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ISSN:2240-2594
PSICOPATOLOGIA DEI CRIMINI VIOLENTI
PSYCHOPATHOLOGY OF VIOLENT CRIMES
Salducci M1, Raglione R2
1
2
Direttore Master in Oftalmologia Medico Legale, “Sapienza” Università di Roma
Docente Master in Oftalmologia Medico Legale, “Sapienza” Università di Roma
Citation: Salducci M, Raglione R. Psicopatologia dei crimini violenti. Prevent Res, published on line 25. Feb. 2016,
P&R Public. 90.
Available from: http://www.preventionandresearch.com/
RIASSUNTO
La rilevata divergenza tra la nozione criminologica e la nozione legale di criminalità consente di chiarire meglio gli attuali
rapporti tra diritto penale e criminologia. La riprova dell’esistenza delle costanti criminali e dell’esigenza sempre più
sentita di un avvicinamento tra criminalità legale e criminalità naturale, tra criminalità reale e criminalità perseguita è
data dal progressivo potenziamento della collaborazione internazionale nella lotta contro il crimine.
Parole chiave: crimine, nozione criminologa, criminalità legale, criminalità naturale, diritto penale, psico-nevrotico
ABSTRACT
The detected differences between the notion criminological and legal notion of crime allows us to better clarify the
current relationship between criminal law and criminology . The proof for the existence of increasingly felt constant
criminals and the need for a rapprochement between legal and natural crime crime , the real crime and prosecuted
crime is given by the progressive strengthening of international cooperation in the fight against crime.
Key words: crime, criminologist notion, legal crime, natural crime, criminal law, psycho-neurotic
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La rilevata divergenza tra la nozione criminologica e la nozione legale di criminalità consente di chiarire meglio gli
attuali rapporti tra diritto penale e criminologia. Se il diritto penale costituisce un imprescindibile punto di partenza per
l’indagine criminologica, la criminologia moderna a sua volta rimedita criticamente la criminalità legale in ciò in cui
essa pecca per eccesso e per difetto rispetto alla criminalità intesa in termini etico-naturalistici.
La spirale del crimine imbarbarisce e degrada la qualità di vita individuale e collettiva, sia perché attenua la nostra
sicurezza, libertà e fiducia nelle istituzioni, accrescendo la nostra paura, aggressività ed autodifesa, sia perché porta
all’inevitabile corrosione delle garanzie del cittadino al livello della legislazione, dell’attività di polizia, della giustizia,
delle istituzioni carcerarie.
La riprova dell’esistenza delle costanti criminali e dell’esigenza sempre più sentita di un avvicinamento tra criminalità
legale e criminalità naturale, tra criminalità reale e criminalità perseguita è data dal progressivo potenziamento della
collaborazione internazionale nella lotta contro il crimine.
Attraverso i secoli, scrittori e filosofi furono attratti dal fenomeno criminoso come entità naturale prima che giuridica.
Nello sviluppo storico della ricerca criminologica durante gli ultimi 200 anni sono stati schematizzati tre diversi stadi:
1-lo stadio pre-scientifico, durante il quale non viene formulata né controllata alcuna ipotesi, né viene fatto alcun
tentativo di affrontare il problema della criminalità con atteggiamenti non preconcetti;
2-lo stadio semi-scientifico, nel quale la ricerca inizia con un’ipotesi, ma troppo vasta ed ambiziosa per essere
sottoposta ad un accurato controllo, ed altresì in assenza di accertabili tecniche di sperimentazione, con sopravvento
spesso della intuizione e della immaginazione;
3-lo stadio scientifico, caratterizzato dalla formulazione di ipotesi specifiche, originate da una teoria generale, e da
valide tecniche di indagine e di controllo empirico.
Resta comunque fermo che lo studio della criminalità con metodo naturalistico-sociologico inizia soltanto con la
criminologia, nata come scienza autonoma a metà del secolo XIX. Già dal suo sorgere si manifestarono nella
criminologia i due indirizzi unifattoriali, o prevalentemente individualistici o prevalentemente sociologici. Essi si
differenziarono in scuole che si posero frequentemente in posizione antagonistica, prendendo come fondamento, le
une, la costituzione biopsichica dell’individuo e, le altre, la realtà socio-ambientale. L’indirizzo individualistico, per il
quale le cause primarie od esclusive della criminalità sono da ricercare in fattori endogeni, incentra lo studio della
criminalità principalmente sulle anomalie dei singoli autori di reati, sui tratti somatici, costituzionali, neuropsicologici
della “personalità” del singolo individuo delinquente. Esso è andato sviluppandosi:
-negli orientamenti fisico-biologici;
-negli orientamenti psicologici.
La nota formula “delinquente si nasce, non si diventa” ne esprime le posizioni deterministiche più estreme. Tale
indirizzo sostiene la predisposizione individuale alla delinquenza, anche se non la necessità: gli individui segnati da
certe caratteristiche, pur se non pervengono necessariamente al delitto, hanno probabilità notevolmente superiori agli
altri di divenire delinquenti. Nell’ambito dell’orientamento fisico-biologico, che incentra l’attenzione sui fattori del
delitto, sono riconducibili numerose correnti, che hanno esteso via via le ricerche ai più diversi settori.
Particolare attenzione meritano le correnti che hanno studiato i rapporti tra determinate tipologie fisiche e criminalità e
per le quali i delinquenti presentano caratteristiche fisiche particolari. Precursori furono i frenologi, per i quali
esisterebbe una stretta correlazione tra la forma anomala del cranio, la struttura del cervello ed il comportamento
antisociale; essi ebbero il merito di attirare l’attenzione sulla necessità di un’osservazione diretta dei singoli
delinquenti, invece di limitarsi a formulare vaghe ed astratte teorie generali. Le teorie, che più di tutte influenzarono il
pensiero criminologico nel campo individualistico-antropologico, furono quelle lombrosiane. Il Lombroso (1) attraverso
lo studio “antropometrico” di molti delinquenti sostenne la nota teoria del c.d. delinquente nato ed incorreggibile.
Trattasi di un tipo antropologico di individuo che, per le sue anomalie congenite, sarebbe fatalmente portato al delitto,
indipendentemente dalle condizioni ambientali, ed esteriormente riconoscibile per particolari stimmate degenerative
anatomiche e particolari caratteristiche psicologiche.
Merito di Lombroso è di aver esteso i metodi della ricerca scientifica allo studio dell’uomo autore del reato e di avere
stimolato le indagini sui problemi della criminalità.
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Egli è considerato il fondatore dell’Antropologia criminale. Tra gli sviluppi post-lombrosiani vanno ricordati gli studi sui
rapporti tra eredità e delitto, ravvisandosi nei fattori genetici le principali componenti della predisposizione criminale e
delle tendenze devianti. Tali rapporti furono studiati su famiglie criminali (cioè caratterizzate da una accentuata
criminalità), rilevandosi l’alta presenza di autori di delitti tra gli ascendenti dei delinquenti, specie se abituali; nonché
sui gemelli specie monozigoti (derivati cioè da una sola cellula e dotati perciò di identico patrimonio genetico),
constatandosi comportamenti concordanti. Le carenze nella metodologia hanno posto in dubbio l’attendibilità dei
risultati: sicché resta aperto il problema di ciò che viene ereditato: il delitto stesso o il carattere soltanto, cioè una
semplice tendenza naturale, una predisposizione verso di esso? Mentre si disconosce una diretta trasmissibilità di
disposizioni alla criminalità per vie ereditarie, si ammette che certi caratteri psichici, normali o anormali, sono dovuti a
componenti genetiche e che alcuni di questi caratteri psichici sono dotati di capacità di influire sulla condotta
criminosa. Sicché si parla soltanto di rapporti fra ereditarietà e “predisposizioni”, biologicamente determinate in senso
genetico, verso particolari caratteristiche somatiche e psichiche, che possono favorire la condotta criminale.
Pertanto, la predisposizione è un fatto legato a condizioni biologiche ereditarie e consiste nella propensione del
soggetto a rispondere a determinati stimoli con definite reazioni.
Altri studi sono stati rivolti alle possibili relazioni tra fattori endocrini e criminalità. Gli endocrinologi, riprendendo ma
ad un tempo contestando le teorie lombrosiane, affermarono che i tipici delinquenti nati sono gli individui che soffrono
di disturbi endocrini. A differenza delle teorie lombrosiane, la presente teoria non considerava la dotazione ereditaria
come immutabile; come pure riteneva possibile una terapia per tali fattori ereditari sfavorevoli. Secondo, però,
l’opinione prevalente la possibile relazione tra squilibrio di ghiandolare e comportamento criminale è, al più, indiretta e
psicologica, nel senso che disordini dell’ipofisi e di altre ghiandole provocano un senso di anormalità e di
inadeguatezza, che possono scatenare l’aggressività o altre reazioni.
Per i costituzionalisti le variabili individuali della costituzione fisica, determinate su basi essenzialmente ereditarie, sono
riunibili in pochi tipi costituzionali, cui corrispondono tipiche caratteristiche psichiche e da cui è, pertanto, possibile
enucleare differenti disposizioni comportamentali. La validità di tali correlazioni fisico-temperamentali è limitata, però,
al solo livello statistico, con possibilità di molte eccezioni individuali.
Fra le molte tipologie costituzionalistiche va ricordata quella volta ad evidenziare correlazioni tra costituzione e
malattia mentale.
Essa distingue tra:
a-tipi picnici (piccoli e robusti, distribuzione del grasso attorno al tronco, largo torace, cavità viscerali voluminose, viso
arrotondato, calvizie, estremità piccole e grassoccie), che dal punto di vista caratteriale sono ciclotimici (affabili e
socievoli, oscillanti leggermente dalla euforia alla melanconia);
b-tipi leptosomi (forme magre e angolose, viso allungato, naso sottile) che sono schizotimici (introversi, freddi, rigidi);
c-tipi atletici (scheletro e muscoli potenti, pelosità abbondante, testa rotonda) che sono a tendenza epilettoide e
“vischiosi” (stabili, pesanti, non nervosi, ma talora esplosivi);
d-tipi displasici (crescita ritardata, deficienza di caratteri sessuali) che sono deboli mentali a tendenza schizofrenica.
Mentre i delinquenti sarebbero assai rari nei picnici, tra i leptosomi si riscontrerebbe una rilevante percentuale di ladri,
truffatori e vagabondi. Gli atletici commetterebbero atti di violenza e i displasici sarebbero spesso delinquenti sessuali.
L’orientamento costituzionalistico bio-psicologico cerca di porre in evidenza che la predisposizione al crimine ha le sue
radici nel “profondo dell’essere biologico” totale. Tre teorie sono state enunciate:
1.la teoria del perverso costituzionale, per cui esisterebbe in numerosi delinquenti una perversione costituzionale degli
istinti di conservazione (istinto di nutrizione, di appropriazione), di riproduzione, di associazione (istinto di simpatia o
di imitazione), che compongono gli elementi costitutivi fondamentali della personalità;
2.la teoria della costituzione delinquenziale, di particolare valore pratico, che nuove dalla distinzione tra individui neutri
(che non si differenziano dagli altri per il loro comportamento sociale e sono conformisti) e individui originali (che si
differenziano dalla maggioranza per il loro temperamento e carattere, sono non conformisti; tra di essi si trovano i
delinquenti costituzionali).
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Accanto al delinquente occasionale e a quello psicotico, viene indicato il delinquente costituzionale, in cui sono
prevalenti i fattori ereditari o al più acquistati dalla primissima infanzia e che va distinto in tre tipi:
a-l’ipoevoluto, che presenta anomalie morfologiche, funzionali e psichiche;
b-lo psico-nevrotico, in cui prevalgono dinamismi psichici di natura nevrotica;
c-lo psicopatico, il cui tratto caratteristico sono le anomalie del carattere instabile e disturbante;
3.la teoria costituzionalistica di Eysenck, tale autore ha identificato due fattori bipolari di personalità, attraverso i quali
ogni individuo può essere classificato: introversione/estroversione e normalità/neuroticismo.
E in seguito a numerose ricerche ha identificato dei tratti che, se associati, possono considerarsi criminogenetici e che
consistono in fisico mesomorfo, scarsa condizionabilità, instabilità emotiva (nevrotismo) ed estroversione.
Nell’ambito dell’indirizzo individualistico biologico va, altresì, ricordata la teoria cromosomica.
Alcuni Autori hanno riscontrato, in un numero limitato di casi, la presenza in soggetti criminali di un cromosoma Y
soprannumerario, di modo che in questi soggetti, di sesso maschile, è presente anziché la normale coppia di
cromosomi sessuali XY, un corredo cromosomico XYY. Ed è stato altresì osservato che i soggetti dotati del cromosoma
in più erano dotati di statura superiore al normale, di intelligenza inferiore alla media ed anche di comportamento
frequentemente violento; traendosi anche conclusioni sulla non imputabilità dei portatori, come predeterminati alla
violenza. In verità, le circoscritte ricerche finora effettuate hanno fornito scarse prove sull’esistenza di un nesso
causale indiscutibile tra tali anomalie e le tendenze criminose, dovendosi parlare piuttosto di una predisposizione.
Nell’ambito della biologia, il tormentoso problema delle determinanti del comportamento degli esseri viventi (se questo
debba considerarsi tutto “istintivo” e perciò innato ed immodificabile, oppure tutto “appreso” e perciò modificabile) ha
approvato le opposte soluzioni dell’orientamento istintivistico e dell’orientamento ambientalistico. Secondo il vecchio
orientamento istintivistico il comportamento animale è determinato dagli istinti, cioè da una serie di spinte ad agire in
modo sempre eguale per conseguire fini inconsapevoli, concepite come innate ed in numero relativamente circoscritto
(istinto di conservazione, di difesa della prole, della sessualità, della tutela del territorio).
L’ambiente fornirebbe soltanto lo stimolo idoneo ad attivare un tipo di comportamento, che sarebbe però prefissato ed
immutabile secondo le informazioni genetiche originariamente acquisite.
Per l’opposto orientamento ambientalistico il comportamento è determinato soprattutto dall’ambiente, mentre le
diverse disposizioni genetiche inciderebbero unicamente sulla diversa capacità dell’animale di recepire, cioè di
apprendere, i messaggi e le stimolazioni provenienti dall’ambiente.
Secondo il più recente orientamento relazionistico, che cerca di superare la antinomia tra istinto e ambiente, tra
eredità e apprendimento, il comportamento è la risultante della reciproca integrazione dei fattori ereditari e ambientali.
E in questo sforzo sono stati individuati due distinti tipi fondamentali di comportamenti:
a.il comportamento innato, cioè condizionato solo geneticamente in quanto il gene si riflette sulla struttura biologica
individuale, la quale, giunta a maturazione, dà luogo a comportamenti senza necessità di interventi dell’ambiente;
b.il comportamento acquisito, cioè condizionato dall’ambiente, pur nell’ambito degli schemi generali genetici.
La maggior parte dei comportamenti degli animali superiori e dell’uomo sono acquisiti.
Invero, come sarà già ben chiaro, l’ambito della criminologia deve essere esaminato non tanto in relazione ai fatti che
ne formano oggetto ed ai metodi di indagine – certamente più propri alle discipline penalistiche – ma soprattutto,
evidentemente, in stretta relazione agli interessi di studio che ne sono a fondamento ovvero tutti quegli aspetti che
concernono la descrizione, l’eziologia ed il trattamento terapeutico della delinquenza e degli altri comportamenti
devianti, considerati come fenomeni individuali e che però debbono essere affrontati in modo multidisciplinare ed
interdisciplinare.
E proprio perché l’indagine criminologica investe dei fatti umani che si prestano anche ad altri studi e, soprattutto,
evidentemente, quelli di carattere specificamente e squisitamente penalistici, ricorre la forte necessità di tener ben
distinti i campi di indagine delle varie discipline con grande rigore concettuale.
E, riferendosi alla concezione fatalistica del Durkheim (2), gli interessi del criminologo spesso si affiancano a quelli del
penalista, che non si appaga dello studio formale delle norme, ma nella storia delle istituzioni che hanno dato origine e
sviluppo al diritto penale ricerca i fondamenti razionali e le funzioni del diritto di punire, ed a quelli del sociologo, il
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quale guarda alla criminalità come ad un atteggiamento più o meno inevitabile della vita sociale e mira ad inquadrarla
nel gioco delle forze sociali.
Anche se fra gli studiosi di criminologia è ormai communis opinio che le norme che debbano essere tenute presenti
quali criteri di valutazione siano solo quelle prettamente giuridiche, escludendo, logicamente quelli di tipo etico,
morale, religioso, ciò è dovuto esclusivamente per ragioni meramente e prevalentemente pratiche.
Ed invero, il diritto presenta quella certezza formale portata dai testi scritti; ha una sua sostanziale razionalità, ovvero
tende a tale ultimo scopo, proprio perché la produzione legislativa risponde ad una logica interna delle istituzioni da
tutelare ed a vedute programmatiche dei centri di potere; e possiede, altresì, una struttura sistematica, dovuta sia alla
tendenziale coerenza del legislatore, sia alla tradizione dottrinale e giurisprudenziale, che fornisce quanto meno il
tessuto connettivo all'ordinamento giuridico.
Ma, ancor di più, per i criminalisti il diritto deve essere sentito come una istituzione essenziale, proprio perché è teso
alla difesa della stessa compagine sociale in cui opera.
Però, ciò non esclude come per la criminologia la definizione di “crimini” debba essere posta in modo differente da
quella che prevede la scienza penalistica. Ed infatti, non vi è dubbio, come già ampiamente indicato precedentemente,
che la scienza criminologica ai fini di una esatta individuazione di un comportamento che possegga i caratteri
“criminali” debba necessariamente tener conto delle norme giuridiche che nell'ordinamento risultano essere vigenti
imperanti; e che le medesime norme definiscono un fatto come reato al fine di poter considerare l'autore di esso come
“delinquente” e delle norme contemplano una certa situazione personale per poter considerare, in termini strettamente
legal-codicistici come “socialmente pericolosa” ed è noto come tale concetto si rinvenga nella definizione di
“pericolosità sociale” fornita dagli articoli 202 e 203 del codice penale, e può dare occasione a particolari specificazioni
e qualificazioni giuridiche, come quelle di delinquente abituale, professionale o per tendenza).
Tuttavia, e qui è la somma differenza tra le due branche di studio in esame, quando il criminologo si dispone di
indagare sulla personalità dei soggetti, non deve tener conto delle solo infrazioni che posseggono rilievo penalistico,
ma dovrà rivolgere attenzione ad ogni altra anomalia di condotta, rivelata, invero, dalla violazione di norme giuridiche
e non giuridiche accettate dalla collettività come utili all’ordine sociale; ma il punto di partenza rimane pur sempre
quella forma di condotta deviante che si è manifestata o minaccia di manifestarsi in fatti penalmente illeciti.
Ed è evidente che si tratta di due campi d'indagine nettamente distinti, essendo chiaro che gli interessi scientifici e
“pratici” della criminologia sono assai diversi da quelli della scienza penale; ed invero, il criminologo ricerca ed analizza
i fattori eziologici della delinquenza e delle altre forme di comportamento deviante, nonché cerca di cogliere le
dinamiche delle azioni a cui essi si manifestano, con particolari finalità di diagnosi, prognosi e terapia ispirate al
recupero umano e ad una profilassi sociale; il penale, nella sua attività, polarizza la sua attenzione sulle norme penali,
sulle fattispecie criminose, così come previsti dai codici sostanziali e di rito, tendendo ad inquadrare nella previsione
normativa le fattispecie che presentano aspetti giuridicamente rilevanti, con finalità di ripristino dell'ordine violato e di
applicazione delle misure consentite in maniera aderente alle vedute legislative.
E, certamente, come ha ben specificato il Frosali (3) vi è la necessità di affermare la “complementarietà” della
criminologia rispetto al diritto penale, auspicando un'intesa più generalizzata e più intima tra i cultori di entrambe le
discipline, pur non prevedendosi mai, e ciò sarebbe davvero nocivo, una vera e propria “fusione” o “incorporazione”
tra i due saperi scientifici che, necessitano, entrambi di una propria specificità ed individualità. Ed ancora, come ha ben
specificato il Vento (4) in una interessantissima opera “La criminologia ha bisogno dello Psichiatra Criminologo che
sappia porre, in un atto unitario, la visione del sopralluogo, tenendo conto del movente, della personalità del criminale
che si adatta alla tipologia del crimine, dell’arma del delitto e dell’evento criminoso, partendo da una specifica
intuizione: è una forma di Criminologia fenomenologica che si pone davanti al crimine senza farsi distrarre dai
fenomeni particolari, cercando di raggiungere l’essenza situazionale. Le altre discipline servono come verifica e
supporto della tesi centrale posta in essere dal Criminologo che coordina tutto il lavoro, senza farsi distrarre dalle
diverse impostazioni scolastiche, che partono dalle particolari metodologie per cercare una verità che difficilmente
potrà essere raggiunta”.
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Come è stato ben ribadito sia nel IV Congresso delle Nazioni Unite di Kyoto (Agosto 1970) sia nel VI Congresso
Internazionale di Criminologia di Madrid (Settembre 1970), i progressi della criminologia non possono non avere una
rilevante influenza sulla elaborazione dei programmi di politica criminale, i quali, inevitabilmente, debbono prendere
forma in nuove forme di legge, ed i loro riflessi sugli ordinamenti giuridici penali si ripercuoteranno senz’altro sulla
disciplina che li studia, cioè il diritto penale; ed inversamente, i progressi di tale disciplina, nell’analisi giuridica dei
comportamenti criminosi ed antisociali e nel perfezionamento delle misure di prevenzione nei confronti degli autori,
non potranno non avere risonanze negli studi criminologici (5).
BIBLIOGRAFIA
1) Lombroso C. Professore all’ Universita’ di Torino 1876-1909: Archivio Storico Universitario di Torino
2) Nannini S. Educazione, individuo e società in Emile Durkheim e nei suoi interpreti, Loescher, Torino, 1980
3) Frosali R. Sistema Penale Italiano, ed. UTET, Vol .I n°26
4) Vento A, Di Tommaso A. In Il sopralluogo nel processo penale – Manuale tecnico-scientifico di polizia giudiziaria:
dalla valutazione degli indizi alle procedure scientifiche di indagine, all’acquisizione delle prove, agli atti processuali,
Edizione Lombardo, 2009
5) Vincenzo C, Ciulla S, Schimmenti A. "La diagnosi differenziale nella valutazione della psicopatia e del comportamento
violento." Rivista sperimentale di freniatria (2012)
Autore di riferimento:
Mauro Salducci
Direttore Master in Oftalmologia Medico Legale, “Sapienza” Università di Roma
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