espansione transoceanica

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L’espansione transoceanica dell’Europa all'origine di nuove condizioni di mercato (di
Giacomina Caligaris)
Le grandi scoperte geografiche dei secoli XIV-XV crearono le opportunità per l’espansione
transoceanica dell’Europa. Il commercio a lunga distanza, che nel Basso Medioevo si era sviluppato già in forma capitalistica lungo l’asse commerciale Nord-Sud, mettendo in collegamento le economie urbane dei mari nordici con quelle mediterranee, in particolare delle repubbliche marinare, subì un riorientamento in senso mondiale e una variazione nella scala
dimensionale che risulterà irreversibile.
Alla domanda di beni, modesta sul piano quantitativo, ma assai elevata sul piano qualitativo,
che aveva dominato i flussi commerciali internazionali delle età precedenti, nel corso del XVI
secolo e nei successivi dell’età moderna, subentrò in maniera sempre più rilevante una domanda crescente di merci pesanti e voluminose, di manufatti di media qualità e più a buon
mercato, con un sensibile abbassamento del livello qualitativo.
Tale domanda proveniva tanto dal settore pubblico, per le esigenze crescenti della guerra condotta dai nascenti stati nazionali, quanto da quello privato, che risentiva degli effetti moltiplicatori degli scambi commerciali con le colonie e con il nuovo mondo.
Negli stati emergenti, Olanda e Inghilterra, la nuova domanda che si era sviluppata nel XVI
secolo sotto lo stimolo dei bisogni delle colonie e dell’intensificazione del commercio a lunga
distanza, ben presto, non fu più solo estera, ma anche interna, favorendo, in tal modo, la fusione del mercato internazionale con quello locale, l’unione dei due mercati che nel medioevo
si erano mantenuti, invece, paralleli e distinti.
Il riorientamento della domanda estera in senso mondiale spinse ai margini le aree economiche che nell’età medievale si trovavano, invece, al centro del commercio a lunga distanza e
che, poste di fronte al grande cambiamento, non seppero intercettare la nuova domanda. Fu il
caso delle economie urbane dell’Italia centro-settentrionale che, con lo spostamento dell’asse
commerciale, persero la posizione monopolistica goduta nel Mediterraneo relativamente a:
•
approvvigionamento delle materie prime
•
attività di intermediazione negli scambi
•
mercati di sbocco
A fronte di tale perdita stava la mancanza di competitività rispetto alla concorrenza dei nordici e di Marsiglia su:
•
prodotti
•
navi
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•
mediazione commerciale
Il processo di cambiamento innescato dall' espansione transoceanica dell’Europa ebbe effetti
irreversibili tanto nel breve quanto nel lungo periodo, dal lato della domanda, ma anche dal
lato dell’offerta con la formazione di nuovo capitale fisico e umano.
Fu nel XVI secolo che portoghesi e spagnoli (in particolare catalani) dapprima, olandesi e inglesi poi, gettarono le basi della supremazia delle potenze atlantiche europee su scala mondiale, una supremazia che si sarebbe definitivamente consolidata con la prima rivoluzione industriale.
Il galeone armato, creato dall’Europa atlantica nel corso del XV e XVI secolo, fu lo strumento
che rese possibile l’espansione transoceanica europea.
In meno di 10 anni dal loro ingresso nell’Oceano Indiano, i portoghesi annientarono la navigazione araba, che nel Medioevo aveva monopolizzato i traffici delle merci orientali destinate
all’Europa.
Nel 1571, poi, le forze militari europee riuscirono a infliggere ai turchi una memorabile sconfitta nel Mediterraneo con la battaglia di Lepanto che vide impegnati gli spagnoli, i veneziani,
vascelli pontifici e i Savoia sotto la guida di don Giovanni d’Austria contro Alì Pascià, il sultano turco. La vittoria non bastò a bloccare l’espansione turca nel Mediterraneo, ma segnò
un’inversione di tendenza.
Contemporaneamente all’espansione transoceanica dell’Europa atlantica, la Russia iniziava la
sua espansione transteppiana verso Oriente, grazie all’evoluzione verificatasi nell’arte della
guerra, sempre meno incentrata sulla cavalleria (i tartari, cavalieri della steppa, fino ad allora
erano invincibili) e sempre più sull’artiglieria e sulla moschetteria.
L’avanzata fu più lenta di quella transoceanica, perché per terra gli asiatici potevano controbilanciare l’inferiorità tecnica con il numero, ma divenne inesorabile dopo la metà del Seicento,
quando l'europa riuscì a produrre armi più mobili a tiro rapido.
La scoperta dei ricchi giacimenti di metalli preziosi nell’impero spagnolo delle Americhe
consentì non solo di superare la strozzatura esistente nell’Occidente europeo nell’offerta di
moneta, ma addirittura di aumentare in modo impensato la circolazione monetaria, e quindi la
liquidità nei sistemi economici del tempo, con grandiose ripercussioni di lungo periodo.
Sull’ammontare delle importazioni di metalli preziosi in Spagna nel Cinque-Seicento c’è
guerra di cifre a causa del contrabbando. Tuttavia, il repentino aumento di molte volte
dell’offerta di metallo prezioso, soprattutto argento (a fine Cinquecento la Spagna giunse ad
importare 2000 tonnellate di argento per anno, quando nel 1523 la produzione del Tirolo era
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pari a kg 15.000) sconvolse il sistema dei prezzi poiché consentì un aumento senza precedenti
della domanda effettiva.
Come erano reperiti i metalli preziosi?
Per quanto riguarda l’oro, fino alla metà del Cinquecento, quello di provenienza extra-europea
era ottenuto prevalentemente per:
-
saccheggio e de-tesaurizzazione forzata
-
rescate, ossia con intimidazioni (imbrogli, minacce), senza vero scambio commerciale
-
per lavaggio della sabbia aurifera attraverso il lavoro forzato degli indigeni.
Con il 1545 finì l’età del facile sfruttamento di tipo predatorio e iniziò lo sfruttamento minerario su scala industriale, prima in Messico poi in Perù. L’argento lo si ottenne nell’attuale Bolivia (regione del Potosì).
L’organizzazione della produzione e il trasporto del metallo dalle Americhe in Europa richiese lo sviluppo di vere e proprie capacità imprenditoriali.
Il mercurio, necessario all'amalgama per separare il metallo prezioso dal minerale, veniva estratto a Huancavelica utilizzando il lavoro degli indios e raggiungeva a dorso di lama la miniera d’argento situata a 500 km di distanza lungo il Potosì.
L’argento prodotto viaggiava, sempre a dorso di lama, fino ad Arica, porto sul Pacifico. Da
qui passava a Callao, porto di Lima, dove veniva caricato sul convoglio di navi dell’ Armada
del Sur. Raggiunta Panama il convoglio veniva scaricato e, a dorso di mulo, trasportato a
Nombre de Dios. Qui si trovavano i galeones provenienti da Cartagena per prelevare il carico
e congiungersi nel porto dell’Avana alla flotas proveniente dal Messico. Questa flotta
all’inizio dell’estate ripartiva per Siviglia via Azzorre (arrivava nella tarda estate o all’inizio
dell’autunno). Era questo il viaggio di ritorno dei convogli che ogni anno partivano da S. Lucar, porto di Siviglia: un primo convoglio detto la flota partiva in maggio ed era diretto a Vera
Cruz in Messico via Canarie; un secondo, i galeones, partiva in agosto e puntava su Nombre
de Dios sull’istmo di Panama. Scaricate le merci destinate ai coloni, i galeones svernavano a
Cartagena in attesa delle navi che trasportavano l’argento del Perù.
Lo sforzo organizzativo necessario a sincronizzare i movimenti di navi, muli, lama e uomini
era notevole. Con l’avanzare delle scoperte geografiche e l’esplorazione del Brasile, l’argento
venne imbarcato per l’Europa a Buenos Aires (Rio de La Plata), sulla costa atlantica, dopo
aver percorso a dorso di lama 2400 Km.
L’estrazione di tipo industriale comportava un costo di produzione che influì sul valore del
metallo e quindi sui suoi prezzi. Nonostante i forti costi (compreso quello di trasporto), le
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miniere delle colonie furono in grado di eliminare dal mercato quelle tedesche, grazie alla loro
ricchezza e al basso costo della manodopera.
La crescita della produzione di argento rispetto all’oro provocò una variazione nel rapporto di
scambio tra i due metalli spingendo alla ricerca di oro.
La Spagna e il Portogallo avevano il monopolio legale dei traffici con l’Occidente atlantico
sancito dalla raja del papa Alessandro VI (Rodrigo Borgia). Tra il 1575 e il 1583 questo monopolio venne attaccato da inglesi e olandesi in una vera “guerra di corsa” condotta nelle colonie da mercanti-pirati (si apriva l’epopea di personaggi come Francis Drake che circumnavigò il globo saccheggiando le colonie americane degli spagnoli), che mirava a sottrarre alla
Spagna il monopolio delle importazioni di metallo prezioso (il motto era “contro i papisti e
per Eldorado”, il paese dorato, la regione ricchissima di oro di cui si favoleggiava l’esistenza
in America Latina ).
L’attacco portato dai filibustieri può essere letto come l’inizio di una fase violentemente competitiva nel commercio a lunga distanza. Si affermò per la prima volta la tendenza a combattere i monopoli istituzionalizzati per instaurare la libera competizione tra i mercanti dei nascenti
stati nazionali, ma tale forma primitiva di rivendicazione del libero scambio avrebbe portato
al risultato di sostituire ai precedenti monopoli nuove situazioni monopolistiche nel commercio internazionale difficili da intaccare.
Durante questa prima fase di mondializzazione del commercio si scatenò una vera e propria
guerra di concorrenza fatta con l’uso dei cannoni.
Non fu tuttavia solo prevaricazione: gli olandesi elaborarono per primi nuovi istituti giuridici
invocando attraverso Huig van Groot (in Italia noto col nome di Ugo Grotio, 1583-1645, umanista e giurista, fondatore del giusnaturalismo) la libertà di navigazione sui mari, il diritto
dei popoli a godere del “ mare liberum”.
Nell’Europa occidentale, l’afflusso di metallo prezioso, la cui reale consistenza ci sfugge a
causa del contrabbando e della guerra di corsa, comportò una repentina espansione della massa monetaria in circolazione, alla quale non corrispose una adeguata risposta in termini di
produzione dei beni.
Una parte del metallo (circa un 25%) affluito in Spagna costituiva il reddito della corona e
venne speso in armi, servizi militari, vettovaglie. L’altro 75% arrivò in Europa come reddito
dei privati e alimentò una domanda crescente di beni di consumo (vino, olio, sandali, tessuti,
cappelli, sapone, mobili, attrezzi vari ecc.) e di beni capitali da parte degli emigrati, oltre che
di servizi commerciali di trasporto.
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L’offerta di beni nel breve periodo rimase rigida (in agricoltura i fattori della produzione non
erano liberi; rigidità vi era anche nella organizzazione corporativa della produzione manifatturiera). Si ebbe allora un aumento dei prezzi che assunse proporzioni rivoluzionarie e che, partito dalla Spagna, venne diffondendosi negli altri paesi dell’Europa occidentale. L’aumento
delle disponibilità liquide (offerta di capitali) provocò nei principali paesi occidentali una caduta del tasso d’interesse effettivo (al 3% e anche all’ 1,5% a Amsterdam e Genova).
Si cercarono via via merci sui mercati dove i prezzi erano più bassi (dalla Spagna alla Francia,
all’Olanda, all’Inghilterra e infine fuori d’Europa). Nacque così un mercato a dimensione
mondiale caratterizzato da scambi tra due continenti sviluppati (Europa e Estremo Oriente ) e
due arretrati (Africa e America).
Il metallo prezioso importato dal Nuovo Mondo, e molto meno dall’Africa, si inseriva come
merce moneta negli scambi internazionali.
Il mercato mondiale si sviluppava perché l’oro e l’argento valevano di più in Oriente .
Cipolla (Storia economica dell’Europa preindustriale,Il Mulino) enfatizza l’importanza della
sostituzione dei mercanti inglesi, olandesi, portoghesi a quelli arabi che tradizionalmente monopolizzavano il commercio interasiatico. I mercanti-pirati occidentali conseguirono eccezionali profitti dal trasporto di argento giapponese in Cina, di rame giapponese in Cina e India, di
spezie dall’Indonesia all’India alla Cina, di tessuti di cotone indiano nel Sud-Est asiatico e di
tappeti persiani in India. In Europa importavano le sete, le porcellane, il tè, ma non trovavano
altra merce europea che l’argento americano da esportare in Oriente.
Alla fine del Settecento-inizi dell’Ottocento esportarono in Cina l’oppio indiano, il che portò
a una guerra conclusasi con la vittoria degli europei e con l’apertura di alcuni porti.
L’argento americano consentì anche di saldare lo sbilancio negli scambi tra l’Europa occidentale e l’area baltica: veniva speso in Oriente sotto forma di dollari messicani, pezzi da 8 reales
coniati in Spagna, ducatoni coniati in Italia, rixdollars coniati in Olanda.
L’espansione transoceanica dell’Europa produsse conseguenze di lungo periodo, in quanto
aprì una fase di accelerazione nello sviluppo del capitalismo commerciale incentrata sulla figura del mercante-pirata, che investiva capitale per armare una nave, sottrarre l’argento e
l’oro agli spagnoli e spenderlo nell’Estremo Oriente perché lì comprava più merci. I mercanti
inglesi e olandesi andavano alla ricerca del profitto, assumevano rischi trattando tutti i traffici
ed entrando in tutti i mercati dove tale profitto poteva essere reso massimo.
Alle spalle di tali mercanti, tuttavia, si rese ben presto indispensabile l’appoggio della forza
politico-militare dello stato per attaccare le posizioni monopolistiche altrui, ma anche per dare
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loro una legittimazione, trasformandoli da predoni che erano, in liberi sudditi della corona e in
vero ceto mercantile.
Si iniziò con la guerra di corsa, ma poi fu guerra tra gli stati nati dalla disgregazione
dell’impero.
Nello stato moderno, che subentrò a quello feudale, gli interessi del mercante vennero a coincidere con quelli del sovrano. Il sovrano traeva infatti vantaggio dallo sviluppo del capitalismo commerciale, dato che più un paese diventava ricco, più crescevano le entrate e quindi il
“ tesoro” dello Stato, base per ogni politica di potenza, ma anche di sopravvivenza di una dinastia.
Da una simile connessione d’interessi (nuovi rapporti che si stabiliscono tra la politica e l'economia) presero avvio le politiche mercantilistiche tese a far arricchire d’oro e d’argento gli
Stati.
Con l’emergere del capitalismo commerciale, i mercantilisti cominciarono a interrogarsi
sull’origine della ricchezza, su quale fosse la fonte del sovrappiù, suggerendo attraverso le
prime analisi economiche le politiche da seguire. La risposta la trovarono nel commercio internazionale.
Ciò che li attraeva era soprattutto l’accumulazione di ricchezza monetaria, il “tesoro” perché
con l’oro si comperava ogni cosa. Pensavano di accrescere la ricchezza di un paese ricorrendo
al protezionismo in modo da ridurre al minimo le importazioni, mantenendo attiva la bilancia
commerciale, riducendo i consumi interni per vendere all’estero quante più merci possibili.
Protezionismo e aggressività nel commercio internazionale erano le armi vincenti del periodo.
Di qui l’avvio di una competizione senza regole tra gli stati atlantici per la conquista dei mercati mondiali, una competizione nella quale i perdenti, coloro che non intendevano partecipare, rischiavano di essere risospinti ai margini, o finanche cancellati dalla faccia della terra.
Non fu una lotta per affermare principi di libertà (libero mercato) applicabili ai vincitori come
ai vinti, ma per il predominio, per rompere antichi monopoli istituzionalizzati e stabilirne dei
nuovi ponendo altri blocchi all’entrata.
Il commercio transoceanico che si sviluppò in questo modo durante il XVI secolo e nei successivi era basato oltre che sui metalli preziosi, anche sulle merci esotiche che conservavano
un alto valore, sebbene decrescente nel tempo. Nuovi e inusitati prodotti vennero ad arricchire
la gamma dei beni di consumo a disposizione della società occidentale: tra di essi il mais e la
patata, che a partire dal XVIII secolo contribuirono in modo decisivo a risolvere i problemi
alimentari, a eliminare le ricorrenti carestie influendo positivamente sull’incremento della po-
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polazione europea. Alla fine del Settecento in Olanda la patata aveva sostituito il grano
nell’alimentazione giornaliera.
Altri prodotti vennero coltivati nelle colonie e venduti sui mercati d’Europa, grazie ai progressi tecnologici nella navigazione durante l’età moderna.
Il tabacco divenne popolare in Inghilterra ad opera di Walter Raleigh. Si diffuse l’uso di fumare come prevenzione contro le malattie epidemiche e in particolare contro la peste. Nel
Seicento il tabacco proveniva dalla Virginia, lo stato intitolato alla regina Elisabetta (15581603) e dal Maryland.
Dall’America venne anche il cacao. Si diffuse in Europa nel corso del Seicento, quando gli
spagnoli ne detenevano il monopolio. Lo resero gradevole aggiungendo lo zucchero bianco.
Era però un prodotto molto costoso destinato al consumo delle élite e alimentò un vivace contrabbando.
La lista dei nuovi prodotti che l’Europa acquisì dall’Oriente fu decisamente inferiore a quella
dei nuovi prodotti americani perché l’Europa e l’Estremo Oriente erano sempre rimasti in
contatto. Durante tutto il Medioevo l’Europa importò dall’Oriente soprattutto spezie e seta;
con l’avvento dell’età moderna si aggiunsero caffè, tè e porcellana.
L’origine del caffè viene attribuita ai territori esotici. Giunse in Europa nel Seicento dalla
Mecca (Arabia Saudita). Nel Settecento gli olandesi ne iniziarono la coltivazione nel loro impero asiatico a Giava (Indonesia, Suriname, Guiana), i francesi nei loro possedimenti americani della Guyana (Cayenna), Martinica, Santo Domingo e Guadalupa (Antille francesi).
Il tè comparve sui mercati di Londra e Amsterdam verso la metà del Seicento. Rimase una
bevanda per ricchi e benestanti per tutto il Settecento dato l’alto prezzo a causa del dazio
proibitivo che colpiva la materia prima. Verso il 1720 il tè soppianterà decisamente la seta
come principale merce di importazione della Compagnia delle Indie.
Altro prodotto importato fu lo zucchero di canna, noto fin dall’antichità, ma considerato un
bene molto raro e sostituito dal miele.
Nel Cinquecento lo zucchero proveniva dalle piantagioni dell’isola portoghese di Madera e
della Sicilia. Verso la fine del Cinquecento declinarono le importazioni da Madeira e furono
sostituite dallo zucchero brasiliano. Attorno alla metà del Seicento le importazioni raggiunsero livelli tali da consentirne il ribasso del prezzo del 50% sul mercato di Londra.
Gli europei, animati dallo spirito capitalistico che li spingeva alla ricerca del profitto, organizzarono produzioni su grande scala nelle colonie dove potevano contare su:
•
Abbondanza di terra
•
Reclutamento coattivo di lavoro
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Si diedero ad acquistare schiavi sulle coste dell’Africa occidentale, offrendo in cambio tessili,
armi da fuoco, polvere da sparo, alcolici e perline di vetro.
A Londra ed ad Amsterdam il commercio di importazione e riesportazione, come tutte le attività sussidiarie che esso mise in moto, permise una notevole accumulazione di capitale. Non
fu solo capitale fisico, ma anche capitale umano, sviluppo di capacità imprenditoriali per operare su vasta scala. Un’accumulazione, tuttavia, che per il modo brutale con cui venne condotta macchiò il sistema capitalistico di una sorta di peccato originale.
Il commercio estero, che si venne sviluppando durante i secoli dell'età moderna lungo le rotte
oceaniche, creò condizioni di mercato adatte a favorire la prima rivoluzione industriale e,
in particolare:
1. creò la domanda per i prodotti dell'industria britannica. Uno dei problemi che devono affrontare le economie preindustriali è il livello del potere d'acquisto nazionale troppo basso
per giustificare la specializzazione industriale. Già Adam Smith negli anni settanta del
Settecento collegava la specializzazione produttiva all'ampiezza del mercato. Ai fini della
rivoluzione industriale la specializzazione assolve un ruolo essenziale poiché da essa dipendono le economie di scala e l'esperienza che aumenta la produttività, entrambe necessarie a ridurre i costi e i prezzi in misura tale da mettere la produzione alla portata della
massa della popolazione.
2. Rese disponibili materie prime che ampliarono la gamma e abbassarono il prezzo dei prodotti dell'industria britannica. Senza accesso al cotone grezzo l'Inghilterra non avrebbe potuto mutare la sua attività principale passando da un'industria a domanda relativamente
anelastica, quella laniera, a un'industria simile dal punto di vista tecnologico, ma a domanda relativamente elastica, la cotoniera. Se non fossero riusciti a importare lingotti di
ferro dalla Svezia i coltellinai di Sheffield non avrebbero creato il commercio dell'acciaio
di qualità che sopravvisse anche quando i lingotti di ferro britannici divennero abbastanza
buoni da essere utilizzati allo stesso fine.
3. Consentì ai paesi sottosviluppati di acquisire il potere d'acquisto necessario per comprare
le merci inglesi. Il commercio, infatti, è un processo a due sensi: comprando derrate straniere gli importatori britannici fornivano ai venditori la valuta e il credito con cui acquistare i prodotti dell'industria britannica; acquistando cotone americano, ad esempio, la
Gran Bretagna forniva agli ex-coloni il potere d'acquisto che alimentava la domanda di
esportazioni inglesi.
4. Consentì di ottenere un surplus di ricchezza nazionale, che poteva essere mobilitata attraverso il mercato dei capitali quando si fossero presentate occasioni convenienti. Così
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accadde con le costruzioni dei canali, che conosceranno negli anni ottanta e novanta del
Settecento il momento di massima espansione, ancor prima che la domanda di merci pesanti e ingombranti necessarie all'industria dispiegasse tutti i suoi effetti. Lo sviluppo iniziale dei canali fu dovuto all'urbanizzazione. La crescita di città veramente grandi come
Londra, Liverpool, Manchester, Birmingham e Glagow, tutte legate al commercio d'oltremare, rappresentò uno stimolo potente per gli investimenti su larga scala nei trasporti,
che svolsero un ruolo importante nei primi stadi della rivoluzione britannica.
5.
Contribuì a creare una struttura istituzionale e un'etica professionale che dovevano dimostrarsi altrettanto efficaci nel promuovere il commercio interno, come lo erano state per
quello a lunga distanza.
L'espansione transoceanica dell'Europa iniziata con il XVI secolo, quindi, pose le basi per trasformare alla radice le condizioni generali del commercio, tanto a lunga quanto a breve distanza. In tal senso offrì delle opportunità del tutto nuove agli operatori economici occidentali, ma non tutti i paesi seppero o poterono approfittarne allo stesso modo.
Molti autori hanno ritenuto che l'orientamento in senso mondiale dei flussi di scambio delle
potenze atlantiche, a seguito delle grandi scoperte geografiche compiute all'alba dell'Età Moderna, debba essere letto come una precondizione per la successiva rivoluzione industriale,
ma, altrettanti, sebbene lo ritengano causa necessaria, non la reputano prioritaria, poiché altre
concause debbono essere richiamate per spiegare il grande cambiamento che conosceranno
l'economia e la società tradizionali a partire dal XVIII secolo.
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