Diocesi di Piacenza-Bobbio Ufficio Stampa: Servizio Documentazione Cattedrale Messa esequie di mons. Artemio Prati, Vescovo di Carpi 6 Marzo 2004 Presenti alla Concelebrazione Eucaristica circa trenta sacerdoti della Diocesi di Piacenza-Bobbio e di Carpi fra i quali il Vescovo mons. Elio Tinti. Scheda biografica del Vescovo monsignor Artemio Prati. Monsignor Prati era originario di Pontenure dove era nato il 21 febbraio 1907. Ha compiuto gli studi ginnasiali nel seminario vescovile di Piacenza per passare in seguito al Collegio Alberoni. È stato ordinato sacerdote dal vescovo diocesano Ersilio Menzani il 15 marzo 1930. In questi anni si laurea in teologia con il massimo dei voti e con la lode. Inizia il suo ministero come insegnante nel seminario di Bedonia; il Vescovo lo manda in un primo tempo come parroco a Casaliggio dove rimane fino al 1938, anno in cui affida la guida della parrocchia di San Vitale di Salsomaggiore. Qui lo raggiunge l’elezione a vescovo: Pio XII il 31 dicembre 1952 gli affida la diocesi di Carpi, come successore di monsignor Federico Vigilio Dalla Zuanna. La consacrazione avviene nella chiesa di Salsomaggiore il 24 febbraio 1953: il rito è presieduto dal cardinale Adeodato Piazza, prefetto della congregazione concistoriale assistito dai vescovi Umberto Malchiodi, coadiutore di Piacenza, e il già citato Della Zuanna, fino ad allora vescovo di Carpi, una piccola diocesi posta ai confini con le circoscrizioni ecclesiastiche di Bologna, Ferrara e Modena (la città di Carpi è in provincia di Modena). Attualmente gli abitanti sono poco più di 110.00, le parrocchie sono una quarantina e i sacerdoti una settantina. In questa diocesi monsignor Prati è stato ininterrottamente fino al 1983 quando, nell’aprile, per raggiunti limiti d’età, ha rinunciato all’incarico continuando però a collaborare con il suo successore. Negli ultimi anni, complice anche l’età avanzata, ha deciso di ritirarsi completamente a vita privata e così si è trasferito a Piacenza presso i nipoti. Nell’abitazione piacentina di Stradone Farnese 2/P il presule ha cessato di vivere nel tardo pomeriggio di oggi, giovedì 4 marzo 2004. In occasione del cinquantesimo di episcopato, la diocesi di Carpi ha dedicato al prelato una pubblicazione che, arricchita da foto e documenti, ripercorre gran parte della sua vita. Durante il trentennale ministero carpigiano – ricordano gli autori di questo libro – monsignor Prati resse temporaneamente anche la diocesi di Guastalla che il 30 settembre 1986 è stata unita a quella di Reggio Emilia. Partecipò al Concilio Vaticano II lasciando agli atti numerosi interventi; nella regione ecclesiastica Emilia Romagna ricoprì l’incarico di Presidente della Commissione per la pastorale del lavoro e, successivamente, per i Rapporti con i religiosi. In seno alla Conferenza episcopale italiana, per un certo periodo, fu membro della Commissione per i problemi sociali e della famiglia. Rinunciò alla diocesi il 7 aprile 1983. Fausto Fiorentini Concelebrazione Eucaristica Liturgia II Domenica di Quaresima a. C.; Letture: Genesi (15, 5-12.17-18); Filippesi (3, 17-4, 1); Luca (9, 28-36). Presiede mons. Luciano Monari, Vescovo Introduzione La memoria della passione e della resurrezione del Signore, che celebriamo nell’Eucaristia, è il fondamento della speranza cristiana. Ed è quindi nel segno della speranza che celebriamo le esequie 1 di mons. Prati; con la convinzione che la sua vita è appartenuta da sempre al Signore a motivo del Battesimo e della Consacrazione sacerdotale ed episcopale; e che al Signore possiamo quindi consegnarla con fiduciosa speranza perché sia Lui, il Signore, che porti a compimento il cammino di questo nostro fratello nella sua vita terrena, rendendola partecipe della gioia e della sua resurrezione. Per questo con umiltà ci presentiamo davanti a Signore e chiediamo il perdono dei nostri peccati, e la grazia di potere accogliere con frutto la sua parola e il dono del suo Spirito. Omelia 1. Il senso delle esequie che celebriamo consiste unicamente nella capacità di salvare che ha Gesù Cristo Ci capita di Celebrare le esequie del Vescovo Artemio nella II Domenica di Quaresima, quando viene proclamato il “vangelo della Trasfigurazione”, e udiamo san Paolo che dice: «[20]La nostra patria invece è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, [21]il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose» (Fil 3, 20-21). La nostra condizione sulla terra è quella di emigrati temporanei; per un po’ di tempo abbiamo qui la residenza, ma la nostra vita viene da Dio, appartiene a Dio, e per questo «la nostra patria è nei Cieli». Proprio ancora per questo vogliamo vedere la morte di questo nostro fratello con gli occhi di fede, come una trasfigurazione compiuta dal Signore. Dice Paolo che con la sua morte e resurrezione Gesù ha conquistato il «potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose»; e chiaramente questo potere non è quello di una tirannia capricciosa, ma consiste unicamente nella capacità di salvare, nella capacità di introdurre la bellezza e lo splendore della vita divina dentro la creazione, dentro l’esistenza degli uomini; e questo credo è il senso delle esequie che celebriamo. 1.1. Nel progetto di Dio, Gesù Cristo è pensato come il “primogenito di una moltitudine di fratelli” Nel progetto di Dio, Gesù Cristo è pensato come il “primogenito di una moltitudine di fratelli” (cfr. 1 Cor 15, 20-23); e tutti coloro che portano il segno di Cristo nel sigillo del Battesimo, nel sigillo della fede cristiana, tutti costoro sono figli di Dio in Cristo e attraverso Gesù Cristo (cfr. Ef 1, 5). 1.1.1. La vita di Gesù è stata un “esodo” Dice il Vangelo (che abbiamo letto) di Mosè ed Elia che sul monte “parlano dell’esodo 1 di Gesù, quell’esodo che Gesù avrebbe portato a compimento a Gerusalemme” (cfr. Lc 9, 30-31). L’“Esodo” è il passaggio degli israeliti attraverso il Mar Rosso per arrivare alla Terra Promessa, e quindi passaggio attraverso il pericolo, la morte, per potere raggiungere quella libertà che è dono grande di Dio. Ebbene, anche la vita di Gesù è stata un “esodo”. Il Signore ha vissuto il suo passaggio attraverso la morte – cioè il tradimento, la condanna ingiusta, la sofferenza e la umiliazione – per potere giungere alla pienezza della vita. Questo è un messaggio prezioso, perché permettere di dare un senso anche alle sofferenze, ai limiti, alle debolezze della condizione umana. Ma è un messaggio anche difficile da capire e da accettare, tanto che, dice il Vangelo, interviene Dio stesso per esortare i discepoli: «ascoltatelo» (Lc 9, 35), ascoltate Gesù anche quando dice delle 1 Lc 9, 31 e nota (k) della Bibbia TOB. 2 cose che sembrano incomprensibili per la nostra intelligenza, che sembrano paradossali, come questa: che la vita viene attraverso la morte (cfr. 1 Cor 15, 53-55), che la gloria viene attraverso la umiliazione e la croce (cfr. Fil 2, 8-11). Dice il Vangelo che i discepoli, in fondo come tutti noi, avrebbero preferito fermare il tempo; quando nel tempo c’è un momento di sollievo e di pace e di gioia, diciamo: “potesse durare sempre, potesse il tempo non cancellare più quella gioia che mi è data in questo istante”; i discepoli la vivono questa gioia, in compagnia del Signore e in compagnia dei suoi amici; e tuttavia con questo desiderio, dice san Luca: «Pietro non sapeva quello che diceva» (Lc 9, 33). 1.2. L’esodo, il passaggio attraverso la morte, è necessario, proprio perché il volto di Gesù diventi un volto glorioso L’“esodo”, il passaggio attraverso la morte, è necessario, proprio perché il volto di Gesù diventi un volto glorioso, e proprio perché «le vesti di Gesù diventino candide e sfolgoranti» (Lc 9, 29). Volere fermare il tempo significherebbe rendere eterno il limite e l’incompletezza, e questo dopo un po’ diventerebbe insopportabile. Al contrario, “consentire alla morte”, vuole dire consegnare l’esistenza umana alla fedeltà e all’amore di Dio con speranza: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9, 23) (…) «dove sono io, là sarà anche il mio servo» (Gv 12, 26). 2. Celebriamo le esequie di un Vescovo, di mons. Prati, è il suo esodo Celebriamo le esequie di un Vescovo, di mons. Prati, è il suo esodo, il suo cammino attraverso la morte, e abbiamo fiducia grande che con Cristo e in Cristo sia un cammino che sfocia nella vita. Era un esodo incominciato tempo fa, con la sua malattia, con il venire meno delle forze, della memoria. E la vita dell’uomo è fatta così, e questo ci ricorda la fragilità essenziale della nostra condizione umana: lo scoprire la povertà e la debolezza in cui siamo immersi. Ma forse questo esodo era incominciato ancora prima quando aveva lasciato la responsabilità del ministero pastorale nella Diocesi di Carpi, perché vale per tutti: il lasciare le responsabilità pesanti ma anche significative della vita, dà come l’impressione di qualche cosa in noi che muore. Ma ancora, se andiamo alla radice delle cose, tutta la vita cristiana è un lungo esodo, perché tutta la vita cristiana è un itinerario attraverso il quale noi, ogni uomo, ogni credente, è chiamato a uscire da se stesso, e a farsi dono, dono agli altri, alla Chiesa, a Cristo. E questo non c’è dubbio, è il senso più vero del ministero pastorale. Paolo scriveva ai Corinzi: «quanto a noi, siamo i vostri servitori per amore di Gesù» (2 Cor 4, 5), per amore di Cristo. 2.1. Rimane di mons. Prati l’immagine della bontà e della fedeltà, come segno di una mitezza che viene dal Vangelo E forse in questo si riassume tutta la vita di mons. Prati: servo della Chiesa, attraverso il servizio concreto ai preti, alle persone, ai credenti, per amore del Signore. E l’immagine che di Lui rimane, forse qualcuno può dire molte più cose di me, è l’immagine della bontà e della fedeltà, come segno di una mitezza che viene dal Vangelo, che viene dall’incontro del Signore. Adesso può ricevere quella corona di gloria che non appassisce e che il Pastore grande della Chiesa darà a tutti coloro che 3 “pascolano il gregge di Cristo secondo Dio”, «non per vile interesse, ma di buon animo; [3] non spadroneggiando sulle persone a noi affidate, ma facendosi modelli del gregge», così scriveva san Pietro (1 Pt 5, 2-3). Adesso mons. Prati riceve quella «veste bianca che è lavata con il sangue dell’Agnello» (Ap 7, 14), che è “bianca” non perché siamo bianchi noi, la nostra vita porta piuttosto il colore del grigio; ma il «sangue dell’Agnello» è quello che purifica e rinnova e rigenera e santifica la vita di ogni uomo. Con questa fiducia lo affidiamo al Signore. Aggiungo solo un ringraziamento con tutto il cuore ai parenti, ai nipoti, per l’affetto e la premura che hanno mostrato verso mons. Prati in questi anni; il Signore li benedica e li ricompensi, quello che hanno fatto è espressione di un amore che corrisponde alla volontà e al desiderio e all’attesa del Signore. * Cv. Documento rilevato come amanuense dal registratore, scritto in uno stile didattico e con riferimenti biblici, ma non rivisto dall’autore. 4