Per una Teor-Etica della relazione

ISTITUTO UNIVERSITARIO SOPHIA
TESI DI LAUREA MAGISTRALE IN
FONDAMENTI E PROSPETTIVE DI UNA CULTURA DELL’UNITÀ
INDIRIZZO CULTURA DELL’UNITÀ
Per una Teor-Etica della relazione
Ricerca sui fondamenti sociologici e teologici
del United World Project
Relatore: Alessandro Clemenzia
Correlatore: Bernhard Callebaut
Laureando: Martin-Cristian Buceceanu (N° 13LOCM0222)
FIGLINE E INCISA VALDARNO (FI)
a.a. 2014-2015
Per una cultura della
fraternità universale
2
RINGRAZIAMENTI
Perché espressione dello spazio, luogo perfetto per vivere e studiare la
relazione, i primi ringraziamenti vanno alla comunità dell’Istituto Universitario
Sophia, al nostro caro preside Mons. Piero Coda, che affettuosamente mi ha
accompagnato in questi anni, ad Alessandro Clemenzia e a Bennie Callebaut,
senza i quali non sarei riuscito a elaborare la presente ricerca, e a tutti i
professori, colleghi e membri dello staff, per la loro accoglienza nei miei riguardi
e per la ricchezza che sono stati per la mia vita.
Il pensiero poi và a casa, alla mia famiglia che mi ha sostenuto e sempre
mi sostiene, agli amici che mi hanno accompagnato in questo cammino fino ad
ora. Un grazie ai “nuovi” amici di qua, con i quali ho condiviso questa nuova
tappa della mia vita; nuova anche per avermi fatto entrare sempre più nel
significato di cosa realmente sia la relazione. E infine, un grazie a tutti coloro
che ho incontrato: tutte le relazioni costruite sono state man mano la condizione
di possibilità di questa ricerca.
Grazie a Elaine per l’ascolto offertomi nei momenti più difficili e per il suo
continuo incoraggiamento che mi ha animato in tutta la stesura di questa tesi.
Ringrazio anche Marco e Federico per il loro assiduo aiuto e Sara,
Angela, Alberto, Gianluca, Judith, Fabio, Erika per il loro prezioso contributo
durante i diversi colloqui. E un grazie và infine a tutti coloro con i quali sto
lavorando per il United World Project, applicazione pratica del profilo teoretico
presentato in questa ricerca.
3
INDICE
INDICE ........................................................................................................................................... 4
INTRODUZIONE ............................................................................................................................. 6
Capitolo primo: STATUS QUAESTIONIS CIRCA IL RAPPORTO TRA RELAZIONE E SOCIETÀ .......... 10
Introduzione............................................................................................................................ 10
I diversi approcci allo studio della relazione in sociologia ...................................................... 11
1. L’approccio marxista ....................................................................................................... 11
2. L’approccio positivista..................................................................................................... 12
3. L’approccio storico-comprendente (o del «verstehen») ................................................ 13
4. L’approccio formalista..................................................................................................... 14
5. L’approccio fenomenologico ........................................................................................... 16
6. L’approccio dell’interazionismo simbolico ...................................................................... 17
7. L’approccio struttural-funzionalista ................................................................................ 18
8. L’approccio neofunzionalista comunicazionale .............................................................. 19
9. L’approccio ermeneutico (o dialogico) ........................................................................... 20
Conclusione ............................................................................................................................. 21
Capitolo secondo: IL FONDAMENTO SOCIOLOGICO DELLA RELAZIONE ..................................... 22
Introduzione: dalla modernità alla sociologia relazionale ...................................................... 22
1. Sociologia e relazione.......................................................................................................... 25
1.1. La relazione come «refero», «religo» ed effetto emergente ...................................... 25
1.2. La relazione e il principio della “terzietà” .................................................................... 27
1.3. Una sociologia relazionale ........................................................................................... 28
2. La società come “rete” ........................................................................................................ 34
2.1. Epistemologia relazionale ............................................................................................ 34
2.2. Paradigma relazionale .................................................................................................. 35
2.3. Pragmatica relazionale ................................................................................................. 36
3. La relazione sociale «molecola della società» .................................................................... 38
3.1. Significato di «molecola sociale» nella modernità ...................................................... 38
3.2. Significato di «molecola sociale» nell’epoca “dopo-moderna” ................................... 41
4. Il soggetto relazionale e i beni relazionali ........................................................................... 43
4.1. Dal soggetto individuale al soggetto sociale ................................................................ 44
4.2. Dal soggetto sociale al soggetto relazionale ................................................................ 46
4
4.3. I beni relazionali ........................................................................................................... 47
5. La relazione sociale dal locale al globale............................................................................. 49
5.1. La globalizzazione delle relazioni sociali ...................................................................... 49
5.2. Il passaggio dal livello micro al livello macro ............................................................... 51
Conclusione ............................................................................................................................. 57
Capitolo terzo: IL FONDAMENTO TEOLOGICO DELLA RELAZIONE .............................................. 58
Introduzione............................................................................................................................ 58
1. Da un’ontologia relazionale a un’ontologia trinitaria ......................................................... 59
2. I prodromi di un’ontologia trinitaria ................................................................................... 62
2.1. La relazione sostanziale in Agostino d’Ippona ............................................................. 63
2.2. La relazione sussistente in Tommaso d’Aquino ........................................................... 67
2.3. La relazione come “in oggettivazione” in Antonio Rosmini ......................................... 69
3. Le implicazioni ecclesiologiche ........................................................................................... 72
3.1. L’ecclesiogenesi............................................................................................................ 73
3.2. Le relazioni ecclesiali dal particolare all’universale ..................................................... 77
Conclusione ............................................................................................................................. 82
Conclusioni prospettiche: UNITED WORLD PROJECT: LO SPAZIO DELLA TRASFORMAZIONE
DELLA SOCIETÀ ............................................................................................................................ 84
1. Il problema al quale vuol rispondere United World Project ............................................... 84
2. Una coscienza generale del “nuovo” .................................................................................. 85
3. La proposta: United World Project ..................................................................................... 87
3.1. Rete Mondo Unito (United World Network) ............................................................... 88
3.2. Laboratorio Mondo Unito (United World Workshop) ................................................. 89
3.3. Osservatorio Mondo Unito (United World Watch)...................................................... 90
BIBLIOGRAFIA GENERALE ............................................................................................................ 93
5
INTRODUZIONE
Questa introduzione si prefigge il compito di illustrare, in un primo
momento, il motivo per cui è stato scelto di elaborare questo tema, alla luce del
contesto odierno; in un secondo momento di illustrare in modo sintetico quale
sia l’oggetto materiale e l’oggetto formale della ricerca, la struttura e l’obiettivo
prefissato.
Osservando il mondo di oggi si può affermare che ci troviamo all’interno
di una società in progressivo sviluppo e attraversato da una crisi costante.
Anche soltanto guardando alcuni eventi d’attualità – basti pensare agli ultimi
attentati terroristici, come il caso di Charlie Hebdo, Tunisia o a Garissa, Kenya –
non possiamo non domandarci come mai alcune logiche si riaffacciano spesso,
e, spesso, in una crescente intensità. A questa domanda sembra che non sia
stata offerta una risposta soddisfacente, e dunque un’ipotesi risolutiva. A parere
di alcuni, su questa strada si potrebbe giungere alla così detta “fine del mondo”.
E di questo è testimone ogni disciplina; basti pensare alle scienze naturali, con
la loro attenzione all’ecologia; o alle scienze umane e politiche e i diversi
movimenti per la pace; all’economia e alla tecnica, che affrontano le crisi senza
riuscire a raggiungere una certa stabilità. Papa Francesco descrive la
situazione attuale come un terzo conflitto mondiale1. Ma allora, quale ipotesi e
quale soluzione soddisfacente proporre, per non arrivare all’autodistruzione?
Questa è la domanda alla quale la presente ricerca vuole rispondere.
Le tre parole-chiave che accompagneranno
questo lavoro sono:
relazione, condivisione e il passaggio dal particolare all’universale.
La relazione è lo spazio in cui si muove e si articola la vita di ogni uomo,
“è la ragione dell’essere della natura umana e del sociale (...) è la risposta ai
nostri perchè”2, come scrive il noto sociologo Pierpaolo Donati, da cui partiremo
per l’elaborazione sociologica del tema. La condivisione è uno strumento per
generare relazioni e per il passare dal particolare all’universale, proprio per
salvaguardare l’esistenza delle relazioni. Uno spazio della relazione e una
condivisione che giungano all’uomo al livello universale può essere un
1
2
http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2014/08/19/0585/01294.html
P. DONATI, Sociologia relazionale, La scuola, Brescia 2013, p. 39.
6
dinamismo antropologico in grado di rispondere in modo efficace alla crisi
odierna e alla necessità del bisogno di ogni uomo. Da qui l’importanza di
arrivare ad un nuovo progetto, quale il United World Project3.
È la realtà stessa a mostrare l’importanza, in una qualsiasi convivenza, di
alcune reti di persone che condividono lo stesso spazio. Pensiamo al ben noto
team-working delle aziende, dove si ha la convinzione che il lavoro è più
fruttuoso quando gli impiegati lavorano insieme, mettendo in comune le loro
idee e loro risorse. Basti anche pensare all’organizzazione internazionale
Greenpeace, a MERCOSUL, AFRICA, UE e ONU: sono tutti tentativi di
“accordare” gli uomini tra loro, attraverso delle relazioni finalizzate ad unico
obiettivo.
Ciò che sta alla base di tutte queste esperienze è la relazione di latenza;
come dice Donati: «è la relazione che genera i sistemi e come tale è
inesauribile»4. Perché una relazione sia tale, è necessario che ciascuno si apra
all’altro: ed è da un piccolo gruppo, base della società, che si arriva a delle
ampie reti di persone, fino ad associazioni di Stati. Anche una relazione duale
contiene in sé una tensione universale, come sua parte integrante. Al tempo
stesso, proprio per risolvere alcuni conflitti che possono nascere anche in una
relazione duale, è fondamentale tenere presente il contesto in cui i due sono
collocati: si deve prendere di mira anche la situazione circostanziale, come
afferma papa Francesco:
È tempo di sapere come progettare, in una cultura che privilegi il dialogo
come forma d’incontro, la ricerca di consenso e di accordi, senza però
separarla dalla preoccupazione per una società giusta, capace di
memoria e senza esclusioni. L’autore principale, il soggetto storico di
questo processo, è la gente e la sua cultura, non una classe, una
frazione, un gruppo, un’élite. Non abbiamo bisogno di un progetto di
pochi indirizzato a pochi, o di una minoranza illuminata o testimoniale
che si appropri di un sentimento collettivo. Si tratta di un accordo per
vivere insieme, di un patto sociale e culturale5.
3
P. Ferrara, a proposito di United World Project, ha affermato: “La verità è che c’è bisogno di
un nuovo progetto politico internazionale, un “new deal” globale, una nuova alleanza più
inclusiva, pluralista, paritaria, che vada ben oltre le alleanze militari ed economiche esistenti.
Non è per nulla un progetto utopico; basti guardare allo stato del mondo per comprendere che
non solo è realistico, ma anche urgente e necessario. Lo United World Project, con il suo valore
altamente simbolico, con la sua freschezza ideale e realizzativa, è uno di quelle «sentinelle
dell’alba» che annunciano un nuovo giorno, un nuovo inizio” cit. in Atlante della fraternità
universale. Realizing fraternity, Città Nuova, Roma 2014, p. 9.
4
P. DONATI, Sociologia relazionale, cit., p. 34.
5
FRANCESCO, Esort. ap. Evangelii Gaudium, Città del Vaticano 2013, n. 239.
7
Il titolo della tesi, “Per una Teor-Etica della relazione”, si rifa al testo del
filosofo italiano Adriano Fabris “TeorEtica”6, proprio per l’intento di individuare e
abitare il nesso fondamentale tra pensiero ed azione. L’oggetto materiale della
presente ricerca, infatti, è presentare il fondamento teoretico sociologico e
teologico del così chiamato United World Project, a partire dalla centralità della
relazione, intesa come luogo d’azione all’interno del quale può scaturire una
vera e propria trasformazione della società. Scrive Antonio Maria Baggio a tale
proposito:
Possiamo attingere alle nostre radici culturali profonde; e ciò che
troviamo (...) è l’idea e la realtà della persona, del sociale che le persone
costruiscono: la nostra risorsa fondamentale, è la risorsa relazionale7.
Verranno poi approfondite le altre due parole-chiave della ricerca, la
condivisione e il passaggio dal micro al macro, soprattutto alla luce di quel
processo mondiale, denominato “globalizzazione”, «intendendo questo termine
– scrive Piero Coda – in un significato più largo e profondo e vero di quello
semplicemente economicistico: come l’entrata della storia in un’epoca nuova,
quella della mondializzazione del destino dell’umanità»8.
La ricerca è strutturata in tre capitoli. Nel primo capitolo viene presentato
in modo sintetico lo status quaestionis, soprattutto nel suo versante sociologico,
per comprendere il contesto all’interno del quale questa ricerca vuole muoversi.
Il secondo capitolo sviluppa il significato della relazione a partire dal contributo
di Pierpaolo Donati. Il terzo capitolo, invece, vuole sondare e articolare il valore
ontologico della relazione in chiave teologica, soprattutto alla luce del contributo
che Piero Coda offre attraverso l’ontologia trinitaria. In quest’ultimo capitolo
vengono offerti alcuni spunti in ambito ecclesiologico per comprendere come la
relazione, la condivisione e il passaggio dal micro al macro costituiscono la
stessa ecclesiogenesi.
6
A. FABRIS, TeorEtica. Filosofia della relazione, Morcelliana, Brescia 2010.
A.M. BAGGIO, Il ritorno dell’etica: una lettura ragionata della crisi, in BAGGIO A.M. – BRUNi L. –
CODA P., La crisi economica appello a una nuova responsabilità, Città Nuova, Roma 2009, p.
23.
8
P. CODA, Quale lezione dalla crisi? Una riflessione teologica, in ibid., p. 72.
7
8
Come si può scorgere da queste due parti della tesi, il metodo utilizzato
sarà l’inter- e la trans- disciplinarità, come possibile chiave di lettura e
fondamento della relazione, nelle sue implicazioni più profonde.
L’obiettivo è quello di individuare sia quei principi che fungono da motore
di trasformazione della società, sia la strategia interpretativa del passaggio da
ciò che caratterizza l’esperienza relazionale di un piccolo gruppo a ciò che
caratterizza l’intera umanità. Qui trova il suo contesto il United World Project.
9
Capitolo primo
STATUS QUAESTIONIS CIRCA IL RAPPORTO TRA RELAZIONE E SOCIETÀ
Introduzione
Della relazione si può parlare a partire da numerosi punti di vista; la prospettiva
utilizzata in questo capitolo è primariamente sociologica, in quanto è quella che
tocca più da vicino l’esperienza di ogni uomo. In realtà non c’è neanche una
visione, ma diverse visioni sociologiche della relazione. Proprio per questo, per
delimitare il campo d’indagine, ci siamo concentrati in particolare sul contributo
di Pierpaolo Donati, che rilegge la società alla luce delle relazioni interpersonali.
Queste ultime, inoltre, possono essere considerate un’espressione sociologica
di quell’ontologia trinitaria che poi sarà oggetto di studio del terzo capitolo.
Donati, nel suo saggio Sociologia relazionale, mostra come le diverse
teorie sociologiche contemporanee non riescano fino in fondo a interpretare la
società. Egli parla di “fenomeni societari inattesi”, e uno di questi sono i rapporti
basati sul contratto, sullo scambio materiale; può essere un rapporto
«Geselschaft», vale a dire un rapporto che dall’interazione fra gli agenti finisce
per diventare un rapporto comunitario, oppure «Gemeinschaft» (come elaborato
da Tonniges)9. Quindi, non più rapporti prodotti da una regola dettata dal
9
Per un approfondimento sulla distinzione tra relazioni di tipo Geselschaft e quelle di tipo
Gemeinschaft, cf. P. DONATI, Sociologia della relazione, il Mulino, Bologna 2013, pp. 93-97. In
questo saggio Donati descrive la diversità dei criteri con i quali sono state classificate le
relazioni sociali lungo la storia. Qui egli afferma quali siano i due criteri più importanti che, a suo
avviso, devono essere alla base di una tale classificazione. Uno per «comprendere come
cambiano le posizioni, i poteri e le identità degli attori a seconda del tipo di relazioni che essi
hanno e agiscono fra di loro»; e l’altro per «caratterizzare i diversi beni o servizi in quanto sono
prodotti e/o fruiti non già individualmente, ma in relazione agli altri».
10
contratto, ma veri rapporti di amicizia, nell’interessarsi reciprocamente della vita
dell’altro e non solo del proprio guadagno.
Un altro fatto emergente presentato da Donati è il rientro della religione
nella sfera pubblica. Ciò che era considerato soltanto un’impresa personale,
adesso si sta riaffermando non solo nella vita privata, ma anche in quella
pubblica. La stessa “de-razionalizzazione del lavoro”, dice Donati, sta alla base
dei nuovi modi di fare economia. Oppure la riscoperta del dono e «l’emergere di
organizzazioni che rendono produttivo ed efficiente l’agire non autointeressato»10, i nuovi nati mercati etici, le nuove forme di cittadinanza, le nuove
comunità virtuali, «indicano delle co-rispondenze relazionali che vanno indagate
con un framework appropiato»11, che considera la relazione alla base di tutti i
processi sociali. In questo modo Donati si contraddistingue dalle teorie moderne
della sociologia che vedono questi fenomeni e in loro la relazione o come mera
funzione (il funzionalismo), o solo come esigenza di qualche individuo (la teoria
dell’azione) o come operazioni automatiche (la teoria strutturalista).
I diversi approcci allo studio della relazione in sociologia
Vediamo quali siano le diverse teorie sociologiche contemporanee già
accennate che non riescono ad avere, secondo Donati, una visione completa
della società per spiegare anche i fenomeni inattesi. Queste teorie, di cui il
nostro sociologo offre un’attenta analisi nel suo testo Sociologia della relazione,
offrono anche uno spunto per comprendere il suo background e il punto di
partenza della sua proposta.
1. L’approccio marxista
Partiamo da Karl Marx e dalla sua visione materialista sulla relazione. Secondo
Donati, Marx ha un approccio relazionale della società e i suoi membri, dove
però la relazione sociale ha solo una base materiale. Questo approccio vede
l’interazione fra gli attori sociali in quanto diretta sui loro bisogni materiali,
10
11
P. DONATI, Sociologia relazionale, cit., p. 52.
Ibid., p. 55.
11
lasciando fuori gli elementi culturali o soggettivi coinvolti. Il materialismo delle
relazioni si vede anche nella definizione del capitale, che per lui non è più un
entità materiale o soggettiva, ma proprio una relazione sociale, in quanto
“relazione di espropriazione dei mezzi di produzione operata da parte del
capitalista nei confronti dei produttori”12. Da qua la necessaria lotta tra le classi
e quindi il necessario conflitto che sta alla base della relazione, che viene
dunque determinata dal sistema, non c’è più da dibattere. La stessa concezione
riduttiva lo hanno anche gli altri marxisti, come Antonio Gramsci e Bourdieu, e i
neomarxisti, sebbene loro non si dimentichino dell’importanza degli elementi
culturali e spieghino la relazione sociale come risultato dell’intreccio di essi con
gli elementi materiali.
Positivo, in questo approccio, è la visione della relazione vista come
“base” della società. La riduzione del significato e della struttura interna della
relazione, tuttavia, non offre un’adeguata spiegazione alla complessità della
situazione.
2. L’approccio positivista
Émile Durkheim propone una visione della società e della relazione sociale in
essa “come se si trattasse di una realtà materialmente emergente dalle
relazioni tra individui singoli («privati») che danno vita a una forza collettiva” 13.
Nel primo periodo della sua ricerca, Durkheim vede il legame diretto tra la
divisione sociale del lavoro e la creazione delle relazioni sociali nella società
attuale,
proponendo
la
distinzione
tra
«solidarietà
meccanica»,
che
caratterizzava le società arcaiche, e «solidarietà organica», che caratterizza la
società d’oggi, con soggetti più individualizzati e differenziati tra di loro.
Approfondendo gli aspetti simbolici della relazione, arriva a definirla come
«conscience collective». “Sua è la famosa argomentazione che «sociale» è
tutto ciò che, avendo la capacità di integrazione, si configura come «legame»
ed essendo la religione (da religo, «legare assieme») l’elemento massimamente
integrativo, vi sarebbe una piena corrispondenza fra società e religione (...) le
relazioni sociali non diventano elementi costitutivi della società per il semplice
12
13
P. DONATI, Sociologia della relazione, cit., p. 70.
Ibid., p. 72.
12
fatto di ripetersi (...) ma perchè sono «prescritte» dalla collettività, dunque per il
carattere costrittivo che contengono.”14
Dall’altro lato, osserva Donati, lo stesso Durkheim vede le relazioni, nei
«fatti sociali» da lui analizzati, come «cose». In questo modo la relazione riceve
una realtà sui generis: è un contenuto non accettabile, in quanto la relazione
diventa un oggetto «cosificabile», “laddove la relazione è una realtà interumana,
dinammica e non materializzabile”15.
Da queste considerazioni di Durkheim nascono la scuola francese (con i
suoi rappresentanti Marcel Mauss e Claude Lévi-Strauss), che mette l’accento
sul carattere collettivo della relazione sociale, e gli approcci individualisti
elaborati da autori come G. Homans e Peter Blau.
3. L’approccio storico-comprendente (o del «verstehen»)
Max Weber propone invece un altro sguardo sulle relazioni sociali, alle quali
aggiunge, secondo Donati, il carattere intenzionale e intersoggettivo. In questo
modo, per Weber, la relazione sociale arriva ad essere l’elemento principale
nella sua ricerca e “il costitutivo «fondante» del tessuto sociale, ovvero delle
formazioni sociali”16 (come la famiglia, la comunità, la nazione). Poi, Donati fa
un’importante sottolineatura quando nota che Weber non rompe il legame
concreto e storico tra la forma e il contenuto della relazione come invece lo fa
Simmel, arrivando così a considerare la relazione come una pura convenzione.
Invece per Weber:
per relazione sociale si deve intendere un comportamento di più individui
instaurato reciprocamente secondo il suo contenuto di senso, e orientato
in conformità. La relazione sociale consiste pertanto esclusivamente
nella possibilità che si agisca socialmente in un dato modo (dotato di
senso), quale che sia la base su cui riposa tale possibilità [Weber
1922]17.
14
Ibid.
Ibid., p. 73.
16
Ibid., p. 74.
17
Ibid.,, p. 75.
15
13
Quindi, l’approccio di Weber è storico-comprendente perchè propone
non di «spiegare» la relazione sociale tra gli attori, ma di «comprenderla» in
quanto proprio comportamento reciproco degli attori.
Però, secondo Donati, la teoria di Weber non offre una visione
abbastanza generalizzata della relazione sociale, “a causa sia dell’impostazione
storicistica (analizzare solo le concrete relazioni esistenti) sia delle insufficienze
epistemologiche
(il
suo
cosiddetto
«individualismo
metodologico»
non
consente, alla fine, di analizzare le relazioni come tali)”18. Il punto debole è nella
nella comprensione che sia gli attori della relazione che gli osservatori hanno di
essa, analizzando la relazione solo come frutto dell’azione degli attori coinvolti.
In questo modo si sono creati diverse correnti postweberiane, alcune
percorrendo la via dell’analisi «soggettiva» della relazione sociale, altre
analizzando la categoria di «mondo della vita» “interpretato come mondo
simbolico della vita quotidiana dato-per-scontato (preriflessivo), nel tentativo di
evitare i possibili svolgimenti in chiave soggettivistica e contingentistica insiti in
questo approccio”19.
La sociologia relazionale supera anche questo approccio, tenendo
comunque conto di alcuni elementi sui quali quest’ultimo si è concentrato.
4. L’approccio formalista
Il principale rappresentante di questo approccio, Georg Simmel, mette l’accento
sull’aspetto formalistico della relazione sociale, cambiando così l’approccio
usato nella teoria sociologica fin da allora, come osserva Donati. Anche se,
“l’assunto fondamentale di Simmel [1900] è che la società è reciprocità fra
individui e il sociale è l’effetto emergente della reciprocità o «scambietà» delle
azioni (Wechselwirkung)”20, come abbiamo visto prima, la relazione per Simmel
è una pura convenzione, soltanto la forma che descrive il legame tra le
persone, “ha la caratteristica e la funzione di «rappresentare» la realtà sociale
così come l’arte «rappresenta» - ossia raffigura – la natura”21:
18
Ibid.
Ibid.
20
Ibid., p. 76.
21
Ibid.
19
14
È senz’altro chiaro che una sfera della vita puramente interrelata, in cui ci
sono esistenze autonome, non può rappresentare nient’altro che un
ambito di innumerevoli collegamenti, intrecci e annodamenti. Questa
sfera si rappresenterebbe graficamente come una rete apparentemente
impenetrabile di linee, che partono da punti (gli uomini), che si trovano
alle estremità del campo. Si tratta di ordinare questo reticolo e di
spiegare come soltanto questi innumerevoli collegamenti rendano
possibile una vita civile [Wiese 1955, 275]22.
Però, osserva Donati, queste linee creano un campo relazionale pieno di
energie, che “attraverso i reticoli dei rapporti sociali gli uomini sono
ininterrottamente avvicinati gli uni agli altri o allontanati gli uni dagli altri” 23:
alla domanda «che cos’è una relazione sociale?» si può rispondere: essa
è uno stato labile, cagionato da un processo sociale o (più spesso) da
più processi sociali, in cui gli uomini sono reciprocamente collegati o
separati. Per dirla molto in breve (e perciò in modo facilmente
equivocabile, aggiunge Donati), una relazione sociale è una determinata
distanza fra di essi (...). Chiamo relazioni sociali quegli stati labili a cui
conducono i corrispondenti processi sociali (di isolamento). Esse sono i
risultati di tali processi. A ogni processo singolo corrisponde, in
situazione di stasi, una relazione. Grossomodo, i tipi generali della
relazione si possono paragonare ai processi principali: cioè ai processi A
(associativi) si possono paragonare gli stati della socialità e del
collegamento, da una parte, della dipendenza dall’altra; i processi B
(dissociativi) portano alla solitudine, all’isolamento, al ritiro da una parte,
all’indipendenza dall’altra [Wiese 1955, 276 e 379]24.
Per questo, conclude Donati, per Simmel la relazione non gioca il ruolo
fondamentale nell’analisi dei processi sociali, per la comprensione della finalità,
del valore intrinseco o della funzione di essi, è soltanto una descrizione delle
posizioni dei vari punti del campo sociale nei loro «giochi di società». La teoria
di Simmel sta alla base della teoria sociologica proposta poi da Gurvitch.
Secondo Donati, neanche l’interpretazione di Simmel può riempire tutto il
senso e l’importanza che può essere conferita alla relazione, in quanto offre
una visione riduttiva del legame, come se fosse una semplice «forma».
22
Ibid., p. 76-77.
Ibid., p. 77.
24
Ibid.
23
15
5. L’approccio fenomenologico
L’approccio fenomenologico si ispira alla fenomenologia di Edmund Husserl e
viene poi sviluppato principalmente da Alfred Schütz, Peter Berger e Thomas
Luckmann. Nell’interpretazione di Husserl, sostiene Donati, si definisce la
relazione sociale come “connessione intersoggetttiva di motivi [Schütz 1979,
341]”25. E aggiunge:
Sul versante filosofico e psicologico, la relazione sociale osservata (data)
viene messa inizialmente “fra parentesi” (epoché) per essere poi
ricostruita come operazione intersoggettiva dell’Io trascendentale
(Husserl 1936). Ciò pone, evidentemente, degli enormi problemi, perché,
come è stato dimostrato (Toulment, 1962), è impossibile ricostruire le
relazioni a partire dai soli soggetti individualmente considerati, anche
quando li si consideri nel loro orientarsi reciproco (intersoggettività). Un
approccio fenomenologico puro non può offrire una spiegazione della
società come tale26.
Un altra critica che Donati rivolge alla relazione intesa secondo questo
approccio è che i condizionamenti strutturali vengono limitati solo a quegli
elementi che influenzano gli attori in quanto «mondo già dato» e perciò non
sono parte costitutiva della relazione. Al tempo stesso,
tesi centrale è che non si possono comprendere le relazioni sociali
generalizzate (di secondo livello, astratte, formalizzate, come quelle
istituzionali) se non si comprendono le relazioni di primo livello (le azioni
intersoggettive nel mondo della vita), essendo queste ultime la base (il
costitutivo) delle istituzioni e del sistema sociale comunque inteso27.
Questo fatto, insieme all’intento di «soggettivizzazione delle relazioni
sociali», conclude Donati, rappresenta un chiaro limite, di cui questo approccio
è consapevole, alla ricerca analitica della società a livello macrostrutturale.
Importante, secondo questo approccio, è che le relazioni formalizzate,
istituzionali possono essere comprese solo a partire dal basso, dalle relazioni
interpersonali, faccia-a-faccia.
25
Ibid., p. 78.
Ibid., p. 77.
27
Ibid., p. 79.
26
16
6. L’approccio dell’interazionismo simbolico
I rappresentanti principali di questo approccio, riporta Donati, sono Piaget e
Mead che considerano la relazione come «interazione» tra due attori, frutto
della loro azione uno verso l’altro: “il tutto sociale non è una riunione di elementi
anteriori, né una nuova entità, bensì un insieme di relazioni, ciascuna delle quali
genera – proprio in quanto relazione – una trasformazione dei termini che
collega [Piaget 1964, 26 e 55]”28. “Si suppone che la rappresentazione del Sé
avvenga necessariamente attraverso l’altro («Alter») [Mead 1934]”29, in questo
modo, il Sé (Selves) perde la sua identità personale e riceve solo una identità
sociale. Dice Donati, “la posizione assume talvolta un tono ipersocializzante, nel
senso che, invece di affermare che ogni Self si trasforma attraverso la relazione
con l’altro, si sostiene che il Self assume l’identità dell’altro (in Mead l’Altro
generalizzato)”30.
Un’altro elemento importante è l’approccio etnometodologico proposto da
Garfinkel e Goffman, che portano degli sviluppi dal campo della fenomenologia
all’approccio dell’interazionismo simbolico. Le relazioni secondo questo
approccio sono dei «giochi» e gli attori sono visti come dei giocatori. Ma è la
vita culturale che crea le relazioni con le sue “regole di comportamento e
accordi normativi in situazioni con diversi contenuti di rischio, la quale «si
incarna» in strutture sociali”31, sostiene Donati. Di nuovo, non conta la decisione
dell’individuo che vuole relazionarsi, ma la relazione viene in qualche modo
imposta dal campo di gioco della società che già si è formato un sistema nel
quale svilupparsi.
Una tale comprensione della relazione si espone a un grave rischio
ideologico e di massificazione: se la relazione nega l’identità personale, la
società necessariamente diventa una massa anonima. Viene spontaneo
domandarsi quale esito possa avere una tale visione di società.
28
Ibid., p. 79.
Ibid.
30
Ibid., p. 80.
31
Ibid.
29
17
7. L’approccio struttural-funzionalista
Talcott Parsons, l’iniziatore di questo approccio, secondo Donati, porta una
svolta nell’analisi della relazione sociale, innanzitutto come intento. Parsons
vuole vedere più in profondità di altri prima di lui la relazione sociale, anche se,
come dice Donati, non riesce ad essere fedele al suo desiderio. Perchè?
Parsons e questo approccio in generale considera la relazione come una
struttura che produce, ha delle funzioni in un certo sistema sociale. “La
relazione sociale, osserva Donati, non è che il modo in cui il sistema sociale, o
sistema di azione, funziona; in particolare, la relazione è l’espressione di un
agire in uno status-ruolo, entro un sistema di status-ruoli”32 (come il medico,
l’insegnante, l’operaio, la casalinga con i loro status e i ruoli da compiere).
Un’altro termine che Parsons usa per definire la relazione è
l’interdipendenza, come principio che ordina le relazioni, ma anche come frutto
che da esse si origina:
I sistemi di azione hanno proprietà che emergono solo a un certo livello
di complessità nelle relazioni delle singole unità (unit acts, atti
elementari) le une verso le altre. Queste proprietà non possono essere
identificate in ogni singola azione elementare considerata separatamente
dalle sue relazioni con le altre nello stesso sistema. Esse non possono
essere derivate da un processo di generalizzazione diretta delle proprietà
dell’atto elementare [Parsons 1937, 739]33.
In questo modo, emerge più chiaramente una visione della relazione
sociale come un entità in sé che genera gli «effetti strutturali», che per Blau
sono “intesi come comportamento di conformità che gli attori individuali mettono
in atto pur non condividendoli interiormente“34, e gli «effetti perversi», che per
Boudon sono “effetti non intenzionali prodotti da una moltitudine di singole
azioni intenzionali”35.
A questo approccio faremo riferimento varie volte nel corso della nostra
ricerca in quanto rappresentativo per il periodo storico che stiamo vivendo.
Tanti dei processi sociali, ma anche economici e politici, hanno alla base una
tale visione della relazione. Vedremo più in avanti quali sono gli esiti di tale
32
Ibid., p. 81.
Ibid., pp. 81-82.
34
Ibid., p. 82.
35
Ibid.
33
18
visione e se il sistema societario può veramente accontentarsi di vedere le
relazioni solo dal punto di vista strutturale.
8. L’approccio neofunzionalista comunicazionale
Questo approccio fa propria la considerazione parsonsiana della relazione, però
perde tutta la complessità che la suddetta voleva offrire. Rispetto alla
prospettiva di Parsons viene rovesciata l’ordine: non sono più le strutture a
creare le funzioni, ma le funzioni, che sono tutte ridotte a mere comunicazioni,
danno vita alle strutture. “Le relazioni non sono più viste come scambi (inputoutput) fra parti (status-ruoli) del sistema sociale, ma come riferimenti funzionali
di tipo comunicativo che creano e modificano continuamente le strutture
sociali.”36.
Il rappresentante più importante di questo modo di interpretare la
sociologia è senz’altro Niklas Luhmann, che segue e sviluppa le ricerche
intraprese
da
Gregory
Bateson,
Marshall
McLuhan,
Paul Watzlawick
sull’ecologia della mente, della comunicazione pratica e delle nuove scienze
informatiche e teoretiche. Luhmann, basandosi sulla teoria biologica di
Francisco Varela e Humberto Maturana e prendendo il fondamento logico da
George Spencer Brown, pone il segno di equivalenza tra relazione sociale e
comunicazione, “operazione specifica dei sistemi sociali”37, considerandola una
sintesi dell’emissione, l’informazione e la comprensione che avviene per la
differenza tra l’emissione e informazione. La riduzione di questo approccio sta
nel fatto che la comunicazione è vista come un «evento», la sua esistenza si
ferma dopo essere accaduta, ed è nel processo sociale intrinsecamente
collegata con un’altra comunicazione che la segue. Così “la relazione sociale
non è più un conduttore di significati culturali predefiniti, né un canale strutturato
per il trasferimento di informazioni e prestazioni”38, conclude Donati.
Al di là della riduzione che comporta, è di reale interesse l’attenzione
sulla comunicazione che questo approccio propone. Per noi la comunicazione è
collegata all’idea di condivisione e nell’analisi che proponiamo diventa lo
strumento con il quale si attiva e si sviluppa la relazione.
36
Ibid.
Ibid., p. 83.
38
Ibid.
37
19
9. L’approccio ermeneutico (o dialogico)
In questo approccio, così come mostra il nome, il dialogo istituito fra le persone
crea la relazione. Uno tra i pensatori che danno fondamento a questo approccio
è Martin Buber che per la sua provenienza culturale e religiosa enfatizza
l’importanza del rapporto dialogico tra Io-Tu, in opposizione al rapporto Io-Esso
(che guarda all’altro come oggetto). La relazione sociale, per Buber, è una
realtà che esiste nel tra (zwischen) i due soggetti, l’Io e il Tu, non nei due o in
uno dei due. È nel tra che l’uomo di trova se stesso ed arriva a compiersi come
persona. Quindi, osserva Donati, “la relazione non è qui intesa come un
atteggiamento psicologico, interno all’Io, né come un fenomeno cosmologico o
olistico, proprio di un mondo che contiene in sé gli individui: essa è una struttura
ontologica originaria, è una realtà non compresa nell’Io, né comprendente l’Io,
ma effettivamente esistente tra l’Io e il Tu”39. Però, per Buber l’aspetto umano e
l’aspetto sociale sono due cose diverse ed autonome, non sono la stessa cosa.
La persona è sociale in quanto genera dei legami reciproci con le altre persone,
ma è umana in quanto entra e vive – lasciando l’appartenenza alla collettività
(di tipo durkheimiano) e la sua funzione di ruolo (di tipo parsonsiano) – “la
relazione intersoggettiva Io-Tu, dove vige la reciprocità dello Sguardo e del
Dialogo, dove si è compagni nelle vicende della vita, dove si è percepiti come
«totalità esistente» («la sfera dell’interumano è quella del reciproco stare l’unodi-fronte-all’altro; il suo dispiegarsi è ciò che chiamiamo dialogico»).”40 In questo
modo, conclude Donati, Buber da il significato della relazione come «empatia»,
così come Husserl e Edith Stein hanno fatto, distinguendola dalla «simpatia».
Un altro rappresentante di questo approccio è Jürgen Habermas che
invece fa una riduzione in paragone a Buber in quanto riguarda la relazione
sociale. In primo luogo perchè la relazione non è vista con una struttura vera e
propria, però solo come “il luogo e il mezzo per affermare l’etica del discorso
attraverso cui gli individui cambiano la società e se stessi, negando i vincoli del
sistema (capitalistico)”41. In questo modo per Habermas la società è una
«comunità illimitata di discorso», nel quale i membri devono avere la possibilità
39
Ibid., p. 84.
Ibid.
41
Ibid., p. 85.
40
20
di comunicazione tra uguali e democraticamente, senza vincioli o motivazioni
strumentali.
Possiamo dire che questo approccio si avvicina di più al significato che
Donati da alla relazione sociale, però è ancora solo un intento che mette troppo
l’accento su gli aspetti espressivi e che non riesce ancora a spiegare e
comprendere la relazione nella sua diversità di significati e contenuti.
Conclusione
Abbiamo visto fino ad ora in modo sintetico le ricerche più importanti sulla
relazione sociale. Come abbiamo potuto osservare ciascun approccio mette in
rilievo solo un aspetto importante della relazione, ma nessuno sembra riuscire a
elaborare una teoria che abbia una visione più ampia. Per questo abbiamo
affermato, rifacendoci ai fenomeni inattesi di Donati, che le teorie sociologiche
contemporanee non riescono a spiegare tutti i processi della società. Queste
non hanno una comprensione completa, o almeno aperta, della relazione e
quindi nell’analisi sono limitate. Se prendiamo anche solo l’esempio dei rapporti
di tipo contrattuale, l’approccio strutturale considera che una tale relazione
potrà creare solo degli effetti stipulati nel contratto, quando invece nella realtà
molti tra questi diventano vere e proprie relazioni di amicizia.
Nel capitolo seguente il nostro intento è proprio quello di offrire una tale
visione, la quale riconoscendo che non si può dire tutto di nessun concetto,
analizzandolo pienamente, mette insieme gli elementi proposti nella storia e
non chiude le prospettive e le possibilità di nuovi sviluppi. Ed è proprio questa la
motivazione che sta alla base della scelta di elaborare una tale visione dalla
voce di Donati, in quanto lui non chiude il discorso e l’analisi, ma raccoglie e
apre verso nuovi approfondimenti. La chiusura del discorso è l’aspetto decisivo,
direi, che fa che gli approcci presentati precedentemente abbiano il pericolo di
scadere in ideologia ed è quanto non vorrei che diventasse questa ricerca. A
questo proposito proseguiamo con l’analisi della relazione sociale che Donati ci
offre.
21
Capitolo secondo
IL FONDAMENTO SOCIOLOGICO DELLA RELAZIONE
Introduzione: dalla modernità alla sociologia relazionale
Per arrivare a far sentire da parte dei lettori la necessità di un’altro tipo di
sociologia, di un altro tipo di paradigma che possa dare un’alternativa alla
società e all’umanità d’oggi, all’inizio del suo libro, Sociologia relazionale,
Donati riporta degli esempi molto seri che appunto la società moderna non
riesce spiegare, ma neanche gestire, tantomeno offrire una soluzione, i così
detti «fenomeni inattesi»42. «La privatizzazione dell’individuo e la conseguente
perdita del cittadino come figura moderna e anche del soggetto umano»
(esaltazione del cittadino che però perde la sua umanità in quanto i suoi diritti
parlano della sua vita privata e non del insieme della società); «la continua
produzione sistemica di anomìa sociale mediante la riduzione dell’economia
alla tecnica» (tutto ridotto a dei processi tecnici, anche la globalizzazione
mediante l’internet); «la fine della politica come etica pubblica» (non si trovano
più vie per arrivare al bene comune); «la perdita di significato (del senso
umano) della vita sociale» (il sociale oggi è ridotto con il tecnologico a mera
comunicazione di informazione).
Tutti esempi, «paradossi», che il moderno produce solo perchè non
accetta che la relazione sociale sia ciò che costruisce, che è la base della vita
sociale e di tutti i processi che emergono poi nell’economico, politico, ecc. “Dire
vita sociale significa dire relazioni sociali, ma la modernità non accetta questo
punto di vista (...) le soluzioni vengono cercate negli individui o nel sistema
42
P. DONATI, Sociologia relazionale, p. 27.
22
sociale, o in una loro combinazione – come abbiamo visto con i diversi approcci
nel primo capitolo -, non nelle relazioni sociali”43. Ma allora, quale è ‘l’offerta’
della sociologia relazionale? Perchè è un’altra alternativa alla modernità e
perchè può fornire nuovi input e può proporre delle soluzioni alle grandi
domande della modernità?
La seguente figura paragona il modello di società proposto dalla
modernità e quello proposto dall’ approccio relazionale. La società moderna44:
(1) slega l’individuo dalle relazioni sociali, considerate non fondamentali, anzi
«costrittive e particolaristiche»; produce «l’individuo casuale»; (2) immunizza il
tessuto sociale dalle relazioni, «svuota la comunità» (immunitas vs.
communitas); perde la nozione di bene comune; (3) definisce l’identità come
negazione dell’Altro, utilizzando il codice binario dove A è appunto la negazione
di tutto ciò che non è A [A=non (non-A)]; dialettica negativa, libertà negativa
“da”, invece della libertà positiva “per”; (4) neutralizza le relazioni sociali (con il
mercato, attraverso l’equivalenza
funzionale,
in particolare monetaria),
trasformandole in «relazioni senza colore e qualità»; società eticamente neutra
che mette in crisi l’identità delle persone; (5) specializza le relazioni strumentali
(tecniche, basate sui mezzi, «Zweckrationalität») e rende indifferenti (dedifferenzia)
le
relazioni
espressive
di
un
valore
(basate
sui
fini,
«Wertrationalität»); le relazioni sembrano poter essere «riproducibili» fra loro
(Donati da l’esempio delle relazioni di amicizia su facebook).
Figura 1 – Paragone tra la società moderna e la società relazionale45
La società moderna
1. slega/astrae
relazioni
l’individuo
La società relazionale
dalle 1. Concepisce la persona come
individuo-in-relazione (la relazione è
costitutiva della persona)
2. immunizza il tessuto sociale dalle 2. ridefinisce il bene comune come
relazioni
(immunitas
vs. bene relazionale (non verticale, ma
communitas)
orizzon-tale: condivisione/sharing)
43
Ibid., p. 28.
Ibid., pp. 31-33.
45
Ibid., p. 36.
44
23
3.
definisce
l’identità
come 3. dialettica positiva [l’identità di A = r
negazione dell’Altro [l’identità di A = (A, non-A)] (per esempio la libertà
non (non-A)]
positiva, la responsabilità positiva)
4. neutralizza le relazioni sociali 4. qualifica le relazioni secondo il loro
(con
il
mercato,
attraverso senso e valore etico (nessuna
l’equivalenza
fun-zionale,
in equivalenza)
particolare monetaria)
5.
specializza
le
relazioni
strumentali (tecniche, basate sui
mezzi) e rende indifferenti (dedifferenzia) le relazioni espressive di
un
valore
(basate
sui
fini)
(attraverso lo Stato)
5.
propone
la
differenziazione
relazionale (ogni relazione deve
distinguersi per il proprio senso e
compito: per esempio, relazione di
amicizia, di coppia, relazione famiglialavoro)
Si può dunque sognare un altro tipo di società partendo dalla realtà
moderna che ci circonda, “un nuovo modello di civilizzazione, perchè affida la
funzione civilizzatrice alla relazione sociale in quanto propriamente umana.”46
Quindi, la società relazionale, o, come donati la chiama «dopo-moderna» o
«trans-moderna»47: (1) concepisce la persona come individuo-in-relazione (la
relazione è costitutiva della persona); il lavoratore, propone Donati, deve essere
considerato anche come membro di una famiglia e il trattamento economico e
normativo (carico fiscale, contratto di lavoro) dovrebbe tener conto di questa
relazione sociale; (2) ritrova o forse trova pienamente il significato di bene
comune, ridefinendolo come bene relazionale (non verticale, ma orizzontale:
condivisione/sharing); (3) dalla identità come negazione passa all’identità come
affermazione, la persona trova la sua identità nella relazione con «l’Altro da sé»
[A = r (A, non-A)] e si esprime nella libertà positiva “per” qualcosa, nella
responsabilità positiva “per” qualcosa, quindi si propone una dialettica positiva;
(4) il senso e il valore etico delle relazione diventano il principale criterio della
valore delle relazioni, l’equivalenza funzionale viene dimenticata; (5) come
nell’esempio del lavoratore, la differenziazione viene fatta tenendo conto delle
relazioni sociali nelle quali la persona è coinvolta, secondo il senso e il compito
di ciascuna relazione: di amicizia, di coppia, relazione famiglia-lavoro.
46
47
Ibid., p. 35.
Ibid., pp. 35-37.
24
È questo il tipo di società che con la presente ricerca provo a proporre.
Come dicevo prima, innanzitutto perchè è una società aperta, uno spazio dove
non c’è niente di chiuso o di prestabilito, tutto è in processo, verso la stabilità, e
una continua crescita. Questo tipo di società trova il prioprio fondamento nella
relazione sociale, perchè essa è l’istanza ultima dell’essere dell’uomo; si tratta
però di una relazione non intesa come determinismo sociale, ma come
processo morfogenetico (dove tutto e in continua crescita e generazione), come
vedremo più in avanti. In questo spazio le persone riescono ad esprimersi, a
ritrovarsi nella loro piena identità, proprio perchè rivolte non a se stesse, ma
verso l’altro da sé. In questo modo, come osserva Donati, “il Self riconquista
una sua autonomia, che non è quella acquisitiva e strumentale della modernità,
ma è quella espressiva e relazionale di cui c’è bisogno pe superare i disagi
della modernità.”48 Nello stesso tempo, la relazione intesa così, non è neanche
un mito, non ha niente di magico. Dobbiamo essere attenti di come la viviamo,
a come la concepiamo, perché, come ci mostra anche l’esperienza personale,
tante relazioni possono finire male, ci possono ferire. Proprio per questo non
intendiamo avvicinarci verso al relativismo, perchè non proponiamo una
relazione come fine in sé.
Ma allora, di quale tipo di relazione stiamo parlando? Vediamo più in
avanti i diversi modi di interpretare la relazione sociale che vanno in questa
direzione.
1. Sociologia e relazione
Ritorniamo di nuovo al libro Sociologia della relazione in quale Donati offre un
approffondimento sistematico della relazione sociale.
1.1. La relazione come «refero», «religo» ed effetto emergente
Sono tre i significati della relazione sviluppati durante la storia dalle scienze
sociali moderne, che però, come abbiamo visto nel primo capitolo,
48
Ibid., p. 37.
25
concentravano la loro ricerca solo verso uno dei tre. Per la sociologia della
relazione devono essere presi insieme.
a.
Come
«refero»,
la
relazione
sociale
ha
una
semantica
referenziale, quindi “un riferire qualcosa a qualcos’altro entro un quadro di
riferimento costituito da significati simbolici a differenti tipi e gradi di
intenzionalità e più o meno condiviso fra gli attori in campo.”49
b.
Come «religo», la relazione sociale ha una semantica strutturale
e perciò è vista “come legame, connessione, vincolo, condizionamento
reciproco, struttura, che è nello stesso tempo vincolo e risorsa, di carattere
impersonale o personale.”50
Per capire meglio questi aspetti Donati propone un’altra scomposizione
dei due usando lo schema AGIL (Adaptation-Goal-Attainment-IntegrationLatency): dove la semantica referenziale si compone nel riferimento ai «valori di
base» e ai «determinati scopi intenzionali situazionali» (asse L-G: latenzarealizzazione delle mete; cultura-personalità) e la semantica strutturale ai
«mezzi» (le risorse utilizzate per raggiungere gli scopi) che sono legati alle
«norme di comportamento» (asse A-I: addatamento-integrazione; sistema
comportamentale-sistema sociale) (Figura 2).
Figura 2 – Le componenti della relazione sociale secondo lo schema
AGIL
G
Goal Attainment
(scopi situati)
A
Adaptation
(mezzi, risorse)
I
Integration
(norme)
L
Latency
(orientamenti di valore)
49
50
P. DONATI, Sociologia della relazione, cit., p. 88.
Ibid.
26
Questo schema viene ripresa e ripensata dalla teoria neofunzionalista
di Luhmann che però non sviluppa più di tanto i quattro elementi e offre
un’interpretazione della relazione sociale «meccanicistica e ridotta a pura
comunicazione» che non riesce a vedere, così come fanno le sociologie
contemporanee, cosa «generano» tali relazioni e come gli elementi coinvolti in
essa e le relazioni precedenti danno vita a dei «fenomeni emergenti».
c.
Per questo, Donati parla della necessità di una semantica
generativa che sostiene “che le diverse componenti della relazione (mezzi,
scopi, norme, valori) e i diversi soggetti agenti che ne sono portatori,
interagendo fra loro, producono un effetto che non è spiegabile in base alle
proprietà di tali componenti e attori sociali, ma assume connotazioni quantoqualitative proprie.”51 Questo vuol dire che la relazione genera qualcosa che va
al di là dei soggetti coinvolti. Sono loro a interagire ma ciò quello che nasce non
dipende da loro, eccede il contributo dei singoli alla relazione.
1.2. La relazione e il principio della “terzietà”
Come abbiamo visto, la sociologia relazionale comprende la relazione come un
insieme tra le tre semantiche e che danno il contenuto della realtà sui generis
che essa è. Donati, considerando questi elementi, definisce la relazione sociale
come “quella referenza – simbolica e intenzionale – che connette i soggetti
sociali in quanto attualizza o genera un legame fra loro, ossia in quanto esprime
la loro «azione reciproca» (la quale consiste nell’influenza che i termini della
relazione hanno l’uno sull’altro e nell’effetto di reciprocità emergente tra essi).”52
Però, in questo modo, il legame generato, ossia la relazione sociale, si può
intendere come contesto, come la «matrice contestuale» nella quale accade la
relazione, e come interazione, appunto l’«azione reciproca» tra i termini,
l’«effetto emergente». Però il fatto direi essenziale che Donati vuole sottolineare
con la sua teoria è che la relazione che nasce fra due soggetti, l’«Ego» e
l’«Alter», non è una mera interazione, in quale Ego comunica e dona qualcosa
all’Alter e viceversa. C’è un di più che accade, senza la consapevolezza dei due
51
52
Ibid., p. 90.
Ibid.
27
riguardo come accade e senza essere generato da loro. La relazione che si
genera ha una realtà di «genere proprio» (sui generis) e, quindi, non è solo
sistema, come considera l’approccio struttural-funzionale, e neanche solo
prodotto dell’azione, come nell’approccio interazionista53. Dice Donati, “in ogni
caso, l'essere in relazione comporta il fatto che, agendo l'uno in riferimento
all'altro, Ego e Alter non solo si orientano e si condizionano a vicenda, ma
danno luogo a una connessione sui generis (che esiste veramente, da sé) che
in parte dipende da Ego, in parte da Alter, e in parte ancora è una realtà
(effettuale o virtuale) che non dipende dai due, ma li «eccede».”54
Quindi, la relazione sociale è un terzo che accade: da questo punto in poi
ci occuperemo di approfondire le caratteristiche di questo “terzo”. Innazitutto,
dobbiamo dire che la relazione ha una «storia», un «codice temporale», che
significa che la relazione perde o guadagna in qualità a seconda di quello che
l’Ego e l’Alter mettono dentro la loro «azione reciproca». La relazione cambia
durante la sua storia, non è atemporale.
1.3. Una sociologia relazionale
Dopo aver detto che la relazione ha un codice temporale, adesso propongo di
addentrarci più in profondità nell’osservazione della relazione, di questo terzo.
Cominciamo così con la definizione che Donati dà alla relazione sociale: “per
«relazione sociale» si deve intendere la «realtà immateriale (che sta nello
spazio-tempo) dell’interumano», ossia ciò che sta fra i soggetti agenti, e che –
come tale – «costituisce» il loro orientarsi e agire reciproco per distinzione da
ciò che sta nei singoli attori – individuali o collettivi – considerati come poli o
termini della relazione”55. Quindi, Donati parla della struttura della relazione
costituita come vedremo dagli elementi oggettivi e soggettivi che gli attori, con
le loro azioni reciproche, immettono nella relazione e della «realtà immateriale»,
ma sui generis della relazione, che è un «effetto emergente», quindi un di più,
un al di là delle azioni concrete degli attori. Allora, cominciamo ad entrare nei
dettagli.
53
P. DONATI, La società dell’umano, Ed. Marietti, Genova-Milano 2009, p. 150.
P. DONATI, Sociologia della relazione, p. 91.
55
Ibid., p. 41.
54
28
a. La struttura
Innanzitutto descriviamo le tre fasi temporali che la relazione sociale
presenta56. La prima è rappresentata dalle forme socioculturali e strutturali
preesistenti all’interazione fra i soggetti (T1). La seconda si riferisce alle azioni
concrete dei soggetti-agenti, condizionate dalle forme preesistenti (T2-T3) e la
terza ai risultati delle interazioni, che a loro volta «riattualizzano» o
«modificano» le strutture socioculturali ricevute (T4). Se queste riattualizzano
solo le strutture, il processo si chiama morfostatico, invece se avviene una
generazione di nuove forme sociali, il processo diventa morfogenetico (per
Donati è molto importante questo termine in quanto vede la società come
risultato di una morfogenesi continua delle relazioni – vedremo in avanti più
dettagliatamente).
Figura 3 – Le tre fasi temporali e il ciclo morfogenetico/morfostatico57
T1 – Struttura
condizionante
T2 – Interrazioni fra gli agenti/attori – T3
T4 – Elaborazione
strutturale
Tempo
Adesso vediamo i due aspetti fondamentali della struttura della relazione
sociale che Donati propone. Prima è la composizione. La relazione sociale
56
57
Ibid., p. 42.
P. DONATI, Sociologia relazionale, p. 146.
29
contiene tutto ciò che contribuiscono a dare senso alle azioni dei soggetti, come
sentimenti, scopi, aspettative, mezzi utilizzati, ecc che danno un senso ad esse
a seconda delle affinità, utilità, bisogni individuali dei soggetti. Però, con questo
Donati non vuol intendere che la relazione è solo una somma o un intrecciarsi
di questi elementi, così come si potrebbe intendere attraverso gli autori che
definiscono
la
relazione
sociale
come
interdipendenza
fra
«mutual
expectations» (come Azarian). La relazione è qualcosa in più, è un
«eccedente», così come abbiamo visto nei passaggi precedenti.
Donati trova una completa descrizioni degli «elementi analitici» della
singola azione attraverso quattro categorie: «lo scopo» (o finalità) dell’azione, i
«mezzi» utilizzati in vista dello scopo, «le norme» applicate e «il valore latente»
compreso nella relazione. È facilmente osservabile che si tratta degli stessi
elementi del sistema AGIL (Fig. 2), ricordando che l’interpretazione che Donati
da a questo sistema non è dal punto di vista funzionalista, come la fa Parsons,
ma dal punto di vista relazionale. Perciò, nella relazione, questi quattro elementi
sono diversi empiricamente dagli elementi che si ritrovano nelle singole azioni.
Dice Donati, “la relazione come entità emergente (emergent) può essere
analizzata nella sua composizione facendo riferimento ai medesimi elementi
analitici, che tuttavia sono empiricamente diversi da quelli presenti nelle singole
azioni degli agenti/attori”58.
È da osservare il fatto che tra questi elementi Donati non enumera i
sentimenti, le emozioni o gli stati d’animo, che considera elementi integranti la
persona che si relaziona, non entrando tuttavia a far parte della relazione in sé,
che va oltre essi. Per lui questi elementi sono il «riflesso» delle relazioni nelle
persone, ma non appartengono alla relazione, anche perché, per esempio, “se
una persona sente antipatia, repulsione e tristezza verso un’altra persona,
queste sensazioni possono essere causate da relazioni assai diverse”.59
Poi, come secondo aspetto fondamentale, Donati parla della forma della
relazione sociale. È proprio ciò che abbiamo chiamato prima l’«eccedente», il di
più che viene creato attraverso gli elementi dell’interazione. Quindi, la forma “è
la struttura relazionale che organizza gli elementi provenienti dalle singole
azioni e li combina in modo da conferire loro un certo assetto (effeto
58
59
P. DONATI, Sociologia della relazione, p. 114.
Ibid., p. 115.
30
relazionale) che ha un potere causale sui partecipanti”60. Parlando nei termini
del sistema AGIL potremo dire che la relazione sociale è una combinazione dei
quattro elementi che caratterizzano le singole azioni reciproche dell’Ego e
dell’Alter. Quindi, si tratta dell’«incontro-scontro» che avviene tra le finalità (G),
le norme (I), i valori (L) delle azioni (elementi interni) e i condizionamenti (A) del
contesto sociale (l’elemento che agisce dal di fuori), quale viene a sua volta
modificato.
Però, questo «mix», come abbiamo affermato sopra, non è solo la
somma degli elementi, ma ha una «struttura relazionale autonoma» che va al di
là delle azioni. Un’altra denominazione che Donati dà alla relazione sociale,
accentuando la sua forma, è di «effetto emergente» delle azioni intraprese dai
soggetti. Quindi, “la relazione sociale è l’effetto emergente di azioni reciproche
reiterate nel tempo fra attori/soggetti sociali che occupano posizioni diverse in
una configurazione societaria (sistema o rete sociale)”61. E questo effetto, se
l’azione reciproca viene stabilizzata per un periodo di tempo, avrà una
«struttura di interdipendenza» (o «configurazione della relazione»), che si può
ripetere o può modificare le sue conseguenze (outcomes), diventando o un
bene o un male relazionale – dei quali parleremo più in avanti –, a seconda
dell’incidenza che ha verso i soggetti e verso la rete più ampia in quale si trova.
Tutto ciò si può capire meglio con un esempio. Donati pensa innanzitutto
alla relazione insegnante alunno62. In questo caso la forma della relazione,
quindi la sua struttura (AGIL), sarà costituita dallo “scopo situato dell’istruzione
(insegnare qualcosa, un programma), i mezzi adatti allo scopo (lezioni, libri,
tecnologie varie), le regole di interazione (l’alunno è tenuto a seguire l’autorità
dell’insegnante), sulla base di un modello di valore educativo (formare la
persona dell’alunno)”63. Tutto ciò che l’insegnante e l’alunno mettono dentro la
relazione attraverso le singole azioni costituirà la composizione della relazione
stessa, che avrà esito positivo o negativo, secondo Donati, in quanto
“condividono – o no – scopi, mezzi, norme e valori della relazione”64 come
all’inizio, così anche lungo il tempo.
60
Ibid.
Ibid., p. 116.
62
Ibid.
63
Ibid.
64
Ibid.
61
31
Ci rivolgiamo ora ad analizzare proprio questo elemento: come possiamo
comprendere gli esiti positivi delle relazioni attraverso il concetto di
morfogenesi.
b. La morfogenesi sociale (MGS)
Abbiamo parlato della forma della relazione sociale e abbiamo detto che
essa è il di più, l’«effetto emergente» delle azioni intraprese dai soggetti che si
relazionano. Parlando delle fasi temporali della relazione abbiamo evidenziato il
fatto che questo «effetto emergente» è di tipo statico, se la struttura che
contiene
è
identica
a
quella
preesistente
(morfostatico).
Se
invece
nell’elaborazione strutturale si generano nuove forme sociali, la struttura
emersa è diversa dalla precedente, abbiamo una morfo (forma) – genesi della
relazione sociale.
Quindi, possiamo dire che “la morfogenesi sociale inizia all’interno delle
relazioni ed è attraverso le relazioni che vengono generate le nuove forme
sociali”65. Però questo fatto non avviene sempre! Donati avverte il fatto che se
la forma della relazione è un «habitus» questa non genererà delle nuove forme,
in quanto le azioni svolte dagli attori diventano automatiche, quindi hanno dei
«feedback negativi». Per avere una MGS c’è bisogno di una riflessività da parte
degli attori, quindi con dei «feedback positivi» o «relazionali». O, detto in altre
parole, la forma della relazione può essere vista come una «black box» con
degli esiti triviali (con lo stesso output) o non-triviali (con output sempre diversi)
e per essere generativa di forme nuove, essa deve essere riflessiva. Però quali
sono le qualità o le proprietà della relazione che fanno di essa un «meccanismo
generativo»?
1.
La relazione è intrinsecamente riflessiva – senza che gli attori
della relazione si pensino e agiscano gli uni in riferimento agli altri non è
possibile che la relazione avvenga. Proprio per questo, se la riflessività è
minima o addirittura manca, anche la relazionalità tenderà a zero, osserva
Donati. Poi, tenendo conto dell’asse del refero (L-G; verso gli scopi dell’azione),
che deve essere anche un refferre, si può trovare anche il valore etico della
relazione, nel senso di un ritornare alle motivazioni iniziali delle interazioni e
65
Ibid., p. 119.
32
«rispondere» se sono state rispettate o no. Così, la relazione diventa
«meccanismo riflessivo», aspetto determinante della dinamica sociale, la
morfogenesi sociale.
Proprio perché stanno in una relazione, gli agenti/attori devono pensarsi
e agire gli uni in relazione agli altri. La struttura della relazione è riflessiva
in quanto l’asse del refero (L-G) non è solo un riferimento simbolico
verso lo scopo che Ego e Alter intendono realizzare, ma è anche un
referre, ciò un riportare indietro alle loro motivazioni iniziali ciò che è
emerso dalle interazioni. A mio avviso, in questa qualità risiede il calore
etico della relazione, in quanto la relazione richiede un «rispondere»
(responsabilità), cioè un dare conto a se stessi e agli altri degli esiti delle
interazioni. Ovviamente, la riflessività avrà caratteristiche assai diverse
da relazione a relazione e da contesto a contesto. Nel mercato, ad
esempio, le cose vanno ben diversamente che nella famiglia. In ogni
caso, il carattere riflessivo della relazione è decisivo per la dinamica
sociale. Possiamo parlare della relazione come «meccanismo riflessivo»
66
(anzì: «molecola riflessiva») del sociale.
2.
La relazione ha una struttura ternaria, non binaria – questa qualità
parla del «finalismo» che la relazione deve avere, in quanto «meccanismo
riflessivo». La struttura binaria va correlata con le attività diventate automatismi,
i «meccanismi», che appunto non hanno una finalità. Ma la finalità della quale
parla Donati non è quella degli attori, perchè si tratta della finalità della
relazione in quanto effetto emergente e che quindi deve mettere insieme le
finalità dei soggetti.
In parallelo, la relazione sociale non può essere puramente meccanica,
perchè ha una struttura ternaria, non binaria. I meccanismi (automatici)
sono binari, non hanno finalità, mentre la relazione sociale – se e in
quanto si configura come meccanismo generativo – contiene un finalismo.
Ovviamente, non è detto che il finalismo della elazione corrisponda alle
finalità dei singoli soggetti in relazione, anche quando sono d’accordo.
Tutt’altro. È normale che la finalità a cui serve la relazione si discosti dalle
finalità (volontà) particolari dei singoli soggetti in relazione, proprio in
quanto è un effetto emergente che deve mediare fra i soggetti. Tuttavia,
affinché i soggetti instaurino una relazione generativa, essi devono
67
riconoscere una dimensione finalistica alla loro relazione.
Concludendo, possiamo dire che per Donati queste due qualità, i tipi di
riflessività e di finalismo, sono decisive nello stabilire se le relazioni sociali sono
66
67
Ibid., p. 120.
Ibid., p. 120-121.
33
morfogenetiche socialmente o no. La sua convinzione è che della mancanza di
morfogenesi soffrono gli attori che hanno come scopo dei grandi «valori», come
la pace, la giustizia, la solidarietà, “non sono efficaci nel generarla perché non
vedono come dare forma alla relazione sociale che deve realizzare quel
valore”68. Questa è anche la sfida del United World Project – che presenteremo
come applicazione alla fine della nostra ricerca – che si rifà al principio della
fraternità universale. Comunque, è di fondamentale importanza mettere
l’accento su questi due elementi, la riflessività e la finalità, in quanto pensiamo
siano decisivi per il buon esito di qualsiasi impresa, attività, progetto.
A questo riguardo, Donati propone come soluzione il pensare la
relazione come «molecola sociale», e di ciò tratteremo più avanti.
2. La società come “rete”
Ora, quale tipo di conoscenza produce una tale sociologia della relazione? Il
fatto che la relazione possiede una realtà sui generis richiede una nuova
epistemologia, con un paradigma di rete per interpretare la società e con la
pragmatica dell’intervento di rete come criterio dell’azione.
2.1. Epistemologia relazionale
Secondo la sua visione della sociologia, Donati propone una epistemologia che
ha come presupposto generale il fatto che «all’inizio c’è la relazione»69. Questo
è valido tanto per la realtà sociale (fenomenologia) quanto per la teoria sociale
(nell’osservare e riflettere su di essa). In questo passaggio ci preme ancora una
volta sottolineare il fatto che ci riferiamo alla relazione sociale in senso realistico
e non relativistico (la relazione è il punto di partenza reale, che esiste nella
realtà, e solo perchè c’è, poi riusciamo a riflettere su di essa).
Per dirlo in altre parole, l’epistemologia relazionale propone una
metafisica della conoscenza che vede la relazione sociale come necessaria, e
in virtù di ciò il mondo sociale diventa contingente, in quanto frutto delle
68
69
Ibid., p. 121.
P. DONATI, La società dell’umano, cit., p. 166.
34
relazioni che emergono. Però, con questo non si intende negare il soggetto,
aggiunge Donati, “al contrario, significa assumere che la relazione ha una sua
“radice” (o referenza, se si preferisce) non contingente, mentre essa si dispiega
nella contingenza (creando il mondo sociale)”70. L’esempio dell’ambivalenza
persona/comunità è chiarificatore in questo senso. La persona non è più vista
come parte nel tutto della comunità. Nell’epistemologia relazionale, la persona
diventa nello stesso tempo più dipendente e più autonoma rispetto alla
comunità, si inserisce sempre più in essa, ma al contempo la trascende, si
libera.
Dall’altro lato, l’osservazione che le forme primarie di vita sociale, come
la famiglia, in quanto relazione sociale (e non solo mera comunicazione, come
dice Luhmann), «eccedono» la società, è un altra prova della necessità della
relazione. “Dal punto di vista sociologico solo la relazione in se stessa è
necessaria, mentre il modo del suo dispiegarsi riflette l’effettiva contingenza del
mondo sociale, che è ‘così’, ma potrebbe anche essere ‘diversamente’ (...) se è
così, lo è perché la relazione, necessaria in se stessa, rende anche necessaria
l’esigenza delle determinazioni (le particolarità storiche), le quali però, in se
stesse, (...) sono contingenti ”71.
2.2. Paradigma relazionale
La sociologia relazionale però non si ferma a dire che tra le persone o, in
generale, fra gli attori della società c’è una relazione, ma osserva che c’è una
relazione tra le relazioni, quello che accade tra due persone ha un’influenza su
tutte le altre relazioni che accadono. L’insieme di queste relazioni è chiamato da
Donati lo chiama la rete, che “non è un insieme di individui in contatto fra loro,
ma è l’insieme delle loro relazioni”.72 Però, per capire cosa si intende con il
concetto di rete, dobbiamo ricordare quali sono i paradigmi precedentemente
elaborati per interpretare la realtà sociale nel suo complesso. Donati si rifà al
paradigma utilizzato da Luhmann nel suo approccio sistemico73. Ecco i tre
elementi fondamentali:
70
Ibid., p. 167.
Ibid., p. 168.
72
P. DONATI, Sociologia della relazione, p. 100.
73
P. DONATI, La società dell’umano, p. 173.
71
35
Il paradigma parte/tutto – che vede la società in analogia con il
a.
rapporto che c’è tra il corpo e i suoi organi;
Il paradigma sistema/ambiente – che parte dalla relazione che c’è
b.
fra «ruoli istituzionalizzati» e i processi «non-istituzionalizzati»;
Il paradigma dell’autopoiesi – una visione dell’auto-referenzialità
c.
della società, che viene così interpretata soltanto come frutto delle proprie
strutture e operazioni.
Tuttavia la sociologia relazionale non vede la società attraverso questi
paradigmi, anche se riconosce che ciascuna porta degli elementi essenziali
nell’analisi. Per essa, la rete è il paradigma che può offrire una visione piena,
che comprende tutte le dimensioni della relazione, e che sa che in essa è tutto
ancora da sviluppare. Il paradigma di rete proposto da Donati (i) nota che la
«cogenza sistemico-normativa» proposta dai primi due paradigmi non è la più
essenziale e che proprio a tal riguardo la società moderna produce
un’”allentamento e frammentazione delle relazioni sociali, con la fine della
socializzazione attraverso la «interiorizzazione dall’alto»”74; (ii) anche se vede la
necessità
dell’auto-referenzialità
nell’analisi
della
fenomenologia
sociale
proposta dal modello auto-poietico, si allontana da esso come modello
complessivo; (iii) si rende conto che gli attori non si muovono ‘a caso’, ma sono
condizionati dalle vie culturali esistenti ; (iv) vede la dimensione normativa da
una prospettiva di rete, “deve essere elaborata una teoria dei sistemi creativi di
regole sociali, retta da una «logica di rete», che è insieme strategica (cognitivostrumentale),
comunicativa
(espressiva,
dialogica)
e
normativa-valoriale
(generalizzazione di valori)”.75
2.3. Pragmatica relazionale
Partendo da un epistemologia e un paradigma relazionale, una teoria non è
completa se non produce frutti nella praxis. In questo senso, la sociologia
relazionale propone un approccio chiamato da Donati «intervento di rete», che
deve considerare quanto viene messo in pratica, per esempio nella politica
sociale o nei servizi sociali, le seguente cose:
74
75
Ibid., p. 177.
Ibid..
36
a)
nel mondo sociale non esistono soggetti ed oggetti «isolati», “ma
complesse trame relazionali in cui soggetti e oggetti si definiscono
relazionalmente, auto ed allo-poieticamente”76 (e qui Donati enfatizza
l’interpretazione non relativistica; si devono specificare le relazioni fra i sistemi
di riferimento);
b)
se i soggetti ed oggetti non sono isolati, l’intervento di rete deve
«operare sulla trama relazionale» in quale essi si trovano, cioè “considerando
gli altri soggetti e oggetti intorno, comunque rilevanti, e gli «effetti di rete» che le
azioni possono implicare”77;
c)
rendendosi conto che “esiste una relazionalità tra chi osserva e chi
è osservato, tra chi agisce e chi è agito”78;
Adesso vediamo nel concreto come l’intervento di rete riesca a cambiare
le cose. Donati propone una sequenza riflessiva basata su tre elementi:
l’osservazione relazionale (O), la diagnosi relazionale (D) e l’azione in sé come
guida relazionale (G). Quando parla dell’osservazione relazionale, Donati si
riferisce al fatto che ogni problema sociale esistente ha alla base una relazione
che crea il problema, quindi non è il fatto sociale in sé la causa, ma una serie di
relazioni che possono essere modificate. Nella seconda fase, deve avvenire la
diagnosi relazionale, che può essere fatta sia dall’osservatore in sé, sia dai
soggetti in relazione, sia da una terza parte e che consiste nel distinguere i fatti
sociali osservati in precedenza con alcuni critteri elaborati culturalmente, come
«normale»/«deviante»,
«soddisfacente»/«insoddisfacente»,
«fisiologico»/«patologico». E segue l’intervento concreto, la guida relazinale,
che è indirizzata verso la risoluzione dei problemi sociali prima verificati si come
devianti/insoddisfacenti/patologici. Tale cambiamento avviene se si modificano
le relazioni che stanno alla base, “cioè progettando un processo morfogenetico
che produca un mutamento del contesto relazionale così da realizzare uno
stato di cose più normale/soddisfacente/fisiologico di quello osservato in un
certo momento”79.
76
Ibid., p. 170.
Ibid.
78
Ibid.
79
P. DONATI, Sociologia della relazione, cit., p. 107.
77
37
3. La relazione sociale «molecola della società»
3.1. Significato di «molecola sociale» nella modernità
Come abbiamo detto prima, il fatto sorprendente nella prospettiva offerta da
Donati è che non viene dal di fuori della società che viviamo oggi. Non si stacca
della realtà per poporre una visione che si potrebbe realizzare se tutti fossimo
perfetti o se tutti pensassimo come lui. No, per Donati è proprio la società di
oggi che richiede l’approccio relazionale, che già da attenzione alla relazione.
Quindi per capire come avviene il passaggio verso una società relazionale,
dobbiamo fare una ricognizione delle basi di tale cambiamento, che per Donati
si possono trovare nella molecola sociale della modernità.
Cosa sono le molecole sociali? Sono le forme nelle quali il sociale tende
ad organizzarsi:
Il sociale tende a organizzarsi in “molecole”, le quali – se stabilizzate –
generano le strutture sociali che caratterizzano un contesto. Se entro in
un pub, il contesto sociale che trovo prevede certi scopi (non posso
chiedere di comperare una bicicletta), certi mezzi per ottenere gli scopi,
certe regole e certi valori, nonché certe combinazioni fra di essi. In
questo si concretizza la molecola sociale del pub, che può essere
ovviamente cambiata, nel qual caso la molecola sociale va incontro ad
una MGS80.
Se prendiamo la storia dell’umanità, possiamo vedere che nella società
dei raccoglitori, prevaleva una società organizzata su una “molecola tribale”,
“cioè in quel principio organizzativo della struttura tribale o clanica che è
totalizzante in quanto è uguale per tutti e non lascia margini di variabilità”81. Poi,
nelle società premoderne, la «molecola sociale» si «stratifica», e così ogni
strato sociale crea per sé una propria «molecola», diversa dalle altre (sono
diverse, osserva Donati, le relazioni sociali nello strato aristocratico da quelle
negli strati professionali e artigianali, come i medici, notai, falegnami).
Infine, che cosa succede nella modernità secondo Donati?
Le società moderne rompono le molecole degli strati sociali preesistenti,
e inaugurano un tipo di molecola sociale che, per qualità e poteri propri,
80
81
P. DONATI, Sociologia relazionale, p. 303.
Ibid., p. 304.
38
è completamente diversa rispetto a tutte le precedenti. Si tratta di una
molecola che tende ad annullare il suo carattere morfostatico. La forma
della molecola moderna è basata sul principio della continua
differenziazione funzionale come sua distinzione-guida. Il che significa
che assume il valore-guida della contingenza (il plurale) come valore
sovraordinato (che regola le condotte dei singoli e delle comunità nella
vita quotidiana) che apre alla massima variabilità possibile della relazione
sociale.82
La «molecola sociale» moderna, quindi, tende verso la pluralizzazione,
che si può tradurre, come visto nell’ esempio del pub, dal fatto che il suo valore
e la sua norma è in sé la MGS. E se è per la cellula di base della società lo è
anche per tutta la società in ogni sua espressione. Però in questo modo,
osserva
Donati,
la
molecola
sociale
“appare
come
una
aggregazione/combinazione di elementi che sono una sorta di «forma senza
forma», nel senso che le forme sociali rifiutano qualsiasi «canone», standard,
verità o identità univocamente definita”83. Quindi, proprio perché mette alla base
la libertà e l’uguaglianza dei suoi membri, come lo fa, la società moderna arriva
a non ritrovarsi più, a perdere la sua identità, a perdere il «senso di sé».
Per entrare più in profondità nell questione e per visualizzare meglio le
caratteristiche della molecola sociale, Donati si rifà al sistema AGIL.
G) lo scopo della relazione sociale è in se la pluralizzazione, la MGS,
però basato sulla differenziazione funzionale: “lo scopo situato della relazione
sociale è quello di selezionare una variazione come ampliamento delle
opportunità contingenti; per produrre la MGS la variazione deve essere liberata
da tutti i vincoli ascrittivi (ossia deve essere massimamente contingente – non
necessaria)84;
A) per arrivare ad una massima liberazione dai vincoli i mezzi devono
essere, anche se diversi, di tipo “denaro”, in quanto solo così tutti gli oggetti
diventano «equivalenti»; “di fatto il denaro e il trigger della relazionalità
tipicamente moderna, che rende in-differenti le relazioni sociali, facendo svanire
il loro carattere ascrittivo e la loro qualità intrinseca”85;
I) ritornando alla varietà, anche le norme devono contribuire solo a
questa, quindi “sono regole che debbono favorire la produzione di varietà,
82
Ibid.
Ibid., p. 305.
84
Ibid., p. 306
85
Ibid.
83
39
dunque tipicamente acquisitive, il che significa che valorizzano la competitività
anziché le complementarietà concomitanti”86;
L) “la distinzione direttrice della relazione sociale è la sua in-differenza
verso i valori”87. Il pluralismo viene creato solo attraverso dei valori che
cambiano sempre, ma che rimangono con una funzione equivalente, quindi, “la
cultura della società degli individui è caratterizzata dalla liquidità e dalla
decontestualizzazione delle relazioni e viene alimentata da una matrice
culturale (teologica) a-relazionale”88;
Figura 4 – La molecola sociale della modernità (con la sua matrice
“teologica” individualista)89
G
Selezione della varietà
(cambiamento della struttura o istituzione =
MGS per differenziazione funzionale)
Tecnologie
e condizioni
materiali
nell’ambiente
esterno
A
Mezzi di produzione
di varietà
(il denaro come
equivalente universale)
I
Norme per la produzione
della verietà (regole
di contraddzzione
competitiva)
L
Distinzione direttrice
della relazione sociale
è la sua in-differenza
Mondo delle realtà ultime
(matrice teologica della società =
la trascendenza è nell’individuo)
86
Ibid.
Ibid.
88
Ibid.
89
Ibid., p. 307
87
40
Tutto questo si può sintetizzare nell’affermazione di Luhmann, che vede
nel denaro la base della società e del continuo progresso di essa:
Una società che dà la primazìa istituzionale ai meccanismi monetari
(cioè, a livello sistemico, alla sua economia), si orienterà pertanto ad un
futuro “aperto” e si concepirà come progressiva (moving ahead)90
3.2. Significato di «molecola sociale» nell’epoca “dopo-moderna”
Donati a questo riguardo propone un’interessante rovesciamento. Proprio
perchè è solo il mezzo principale, il denaro non è il valore e neanche la norma
sul quale si costruisce la società moderna. Quello “che rende la società sempre
possibile altrimenti (...) è il valore (L) che viene attribuito alle relazioni sociali
nella molecola tipica della modernità, e alle norme sociali che ne conseguono.
È questo valore normativo che legittima l’uso del denaro come convertitore
universale”91.
Però in questo modo la società va verso un collasso, la molecola sociale
non resiste a lungo alle variazioni che mostrano di non avere un senso ben
delineato . Donati parla di un «breaking point» della società d’oggi – che è in
collegamento diretto con quello che si è detto all’inizio della ricerca – , “in cui gli
agenti/attori sperimentano crescenti fallimenti”92. Però, rifacendosi agli esempi
dei fenomeni inattesi (inizio del capitolo), osserva che attraverso questi è
proprio la società moderna a segnalare un punto di svolta, «turning point», “che
è indicato dalla formazione di un’altra molecola sociale, di tipo dopo-moderno, a
partire dalla sfera di latenza”93.
Quest’altra molecola sociale fa ripartire la società, sviluppandola in forme
nuove, in quanto non ha il suo principio strutturale nell’equivalenza monetaria,
ma in quella di tipo relazionale, che crea un MGS che non porta verso il
collasso. Sottolinea Donati, “le avanguardie sociali che operano questo
passaggio sono quelle che escono fuori dal campo governato dal principio
dell’equivalenza funzionale (monetaria). Esse modificano la molecola della
relazione sociale cambiando la combinazione degli elementi che la formano. Il
90
Ibid., p. 308 nota 28.
Ibid., p. 309.
92
Ibid.
93
Ibid., p. 310.
91
41
principio strutturale del passaggio alla dopo-modernità è quello di una molecola
sociale che rifiuta l’equivalenza funzionale”94. Vediamo, quindi, gli elementi
principali della molecola sociale di tipo dopo-moderno (Fig. 5):
G) lo scopo della relazione sociale diventa quello di “selezionare le
variazioni, secondo il tipo e grado di relazionalità che comportano, in vista di
beni detti relazionali”95;
A) tutti i mezzi, anche se diversi, devono facilitare la “produzione di beni
relazionali; debbono favorire una rete di scambi sociali che conferiscono agli
agenti/attori una identità soddisfacente”96;
I) in quanto alle norme, queste hanno il ruolo di sostenere la «metariflessività» e di ricercare una qualità che non sia sostituibile nelle relazioni
sociali;
L) se per la molecola moderna la distionzione guida era proprio
l’indifferenza verso i valori, per il dopo-moderno la distinzione si fa a seconda
dei “valori”, “ossia la relazione viene valutata in base all’esperienza significativa
che essa procura per differenza con altri tipi di relazioni”97.
Quindi se la società se ne accorge di questa situazione e promuove un
tipo di molecola sociale che non si basa sul principio funzionalistico il collasso
può essere evitato. Come visto prima, questo comporta un cambiamento nei
quattro elementi principali del sistema AGIL, la morfogenesi viene creata da reti
sociali basate su altri princìpi rispetto a quello funzionalistico, il denaro lascia
spazio a dei «mezzi generalizzati» di relazione sociale e “la struttura della
matrice culturale cambia per riconoscere e promuovere il valore delle relazioni
sociali come criterio distintivo della nuova molecola sociale, in cui i mezzi non
hanno più il primato funzionale. – e conclude Donati – La nuova molecola si
afferma se e nella misura in cui il primato della funzione adattativa (A di AGIL
nella Figura 5) è sostituito dal criterio di valore della relazionalità sociale”98.
94
Ibid., p. 311.
Ibid.
96
Ibid.
97
Ibid.
98
Ibid., p. 312.
95
42
Figura 5 – La molecola sociale della dopo-modernità (con la sua matrice
culturale relazionale)99
G
Selezione della varietà
(cambiamento della struttura o istituzione =
MGS per differenziazione relazionale)
Tecnologie
e condizioni
materiali
nell’ambiente
esterno
A
Mezzi di produzione
di varietà
(reti sociali come
equivalente universale)
I
Norme per la
produzione della
verietà (il senso non
fungibile delle relazioni
sociali)
L
Distinzione direttrice
della relazione sociale è
l’attribuzione di una
differenza significante
Mondo delle realtà ultime
(matrice teologica della società =
il trascendete è nella relazione)
4. Il soggetto relazionale e i beni relazionali
Parlando del passaggio dalla molecola sociale moderna a quella dopo-moderna
si potrebbe continuare con l’analisi dell’passaggio dalla molecola verso l’intera
società. Però prima di procedere è necessario comprendere a fondo ognuno
degli elementi dell’analisi. Ancora non abbiamo approfondito chi sono gli
attori/agenti della relazione sociale, i soggetti relazionali, e quali sono le
caratteristiche dei frutti del loro agire, i beni relazionali. Iniziamo con il soggetto
relazionale.
99
Ibid., p. 312.
43
4.1. Dal soggetto individuale al soggetto sociale
Fino ad ora abbiamo parlato degli agenti/attori/persone che interagendo danno
vita a una relazione sociale. Però è importante parlare di chi sono
concretamente questi soggetti individuali. Nel capitolo settimo del suo libro
Sociologia relazionale, Donati fa una distinzione chiara tra l’antropologia sulla
quale la sociologia relazionale si basa e gli altri approcci antropologici alla
relazione – come il soggettivismo, il positivismo (oggettivismo) o, nuovamente, il
relazionismo. Innanzitutto, per il realismo relazionale che lui sostiene, il
soggetto individuale non può essere ridotto alla sua “coscienza” di persona
umana, in quanto nessuno tra questi è una «monade isolata». Nello stesso
momento, sostiene che anche i pensatori relazionisti operano una riduzione
quando affermano la «priorità ontologica» della relazione sull’esistenza della
coscienza. Per il realismo relazionale, la coscienza e la relazione sono delle
realtà autonome e distinte, nessuna ha una priorità ontologica sull’altra, ma,
nello stesso momento, sono «co-costitutive», si sostengono e si influenzano
reciprocamente.
Coscienza e relazionalità sono co-costitutive. Ma non c’è priorità
ontologica dell’una sull’altra, perché esse esistono come realtà autonome
e distinte. La coscienza e le sue relazioni non emergono in maniera
simultanea (nel qual caso ci troveremmo di fronte ad una conflazione
centrale fra il soggetto e il suo contesto). Bensì emergono attraverso fasi
temporali diverse, in cui la coscienza e la relazione si influenzano
causalmente a vicenda.
La soggettività e il contesto esterno sono strati diversi di realtà che si
condizionano reciprocamente nel tempo”100
Ed è proprio per questo condizionamento reciproco nel tempo che
avviene tra la soggettività e il contesto esterno che, secondo Donti, la persona
umana non costruisce la sua identità personale solo attraverso la riflessione
interiore con se stesso, ma anche attraverso le relazioni e la riflessione su
queste stesse che essa ha con l’esterno («tutto ciò che è non-io»). E, di più, è
lo stesso Io che è coinvolto in entrambi i processi. Riguardo questo soggetto
Donati parla prima di tutto di soggetto relazionale: “In prima istanza parlo di
100
Ibid., p. 214.
44
soggetto relazionale in riferimento alla persona umana in quanto è colta nel
farsi di queste relazioni (con l’esterno). Nel momento in cui osserviamo
l’individuo umano in relazione ad altri vediamo un Io relazionale, che non solo
agisce ed è coinvolto come Self in queste relazioni, ma si ridefinisce
in/attraverso/con queste relazioni. (...) Molto probabilmente l’esito (della
riflessione nella/sulla/con la relazione come tale con l’Altro) consisterà nel
modificare le proprie deliberazioni personali che riguardano non solo le sue
relazioni esterne, ma anche la sua conversazione interiore (la sua identità
personale, non solo quella sociale)”101.
Per capire meglio, nel suo libro Donati fa l’esempio dell’orchestra, dove il
suonatore è un soggetto relazionale in quanto “riflette sulla/nella/e con la
performance dell’orchestra e su come tale performance possa essere migliorata
qualora i suonatori dell’orchestra si relazionino in modo diverso (e) cercherà di
modificare la performance dell’orchestra nel suo insieme”102. Questa per Donati
è la «meta-riflessività», diversa dalla riflessività «autonoma», dove il suonatore
riflette solo sulla sua prestazione, e dalla riflessività «comunicativa», dove il
suonatore riflette la sua prestazione in rapporto a quella dell’orchestra. Però,
quando ciascun suonatore riflette e si relazione in rapporto al direttore di
orchestra, che “rappresenta e interpreta la We-relation”103, allora la metariflessività fatta da una collettività, da un soggetto collettivo.
Come l’orchestra, tutti i gruppi di individui che si accordano in direzione
di certi obiettivi, su come arrivare ad essi e agiscono verso di essi assieme,
quindi «relazionalmente», in sociologia vengono chiamati “soggetti sociali”. Altri
esempi possono essere le coppie, le famiglie, le associazini volontarie, le
comunità locali, i movimenti sociali “in cui vi sia il senso dell’impresa comune
(co-munus, un compito condiviso”104. Però, cosa s’intende e con cosa è diverso
un soggetto relazionale?
101
Ibid., p. 215.
Ibid.
103
Ibid., p. 216.
104
Ibid.
102
45
4.2. Dal soggetto sociale al soggetto relazionale
Già riguardo al soggetto sociale abbiamo parlato del Noi, di una We-relation.
Tuttavia come tale – e tanto più come è stata pensata dalla sociologia fin’ora –
non è detto che essa venga compresa e attuata da parte dei membri o
dell’insieme di essi come una relazione (e una relazione intesa nel modo di
Donati), che faccia sì che il soggetto sociale diventi «soggetto sociale
relazionale». Lasciamo a Donati a spiegare più in dettaglio:
Introduciamo l’espressione “soggetto relazionale per indicare i soggetti
individuali in quanto “costituiti” relazionalmente, cioè in quanto
acquistano qualità e poteri attraverso le loro relazioni sociali, interne ed
esterne. L’espressione “soggetto relazionale” si riferisce sia al soggetto
individuale, sia al soggetto collettivo (sociale) in quanto riguarda il ruolo
che la relzione all’Altro gioca nel definire e ridefinire la propria identità,
sia personale (l’identità che l’Io ha di sé) sia sociale (l’identità che l’Io a
per gli Altri). Ovviamente ciò avviene in modi diversi a seconda che il
soggetto sia individuale oppure collettivo. Nel soggetto individuale, la
relazione all’Altro modifica la rete di relazione fra i membri del soggetto
collettivo e quindi i processi che portano al disccernimento, deliberazione
e dedizione del soggetto collettivo quando agisce come soggetto
collettivo.
L’espressione “soggetto sociale” indica un soggetto collettivo in quanto
costituito dalle relazioni interne fra gli individui che ne fanno parte e dalle
relazioni esterne che esso ha in quanto si esprime in un Noi. Tuttavia,
questo Noi non è una entità astratta, un puro simbolo, una idea, una
entità sovraimposta come una sorta di mente collettiva, e neppure una
intenzionalità uniforme (ogni Io interpreta l’intenzione comune in modo
diverso). Abbiamo un “soggetto sociale relazionale” allorché questo Noi
si configura come una relazione (We-relation)105.
Continuando, Donati avverte la difficoltà di descrivere ed estendere il
concetto di riflessività dal soggetto individuale al soggetto sociale relazionale.
Per adesso, ci limitiamo solo a capire come si identifica il soggetto relazionale.
Nel sottocapitolo successivo, dove parleremo del passaggio dal soggetto
relazionale dal livello micro al livello macro, ne evidenzieremo le condizioni
della riflessività del soggetto relazionale sociale.
105
Ibid., p. 217.
46
4.3. I beni relazionali
Riallacciandoci con quanto detto prima, i beni relazionali sono il frutto dei
soggetti relazionali, quello che viene creato da essi. Per Donati, questi sono,
storicamente, frutto anche del superamento della dicotomia della modernità,
che separava i beni tra pubblici e privati. Prima, nell’epoca delle società
tradizionali, non si potevano intendere i beni relazionali come
riusciamo a
intenderli oggi, proprio perché le relazioni tra i membri dei gruppi, comunità,
erano «ascrittive» e «assimmetriche». Quindi, i beni relazionali sono quelli che
non sono né privati, né pubblici, che non hanno un singolo proprietario e non
appartengono neanche ad una collettività. I beni relazionali, secondo Donati,
“sono i beni della socievolezza umana (della relazionalità sociale), beni cruciali
per l’esistenza della stessa società, la quale non potrebbe sopravvivere senza
di essi. Se questi beni vengono ignorati, rimossi o repressi, tutto il tessuto
sociale viene impoverito, mutilato, privato di linfa vitale, con gravi danni per le
persone e l’organizzazione sociale complessiva”106.
Vediamo quindi quali sono le condizioni che producono i beni relazionali
come linfa vitale della società107. Prima condizione è che esista una identità
personale e sociale dei partecipanti; il bene relazionale non può avvenire tra
anonimi, in quanto le azioni intraprese dai soggetti devono riferirsi alla identità
personale e sociale di ciascuno. Poi, la secondasi riferisce al fatto che i soggetti
devono avere una motivazione non strumentale, il primo bene ricercato,
l’interesse primo, deve essere il “bene inerente alla reciproca relazione come
bene in sé”108 e non un altro scopo strumentale. Nello stesso momento, la
condotta deve essere ispirata alla regola della reciprocità, anche se non
imposto come un «do ut des», lo scambio tra i partecipanti “implica che Ego dia
ad Alter ciò di cui Alter ha bisogno o che può fargli piacere, sapendo che Alter
farà lo stesso appena potrà”109. Tra le caratteristiche di un bene relazionale
troviamo anche la piena condivisione, che riguarda il fatto che i partecipanti
producono il bene relazionale solo se “lo generano e lo godono insieme,
106
Ibid., p. 159.
Ibid., p. 164.
108
Ibid.
109
Ibid.
107
47
nessuno può produrlo da solo o può chiedere agli altri di produrlo senza di lui,
anche solo temporaneamente”110. È vero però, che c’è bisogno, in generale, di
una elaborazione nel tempo (registro relazionale o storico del tempo), in quanto
“non è sufficiente una semplice interazione momentanea, per esempio un atto
di simpatia o empatia reciproca”111 e di una una riflessività che operi
relazionalmente, come visto nell’esempio del soggetto relazionale “la riflessività
è richiesta per far sì che l’identità, la reciprocità e la condivisione siano agiti per
riferimento al bene della relazione (in quanto tale) che deve essere prodotta e
fruita dai partecipanti”112.
E quali sono le qualità di tali beni113? Il bene relazionale è un effetto
emergente, come la relazione in sé, quindi non è una semplice somma degli
elementi messi in gioco da parte dei partecipanti, ma è una combinazione di
essi ed è “un terzo che eccede i contributi dei soggetti coinvolti, e che in certi
casi poteva non essere stato previsto o pensato come intenzione iniziale” 114.
Questo non può essere acquisibile altrimenti che nella relazione sociale, “non
può essere scambiato o sostituito da nient’altro, in particolare non può essere
comprato con il denaro e non può essere prodotto con il comando o la
legge”115. In conclusione, possiamo dire che il bene relazionale, è un modo si
soddisfare i bisogni primari delle persone e dei gruppi sociali, “bisogni che
hanno a che fare con la socievolezza, senza la quale gli individui sarebbero
delle monadi incapaci di autorealizzarsi e di essere felici116.
Ricordiamo anche il fatto che, per Donati, la relazione sociale non è un
mito e non vuol portare forma di ideologia. Per questo, dobbiamo renderci conto
che la relazione sociale può portare anche dei mali relazionali, i quali sono
costruiti non rispettando uno o più di queste condizioni e che non hanno una o
più di queste qualità. “Sopratutto, il male relazionale è oggi connesso a quelle
forme patologiche di riflessività che vengono designate come riflessività
bloccata, impedita o fratturata”117, conclude Donati.
110
Ibid., pp. 164-165.
Ibid., p. 165.
112
Ibid.
113
Ibid.
114
Ibid.
115
Ibid.
116
Ibid.
117
Ibid.
111
48
5. La relazione sociale dal locale al globale
Dopo aver fornito una panormaica sulla natura delle relazioni sociali, dobbiamo
adesso provare a descrivere e analizzare come avviene il passaggio, nella
visione di Donati, della relazione sociale costruita nel piccolo gruppo (coppia,
gruppo di amici, associazioni) a quella costruita al grande gruppo, fino ad
arrivare all’intera umanità.
5.1. La globalizzazione delle relazioni sociali
Oggi assistiamo al processo più complesso che l’umanità abbia mai vissuto,
dove tutto ciò che implica una persona ha delle influenze, anche dirette, in tutto
il mondo. La globalizzazione mette di fronte all’individuo non solo la propria
famiglia, il proprio ambiente, il proprio quartiere, o il proprio posto di
lavoro/studio, ma tutto il mondo. Per capire come possiamo reagire di fronte a
un tale processo, che coinvolge tutti, è importante analizzare quello che
succede alle fondamenta della società. Come abbiamo visto fino ad ora, Donati,
è convinto che il fondamento si trovi nelle relazioni sociali tra individui e tra
soggetti sociali, istituzioni in generale. E’ importante capire, quindi, come
avviene il passaggio di queste relazioni dal livello micro al livello macro.
Per Donati, la globalizzazione (positiva, direi) delle relazioni significa che
lo stesso tipo di relazioni che accadono tra noi e la nostra famiglia o amici,
come le abbiamo analizzate prima, devono esistere anche tra i soggetti sociali
globali, “le relazioni tipiche della società che si apre davanti a noi devono
rigiocarsi globalmente (in A-G-I-L)”. Come? “Attraverso tre processi: accresciuta
interazione fra le componenti interne dell’azione; crescente scambietà con
l’esterno (per ogni tipo di relazione: lavoro/non-lavoro, famiglia/non-famiglia...);
trascendenza delle relazioni che vengono create”118. Gli stessi processi devono
avvenire anche per i singoli codici simbolici (denaro, potere, influenza, valuecommitment o impegno al valore). E cosa succede veramente? Un nuovo
ordine simbolico (Figura 6). “Le stesse categorie-base del tempo e dello spazio
diventano relazioni sociali; in quanto relazioni sociali, anche i mezzi simbolici
118
Ibid., p. 70.
49
generalizzati di interscambio vengono sottoposti alle dinamiche relazionali: della
pluralizzazione (che non è solo differenziazione strutturale con generalizzazione
simbolica), della cibernetica relazionale, della sovrafunzionalità (anziché
specializzazione funzionale – Parsons) del senso. Queste tre caratteristiche
ridefiniscono la latenza dei modelli di valore (L) come altra rispetto a quella
della modernità (in sociologia e nella società). Un altro che non è contingenza
alla maniera di Luhmann, ma un altro relazionalmente possibile”119.
Figura 6 – Le parole-chiave del moderno vs trans-moderno120
Moderno
Trans-moderno o globale
Progresso lineare e indefinito
Sviluppo sostenibile e delimitato
Sfruttamento dell’ambiente (spirito
faustiano)
Società come sistema dialettico fra
Stato e società civile
Stato nazionale
Costituzionalizzazione politica
Ecologia umana
Società come reti di reti
Società multiculturale
Costituzionalizzazione civile delle
sfere private
Nella società contemporanea, la relazione sociale globalizzata è
“despazializzata, detemporalizzata, astratta e sistemica anziché interpersonale
e faccia-a-faccia, fatta di realtà virtuale (virtualmente reale) anziché essere fatta
di realtà concreta e situata (esperita)”121. In questo modo, la società
globalizzata, secondo Donati è più instabile e caotica, dove la pluralizzazione
che porta una grande diversità di possibilità viene risolta attraverso il
selezionamento e la riduzione relazionale. Però, è da evidenziare, secondo
Donati, il fatto che quando si parla di globalizzazione non si indica il sistema
societario nel suo complesso, ma spesso si tralascia l’importante dimensione
119
Ibid., p. 71.
Ibid.
121
Ibid.
120
50
del “locale”. Perciò, “quando i bisogni percepiti sono “locali”, non per questo
viene a mancare il carattere globale, ma quest’ultimo prende senso e
configurazione nell’assetto locale e si realizza come combinazione fra locale e
globale, ciò che è stato chiamato glo-cale”122.
Quindi, nel mondo globalizzato le relazioni possono essere valorizzate
nella misura in cui la differenza non è vista come qualcosa di negativo, ma in
quanto possibilità di relazionarsi a un altro. Nel mondo moderno l’integrazione
sociale e la differenziazione venivano separate: secondo Donati, invece, si può
procedere altrimenti. Si può avere una differenziazione ed una inclusione
relazionale, dando vita ad una «società in rete», che “è l’effetto emergente della
rete delle società locali non più definite in base al terittorio, ma ai codici
simbolici e comunicativi che le regolano”123. Di conseguenza la società
relazionale che nasce è un intreccio tra il locale e il globale, sostiene Donati,
“generando contesti di vita in cui è decisiva la qualità dei pattern relazionali che
prevalgono nelle sfere sociali che li cosituiscono”124.
5.2. Il passaggio dal livello micro al livello macro
Per analizzare questo passaggio è necessario ritornare agli soggetti sociali,
essendo loro gli attori principali di tale passaggio. Innanzitutto, dobbiamo capire
meglio come possono essere classificati. Secondo Donati (perché chiaramente
possono essere elaborate anche altre categorie), i soggetti sociali si possono
classificare secondo il livello, il tipo e il grado di mediazione delle relazioni
intraprese dal soggetto. Ci sono tre livelli: micro, meso e macro; quattro tipi di
mediazione: le mediazini nelle sfere familiari, di parentela, amicizie, conoscenze
di mondo vitale (che appartengono al livello micro); le mediazioni nelle sfere
delle associazioni volontarie di società civile; le mediazioni nel mercato
economico (entrambi appartengono al livello meso); le mediazioni nella sfera
del sistema politico-amministrativo e i suoi apparati (livello macro); e diversi
gradi di mediazioni, da minimi (rapporti diretti face-to-face) a massimi (relazioni
indirette iper-mediate, come nei movimenti sociali di massa)125.
122
Ibid., p. 72.
Ibid., p. 74.
124
Ibid.
125
Ibid., p. 222.
123
51
Però come avviene questo cambio di paradigma nella società, da una
società moderna ad una società trans-moderna, da una società basata su
funzioni e struttura ad una società basata sulle relazioni sociali? E ancora,
come avviene e qual’è il punto di partenza del passaggio dalle relazioni tra
pochi a quelle tipiche del mondo globalizzato, tra tanti o adiritura tra tutti gli
uomini, come nell’intento dell’United World Project? Per Donati è chiaro. Anche
se, come visto prima, c’è un intreccio tra locale e globale, la priorità deve
cadere al fondamento della società che è rappresentato dagli individui e dalle
relazioni alle quali essi danno vita nel campo di azione diretta. Il cambiamento
deve partire dal basso, “si può parlare di una riconversione della società civile
se la pensiamo come promozione dal basso di un tessuto di relazioni sociali
che non rispondono a imperativi di prestazioni funzionali e a criteri di
equivalenza monetaria, ma all’esigenza di creare beni relazionali”126.
E proprio partendo dal basso, nello sviluppo di una tale nuova società, ci
si renderà conto che c’è una «circolarità» e una «continuità» tra il livello micro e
il livello macro (tra di loro il livello meso). Questo cirolarità e continuità negli
studi e negli approcci precedenti era addiritura negato. Gli studi mostravano il
contrario. Però, le ricerche di Donati127 fatte sul capitale sociale primario,
secondario e generalizzato128 (che possiamo collegare con il livello micro, meso
e macro) mostrano una chiara continuità e interdipendenza fra i vari livelli:
una ricerca sull’Italia ha mostrato l’esistenza di una continuità fra capitale
sociale primario, secondario e generalizzato. (...) Da tale indagine risulta
che il capitale sociale familiare e comunitario è correlato positivamente
con quello associativo e con quello generalizzato, e concorre alla
valorizzazione dei beni pubblici. La relativa continuità delle diverse forme
di capitale sociale indica che esistono significative interdipendenze e
sinergie reciproche. Ma ciò si vede solo se si adotta una prospettiva
relazionale di analisi sociologica129.
126
Ibid., p. 96. Nel capitolo 2 del suo libro, Donati fa un’ampia analisi della riconfigurazione della
società dal punto di vista della sociologia relazionale, che non fa il punto della nostra ricerca, in
quanto vogliamo concentrarci sul passaggio dal livello micro al macro.
127
Ibid., p. 140 nota 8.
128
“La tesi della sociologia relazionale che io sostengo afferma che il capitale sociale genera e
valorizza i beni pubblici attraverso il valore sociale aggiunto delle relazioni che lo caratterizzano”
cit. in P. DONATI, Sociologia relazionale, p. 137; per approfondimenti cf. Ibid., pp. 137-144, 152154; P. DONATI, Che cos’è e come opera il capitale sociale secondo la sociologia relazionale, in
Quaderni di Teoria Sociale, n. 10 (2010), pp. 268-314.
129
P. DONATI, Sociologia relazionale, p. 140-141.
52
Vediamo allora come avviene concretamente secondo Donati questo
passaggio, analizzando alcuni esempi per ciascun livello.
a. Livello micro: la coppia e le relazioni informali.
I requisiti perché il soggetto sociale relazionale (in questo caso la coppia)
avvenga sono130:
(1) Ego debba “vedere la relazione” con Alter e viceversa; “vedere”
significa considerare la relazione come una realtà distinta dal Self; (2) ciò
significa che la relazione Ego-Alter non deve essere semplicemente
considerata come una proiezione di Ego su Alter (come fa E. Husserl),
né come aspettativa che Ego ha verso i pensieri di Alter e viceversa; (3)
la relazione deve essere definita come un “Noi”, laddove il Noi è una
relazione e precisamente è il bene (o il male) relazionale di Ego e Alter,
non è un’entità esterna che li sovrasta e a cui essi appartengono per
mera identificazione o addiritura per subordinazione; (...) (4) il “Noi” deve
essere “simboleggiato” (Ego e Alter affermano di essere una coppia e
spesso la qualificano in manniera specifica), anche se il simbolo viene
interpretato con pensieri e significati diversi da Ego e da Alter. Il simbolo
indica la realtà della relazione (Noi, e non-Loro o non-Essi) – è una
indicalità –, in modo tale che ciò che il Noi da o deve fare (per esempio
pranzare assieme, trascorrere assieme la vacanza, fare una passeggiata
assieme) è definito e vissuto come una relazione (azione reciproca); (...)
(5) il “Noi” nasce dalle interazioni fra Ego e Alter e si riflette su di essi,
diventando parte della loro identità personale e sociale, condizionando il
loro agire, come viene sinteticamente illustrato in uno schema che
presenta il caso della coppia formata da Davide e Elena”131 (Figura 7).
Quindi, in questo caso parliamo di soggetti relazionali personali, in quanto
parliamo di Ego (Davide) e Alter (Elena) come agenti/attori della relazione, e di
soggetto sociale relazionale, in quanto parliamo della coppia, la We-relation che
si crea dalle loro relazioni.
130
131
Ibid., p. 224.
Ibid., p. 226.
53
Figura 7 – La We-relation (bene relazionale) di una coppia (Davide e
Elena)132
We-relation/BR=bene relazionale
(O=andare in vacanza assieme)
Contesto sociale
di Davide
SD
SE
Davide
OE’
OD’
OD
OE
’
Contesto sociale
di Elena
Elena
Legenda
BR = bene relazionale come we-relation
O = Oggetto (la coppia come we-relation in azione, che genera un bene
relazionale, ad esempio andare in vacanza assieme)
SE = elena come vista da Davide (come lui la pensa)
OE’ = l’Ogetto come Davide pensa che Elena lo veda
OD = l’Oggetto come è visto da Davide
SD = Davide come visto da Elena (come lei lo pensa)
OD’ = l’Oggetto come Elna pensa che lo veda Davide
OE = l’Oggetto come lo vede Elena
b. A livello meso: le associazioni volontarie
Innanzitutto, osserva Donati, non dobbiamo considerare il livello meso
come una semplice estensione del livello micro. La questione è più complessa:
(1) La prima differenza consiste nel fatto che le interazioni fra gli N
membri sono moltiplicate a dismisura; (2) di conseguenza, il livello delle
relazioni che emergono dalle singole interazioni fra gli N membri creano
dei problemi nella definizione del We, problemi che emergono a livello
meso; (3) siamo in presenza di un soggetto sociale relazionale se e solo
se gli N membri della associazione fanno emergere dalle loro interazioni
un medesimo We; (4) questo processo porta a descrivere l’associazione
come una rete di nodi (gli N membri) che hanno certe relazioni fra di loro,
le quali devono convergere verso (produrre) un medesimo We; (5) se
siste o meno un soggetto sociale relazionale costituito dagli N membri
132
Ibid., p. 227.
54
dell’associazione dipende da come opera la loro rete di relazioni (interna,
ma chiaramente relazionata all’esterno); (6) il caso più semplice è quello
in cui il livello intermedio (meso) delle relazoni verticali create dalle
relazioni orizzontali viene assorbito da simboli totalizzanti, come accade
nei movimenti di massa (per esempio ecologisti, femministi, gay, no
global, pacifisti...). Quando il simbolo che accomuna il Noi è più opaco
(per esempio nel caso del simbolo della pace, rispetto a simboli più
precisi il grado di inquinamento ambientale o il sesso fisico) diventa più
difficile che si crei un soggetto relazionale (per esempio i movimenti
pacifisti sono molto divisi fra loro, perché ciò che li accomuna è un
obiettivo perseguito con significati e intenzionalità diverse a seconda
delle ideologie o posizioni politiche degli N membri)133
Quindi, i requisiti perché ci concretizzi un soggetto sociale relazionale
sono almeno due (e valgono anche per le organizzazioni per profit o
cooperative):
Il simbolo dello We deve essere comune, ma non nel senso di essere
inteso e interpretato nell’identico modo dagli N membri, bensì in quanto è
rappresentato e percepito come compito comune (co-munus) che
consiste nell’avere e stare in una certa relazione (la We-relation): il
compito consiste nell’adempiere il munus assieme, cioè relazionalmente,
riferendosi l’uno all’altro nella rete che li lega; nelle interazioni fra gli N
membri, sia a livello interpersonale (livello micro) sia a livello delle
relazioni emergenti a livello meso, il loro We deve essere agito come la
relazione che lega/connette gli N membri nella impresa comune134
È interessante ed è importante sottolineare, per la nostra tesi, il fatto
espresso da Donati che uno dei casi in quali non viene all’esistenza il soggetto
sociale relazionale è quando i membri cercano a dominare sugli altri. “In questi
casi il livello meso si immunizza dal livello micro delle relazioni primarie”135,
conclude Donati, e quindi non c’è più né continuità e né circolarità, che
entrambe necessarie.
133
Ibid., p. 229-230.
Ibid., p. 230.
135
Ibid., p. 231.
134
55
Figura 8 – Il soggetto sociale relazionale a livello meso136
Noi
(We)
Livello
B
A
meso
C
...
N
c. A livello macro: istituzioni pubbliche
Anche se secondo Donati è molto difficile e improbabile – anche per la
distanza fra i membri, che per le condizioni molto particolari che sono
necessarie – che a livello macro si dia un soggetto sociale relazionale (lo Stato
e i suoi apparati, le autorità locali, la Chiesa, gli organismi internazionali, come
l’ONU, o sovranazionali, come l’UE, ed altri), lui considera che può avvenire
solo se si realizzano le condizioni di uno stato nascente della istituzione. Scrive
Donati, “dal punto di vista teorico, le condizioni sono quelle che realizzano la
interpenetrazione fra l’integrazione sistemica e l’integrazione sociale della
istituzione. Ciò significa che i meccanismi sistemici vengono agiti con senso
soggettivo dai partecipanti all’interazione e non operano come mere funzioni
sistemiche o dispositivi automatici.
Per esempio, è noto che i buchi strutturali (structural holes) di una rete
sociale creano dipendenza in quei nodi (quelli più isolati) che sono mediati nelle
loro relazioni da altri nodi chiamati brokers (quelli pù connessi). Possiamo dire
che si genera uno stato nascente della rete allorché un broker della rete
strutturale, anziché limitarsi a mediare fra i nodi isolati che connette, cerca di
metterli in relazione fra loro. In tal caso, cambia il contesto in cui si trovano i
nodi isolati, ricevono maggiore spazio e potere, è favorito il loro contatto diretto,
che riduce le asimmetrie. Ciò implica che il broker modifichi i poteri
condizionanti che ha sui nodi isolati, cioè modifichi il suo ruolo di
136
Ibid., p. 229.
56
intermediazione. Lo stato nascente consiste nella redistribuzione del potere
(empowerment) ai nodi più deboli.”137
Conclusione
Anche se Donati dà un verdetto abbastanza pessimista in quanto riguarda la
possibilità che il livello macro diventi un soggetto relazionale, pensiamo che non
tutte le strade siano sbarrate. Già lui dava delle chance, anche se poche,
parlando di certe condizioni che questo avvenga. Con questo lavoro vogliamo
andare più a fondo e considerare quelle poche chance. Già il sottolineare che
una parte consistente della società attuale va verso un modello di socialità che
mette alla base la relazione sociale, considerandola un fenomeno complesso e
arricchendo sempre il suo valore e senso, è di fondamentale portata. Questo
perché l’elemento primo, per una trasformazione della società, è lo spazio della
relazione tra i diversi soggetti della società intesa come qui – non perché non
possono essere altre interpretazioni. È il punto di partenza come abbiamo visto,
è l’humus fertile nel quale possono fiorire le tanto desiderate forme del sociale
che corrispondano ai bisogni reali e primari delle persone e del loro agire.
Ritorniamo al fatto che, in senso sociologico138 e nella visione di Donati
che addottiamo, non è in sé la relazione che porta tale trasformazione, ma
proprio il tipo di relazione che costruiscono gli agenti attraverso le loro azioni,
più in concreto, attraverso gli elementi che mettono dentro la relazione. È molto
importante accentuare questo fatto in quanto si riferisce all’esperienza
quotidiana di ciascuno di noi. Già nel piccolo sperimentiamo come la
trasformazione può prendere una direzione negativa in tanti dei nostri rapporti.
Allora la domanda da farci è sul come dobbiamo relazionarci perché la
trasformazione, partendo dal livello micro, sia positiva. Cercheremo delle
risposte lasciando che sia la nostra essenza, il nostro essere umani a offrirci
delle piste. Per questo accediamo adesso al livello ontologico del discorso.
137
Ibid., p. 234.
Vedremo più in avanti come cambia la prospettiva quando parliamo della relazione dal punto
di vista ontologico.
138
57
Capitolo terzo
IL FONDAMENTO TEOLOGICO DELLA RELAZIONE
Introduzione
A partire dai problemi del mondo di oggi, si è affrontato il tema della relazione in
chiave sociologica, rifacendoci in particolare alla sociologia relazionale di
Pierpaolo Donati. Come si è visto, egli sostiene che la relazione sia il
fondamento della società, per cui quest’ultima varia a seconda del tipo di
relazione che viene attuata.
Tutte le teorie sociologiche – e di questo è cosciente anche Donati –
hanno alla base un’ontologia che varia a seconda dell’approccio che si desidera
seguire. Donati nella sua ricerca si rifà all’ontologia sociale del realismo critico
relazionale: “La sociologia relazionale è pragmatica, ma non pragmatista. E ciò
perché la sua ontologia sociale è quella del realismo critico e analitico, non
quella del costruzionismo”139. E ancora,
per comprendere e spiegare che cosa sia e come operi il soggetto
relazionale, è necessario adottare il realismo relazionale. Se si adottano
altre ontologie sociali e/o altre epistemologie, non si riesce a cogliere il
soggetto relazionale, che rimane preda della soggettività degli individui
oppure delle strutture sistemiche140.
Se dunque vogliamo cogliere nella sua interezza il pensiero di Donati,
oltre alla necessità di un realismo relazionale, è necessario sviluppare
un’ontologia che segua la medesima impostazione.
139
140
P. DONATI, Sociologia relazionale, p. 37.
Ibid., p. 240.
58
Lungo la storia, sono state diverse le ontologie alle quali l’uomo è ricorso
per spiegare la sua esistenza141. Partendo da una visione conflittuale del
mondo, come nei miti greci, nella Teogonia di Esiodo o nella colpa di tutte le
cose pensata da Anassimandro, che proponeva un’ontologia conflittuale della
persona e della relazione, si è arrivati poi con Socrate, Platone e Aristotele ad
un ontologia dialogica, dove la verità si ricerca attraverso le relazioni con gli altri
nella comunità filosofica. Oggi possiamo dire, così come Donati osserva, che
l’uomo non pienamente conscio di tutto ciò che la persona nella sua
complessità è, si è avviato verso un’individualismo esagerato, tornando
concretamente e senza dubbio alla visione conflittuale dei miti greci, dove
anche il nichilismo, espressione culmine della modernità, trova le sue radici.
Oggi, l’uomo si rivolta, arriva anche a rinunciare all’esercizio della sua volontà o
della sua ragione (l’indifferentismo contemporaneo). Sente che non è questa la
via, però non vede alternative valide. È in un dubbio esistenziale. Quindi, oggi
parliamo, sì, di un’ontologia che ha come centro la relazione ma che si
caratterizza piuttosto un’ontologia anti-relazionale, nella forma del rifiuto della
relazione.
E quale potrebbe essere un’ontologia relazionale che può reggere di
fronte alla situazione contemporanea? La proposta della presente ricerca è di
volgere lo sguardo verso un’ontologia relazionale trinitaria. Essa può offrire
un’analisi più profonda, senza escludere quell’ontologia del realismo critico
proposta da Donati.
1. Da un’ontologia relazionale a un’ontologia trinitaria
Nel capitolo precedente abbiamo parlato di una sociologia relazionale e
abbiamo descritto ciò che Donati intende quando parla di relazione sociale. Ci
siamo fermati su una domanda alla quale vogliamo dare una risposta, o almeno
abbozzare una pista di riflessione, in quanto l’intenzione non è quella di criticare
Donati. Anzi, siccome anche il suo attegiamento è aperto verso un continuo
crescere e un continuo rigenerarsi della relazione sociale, anche il nostro vuol
141
Mi rifaccio così al corso dell’Ontologia della persona e della relazione proposto dal prof.
Antonio Maria Baggio presso l’Istituto Universitario Sophia.
59
essere un contributo verso questa crescita. Quindi, torniamo all’affermazione di
Donati la quale sosteneva che la relazione sociale non è “un soggetto in sé e
per sé”142, ma che questa ha solo una realtà propria e particolare. Il nostro
contributo vuole sviluppare proprio quest’aspetto. Con le considerazioni
seguenti intendiamo offrire una forma più concreta alla relazione sociale,
proprio come soggetto in sé e per sé. In tal modo, il progetto della sociologia
relazionale può diventare più efficace.
Ci rifacciamo a quanto detto da Donati sui movimenti sociali che si
appellano a dei grandi valori e che rischiano dinon essere “efficaci nel generarla
perché non vedono come dare forma alla relazione sociale che deve realizzare
quel valore”143. Era una tra le due condizioni perché un soggetto sociale
potesse creare una morfo-genesi sociale. E allora, se il nostro contributo
desidera fortificare le fondamenta teoretiche della relazione sociale, questo
significa far crescere, con le parole di Donati, l’efficacia della sociologia
relazionale. Un tale aumento della efficacia sarà, in questo caso, dovuto al fatto
che a generare una trasformazione della società non sarano solo le persone e
le istituzioni e le relazioni che esse generano, relazioni però intese appunto
senza una soggettività. In Donati, proprio perché non sono soggetti, le relazioni
hanno un ruolo passivo in tale trasformazione. Però, se la relazione conquista
una soggettività, andrà oltre un ruolo passivo, acquisendo anche un ruolo attivo.
Però, come osserva Piero Coda, prima di domandarci quali contributi
porterebbe l’ontologia trinitaria, è bene rivolgere lo sguardo verso “il dove, anzi,
il da dove io guardo, interpreto e vivo la realtà”144 e quindi anche alla relazione.
Il luogo per un’ontologia trinitaria, come sostiene Coda, viene mostrato da Gesù
Cristo con la sua vita e esperienza,
Gesù di Nazareth guarda le cose da una peculiare prospettiva, e cioè a
partire da un luogo preciso – quello che condivide con l’Abbà, il Padre, e
ciò, per i suoi dicepoli, diventa esperibile, in qualche modo, nella sequela
comunitaria di lui durante la sua vita, e soprattuto, e in modo specifico,
dopo la sua morte da crocifisso e la sua resurrezione145.
142
P. DONATI, Sociologia relazionale, cit., p. 219.
Ibid., p. 121.
144
P. CODA, L’ontologia trinitaria: che cos’è?, in Sophia, anno IV, n. 2 (2012), p. 161.
145
Ibid.
143
60
Questo luogo, quindi, nel quale Gesù vive e dal quale interpreta tutta la
realtà
è determinato e descritto, appunto, dall’agàpe di Dio/Abbà comunicata al
Figlio nel soffio di vita e di libertà dello Spirito Santo: agàpe che tutto
vede, orienta e plasma da dentro e da sotto – come agàpe, appunto, che
viene da Dio, anzi che è – agli occhi e nell’esperienza di Gesù – l’essere
più intimo di Dio stesso, in sé e in noi (cf. 1Gv 4,8.16)146.
Questo luogo, si esprime Coda, non è altro che il seno del Padre, la
Trinità stessa, “dove l’essere si apre e si comunica in chiarezza evidente per ciò
che è – agàpe”147. E allora se abbiamo chiarito il luogo dal quale si interpreta
tutta la realtà, l’ontologia trinitaria secondo Coda, in senso largo,
designa ogni interpretazione della realtà che – esplicitamente o anche
solo implicitamente – muova dal luogo entro cui l’evento di Gesù Cristo ci
ha attirati. Dico esplicitamente o implicitamente: perché, per la fede
cristiana, l’evento di Gesù Cristo ha portata universale, così che tutti vi
partecipano, benché in modi diversi, anche indipendentemente dalla
conoscenza e dall’adesione di fede148.
In senso stretto, l’ontologia trinitaria è “quella specifica interpretazione
dell’essere in quanto essere che scaturisce dalla presa di coscienza
formalmente istitutita del luogo in cui Gesù ci ha attirati tenendo conto della sua
rilevanza propriamente ontologica”149.
Però è molto importante sottolineare insieme a Coda il fatto che
l’ontologia trinitaria è in sé uno spazio aperto, dove tutte le altre interpretazioni
possono trovare posto e collegarsi tra loro. In questo senso l’ontologia trinitaria
non si può comprendere pienamente, secondo Coda, senza
la sua intrinseca e ineliminabile pluriformità. (...) Eppure, precisamente
per questo fatto, perché guarda al centro dell’identità e a partire dal
centro dell’identità cristiana, un’ontologia trinitaria è chiamata, per essere
se stessa, e cioè trinitaria, ad avere la massima estensione e la più
universale apertura. (...) Il luogo di un’ontologia trinitaria non è uno
spazio chiuso, fortificato, escludente. È piuttosto, per sé, un luogo di
luoghi, un luogo che è tale – e cioè trinitario – se sa essere
146
Ibid., p. 162.
Ibid.; per esplicazione fenomenologica e ontologica del concetto di agàpe cf.: P. CODA,
L’agape come grazia e libertà. Alla radice della teologia e prassi cristiana, Città Nuova, Roma
1994.
148
P. CODA, L’ontologia trinitaria: che cos’è?, cit., p. 165.
149
Ibid.
147
61
continuamente e sempre di nuovo aperto, visitato e provocato da altri
luoghi, e cioè da altri punti di vista e prospettive 150.
Adesso entriamo nell’analisi più dettagliata di un’ontologia trinitaria per
poi capire meglio come la relazione sociale può avere una soggettività. Come
riferimento ci concentreremo sulla ricerca sviluppata da Piero Coda e in
particolare sulla sua relazione dal Seminario Interdisciplinare “La relazione
sociale: teoria e potenzialità nel dibattito con la filosofia e la teologia”, Trento,
12-13 dicembre 2014.
2. I prodromi di un’ontologia trinitaria
Nella sua ricerca Piero Coda evidenzia come l’ontologia trinitaria non sia una
scoperta del ventesimo secolo, ma si fondi, anche se in modo implicito, nel
pensiero di grandi autori della tradizione cristiana, in cui è stata affermata la
centralità della relazione nell’ ”essere trinitario di Dio così com’è stato rivelato in
Gesù”151. Prima di introdurci in alcuni pensatori della tradizione, è bene
premettere due precisazioni.
La prima, osserva Coda con le parole di Erik Peterson, è l’esigenza che il
concetto della Trinità abbia «un suo proprio sviluppo concettuale». Un tale
sviluppo porta decisivamente un’«innovativa semantica della relazione». Però
questo porta con sé – ed ecco la seconda precisazione:
che l’evento della rivelazione cristologica – che non diventa apprezzabile
se non nella corrispondenza della fede – è per sé un fatto realistico, e
cioè un evento fenomenologicamente rilevabile e pregno di un senso e di
una verità interpellanti la libertà e l’intelligenza umana. Come dice San
Tommaso: «actus fidei non terminatur ad enuntiabile sed ad rem» (S.Th.,
II-II, q.1, a.2, ad 2). Tale consapevolezza rende possibile e praticabile –
con tutti i distinguo epistemici e le cautele metodologiche del caso – una
pertinente interazione dialogica tra la teologia, la filosofia e le altre forme
del sapere152
150
Ibid., p. 169.
P. CODA, Rivelazione cristiana e ontologia trinitaria, in Seminario Interdisciplinare “La
relazione sociale: teoria e potenzialità nel dibattito con la filosofia e la teologia”, Trento, 12-13
dicembre 2014, p. 1.
152
Ibid., p. 2.
151
62
È importante sottolineare l’aspetto della corrispondenza della fede, in
quanto passiamo da un discorso sociologico, che sembra in primis non avere a
che fare con la fede, ad un discorso teologico, che ha come chiave di lettura la
fede. È ora possibile accostarsi a tre autori che hanno particolarmente influito
sulla storia della riflessione trinitaria: Agostino d’Ippona, Tommaso d’Aquino e
Antonio Rosmini.
2.1. La relazione sostanziale in Agostino d’Ippona
L’importanza di Agostino nel pensiero occidentale fino ad oggi – e non solo
teologico – non è una novità. Questo vale anche per quanto lui ha affermato
sula relazione in divinis, che qui riporteremo, analizzando il suo De Trinitate suo
e soffermandoci su «tre fonti» e a «tre guadagni» che Coda sottolinea riguardo
il tema della relazione.
a. Le fonti del suo pensiero
Agostino ha come prima fonte Aristotele. Innanzitutto, per Aristotele la
relazione è uno degli accidenti: : “«relative si dicono quelle nozioni, ciascuna
delle quali, proprio ciò che è in sé, si dice esserlo di qualcun altro, o in qualsiasi
altro modo viene riferita a qualcos’altro» (Categorie, 7,6b)”153. Però nello stesso
tempo afferma: “«il provare che nessuna sostanza può venir annoverata tra le
relazioni risulta un compito assai difficile, o impossibile»”154. Anche nella
Metafisica Aristotele riprende la stessa visione: “«la relazione è fra tutte (le
categorie) quella che meno si può identificare con una natura determinata o con
una sostanza» (14, 1088a)”155, in questo modo si considera la relazione come
un “essere”. Tuttavia, un fatto interessante sta nell’affermazione di Aristotele
nell’Etica Nicomachea secondo la quale da un’importanza di pari grado alla
considerazione
dell’esistenza
dell’amico
e
quindi
del
(comportarsi)
comportamento verso di lui, la ben nota fenomenologia della fillia (amicizia):
“«Come ci si comporta verso di sé, così verso l’amico. La coscienza della
propria esistenza è desiderabile e di conseguenza quella dell’amico» (IX,
153
Ibid., p. 3.
Ibid.
155
Ibid.
154
63
12)”156. Chiaramente, non possiamo dire con esattezza se questo abbia
conseguenza sul piano dell’ontologia della relazione di Aristotele, però rimane
un fatto molto importante.
Coda si rifà anche a Plotino e alle sue considerazioni sulla relazione in
Enneadi VI, che dicono “qualcosa di nuovo e di altro, rispetto ad Aristotele”157,
ma non sviluppa in modo approfondito queesto autore.
La seconda fonte è l’Antico Testamento, in particolar modo la rivelazione
del Nome di Dio che avviene in Es 3,14: «Mosé disse a Dio: Ecco, io vado dagli
Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno:
“Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro? Dio disse a Mosé: “Io
sono colui che sono!”. E aggiunse: Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha
mandato a voi”» (Es 3,13-14). Coda, richiamando la ricerca di E. Jenni, fa un
analisi più complessa ed esegetica dell’etimologia e della teologia del Nome di
Dio che viene qui espressa. Per noi è di grande rilievo il fatto che
l’interpretazione del Nome che è arrivata fino ad oggi si trascurano alcuni dei
significati più profondi, o comunque non viene messo in rilievo un aspetto
importante
sulla
relazionalità
che
esso
comprende.
Nella
tradizione,
l’interpretazione data al Nome di Dio era influenzata dalla traduzione greca dei
LXX: Io sono l’essente (Es 3,14a); e da quella latina: Ego sum qui sum (alla
prima persona) e Qui est (alla terza). In ciascuna di essa l’interpretazione è di
natura
metafisica,
“Dio
è
l’Essere
per
eccellenza,
trascendente
e
158
onnipotente”
, osserva Coda.
Ma, l’esprimere il suo Nome da parte di Dio, se vogliamo essere fedeli a
ciò che il testo ebraico vuol dirci, è una testimonianza dell’essere in relazione
con il suo popolo e con ciascuno dei suoi.
Il Nome andrebbe perciò tradotto: Io sono Colui che è qui con e per voi
(come si esplicita in 3,12). Non si tratta, dunque, di eliminare il significato
ontologico della rivelazione del Nome, ma – come nota P. Ricoeur – di
cercare d’esprimerne tutta la pregnanza, senza appiattirlo su categorie
metafisiche prestabilite.
Il verbo in questione, infatti, manifesta l’essere trascendente e sovrano di
Dio come relazione di benevolenza gratuita e liberante, ed essendo
156
Ibid.,
Ibid., p. 4.
158
P. CODA, Rivelazione cristiana e ontologia trinitaria, cit., p. 5.
157
64
all’imperfetto implica permanenza e insieme apertura al futuro. Si può
tradurre: Io sono sempre con voi e anche Io sarò con voi159
Se è vero che Agostino è influenzato dalla traduzione latina, parlando del
Nome di Dio in Es 3,14, comunque si riferisce a dei «nomen relationi»: “perché
si tratta di un Dio che colloquia, che fa alleanza, che è amico dell’uomo, e
questo Nome in qualche modo prelude, misteriosamente, a quello rivelato nel
Nuovo Testamento: Agápe (1Gv 4,8.16)”160.
Come terza fonte Coda cita il Nuovo Testamento e più precisamente, tre
passaggi del vangelo di Giovanni.
- Il prologo (Gv 1,1: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio
[pros ton teon] e il Verbo era Dio»), dove l’accidentale «pros ti» in Aristotele,
prende, «in Dio stesso» una dimensione co-sostanziale (come dirà il Concilio di
Nicea nel 325);
- Gv 10,30: «Io e il Padre siamo uno», dove, dice Coda, “l’Uno (Dio) che
contempla in sé l’alterità, la distinzione e insieme la relazione dei distinti
nell’amore spinto, appunto, sino all’Uno”161; che non succede solo in Dio, ma
che in Gv 17 è «estesa» anche agli uomini: «come tu, Padre, sei in me e io in
te, siano anch’essi uno in noi»;
- Gv 10,17: «Per questo il Padre mi ama, perché io do’ la mia vita per
riprenderla di nuovo», e Gv 5,26: «come il Padre ha la vita in sé, così ha dato
anche al Figlio di avere la vita in sé», dove esce in evidenza la «coincidenza»
della autorelazione e eterorelazione della vita di Dio.
b. I guadagni teoretici nel “De Trinitate”
Possiamo dire che il primo guadagno è «l’affermazione in Dio della reale
alterità», è cioè il fatto che nella Trinità, una delle persone non è l’altra, non è
“relativa” all’altra. Però, in Agostino, “questa diversità (“diversus” è l’aggettivo
che Agostino usa sin dal I libro del De Trinitate) è convertita, perché i diversi di
cui qui si tratta non guardano in direzioni divergenti, ma convergenti: così che la
diversità dice appunto relazione, reciprocità”162.
159
Ibid.
Ibid., p. 6.
161
Ibid.
162
Ibid.
160
65
Poi, il V libro, “l’inventio della relatio come modalità specifica per dire Dio,
(...) la relazione dice Dio e dice qualcosa di ontologicamente pertinente e
permanente di/in Lui”163: «in Dio non tutto si dice secondo la sostanza, ma si
dice anche secondo la relazione che, essendo in Dio, non è accidentale», dove,
appunto, per Agostino non è accidentale dire Dio come Padre, Figlio e Spirito
Santo.
Nel Libro VIII, “l’expositio dell’identità dinamica dei Tre che dicono Dio
come relazione attraverso la semantica dell’Amore (Caritas): l’amante, l’amato,
l’amore, dove il terzo, lo Spirito, è il quo in virtù del quale si realizza la relazione
di reciprocità tra Padre e Figlio”164. È questo il punto sul quale l’ontologia
trinitaria compie un passo oltre l’ontologia relazionale. La relazione nella Trinità
è un soggetto, rispetto alle considerazioni di Donati:
«Per questo lo Spirito Santo sussiste insieme in questa medesima unità
e uguaglianza di sostanza. Sia egli infatti l’unità delle due altre Persone,
o la loro santità, o il loro amore, sia la loro unità perché è il loro amore, e
sia il loro amore perché è la loro santità» [De Trin., VI, 5.7]
Agostino offre un’ampia descrizione di questo soggetto. Lo Spirito Santo
è “’unità del Padre e del Figlio. L’unità dei due, dunque, è in un altro da essi, lo
Spirito Santo, che è la loro unità perché è il loro amore, ed è il loro amore
perché è la loro santità: ciò per cui Dio è Dio, il mistero più interiore e segreto di
Dio”165. Quello che Donati sostiene sulla relazione è valido anche per lo Spirito.
Esso è un altro dal Padre e dal Figlio (dagli agenti) è un frutto dell’interazione,
dell’Amore che c’è tra il Padre e il Figlio, però, per Agostino c’è un di più. Lo
Spirito è “ciò attraverso il dono che lo Spirito Santo fa di Se stesso” 166; lo Spirito
si comporta, è un soggetto, un «principio di dono»:
È manifesto che non è qualcuno dei due colui per mezzo del quale l’uno
e l’altro sono congiunti, colui per mezzo del quale chi è generato sia
amato da colui che lo genera e ami il suo genitore, e che conservino non
per partecipazione ma per la sua essenza, e non per dono di qualcuno
superiore ma per il suo proprio dono, l’unità dello spirito nel vincolo della
pace (Ef 4,3) [De Trin., VI, 5.7]167
163
Ibid., p. 7.
Ibid.
165
Ibid.
166
Ibid.
167
Ibid.
164
66
Agostino non si ferma a questo punto, ma prosegue oltre e osserva che
in quanto principio di dono, lo Spirito ha anche la stessa sostanza del Padre e
del Figlio, che è la carità. Lo Spirito è l’essenza, è sostanza come lo sono Il
Padre e il Figlio:
Lo Spirito Santo è dunque qualcosa di comune al Padre e al Figlio,
qualsiasi cosa sia, o più precisamente la stessa comunione
consustanziale ed eterna; se il nome di amicizia le si addice, la si chiami
così, ma è più esatto chiamarla carità. Ed anche questa carità è
sostanza, perché Dio è sostanza e Dio è carità (1Gv 4,16), secondo la
Scrittura [De Trin., VI, 5.7]168
E in quanto l’unità tra Padre e Figlio, come visto prima, è estesa agli
uomini, significa che anche gli uomini possono, anzi è «comandato» loro di
imitare quest’unità, che è lo Spirito. “«E ciò che ci viene comandato di imitare,
aiutati nella grazia» [De Trin., VI, 5.7]169. Conclude Coda, “ciò che ci viene
comandato di imitare è l’amore nel quale si diventa uno essendo distinti. Due
sono i precetti dell’amore: amare Dio con tutto se stessi, amare il prossimo
come se stessi. Ai discepoli è chiesto così di imitare, per grazia, quel tipo di
unità che si vive nella Trinità: sia nel rapporto con Dio, sia nel rapporto con gli
altri”170. Quindi, gli uomini, gli attori/agenti, riescono a costruire le relazioni tra di
loro, non solo tramite la loro interazione, amore tra di loro, ma , anche perché la
relazione stessa, lo Spirito, è principio di tale amore, li aiuta.
2.2. La relazione sussistente in Tommaso d’Aquino
a. La persona divina come “relatio subsistens”
Tommaso definisce la persona divina come “relazione sussistente”, facendo
così coincidere i significati dei due linguaggi della tradizione sul mistero di Dio:
di relazione in Agostino e di ipostasi o persone del dogma del Concilio di Nicea
del 325. Quindi secondo la sua definizione, osserva Coda con le parole di
Lafont, “relazione designa l’elemento individuante [paternità, filialità, spiritualità]
168
Ibid., p. 8.
Ibid.
170
Ibid., p. 8.
169
67
che distingue la persona, e sussistente designa la posizione ontologica assoluta
della persona”171.
E questo coincidere di significati, se avviene al livello della persona,
avviene anche al livello dell’unità tra le persone. Infatti, per Tommaso, l’unità è
anche essa duplice: «quella della natura divina e quella dell’Amore che è lo
Spirito Santo» [In Johannem, 17, 26]. Cioè, l’unità delle persone divine è una
«dinamico-personale»: “l’unità di Dio attiene senz’altro il piano dell’essere, ma
anche quello della vita delle Persone nella sua dinamica: unità essenziale e
unità pericoretica (o dinamico-personale)”172.
b. La creazione (ex parte Dei) come “essentia divina cum
relatione ad creaturam”
Adesso, in quanto al rapporto tra Dio e il creato, secondo Tommaso:
“«creatio in creatura non est nisi relatio quaedam ad Creatorem, ut ad
principium sui esse» (S.Th., I, q. 45, a. 3 corpus)”173, e “«creatio passive
accepta est in creatura, et est creatura» (ibid., ad 2um)”174. Quindi, Tommaso
vede la creatura come ontologicamente relazionale: “la creatura, in una parola,
è la relazione che Dio instaura con essa nell’atto stesso con cui la fa
essere!”175.
Però, mentre parla di ciò che è per Dio e in Dio la relazione con la
creazione, sostiene che essa non è reale, ma solo di ragione: “«creatio active
(da Dio) significata significat actionem divinam, quae est eius essentia cum
relatione ad creaturam» (ibid. ad 1um)”176; “«relatio in Deo ad creaturam non
est realis, sed secundum rationem tantum» (ibid.)”177. E questo perché, spiega
Coda, “per salvaguarare l’assolutezza dell’essere di Dio in Sé, egli vede la
creazione in senso passivo, come una relazione che è reale (e cioè efficace)
solo nel suo punto d’arrivo, in ciò che è creato, appunto, mentre in Dio, cui l’atto
di creazione pertiene in senso attivo, è solo di ragione: nel senso che, dal
171
Cf. G. Lafont, Peut-on connaître Dieu en Jésus Christ?, Ed. Cerf, Paris 1969; A. Krempel, La
doctrine de la relation chez Saint Thomas. Exposé historique et systematique, Vrin, Paris 1952,
in P. CODA, Rivelazione cristiana e ontologia trinitaria, p. 9.
172
P. CODA, Rivelazione cristiana e ontologia trinitaria, p. 9-10.
173
Ibid., p. 10.
174
Ibid.
175
Ibid.
176
Ibid.
177
Ibid.
68
nostro punto di vista, il concetto di creazione in senso attivo (in quanto atto di
Dio) dice qualcosa di diverso e di più rispetto all’essere di Dio solo in Sé (dice,
appunto, l’essentia divina cum relatione ad creaturam), ma senza che ciò dica
qualcosa di diverso e di più sull’essere di Dio in Sé, che, in quanto tale, non è
determinato in alcun modo dalla sua libera e gratuita relazione con la
creatura178.
2.3. La relazione come “in oggettivazione” in Antonio Rosmini
Antonio Rosmini è il pensatore che sviluppa maggiormente tale pensiero sulla
relazione e arriva a vedere nella persona creata la stessa “relazione sussistene”
che c’è nelle persone divine. Vediamo come e cosa significa per lui.
Nella sezione IV, libro III, della Teosofia, Rosmini formula la sua
«definizione universale della relazione»: “«Quando la mente, confrontate due
entità insieme, vede un’entità, che non si poteva vedere, in una sola di esse,
lasciata l’altra intieramente da parte, quest’entità dicesi relazione», così che tale
«definizione universale» per sé «abbraccia tutti i generi di relazioni» (n.
903)”179. E poi, evidenziando l’aspetto ontologico di tale significato, sottolinea
che dove due realtà sono in relazione “l’una delle due entità [in questione] ha
una relazione così essenziale all’altra, che senza di essa non esisterebbe e non
sarebbe concepibile l’una o l’altra, o né l’una né l’altra all’esse, benché
concepite insieme, l’una non sia l’altra (ibid.)”180. E conclude proprio con lo
sviluppo del pensiero di Tommaso, appunto “«la persona è una relazione
sussistente» (ibid.)”181.
a. Rivelazione della Trinità e ontologia
A questo punto, è necessario chiedersi qual è il rapporto che Rosmini
vede tra la rivelazione e l’ontologia, in altre parole, stiamo trattando di teologia o
di filosofia? Riassume Coda:
178
Ibid., p. 10-11.
Ibid., p. 12.
180
Ibid.
181
Ibid.
179
69
Certamente – spiega Rosmini − occorre che teologia e filosofia restino
distinte, come occorre lasciare in sé distinta ogni disciplina dalle altre. Ma
distinta non significa separata. Nella teologia, in verità, il pensiero è
chiamato a dialogare esplicitamente con la luce della Trinità in quanto
mistero rivelato, tematizzandola in modo specifico e secondo una
formalità epistemica e un metodo adeguati alla cosa stessa nella logica
della fede. Nella filosofia, invece, il pensiero ha da interpretare il senso
della realtà con la luce che le è propria: la luce dell’intelligenza
dell’essere in quanto essere182
Quindi, nell’ontologia trinitaria, anche se Rosmini non parla di essa, nello
specifico, trovano spazio entrambe, teologia e filosofia, restando distinte ma
non separate, in quanto il mistero di Dio è Trinità dal principio e ha espresso la
sua essenza trinitaria nella ragione umana e in tutta la creazione. Conclude
Coda:
Per il Roveretano, dunque, sono entrambe vere ed essenziali le due
seguenti affermazioni: da un lato, che «il principio della cristiana
rivelazione nella fede di un Dio uno e trino propriamente consiste» 183, in
quanto «il mistero della Triade non si sarebbe giammai rinvenuto
dall'umana intelligenza, se lo stesso Dio non l'avesse rivelato agli uomini
positivamente»184; dall'altro, che «nondimeno non solo si può dimostrare
col raziocinio l’ esistenza di Dio, ma ben anche si può conoscere quella
d'una Trinità in Dio in un modo almeno congetturale con ragioni positive
e dirette, e dimostrativamente con ragioni negative e indirette»185186
b. La dinamica relazionale dell’“inoggettivazione” come
“inaltrarsi”
Però come avviene secondo Rosmini la relazione e quali sono i requisiti
perché essa avvenga tra le persone? E poi, è veramente la relazione un
soggetto? Se sì, di quale genere?
Più avanti nella Teosofia Rosmini parla di “inoggettivazione”, o di
“inaltrarsi”, quel processo con qui una persona si relaziona con un’altra,
“essendo essa, spiega Coda, il “trasportarsi” del soggetto nell’oggetto. Tale
“trasportarsi” giunge alla massima espressività, quando l’oggetto nel quale mi
182
Ibid.
Cf. Antropologia soprannaturale (AS), tomo I, libro I, cap. V, art. XVIII, par. 10, p. 173, n.
322; Città Nuova, Roma 1983 cit. in P. CODA, Rivelazione cristiana e ontologia trinitaria, p. 13.
184
Cf. Teosofia (T), vol. I, cap. XX, art. II, 191, p. 141; Ed. Roma, 1938 cit. in P. CODA,
Rivelazione cristiana e ontologia trinitaria, p. 13.
185
P. CODA, Rivelazione cristiana e ontologia trinitaria, p. 13
186
Ibid.
183
70
trasporto è un altro soggetto. Perché allora diventa in pienezza atto di libertà e
d’amore. Tanto che m’identifico con l’oggetto nel quale m’inoggettivo.
Nell’inoggettivazione, pertanto, si dà una dinamica che è qualificata
dall’“abbandono di sé”: nel trasportarmi nell’altro, a un certo punto, debbo
abbandonare me stesso per accogliere l’altro nella sua alterità, andando del
tutto oltre me stesso:”187
Per trasportarsi nell’altro, conviene che s’aggiunga un altro atto
volontario d’intelligenza, col quale mette se stesso, la facoltà della
propria coscienza nell’altro, vestendo la propria personalità o, per dir
meglio, il principio di questa di tutto ciò che determina la persona
dell’altro. Poiché sebbene la persona determinata sia propria di ciascuno
individuo e incomunicabile, tuttavia il principio della persona è comune e
unico in tutti perché rimane indeterminato quando sia spogliato di tutto
ciò che la determina. Onde l’uomo che dimentica nell’istante che
descriviamo tutte le determinazioni della propria persona, gli rimane il
principio comune e identico della persona stessa, cui vestendo col
pensiero delle determinazioni d’un’altra persona diventa un’altra persona
nella coscienza intellettiva. Così ogni individuo umano ha in sé un
principio il quale coll’immaginazione intellettiva può essere determinato
colle determinazioni altrui, e questo rende possibile l’inoggettivarsi
coll’intendimento188
Però, Rosmini non si ferma qui. Secondo lui la relazione che avviene
nell’inoggettivazione è un nuovo essere, è un terzo che accade in Cristo, che a
sua volta è un soggetto. La persona che si inoggettiva, si inoggettiva prima in
Cristo ed è Cristo che lo fa inoggettivarsi nell’altra persona, altrimenti non ne
avrebbe la capacità. Dice Coda, “allora si può intuire fino a che punto giunge
l’inoggettivazione: perché, inoggettivandomi in Cristo, io divento “altro” Cristo.
Cristo mi fa altro sé. Ecco il significato antropologico del paolino “rivestirsi” di
Cristo. Inoggettivandomi in Cristo, m’inoggettivo, attraverso la sua umanità, nel
Verbo, la seconda persona della Trinità. L’umanità di Cristo, pertanto, è la
possibilità, per me, d’inoggettivarmi, attraverso di lui, nella Trinità: figlio nel
Figlio. È una verità ontologica”189.
non sarebbe impossibile concepire una comunicazione tra i due subietti
intellettivi tra i quali, presi nella loro esistenza relativa, segue
l’inogettivazione (…) per mezzo di quel subietto eterno [Gesù Cristo], a
187
Ibid., p. 15.
Cf. Teosofia, p. 872 cit. in P. CODA, Rivelazione cristiana e ontologia trinitaria, cit., p. 15.
189
P. CODA, Rivelazione cristiana e ontologia trinitaria, p. 16.
188
71
cui deve ascendere colui che s’inoggettiva per poi discendere nel
subietto relativo, e che è pur quello da cui, come da sua radice e
fondamento, dipende il subietto relativo in cui l’altro s’inoggettiva (T, n.
892)190.
In quest’affermazione Rosmini sottolinea chiaramente la soggettività
della relazione in sé che avviene in Cristo e che solo in Cristo diventa
autenticamente reciproca. Coda aggiunge il fatto che la relazione avviene in
Cristo, nello Spirito, “nella partecipazione reale alla dinamica stessa della
relazione intratrinitaria in quanto essa accade e si perfeziona (se così si può
dire) nella divina terzietà dello Spirito Santo”191.
Possiamo concludere dunque che l’ontologia relazionale proposta da
Donati trova la sua massima espressione nell’ontologia trinitaria come espressa
da Coda rifacendosi soprattutto a Rosmini. Nel processo di inoggettivazione,
che implica una rinuncia a sé per accogliere il tutto dell’altro, la persona si trova
un altro Cristo, figlio nel Figlio, che li fa essere uno nella relazione che
intraprendono,
vivendo
la
vita
intratrinitaria
stessa,
realizzandoli
così
pienamente come persone. “L’ontologia della persona umana, in definitiva, è
trinitaria per vocazione e si compie, trinitariamente, attraverso Cristo, come
partecipazione alla vita trinitaria di Dio. «Questa inoggettivazione morale in
Gesù Cristo, è la formula più breve della cristiana perfezione, e di qui viene
l’espressione solenne: in Cristo. L’uomo cristiano deve sentire, pensare, fare, e
patire, avere, essere ogni cosa, in Cristo» (T, n 899). La fenomenologia
antropologica dell’inoggettivazione, mediata cristologicamente, orienta a
un’ontologia trinitaria”192.
3. Le implicazioni ecclesiologiche
Si è visto come la relazione ha la sua esistenza ontologica nella Trinità di Dio,
anzi Dio è in se stesso relazione:
perché alla relazione del Padre al Figlio perfettamente corrisponde la
relazione del Figlio al Padre così che, in virtù di questa perfetta
190
Ibid., p. 17.
Ibid.
192
Ibid.
191
72
reciprocità, il Padre e il Figlio sono Uno in quel terzo da loro distinto che
è lo Spirito Santo essendo, proprio così, ciascuno dei Tre Uno con gli
altri193.
Ed è la stessa relazione che noi, tra uomini, attori/agenti, costruiamo e
che ha la sua massima espressione – se vista con la fede – nell’agàpe nuovo
testamentario, che Piero Coda definisce come “la libertà come gratuità del dono
di sé, della reciprocità e della terzietà, e cioè il ritmo trinitario dell’amare,
dell’essere amati e dell’essere così Uno (essendo distinti e sempre aperti
all’altro e al nuovo) nell’amore”194.
Adesso l’intento è di verificare come si sia già realizzato nella Chiesa, sin
dall’origine, questo passaggio dal particolare all’universale.
3.1. L’ecclesiogenesi
Prima di arrivare a parlare delle relazioni interpersonali nella Chiesa, dobbiamo
considerare il fatto che il tema, così come nella sociologia, è nuovo. Non fa
parte di questa ricerca offrire in dettaglio una cronologia delle interpretazioni
sulla Chiesa lungo la storia, anche perché sul tema già si è scritto tanto. Ci
limitiamo a portare alcuni esempi: fino all’inizio del sec. XIX. La riflessione
ecclesiologica studiava la Chiesa esclusivamente nella sua dimensione
istituzionale, “con la preoccupazione dominante di legittimarla di fronte alle altre
chiese e di fronte allo stato”195. Chiaramente, non ci dimentichiamo del valoroso
contributo offerto dai Padri della Chiesa, però non possiamo considerarlo
fondamentale dal punto di vista epistemologico. Essi usavano
soprattuto immagini, similitudini, metafore, il linguaggio della
contemplazione e della preghiera e sono stati molto meno interessati a
ricavare, eventualmente, dalla filosofia politica del mondo antico, precisi
schemi concettuali nei quali inquadrare la chiesa e la sua presenza nel
mondo196.
L’interpretazione della chiesa come istituzione, dimenticandosi quasi
degli altri aspetti, è già presente a partire dal V secolo. È da allora che l’accento
193
Ibid., p. 19.
Ibid.
195
S. DIANICH – S. NOCETI, Trattato sulla chiesa, Ed. Queriniana, Brescia 2002, p. 146.
196
Ibid., p. 141.
194
73
viene messo piuttosto, come osserva Dianich su “quale fosse il suo modo di
strutturarsi, chi in essa dovesse detenere l’autorità suprema, come essa
dovesse organizzarsi dentro la società civile e come la società civile dovesse
organizzarsi dentro la chiesa”197. Si forma così ad un’immagine di Chiesa, che
prevale fino ad oggi, riassunta in due affermazioni:
La chiesa è la forma perfetta della società umana, voluta da Dio, unica
garante della eticità delle sue leggi e delle sue strutture. La forma
perfetta della chiesa è a sua volta garantita, per volontà divina, dalla sua
struttura gerarchica, con il papa detentore dell’autorità suprema198.
Il cambio avviene, osserva Dianich, all’inizio dell’ ottocento con Johann
Adam Möhler che considera lo Spirito Santo il “vero principio dell’esistenza e
dell’unitá della chiesa”199, invece che la sua gerarchia, e arriva così ad
un’interpretazione fondata sul «modello della costituzione umano-divina del
Cristo». La teologia, che rinasce in quel periodo per quanto riguarda gli studi
biblici, storici e liturgici, elabora così ad una visione della Chiesa come ‘corpo di
Cristo’, che si esprime in modo esemplare nell’enciclica Mystici Corporis di Pio
XII. Però, il passo decisivo viene fatto a partire dal Concilio Vaticano II e dai
lavori preparativi. È con il concilio che il paradigma con il quale viene
interpretata la chiesa cambia dalla categoria di “società” a quella di “comunità”.
Per noi è di grande interesse perché con questa nuova categoria l’accento per
definire la Chiesa cade sulla comunione, intesa come realtà divina, quindi dono
di Dio, sacramento, e come relazione sociale che i credenti creano e sviluppano
nelle reti interpersonali nelle quali sono coinvolti.
Ne è derivato un interesse molto coinvolgente per la considerazione del
dono divino della comunione, per il genere caratteristico di relazione
sociale che essa produce e per il carattere sacramentale della realtà
della chiesa, nella quale tutto il visibile si sostiene solo come segno e
strumento dell’invisibile. La categoria dominante in ecclesiologia, dopo
l’ultimo concilio ecumenico, sarà allora quella di ‘comunità’. La categoria
di ‘società’, che aveva dominato l’ecclesiologia di un millenio, divenne
rapidamente obsoleta e fu sostituita da quella di ‘comunità’. Rendendo
dominante questo concetto sembrava che si potesse più facilmente
mettere in primo piano, nell’intelligenza della chiesa, il dono di grazia
197
Ibid., p. 143
Ibid., p. 144.
199
Ibid., p. 145.
198
74
della comunione e attingere i veri valori della chiesa dalla considerazione
della rete delle relazioni interpersonali fra i credenti più che
dall’affermazione formale della sua struttura gerarchica200
È proprio in questa linea interpretativa che con la presente ricerca
vogliamo inserirci con la nostra analisi della relazione sociale. Il concetto di
comunità mette in rilievo il fatto che la Chiesa è nella sua essenza relazione,
comunione, che ha come principio lo Spirito Santo. Quella relazione che
proviene ed è donata, come abbiamo visto nei passaggi anteriori, dalla vita
intratrinitaria di Dio e che, nello stesso momento, viene realizzata e sviluppata
attraverso l’amore, agàpe, dai credenti, che così trovano la loro piena identità
come persona e come comunità, e quindi anche come Chiesa. Per questo
Alessandro Clemenzia afferma che
«il passaggio dalla comunione alla comunità non è unicamente
concettuale (frutto di speculazione) o socio-logico (in quanto si parla di
una realtà storica e concreta), ma soprattutto teo-logico (in quanto si
fonda su un’azione trinitaria) e persono-logico (essendone lo Spirito
Santo il protagonista principale come forza attuante). In questa
prospettiva il documento, immediatamente dopo la spiegazione
terminologica, mette in rapporto la comunità ecclesiale con lo Spirito
Santo: «La comunità ecclesiale nasce e vive per la comunione dello
Spirito. Questa è la sua vera origine e la ragione del suo esistere»201.
Quindi, la chiesa dal punto di vista ontologico e misterico nasce dallo
Spirito Santo che offre il dono della comunione col quale poi i credenti, dal
punto di vista empirico creano la Chiesa. Se è così, allora possiamo andare
avanti nel descrivere l’immagine di Chiesa che ne deriva. Il modello euristico
dell’ecclesiogenesi proposto da Dianich nel suo Trattato sulla chiesa offre un
quadro che procede in questo senso.
Innanzitutto,
il
modello
di
ecclesiogenesi
di
Dianich
offre
un’interpretazione della chiesa che nasce empiricamente attraverso il fenomeno
della comunicazione, l’annuncio della fede. Se prendiamo come esempio il
discorso di Pietro che viene raccontato nel secondo capitolo degli Atti degli
Apostoli vediamo come tanti si siano convertiti proprio a causa dell’annuncio di
200
Ibid., p. 146-147.
Cf. CEI, Documento pastorale Comunione e Comunità, I. Introduzone al piano pastorale,
1.10.1981, in ECEI 3, Bologna, p. 338 cit. in A. CLEMENZIA, Nella Trinità come Chiesa. In
dialogo con Heribert Mühlen, Ed. Città Nuova, Roma 2012, p. 338.
201
75
fede che Pietro propone e per l’intervento speciale dello Spirito Santo. Così,
spiega Dianich,
dentro questo caso vediamo disegnarsi la figura della chiesa con
semplicità e chiarezza: è dalla narrazione (l’annuncio) che essa si profila,
prima e indipendentemente da qualsiasi processo di astrazione e da
qualsivoglia elaborazione concettuale. Prima di tutto qui la chiesa è
semplicemente un fatto, leggibile in prima istanza al livello della cronaca
e della storia: è il ritrovarsi uniti fra di loro di coloro che in quel giorno
accolsero con fede l’annuncio degli apostoli che Gesù era risuscitato202.
Si vede come proprio questo «ritrovarsi uniti fra di loro» per Dianich
esprime l’essenza della chiesa che viene formata come frutto dell’annuncio di
fede, che è la relazione che si crea tra i credenti. Si tratta di una relazione che
ha la sua origine nel nome e nel sacrificio di Cristo, «dall’intimità della relazione
trinitaria»:
questa nuova rete relazionale ci si disegna davanti come una vera figura
di chiesa. Fino che l’evento non produrrà tutti i suoi effetti, ne avremo
solamente un abbozzo. Nessuno però potrebbe negare che se si hanno
anche solo due o tre persone legate fra di loro dalla comune
partecipazione di fede in Gesù risorto e Signore (si pensi a quei «due o
tre» radunati nel suo nome, di cui parla Gesù in Mt 18,20), se anche
mancassero tutte le altre componenti che costituiscono la chiesa nella
sua pienezza, dovremmo pur sempre riconoscere che siamo di fronte ad
un evento ecclesiale, ad una germinazione autentica della chiesa.
Mentre al contrario, se per ipotesi paradossale ci trovassimo davanti, sul
piano empirico, a tutto l’apparato attraverso il quale normalmente la
chiesa realizza e manifesta la sua consistenza, ma all’interno della sua
struttura, per quanto ricca e complessa e legittima, non ci fosse questo
semplice evento di alcune persone che si rlazionano nella
comunicazione della fede e così vivono in counione fra di loro,
dovremmo dire che abbiamo davanti a noi un apparato di chiesa, una
sua parvenza, ma non la sua sostanza203
È come dire che essa scaturisce dall’oblazione estrema che Gesù fa di
se stesso al Padre: ora, se la chiesa nasce dal sacrificio di Cristo, poiché
questa è la massima espressione dell’amore del Figlio verso il Padre,
bisogna dire che essa sorge dall’intimità della relazione trinitaria204
202
S. DIANICH – S. NOCETI, Trattato sulla chiesa, cit., p. 163.
Ibid., p. 164.
204
Ibid., p. 187.
203
76
In questo lavoro scegliamo di seguire l’interpretazione ecclesiogenetica
della Chiesa, in quanto è di fondamentale importanza considerare la
comunicazione come strumento fondamentale della nascita della relazione tra i
credenti,
e che la relazione in sé che si crea e che diventa Chiesa, è la
sostanza, l’essenza della Chiesa stessa. Concludiamo con la definizione di
Dianich:
L’evento dell’ecclesiogenesi, quindi, ha una sua struttura dinamica nella
quale l’atto linguistico della comunicazione della fede appare
chiaramente come il principio di uno status relazionale fra persone, nel
quale possiamo leggere la prima e più semplice, ma fondamentale,
forma ecclesiae: è una figura elementare di aggregazione ecclesiale, ma
proprio perché ne è la forma germinale può farci da modello per tutti i
suoi ulteriori sviluppi205
E adesso entriamo nell’analisi degli «ulteriori sviluppi» di tale forma
ecclesiale germinale.
3.2. Le relazioni ecclesiali dal particolare all’universale
Prima di entrare nell’argomento, è importante spiegare meglio la distinzione che
intercorre tra comunione e comunità e poi almeno accennare alla necessità del
concretizzarsi in comunità della comunione.
In quanto riguarda la distinzione tra comunione e comunità, Dianich con
le parole del documento Comunione e comunità della CEI (1981) offre una
spiegazione molto incisiva:
Quando diciamo ‘comunione’, pensiamo a quel dono dello Spirito per il
quale l’uomo non è più solo né lontano da Dio, ma è chiamato a essere
parte della stessa comunione che lega fra loro il Padre, il Figlio e lo
Spirito Santo, e gode di trovare dovunque, soprattuto nei credenti in
Cristo, dei fratelli con i quali condivide il mistero profondo del suo
rapporto con Dio... Quando parliamo di ‘comunità ecclesiale’, pensiamo a
una forma concreta di aggregazione che nasce dalla comunione; in essa
i credenti ricevono, vivono e trasmettono il dono della comunione. La
comunità si costituisce sulla base di rapporti visibili e stabili che legano
fra di loro i credenti nella comune professione di fede. Gode di strutture e
205
Ibid., p. 166.
77
di strumenti altrettanto visibili, attraverso i quali si trasmettono agli uomini
il messaggio e la grazia di Gesù, Figlio di Dio incarnato206
Poi, la necessità della comunione tra i credenti di concretizzarsi in una
comunità è presente proprio dall’origine della Chiesa. Dianich osserva che
anche se misticamente la Chiesa nasce dal costato aperto di Gesù, essa
empiricamente, come abbiamo visto prima, nasce dall’annuncio degli apostoli
sulla Risurezione di Gesù, annuncio che però si deve tramandare nella storia
per arrivare ai nuovi credenti. Viene quindi introdotta la «memoria di fede» che
deve essere conservata e tramandata nella storia:
Così ogni atto di comunicazione della fede è in realtà un segmento di
questo infinito narrare, nel quale la memoria di Cristo fedelmente
trasmessa crea e ricrea continuamente la chiesa. (...) L’annuncio, quindi,
non può essere interpretato attualisticamente, come fosse
semplicemente un evento folgorante, che realizza hic et nunc una
manifestazione della comunione, senza che questa si concretizzi in una
struttura visibile capace di continuità storica. L’azione dello Spirito Santo
non produce solamente il credente in quanto singolo uomo nuovo in
Cristo, né lega i credenti fra di loro esclusivamente sul piano misterico,
poiché la stessa trasmissione storica del ricordo di Gesù, essendo
trasmissione di un soggetto collettivo, qual è la comunità cristiana, che
dentro la vicenda storica rappresenti il soggetto portatore della tradizione
e garante, al livello storico-empirico, del suo fedele prolungamento207
Anche se inizialmente l’accento della ricerca voleva cadere piuttosto sul
come avviene concretamente il passaggio dalla piccola alla grande comunità,
successivamente abbiamo rilevato la necessità di dare un fondamento solido a
tale passaggio, che poi si è costruito attraverso la sociologia relazionale e
l’analisi più in dettaglio, al livello ontologico, della relazione in sé, base
dell’esistenza delle comunità. Adesso, il processo che avviene nella chiesa nel
passaggio dal livelo micro al livello macro, come abbiamo visto nella sociologia,
avrà piuttosto un carattere di conclusione prospettica. Ci sembra comunque di
aver tematizzato gli elementi fondamentali con quali poter descrivere e proporre
un’interpretazione efficace di tale passaggio.
206
207
Ibid., p. 204 nota 135.
Ibid., p. 206.
78
Quello che resta da chiarire sono gli ultimi due elementi introdotti: la
piccola comunità e la grande comunità. Abbiamo già parlato della necessità che
la comunione, le relazioni trinitarie tra i credenti, diventano comunità, quindi un
luogo concreto dove esprimersi. La Chiesa, come abbiamo visto, fino
all’ottocento si comprendeva piuttosto come un’insieme, come Chiesa nella sua
interezza, la chiesa universale, la societas. Però, a partire dal cambio di
interpretazione che è avvenuto quando la Chiesa ha iniziato a definire se stesa
come comunità, l’approccio ecclesiologico è mutato: “si è progressivamente
sviluppato uno spostamento nella riflessione sulla chiesa: non più una
ecclesiologia dalla chiesa universale, ma a partire dalla chiesa locale assunta
come elemento interpretativo basilare”208, come afferma Dianich. La chiesa
locale è intesa nella sua forma istituzionale della diocesi, quella comunità legata
ad un vescovo dove si trovano gli elementi costitutivi della Chiesa, come la
parola di Dio, l’Eucaristia, i carismi, i ministeri. Però, andando più a fondo, ci
rendiamo conto, seguendo la teologia e l’esperienza del post-Concilio Vaticano
II che il punto di partenza per l’edificazione solida della chiesa locale, per poi
arrivare alla chiesa universale, sono le piccole comunità, chiamate anche
comunità di base o cellule di base:
il comune campo di esperienze, vissute e riflettute insieme, costituisce
nella comunicazione interpersonale la base per il potenziale ed effettivo
autorealizzarsi della chiesa. La chiesa è allora una realizzazione storica,
effetto sociale e storico del dono di Dio in parola e grazia accolto dagli
uomini che ne fanno esperienza. In questa visione che nasce ‘dal basso’,
per cogliere la ragione teologica della chiesa locale è essenziale
guardare ai soggetti umani che la compongono, in una prospettiva
ecclesiologica incentrata «più sulle persone (personalità cristiana e
comunità) che sulle cose (realtà e mezzi sacri)»209
Da allora (dall’evento di Pentecoste), là dove due o tre sono riuniti nel
nome di Cristo, dove viene annunciato ed accolto il vangelo e si
costituisce una comunità celebrante, la chiesa di Cristo si realizza
nell'essere e agire attuale di una chiesa locale. Va riconosciuta perciò la
priorità assiologica di una chiesa locale: la chiesa tende, infatti, per la
sua essenza a concretizzarsi in un luodo senza compromettere per
questo la sua vocazione universale e la conseguente relazione con tutta
l’umanità210.
208
Ibid., p. 348.
Cf. L. Sartori, La chiesa locale nel Vaticano II, in Aa.Vv., L’Eucaristia nella comunità locale.
XVIII Congresso Eucaristico Nazionale, Arti Grafiche Friulane, Udine 1972, 37-38 cit. in S.
DIANICH – S. NOCETI, Trattato sulla chiesa, p. 350.
210
S. DIANICH. – S. NOCETI, Trattato sulla chiesa, p. 358.
209
79
È interessante aggiungere qui quanto ha affermato Giovanni Paolo II211:
La comunione ecclesiale, pur avendo sempre una dimensione
universale, trova la sua espressione più immediata e visibile nella
parrocchia (...) I Padri sinodali, dal canto loro, hanno attentamente
considerato l'attuale situazione di molte parrocchie, sollecitando un loro
più deciso rinnovamento : «Molte parrocchie, sia in regioni urbanizzate
sia in territorio missionario, non possono funzionare con pienezza
effettiva per la mancanza di mezzi materiali o di uomini ordinati, o anche
per l'eccessiva estensione geografica e per la speciale condizione di
alcuni cristiani (come, per esempio, gli esuli e gli emigranti). Perché tutte
queste parrocchie siano veramente comunità cristiane, le autorità locali
devono favorire: (...) b) le piccole comunità ecclesiali di base, dette
anche comunità vive, dove i fedeli possano comunicarsi a vicenda la
Parola di Dio ed esprimersi nel servizio e nell'amore; queste comunità
sono vere espressioni della comunione ecclesiale e centri di
evangelizzazione, in comunione con i loro Pastori»(Christifideles laici 26).
Le piccole comunità cristiane, e con loro la chiesa locale, non si
separano dalla chiesa universale, ma in quanto
“riceve l’annuncio che la costituisce da altre, l’universa ecclesia – a partire
dal principio di mutua immanenza – deve essere allora pensata come
communio ecclesiarum, in cui ogni chiesa locale è chiesa solo se è in
comunione con le altre chiese. (...) Non si dà quindi una priorità ontologica
e cronologica della universa ecclesia sulle chiese locali, ma una
simultaneità di esistenza per entrambe, quale tutto ‘co-fondato’” 212.
Dopo queste considerazioni non possiamo non osservare l’intreccio e la
consonanza con l’approccio relazionale alla società di Donati. Possiamo dire
con lui che negli elementi presentati nel capitolo precedente
si delinea la
«circolarità» e la «continuità» che esiste tra le piccole comunità e la grande
comunità, l’intera Chiesa. Proprio in virtù di tale vicinanza di visione,
proponiamo pra di intrecciare l’analisi del passaggio dalla piccola comunità alla
211
Sulle piccole comunità per una comprensione più profonda sulla realtà e le esperienze di
piccole comunità cristiane, cf.: J. HEALEY, Building the Church as Family of God: Evaluation of
Small Christian Communities in Eastern Africa, in AMECEA, Gaba Publications-CUEA Press, n.
199-200 (2012); J. O’HALLORAN, Living Cells: Vision and Practicalities of Small Christian
Communities and Groups, Columba Press, Dublin 2010, p. 206; K. RAHNER, The Shape of the
Church to Come, The Seabury Press, New York 1974; L. FRITZ, Towards non-dominating
Leadership. Aims and Methods of the Lumko Series, Lumko Institute, Delmenville; A. PRIOR,
Towards a community Church. The way ahead for Today’s Parish, Lumko Institute, Delmenville,
1997; http://www.vatican.va/news_services/press/sinodo/documents/bollettino_25_xiii-ordinaria2012/01_italiano/b00_sommario_01.html.
212
S. DIANICH – S. NOCETI, Trattato sulla chiesa, p. 358.
80
grande rifacendoci alla proposta offerta da Donati, tenendo presente una
comprensione della relazione tra i soggetti arricchita dall’analisi fatta in questo
capitolo.
a. Quindi, al livello micro, dove secondo l’approccio presentato troviamo
le piccole comunità, perché si realizzi la comunità ci sarà bisogno dei seguenti
requisiti. Innanzitutto il fatto che i membri siano coscienti della relazione tra di
loro, devono “vedere la relazione” nei termini di Donati, e ciò avverrà se
aderiscono alla comunità per libera volontà e personale convinzione. Poi il
simbolo del Noi della sociologia relazionale sarà racchiuso nel simbolo del Noi
come comunità, che nasce dall’interazione tra i membri, dall’annuncio della fede
iniziale alla condivisione esperienziale di vita che poi si oggettiva in azioni
concrete all’interno e all’esterno della comunità. Lo schema illustrato nel
capitolo precedente (fig. 6) riguardo la coppia è valida anche per il tipo di
relazione che si costruisce tra i membri della piccola comunità, aggiungendo il
fatto che se in sé, la realtà soggettiva di tale relazione è Cristo risorto: allora
nella piccola comunità sono presenti anche le altre piccole comunità, le
parocchie, le diocesi, e la Chiesa universale stessa.
b. Quindi, al livello meso, troviamo le parrocchie e le diocesi. Guardando
alle condizioni che Donati propone perché le associazioni volontarie si
caratterizzino come soggetti relazionali, possiamo affermare che le parrocchie e
diocesi, per arrivare al comune simbolo We, devono adempiere assieme il
compito che li accomuna (partendo dal concetto generale di missione,
costitutivo della Chiesa, fino ai piani pastorali annuali che ciascuna di essa si
propone di seguire), quindi con l’attenzione fondamentale verso le relazioni tra i
membri. Della stessa importanza è il fatto che il We delle parrocchie o diocesi
«deve essere agito come la relazione che lega/connette gli N membri nella
impresa comune». Per noi, è di nuovo un richiamo al fatto che solo nel
diventare Cristo, nell’abbandono di sé del credente verso l’altro e verso gli altri,
si diventa poi in concreto Cristo-parrocchia e Cristo-diocesi (non so come
esprimere meglio).
81
c. Perché dalle piccole comunità passando alle parrocchie, diocesi,
mitropolie si possa arrivare ad una vera grande comunità della Chiesa
universale c’è bisogno che i meccanismi sistemici non siano operati solo come
funzioni sistemiche o dispositivi automatici, ma in un «senso soggettivo» dai
credenti. Potremo richiamare il fatto che il massimo senso soggettivo si trova
nell’agàpe fraterno che si dovrebbe mettere in pratica non solo a livello
interpersonale, ma anche tra i nodi che compongono la chiesa universale.
Rafforzare i nodi deboli nel processo di empowerment è una delle priorità anche
di Papa Francesco. In questo modo si potrebbe costruire quella “comunità di
comunità” che definirebbe al meglio la Chiesa universale, che ponga le sua
fondamenta sulla relazione tra i membri che si amano reciprocamente, vivendo
e facendo visibile il Regno di Dio già sulla terra.
Conclusione
Si è visto che la caratteristica dell’ontologia trinitaria consiste nell’individuazione
del luogo da cui guardare la realtà: si tratta del luogo della Trinità. Partendo da
essa cogliamo l’essenza stessa dell’essere, l’identità più profonda, in quanto
relazione che sussiste per l’agàpe, l’amore che c’è tra le Persone divine, in
prima istanza, e poi, con lo stesso amore, tra noi uomini con l’intero universo. Si
tratta di un luogo ontologicamente relazionale. Tutto ciò che non ha in esssa
radice e non è espressione di questa vita, al livello sociologico, economico,
teologico, politico, o semplicemente della vita nostra quotidiana produce la crisi,
la stessa di cui si è parlato all’inizio di questa tesi.
Inoltre, in risposta al primo quesito posto in apertura di questo lavoro
affermiamo che non sia possibile trovare una soluzione efficace alla crisi in cui
ci troviamo senza una visione universale dell’umanità e senza gli strumenti che
ci permettano una tale visione: abbiamo per questo motivo analizzato il
passaggio dalla piccola comunità all’intera comunità dal punto di vista
ecclesiologico. A questo riguardo, la Chiesa, in senso largo, o, meglio detto,
nella sua espressione di communio sanctorum213, è proprio questo spazio,
213
Cf.: “E poiché sono in Gesù Cristo anche coloro che non sono in lui, poiché egli ha preso tutti
con sé ed in lui c’è già tutto, in questa communio sanctorum viene contemporaneamente
82
come afferma Coda, aperto da Gesù Cristo con la sua morte avvenuta fuori le
mura di Gerusalemme, quindi fuori dall’Alleanza con Dio, dove tutti si possono
incontrare214. Lo spazio dove la relazione può essere vissuta pienamente tra
tutti, senza distinzioni di apartenenza religiosa, di cultura o di visione della vita.
Uno spazio nel quale si entra attraverso l’abbandono di sé per l’amore verso
l’altro. Non ci sono condizioni, c’è solo da vivere, vivere pienamente.
La communio sanctorum è l’espressione usata dalla Chiesa per
denominare questo spazio. Possiamo intuire con quale difficoltà potrebbe
essere
accettato,
per
esempio,
da
un
non-credente,
partendo
già
dall’espressione stessa. Nella società contemporanea dobbiamo essere capaci
di parlare la lingua del mondo, rivolti a tutti. È ciò che provoremo a fare nelle
conclusioni. Proveremo a presentare in una forma nuova, il United World
Project, progetto che vuol essere espressione dello spazio dove tutti si possono
incontrare, dove tutti possono vivere concretamente le relazioni con gli altri,
relazioni che sono l’identità del loro essere, per ritrovarsi e realizzarsi
pienamente come sé e come umanità.
fondata la nostra comunione con tutta l’umanità. «Credo nella comunione dei santi» significa:
credo in Gesù Cristo, credo che noi siamo in lui ed egli in noi, e che in tal modo siamo stati
immessi nella vita trinitaria e la Trinità ci avvolge. E credo che qui ci sia l’intera umanità. La
communio sanctorum è dunque il luogo in cui si attua l’unità della storia”, in K. HEMMERLE,
Partire dall’unità, Città Nuova, Roma 1998, pag. 97.
214
Cf. “La comprensione della morte di croce come quella del maledetto da Dio è attestata dal
fatto che Gesù è giustiziato «fuori le mura della città» (cf. Mt 27, 32 e Eb 13, 12-13), e cioè fuori
dell’ambito visibile dell’alleanza stretta da JHWH con il suo popolo” in P. CODA, Dalla Trinità,
Ed. Città Nuova, Roma 2012, p. 274; è per quel fatto, secondo Coda, che “«Cristo offre il
“luogo” nel quale ci si trova vicini a Dio, essendo Egli stesso lo “spazio” della vicinanza di Dio»
(Sclier), per i giudei e per i gentili” in P. CODA, Il logos e il nulla, Ed. Città Nuova, Roma 2004.
83
Conclusioni prospettiche
UNITED WORLD PROJECT: LO SPAZIO DELLA TRASFORMAZIONE DELLA
SOCIETÀ
Vediamo dunque quale può essere l’applicazione della teoria fino ad ora
elaborata, perché una tale ricerca non rimanga solo sul piano teoretico. In
questo passaggio “teor-etico”, vale a dire dalla teoria alla prassi, è proprio il
United World Project215 a svolgere un ruolo determinante.
1. Il problema al quale vuol rispondere United World Project
Diversi sono gli autori che tentano di interpretare la crisi odierna alla luce dei
tanti fattori che sono in gioco. Alcuni di essi affermano:
La crisi che il mondo sta attraversando e che si è presentata in maniera
violenta sotto l’aspetto finanziario, mette in discussione principi di
comportamento e presupposti del pensiero – molto diffusi e altrettanto
comunemente accettati – che non si limitano affatto al particolare campo
finanziario e neppure al più ampio terreno economico. E non si tratta solo
della crisi di questi mesi (di 2008), ma di un più lungo periodo storico nel
quale sono maturate tensioni e problemi arrivati ora – dopo numerosi e
gravi avvisaglie negli anni precedenti – al punto di rottura. La crisi investe
la nostra capacità di darci delle regole e di costruire le condizioni perché
si possa sviluppare la «vita buona»216.
215
Lanciato a Genfest 2012 – incontro dei giovani del Movimento dei Focolari – il progetto è
espressione dei Giovanni del Mondo Unito del medesimo movimento.
216
A.M. BAGGIO, Il ritorno dell’etica: una lettura ragionata della crisi, in A.M. BAGGIO – L. BRUNi –
P. CODA, La crisi economica appello a una nuova responsabilità, p. 11.
84
Senza essere catastrofici, occorre riconoscere che due eventi assai
diversi tra loro, come l’attentato all Torri Genelle del 2001 e una crisi
economica e finanziaria di proporzioni planetarie come quella che
sperimentiamo, vanno letti come un richiamo severo a porre in agenda
alcune poche parole ma fondamentali priorità che tutte ci chiamano in
causa. Si tratta, in una parola, di ripensare la filosofia del nostro vivere e
camminare responsabilmente insieme come membri dell’unica famiglia
umana217.
È percezione diffusa un po’ ovunque che la vita individuale e sociale stia
diventando sempre più difficile. Disorientamenti, frustrazioni, tensioni,
conflitti, vuoti esistenziali, mancanza di identità, incertezza dominante,
disuguaglianza e povertà, rischi e violenze crescenti stanno invadendo la
nostra vita e riguardano giovani adulti, anziani. (...) Gli scienziati sociali
individuano la gran parte delle cause nei problemi economici (...) e nei
problemi politici (...). A questi fattori vengono agiunti quelli culturali ed
esistenziali che contribuiscono, assieme a quelli economici e politici, a
rimettere in gioco tutta l’organizzazione sociale. Ciò che sta succedendo
è la crisi di un’intera epoca una crisi che porta con sé enormi sfide. (...)
Quel che è certo è che non si tratta più di effetti secondari o transitori, ma
di fenomeni che sono diventati il costitutivo stesso del nostro vivere
quotidiano218.
Si ipotizzano e si affacciano oggi scontri mortali di culture. Si assiste a
sanguinose crociate «democratiche». Si vive una forma inedita di guerra,
il terrorismo, spietata come le guerre vanno sempre più diventando, e
conducendo così alla luce il volto vero della guerra, di qualunque guerra,
come fenomeno annichilante l’umano219
Il problema odierno, al quale UWP vuole offrire una soluzione, è
l’avvicinarsi di una vera e propria autodistruzione. Afferma Zanghì: “se a tutto
questo non viene dato un volto è la fine”220.
2. Una coscienza generale del “nuovo”
Nonostante tutto la “notte porta in sé l’attesa del giorno”221. Nel primo capitolo
abbiamo messo in evidenza alcuni fenomeni che non sono generati dal sistema
capitalistico di oggi, dalla “notte”, ma che provengono dalla «sfera latente della
società», come afferma Donati, rappresentando i raggi di sole che stanno
217
P. CODA, Quale lezione dalla crisi? Una riflessione teologica, in A.M. BAGGIO – L. BRUNi – P.
CODA, La crisi economica appello a una nuova responsabilità, p. 67.
218
P. DONATI, Sociologia relazionale, pp. 21-22.
219
ZANGHÌ G.M., Notte della cultura europea, Città Nuova, Roma 2007, p. 43.
220
Ibid., p. 118.
221
Ibid., p. 45.
85
uscendo: “i fenomeni inattesi nascono dalla sfera latente della società; essi non
mantengono il modello di valore lib/lab222, ma lo cambiano introducendo nuovi
criteri o codici culturali di valorizzazione delle relazioni sociali” 223. Basti pensare
ad alcuni esempi eclatanti, come ai rapporti contrattuali su cui si fondano delle
relazioni comunitarie, alle banche del tempo, alla de-razionalizzazione del
lavoro, alla produttività e all’efficacia dell’agire non auto-interessato promosse
da diverse organizzazioni (come le community foundations), ai mercati etici224
(come il fare trade). Tanto le persone quanto le organizzazioni che stanno alla
base del cambiamento chiedono qualcosa di nuovo.
Per Donati è chiaro che c’è bisogno di un nuovo progetto sociale e
umano» che abbia alla base una «nuova cultura», un «modo nuovo da vivere in
società»:
Il mondo dei soggetti collettivi che non appartengono né al sistema
politico-amministrativo né al mercato capitalistico ha ancora bisogno di
riflettere, e molto, sulla propria identità e su che cosa esattamente può e
deve chiedere (...). C’è il rischio che diventi una galassia di gruppi di
influenza e di pressione (...) invece che diventare la voce di un nuovo
progetto sociale e umano. Per diventare un soggetto progettuale, questo
terzo polo deve prendere maggiore coscienza del fatto che rappresenta
l’espressione di un modo nuovo di vivere in società, di fare la società, di
elaborare cultura vitale (...).
Certamente, i nuovi movimenti sociali sono alcuni fra i potenziali agenti di
tale soluzione, ma a condizione che essi elaborino una nuova cultura.
Tale cultura deve mostrare la coscienza di una global finitude e
riconoscere che esiste una sola umanità in un solo globo, la quale ha
interessi, diritti e obbligazioni comuni, il bisogno della pace e la
smilitarizzazione degli Stati nazionali, deve elaborare nuove norme
sociali e nuovi strumenti in connessione con nuove istituzioni politiche
mondiali225.
Molto simile è la visione di Papa Francesco, il quale, richiamando
l’attenzione dei credenti verso una «nuova evangelizzazione», propone un
«patto sociale e culturale»:
È tempo di sapere come progettare, in una cultura che privilegi il dialogo
come forma d’incontro, la ricerca di consenso e di accordi, senza però
separarla dalla preoccupazione per una società giusta, capace di
222
Con quale Donati denomina il modello proposto della modernità.
P. DONATI, Sociologia relazionale, cit., p. 60.
224
Ibid., p.61.
225
P. DONATI, Sociologia relazionale, cit., pp. 275-276.
223
86
memoria e senza esclusioni. L’autore principale, il soggetto storico di
questo processo, è la gente e la sua cultura, non una classe, una
frazione, un gruppo, un’élite. Non abbiamo bisogno di un progetto di
pochi indirizzato a pochi, o di una minoranza illuminata o testimoniale
che si appropri di un sentimento collettivo. Si tratta di un accordo per
vivere insieme, di un patto sociale e culturale226.
Una proposta che da forma a questa novità richiesta dalla realtà viene
offerta da Pasquale Ferrara, secondo il quale un
progetto nuovo è ormai
«urgente» e «necessario»:
La verità è che c’è bisogno di un nuovo progetto politico internazionale,
un “new deal” globale, una nuova alleanza più inclusiva, pluralista,
paritaria, che vada ben oltre le alleanze militari ed economiche esistenti.
Non è per nulla un progetto utopico; basti guardare allo stato del mondo
per comprendere che non solo è realistico, ma anche urgente e
necessario227.
3. La proposta: United World Project
Lo United World Project, con il suo valore altamente simbolico, con la sua
freschezza ideale e realizzativa, è uno di quelle «sentinelle dell’alba» che
annunciano un nuovo giorno, un nuovo inizio 228.
Lo scopo di questo progetto è quello di promuovere la cultura della
fraternità universale229:
dimostrare che la fraternità universale oltre a essere un orientamento
dell’esistenza può diventare un nuovo cardine della politica,
dell’economia, del lavoro, dello sport, della salvaguardia dell’ambiente,
della comunicazione (...) (il Progetto) si impegna a promuovere la cultura
della fraternità universale230.
Il progetto è chiaro: la fraternità universale è il nuovo modo di vivere
proposto, la direzione in cui fare crescere la società, la nuova cultura di cui il
226
FRANCESCO, Esort. ap. Evangelii Gaudium, San Paolo, Cinisello Balsamo 2013, 239.
Atlante della fraternità universale. Realizing fraternity, p. 9.
228
Ibid.
229 Una tra le possibili interpretazioni del principio della fraternità universale su cui si rifà il
progetto è quello proposto da Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, nel suo
discorso, Libertà, uguaglianza… che fine ha fatto la fraternità?, al Parlamento britannico,
Londra, 22 giugno 2004: http://centrochiaralubich.org/it/pdf/italiano/874-chi-20040622-it.html .
230
Atlante della fraternità universale. Realizing fraternity, p. 17.
227
87
mondo ha bisogno e che, nella sfera latente, si sta già vivendo. Questa
fraternità universale ha come suo fondamento l’ontologia della relazione di cui
abbiamo già parlato. Infatti, proprio perché la relazione fa parte dell’identità più
profonda dell’uomo tutti gli uomini sono relazionati tra loro, anche con coloro
che ci hanno preceduto e che verranno dopo di noi; una relazione che lega
universalmente e trasversalmente.231
Vediamo più da vicino come avviene la promozione della fraternità
universale e quale è la struttura del United World Project
3.1. Rete Mondo Unito (United World Network)
Innanzitutto, il progetto si propone come quel nuovo patto sociale e culturale di
cui il mondo ha bisogno, rifacendoci alle parole di Donati e di papa Francesco.
Propone un patto universale tra tutte le persone, organizzazioni e istituzioni che
vogliono mettere alla base della loro esistenza e del loro agire la fraternità
universale, e quindi la relazione. Al patto si aderisce firmando un’attestato di
adesione al progetto, che certifica l’impegno di mettere in pratica la Regola
d’Oro232: “fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te; non fare agli altri ciò che
non vorresti fosse fatto a te”. Il risultato concreto del patto è la Rete Mondo
Unito che dà forma alla relazione che viene costruita tra coloro che si
impegnano a vivere la Regola d’Oro e che hanno come scopo il far nascere un
nuovo soggetto sociale relazionale233. Dal momento che si parla della fraternità
universale, questo soggetto relazionale vuole essere altrettanto universale:
affinché il mondo diventi una comunità di fratelli che si rispettano, si
accettano nelle loro diversità e si prendono cura gli uni degli altri234.
tanti nodi di una rete: tutte persone accomunate dal desiderio di
spendersi per la Regola d’oro; un network, appunto, dinamico e fluido
231
Ibid., p. 33.
“La Regola d’oro è base comune a tutti i libri sacri, ed è presente nelle culture e nelle
tradizioni di tanti Paesi del mondo. È oggetto di studi filosofici e sociologici. Chiara Lubich l’ha
definita «radice della convivenza tra popoli». Questa espressione racchiude in sé quanto il
rapporto fraterno sia prezioso e, al tempo stesso, induca alla responsabilità, non solo da un
punto di vista etico o religioso, perché la vocazione all’amore, ad “entrare” nella vita dell’altro, è
insita in ogni creatura umana e permette di scoprire le bellezze di chi è diverso da noi,
diventandone la dinamica essenziale della vita.”, in Ibid., p. 21.
233
Fino ad oggi sono più di 80 milla le persone, associazioni, organizzazioni che hanno aderito
alla Rete – http://www.unitedworldproject.org/
234
Cf. Papa Francesco in Atlante della fraternità universale. Realizing fraternity, p. 24.
232
88
come la nostra società e che si muove nelle situazioni più varie, là dove
la fraternità chiama235.
Una domanda tuttavia che può sorgere riguarda il come realizzare un
tale soggetto relazionale universale. È d’aiuto qui ricordare quanto emerso a
proposito dell’ecclesiogenesi: è l’annuncio, la comunicazione della fede
a
creare la comunità. Quindi, al di là delle condizioni necessarie perché si realizzi
un soggetto sociale relazionale, e al di là anche delle azioni intraprese dagli
attori che danno vita a tale relazione – su cui ci si soffermerà nei paragrafi
seguenti. Parte integrante del patto è la condivisione, l’annuncio, la
comunicazione delle azioni fraterne, come risultato del mettere in pratica la
Regola d’Oro, azioni che vengono chiamate anche «frammenti di fraternità». In
questo senso, nella proposta del Progetto, la condivisione diventa lo strumento
specifico della realizzazione della fraternità universale. È attraverso la
condivisione che si crea la comunità: se si vuole arrivare ad un livello
universale, tale condivisione deve includere e deve essere visibile all’intera
umanità.
3.2. Laboratorio Mondo Unito (United World Workshop)
Una condivisione a livello universale fa nascere a sua volta una «vetrina
universale delle azioni fraterne»: il Laboratorio Mondo Unito236. Come abbiamo
visto in Donati e più dettagliatamente con l’ontologia trinitaria, la relazione è
parte integrante della nostra identità: l’uomo è un essere in relazione. Abbiamo
inoltre costatato che con le nostre azioni indirizzate verso l’altro da noi
costruiamo nuove relazioni. Quello che fa già parte della nostra natura prende
forma e, attraverso le nostre azioni, si sviluppa o si riduce. Il Laboratorio Mondo
Unito vuol essere, quindi, la «vetrina delle azioni fraterne», dove le azioni
fraterne sono quelle che hanno come esito la produzione di beni relazionali, in
235
Atlante della fraternità universale. Realizing fraternity, p. 28.
Che parte dalla condivisione che avviene in famiglia, tra amici o colleghi di lavoro, a livello
micro, e che poi continua svilupparsi e ingrandirsi tramite eventi pubblici (come la Settimana
Mondo Unito) o attraverso la mass-media (conferenze stampa, collegamenti internet, sito
http://www.unitedworldproject.org/, e social-media: facebook, twitter, ecc.)
236
89
quanto sono vere relazioni sociali237. In sintesi, sono azioni che gli attori
producono, mettendo in pratica il principio della fraternità universale.
Da vent’anni la Settimana Mondo Unito è una espressione del
Laboratorio:
Una delle iniziative inglobate dal Progetto è la Settimana Mondo Unito,
un’expo internazionale che, dal 1995, è vetrina delle azioni di fraternità in
atto nel mondo. Sono sette giorni in cui si concentrano le più varie
iniziative per incidere sull’opinione pubblica dei vari Paesi e testimoniare
che è possibile costruire un mondo unito creando rapporti di pacifica
convivenza, nel rispetto della dignità di ogni uomo e dell’identità di ogni
comunità e popolo. La Settimana Mondo Unito (SMU) è una proposta
rivolta alle città, alle istituzioni, ai singoli di tutte le età, per promuovere
una cultura di attenzione all’altro, alla pace, alla riconciliazione,
all’attenzione verso tutte le marginalità. (...)
In quasi vent’anni di Settimana Mondo Unito, ciascuna edizione ha
registrato, mediamente, il coinvolgimento attivo e in contemporanea di
oltre 300mila persone su tanti punti della terra: dal Guatemala
all’Australia, dagli Usa all’Egitto, dalla Corea agli altri punti “caldi” del
nostro pianeta. E altri milioni di persone sono state coinvolte da questo
stile di vita238.
3.3. Osservatorio Mondo Unito (United World Watch)
L’Osservatorio Mondo Unito – il nostro Osservatorio permanente sulla
fraternità universale – è un centro di ricerca sul tema della fraternità
universale costituito da giovani e supportato da consulenti adulti. Ha
come obiettivo quello di verificare l’incidenza della fraternità universale
sia come principio che come criterio ispiratore di scelte e comportamenti
individuali e collettivi. L’Osservatorio Mondo Unito: a) raccoglierà e
metterà a disposizione i frammenti di fraternità pervenuti; b) promuoverà
iniziative culturali finalizzate a informare e a condividere i passi in avanti
sul tema della fraternità; c) sosterrà ricerche e studi che abbiano per
tema gli obiettivi di ricerca dell’Osservatorio; d) collaborerà con altri enti e
centri di ricerca impegnati su temi affini239.
Nei termini fin’ora utilizzati, l’Osservatorio è «l’osservatore» delle
relazioni sociali240 di Donati, che ha come scopo quello di far nascere dei
237
Abbiamo visto le condizioni per tale esito nel capitolo 2 e più avanti vedremo alcuni criteri più
sintetici offerti dal Progetto Mondo Unito.
238
Atlante della fraternità universale. Realizing fraternity, p. 24.
239
Ibid., p. 49.
240
P. DONATI, La società dell’umano, p. 148. Per capire meglio, nella stessa pagina: “ogni
singola relazione (fra Ego e Alter) ha sempre dei deficit di auto-gestione, per il semplice fatto
che non può osservarsi e agirsi da sé: per poter realizzare migliori potenziali di adeguatezza
deve necessariamente essere osservata e sostenuta da altre relazioni che la osservano
90
«relazionamenti di relazioni» attraverso l’osservazione delle relazioni stesse. La
ricerca e l’attività di questo aspetto del Progetto va nella direzione della metariflessività che Donati propone. Egli afferma che i due attori della relazione
possono
già
vivere
questa
meta-riflessività,
ed
è
lì
che
prende
formal’Oservatorio come spazio di incontro, di collaborazione delle metariflessività tra persone, associazioni e altri centri di ricerca.
Fin’ora, in forma documentata, l’Osservatorio detiene più di 800
frammenti di fraternità provenuti da 42 paesi dai 5 continenti – e la raccolta
continua – su quali concentra la sua ricerca. Uno dei risultati più importanti è la
pubblicazione dell’Atlante della fraternità universale, che spiega i fondamenti
del Progetto e i suoi sviluppi, offrendo una ricognizione molto ampia degli
obiettivi del progetto. Un altro risultato importante è la stesura di un elenco che
aiuta a “individuare alcuni criteri che possano, almeno minimamente, guidare il
riconoscimento di un’azione fraterna”241, e che qui riportiamo nella fig. 8.
Figura 8 – L’azione che genera un frammento di fraternità:
È compiuta liberamente
Nessuno può essere obbligato alla
→
fraternità.
L’azione non è compiuta per caso,
È guidata da una intenzione di
bene
ma è frutto di una scelta di valore.
→
Non misura il proprio vantaggio, ma
il bene che l’altro riceve.
Genera condivisione e
reciprocità
Non si limita a dare qualche cosa,
→
ma attiva relazioni di amicizia, di
immedesimazione, di condivisione.
Il bene che si fa non danneggia
Rispetta il bene comune
nessun altro e deve essere valutato
→
anche rispetto alle generazioni
future.
È universale
Chi compie l’azione non discrimina,
→
è pronto a rivolgersi a chiunque.
(l’osservatore) e la possono positivamente influenzare dall’esterno, e tuttavia all’interno di un
sistema relazionale più generale, che è la rete significativa (di Ego e Alter).”
241
Atlante della fraternità universale. Realizing fraternity, p. 36.
91
United World Project è un progetto in sviluppo, finirà quando lo scopo di
un mondo unito sarà raggiunto. In vista di tale raggiungimento sono ancora
necessarie tante elaborazioni e il progetto ne è consapevole. Basta ricordare
l’immenso lavoro che sta dietro la definizione e l’elaborazione di una cultura
della fraternità universale o all’elaborare in modo chiaro e comprensibile la
finalità di un mondo unito. Nello stesso momento è consapevole che tanti altri,
come abbiamo già avuto l’occasione di notare, si sono incamminati in tale
direzione con la loro interpretazione del bene o della trasformazione.
La certezza che il progetto ha in sé dell’esito positivo delle sue iniziative
ha le sue fondamenta, tanto sull’esigenza del nuovo e su tutte le azioni
intraprese da tante persone, istituzioni che in parte abbiamo avuto l’opportunità
di conoscere. Per realizzare tale esigenza, confida nella relazione in sé, la
quale, in quanto soggetto – che prende il nome di un Dio, per i credenti in
generale, e, più specificamente, di Gesù Cristo, per i cristiani – , vuole il
cambiamento e mette a disposizione tutte le risorse necessarie perché insieme
si realizzi. Quello che per adesso sembra un sogno, la trasformazione della
società, potrà così avverarsi: perché la società diventi lo spazio.
92
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