I 7, 42.
5
Cfr. pars pro toto STh I 2, 2 ad 1; Super Boethium De Trinitate, I 2, 3.
6
Per l’evoluzione del concetto libertas philosophandi cfr. R. B. Sutton, The Phrase Libertas Philosophandi, in: Journal of the History of Ideas 14 (1953) 310-316; M. A. Stewart, Libertas Philosophandi: From
Natural to Speculative Philosophy, in: Australian Journal of Politics History 40 (1994) 29-46.
7
Cfr. in merito Sutton, The Phrase Libertas Philosophandi, 314s.
8
Cfr. [C. A. Heumann], Acta philosophorum, das ist: Gründliche Nachrichten aus der Historia Philosophica. Nebst beigefügten Urtreilen von Büchern, 3 voll., Halle 1715-1727, I, 618.
2
1
rivolsero contro i “veteres” cioè i rappresentanti dell’autorità che insistevano sul paradigma
aristotelico delle scienze. Il concetto libertas philosophandi costituiva quindi piuttosto un
programma per identificare la “lotta” per l’autonomia epistemologica della filosofia (e quindi
delle “scienze”): mentre in Campanella e Spinoza tale concetto appare per la prima volta in
questa forma grammaticale, lo troviamo in varianti in Bruno, Foscarini, Keplero e Galileo.
L’argomento centrale di quei conflitti noti che sono connessi con questi nomi, pur con le notevoli differenze individuali, fu l’emancipazione della filosofia e delle scienze dall’autorità
teologica, ossia il superamento del modello aristotelico, secondo il quale l’accertamento dei
risultati della ricerca non avviene nell’esperimento, cioè nel contatto diretto con i fatti della
realtà naturale, bensì attraverso la convergenza con l’autorità e con la scuola9.
La base teoretica dei vari reclami per la libertas philosophandi fu epistemologicamente costituita da Bacone e Cartesio e doveva culminare nel “caso Galilei”. Proprio in questo momento
divenne emblematica la divisione fra i due schieramenti dei cartesiani e degli aristotelici10:
contro la “totale identificazione tra teologia e scienza aristotelica”11 Galilei, tirando le conseguenze dalla svolta copernicana, distinse tra la teologia e le scienze in quanto fondate su due
libri diversi, entrambi scritti da Dio12. Con questo modello epistemologico lo scienziato intese
infatti pacificare il rapporto tra il “libro della Scrittura” ed il “libro della natura” – a livello
epistemologico questo modello significava però il superamento dell’intima unione tra
l’autorità teologica ed il modello aristotelico delle scienze. Proprio questo costituiva, però,
l’unica strada che poteva portare al riconoscimento della libertas philosophandi: contro
l’epistemologia aristotelica che definisce la filosofia (e quindi anche le scienze) nella sua funzione “ancillare” della teologia, Galileo, attraverso la metafora dei due “libri scritti da Dio”,
propose di fondarle direttamente – e senza riguardi alla teologia – sulla natura e cioè a prescindere dall’autorità ecclesiastica, e per così dire immediatamente in Dio13. Roberto Bellarmino comprese bene le implicazioni nocive di questo modello per l’autorità della teologia14; e
9
“De caetero illibata nobis est philosophandi libertas, nec in sectum aliquam philosophicam jurare quisquam adigitur, sed quod rationibus defendere potest, id cuivis docere licet” (S. Pufendorf, Lettera ad Esaias Pufendorf del 1.01.1667, in: id., Briefwechsel, a c. di D. Döring [Samuel Pufendorf. Gesammelte Werke, vol. 1],
Berlin 1996, 54-57, qui 55).
10
“In quegli anni aristotelismo e cartesianesimo rappresentavano, infatti, i grandi sistemi metafisici cui si
rifacevano gli ambienti conservatori della penisola da un lato e, dall’altro, anche se in maniera meno organica e
diretta, coloro che lottavano per l’affermazione della libertas philosophandi” (V. Ferrone, Scienza, natura, religione. Mondo newtoniano e cultura italiana nel primo Settecento, Napoli 1982, 88).
11
Ferrone, Scienza, natura, religione, 143.
12
Cfr. in merito a questo metodo galileiano il sonnetto di Campanella sul “Modo di filosofare”: “Il mondo è il libro dove il Senno Eterno/ scrisse i proprii concetti” (T. Campanella, Philosophische Gedichte. Italienisch-deutsch, Frankfurt a. M. 1996, 106).
13
Cfr. T. Campanella, Apologia per Galileo, a c. di P. Ponzio, Milano 2001, 96s.
14
“In realtà le cose non erano cosí semplici e schematiche come lo scienziato pensava, e ben lo comprese
uno degli ideologi della Controriforma, il cardinale Roberto Bellarmino, che non ebbe alcuna difficoltà a scorge-
2
non solo attraverso la condanna di Galilei, ma anche con la prassi inquisitoria successiva –
come esemplarmente a Napoli tra 1688 e 1697 – la Chiesa espresse inequivocabilmente di
non cedere neanche minimamente al modello epistemologico espresso dalla libertas philosophandi. In conseguenza di questo fronte creatosi tra gli “innovatori” e la tradizione, tutti i tentativi moderni di fondare epistemologicamente l’ “autonomia” della filosofia facevano capo a
Campanella15, Galileo e Newton.
Passando al testo rosminiano, osserviamo come il Roveretano tratta la questione della fondazione scientifica della filosofia e della teologia non in chiave di “autorità” bensì come questione epistemologica del rapporto tra “verità” filosofica e “Verità” teologica. In questa prospettiva, la filosofia si radica epistemologicamente nella verità (idea dell’essere); d’altro canto è poi la teologia a basarsi, in quanto scienza, sulla filosofia e ad esigere per questo una filosofia che “metta i fondamenti di una teologia piena e soddisfacente”16. Per Rosmini, quindi, la
questione del rapporto tra filosofia e teologia non si determina a livello “estrinseco” di due
“autorità” bensì a livello dei loro principi epistemologici, cioè della “verità” e della “Verità”:
la prima tende verso la seconda come verso la sua perfezione e viene integrata da essa senza
che quest’ultima incida tramite un’autorità non-scientifica sulla prima. In questo senso Rosmini reinterpreta l’immagine della “ancillarietà”: mentre nell’impostazione aristotelica delle
scienze essa sanciva l’eteronomia epistemologica della filosofia, Rosmini utilizza ora lo stesso attributo, non come assegnazione autoritaria da parte della teologia, ma come risultato del
discorso epistemologico moderno stesso17. Quest’ultimo non è più di carattere aristotelico –
elemento centrale dell’atteggiamento teologico nei confronti di Galilei – ma si rifà alla tradi-
re il carattere eversivo di una simile teoria. Rompere lo schema aristotelico teologia-scienza, accettare l’ipotesi di
una verità scientifica sullo stesso piano della verità di fede seppure in ambiti separati, consentire una piena libertà di filosofare, avrebbe significato per la Chiesa cattolica dare il via ad un processo assai pericoloso. Nessuno
garantiva che gli studiosi si sarebbero attenuti a quella netta distinzione tra verità scientifica e verità di fede teorizzata da Galileo. Il futuro avrebbe poi dimostrato che proprio dall’utilizzazione di un metodo scientifico razionale nella storiografia ecclesiastica e nella morale sarebbero sorti gli ostacoli piú spinosi per il cristianesimo”
(Ferrone, 145).
15
Famoso il suo sonnetto a Telesio: “Telesio, il telo della tua faretra/ uccide de’ sofisti in mezzo al campo/ degli ingegni il tiranno senza scampo;/ libertà dolce alla verità impetra” (T. Campanella, Le Poesie, a c. di
F. Giancotti, Torino 1998, 278s. [n° 68], qui 278). E aggiunge: “Questi sono accademici, discepoli del gran Telesio, ch’uccide Aristotile, tiranno degli ingegni umani. […]. Ma esso Autore, filosofo de’ princípi e fini delle
cose, rinnovò la filosofia, ed aggiunse la metafisica e politica ecc., e la accoppiò con la teologia” (ibid. 279); cfr.
anche L. De Franco, B. Telesio e la “Libertas Philosophandi”, in: Quaderni dell’Istituto Nazionale di Studi sul
Rinascimento Meridionale 4 (1987) 5-24.
16
A. Rosmini, Lettera a G. B. Loewenbruck del 17.03.1829, in: id., Epistolario completo, 13 voll., Giovanni Pane, Casale Monferrato 1887-1894 (d’ora in poi: EC), III, 53.
17
Questa l’importanza epistemologica della sua ‘inversione metodologica’: “La Scuola teologica partì,
come dissi, dalla meditazione di Dio: io partii semplicemente dalla meditazione dell’uomo, e mi trovai nondimeno pervenuto alle conclusioni medesime” (A. Rosmini, Il Rinnovamento della Filosofia in Italia, 2 voll., a c. di
G. Messina, Roma 2007-2008 [d’ora in poi: Rinnov], 472).
3
zione appena delineata18 che trova il suo “manifesto” sia nella Prefazione universale delle
opere di Galileo (Firenze 1718), che nel saggio introduttivo alle opere di Gassendi del 1727.
Di questi due testi Rosmini era a conoscienza almeno dell’ultimo19.
Solo considerando questa svolta epistemologica che Rosmini opera rispetto alla classica determinazione del rapporto fra filosofia e teologia si riesce a precisare il valore del primo dei
due principi della metodologia rosminiana esposta nella parte seconda della sua opera Degli
studi dell’Autore, cioè la “libertà del filosofare”. Questo programma di Rosmini si distingue
per un duplice aspetto: da un lato, esso non significa una semplice e pacifica “modernizzazione” del classico rapporto “ancillare” tra filosofia e teologia ma determina il loro rapporto in
una maniera epistemologicamente valida nella modernità. Dall’altro lato, questo non significa
che Rosmini si schieri dalla parte dei “novatores” contro gli “antichi”; anzi un’analisi dettagliata di questo concetto ci farà vedere che il Roveretano delinea anche – implicitamente –
una forte critica all’impostazione illuministica di questo concetto. Rosmini conduce questa
critica in nessun altro modo che in chiave dell’aspetto più valido della tradizione aristotelica
stessa, ossia della riconduzione del discorso epistemologico al criterio di “verità” (in chiave
oggettiva, non autoritaria). Questa differenziazione può sembrare sorprendente qualora ci si
attenga al significato di libertas philosophandi espresso da Bruno; tale sorpresa si scioglie
però completamente considerando l’accezione di Galileo e Campanella del termine: così come
quest’ultimi distinsero tra le conseguenze autoritarie dell’aristotelismo della sua epoca a livello epistemologico dall’intenzione più autentica dello Stagirita, possiamo trovare una simile
distinzione anche nel testo rosminiano20. Per loro, è stato un aristotelismo averoistico a condurre ad un’interpretazione “machiavellistica” dello stato “ancillare” della filosofia rispetto
alla teologia; resta valido che solo una riflessione epistemologica e non autoritaria può deter18
Sciacca la definisce come la tradizione Campanella–Pascal–Galilei–Vico (M. F. Sciacca, Filosofia e
antifilosofia, Milano 1968, 45).
19
Nella biblioteca di Rosmini si trovano infatti i sei volumi dell’Opera omnia di Gassendi, stampati nel
1727 a Firenze. La prefazione comincia con la frase: “Quum optime, ac sapienter ab Alcinoo dictum fuerit, & ab
Aristotele exemplo confirmatum, in philosophando de rebus praefertim physicis non omnino auctoritatem summorum virorum, sed potius libertatem opinandi esse sectandam, nec uni ita haerendum, ut piaculumarbitremur ab
ipso latum etiam unguem discedere; hoc equidem videtur quammaxime Sacris Litteris consonum esse” ([senza
autore], Lectori philosopho, in: Petri Gassendi Diniensis ecclesiae praepositi et in Accademia Parisiensi Matheseos regii progessoris, vol. 1, Firenze 1727, senza pagina). L’intenzione di questa prefazione come anche del
saggio introduttivo di Samuel Sorberius è comunque quella di coniugare Copernico ed il “nuovo metodo” con
Aristotele e l’autorità ecclesiastica. In possesso di Rosmini si trova un ulteriore libro che tratta l’argomento in
merito e cioè di Gregorio Bressani Discorsi sopra le obbiezioni fatte dal Galileo alla Dottrina di Aristotele,
Padova 1760 che intende difendere la dottrina aristotelica (ed anche platonica) contro il nuovo metodo galileiano. Così l’autore scrive già nel proemio sul metodo cartesiano: “Il maggior impedimento, ch’egli [sc. Galileo]
apprendeva di dover superare, era Aristotile, il quale da lunghissimo tempo chiamato era comunemente, e tenuto
principe de’ Filosofi. Quindi l’animo tutto ti volse a rimuover da se questo impedimento; e per conseguenza a
rimuover Aristotile dall’antico suo seggio“ (ibid. 1).
20
Cfr. in merito l’introduzione dell’opera Aristotele esposto ed esaminato, a c. di G. Messina, Roma
1995.
4
minare il loro rapporto21. Solo tenendo presente queste differenziazioni si può evitare di giudicare la terminologia rosminiana contraddittoria – nel momento in cui Rosmini si avvale contemporaneamente del concetto di “libertà del filosofare” e del carattere “ancellare” della filosofia per la teologia22. Al contrario, una giusta interpretazione della concezione rosminiana di
che cosa significhi “libertà del filosofare” diventa un esempio emblematico della Denkform
rosminiana in quanto “alternativa moderna alla modernità”.
Per comprendere l’ “alternatività” che Rosmini propone alla discussione bisogna tener presente che la “libertà” divenne gradualmente il momento epistemologicamente costituivo della
filosofia moderna. Era innanzitutto Christian Wolff che in questo senso esprimeva paradigmaticamente l’idea di libertas philosophandi23 scoprendo in essa uno dei valori centrali della
moderna “fondazione” epistemologica della filosofia. In questo senso, egli si rifaceva a Baruch de Spinoza che nel Tractatus theologico-politicus utilizzava per la prima volta il concetto
di libertas philosophandi nel modo filosofico-sistematico come difesa contro ogni lesione
dell’autonomia della filosofia24. L’ottimismo, in quest’ultimo, nella razionalità umana risulta
tale da ritenere che uomini che agiscono in base alla ragione diventano indubbiamente virtuosi
e tolleranti. La libertà del filosofare, che nel Tractatus si concretizza attraverso la libertà del
pensare e del parlare, diventa la base dell’ordine pubblico, liberandosi dai vincoli della fede e
della tradizione.
Verso la fine dell’Illuminismo, l’idea di libertas philosophandi si è fatta strada, identificando
la filosofia stessa nel suo momento più elevato e fondativo come atto di libertà. Dal momento
in cui questo programma ha raggiunto il suo fine, cioè l’autonomia epistemologica della filosofia, fino ad oggi, è interessante osservare come l’istanza che risente la problematicità che
deriva dal progressivo differenziarsi delle scienze non è più la teologia, bensì la filosofia: nella discussione attuale ormai è quest’ultima che si deve affermare contro il continuo differenziarsi delle scienze positive. Prendendo in esame, da questo punto di vista, la lezione rosminiana, possiamo scoprirne la sua attualità e rilevanza, facendo “risuonare” la sua “voce” oggi.
21
22
23
Cfr. Campanella, Apologia, 118s.
Cfr. IF, DSA 18.
Cfr. il cap. 6 del suo Discursus praeliminaris de philosophia in genere dal titolo De Libertate philoso-
phandi.
24
Così Spinoza indirizza il suo Trattato alla dimostrazione “come la libertà di filosofare non soltanto può
essere concessa salve restando la ragione e la pace dello Stato, ma piuttosto non può essere negata se non distruggendo insieme la religione e la pace dello Stato” (B. Spinoza, Trattato teologico-politico, a c. di A. Droetto
e E. G. Boscherini, Torino 1972, XLIII; cfr. 351s., 359-411); cfr. anche la sua lettera ad H. Oldenburg dell’anno
1670, in cui indica come terzo fattore decisivo del suo pensiero “la libertà del filosofare e di dire quello che
sentiamo: libertà che io intendo difendere in tutti i modi contro i pericoli di soppressione rappresentati ovunque
dall’eccessiva autorità e petulanza dei predicatori” (id., Epistolario, a c. di A. Doretto, Torino 1951, 164).
5
Centrali per il confronto di Rosmini risultano Kant e gli idealisti, poiché sono stati
quest’ultimi a perfezionare la fondazione epistemologica della filosofia in quanto sistema nella libertà. Come reazione all’enciclopedismo francese, per Kant ed Hegel la filosofia non si
fonda nell’immediatezza della datità empirica, perché è solo nella libertà esercitata dalla filosofia che essa può essere elevata alla consapevolezza del concetto25. In Schelling, questa concezione della libertas philosophandi si traduceva in un percorso interiore: attraverso un ritiro
concreto dal coinvolgimento con il mondo26 la “libertà del filosofare” diventa l’ethos della
filosofia moderna: il filosofo è quello che cerca ed ama la libertà. Riassumendo questo sviluppo, si potrebbe dire che nella modernità la libertas philosophandi, da un concetto ribelle divenne in un certo senso erede del classico ideale-regolativo della filosofia, della sapienza27, e
in quanto tale il “credo” della filosofia moderna: in effetti, Schelling identifica espressamente
la sapienza con la “libertà eterna”.
2. Il contesto della “libertà del filosofare” nel pensiero rosminiano
Quando Rosmini, nella sua “autobiografia intellettuale”28 Degli studi dell’Autore, presenta
nella parte seconda la “libertà del filosofare” come il primo elemento caratteristico per la descrizione e giustificazione della “via” (methodos) che egli ha scelto per raggiungere i “fini”
della sua filosofia29, egli si rifà alla concezione idealistica della “libertà del filosofare”, interpretandola come erede del programma illuministico elevato alla sua riflessività cioè a sistema.
In quanto in questa sistematicità si esprime la logica giustificativa della conoscenza umana, la
“libertà del filosofare” mira alla “conciliazione delle sentenze” come secondo passo del duplice metodo filosofico del Roveretano: evidentemente, per Rosmini la coerenza è l’effetto più
immediato di un concetto “impegnativo” di libertà.
25
“La riflessione filosofica è un atto di assoluta libertà; essa si innalza con assoluto arbitrio dalla sfera
dell’esser-dato e produce con coscienza ciò che nella coscienza empirica l’intelligenza produce senza coscienza
e che perciò appare come dato“ (G. W. F. Hegel, Differenza fra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling, in: id., Primi scritti critici, a c. di R. Bodei, Milano 1971, 1-120, qui 52).
26
Nelle sue lezioni ad Erlangen degli anni 1820/21 (cfr. Initia Universae Philosophiae, a c. di C. Cesa,
in: Rivista critica di storia della filosofia 26 [1970] 340-345; Über die Natur der Philosophie als Wissenschaft,
in: id., Sämmtliche Werke, 14 voll., Stuttgart-Augsburg 1856-61, IX, 229-232) Schelling tematizza il limite “esistenziale” del pensare e la necessità che l’ “eterna libertà” si autorealizzi in noi. In questo modo, secondo
l’assioma che il simile viene conosciuto dal simile, solo nella “povertà” della mente c’è l’apertura verso
l’ “entusiastico” e la fede. È la crisi della sua autonomia e auto-dominanza che libera l’uomo, permettendogli di
giungere alla “libertà del filosofare”: egli deve lasciare persino la casa, la moglie ed i bambini – persino Dio –
per giungerci.
27
Cfr. IF, DSA 67.
28
G. Lorizio, Antonio Rosmini Serbati (1797-1855). Un profilo storico-teologico, Roma 1997, 22 e 271.
29
Cfr. IF, DSA 19. Come “fini” del suo filosofare Rosmini ha elencato precedentemente: (1) combattere
gli errori, (2) ridurre la verità a sistema, (3) dare una filosofia che possa essere solida base delle scienze e (4) di
cui possa valersi la teologia (IF, DSA 2-18). Per un’analisi dei “fini” cfr. J. F. Franck, I quattro fini della filosofia
rosminiana, in: Acta philosophica 10 (2001) 295-314.
6
Per il concetto di una tale libertà “positiva”, Rosmini non riprende il concetto nel senso polemico di Spinoza o Bruno, ma si colloca piuttosto nella tradizione di Campanella30. In questa
chiave è anche da comprendere il suo progetto di mettere in piedi un’ “enciclopedia cristiana”
come autentica realizzazione della “filosofia cristiana” nella modernità. Lo scritto Degli studi
dell’Autore si può interpretare, in questo senso, come la riflessione metodologica sul motivo
che lo animava mentre scriveva le sue opere, e sulle applicazioni di questo progetto per la
questione della ricalibratura epistemologica tra “filosofia” (scienze) e “teologia” nella modernità. Tale progetto implicava, come fondamento e presupposto, il pieno riconoscimento
dell’autenticità epistemologica della speculazione filosofica per superare dei limiti esteriori
assegnatile da parte dell’autorità istituzionale e teologica: se l’assioma tomistico secondo cui
la ragione e la Rivelazione non possono contraddirsi31 era valido anche nel contesto epistemologico della modernità – e di ciò Rosmini era fervidamente convinto –, allora questo assioma
prova la sua validità de iure (cioè nel senso giustificativo) solo nel caso in cui il rapporto fra
filosofia e teologia non risulti predeterminato dalla forza autoritativa esteriore come invece
era strutturato il discorso medievale: in questo senso, Rosmini intende mettere alla sua prova
radicale quest’assioma – prova che in questa radicalità diventa possibile solo nella modernità.
Ovviamente Rosmini può condurre un tale discorso solo sulla base del suo imperturbabile
filosofare e della sua fede ferma – e così l’opera Degli studi dell’Autore diventa un testimone
unico di questa duplice caratteristica di Rosmini32.
In quanto la reazione teologica al pensiero moderno, condotta massimamente dall’ordine dei
Gesuiti contro la libertas philosophandi e rivolta al ripristino epistemologico della fede e della tradizione nonché del concetto di “autorità”, si avvaleva degli schemi classico-metafisici,
essa si strutturava quindi già per la sua partenza epistemologica come un discorso premoderno in quanto non poteva riconoscere il fondamento della filosofia moderna, cioè la sua
costituzione nella libertà. In questo senso, Rosmini analizza la riforma della Ratio studiorum
dei Gesuiti che parte epistemologicamente dall’autorità della fede ed imposta la filosofia co-
30
“[E]rgo libertas Philosophandi plus viget in Christianismo, quam in caeteris nationibus, ut probatum est
[…]” (Campanella, Apologia per Galileo, 100s.). Proprio nella prospettiva rosminiana risulta decisivo che Campanella intese questa libertà non in quanto contraria alla teologia come scienza: infatti egli la concepisce anche
come una libertà per la teologia come scienza, nel senso di una “libertas theologizandi” (cfr. P. Ponzio, Introduzione, in: ibid., 5-29, qui 9-12), tentando di liberare la teologia dai rigidi schemi tardo-scolastici (e quindi aristotelico-autoritari).
31
Cfr. STh I, 8 ad 2; ScG, I 7.
32
“La religione cattolica poi in questa disanima non teme che una sola cosa, cioè che la discussione si
faccia troppo leggermente, superficialmente, non bastevolmente accurata, paziente e profonda. Chè quanto quella discussione si porta più avanti, si conduce con maggior rigore, perseveranza, dottrina, tanto più si tiene sicura
la cattolica fede d’uscirne vittoriosa, come sempre accade alla verità” (IF, DSA 30).
7
me strumento per la sua difesa e dimostrazione33 – riducendola, in altre parole, alla sua “ancella”. Rosmini al contrario ribadisce: “la riforma non può e non deve cominciare che dalla
parte filosofica; […] ristorata la filosofia, tutte le altre parti andranno a ristorarsi da sè stesse
agevolmente e infallibilmente”34.
Delineando indicativamente la direzione dell’argomento rosminiano, si può sottolineare innanzitutto come questo discorso epistemologico non si basa sulle (pretese di) autorità di due
discipline ma cerca la soluzione al livello dei principi di entrambe: cioè nel rapporto fra “verità” e “Verità” che proprio a questo livello principiale – per anticipare il risultato di Rosmini –
ripugnano a qualsiasi forma di esclusione. Davanti a quest’orizzonte, Rosmini si rende conto
che, per quanto la filosofia illuministica esprima una pretesa legittima (qualsiasi ricerca scientifica della “verità” de iure è possibile solo nella “libertà”), questa, a sua volta, viene ideologizzata, in quanto conduce all’ingiustificato rifiuto di qualsiasi riferimento oggettivo di questa
libertà stessa; e proprio in quanto in questo momento storico – sempre stando
all’interpretazione di Rosmini – la volontà prende il posto dell’intelletto, la “libertà del filosofare” si trova di nuovo strumentalizzata: ora, nel nome dell’avversione contro tradizione ed
autorità, allo scollegamento del discorso scientifico-epistemologico da qualsiasi riferimento
oggettivo-veritativo. Questa dinamica, per Rosmini è intrinseca alla filosofia moderna fino a
Hegel, in cui culmina la riduzione della verità a scienza35 e l’assorbimento della ragione teoretica in quella pratica, della verità nella libertà. Con questa interpretazione egli ha intravisto un
aspetto vero dello sviluppo moderno, non considerando però (ossia non potendo considerare)
che proprio il suo progetto di contrapporre al concetto illuministico-criticistico di “libertà negativa” un concetto di “libertà positiva” è in alcune intuizioni parallelo al pensiero di Schelling ed Hegel, criticando la loro concezione proprio per l’impostazione basale, cioè per la loro
determinazione del rapporto “verità”–“libertà”36. A questo punto non è un caso che la ricerca
33
Cfr. emblematicamente l’opinione del Generale P. G. Roothaan: “A mio parere, la Filosofia senza la
Rivelazione è un labirinto da smarrirvisi dentro. […] Quindi la pretensione di non aver bisogno della Rivelazione
in Filosofia, mi sembra e una grande ingratitudine verso chi si è degnato soccorrerci colla Rivelazione, e un
impedire in certo modo, se non anche talvolta distruggere, l’operazione della Fede infusaci col Battesimo” (Lettera di G. Roothaan ad A. Rosmini del 6.08.1831, cit. in: F. De Giorgi, Rosmini e il suo tempo. L’educazione
dell’uomo moderno tra riforma della filosofia e rinnovamento della Chiesa (1797-1833), Brescia 2003, 432s.;
cfr. ibid. 429-454).
34
Lettera a G. Roothaan del 20.07.1831, in: EC IV, 8.
35
Cfr. IF, DSA 78.
36
Il passaggio epistemologico ulteriore a Galilei e Campanella che Rosmini riuscì a compiere, tra l’altro
grazie al suo confronto con Kant ed Hegel, sta evidentemente nello spostamento della base epistemologica per la
“libertà del filosofare” dalla “natura” alla “verità”. Secondo Campanella, ad esempio, “il primo codice a cui
attingiamo la teologia è la natura” (T. Campanella, Theologica, a c. di R. Amerio, libro I: Dio e la predestinazione, Firenze 1951, 22).
8
rosminiana fin ora abbia evidenziato i più importanti punti di incontro fra il Roveretano ed i
rappresentanti tedeschi proprio nella loro rispettiva idea di “enciclopedia”37.
In questo contesto storico-sistematico, Rosmini individua in Degli studi dell’Autore il primo
fine del suo filosofare proprio nel ripristino della “libertà del filosofare” – contro un dogmatismo soverchio della tarda scolastica, da un lato, così come contro il fraintendimento moderno
della libertà come supremo valore della filosofia, dall’altro. Per Rosmini, la “libertà” non è in
grado di costituire da sola il discorso epistemologico fondativo; e contrapponendo alla libertà
astratta del pensiero moderno – sia illuministico che critico – un’accezione “positiva”, cioè
“finalistica” della libertà, il suo discorso sfocia, nel terzo libro della sua “autobiografia intellettuale”, nell’ “idea della sapienza”. Davanti a quest’orizzonte, la “libertà del filosofare”, così
come essa è proposta da Rosmini, appare quindi la traduzione moderna del classico concetto
di “sapienza” che viene riflessa poi – quasi come ricapitolazione progressiva del discorso della “libertà del filosofare” rosminiana – nell’ultimo passo di questa giustificazione intellettuale.
Questo discorso “progressivo” riesce innanzitutto a far vedere come il concetto rosminiano
della “libertà del filosofare” includa quell’aspetto etico della “verità” quale sua determinazione positiva: “Ogni qual volta si è voluto separare la scienza dalla virtù morale, e si è preteso
che quella dovesse andarsene sola e bastare a se stessa; ella s’è trovata languire nella mani
temerarie che le hanno fatto subire quest’esperimento […]. Chè per verità egli è più facile
comporre un essere vivente ed intelligente accozzando insieme elementi materiali per via di
chimiche operazioni, che, senza l’amore della verità e della virtù, comporre la Filosofia”38.
Questo momento epistemologico si rivela di particolare interesse soprattutto in un periodo in
cui gli sviluppi della società spät-moderna39 risentono le conseguenze di un’epistemologia
unilaterale che nella modernità ha estromesso dal suo “valore” – dalla libertà – l’intrinseco
collegamento etico. Rispondendo a questa esigenza e presentando in questo senso un concetto
di libertà positiva, è allora questo che significa, oggi, presentare l’ “idea della sapienza”.
3. Il confronto rosminiano con l’idea moderna di “libertà del filosofare”
3.1 “Libertà positiva” vs. “libertà negativa”
37
Cfr. pars pro toto C. M. Fenu, Rosmini e l’enciclopedia di Hegel, in: P.P. Ottonello (Hg.), Rosmini e
l’enciclopedia delle scienze, Firenze 1998, 117-145.
38
IF, DSA 77. E conclude: “Quella è l’illusione del materialista, questo il perpetuo sogno del razionalista”.
39
Invece di accusare la ragione moderna e di attribuirle la responsabilità per questi esiti (questo il progetto di Horkheimer e Adorno), invece di superarla decostruendola (questa l’idea post-moderna), e invece di tornare
ad una ragione pre-moderna (e cioè di recuperare acriticamente [!] l’ontologia medievale), il progetto della
Spätmoderne intende essere una riflessione sui fondamenti della ragione moderna stessa – che sono basilari per il
nostro sapere epistemologico –, cioè ridarle un aspetto che essa stessa, all’inizio della modernità, ha tralasciato:
quello della auto-riflessività ossia auto-criticità.
9
Rosmini suddivide l’argomento della “libertà del filosofare” nel primo capitolo della parte
seconda di Degli studi dell’Autore in due passi, svolgendo entrambi nel confronto diretto con
l’idea moderna della libertas philosophandi: in un primo momento, attraverso una considerazione teoretico-astratta, egli critica l’accezione moderna di questo concetto, rilevando le sue
unilateralità e contraddizioni, e presenta un concetto di “libertà del filosofare” correttivo ad
esso. Questo risultato gli fornisce, poi, in un secondo momento, la base per entrare concretamente nella controversia centrale che si disputava all’interno della questione della “libertà del
filosofare” nella modernità, ossia quella sulle competenze di filosofia e teologia in
quell’ambito che classicamente era denominato “metaphysica specialis”.
Come base della sua critica al concetto moderno di “libertà” Rosmini sceglie proprio la concezione della “libertà del filosofare” in quanto base dell’epistemologia moderna, affermando
che “la Filosofia […] di raziocinî si compone, e non di autorità”40, il che significa – con parole
di Galileo – “quella libertà, che mai non dovrebbe separarsi dal vero modo di filosofare”41.
Viene criticata, poi, l’accezione “astratta” del concetto moderno di libertà in quanto esso porta
la ragione in una specifica circolarità dalla quale questa non riesce più ad uscire. Questa conseguenza della razionalità astratta viene delineata, nel XX secolo, da Hans Albert nel “Münchhausen Trilemma” della ragione42: secondo questi, il tentativo di fondazione dei principi
dell’epistemologia scientifico-razionale conduce in tutti i tre metodi pensabili ad un’aporia,
cioè o al regressus in infinitum della dimostrazione di principi da altrettanti principi, o al circolo logico di ricorrere a premesse che invece sarebbero da provare cioè, in altre parole, fondando i principi nelle conseguenze; o nella scelta “fideistica” di mettere fine all’esigenza di
sempre nuove prove ammettendo degli assiomi indimostrabili e per sé noti o certi43. In altre
parole, secondo questo “razionalismo critico” la ragione non è in grado di auto-fondare la
razionalità della propria ragionevolezza.
Sta proprio in questo aspetto, secondo l’analisi di Rosmini, lo “scetticismo” del progetto moderno44 che egli riconosce alla base della filosofia di Cartesio e di Kant45: in tal modo, essi
avrebbero mancato, secondo Rosmini, di “liberare” veramente la ragione umana; secondo
l’analisi del Roveretano quest’ultima risulta infatti ingabbiata nel “circolo vizioso” dello scet40
IF, DSA 52.
Lettera al Signor Tolomeo Nozzolini del gennaio 1613, in: Galileo, Opere, Edizione Nazionale, a c. di
A. Favaro e I. del Lungo, 20 voll., Firenze 1890-1909 (cfr. Firenze 19682), IV, 295-310, qui 297.
42
Cfr. IF, DSA 32. Era questo in fondo, per Rosmini, il problema epistemologico dell’idealismo tedesco
(ibid. 33).
43
H. Albert, Traktak über kritische Vernunft, Tübingen 19804 (cfr. Per un razionalismo critico, tr. it.
E. Picardi, Bologna 1974), 11-15, soprattutto 13.
44
Cfr. A. Rosmini, Nuovo Saggio sull’origine delle idee, 3 voll., a c. di G. Messina, Roma 2003-2005
(d’ora in poi: NS), 1225 nota 155.
45
Cfr. NS 330.
41
10
ticismo fondazionistico46. In questa mancanza egli riconosce la problematicità del progetto
moderno di trovare il “fondamentum inconcussum” delle conoscenze umane47: ponendo il
problema della giustificazione della pretesa di verità dei giudizi, la ragione umana si è “liberata” da assunzioni acritiche (“dogmatismi”) rinunciando allo stesso momento a qualsiasi fondamento oggettivo che trascenda i criteri formali della pura razionalità. È caratteristica
dell’epistemologia cartesiana e kantiana assegnare alla ragione umana una forza epistemologica scontata: “Convien dunque riconoscere, che questi novi maestri degli uomini hanno incominciato i loro studî da una gratuita ed erronea prevenzione, per la quale hanno accordato al
ragionamento maggiori forze ch’egli non s’abbia; che essi dunque non furono filosofi liberi,
ma legati e veramente pregiudicati”48. Non molto dissimile da Hegel in quest’analisi, Rosmini
ripropone in questa impasse della ragione moderna il ricollegamento costitutivo della libertà
alla dimensione oggettiva della verità, sperando di trovare qui il fondamento per la “libertà del
filosofare”.
Senza un tal discorso fondativo, la ragione rimane esposta – secondo l’analisi rosminiana – al
presupposto del razionalismo moderno che Rosmini rivela come piuttosto irrazionale ossia
come un “pregiudizio” e cioè di “non uscire mai quella filosofia interamente dal soggetto, e di
ammettere per cosa certa, e non bisognevole di prova, che il sapere sia una produzione o modificazione del soggetto pensante”49. In conseguenza di ciò, la ragione diventa, però, vittima
de “i giudizî temerari, i pregiudizî, le prevenzioni, le credenze, le presunzioni, le persuasioni,
che talora si manifestano fortissime negli animi, senza sapere onde vengano, senza poter trovare alcuna buona ragione in cui siano fondate, senza che questa ci sia, o almeno senza che ci
sia piena e dimostrativa”50.
Nella convinzione che il progetto moderno della libertas philosophandi non porti alla vera
“liberazione” della ragione umana ma anzi che esso riveli piuttosto la “terribile potenza della
propria libertà contro se stessa”51, Rosmini sviluppa un’idea alternativa della “libertà del filosofare” che consiste in un primo momento in un progetto di “illuminazione”
sull’ “illuminismo” e di una “critica della critica” della ragione52: in un certo senso si potrebbe
46
Questa più o meno la traduzione delle sue accuse dirette a Kant di soggettivismo, scetticismo e nichili-
smo.
47
“Se volessimo ricostruire la discussione filosofica dell’età moderna in forma di dibattito giudiziario,
esso sarebbe chiamato a decidere questa sola questione: come è possibile una conoscenza sicura” (J. Habermas,
Conoscienza e interesse, tr. it. G. E. Rusconi, Roma-Bari 1990, 7).
48
Cfr. IF, DSA 33.
49
Rinnov 352.
50
IF, DSA 20.
51
IF, DSA 28.
52
In quanto Rosmini presenta qui il progetto di “riflessività della ragione”, la sua argomentazione può
diventare interessante proprio per il discorso spät-moderno che – rinunciando agli esiti scetticistici della postmodernità e a quelli dogmatici della premodernità – ripercorre la modernità, la ri-flette, per ricavarne i presupposti
11
quindi dire che per Rosmini la problematica della “libertà del filosofare” comincia proprio
laddove l’idea illuministica si vantava di averla risolta53.
Compiendo un ulteriore passo in avanti, Rosmini trova una determinazione “positiva” della
“libertà del filosofare”: non limitandosi – con la filosofia moderna – a determinarla negativamente, cioè nella denuncia di dogmatismi e di strutture di autorità che effettuano un limite
“esteriore” al processo della ragione, egli ricava – oltre la filosofia moderna – anche dei limiti
“interiori” che la ragione può subire, e che di fatto subiva nella modernità. La “libertà del filosofare” in senso positivo non si raggiunge, per Rosmini, nell’astrarre dai fattori pre-razionali o
nel negarli, bensì nella capacità di distinguerli per individuarne i “pregiudizî erronei” dai quali
solo derivano i veri e propri “errori” del filosofare54: “Ecco dunque la vera causa del lento e
contrastato progresso della Filosofia: le prevenzioni e persuasioni erronee, ecco altresì la causa logica della perdita della sua vera libertà, e quella de’ suoi traviamenti”55.
A questo punto risulta evidente che per Rosmini la “libertà” non è solo un concetto astratto,
una liberazione (“negativa”) della filosofia da vincoli esteriori, ma significa anche, per il soggetto umano, un impegno concreto (“positivo”). Questo impegno può anche portare con sé
l’opposizione reale contro le “opinioni abbracciate dal comune [che] si presentano con una
grande autorità”56 cioè con quella della razionalità moderna. In questo senso, è proprio Rosmini in prima persona che si confronta con i rappresentanti massimi della filosofia del suo
tempo e non teme di criticare fortemente queste nuove “autorità” – che egli giudica essere i
veri dogmatici in quanto non riescono a riflettere criticamente i presupposti della razionalità
moderna stessa57. Contro il concetto di “libertà” di quest’ultima, Rosmini propone quindi un
concetto positivo-concreto che si esprime nell’“amore della verità”58. È sotto la verità che
l’uomo, per Rosmini, diventa “il signore di tutte le sue proprie facoltà”59. Utilizzando la terminologia di Isaiah Berlin, si potrebbe distinguere questi due differenti concetti di libertà come “libertà negativa” e “libertà positiva”60.
Attraverso questo concetto positivo, il Roveretano riesce a recuperare la tradizione filosofica
antica e medievale che tematizzava lo svolgimento della conoscenza umana de facto
della razionalità moderna. Cfr., a tale proposito, le considerazioni in: M. Krienke, Rosmini: una Letztbegründung
non elenctica. Metafisica ed epistemologia nel discorso della Spätmoderne [in corso di pubblicazione].
53
Cfr. la parallelità della critica rosminiana all’illuminismo con Hegel ad es. in G. W. F. Hegel, Fede e
sapere, in: id., Primi scritti critici, 121-261, qui 127, 147.
54
“E ne consegue, che colui che avrà ammesse in sè prevenzioni e pregiudizî di tal natura, cioè erronei,
sarà un uomo del tutto inetto al libero filosofare” (IF, DSA 21).
55
IF, DSA 22.
56
IF, DSA 22.
57
Cfr. NS 302 nota 91.
58
IF, DSA 23.
59
IF, DSA 26.
60
Cfr. I. Berlin, Two Concepts of Liberty, Oxford 1959.
12
all’interno della verità, e a farla entrare in discussione con il progetto moderno della fondazione de iure della conoscenza umana nella libertas philosophandi. Rosmini riprende quindi
positivamente la sfida epistemologico-critica della modernità riguardo alla necessaria “giustificazione” della conoscenza umana (che diventa in Kant l’interrogazione sulle “condizioni di
possibilità”), individua in un concetto di libertà razional-“negativa” la ragione fondamentale
per il suo deficit epistemologico e propone perciò l’integrazione della stessa nell’accezione di
verità “positiva”.
Rosmini riassume questa stessa contrapposizione nelle parole seguenti: “Libertà dunque è una
di queste parole equivoche indeterminate, polisenne […]. E il senso più astratto che s’applica
a quella parola è il più assurdo di tutti”: per Rosmini risulta assurdo un concetto di libertà che
abbassa quest’ultima al suo significato negativo61. In questo senso, la libertas philosophandi
perde il suo indirizzo verso il fine della verità e diventa un puro valore procedurale. Il rispettivo atteggiamento soggettivo, secondo Rosmini, non è più l’ “amore della verità” bensì
l’ “audacia […] di coloro, che assaliscono le più venerabili e più consentite verità”62.
Il concetto rosminiano di “libertà del filosofare” riconosce la questione del “fine” come la
vera questione fondativa del filosofare stesso in quanto essa libera quest’ultimo dal circolo
vizioso del “mezzo” elevato ad un puro “fine a se stesso”: proprio di questa struttura sarebbe
la libertas philosophandi che in quanto concetto negativo conduce al trilemma della questione
del fondamento. Rosmini, a questo punto sistematico, dà a questa struttura “trilemmatica” una
propria interpretazione: l’impossibilità della fondazione sarebbe, in ultima analisi, un modello
fittizio, in quanto la necessità della fondazione si rivela indispensabile. Una fondazione “neutrale” non esisterebbe, ossia – con parole rosminiane – non è possibile costituire i “mezzi” del
filosofare in una sfera “neutrale” tra “verità” ed “erroneità” 63: un “mezzo” che si cercherebbe
di stabilire scollegato dalla “verità” non diventerebbe indifferente verso questo giudizio qualitativo della “verità” ed “erroneità”. La conseguenza di questa analisi è che un discorso epistemologico che viene staccato dalla verità con l’intenzione di fondarlo in modo “neutrale”
viene epistemologicamente assorbito dall’“erroneità”. In altre parole, la domanda fondativa
del sapere umano non conosce neutralità – ed appunto perciò non può esistere una libertà
“neutrale” del filosofare astraendo dalla domanda della “verità”. Contro l’aporia fondazionistica del razionalismo (critico), Rosmini ritiene possibile una “critica radicale della conoscenza”64 che oltrepassi il concetto di una libertà (o razionalità) negativa. Allo stesso momento
61
IF, DAS 25.
IF, DSA 24.
63
“L’uomo, che non è sottomesso alla verità, necessariamente è sottomesso all’errore […]. Fra la verità e
l’errore […] non v’ha mezzo” (IF, DSA 25).
64
Habermas, Conoscenza e interesse, 5.
62
13
riconosce nella fondazione positiva della “verità” nella “Verità” l’istanza definitiva per evitare
il risultato che una tale “positivizzazione” della libertà si esponga al gioco sociale degli “interessi”65, ossia che le “supposizioni” e le “discordanz[e] nel metodo” prevalgano sui “principi”66. Lungi dall’essere una “liberazione” per la razionalità, Rosmini scorge in questa conseguenza piuttosto l’intrecciarsi della razionalità nelle strutture stringenti dei discorsi particolari.
Questa appunto la ragione per cui – secondo Rosmini – l’impegno per la “libertà del filosofare” si concretizza attraverso l’impegno per la “verità” e nel nome della “verità”67; un atteggiamento di astensione da questa scelta per definitionem non può esistere68. In questo senso, il
concetto illuministico di libertà si rivela a Rosmini come un’ideologia di una libertà mal intesa69.
Alla base della scelta razionale sta quindi un impegno soggettivo che Rosmini chiama il “prestar fede”70 ed è una razionale credenza71; in quanto tale essa esprime nient’altro che il lato
soggettivo dell’atto fondamentale dell’intelletto umano ossia dell’intuizione dell’idea
dell’essere. In questo atto, Rosmini riconosce il momento basale dell’umana cognizione in
senso fondativo, cioè qualitativo e non quantitativo, ma appunto in quanto tale esso funge
come la vera base indispensabile per poter indagare il sapere umano rispetto alle sue ultime
ragioni72.
Questa prospettiva “positiva” porta anche una nozione del “tutto” nel senso che il giudizio
non deve essere espresso astrattamente, isolatamente, ma sempre nel riferimento complessivo
all’insieme di tutte le altre verità già scoperte; e quindi le verità costituiscono per Rosmini un
insieme totale di coerenza: in questo senso, “la concordia, l’unità, la perfettissima pace” sono
segni evidenti per la verità73: “La prima di tutte le leggi del pensiero è la coerenza”74. In questa argomentazione, Rosmini propone quindi un metodo ermeneutico, invertendo il suo modello nel Nuovo Saggio dove era la sintesi apriori della ragione a produrre le conoscenze del
soggetto. Sia sottolineato che questo passaggio, interpretato da alcuni come un vero e proprio
cambiamento del pensiero rosminiano da un “primo” ad un “secondo Rosmini”, non costitui-
65
Cfr. Habermas, Conoscenza e interesse.
IF, DSA 29.
67
“La verità dunque lungi d’imporre per se stessa una servitù agli uomini, è l’unica causa della loro libertà, della qual libertà essi non rimangono privi se non allora che essi la ricusano” (IF, DSA 28).
68
IF, DSA 25.
69
“Così questi appunto, che sono gli schiavi dell’errore, si predicano i pensatori liberi, e le menti, che la
verità ha fatte libere dall’errore colla sua luce e colla sua potenza ha rese signore delle passioni che diffondon le
tenebre, si dicono schiave” (IF, DSA 28).
70
IF, DSA 20.
71
IF, DSA 34.
72
IF, DSA 24, 35.
73
IF, DSA 23.
74
IF, DSA 30.
66
14
sce una rottura nel pensiero del Roveretano, in quanto egli riflette ora all’interno di una prospettiva progressivo-olistica, mentre nel Nuovo Saggio adoperava il metodo regressivognoseologico. Sulla base delle acquisizioni teoretiche della sua gnoseologia, cioè della giustificazione della conoscenza umana, egli riesce piuttosto a sviluppare un’ermeneutica ontologica in quanto discorso fondativo che adempie quella lacuna fondativa che il metodo gnoseologico-critico di per sé non è in grado di colmare. In quanto Kant era il primo a riconoscere questo limite della razionalità umana ed Hegel cercava di compensare metafisicamente questo
vuoto, era dal confronto con questi due pensatori che Rosmini forgiava la sua metodologia.
3.2 “Verità” di fede vs. “errori” della ragione
Con la seconda parte della sua argomentazione, Rosmini sposta il discorso della “concorrenza” epistemologica tra “verità teologiche” e “verità filosofiche” alle conseguenze per la correlazione concreta tra filosofia e teologia. Da un lato, nell’ambito della ragione teoretica egli
ribadisce, già nella prefazione al Nuovo Saggio, che la “verità” teoretica della filosofia e la
“Verità” assoluta personale del Cristianesimo non si possono contraddire, in quanto la seconda costituisce il fondamento ontologico e perciò l’integrazione della prima75. Così instaura, in
un primo momento, la questione del rapporto fra filosofia e teologia non come una questione
di “autorità” ma come un problema epistemologico. Questo presuppone, però, il riconoscimento della ragione da parte della teologia ed il riconoscimento della ragionevolezza della
fede da parte della filosofia: “V’ha dunque una ragione che precede la fede, e il credere è
anch’esso un atto del pensiero, che ubbidisce alla ragione, benchè non sia questo solo. Se facesse altrimenti, allora, e allora soltanto, il pensiero avrebbe perduta ogni sua libertà”76.
Dall’altro lato, egli riflette questa problematica non solo in modo generale, ma proprio
all’interno della situazione moderna e cioè dell’argomento della “libertà del filosofare”: infatti, i fautori della libertas philosophandi nella modernità ritengono il fatto che il Cristiano riconosca delle verità che trovano la loro giustificazione in un’istanza diversa della ragione
finita come un vero e proprio impedimento alla sua “libertà del filosofare” – e perciò come
una lesione dell’ethos della filosofia moderna. Questo giudizio porta alla conclusione che il
filosofare del Cristiano sia viziato da pregiudizi. Dai rappresentanti di un concetto “negativo”
della “libertà del filosofare” viene espresso, quindi, proprio in nome della libertas philosophandi, il chiaro rifiuto di considerare il cristianesimo o l’esistenza di Dio in philosophicis.
75
Cfr. NS 13. In questi ragionamenti confluivano senz’altro anche le discussioni che Rosmini aveva svolto proprio durante la stesura del Nuovo Saggio con Taparelli d’Azeglio e con Roothaan.
76
IF, DSA 30.
15
Sulla base delle sue considerazioni sulla “positività” della libertas philosophandi, Rosmini
ritiene questa conclusione epistemologicamente viziata da pregiudizi e presupposti. In linea
metodologica, egli si confronta, innanzitutto, non sulla linea indicatagli dagli opponenti, cioè
sui “pregiudizi” del discorso – che sarebbe un fare apologetica a livello della fede –, bensì
riporta l’argomento al livello dei “principi”: fin quando “i filosofi cattolici e i non cattolici”
nella modernità si soffermano sulla discordanza nelle “supposizioni” di indagare filosoficamente e di argomentare, sarebbe impossibile uscire dalla reciproca accusa “di non esser liberi
pensatori”77. La posizione che “la fede cristiana sia del tutto cieca” è quindi un argomento a
livello di “supposizioni” e non di principio e così Rosmini la può giudicare “una manifesta
prevenzione e una prevenzione erronea”78, quindi una posizione senza fondamento epistemologico ma con un grande effetto pubblico. Rosmini – e in questo aspetto appare assai spätmoderno – vuole superare questo scontro insanabile a livello di “pregiudizi”, “supposizioni” e
“metodo” indirizzando il discorso sui “principi” dove i “due rami del sapere si ricongiungano
in quella unità alla quale son nati”, dimostrando che “la verità [non può] esser contraria alla
verità”79. Quindi, anche per le verità ricevute per la fede, la coerenza con le verità della ragione rimane la condizione epistemologica per la loro giustificazione.
È allora davanti a quest’orizzonte che Rosmini pone la corrispondente domanda epistemologica: quali sono i requisiti per discorso fondativo al fine di escludere che le verità di fede incidano, attraverso dei “pregiudizî erronei”, sulla “libertà del filosofare” ossia sulla costituzione
autonoma della Filosofia in quanto “maestra di verità”80? Esse devono essere ricevute secondo i criteri della “libertà del filosofare” stessa, cioè non perché “ricevute” ossia imposte da
altri uomini, ma attraverso “una luce interiore, che dà loro quasi un senso intellettuale a percepire e gustare la verità”81. In questo senso, Rosmini fa suo l’ethos moderno della libertà, ma
nel senso della sua definizione della “libertà del filosofare”: “Se voi giungete a dimostrare
apoditticamente colla ragione una proposizione qualunque, statevi certi, che la fede cristiana
non v’insegnerà mai nulla di contrario, non avrete ad incontrare con essa alcuna lotta, perché
77
IF, DSA 29. “Il filosofo non cattolico vuole creare tutta intera la Filosofia, senza mai cercare se il cattolicesimo sia un errore o una verità: e poichè egli la tiene per un errore, o n’ha almeno il dubbio, vuol filosofare
con questo prgiudizio in capo senza discuterlo. L’ateo, molto più, vuol filosofare astraendo da Dio, che suppone
non esistere, supposizione che egli pure ricusa d’esaminare, e che appunto perciò è un pregiudizio che egli manda avanti a tutti i suoi ragionamenti filosofici, quasi a capitanarli. Il filosofo cattolico vuole, con chi non ha la
vera religione o ne dubita, che prima si ragioni sulla religione stessa, e si stabilisca se il cattolicesimo è vero o
no; perché trovatolo vero, è con ciò stesso dimostrato ch’egli non arreca alcun nocumento al libero filosofare, ed
anzi rende più facile e più sicura la soluzione delle altre filosofiche questioni” (ibid.).
78
IF, DSA 30.
79
IF, DSA 18; cfr. anche 36. Da questo passo risulta evidente come questa epistemologia rosminiana
avrebbe potuto evitare l’imposizione dell'autoritarismo neoscolastico sul discorso epistemologico.
80
IF, DSA 50.
81
IF, DSA 38.
16
la fede cristiana si professa prima di ricevere, e di ammettere, quasi preliminari, tutte, qualunque sieno, le verità della ragione”82. Proprio perciò può rimproverare agli stessi filosofi razionalisti moderni di essere loro “appunto i filosofi non liberi, i filosofi servi dell’errore, per lo
più ignoranti della cristiana dottrina, quelli che invidiano alla nostra libertà, e tramutando i
nomi alle cose, vogliono far passare per una servitù quella fede che ha liberato il pensiero”83.
Questa conseguenza deriva precisamente dall’accettazione della libertà come “libertà negativa” ossia come il fondamento razionalistico-astratto della ragione moderna che si restringe in
se stessa rendendosi in questo modo ab-soluto. Questa assolutizzazione, però, per Rosmini è
acquisita al prezzo dell’esclusione dell’ “altro” della ragione a cui essa è costituzionalmente
rivolta84. Nel senso fondativo, questo “altro” si rivela fondato nel “totalmente altro” che la
ragione incontra attraverso la fede. A proposito di questo discorso, Rosmini parla, non a caso,
di “due libertà”: il progetto di rendere la ragione “libera” astraendo da qualsiasi suo naturale
legame con il suo “altro” le preclude il discorso del suo fondamento – e in questo senso la
tematizzazione della “Verità” del Cristianesimo incide sulla questione fondazionistica85. Proprio per questo argomento, il più grande errore, per Rosmini, risulta lo scambiare la posizione
atea con la vera “libertà del filosofare”86.
Rosmini, quindi, dichiara non solo che la Verità, dischiusa dalla Rivelazione cristiana, non
impedisce la ragione nell’ambito della verità suo principio autonomo e anzi la preserva
dall’incepparsi in veri e propri errori87; ma anche che l’affermazione che la fede sia una potenza cieca fa parte di tali prevenzioni88. A tal punto, la filosofia non è più solo quella “ancella” che “regge lo strascico dietro” la teologia, ma – qualora sia illuminata dalla fede – diventa
colei che “porta la fiaccola davanti” ad essa89.
In questo senso, il vecchio schema dell’ancillarietà risulta epistemologicamente rovesciato:
non è la teologia a determinare “autoritativamente” lo stato epistemologico della filosofia in
modo tale che quest’ultima trovi la sua giustificazione in ultima analisi nella teologia (questa
82
IF, DSA 39.
IF, DSA 39.
84
Cfr. IF, DSA 43.
85
IF, DSA 41.
86
Una delle “false ed incoerenti interpretazioni del principio della libertà di coscienza”: “[q]uella de’ così
detti filosofi, che definiscono la libertà di coscienza, quella che consiste nell’ateismo della legge” (A. Rosmini,
Opuscoli politici, a c. di G. Marconi, Roma 1978, 171); cfr. anche IF, DSA 50.
87
IF, DSA 29.
88
Quindi, alla fine, non sono le “verità” della fede ciò che “scema” la ragione, bensì gli errori (IF, DSA
38).
89
I. Kant, Il conflitto delle facoltà, in: id., Scritti di filosofia della religione, a c. di G. Riconda, Milano
1989, 229-308, qui 245. “Che se la ragione scorge l’uomo al limite della fede, essa a questa ancora il consegna
come a più certa guida e a più sublime maestra. Ma che! La fede stessa il riconduce poscia alla ragione, che
diviene maestra soave, e guida infallibile quando dalla fede è confortata e sorretta” (A. Rosmini, Teodicea, a c.
di U. Muratore, Roma 1977, 41).
83
17
sarebbe una determinazione di rapporto “anti” o “premoderno”), bensì la filosofia si costituisce in base al suo proprio principio, cioè quella della verità90. Per questo Rosmini ha piena
fiducia nella filosofia fin quando essa si svolge in modo epistemologicamente corretto rispetto
al suo principio: in questo senso, la “libertà del filosofare” diventa un momento essenziale per
questa disciplina stessa91 – e nel senso epistemologico questa libertà si estende anche riguardo
all’atto della fede stesso92. Una lesione della “libertà del filosofare” può quindi derivare sia da
parte della fede che dalla ragione stessa. Mentre nel primo caso si ha la negazione della libertà, nel secondo si tratta del suo abuso93. Il primo viene individuato da Rosmini nel Protestantesimo94; il secondo nel razionalismo moderno. Entrambi i casi si basano sistematicamente
sullo staccare la filosofia dal principio della ricerca della verità e rinunciano quindi alla “libertà del filosofare”. Rosmini, affermando quest’ultima, recupera quella funzione propria della
filosofia che San Tommaso le ha concesso in quanto scienza propedeutica e che ora, per il
Roveretano, si trattava di trasformare a livello epistemologico: “Est etiam necessaria creaturarum consideratio non solum ad veritatis instructionem, sed etiam ad errores excludendos”95. A
differenza dell’impostazione scolastica, questa operazione non ha più funzione “praeliminare”, ma il passaggio alla “conoscenza di Dio” – che nella citazione di San Tommaso ne segue
come conseguenza diretta – esige un’ulteriore riflessione epistemologica che Rosmini svolge
confrontandosi appunto con Kant e gli idealisti. Secondo l’analisi di Rosmini, il problema
kantiano non sta quindi nella sua “fede”, bensì nel suo concetto di “ragione” e del rapporto
epistemologico tra i due “ambiti” di verità.
All’interno del contesto moderno della “libertà negativa”, della libertà non orientata ad una
verità oggettiva che trascende ed apre la ragione umana, lo stesso assioma di San Tommaso
ottiene quindi il risultato opposto dall’intenzione dell’Aquinate. Perciò è intenzione di Rosmini reinterpretarlo all’interno della problematica moderna, utilizzandolo come una critica
alle caratteristiche unilateralità del discorso moderno stesso. In un primo momento, Rosmini
90
IF, DSA 38. Rosmini ripete in quest’occasione l’assioma che la fede aiuta anche a conoscere più facilmente le verità della ragione, e lo prende come ulteriore prova che la fede non è contrapposta alla ragione ma sta
in simbiosi con essa.
91
“Laonde, secondo i cattolici, la libertà intera lasciata alla ragione è una condizione necessaria della
verità della fede” (IF, DSA 39).
92
“[L]a fede è tutt’altro dalla filosofia” (IF, DSA 43).
93
Cfr. IF, DSA 38.
94
Questa valutazione rosminiana è evidentemente contraria a quella hegeliana. Per Hegel, nel protestantesimo “[…] è realizzato il principio di soggettività, del puro rapporto a se medesimo, della vera libertà. Su questa base poggia tutto il resto e non viene solo riconosciuto ma propriamente preteso che nel culto e nella religione conta solo questo” (G. W. F. Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, 4 voll. [Vorlesungen,
vol. 6-9], Hamburg 1986-1996, III, 63). Nonostante ciò, nell’analisi di fondo sul rapporto tra “filosofia” e “teologia” all’inizio della modernità, essa corrisponde nei tratti fondamentali all’analisi di Hegel: “Partendo il pensiero per sé astrattamente dalla filosofia stessa, lasciamo per il momento la sua unità con la teologia” (ibid. 71).
95
ScG II 3; “le verità di fede rivelate da Dio non possono contrastare colla conoscenza naturale
dell’uomo” (ibid. I 7).
18
ricorda questo discorso ai limiti che esso stesso ha stabilito per la ragione umana e chiede se
entro questi limiti veramente si lascino trovare delle “contraddizioni” tra ragione e fede. La
sua risposta è evidente: “Ora in questi diciannove secoli da che il Vangelo fu predicato nel
mondo, e ne’ quali la ragione fu in continuo esercizio […] comparve mai una contraddizione
certa e dimostrata fra una verità di ragionamento, e una verità di fede? Mai”96.
Per Rosmini si tratta di filosofare in modo “radicale” – la sua filosofia è una filosofia fondativa e in questo senso si concilia con la Spätmoderne. Mentre la postmodernità cerca di decostruire quel che c'era di “ideologico” nel discorso moderno, il discorso della Spätmoderne
tenta di riflettere sulle basi del “discorso filosofico della modernità”97: e il discorso di Rosmini potrebbe sembrare appunto tale, quando cerca di ricondurre il discorso moderno stesso alla
sua problematicità più intima e perciò più fondamentale isolando a quel punto l’aspetto valido
della modernità e separandolo dalla sua “ideologizzazione”. Così egli riscopre proprio nella
fede quell’istanza che viene in aiuto a salvare il discorso moderno stesso dallo sfociare nelle
conseguenze postmoderne. In questo senso, il discorso di Rosmini è spät-modern nel senso
riflessivo della parola, esprimendo l’intenzione che solo se la filosofia si radica nel discorso
del fondamento può trovare il criterio per liberarsi da interessi superficiali e anzi per giudicarli. In questo fondamentoessa si costituisce, però, non astrattamente, ma ontologicamente e
perciò epistemologicamente connessa con la questione etica. Questa, però, esige un concetto
“positivo” di libertà, non uno “negativo” che astrae da sé il fondamento della moralità stessa.
In questo senso, anche per Rosmini la “libertà del filosofare” – se si tratta di “libertà positiva”
– si può dire l’“ethos” del filosofare.
3.3 La “conciliazione delle sentenze”
Nel secondo capitolo della seconda parte di Degli studi dell’Autore, Rosmini trae le conseguenze dalla “libertà del filosofare” come essa fu sviluppata nel primo capitolo e completa, in
tal modo, il quadro delle motivazioni del suo iter filosofico. Così come il primo aspetto dello
stesso, anche la “conciliazione delle sentenze” si contraddistingue per un duplice argomento:
innanzitutto, nel primo passo, il dibattito tra i vari sistemi filosofici è da svolgere sui principi;
senza il discorso sui principi, tutto il dibattito filosofico, secondo Rosmini, si riduce solo a un
gioco tra i vari sistemi98. Con questa argomentazione, egli applica in un secondo passo le con-
96
IF, DSA 39, citando, in proposito, anche San Tommaso: “Quelle cose che sono insite naturalmente alla
ragione, è noto che son verissime, di maniera che non è nè pur possibile di pensare che sieno false”. Rosmini
indica come fonte la Catena aurea (I, VII) dove però questo passo non si trova.
97
Cfr. J. Habermas, Il discorso filosofico della modernità. Dodici lezioni, tr. it. E. Agazzi, Roma-Bari
1997.
98
IF, DSA 49.
19
siderazioni svolte nel primo capitolo sui “principi” al livello della complessità del “sistema”.
In questo senso, Rosmini ribadisce anche qui che il discorso filosofico non può fare a meno di
radicarsi nella verità e critica perciò la libertà negativa del sistema eclectico99. A livello della
considerazione del “sistema”, il dibattito sui principi eviterebbe da un lato di costruire e giudicare un tale sistema sulla base di conseguenze che non fanno parte della vera portata teoretica dello stesso. Anzi, solo sulla base dei principi un sistema può essere giudicato adeguatamente e possono essere individuati da un lato i suoi lati deboli, dall’altro quelli integrabili con
altre sentenze. Ma questo dibattito deve essere condotto a pieno titolo nel rispetto della libertà
del filosofare, cioè senza false attinenze a delle autorità o a degli assiomi sostenuti solo per un
atto di convinzione soggettiva ma non con ragioni oggettive. In questo senso, Rosmini rinuncia a qualsiasi autorità esteriore al ragionamento filosofico e riconosce quindi nella libertà
l’unico metodo per il suo proprio sistema di affermarsi contro gli altri della sua epoca. Come
realizzazione metodologica di questa esigenza epistemologica di giudicare le sentenze secondo il criterio della loro “verità”, Rosmini non concede ai “titoli” storici, cioè alla loro provenienza concreta, nessun valore epistemologico100.
L’autorità, qualora non proponga delle sentenze contrarie alla ragione ma funga come istanza
di certezza soggettiva, non pregiudica quindi di per sé la valenza epistemologica della rispettiva sentenza – anzi, in questo senso Rosmini rintraccia pure nei sistemi razionalisti un’istanza
“autoritaria” che funge allo stesso modo da accertamento soggettivo e cioè la “riverenza allo
spirito umano”101. L’“Autorità”, in questo senso, per Rosmini può comunque avere sempre
solo una funzione sussidiaria, o per aiutare la mente comune a trovare la strada verso la verità,
o come conferma a posteriori per le verità scoperte. Essa nasce, con altre parole, e trova la
sua legittimazione solo dal fatto che è impossibile fare filosofia isolatamente e da soli – la
filosofia necessita essenzialmente la comunità. In questo senso, Rosmini definisce “autorità”,
in senso lato, anche come “l’assenso d’altre menti”102.
99
Cfr. IF, DSA 46s.
Cfr. IF, DSA 49. Come si evince da T 193, questa affermazione, che qui è formulata in maniera epistemologicamente universale, guarda già alla problematica della valutazione epistemologica delle verità di fede
all’interno della filosofia cristiana ossia della teologia. Troviamo riaffermata nell’epistemologia del XX secolo la
tesi rosminiana che la provenienza o la genesi di una proposizione non predetermina la sua valenza epistemologica: “Se un’affermazione deriva dall’esperienza personale, da una rivelazione divina nella storia o dalla pratica
di una comunità è irrilevante per i giudizi sul suo valore epistemico” (P. Clayton, Rationalität und Religion.
Erklärung in Naturwissenschaft und Theologie, Paderborn et al. 1992, 176).
101
IF, DSA 49. “Laonde un’autorità sia pure infallibile può bensì segnalare la via al ragionamento filosofico, acciocchè non si perda, ma non può mai surrogarlo: può, ancorchè non infallibile, eccitare il pensiero di colui
che cerca una Filosofia, ma non può prevenirlo, ed escluderlo, quasi non più necessario” (ibid.; cfr. 52).
102
IF, DSA 52. “[C]hè la Filosofia, come abbiam detto più sopra, di raziocinî si compone, e non di autorità; ma l’autorità sopraggiunge sempre a tempo ed utilissima a rivedere ed a suggellare colla sua testimonianza, i
medesimi raziocinî, di cui quella s’intesse” (ibid.).
100
20
Qui Rosmini compie la sua epistemologia filosofica che si basa rigorosamente sulla “libertà
del filosofare”, specificando che la libertà può avere una funzione fondativa solo qualora essa
sia orientata alla verità103. Questo orientamento diventa la condizione di possibilità della
“concilicazione delle sentenze” e quindi della coerenza del sistema filosofico stesso. In un
sistema che non sia epistemologicamente fondato in maniera rigorosa Rosmini vede questa
coerenza realizzabile solo in modo limitato e parziale. Una tale mancanza di fondamento è
atta a condurre ad un “qualunque viluppo di proposizioni vere o false” ma non al “sistema
della verità”104. In questo senso il Roveretano denuncia l’uso troppo indistinto della parola
“sistema” e si esprime contro il “parlar di sistemi senza distinzione”105.
Questo attributo di “sistema vero” egli lo determina invece solo per quei sistemi che sono
fondati universalmente sulla verità – e cioè non per qualche sentenza o conclusione, ma per il
loro principio stesso. Solo attraverso la fondazione epistemologica Rosmini vede possibile
una vera determinazione dei “sistemi veri, i quali appellano e fanno valere davanti ad un tribunale più autorevole, qual è il senso e la coscienza del genere umano”106. Come egli aveva
stabilito a livello delle sentenze, vale anche per i principi che possono essere solo o veri o
falsi107. Valorizzando l’intero “genere umano” come ‘ultima istanza’ per la domanda giustificativa dei sistemi filosofici, Rosmini relativizza la competenza che singoli filosofi o gruppi di
filosofi vantano di avere per esprimere un giudizio autorevole su altri sistemi. Così Rosmini
rende chiaro che – per quanta autorità possa essere assegnata ad un sistema da parte di uomini
– un tale giudizio rimane necessariamente parziale, finché non si basi sull’istanza universale
della verità, che può essere rappresentata solo dall’umanità in quanto tale.
La conciliazione dei sistemi consiste, ad un livello più concreto e particolare, nella “conciliazione delle sentenze” – essa però non si riferisce solo alle sentenze che attraverso la “verità”
del sistema sono di per sé epistemologicamente fondate, ma anche a quelle verità che si contengono nei sistemi erronei e che in quanto tali non appartengono a quest’ultimi108.
Da questa conseguenza deriva, quindi, che il progetto rosminiano della “conciliazione delle
sentenze” è contrapposto al metodo dell’eclettismo, come il Roveretano sottolinea confron103
“[C]he i pensatori e gli scrittori si debbano giudicar tanto filosofi, quanto hanno pensato o scritto di
filosofica verità; e per aver essi pensato o scritto altre cose erronee, quante se ne vogliano, non si dee attribuir
loro il nome di filosofi […]; ma conviene che si denominino sofisti, nemici della Filosofia, o, secondo i loro
speciali costumi, filosomati, filocremati, filomachi, o in generale, come volea Platone, filodossi” (IF, DSA 50).
104
Cfr. IF, DSA 50.
105
IF, DSA 50.
106
IF, DSA 51.
107
Cfr. IF, DSA 46.
108
Ammesso che “alcune conseguenze per sé sieno proposizioni vere ma dedotte […] da un principio
falso”, Rosmini conclude che “tutto il sistema è falso, e non si salva il sistema, salvando quelle proposizioni vere
che non gli appartengono, e da esso si devono separare, aggiungendole a quel sistema, a cui veramente appartengono, cioè a quell’unico che ha un principio vero” (IF, DSA 46).
21
tandosi con Victor Cousin. A differenza del programma dell’eclettismo, Rosmini mira
all’unità – mostrando da un lato i vantaggi che da tale unità derivano alla filosofia: “conciliazione degl’ingegni”, la “perfezione” e la “pace della filosofia”109; e sottolineando anche i benefici etico-sociali di una tale unificazione, fino alla delineazione dell’unità di un spirito “europeo”110. L’eclettismo, da parte sua, non è in grado di apportare tali valori, dato che non si
basa su una conciliazione “forte” basata sull’impegno per la verità nel senso della positiva
“libertà del filosofare” e ritiene anzi una tale intesa impossibile.
Conciliare le sentenze vuol quindi dire porre la questione della verità, della “libertà della verità” anziché di una libertà che in ultima analisi significherebbe arbitrarietà111. Di più, solo sulla
base della verità è anche possibile riportare alla coscienza l’ethos delle dispute filosofiche112.
La “conciliazione delle sentenze” non significa quindi imporre il proprio sistema filosofico
contro gli altri, ma mettersi in cammino insieme, ermeneuticamente, verso la verità, senza
però concedere dei compromessi per quanto riguarda la verità stessa. Con altre parole, la “tolleranza” è un attributo di uomini, anche di sistemi, ma non della verità di per sé. Possono essere esclusi a priori da questo dialogo dei sistemi solo quelli che rifiutano la verità nel loro
principio. Così, la molteplicità delle voci e delle sentenze è una “guarentigia della mente” e un
“gran conforto all’animo”113. Anzi, la conciliazione delle sentenze diventa l’argomento più
efficace contro i sofisti perché costituisce un argomento pratico; mentre essi si perdono in
argomentazioni sofisticate e non si fanno impressionare neanche dal principio di non contraddizione, Rosmini delinea la conciliabilità delle grandi sentenze e dei validi raziocini filosofici:
“Laonde a me pare non inutile l’autenticare i raziocinî, che son venuto esponendo, quasi di
continuo colle altrui autorità, e colle sentenze de’ grandi filosofi precipuamente, interpretate
con equità, collazionare e confermare le nostre; non già per surrogare nella filosofia l’autorità
al ragionamento, ma perchè è una guarentigia della mente, un gran conforto dell’animo, di cui
la stessa filosofia nell’arduo suo viaggio tanto abbisogna, l’udire quel quasi concento delle
umane intelligenze”114.
109
IF, DSA 54.
“Che la conciliazione sia desiderabile, il dimostrano, a troppa evidenza, i dissentimenti, onde noi, cogli
occhi nostri, vediamo il mondo diviso, e turbato: scissure, odî, guerre, minaccie di guerre, partiti che, a guisa di
tori, dirò con un antico, traggettano in vôto le corna. E perchè tanta divisione di animi, tante sette che s’insidiano
a morte, tanto incendio di passioni, dove più fiorente è la coltura, più avanzata la scienza, in questa Europa, con
iscandalo de’ popoli ancora incolti?” (IF, DSA 55).
111
“La verità dunque, ecco il solo punto possibile della conciliazione, e questa conciliazione (non ne riconosciamo alcun’altra) è quella che noi abbiamo sempre tenuto davanti agli occhi nelle filosofiche discussioni”
(IF, DSA 52).
112
IF, DSA 53.
113
IF, DSA 54.
114
IF, DSA 54.
110
22
4. Conseguenze
La rosminiana “libertà del filosofare” – cioè il tentativo di condurre un discorso epistemologico moderno senza rinunciare all’istanza fondativa dello stesso – è in grado di aiutarci a chiarire alcuni cardini del dibattito filosofico oggi. Fra tante possibili, saranno accennate a titolo
d’esempio quattro riflessioni che possono essere d’attualità nell’odierno dibattito epistemologico e filosofico-didattico:
(1) Riflessioni sulla tolleranza115: non a caso Rosmini si confronta esplicitamente con il concetto di “tolleranza” di Victor Cousin. Mentre tra gli uomini il rinunciare al proprio diritto per
benevolenza davanti all’altro potrebbe essere una “virtù preziosa”, nel dibattito sulla verità
questo atteggiamento è, secondo Rosmini, sommamente nocivo116, perché sostituirebbe
l’intelletto quale fondamento del discorso filosofico, con la volontà. Il concetto di tolleranza,
basato sulla verità, si distingue quindi in un aspetto decisivo da una certa accezione “disimpegnata” di questo termine e cioè dal “sincretismo”: basandosi quest’ultimo sulla nonconciliabilità dei sistemi nei loro principi non afferra la pretesa della verità e dichiara impossibile raggiungere una vera, profonda intesa su quest’ultima. Per questa ragione, il discorso
sulla verità perde ogni valenza epistemologica. Di conseguenza, il sincretismo e l’eclettismo
non raggiungono una vera “conciliazione” delle sentenze, cioè nei principi, e così non si rivela in grado di mediare le discordanze filosofiche attraverso un discorso fondativo e di assicurare la pace sociale. In quanto per Rosmini “tolleranza” significa proprio “impegno per la verità”, egli riesce a puntualizzare la vera e propria pretesa etica di questo concetto.
Egli descrive questa dimensione etica quando afferma che per lui la tolleranza viene esercitata
non verso l’errore ma verso le persone117. In questo senso, egli sembra rifarsi al motto agostiniano: ama hominem non ipsius errorem. Ecco il primo “fine speciale”, esposto nella parte
prima di Degli studi dell’autore, cioè di “combattere gli errori”, cioè di condurre un ragionamento filosofico stringente e determinato per quanto riguarda i principi, ma di rispettare il
partner di discussione in quanto persona.
115
“Certo per me ho sempre creduto, o piuttosto il genere umano intero ha creduto, che una sola sia la
verità, e che come il vero non può essere opposto al vero nè nuocervi, così il falso sia opposto al vero e gli pregiudichi; e quindi non ho mai compreso quale utilità possa cavare la cattolica verità dai falsi sistemi di filosofia.
Ancora io ho riputato un dovere morale per l’uomo amare quella verità una, che non può mai essere amata abbastanza, e quindi medesimo mi sarebbe parso d’operare contro coscienza se non mi fossi appigliato ad un solo
sistema, a quello nel quale mi parve di vedere contenuta la verità, lasciando però fare il contrario a coloro che
per qualsiasi ragione non possono formarsi una ferma persuasione (e però nè pure un chiaro conoscimento)
d’alcun sistema; purchè essi non pretendano di convertire in una legge universale obbligatoria per tutti, l’esitanza
del loro proprio intendimento, e quindi non distribuiscano a larga mano la taccia di superbe a tutte quelle menti,
che non sanno trattenersi nell’incertezza, dalla quale non trova onde uscire la loro” (IF, DSA 44).
116
IF, DSA 51.
117
Cfr. anche Sciacca, Filosofia e antifilosofia, 62.
23
Così, al di là delle sue parole combattive e accese, e quindi a livello dell’argomentazione, si
trova il grande rispetto che Rosmini ha per gli avversari filosofici. Questo rispetto si esprime
innanzitutto in uno studio profondo delle loro posizioni e delle loro opere nonché in una “benigna interpretazione delle altrui sentenze”118. Egli non sceglie mai il metodo più facile – in
tempi postumi adoperato contro i suoi stessi scritti – di estrarre delle frasi e delle sentenze dal
loro contesto per combatterli più facilmente, ma vuole “cogliere lo spirito dello scrittore piuttosto d’attenersi alla lettera: considerare ciò che risulta da tutto il contesto de’ vocaboli, delle
sentenze e de’ ragionamenti, ma soprattutto porre l’attenzione nella coerenza che aver devono
le conseguenze dubbiose co’ principî certi e colle intenzioni chiaramente manifestate dal pensatore”119. Adoperando in questo modo l’ethos filosofico analizzato in Degli studi
dell’Autore, per Rosmini le conclusioni od applicazioni di un pensiero filosofico non si possono giudicare in quanto “assoluti”, cioè astratti dai primi principi dai quali prende inizio un
pensiero; innanzitutto bisogna sempre integrare questo ambito dei “mezzi” del pensare con i
rispettivi principi perché solo quest’ultimi riportano alla questione epistemologica della “verità”. In questo senso, il rispetto per l’avversario filosofico si concretizza per Rosmini nello
sforzo di comprendere l’intero di un sistema e di rispettare la sua integralità. Il rispetto e la
tolleranza stanno quindi in questo riconoscimento che è la base di ogni dialogo; è questa la
base di quella tolleranza che si afferma proprio in quelle posizioni altrui dove l’avversario
massimamente si discosta dal proprio pensiero.
(2) Riflessioni sulla didattica della filosofia: Rosmini era sempre preoccupato di condurre gli
allievi ad un concetto forte di razionalità che possa servire, nella loro vita, alla formazione
della loro identità ed alla capacità di affrontare problemi e crisi e di cercare in modo costruttivo delle possibili soluzioni. Un tale concetto forte deve essere allo stesso momento critico per
non condurre a fondamentalismi. In questo senso, Rosmini cercava sempre di mantenere viva
nelle sue riflessioni o anzi di sviluppare la sua capacità critica di “diffidare assai di se stesso,
altamente persuaso, che gli stessi ragionamenti più speciosi possono ingannare per qualche
difetto, o salto che vi s’asconda (chè la fallacità è una delle limitazioni più manifeste
dell’umana natura)”120. Proprio oggi che la “libertà” del pensare è a rischio, conviene educare
le persone, a partire dall’età giovanile, a ragionare in maniera forte e ad analizzare criticamente i diversi “giudizi temerari”, le “credenze” e “presunzioni” che ci vengono giorno per giorno
suggerite e che facciamo nostre spesso senza accorgerci e senza rifletterci. Rosmini vuole
118
119
120
IF, DSA 53.
IF, DSA 54.
IF, DSA 23.
24
educare ad una ragione forte e critica: così la filosofia diventa d’aiuto nel mondo e nella quotidianità di oggi.
(3) Riflessioni sull’etica e sulla pace come contenuti dell’insegnamento della filosofia:
“[p]erocchè ell’è sempre un’idea, quella che presiede, guida e s’imprime, per così dire, in
tutte le operazioni degli uomini”121. Rosmini era convinto che la riflessione teoretico-astratta
ha la sua importanza per l’ambito pratico della vita umana e per la società. “Ogni giorno mi
convinco di più che il lavoro teoretico muove più condizioni nel mondo che il pratico; una
volta che è rivoluzionato il regno delle idee, la realtà non resiste più”122 – anche Rosmini era
convinto di questa idea hegeliana quando spiegava il suo motto di “andare a prenderli [gli
uomini] lontani, perchè sono andati lontani”123. Riconoscendo la responsabilità della filosofia
moderna nella “corruzione profonda della Morale, del Diritto, della Politica, della Pedagogia,
della Medicina, della Letteratura, e più o meno di tutte l’altre discipline”124, causa della rovina
della “vita mentale” e di conseguenza anche morale della società, egli indirizza il suo pensiero
soprattutto ad un cambiamento della forma mentis, ravvisando in questa il vero “principio”
della salute di un popolo125. Inoltre, l’analizzata seconda parte di Degli studi dell’Autore finisce con un appello all’Italia a superare la discordia e l’indebolimento nazionale126. Rosmini fa
appello quindi, oltre alla morale, anche all’unità ed alla pace sociale, limitando lo sguardo non
solo alla difficile situazione italiana, ma estendendolo a tutta l’Europa. È quindi il “sistema
della verità” che supera le frontiere e che crea la pace127. In questo senso, l’appello rosminiano è ancora oggi di una straordinaria attualità, sia a livello nazionale dei paesi europei che per
la formazione dell’Unione europea stessa.
(4) Riflessioni sulla filosofia cristiana: di particolare importanza risultano all’interno del capitolo analizzato le riflessioni epistemologiche sulla “filosofia cristiana”. Per Rosmini proprio la
determinazione del rapporto fra fede e ragione costituisce il nodo di una cultura; egli scorge
un segno espressivo della rispettiva cultura nel modo in cui questa determinazione di rapporto
viene concretizzata128. Così Rosmini individua proprio nel cambiamento paradigmatico di
questa determinazione di rapporto – e cioè nel cambiamento paradigmatico della “filosofia
cristiana” – il vero passaggio dalla cultura medievale a quella moderna. Rosmini è uno dei
primi che attraverso la realizzazione di questo cambiamento propone una filosofia cristiana
121
IF, DSA 55.
G. W. F. Hegel, Lettera di Hegel a Niethammer del 28.10.1808, in: id., Briefe von und an Hegel, vol. I,
a c. di J. Hoffmeister, Hamburg 1952, 253.
123
Lettera a G. M. Suryn del 14.04.1821, in: EC IV, 265.
124
IF, DSA 10.
125
Cfr. IF, DSA 22.
126
IF, DSA 55.
127
Cfr. IF, DSA 50.
128
Cfr. IF, DSA 43.
122
25
“moderna”. La condizione di possibilità della filosofia cristiana avanza, a tal punto, quanto la
giustificazione epistemologica della teologia come “scienza” nella modernità. Rosmini non
propone per la teologia né la classica pretesa di autorità del sistema aristotelico né adopera la
figura galileiana dei “due libri” e quindi della perfetta distinzione che rifiuti già alla base epistemologica qualsiasi dialogo tra le due “scienze”. Il suo discorso sui principi delle “due verità” supera invece l’astrattismo epistemologico moderno: la “verità” trova la sua integrazione
nella “Verità” “che non distrugge, ma amplifica e compie la prima”129.
Questo discorso rosminiano ha delle implicazioni importantissime per la fondazione epistemologia della “Filosofia cristiana” in un discorso “dopo Heidegger”. In questo senso, Rosmini
non solo riassume il rispettivo discorso della tradizione cristiana della non-contraddittorietà
della religione cristiana per i criteri della ragione130 ma riesce anche ad impostare
un’epistemologia in chiave trinitaria: la sua dottrina dell’essere uno in tre forme diventa, in tal
modo, il “vestigium trinitatis” nell’essere creato. Rinviando per l’approfondimento di questo
argomento ad uno studio a parte131, a questo punto si delinea la possibilità di una (la prima)
autentica filosofia cristiana secondo il criterio di Hemmerle132 e che perciò non cade sotto il
verdetto heideggeriano del “ferro ligneo”.
La “libertà del filosofare” indica a Rosmini la strategia per argomentare contro entrambe le
vie di fuga da questa sfida epistemologica: mentre contro la riduzione razionalistica questo
concetto ricorda “l’impotenza del ragionamento di dar fondamento da sè solo alla cognizione
umana ed alla certezza”133, esso aiuta al contempo ad evitare la “soluzione” fideistica: per tutti
coloro che disperano di fronte al compito epistemologico di accordare filosofia e teologia,
l’argomento della “libertà del filosofare” rinforza la fiducia nella ragione134. Soprattutto
l’ultima di queste due sfide costituisce oggi l’ostacolo per la fede cristiana nella nostra società: mentre l’impostazione funzionale-burocratica della società di oggi nega ai cristiani di poter
contribuire a gestire “razionalmente” le strutture “laiche” della società, la filosofia giudica un
credente un pensatore che non sappia pensare “autonomamente” o “liberamente” cioè “responsabilmente”. Con altre parole, ai Cristiani viene rimproverato di non poter contribuire
129
IF, DSA 43.
“Ella stessa dunque, la religione cristiana, professa prima di tutto di non essere in contraddizione colla
ragione: ella stessa c’insegna, che quando una religione qualunque si potesse convincere di contraddizione co’
principî della ragione, o colle loro legittime conseguenze, sarebbe falsa, non sarebbe religione, ma superstizione”
(IF, DSA 39).
131
Cfr. M. Krienke / N. Salato, A proposito di ontologia trinitaria. Il contributo di Antonio Rosmini Serbati ed Edith Stein, per una fondazione in chiave teosofica e fenomenologia della filosofia cristiana, in: Rassegna di Teologia 49 (2008) 227-261.
132
Cfr. K. Hemmerle, Tesi di ontologia trinitaria. Per un rinnovamento della filosofia cristiana, Roma
19962.
133
IF, DSA 34.
134
Cfr. IF, DSA 41.
130
26
responsabilmente alla cultura di oggi, né alla società né alla filosofia. Invece di reagire con un
“ritiro fideistico” del Cristianesimo, Rosmini ha messo tutto il suo sforzo argomentativo per
dimostrare che il Cristianesimo, anziché diminuire le forze razionali ed organizzative
dell’uomo, conferisce una maggiore razionalità all’agire umano, in quanto impedisce che la
ragione diventi vittima di altri pregiudizi o credenze che invece la impediscono realmente.
27