L’avvento del Cristianesimo
Le origini del cristianesimo vanno individuate nella predicazione e negli atti di Gesù, che agli occhi dei suoi
seguaci e dei suoi discepoli, rappresentò la realizzazione delle aspettative messianiche presenti nella tradizione
del pensiero e degli scritti sacri della civiltà ebraica.
La predicazione di Gesù si inquadra in un periodo di profonda crisi spirituale, preludio di quella politica ed
economica: il tradizionale paganesimo greco non sembrava più in grado di soddisfare l'ansia di significato di fronte
al mistero della vita e della morte, come appare dal diffondersi di culti misterici, come quelli dionisiaci, orfici ed
eleusini in Grecia, quelli di Adone in Siria, quelli di Cibele in Asia minore, quelli di Mitra in Persia, quelli di Osiride
in Egitto. Le dottrine escatologiche di questi culti venivano illustrate attraverso riti iniziatori: l'esoterismo garantiva
dal controllo statale cui erano sottoposte le religioni tradizionali e, d'altra parte, non v'era preclusione di razza,
casta o nazione per accedere alle sette. Particolarmente importante nella propagazione di questi culti fu il ruolo dei
militari asiatici, chiamati a difendere le frontiere del Danubio, del Reno, del vallo di Adriano.
L'assenza di scritti ebraici e greci sull'argomento rendono complessa una valida indagine storico-critica.
Quelli posteriori all'epoca delle origini, corrispondente agli anni successivi al 30, ne riferiscono in maniera
imprecisa o dispregiativa. Ciò che conosciamo del suo fondatore, Gesù, detto "il Cristo", della sua vita, dei suoi
detti e dei suoi insegnamenti proviene quasi esclusivamente dai vangeli, dagli Atti degli Apostoli e dalle lettere del
Nuovo Testamento.
Il cristianesimo è profondamente radicato nella religione degli Ebrei. Il gruppo nascente di seguaci continuò
a sentirsi nell'alveo dell'ebraismo. A Gerusalemme, i credenti cristiani, come raccontano i primi capitoli del libro
degli Atti degli Apostoli, si radunavano nel portico del Tempio. Le stesse missioni dell'apostolo Paolo nelle varie
città dell'Asia minore e della Grecia avevano come primo obiettivo le riunioni nella sinagoga locale.
La coscienza di essere diversi maturò lentamente nel nuovo gruppo e si evidenziò solo nel corso del primo
decennio di vita del movimento, in concomitanza con la persecuzione a Gerusalemme e la fondazione della nuova
comunità di Antiochia di Siria. Fu, probabilmente, proprio la violenta reazione farisaica e sacerdotale che spinse i
credenti cristiani a dare inizio a comunità proprie e distinte.
Gli ebrei convertiti non si autodefinivano cristiani: ciò è testimoniato dagli Atti degli Apostoli, da cui si
desume che il termine "cristiani" venne coniato solo qualche decennio dopo i fatti di Gesù e probabilmente in
senso dispregiativo.
La conversione di Paolo accelerò la definizione della dottrina e chiarì l'orientamento universalistico della
fede cristiana. Il riferimento culturale tronco era ancora l'ebraismo, le sue scritture, la sua etica, ma l'attesa
messianica, considerata realizzata appunto dalla vita e le opere di Gesù, non c'era più. Il concilio di Gerusalemme
del 50 sancì il riconoscimento della universalità della nuova fede e il distacco dall'osservanza dei rituali
dell'ebraismo.
La definizione delle caratteristiche peculiari che distinsero il cristianesimo dall'ebraismo non fu quindi
immediata ma progressiva, anche perché lo stesso giudaismo (cioè l'ebraismo nelle forme che assunse nel
periodo in questione) non si presentava come una struttura monolitica; di fronte ad alcune idee fondamentali e
comuni, come il monoteismo, il ritualismo del Tempio, le Scritture e la tradizione antica, si presentava frammentato
in una serie di correnti religiose
I sadducei erano essenzialmente l'élite aristocratica e sacerdotale, caratterizzati dalla fedeltà alla Torah e
contrari alla tradizione (halakhah); respingevano inoltre il concetto di resurrezione.
I farisei invece, pur distinti in due grandi scuole che presero nome dai rabbini Hillel e Shammai, avevano un
costrutto giuridico-dogmatico complesso ed in evoluzione, che influenzerà profondamente il giudaismo posteriore
ed in misura minore anche il cristianesimo.
Infine gli esseni, comunità di appartati, che si ritenevano gli unici e veri israeliti: erano osservanti rigidi del
ritualismo prescritto, con un severo codice di vita e un'aspettativa escatologico-apocalittica.
Fino alla metà del I secolo, neanche i Romani erano in grado di distinguere tra cristiani ed ebrei e ritennero
il cristianesimo soltanto una setta estremista e litigiosa dei Giudei. Lo prova indirettamente l'espulsione dei Giudei
da Roma con l'editto di Claudio, fatto riportato sia dallo storico Svetonio, sia dal resoconto contenuto negli Atti.
I Romani infatti, all'inizio, non perseguitarono i cristiani in quanto tali e non li ritennero pericolosi per lo
Stato, finché non si resero conto che il cristianesimo era una religione diversa da quella ebraica (che godeva dello
status di religio licita). La stessa persecuzione di Nerone fu, infatti, locale e limitata a Roma. Nel 64, scoppiò il
grande incendio di Roma, del quale il medesimo imperatore fu accusato dall’opinione pubblica, come riferisce lo
storico Tacito; questi narra che l'imperatore cercò in tutti i modi di favorire le vittime del disastro e di stornare da sé
l’accusa che pendeva sul suo capo, con vari provvedimenti.
I cristiani apparvero in breve un perfetto capro espiatorio. Tacito inserisce un esplicito riferimento a Cristo
ed ai suoi seguaci:
« Perciò, per far cessare tale diceria, Nerone si inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime
coloro che la plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava cristiani. Origine di questo nome
era Cristo, il quale sotto l'impero di Tiberio era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato; e,
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momentaneamente sopita, questa esiziale superstizione di nuovo si diffondeva, non solo per la Giudea, focolare di
quel morbo, ma anche a Roma, dove da ogni parte confluisce e viene tenuto in onore tutto ciò che vi è di turpe e
di vergognoso. Perciò, da principio vennero arrestati coloro che confessavano; quindi, dietro denuncia di questi, fu
condannata una ingente moltitudine, non tanto per l’accusa dell'incendio, quanto per odio del genere umano.
Inoltre, a quelli che andavano a morire si aggiungevano beffe: coperti di pelli ferine, perivano dilaniati dai cani, o
venivano crocifissi oppure arsi vivi in guisa di torce, per servire da illuminazione notturna al calare della notte.
Nerone aveva offerto i suoi giardini e celebrava giochi circensi, mescolato alla plebe in veste d’auriga o ritto sul
cocchio. Perciò, benché si trattasse di rei, meritevoli di pene severissime, nasceva un senso di pietà, in quanto
venivano uccisi non per il bene comune, ma per la ferocia di un solo uomo. »
Più in generale, il capo d'accusa imputato ai cristiani ("odio del genere umano") non costituiva un titolo
giuridico effettivo, ma assunse, almeno secondo gli autori cristiani, vigore di legge. Sul fondamento giuridico delle
persecuzioni ai cristiani sono state sviluppate tre teorie. La prima riguarda l'esistenza, citata da diversi autori
cristiani, di una o più leggi specificatamente anticristiane, che ad oggi non sono state però identificate: un
senatoconsulto del 35 e l'Institutum Neronianum sono stati ad esempio indicati in via congetturale, senza che si
possa però attestare che fossero iniziative espressamente dedicate ai cristiani. L'esercizio del potere coercitivo da
parte dei magistrati romani per mantenere l'ordine pubblico costituisce invece il nucleo della seconda teoria, che
enfatizza in particolare il ruolo degli organi periferici e l'azione condotta nelle province, anche senza lo svoglimento
di regolari processi.
Secondo un terzo orientamento la repressione della nuova religione avrebbe infine trovato il suo
fondamento nel diritto penale comune (lesa maestà, sacrilegio e simili).
L'atteggiamento dell'Impero nei confronti della nuova setta appare condizionato sia dalla diffidenza, e
spesso dall'ostilità, del popolo, sia dal contrasto con la scala di valori dei cristiani, evidente ad esempio nel rifiuto
di sacrificare all'imperatore. Era probabile intenzione di Tiberio, di legalizzare la nuova setta, soprattutto per il suo
carattere messianico privo di portato politico e anti-romano. L'imperatore intendeva sottrarre alla giurisdizione del
Sinedrio il cristianesimo, così com'era stato fatto per i Samaritani.
Un'altra importante testimonianza per intendere le relazioni tra Impero e nuova religione è contenuta in un
carteggio tra Plinio il giovane, in quel periodo (111-113) governatore della Bitinia e l'imperatore Traiano. Plinio, a
motivo dell'incertezza con cui si è dovuto comportare di fronte a diversi processi intentati contro cristiani, vittime di
delazione, chiede per lettera all'imperatore che linea adottare. In particolare, egli è incerto se i cristiani debbano
essere condannati in quanto tali o in evidenza di reati specifici e se possa avere luogo il proscioglimento di coloro
che adorano i simulacri dei numi e l'immagine dell'imperatore. La risposta dell'imperatore è in continuità con quella
di Tiberio e nel segno della moderazione: anche se "non è possibile stabilire una norma universale", i cristiani non
vanno cercati ma andranno puniti nel caso non siano disposti a rinnegare la fede in Cristo. L'imperatore, inoltre,
condanna la delazione: infatti "ciò è di pessimo esempio e indegno dei nostri tempi".
Il proselitismo nei confronti dei "gentili" vede due momenti fondamentali: uno precedente la presunta
resurrezione di Cristo, l'altro successivo. Finché fu in vita, infatti, Gesù proibì ai suoi discepoli di volgere la
predicazione ai pagani; dopo la resurrezione, Gesù affida agli apostoli il compito di annunciare l'evangelo senza
distinzioni (Marco, 16.15 e Matteo, 28.19).
Fu Paolo di Tarso a farsi carico di questo mandato: per dare opportuno fondamento a questa apertura non
poté limitarsi ai soli Vangeli, dovendo appoggiarsi anche all'Antico Testamento, che fa esplicito riferimento alla
partecipazione dei gentili alla salvezza.
Le comunità della Palestina furono costituite principalmente da giudei convertiti; dopo il 70 la loro
importanza iniziò a declinare. Dopo la testimonianza degli Atti degli apostoli e delle Lettere di Paolo relativa al
primo periodo e alla Chiesa di Gerusalemme, approssimativamente, tra il 30 e il 60 d.C., le loro tracce si
confondono. Si sa del loro attaccamento alle tradizioni ebraiche, come la celebrazione della Pesach, cioè della
Pasqua e delle feste prescritte ma, soprattutto, alla circoncisione. Sembra che i giudeo-cristiani accettassero come
scritto sacro solo il Vangelo di Matteo, che è quello con la più marcata impronta semitica e, forse, anche la Lettera
di Giacomo.
Dopo la caduta di Gerusalemme, nel 70 d.C., il giudaismo palestinese iniziò a riorganizzarsi, guidato dalla
componente farisaica. Uno dei primi provvedimenti dopo la costituzione del nuovo Sinedrio, non più a
Gerusalemme ma a Iamnia, fu quello di espellere la componente giudeo-cristiana che fino ad allora non aveva
cessato di ritenersi parte del giudaismo. Erano già nati nel suo ambito alcuni scritti come il Vangelo di Matteo,
forse la Lettera di Giacomo e tanti altri minori, come raccolte di discorsi e atti di Gesù. L'essere staccati
bruscamente dal tronco dell'ebraismo provocò un certo disorientamento nell’ambito delle comunità giudeocristiane: sotto l'impulso dei diversi orientamenti dei convertiti si confrontarono ie che sarebbero state, nei secoli
successivi, fonte di dispute dottrinali, ad esempio in relazione alla trinità e alla realtà dell’incarnazione.
È verso la fine del I secolo che avviene il distacco sempre più marcato tra la componente giudeo-cristiano
più ortodossa e le devianze settarie. Sembrano infatti dirette a questa componente, presente in tutta l'area
mediorientale e dell'Asia minore, la Lettera di Giuda e le due Lettere di Pietro con il loro tono rigoristico e di
avvertimento circa "coloro che si sono infiltrati tra noi".
La crescita era stata continua e la nuova religione aveva fatto breccia sotterraneamente anche nella classe
dirigente. Nonostante l'opposizione di alcuni imperatori, nel III secolo la religione cristiana rivaleggiava con vecchi
e nuovi culti, soprattutto nei grossi centri urbani, che facevano da riferimento amministrativo. Finché, contro il
sempre più alto numero di nuovi fedeli convertiti, alcuni imperatori passarono occasionalmente alla repressione di
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massa. I cristiani non si arresero, anzi si opposero radicalmente, elevando inni al martirio e alla gloria di Dio, e
ottenendo paradossalmente nuove conversioni.
Alcuni imperatori, sostenuti da quella parte di classe senatoriale che non gradiva affatto il cambiamento in
atto, cercarono di porre un argine ai problemi economici dell'impero requisendo le proprietà della chiesa cristiana,
ma i motivi economici furono solo l’ultimo elemento di rapporti quanto meno controversi. La nuova religione era
sempre stata contraria al dominio imperiale e le persecuzioni avevano soprattutto motivazioni politiche, filosofiche
e religiose. Il monoteismo stava insidiando ovunque la vecchia cultura politeista. Era un vero e proprio scontro di
idee e mentalità.
Tra il III e il IV secolo in un’epoca di guerre e militarizzazione la cultura pagana si distribuì universalmente,
o "democraticamente", nei vasti territori imperiali. Tutti adesso erano "romani", ma la romanità e la classicità erano
già in declino. Se la struttura politica traballava, le parole d'ordine divennero concordia, armonia ed unità. Nei
circoli politici e intellettuali, come nelle comunità religiose, si parlava spesso di "potere unico", ovvero di
monarchia, di regno, di unità. Così come si aspirava all'unificazione civile dell'impero, si ricercava anche
l'unificazione della sfera intellettuale e della sfera divina.
Il Cristianesimo si opponeva sicuramente e palesemente alla cultura dominante, ma d'altra parte anche i
suoi intellettuali erano impegnati nella rielaborazione dei sistemi filosofici ellenici e nella loro unificazione col
monoteismo.
Molti intellettuali "classici" avevano nettamente separato la loro filosofia dalla religione, affermando
esplicitamente che gli dèi non esistevano. Ma nel III secolo la società intera fu pervasa da uno spirito religioso
talmente forte che i vecchi culti, per nulla sopiti, si ridestarono, si trasformarono e si unificarono anch'essi,
rispondendo in modo creativo alla sfida monoteista. Ma, proprio quando il monoteismo divenne un fenomeno di
massa, gli imperatori reagirono in modo aggressivo e perseguitarono i cristiani violentemente quanto in passato.
Quando Costantino si pose alla testa del movimento monoteista, all'inizio del secolo successivo, ci fu
ancora una fase di discussione fra intellettuali di ogni categoria e di ogni confessione religiosa. Alla fine del IV e
nel V secolo, però, la crisi dell'impero arrivò a un grado talmente alto da portare sconforto in ogni settore: militare,
politico, civile, economico e culturale. Per l'uomo non sembrava esserci più alcuna speranza in questa terra.
L'unica salvezza era in Cielo. Il Cristianesimo divenne l'unica religione legale. La Chiesa divenne intollerante e
autoritaria. La lotta alle idee divenne fondamentale per la gestione sociale. La libertà di pensiero fu resa
impossibile.
Una seconda fase della Chiesa è quella della patristica, cioè la formazione di un corpus di commenti alle
scritture e di testi sul rapporto con la tradizione classica greco romana e il giudaismo. Sono numerose anche le
apologie nei confronti di tali sistemi dottrinali dovuti a scrittori, spesso ecclesiastici, che sono costretti a ripensare
le dottrine del Cristianesimo nell'ambito della cultura dell'epoca.
Subito si pose il problema del rapporto tra Cristianesimo e Stato, l'Impero romano. Il Cristianesimo, da
religione messianica di ambientazione ebraica e con un messaggio prettamente ad "uso e consumo" degli ebrei,
grazie alla sua diffusione negli ambienti della diaspora e all'apertura paolina ai "romani" (alle istituzioni, alla
tradizione giuridica e alla cultura), nel corso dei secoli acquistò una forza tale da cambiarne lo status giuridico: da
religione illecita (fino a Costantino) a religione tollerata e in seguito, con Teodosio I (380), a religione di Stato.
Cominciò progressivamente a differenziarsi anche la mentalità delle Chiese latine rispetto a quelle greche, e con i
concili ecumenici si assistette ad una definizione rigorosa dell'ortodossia e alla formazione di un linguaggio
teologico specifico cristiano, mutuato dalla filosofia greca. Ciò comportò anche il distacco di alcune chiese
"etniche" dall'alveo della Grande Chiesa, che vennero comunemente indicate come Chiesa cattolica e ortodossa,
nelle sue espressioni territoriali (chiesa latina, greca, alessandrina).
L'imperatore Giuliano (361-363) aveva tentato inutilmente di tornare al politeismo. Ma la società stava
cambiando. E, per la cultura greco-romana, la situazione stava precipitando. La razionalità, per quanto
approfondita, non era più sufficiente a spiegare un mondo immerso nella "decadenza". L'ansia e l'angoscia non
accennavano a diminuire. La struttura politica aveva già perso da tempo la sua vecchia autorità morale. Era nata
una nuova istituzione, molto forte, a carattere "spirituale", che si rivolgeva direttamente al cuore dell'uomo.
Un'organizzazione, ispirata al monoteismo cristianizzato, che da "giovane ribelle ingenua" si era fatta "adulta e
responsabile". Questa istituzione - la Chiesa - riempì il vuoto morale che si era creato nell'umanità e assorbì tutte
le richieste di giustizia. L'impero diventava un impero celeste.
In nome di una giustizia migliore, in tutto il mondo conosciuto divenne impossibile esprimere opinioni
contrarie a quelle del potere. L'autorità civile si associò a quella religiosa e arrivava ovunque. La legge, e la
giustizia in generale, erano considerate come concessione volontaria di un solo Dio onnipotente. Non c'era più un
patto con la divinità. Bisognava solo amarla e ringraziarla. Gli imperatori e gli uomini che nacquero da quest'epoca
in poi furono sempre più spesso fervidi credenti. L'educazione che ricevevano e la cultura che seguivano
sarebbero state sempre più monolitiche e dogmatiche.
Dal suo riconoscimento ufficiale era passato mezzo secolo. Dopo qualche decennio di diatribe teologiche,
la Chiesa cristiana - ormai l'unica chiesa ufficiale, divenne la sola istituzione che garantisse il diritto, per i popoli e
per i cittadini. Nel 392 tutte le opinioni che discordavano con questa visione del mondo furono dichiarate illegali e
perseguite militarmente.
Mentre, in precedenza, guerre e assassini avvenivano per motivi chiaramente politici, con la creazione
dell'impero gli intenti aggressivi furono mascherati da un'ideale tendenza a un bene "universale" che, se realmente
perseguito, non può che dimostrarsi irraggiungibile e quindi frustrante. Con l'incontro fra stato e chiesa questa
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tendenza divenne ancora più impellente e ancora più difficile da raggiungere. D'altronde la gente comune era
sempre più spaventata dalle incursioni di popoli stranieri, i "barbari". Questa interpretazione passa per essere un
cliché, una cosa scontata. Ma nei secoli successivi non solo gli attacchi non diminuirono ma anzi aumentarono e
furono ulteriormente rinforzati dalla devastante guerra dell'impero orientale contro i Goti in Italia.
La Chiesa era quella solida struttura di sicurezza che l'uomo non riusciva più ad individuare nello Stato,
nell'Impero, in sé stesso, nella propria esistenza, nella vita cittadina o sui campi agricoli. L'esistenza terrena era
perennemente in bilico ed era molto lontana dall'assicurare la felicità, antichissima e modernissima aspirazione dei
filosofi come dell'uomo comune. L'occidente si era separato dall'oriente. Erano arrivati gli stranieri. Si era
sviluppata "l'organizzazione universale". Il mondo antico si era dissolto, lasciando spazio a una nuova visione della
vita.
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