MONDO GRECO E MONDO GIUDEO-CRISTIANO Premessa: i riferimenti ebraico-cristiani Solo alcune annotazioni sull’incontro tra i due mondi I testi sotto riportati segnalano i termini del problema. Atti 17,17-34 17 Frattanto, nella sinagoga, discuteva con i Giudei e con i pagani credenti in Dio e ogni giorno, sulla piazza principale, con quelli che incontrava. 18Anche certi filosofi epicurei e stoici discutevano con lui, e alcuni dicevano: "Che cosa mai vorrà dire questo ciarlatano?". E altri: "Sembra essere uno che annuncia divinità straniere", poiché annunciava Gesù e la risurrezione. 19Lo presero allora con sé, lo condussero all'Areòpago e dissero: "Possiamo sapere qual è questa nuova dottrina che tu annunci? 20 Cose strane, infatti, tu ci metti negli orecchi; desideriamo perciò sapere di che cosa si tratta". 21Tutti gli Ateniesi, infatti, e gli stranieri là residenti non avevano passatempo più gradito che parlare o ascoltare le ultime novità. 22Allora Paolo, in piedi in mezzo all'Areòpago, disse: "Ateniesi, vedo che, in tutto, siete molto religiosi. 23Passando infatti e osservando i vostri monumenti sacri, ho trovato anche un altare con l'iscrizione: "A un dio ignoto". Ebbene, colui che, senza conoscerlo, voi adorate, io ve lo annuncio. 24Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti da mani d'uomo 25né dalle mani dell'uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa: è lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. 26Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l'ordine dei tempi e i confini del loro spazio 27perché cerchino Dio, se mai, tastando qua e là come ciechi, arrivino a trovarlo, benché non sia lontano da ciascuno di noi. 28In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come hanno detto anche alcuni dei vostri poeti: "Perché di lui anche noi siamo stirpe". 29 Poiché dunque siamo stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all'oro, all'argento e alla pietra, che porti l'impronta dell'arte e dell'ingegno umano. 30Ora Dio, passando sopra ai tempi dell'ignoranza, ordina agli uomini che tutti e dappertutto si convertano, 31perché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare il mondo con giustizia, per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti". 32 Quando sentirono parlare di risurrezione dei morti, alcuni lo deridevano, altri dicevano: "Su questo ti sentiremo un'altra volta". 33Così Paolo si allontanò da loro. 34Ma alcuni si unirono a lui e divennero credenti: fra questi anche Dionigi, membro dell'Areòpago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro. Paolo ad Atene tenta di rapportarsi con la grecità giocando sulle assonanze tematiche. - una captatio benevolentiae gioca sulla spontanea religiosità ateniese: cultura densa di dèi fino al “dio ignoto” che Paolo dice di rivelare - - il Dio di Paolo coincide con quel dio cercato, dio del cosmo, che non ha bisogno di nulla (tema stoico) ed è senza immagini (tema ebraico ma che intercetta le critiche già greche agli idoli di pietra) - La stirpe umana è stirpe divina e per questo l’uomo è alla ricerca del divino: in Lui viviamo (riprende inno a Zeus; Cleante (334-232 a.C.) successore di Zenone aveva già spiritualizzato Zeus sottolineandone la volontà benevola, a fronte dell’impersonalità del dio stoico, logos universale, che non aiuta, né è pregato, né abbisogna di templi. - Ma ai vv. 30-34 Paolo sposta l’ottica sulla linea cristiana: quel Dio è annunciato nel kerigma cristiano, riguarda l’uomo Gesù morto e risorto. La richiesta di conversione al Dio nuovo – che ha caratteri personali – e alla novità della risurrezione, appare stoltezza e viene rifiutata dai più. - La differenza non è solo nei contenuti (su alcuni c’è assonanza) ma sul metodo: speculativo per i greci, a partire dal kerigma, dal sentirsi destinatari di una rivelazione, per i cristiani. Il secondo testo segna infatti la differenza. Ai Corinzi, greci convertiti, ma soliti alle speculazioni e alle divisioni tra scuole e sapienze, Paolo ribadisce che la verità cristiana non è frutto delle opinioni ma in Cristo morto e risorto. 1Corinti 1,17-25 17 Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo. 18La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio. 19Sta scritto infatti: Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l'intelligenza degli intelligenti . 20 Dov'è il sapiente? Dov'è il dotto? Dov'è il sottile ragionatore di questo mondo? Dio non ha forse dimostrato stolta la sapienza del mondo? 21Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. 22Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, 23noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; 24ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. 25Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. L’evento Cristo crocifisso e risorto si impone come verità sul mondo e l’uomo. lì c’è il nucleo delle Fede che appare - per i giudei, scandalo: un Messia (Cristo) crocifisso è impensabile; pretenderebbero miracoli di legittimazione dall’Alto - per i greci, è pura follia, stoltezza un Dio che si fa uomo; la sapienza cercata è sempre ricerca autolegittimata. - Il punto chiave per Paolo è la kenosi, cioè l’abbassamento di Dio che si fa carne, cioè debolezza. Dio ha deciso di salvare l’uomo mediante questa stoltezza e questa debolezza che, in Lui divengono sapienza e forza. Questa la novità e differenza cristiana Romani 1,16-24 (testo non discusso) 16 Io infatti non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo, prima, come del Greco. 17In esso infatti si rivela la giustizia di Dio, da fede a fede, come sta scritto: Il giusto per fede vivrà . 18 Infatti l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia, 19poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha manifestato a loro. 20Infatti le sue perfezioni invisibili, ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute. Essi dunque non hanno alcun motivo di scusa 21perché, pur avendo conosciuto Dio, non lo hanno glorificato né ringraziato come Dio, ma si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata. 22Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti 23e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con un'immagine e una figura di uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. 24Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi, 25perché hanno scambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno adorato e servito le creature anziché il Creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Si riconferma la differenza tra fede e ragione: la ragione greca non è servita per evitare l’idolatria; nonostante tutto (la possibilità di risalire “per analogia” dal creato al Creatore) non salva. Ci vuole la fede nel Cristo, che viene gratuitamente, e salva senza bisogno di opere (morali > osservanza della Torah o intellettuali > ricerca della sapienza) Il terzo testo è esempio di una rielaborazione cristologica: quel Gesù morto e risorto è interpretato – pur a partire dal monoteismo giudaico – come Dio. Il Quarto Vangelo è un vertice di questa comprensione. Giovanni 1,1-18 1 In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. 2 Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. 3 4 In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; 5 la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta. 6 Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. 7 Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8 Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. 9 Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. 10 Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. 11 Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. 12 A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, 13 i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. 14 E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. 15 Giovanni gli dà testimonianza e proclama: "Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me". 16 Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. 17 Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. 18 Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato. Giovanni parla di Gesù come Logos (il vangelo è scritto in greco; in latino sarà tradotto Verbum). Il concetto, che richiama il Logo greco (Eraclito, stoicismo) in realtà è pensato in termini ebraici facendo confluire due immagini: - la DABAR, la Parola di Dio che comunica attivamente, cioè opera quello che dice, crea: Dio disse: “Sia la luce…e la luce fu!” (Genesi 1) In questa direzione è la parola creatrice e salvifica della tradizione ebraica. - L’HOKMA (in greco, Sofia), la sapienza di Dio che guida il mondo e che in Proverbi 8 sarà oggetto di personificazione, quasi come realtà generata da Dio prima della creazione e che ha partecipato alla creazione stessa come artefice, architetto. Proverbi 8,20-32 22 Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, prima di ogni sua opera, all'origine. 23 Dall'eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra. 24 Quando non esistevano gli abissi, io fui generata, quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d'acqua; 25 prima che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline, io fui generata, 26 quando ancora non aveva fatto la terra e i campi né le prime zolle del mondo. 27 Quando egli fissava i cieli, io ero là; quando tracciava un cerchio sull'abisso, 28 quando condensava le nubi in alto, quando fissava le sorgenti dell'abisso, 29 quando stabiliva al mare i suoi limiti, così che le acque non ne oltrepassassero i confini, quando disponeva le fondamenta della terra, 30 io ero con lui come artefice ed ero la sua delizia ogni giorno: giocavo davanti a lui in ogni istante, 31 giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell'uomo. 32 Ora, figli, ascoltatemi: beati quelli che seguono le mie vie! Giovanni per parlare di Gesù come la Parola di Dio fatta carne, recupera queste dimensioni e parla – in greco – di LOGOS. - lo pone in un Principio che non è l’inizio del tempo, ma un ante-creazione, un arché, da cui tutto dipende. Lì, nello spazio divino, il Logos era già come Dabar/Hokma divina, categorie applicate al personaggio storico Gesù ma che preesisteva davanti/rivolto a Dio (ho Theos, il Padre), in relazione con Lui, apparendo pienamente egli stesso Dio (Theos, senza articolo), non solo divino (theios) - tutto ciò che esiste è stato fatto per mezzo del Logos: cioè il Padre ha agito attraverso il Figlio (come si diceva della Sapienza) e secondo il modello stesso che è il Logos. - I v. 14 sottolineano l’incarnazione: Dio supera la distanza tra Lui e noi e il suo Logos/Figlio si fa carne (sarx), cioè assume la fragilità umana, fino alle conseguenze ultime della morte (è l’abbassamento di Dio, la kenosi),vivendo una solidarietà totale con la condizione umana. - Il Logos incarnato in quanto tale lascia vedere Dio, fa conoscere (il Padre) che è in sé inconoscibile (v. 18). Vediamo la gloria del Logos e in lui la gloria divina. Rapporto grecità-cristianesimo Da un lato si parla in genere di ellenizzazione del cristianesimo, cioè dell’impatto che l’ellenismo ha avuto sui concetti e le categorie cristiane originariamente ebraiche (Gesù, ricordiamolo, era un ebreo e ragionava come tale). Ciò è inevitabile, se si pensa al fatto che ad esempio i Vangeli sono scritti in greco (quindi assumendone in parte la cultura) e soprattutto che già la Scrittura ebraica era stata tradotta in greco (Bibbia dei Settanta, assumendo categorie greche, es. l’anima nel corpo). Il processo che qui interessa è oggi definito filosofizzazione del cristianesimo, cioè il confronto e l’assunzione di categorie dottrinali ispirate alla filovia greca. Il cristianesimo, nel momento in cui si espande e entra nel mondo greco-romano diviene oggetto di accuse e critiche (è ritenuto superstitio rispetto alla religio nazionale greco-romana). Nasce così l’Apologetica come difesa del cristianesimo, confutazione delle accuse, elaborazione più precisa della dottrina. Da un lato, ci sono padri apologisti che rifiutano il confronto con la filosofia (Taziano). Dall’altro lato ci sono quelli che ritengono invece necessario confrontarsi con la filosofia per una migliore comprensione della fede stessa. Ad esempio: GIUSTINO (nato in Siria ca. 100; conversione 130; a Roma apre una scuola e muore martire nel 165) ritiene possibile il dialogo proficuo perché: - ogni uomo in quanto razionale (loghikos) partecipa del Logos: “il seme del Logos è innato in tutto il genere umano (logos spermatikos)”, è il principio attivo ritrovabile nei sapienti. - “Ma noi (cristiani) abbiamo la conoscenza e la contemplazione del Logos totale che è Cristo”. Ciò che i sapienti potevano indagare parzialmente, noi possiamo comprenderlo pienamente perché il Logos “si fece carne, affinché, divenuto partecipe delle nostre infermità, potesse guarirle (cioè, tra l’altro, sanare il bisogno di conoscenza”. - “Tutto ciò che essi (i filosofi) hanno detto di buono appartiene a noi cristiani”. Non solo il giudaismo, ma la grecità è preparazione al cristianesimo. Dio guida la storia verso il compimento. - Non basta il logos spermatikos: anche i semplici cristiani conoscono la verità senza accedere ai ragionamenti filosofici, perché l’importante è l’incontro con Cristo. “Una cosa è un seme e un’imitazione concessa secondo le capacità, altra è l’oggetto stesso (=il logos), del quale si ha una partecipazione e una imitazione mediante la grazia che da lui proviene”. CLEMENTE ALESSANDRINO (nato forse ad Atene, ma operante ad Alessandria d’Egitto, morto nel 212216), vive pienamente inserito nella scuola alessandrina che assume la lettura allegorica e filosofica della Scrittura. In linea con Giustino, rispondendo agli stessi cristiani che lo criticavano per l’eccessivo utilizzo della filosofia, ribadisce la necessità di accostarvi il cristianesimo. - riconosce l’assistenza particolare di Dio in alcuni Maestri filosofi, così che la Filosofia, come la Legge (Torah) ebraica e la parola dei Profeti, è data in attesa del kerigma cristiano. I filosofi (Omero, Platone, Pitagora…) sono come i Profeti (Isaia, Geremia, Ezechiele…): hanno tutti parlato per conto di Dio. - Riconosce che la filosofia ha assunto però “prestiti” (a volte si parla di “furto”) dai barbari (Mosè, Bramani, Buddha) per cui c’è una loro precedenza nella verità rispetto ai greci. - La filosofia è comunque sapienza elementare, parziale: solo Cristo insegna la piena verità perché è la Verità stessa che si fa conoscere, il Logos con il quale è creato il mondo, che per questo è “logico”, conoscibile e comprensibile nella sua verità profonda. - Ma Cristo si offe non solo come sapienza, ma come potenza e esperienza di fede. Questa fede semplice deve però unirsi alla “fede scientifica” alla fede che sa darsi delle ragioni per credere e che, per far questo legge la Scrittura e pensa la dottrina attraverso la filosofia. Così la fede (pistis) diviene vera Gnosi (gnosis), cioè conoscenza. - In questo modo, per la prima volta in modo consapevole filosofia e teologia si uniscono: ma la teologia cristiana non è il frutto di una riflessione che parte dall’uomo (dal basso, dalla natura umana; la dimostrazione filosofica è qui un discorso che genera la fede in cose dubbie a partire da cose certe) per giungere a Dio (così ancora in Platone), ma è riflessione a partire dal kerigma, dall’annuncio, dalla grazia del Logos che gratuitamente sì è fatto carne e diviene Pedagogo dell’uomo. La gnosi cristiana è un dovere: traspone la paideia ellenistica nella perfezione cristiana. Il problema di Dio e del Logos Comune a mondo greco (platonico e medioplatonico) e a mondo giudeo-cristiano era il tema di Dio, la ricerca del Dio supremo rispetto alla pluralità degli dèi. La critica antiidolatrica, l’affermazione della trascendenza e della inaccessibilità divina era condivisa. Tenendo conto che, in ambito pagano – rispetto al mondo ebraico, monoteista, - l’idea era quella del dio in senso enoteistico: cioè dell’unico – più Sommo dio – tra i tanti dèi (i pagani criticavano il monoteismo stretto giudaico vedendo il loro Dio come “solitario e abbandonato” privo di quella corte celeste su cui signoreggiare, segno quindi di debolezza). Apuleio, facendo riferimento a Platone, afferma: “Dio è incorporeo, è unico, dice Platone, padre e creatore dell’universo, beato e beatificante, ottimo, non bisognoso di niente, anzi, lui stesso donatore di tutto. Platone dice che questo dio sta in cielo, non è enunciato, non ha nome e, per usare le sue stesse parole, è invisibile e invincibile. Scoprirne la natura è difficile; se poi la si sia trovata, non la si può far sapere a molte persone”. A partire da questo problema comune il cristianesimo pensa Dio riaffermandone alcuni caratteri condivisi (beato, trascendente, provvidente) accentuandone altri: eternità, onnipotenza, creatore (in particolare qui si sottolinea la crezione ex nihilo, dal nulla, contro la creazione dalla materia caotica primordiale ad opera del demiurgo, come nei miti antichi e ancora in Platone, che porrebbe qualcosa di eterno – la materia – accanto a Dio). Nel discorso sulla conoscenza di Dio, anche se è possibile la “via eminente” che nella contemplazione si separa sempre più dalle cose sensibili (cfr. il Simposio), prevale la “via della teologia negativa”, cioè la via – che Clemente assume – per la quale Dio è inconoscibile e se ne può parlare solo per negazione, eliminazione dei predicati tratti dal mondo visibile. Di Dio si può dire - ciò che non è - che non ha attributi (nomi) - che è infinito, superiore a spazio e tempo - che si fa conoscere semmai per grazia Ad es. così dice Clemente Alessandrino, Stromati V.12.81,5 Come può essere oggetto di discorso ciò che non è né genere né differenza né forma né entità indivisibile né numero, e neanche accidente o sostanza? Non è neppure corretto chiamarlo tutto: il tutto rientra nella grandezza, ed Egli è il Padre di tutto. Né si può parlare di sue parti: l’uno è indivisibile, e per questo è infinito. Il pensiero che lo riguarda si basa non sull’impossibilità di attraversarlo, ma sull’assenza di dimensioni e sul fatto che non ha limite ed è quindi assolutamente privo di forma e di nomi. E se qualche volta lo nominiamo, non gli diamo un nome appropriato chiamandolo uno, o bene, o intelligenza, o Padre, o Dio, o demiurgo, o Signore; non l’esprimiamo come se pronunciassimo il suo vero nome, ma in mancanza di appellativi facciamo uso nei suoi riguardi di bei nomi, in modo che il nostro pensiero possa appoggiarsi ad essi senza vagare attorno ad atri nomi. […] Egli non può essere compreso neppure con la scienza basata sulla dimostrazione: questa deriva da termini precedenti e meglio conosciuti, mentre nulla esiste prima del principio ingenerato. Si può in definitiva pensare al principio sconosciuto solo in virtù di una grazia divina e solo per mezzo del suo Logos…” Il collegamento che Clemente fa tra il Dio giudeo-cristiano e il Dio filosofico avviene in particolare attraverso l’accostamento del rapporto tra Padre e Figlio e le ipostasi di Plotino (la terza, avvicinata allo Spirito Santo, non viene pienamente sviluppata..). - il Padre, Dio è l’Uno (1^ ipostasi), non dicibile, illimitato senza forma e nome, inconoscibile - il Figlio, il Logos è l’Intelletto (2^ ipostasi). Questo appare come generato dal Padre. Era cioè il Logos paterno come pensiero immanente che si concretizza (“si fa carne” prima che nel corpo di Gesù) nel Logos, nella Parola divina pronunciata “in principio”, e ciò senza venir meno dall’essere Dio: “nella sua costante identità [di essenza] è diventato Figlio secondo la delimitazione….; nella sua costante identità, è diventato Figlio secondo l’individualità”. Come un nostro pensiero interiore che poi viene espresso nella parola (come Sermo che proviene dalla Ratio, dirà Teofilo, cioè come parola pronunciata che proviene dalla Ragione che è Dio) [qui c’è un problema irrisolto: il Logos è eterno o nasce ad un certo punto…?) Come tale è principio di ogni cosa creata: è l’Uno-Tutto, Tra l’Uno puro che è il Padre e il molteplice che è il mondo, vi è un ordine intermedio, quello dell’Uno-molteplice, la monade, il Logos. È la Sapienza divina, la “luce del Padre” (già Platone nel Timeo, parla del figlio di dio tracciato come CHI (una croce X) nell’universo, croce cosmica quale potenza che regge il mondo). Come Logos è conoscibile. Il Logos è la Verità in Dio che si è resa visibile nel Logos incarnato, dono dell’amore divino, soggetto personale che opera la salvezza e si fa Pedagogo dell’umanità Segue fotocopia…Nel testo della fotocopia ci sono frasi in [..] da saltare. Nella seconda pagina fermarsi a metà. Comunque ci sono sottolineate le cose essenziali. Nella dispensa c’è qualcosa non detto a lezione (serve semmai per chiarire…o confondere). La scheda seguente non è stata spiegata: tenetela per il futuro. Qualcosa però è stato detto. Non è da studiare MONDO GRECO – MONDO BIBLICO DIVINO MONDO UOMO VALORE Mondo greco Mondo biblico LOGOS DABAR - logos come matrice di unificazione del - non razionalità ma molteplice che dà ordine e regolarità volontà divina libera che - divino diffuso nella realtà, anima del dà inizio al mondo mondo, necessità che salva la - creazione come posizione contingenza di ciò che è altro da Dio - Dio/dèi: personaggi rappresentative - Dio è persona in quanto delle forze del cosmo/umane partner, interlocutore KOSMOS CREATO - complesso ordinato, armonico, - la regolarità della vita non finalizzato, forma conclusa è ritmo immanente ma - oggettivabile in un logos mentale in fedeltà di Dio, dono, una teoria (filosofia, scienza naturale); promessa (verità come verità come conoscenza fedeltà) - leggi naturali sono anche morali - bene e male sono volontà - l’assurdo e il male è rottura della divina e/o colpa umana; razionalità del tutto, hybris umana, fato - la provvidenza è disegno superiore divino che compie la promessa COGITO VOLLE - l’uomo è volontà, - l’uomo è intelligenza che partecipa al logos universale, parte del kosmos: è il ortoprassi, ma dentro la relazione fondante con logos del Logos che lo regge - l’uomo vede la verità, specula, plasma Dio di cui è partner, io responsabile. il sapere - l’uomo ascolta la Parola - pratica il bene, la legge naturale che che promette e risponde: conosce, realizza virtù e perfezione in tutte le dimensioni; vero, buono, bello faremo! Patto, fede e è l’essere cui partecipa obbedienza, non rifrazione - privilegia l’educazione, paideia - la tensione tra obbedienza formazione del microcosmo umano: non solo imitazione dei modelli e infedeltà come riflesso archetipi, ma creatività personale per di fedeltà e diventare “bello e buono”, kalos kai adulterio,monoteismo e idolatria agathòs - La creazione è per l’alleanza tra Dio e uomo sono che si realizza nella storia - L’uomo è povertà senza il suo Dio dal quale viene la shalom, pace e benedizione.EROS/ASCESI AGAPE/LIBERTA’ - il desiderio di partecipare al tutto - dono divino (alleanza, liberandosi dal sensibile e contingente creazione) per la - perfezionamento di sé nella salita della liberazione dalla schiavitù contemplazione - fede, obbedienza; discesa - figura: Ulisse il viaggio e il ritorno a gratuita del perdono casa. L’uomo in cerca di se e del dio - Abramo e l’Esodo verso la terra promessa. Dio in cerca dell’uomo