Cari Confratelli nell’Episcopato Cari sacerdoti, religiosi e religiose illustri Autorità, cari fratelli e sorelle, carissimo Mons. Corrado, abbiamo ascoltato con gioia l’annuncio profetico di Isaia: «Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro» (50,5). Il Servo, di cui parla il profeta, attesta la sua pronta e piena disponibilità ad ascoltare la parola di Dio e ad annunciarla al popolo di Dio scoraggiato. Questa missione, della quale il Servo del Signore viene incaricato, si rinnova costantemente nella vita della Chiesa: la nostra gioia, dunque, non è solo nell’ascolto di questo annuncio profetico, ma nel fatto concreto e vivo che esso si compie ora, qui, in mezzo a noi; si compie trasformando il cuore – voglio dire l’essere e l’intera esistenza – del nostro carissimo mons. Corrado Melis. Tutti insieme, stretti a te, caro don Corrado, vogliamo rinnovare la nostra fede nell’evento di grazia che rende veramente splendida questa nostra Assemblea orante: l’ordinazione episcopale che tra poco ti coinvolgerà – in virtù della grazia di Dio, della preghiera della Chiesa e dell’imposizione delle mie mani di vescovo – trova la sua verità stupenda nell’essere una rinnovata effusione dello Spirito del Signore Dio che, portando a pienezza la tua consacrazione di presbitero, ti costituisce per sempre vescovo, ossia successore degli apostoli di Cristo Gesù. Alla richiesta che mi è stata rivolta, a nome della Chiesa qui riunita, di consacrare vescovo Mons. Corrado, ho risposto: «Avete il mandato?». In questa domanda sono risuonate le parole del Vangelo di Marco, quando il Signore «Chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici - che chiamò apostoli -, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni» (3,13-15). Dietro il mandato canonico c’è il mandato di Cristo stesso, come dietro il mandato di Cristo c’è quello del Padre. Il mandato a Mons. Corrado di andare ad annunciare il Regno di Dio giunge quindi da molto lontano. È frutto di una scelta che risale all’eternità. Mons. Corrado ha il mandato di Cristo, da sempre è stato pensato e amato da lui, ed ora, in questa santa liturgia, il pensiero e l’amore di Cristo si manifestano in maniera chiara e tangibile come quando, sul monte, egli chiamò, ad uno ad uno, per nome, quelli che sarebbero stati i suoi apostoli, i suoi mandati. Il vangelo odierno (cfr Mc 8,27-35) ci offre uno spunto interessante sul rapporto che esisteva tra Gesù e gli Apostoli. Sottoposti all’interrogatorio «La gente, chi dice che io sia?» essi hanno facile la risposta, così come a noi è facile rispondere, riportando quanto ci hanno insegnato al catechismo o quanto abbiamo appreso all’università e sui libri. La domanda però si fa allora più diretta: «Ma voi, chi dite che io sia?». Ad una domanda così personale si può rispondere soltanto se si è vissuto accanto al Signore, se si è imparato a conoscerlo giorno dopo giorno, nell’ascolto attento della sua parola e nella preghiera: «Tu sei il Cristo». Per accedere all’episcopato occorre saper rispondere alla domanda di Gesù: “Ma tu, chi dici che io sia?”. Il Vangelo di oggi ci ricorda anche che non basta confessare Cristo. Occorre seguirlo fin sulla croce. Soltanto allora la confessione è piena e autentica. Gesù è davvero il Messia, come ha affermato Pietro, colui che libera il suo popolo, ma lo farà in maniera inaspettata. La sua messianicità non sarà una manifestazione di potenza e di forza politica o militare o economica, non un’azione trionfalista, circondata da successi, entusiasmi e applausi. Il Messia dovrà piuttosto pagare di persona il riscatto del suo popolo, soffrendo molto per lui, fino ad essere rifiutato, ucciso. È un discorso troppo duro, che lo stesso Pietro non comprende: il suo modo di pensare è ancora umano, lontano dalla logica di Dio. Invece di continuare a seguire il Maestro, per un attimo gli si pone davanti per arrestarne il cammino: da discepolo vuole diventare maestro e suggerire a Gesù dove andare e cosa fare. Non capita anche a noi, tante volte, di pretendere che Dio compia quello che noi pensiamo, perché crediamo di saperne più di lui? E Gesù: «Va dietro a me, Satana!», torna al tuo posto che è dietro a me e non davanti a me, rimettiti alla sequela. Ora che Pietro e i suoi discepoli conoscono la sorte del Messia, vorranno ancora seguirlo? Le condizioni che Gesù richiede sono chiare ed esigenti: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà». A chi più che al vescovo sono adatte queste parole? Se il Maestro è colui che ama il suo popolo fino a morire per esso, prendendo su di sé la croce, anche il vescovo, per essere tale, dovrà condividere in tutto la vita del Maestro, a cominciare dalla croce. L’episcopato non è un titolo di prestigio e di gloria, uno status sociale che implica onori, ma la testimonianza – martirium come si dice in latino –, di un Dio che muore in croce per la salvezza del mondo. Gesù è il pastore che dà la vita per il suo gregge, modello di ogni pastore, di ogni vescovo. Il vescovo è dalla parte di Gesù scartato, e quindi dalla parte di quelli che secondo i benpensanti sono da scartare. Sii davvero vescovo di tutti e per tutti. Come sarebbe bello se nessuno ti sentisse lontano, estraneo, ostile! Abbi uno sguardo amico e riconoscente verso chi ti ha preceduto nel governo di questa Diocesi, gli Ecc.mi Mons. Sergio Pintor e Mons. Sebastiano Sanguinetti. Cura in particolare di vivere una comunione cordiale con i Sacerdoti, tuoi primi collaboratori, così da rendere insieme ragione della fede che è in voi, a gloria di Dio Padre. In questo orizzonte senza limiti al tuo amore e al tuo servizio episcopale, c’è poi da onorare una predilezione che ha segnato in profondità il cuore di Cristo e la sua missione evangelizzatrice: è la predilezione per i poveri, i miseri, coloro che hanno il cuore spezzato, gli schiavi, i prigionieri, gli afflitti (cfr Lc 4,16-20). «Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano – ci ha appena ricordato l’apostolo Giacomo nella seconda lettura – e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve?» (2,15-16). A che serve l’annuncio del Vangelo, la testimonianza di Cristo, se non sappiamo tradurre in fatti l’amore che egli è venuto a portare sulla terra, se noi non ne siamo gli strumenti? Le immagini e le notizie di queste settimane sull’esodo di migliaia di fratelli disperati che bussano alle nostre porte ci interpellano. Abbiamo ascoltato domenica scorsa le accorate parole di Papa Francesco, che invitava le parrocchie e le comunità religiose ad accogliere i profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame. Sono certo che tu, caro Don Corrado, insieme agli altri Vescovi, ti farai scrupolo di dare pronta risposta all’appello del Santo Padre così che la Sardegna tutta sia in prima linea nel custodire e promuovere quei valori che da sempre sono stati la gloria e la fierezza delle nostre genti: la fede, la condivisione, l’ospitalità e l’accoglienza. Ti dovrai poi confrontare con la realtà quotidiana dei numerosi poveri del tuo territorio. Sono persone povere fisicamente e moralmente, persone senza speranza che si sentono perdute, persone con il cuore spezzato dal dolore e dalla delusione, persone bloccate da situazioni difficili, persone schiave di illusioni e di una ricerca inutile di cose che dovrebbero riempire la vita. Per tutti costoro anche oggi l’annuncio della salvezza diventa uno sguardo di misericordia, un volto amico, un cuore che sa accogliere e comprendere, una parola che scende come balsamo per le ferite, un sorriso che sa ridare gioia. Questo, caro don Corrado, si aspetta da te la gente di Ozieri, della diocesi di Ozieri, cui sei mandato. Sii, tutto questo. Ma non solo, perché lo sguardo, il volto, il cuore, il sorriso non bastano; rimandano ad altro: sono segni e strumenti di qualcosa di più grande, di assolutamente necessario e decisivo del quale tutti noi abbiamo fame e sete. Sono segni e strumenti del Vangelo di Cristo che libera, risana, porta novità, riempie di gioia, dona verità e misericordia, salvezza e grazia in pienezza. Sei mandato a portare il lieto annuncio: non una semplice parola che fa luce, ma una persona viva, concreta, incontrabile e sperimentabile, Cristo Gesù, il lieto annuncio fatto carne umana, l’unico universale e necessario salvatore di ogni cuore umano e di tutta la realtà del mondo. Ti viene, dunque, affidato oggi un compito impegnativo, caro don Corrado, ma ricordati che non sei solo. Ti accompagna la comunione affettiva dei tuoi fratelli Vescovi, il sostegno dei tuoi sacerdoti, l’affetto e la preghiera di tutto questo popolo di cui di giorno in giorno scoprirai la bontà, la laboriosità, l’amore alla Chiesa. Soprattutto sarà con te la grazia da vivere nella perseveranza e nella gioia, sapendo che tutto viene dal Signore, che è lui che ci sceglie nonostante le nostre fragilità, è lui che ci chiama a condividere il suo servizio, ma alla fine è lui che serve noi. Questo è il lieto annuncio che viene rivolto a te e che tu, come vescovo, devi portare a tutti. Con il fuoco dello Spirito e la protezione materna di Maria. Amen! + Angelo Becciu