Oncologia 26/10/2004
Prof. Piccinini
MARKERS TUMORALI
La scorsa volta abbiamo dato qualche indicazione sulle caratteristiche che dovrebbe
avere un marker tumorale: essere specifico solo per un tipo di cellula tumorale ed
innalzarsi solo nel caso in cui ci sia il tumore.
In realtà non è così perché molte di queste molecole sono espresse anche da cellule
normali, per esempio nel tessuto fetale, e tornano ad essere riespresse nell’adulto
dalla cellula tumorale quando si differenzia, tant’è che nella classificazione dei
markers c’è la classe dei marker oncofetali (CEA embrionale,
α-fetoproteina) proprio per la loro caratteristica di essere presenti sia nel tessuto fetale
sia nel tessuto tumorale.
Quasi mai sono utili nello screening perché la loro positività il più delle volt non è
all’inizio, ma diventa cospicua più avanti quando c’è tutta una serie di alte
manifestazioni.
Possono essere utili nel follow up, nel verificare se un intervento chirurgico ha
portato ad una remissioni competa della malattia: se un soggetto con valori alti di un
determinato marcatore prima della terapia, chirurgica o farmacologica,
successivamente ha un periodo di azzeramento del marker, e poi ha di nuovo un
innalzamento, allora dobbiamo sospettare un’iniziale recidiva.
I markers tumorali sono tantissimi, ma noi focalizzeremo la nostra attenzione su
quelli più utili nella pratica medica.
Abbiamo già parlato dell’-fetoproteina, del CEA, del CA 125 e del CA 15.3.
Dal punto di vista biochimico molti markers presentano una struttura glicoproteica
che ricorda quella delle mucine, per questo in alcuni testi sono chiamati marker
mucinici.Sono identificati con la tecnica degli ibridomi: le molecole muciniche hanno
degli epitomi ben definiti (è il determinante antigenico di una molecola che ne
permette il riconoscimento da parte del sistema immunitario) che si possono
identificare fabbricando gli ibridami che danno gli Ac monoclonali specifici.
Gli ibrodomi si ottengono dalla fusione di una cellula che produce una grande
quantità di -globulina come quella di un mielosa con una cellula immunizzata quindi
immunocompetente per quel determinato Ag.
La linea cellulare che ne deriva è detta ibridoma e può crescere e sintetizzare Ac.
I markers tumorali non sono mai specifici al 100%, in particolare in corso di malattia
disseminata con interessamento polisierositico, abbiamo un innalzamento di tutti i
marker per cui è difficile orientarsi.
CA 19.9
E’ un marker che a volte si eleva anche significativamente, in condizioni non
neoplastiche: malattie acute infiammatorie, fenomeni reattivi.
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E’ poco specifico per la malattia tumorale anche se viene fatto molto spesso nella
pratica clinica.Quando si trovano dei valori alti il medico il più delle volte si spaventa
e comincia a cercare una neoplasia che, per fortuna, a volte non c’è.Seguo da ormai
15 anni un paziente con valori di CA19.9 di molto sopra alla norma e non ho mai
trovato più di una gastrite, nonostante numerose indagini strumentali fatte.
E’ una glicoproteina presente in vari epiteli fetali: app. digerente, pancreas, surreni,
fegato, colon.
In condizioni fisiologiche il dosaggio è baso, circa < 30 U/ml.
Il CA19.9 aumenta in corso di:
o condizioni neoplastiche
- adenocarcinoma pancreatico
- adenocarcinoma del colon
- carcinoma gastrico
- carcinoma esofageo
- carcinoma epatobiliare
- carcinomi polmonari
o condizioni non neoplastiche - epatopatie acute e croniche
- pancreatiti
- coliti
Un rialzo isolato di questo marcatore può far sospettare un carcinoma pancreatico,
però come vedete non è specifico per nessuna neoplasia.
Di solito il valore dei marcatori in corso di processi flogistici si alza di poco rispetto
al massimo dei valori fisiologici, nel caso del CA 19.9 ho visto spesso casi in cui il
valore era intorno ai 100 U/ml pur in assenza di tumore.
E.TPA
Si tratta di un marcatore che nella pratica clinica non si fa, così come anche il
CYFRA.
E.TPA significa ‘’antigene polipeptidica tissutale’’, è veramente poco specifico
perché aumenta in corso di molte neoplasie (app.genito-urinario, mammella,
polmone, tiroide) e condizioni non neoplastiche (epatiti, infiammazioni) per cui nella
pratica medica serve veramente a poco.
H.MCA
Un marcatore che invece merita la nostra attenzione è l’H.MCA (mucinous like
cancer antigen).
E’ abbastanza specifico per il carcinoma della mammella ed è più o meno equivalente
da tutti i punti di vista al CA 15.3.
Perché a Modena si dosa il CA 15.3 e non l’H.MCA, mentre in altre città (Piacenza) è
il contrario?E’ un discorso di costi: dal momento che tutti e due danno gli stessi
risultati l’azienda ospedaliera ne fa scegliere uno perché entrambi non li paga.
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ORMONI E SUBUNITA’ ORMONALI
Nello studio delle neoplasie ci sono una serie di ormoni che hanno valore di marker
tumorale. Sono gli ormoni e le subunità ormonali.
GONADOTROPINACORIONICA (-HCG)
Esiste anche la α-HCG, ma la catena β è più specifica per il sinciziotrofoblasto.
Ci può servire nei tumori del testicolo (seminomi e non seminomi) e nei tumori del
polmone (soprattutto microcitomi). I tumori polmonari non hanno un loro marker
specifico, sono divisi in due grandi gruppi: ‘’ a piccole cellule ’’, che comprendono il
microcitoma, e ‘’ non a piccole cellule ’’ che comprendono l’adenocarcinoma, il
carcinoma squamocellulare).
La condizione non neoplastica più frequente in cui la β-HCG aumenta è la
gravidanza.
Ha valore prognostico: più il marker è elevato e maggiore è il peso della prognosi a
parità di tumore.
CALCITONINA
E’ prodotta dalle cellule parafollicolari della tiroide e serve per mantenere il trofismo
calcico dell’osso. E’ prodotta soprattutto dalle cellule del carcinoma midollare della
tiroide e dai microcitomi del polmone.
Il carcinoma midollare ha una familiarità spiccata, c’è una grossa componente
eredogenetica per cui quando troviamo un paziente con diagnosi di carcinoma
midollare della tiroide bisogna ricordarsi di screenare tutta la sua famiglia attraverso
controlli periodici del dosaggio della calcitonina e l’ecografia della tiroide.
Nei tumori della tiroide (soprattutto carcinoma papillifero, ma escluso il k midollare
dove aumenta la calcitonina) aumenta la tireoglobulina che è la forma di deposito
degli ormoni tiroidei.
METABOLITI DELLE CATECOLAMMINE
Questa famiglia comprende molecole come NA, A, serotonina, VIP( peptide
vasoattivo intestinale), AVM (acido vinil-mandelico) che aumentano in corso di
feocromocitoma, APUDomi, VIPomi, tumori neuroendocrini.
Sono tumori rari quelli che danno scariche di queste molecole, che vengono in genere
seguiti dallo specialista, e nei quali l’aumento di una particolare amina indirizza verso
una specifica neoplasia.
E’ un capitolo enorme che qui riassumiamo in poche righe, chi vuole approfondire
può farlo.
I metabolici delle CA si possono dosare nelle urine, in questo caso bisogna ricordarsi
di dire al paziente che qualche giorno prima di fare l’esame non deve mangiare
vaniglia, the, caffè , cioccolato, banane, ed evitare quelle medicazioni o spray nasali
per il raffreddore che contengono catecolammine o comunque dei derivati che
essendo assorbiti dalla mucosa nasale, o sublinguale, passano in circolo e ne
aumentano i livelli ematici.
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ENZIMI
PSA
E’ un esame che si fa molto spesso nella pratica clinica.
E’ il capostipite dei marker appartenenti alla classe degli enzimi, cioè di quei marker
che hanno un’attività enzimatica.
Il PSA agisce come una proteasi e contribuisce a mantenere la fluidità del liquido
seminale.
Il dosaggio è molto basso, < 4 ng/ml.
E’ molto specifico per il carcinoma prostatico, fino a pochi anni fa lo si riteneva
l’unico marker specifico perché lo si ritrovava solo nella prostata, poi si è visto che
anche il tessuto mammario ne può secernere in piccole quantità.
L’ipertrofia prostatica benigna può dare un innalzamento modesto del PSA, ma di
solito non supera i 15-20 ng/ml.Trovare valori di PSA intorno ai 50 ng/ml è sempre
segno di una neoplasia, valori invece intorno ai 15 ng/ml possono indicare una
prostatite o un fenomeno displasico, adenomatoso.
E’ uno dei pochi marker che è stato utilizzato nello screening( abbiamo detto che
normalmente non si usano nello screening!).
Lo screening per la neoplasia della prostata non viene fatto in tutte le realtà.Gli
screening che vengono fatti in tutto il mondo sono quelli per la neoplasia della
mammella e per il tumore dell’utero, uno screening raccomandato, soprattutto nelle
nostra civiltà che ha un dieta povera di fibre, ma che non viene fatto dappertutto per
problemi legati all’indaginosità della preparazione dell’esame è quello per il tumore
del colon-retto.
Riguardo lo screening con il PSA c’è chi ci crede molto e chi invece ha dei dubbi: chi
ci crede molto consiglia a tutti gli adulti (>50 anni) di fare almeno una volta all’anno
il dosaggio del PSA ed una esplorazione rettale.
Nei casi dubbi si può fare l’ecografia trasrettale.
Il dosaggio del PSA deve sempre precedere l’esplorazione rettale e bisogna
sconsigliare nei giorni precedenti delle attività coma la mountain bike che stimolano
la loggia prostatica.Qualche laboratorio ha cominciato a dosare il PSA totale ed il
PSA libero, mentre tradizionalmente noi dosiamo il PSA totale anche perché non si
ancora il reale vantaggio di questo frazionamento e non è così strettamente necessario
per l’orientamento diagnostico.
In ogni caso, visto che in alcuni laboratori lo fanno, vorrei che vi fosse chiaro il
concetto di base.Il PSA che normalmente dosiamo noi è quello totale, poi in alcuni
laboratori distinguono la quota legata e quella libera.
La quota legata corrisponde alla dose di PSA che circola legata ad un inibitore della
tripsina( α1-antitripsina), poi c’è una quota non legata a questa molecola( PSA
libero), che circola liberamente e che secondo alcuni è un proenzima perché inattivo
dal pdv biologico.
La letteratura, anche se i dati non sono certi al 100%, afferma che i carcinomi
prostatici si associano ad una riduzione della quota libera.Se il laboratorio ci dice
PSA totale = 20 ng/ml di cui la quota libera è < 1% e tutto il resto è quota legata
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allora sospetto una neoplasia, se invece ho valori >= 20% di PSA libero allora mi
oriento verso una patologia infiammatoria (prostatite).
FOSFATASI ACIDA PROSTATICA(PAP)
Ha perso grande valore e non lo fa più nessuno.
E’ un enzima che si trova nella prostata e non si fa più perché è molto più sensibile e
specifico il PSA.
E’ indipendente dalla terapia ormonale, mentre il PSA può venire alterato.
ENOLASI NEURONO SPECIFICA ( NSE)
Viene fatto abbastanza frequentemente, anche se è legato a patologie rare.
E’ un enzima presente nei neuroni celebrali, nelle cellule neuroendocrine, nel sistema
nervoso.
I valori normali di questo marker sono bassi, diventano significativi per un tumore
quando sono intorno ai
20 μg/l.
I tumori in cui aumenta sono:
 neuroblastomi
 microcitomi del polmone
 linfomi(20%)
 carcinoidi
FOSFATASI ALCALINA
E’ presente negli osteoblasti ed a livello delle vie biliari epatiche attraverso le quali
viene eliminata.
Aumenta in corso di tumori ossei, linfomi di Hodgkin, neoplasie del fegato, ed in
condizioni non neoplasiche come il morbo di Paget.
Aumenta In tutte le condizioni di colestasi, associata ad un rialzo della γ-GT.
LDH
E’ un enzima ubiquitario.
Aumenta in moltissime condizioni non neoplastiche:epatiti, bronchiti, infiammazioni
di vario tipo.
Non è specifico per nessuna neoplasia, ma può aumentare in corso di leucemie,
linfomi, tumori del testicolo.
Ci permette di spiegare 2 concetti:
1) “concetto di isoenzima”: l’LDH è un enzima di cui esistono più forme
molecolari ma che catalizzano la stessa reazione e sono localizzate in organi e
tessuti diversi. I diversi isoenzimi si possono identificare attraverso
l’elettroforesi ed i test immunoenzimatici
2) “concetto di ritmo circadiano”: la molecola che ha il massimo ritmo circadiano
è l’ACTH, tant’è che la terapia col cortisone va fatta al mattino( fino alle 12) e
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non alla sera perché per il meccanismo di feedback, corro il rischio di andare a
bloccare il surrene.Anche la sideremia è più bassa di notte e più alta di giorno,
probabilmente perché di notte va nei depositi, mentre di giorno camminiamo e
la consumiamo.Anche gli isoenzimi dell’LDH sono soggetti ad un ritmo
circadiano.Si è pensato di sfruttare questo concetto nella chemioterapia e di
farla cronoregolata.
In generale la quantità di marker prodotto non è necessariamente in rapporto alla
massa, perché ci sono cloni che ne producono molto anche se hanno una massa
piccola. Quello che conta è il valore del marker: valori sicuramente neoplastici
indicano la presenza di un tumore quindi bisogna cercarlo fino a quando non l’ ho
trovato senza stancarmi.
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Radioterapia 26/10/04
prof.Falchi
DANNI SOMATICI DA RADIOTERAPIA
Quando le radiazioni ionizzanti interagiscono con la materia si verificano degli effetti
biologici che sono diversi a seconda del tessuto colpito e della dose erogata.
Distinguiamo gli effetti biologici da radiazione sui tessuti in:

EFFETTI GRADUATI: sono quelli direttamente proporzionali all'entità della
dose (una mano sotto l'apparecchio della Roentgen terapia con erogazione di
800 centiGray o 800 rad provoca l'eritema, ma se erogo 200 centiGray al
giorno posso arrivare fino a 3000-3500 centiGray prima di avere l'eritema). Le
reazioni possono essere più o meno intense in rapporto al tipo di radiazione
utilizzata, ma sicuramente sono sempre correlate alla quantità di dose utilizzata
sia che si usi una dose singola elevata o una dose più elevata ma frazionata nel
tempo. A livello dei tessuti hanno un effetto distrofico e funzionale che si
manifesta con l'eritema di diverso grado d'intensità, l'alopecia, o la perdita della
ciglia a livello della prime vie respiratorie.

EFFETTI STOCASTICI: o casuali. Non sono correlati alla dose erogata e
possono comparire in seguito a dosi infinitesimali, quindi dipendono
soprattutto dal substrato che riceve la dose.per esempio i figli dei pazienti
esposti alle radiazioni di Hiroshima hanno manifestato con una certa frequenza
dei linfomi per esposizioni alle radiazioni, però noi non riusciamo a
quantificare il rischio perché dovremmo ricreare una situazione identica e
uguale in tutto e capite che ciò non è possibile.non possiamo stabilire la
correlazione causa-effetto.
la suddivisione tra graduali e stocastici si basa sul fatto che i primi sono dose
dipendente, mentre i secondi sono probabilistici.
Il danno biologico che si può determinare dipende da:

tipo di radiazione

dose di radiazione

qualità del tessuto che riceve le radiazioni
A questo proposito distinguiamo i tessuti in radiosensibili e radioresistenti per ci a
parità di dose, di qualità, di energia, di campo della radiazione e di distanza della
macchina sarà maggiore il danno in un tessuto radiosensibile rispetto ad uno
radioresistente.
quando sottoponiamo un paziente alla radioterapia possiamo avere:

REAZIONI ACUTE che sono di solito proporzionali alla dose e comprendono
l'eritema di diverso grado, l'epidermolisi, l'arrossamento.Dobbiamo cercare di
evitare queste reazioni utilizzando l'energia più adatta al tipo di trattamento che
dobbiamo fare.Se devo trattare un basalioma, allora l'epidermolisi è
vantaggiosa per cui utilizzo delle radiazioni poco energetiche o radiazioni
corpuscolate che hanno un effetto locale.se invece devo arrivare in un focolaio
più profondo devo utilizzare della radiazioni molto energetiche che non hanno
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penombra e sparano dritte al bersaglio, risparmiando i tessuti sani che
attraversano.in tutti e due i casi utilizzo delle radiazioni ionizzanti, ma che
hanno caratteristiche fisiche diverse che si adattano ai diversi trattamenti che
devo fare.se devo irradiare una pelvi mi devo preoccupare di allontanare le
anse intestinali perché corro il rischio, dopo 5-10 sedute, di dover interrompere
il trattamento per la comparsa di diarrea.Bisogna sempre cercare di essere
omogenei nel trattamento: se faccio troppe interruzioni allungo la durata del
trattamento e rischio di perdere l'efficacia biologica.ogni tipo di reazione può
essere di entità diversa: se ho una lesione cutanea e determino un’epidermolisi
questa può risolversi del tutto, ma in genere ho come esito del trattamento una
scleroatrofia che porta ad una diminuita vascolarizzazione periferica.E' come
una grossa cicatrice scarsamente vascolarizzata per cui se subentra una lesione
corro il rischio di gravi complicanze e a volte può essere necessario ricorrere al
trapianto di cute. Un’ulcerazione sul tessuto trofico si ripara senza problemi,
ma un’ulcerazione sul tessuto scleroatrofico può anche non guarire mai e
necessitare della chirurgia plastica.

REAZIONI TARDIVE più importanti da considerare sono la fibrosi e l'atrofia
perché possono modificare il risultato del trattamento.
E' chiaro che anche la reazione acuta è diversa se faccio il trattamento focalizzato o se
espongo tutto l'organismo alla dose di radiazione. In quest'ultimo caso per dosi
apparentemente non rilevanti posso avere il decesso del paziente: se erogo 500
centiGray su tutto l'organismo ho la morte, se invece 500 centiGray li erogo sulla
mano non ho neppure l'eritema (dose eritema=800 centiGray).
Si capisce quindi come cambia la reazione in rapportò all’entità del materiale
biologico che viene colpito da radiazioni.
Le radiazioni ionizzanti producono sempre un determinato effetto biologico che è poi
quello che cerchiamo di ottenere.
L’effetto biologico finale può essere modificato, per esempio se uso un
radioprotettore che va a legare l’H+ che si libera in una reazione chimica, io riduco
l’effetto a livello del tessuto che ho irradiato dovendo trattare dei tumori, devo essere
sicura che il radioprotettore non agisca sul tessuto neoplastico ma sul tessuto sano
circostante, perché non avrei più l’effetto benefico dell’irradiazione.
La scelta dei farmaci radiosensibili e dei farmaci radioprotettori è sempre molto
difficile, perché i primi producono tanti effetti collaterali e non sempre sono
facilmente utilizzabili, per i secondi bisogna stare attenti che non proteggano le aree
neoplastiche.
Attualmente disponiamo di molti farmaci antitumorali che hanno anche un effetto
radosensibilizzante, per esempio il ciprofluoxacile.
Questo fatto è favorevole perché oltre ad essere tumoricida, queste sostanze rendono
più efficace l’azione della radioterapia. Possono agire in modo diverso, a volte
bloccano la proliferazione cellulare nella profase mitotica che è quella che interessa
alla radioterapia in quanto di maggiore sensibilità cellulare.
Oltre ai radiosensibilizzanti e radioprotettori abbiamo la possibilità di interagire con
la qualità delle radiazioni che si utilizzano.nella scelta del tipo di radiazioni posso
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sfruttare le radiazioni a basso LET o ad alto LET a seconda del tipo di bersaglio che
devo irradiare.
I LET sono quelle radiazioni grasse che consumano tutta la loro energia per fare dei
percorsi brevi.
Le radiazioni ad elevato LET hanno una energia bassa e viceversa ma questo non
vuol dire che le prime sono più efficaci delle altre, ma la differenza tra i LET delle
diverse radiazioni consente di evitare gli effetti collaterali dovuto all’uso delle
radiazioni.
Caratteristico di ogni radiazione è l’EBR ( efficacia biologica relativa) che è il
rapporto tra la dose di una radiazione considerata standard e la dose di una radiazione
che prendiamo in esame che è necessaria ad ottenere lo stesso effetto della radiazione
standard.
Esempio:per ottenere l’eritema sulla mano servono 800 centiGray di radiazione
standard che è quella Roentgen e 1200 centiGray di radiazione di cobalto.Il rapporto
800/1200 non è altro che l’EBR caratteristica del cobalto
Il fattore EBR dipende, oltre che dal tipo di radiazione, anche dal tipo di effetto
biologico considerato.
Dose rate è la capacità di irradiazione di una certa dose da parte di un apparecchio e
posso fare una applicazione di radioterapia con una apparecchio a basso dose rate o
ad alto dose rate.
Per erogare una dose con un apparecchio a basso dose rate occorrerà un tempo lungo
20-24 ore. Se devo fare una applicazione vaginale posso usare tranquillamente o il
basso o l'alto dose rate:nel primo caso uso un cilindro vaginale che rimane in sede 2024 ore che eroga una dose di radiazione pari a 10 gray ad 1 cm dall'applicatore. Se
però ho u tumore bronchiale, colecistico o esofageo non posso usare un basso dose
rate perché non riuscirei a tenere un applicatore per tanto tempo in quelle sedi, allora
si usano delle radiazioni ad alto dose rate che in un arco di tempo brevissimo, di
pochi minuti, erogano la dose sufficiente per eseguire il trattamento.
Qualcuno suggerisce l'uso di farmaci vasoattivi in contemporanea alla radioterapia,
per esempio gli estratti tiroidei, però gli effetti collaterali sono tali e tanti per cui
attualmente non si usano. Un'altrapossibilità è quella di usare la radioterapia in un
ambiente ricco di O2, in iperbarismo, però anche in questo caso sono tali e tanti gli
effetti collaterali che si preferisce non farla.
Attualmente si preferisce l'utilizzazione di farmaci antiblastici che abbiano anche un
effetto radiosensibilizzante.
Poi posso giocare sul frazionamento diverso della dose.Tenendo sempre presente la
dose eritema e l'indice di proliferazione di un tumore che mi dice quanto tempo ci
mette una cellula a moltiplicarsi, io posso fare 2 applicazioni al giorno a distanza di 6
ore o 3 applicazioni al giorno a distanza di 4 ore. In alcuni casi la vision barriera cioè
fare 1 applicazione al mattino ed una alla sera consente di agire sui tessuti i
replicazione e ottenere buoni risultati.
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RUOLO DELLA RADIOTERAPIA
Una volta il chirurgo era quello che per primo vedeva il tumore del retto ed operava
tutti, ma c’era un numero di recidive altissimo.
In genere il chirurgo mandava il paziente alla radioterapia quando compariva la
recidiva, che era sempre molto dolorosa perché in regione pre-sacrale.
La regione pre-sacrale è mal esplorabile dal chirurgo e facilmente i pazienti morivano
per una recidiva in modo molto brutale, con un dolore terribile, allora molti chirurghi
si sono convinti ed hanno accettato di trattare il paziente prima con la radioterapia e
poi di operarlo.
La scelta del trattamento non deva essere unica, ma deve tener conto di tutte le
possibilità terapeutiche esistenti, quindi identificare con esattezza il ruolo della
radioterapia è molto importante.
La radioterapia può essere utilizzata in maniera esclusiva nei casi in cui il tu7more
non sia operabile per motivi generali: una paziente diabetica, o ipertesa o obesa
potrebbe non sopportare l’anestesia allora si fa la radioterapia esclusiva ed è
sufficiente a guarire quella patologia.
In questo caso la radioterapia è esclusiva e radicale.
Ci sono però dei casi in cui lo stadio della neoplasia è avanzato e le condizioni
generali critiche per cui si preferisce fare la radioterapia che questa volta avrà solo
carattere esclusivo, non di guarigione dalla neoplasia.
La radicalità dipende dallo stadio di malattia, l’esclusività indica che si usa solo la
radioterapia.
Il primo stadio del tumore della prostata può essere trattato o con la chirurgia o con la
radioterapia perché il risultato è equivalente, la percentuale di successo è intorno al
95% con entrambe la tecniche, per cui la scelta dipende dal soggetto che abbiamo di
fronte.
Anche il tumore alle corde vocali I stadio ha una probabilità di successo equivalente
sia che lo trattiamo con la radioterapia che con la chirurgia.
Il più delle volte però la radioterapia gioca un ruolo complementare alla chirurgia.Si
distingue una radioterapia pre, intra, post-operatoria.
La pre-operatoria si usa soprattutto nel tumore del retto, e questo ha ridotto i casi di
recidiva dopo l’intervento chirurgico a meno del 4%, il problema è che spesso
durante l’operazione si trovano delle metastasi epatiche.
C’è la possibilità di controllare l’insorgenza delle metastasi facendo una trattamento
combinato che mio e radio per-operatorio.
La radioterapia intra-operatoria può essere utile nel tumore del pancreas, e si utilizza
un collimatore dell’acceleratore lineare che sfrutta degli elettroni che quando arrivano
a bersaglio perdono tutta la loro energia senza danneggiare i tessuti molli circostanti.
Le difficoltà della radioterapia intra-operatoria sono di tipo logistico-organizzativo:
trasporto e sterilizzazione dei macchinari per la radioterapia, presenza dello
strumentario e dei radioterapisti nelle sale operatorie.
La radioterapia post-operatoria si usa spesso nel tumore della mammella: il chirurgo
esegue una quadrantectomia e il radioterapista completa l’opera irradiando la
ghiandola mammaria.
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Inoltre si fa nei tumori dell’utero sia del corpo che del collo e in base al referto
istologico decido la dose ed il frazionamento.
Il tipo di radiazione da utilizzare va scelto di volta in volta in base al tipo di paziente:
se abbiamo un paziente soprappeso devo usare delle radiazioni altamente energetiche
che siano in grado di attraversare lo spesso strato di adipe.
In genere quando ci sono delle patologie sistemiche (LNH, LH) la radioterapia può
essere integrata con la terapia medica.
In questo caso la risposta completa dopo un trattamento di chemioterapia viene
consolidata dall’utilizzazione dalla radioterapia.
Ci sono dei trattamenti complementari in cui esiste una integrazione spaziale tra
radioterapia e chirurgia: per esempio la chirurgia si occupa del T e la radioterapia
dell’M. Nei seminoi si fa la chirurgia sul T e la radioterapia sui linfonodi lomboaortici perché qui la % di metastasi è molto alta.
La radioterapia radicale si fa nei tumori del labbro ed è migliore, da un punto di vista
estetico, della chirurgia nella quale l’asportazione di una massa può ridurre la
capacità funzionale del labbro, mentre la radioterapia determina una scleroatrofia che
riduce un po’ la rima del labbro ma mantiene la funzionalità.
Gli anglosassoni nei tumori iniziali del colo dell’utero fanno la radioterapia perché
vogliono preservare la capacità proliferativi della paziente.
Qual è la finalità della la radioterapia?
Dipende dal tipo di tumore e può essere palliativa o sintomatica.
È palliativa quando può migliorare la qualità di vita e in qualche modo allungarla.Per
esempio se ho una sola metastasi con la radioterapia posso sperare di ottenere, se non
la guarigione, almeno la stadiazione.
La sintomatica ha una funzione analgesica e serve per migliorare quel residuo di vita
che resta.
Di volta in volta la radioterapia sintomatica va valutata attentamente come
indicazione.
Dobbiamo poi scegliere quale radioterapia vogliamo utilizzare: transcutanea o
curielterapia.
Una volta la curielterapia si faceva con il radium, che però oggi non esiste più.
Era un ottimo elemento con una emivita superiore a 1000 anni quindi non c’erano
problemi di dosimetria, ce n’era per tutti ma il problema era che il personale addetto
era continuamente esposto alle radiazioni.
Oggi si usano dei sostituti del radium, che sono più fisicamente applicabili in quanto
contenuti all’interno di ‘’filini’’ che assomigliano a quelli utilizzati dai pescatori per
le canne da pesca.Si fa una costruzione geometrica dell’applicazione e si introducono
delle anime radiopache che non sono cariche radiologicamente e quindi facciamo lo
studio della dosimetria di quella applicazione.
Poi mettiamo dentro dei pezzettini o di ridio o di altri elementi radioattivi in base al
tipo di tumore. L’esposizione in questo caso è minima.
Il problema più grosso è la definizione del volume bersaglio, la possibilità di erogare
sul volume bersaglio la dose necessaria col massimo rispetto dei tessuti sani
circostanti.
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