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302 – 6/2016
Gravi fratture nelle società disuguali
1.Una società disuguale
In questi ultimi anni, numerose ricerche hanno evidenziato la crescita delle
disuguaglianze e la crescente concentrazione delle ricchezze e dei redditi.
Tre economisti, in particolare, sono riusciti a rappresentare organicamente le
varie dimensioni della diseguaglianza presente nelle società contemporanee,
il consolidarsi di una società diseguale e i suoi effetti sulla vita delle
persone. Stiglitz (2015; 2012) ha rilevato la “grave frattura” che separa l’1
per cento dei ricchi dal restante 99 per cento della popolazione e l’esigenza
di individuare modi alternativi di gestire la globalizzazione al fine di
costruire una società più equa. Piketty (2014) ha documentato con
precisione altri aspetti, in particolare il progressivo consolidarsi di una
società dei patrimoni, nella quale il patrimonio ereditato dal passato una
volta costituito, si riproduce da solo e cresce molto più in fretta di quanto
cresca il prodotto e il reddito da lavoro, alimentando ulteriormente la
disuguaglianza. Atkinson (2015) ha rivolto principalmente la sua attenzione
alle azioni che è possibile promuovere per contrastare la disuguaglianza con
la consapevolezza che la diseguaglianza è una scelta politica, non è
inevitabile, non è il prodotto di forze che stanno al di fuori del nostro
controllo. Nel suo ultimo libro sostiene che è necessario contrastare non
solo le disuguaglianza delle opportunità ma anche le modalità e i processi
attraverso i quali si costruiscono, pur garantendo in alcuni ambiti
uguaglianza delle opportunità, le disuguaglianze degli esiti e come queste si
trasmettono da una generazione ad un’altra.
La rilevanza di queste analisi non può essere messa in dubbio, in quanto
hanno evidenziato con chiarezza le rilevanti trasformazioni che segnano le
società contemporanee, gli effetti della attuale disuguaglianza sulla vita
delle persone, sulla loro salute e speranza di vita, sull’accesso ai servizi
sanitari e all’istruzione, sui livelli di povertà. Le analisi della disuguaglianza
ci aiutano a comprendere molte tendenze presenti nelle società
contemporanee, ma, allo stesso tempo, rischiano di non rendere visibili altre
condizioni di vita:
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------------------------------------------------------------------------2. Are we the “99 percent"?
La crescente disuguaglianza nel reddito e nella ricchezza è considerata come
la più grande minaccia dei nostri tempi. L’1% dei più ricchi contribuisce ad
una crescita della disuguaglianza guadagnando sempre di più, ma anche
utilizzando la sua infinita ricchezza per convincere l’opinione pubblica e i
decisori che questa avidità è giustificata dal merito e dalla sua capacità e
porterà comunque vantaggi alla società nel suo complesso (Dorling 2015).
Sul sito web "wearethe99percent" sono descritte le esperienze personali del
restante 99%: sono quelli che hanno perso la loro casa, che non possono
accedere ad una assistenza medica di qualità, che lavorano molte ore per una
paga molto bassa e sono privi di diritti nel loro lavoro.
Ma la realtà di molte società avanzate è quasi sempre più articolata e meno
polarizzata. È difficile considerare una percentuale così alta della
popolazione come un gruppo omogeneo nelle sue condizioni di vita: nel 99
per cento è possibile distinguere gruppi sociali che condividono condizioni –
in termini di reddito, lavoro, patrimonio, partecipazione alla vita sociale molto differenziate.Ad un estremo superiore si colloca la parte delle classi
medie che vive condizioni di vita soddisfacenti e posizioni lavorative solide:
dirigenti pubblici e privati, liberi professionisti e altri lavoratori autonomi
con un discreto giro di affari. All’estremo inferiore le povertà persistenti,
persone e famiglie che vivono da lungo tempo condizioni di povertà con
limitati livelli di formazione e generiche capacità professionali. In mezzo,
fra queste due posizioni sociali, si consolida un’area sociale molto estesa
che comprende le classi medie con redditi più bassi e le classi operaie,
caratterizzate da redditi insufficienti, una crescente precarietà lavorativa,
risorse di welfare decrescenti e una scarsa mobilità sociale verso posizioni
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sociali più elevate. La distanza fra questa parte della classe media e una
parte considerevole delle classi operaie sta diminuendo e le distinzioni fra
questi due strati sociali stanno diventando più fluide. Cresce, invece, la
distanza (principalmente in termini di reddito e di rischio di povertà) tra
questo strato sociale e la classe media con redditi elevati e più stabili e,
all’estremo opposto, con le famiglie in condizione di povertà persistente.
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------------------------------------------------------------------------Alla “grave frattura” che separa l’1 per cento dei ricchi dal restante 99 per
cento della popolazione che Stiglitz (2015; 2012) descrive nelle sue
ricerche, si accompagnano altre “fratture sociali” meno visibili, ma che in
realtà stanno cambiando profondamente molti aspetti delle società avanzate.
3. Verso i margini sistemici
Queste fratture e queste articolazione delle posizioni sociali non emergono
con nettezza se ci limitiamo a descrivere le società contemporanee come
società diseguali e se, soprattutto, non osserviamo come le società avanzate
non solo creano disuguaglianze, ma tendano a ridurre i loro ambiti di
integrazione e le loro intenzioni inclusive. ---------------------------------------------------------Alcune parti non sono mostrate nell’anteprima
------------------------------------------------------------------------Sassen rileva (2014; 2016) che la nozione di disuguaglianza rischia di
nascondere più di quanto riveli. Gli strumenti che utilizziamo per
interpretare le attuali trasformazioni non ci aiutano a cogliere una realtà più
estesa e meno visibile. È vero che le economie di mercato avanzate sono
sempre state contraddistinte da una certa disuguaglianza e che l’ordine di
grandezza della disuguaglianza di oggi distingue l’attuale fase del
capitalismo da quella dei decenni posti-bellici. Ma è ancora più vero che
interpretare questa differenza come un semplice salto di scala, come un
semplice incremento della disuguaglianza o della povertà significa
precludersi la possibilità di cogliere la tendenza di fondo di una
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disuguaglianza che procede rapidamente, supera i confini del sistema e
diventa una forma di espulsione (Sassen 2014). La crescita economica non è
mai stata molto delicata, ma le accelerazioni degli ultimi tre decenni
segnano un’epoca nuova, in quanto minacciano una quantità crescente di
esseri umani e spingono famiglie e persone verso i margini del sistema. Ci
sono delle rotture in corso. Non si tratta soltanto di un “di più” della stessa
cosa (Sassen 2014). Le condizioni di vita dei gruppi sociali che superano
questi margini sistemici assumono connotazioni nuove, estreme. Per chi è
arrivato al vertice della piramide sociale dopo aver accumulato tutte le
risorse possibili, superare i margini del sistema significa liberazione dalle
responsabilità, liberazione dai legami di appartenenza alla società, assumere
un altro sistema valoriale. Verso il fondo della scala sociale, per le masse di
poveri e indigenti, superare i margini del sistema significa espulsione dallo
spazio vitale, dall’accesso ai mezzi di sussistenza, dal contratto sociale.
In molte società avanzate, le povertà persistenti escono completamente dal
sistema, da quello del lavoro e del welfare di qualità, diventano meno
visibili, si separano dalle povertà provvisorie (Siza 2009), i luoghi dove
abitano diventano periferie urbane profondamente segregate, periferie che, a
differenza delle periferie degli anni Sessanta descritte da Wilson (1987), non
hanno, se non in modo estremamente limitato, interessi e legami economici
con la parte centrale della città.
Il conflitto si sposta tra chi è dentro i margini del sistema e chi vive e si
sente, per un motivo o per un altro, per ricchezza o per povertà, fuori dalle
opportunità e dalle risorse che il sistema stesso offre nella normalità del suo
funzionamento (le scuole pubbliche, la sanità pubblica, i luoghi di relazione
della maggioranza delle persone), ma anche dai suoi vincoli, dai suoi limiti
valoriali, dalle sue regole, dalle sue norme, fuori dalla socialità della
maggioranza delle persone e dai criteri e dalle regole che distinguono i
comportamenti leciti dai comportamenti riprovevoli. Fuori dal sistema vive
una parte significativa dell’alto, del basso e del mezzo della scala sociale.
Non è più l’esclusione sociale dal sistema che abbiamo osservato nel
passato e che coinvolgeva soltanto la parte più povera della società. È un
fenomeno nuovo che riguarda la struttura delle società avanzate i modi nei
quali esse funzionano e si riproducono.
Quella che emerge è sicuramente una società diseguale, ma anche una
società che consente o costruisce attivamente, ai suoi margini esterni, spazi
di vita, di socialità, separati, divisi, non più regolati, abitati dai ricchi da una
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parte, dai poveri dall’altra. In uno spazio sociale intermedio, quello più
esteso, si costruiscono le condizioni di vita di una buona parte delle classi
medie e delle classi operaie che hanno perso molte delle loro sicurezze e
vivono condizione economiche insoddisfacenti e temono di perdita ulteriori
posizioni.
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4. La crisi di una fase inclusiva
Atkinson nel suo libro Disuguaglianza (2015) propone 15 misure per ridurne
l’estensione. L’autore, prevedendo le critiche, afferma che non tutte le
proposte potrebbero essere fattibili oppure auspicabili. Alcune di queste –
quali il salario minimo, il reddito di partecipazione, il child benefit, più
efficaci schemi di protezione dalla disoccupazione – sembrano rispondere
efficacemente alle esigenze di una società frammentata, di una società che
consolida condizioni di vita molto differenziate, che non contrasta la
precarietà dei redditi e il peggioramento della qualità del lavoro.
Le società avanzate che hanno enfatizzato in questi ultimi decenni il valore
positivo della disuguaglianza per la crescita economica e per l’arricchimento
individuale si poggiano sul principio dell’individuo libero che rappresenta i
suoi interessi. L’individualismo funzionale, disciplinato, orientato dai valori
condivisi è ritenuto un principio fondante la società moderna perché ne
assicura la crescita e il dinamismo complessivo. Parsons (1978) pensava a
questa forma di società e con il termine “individualismo istituzionalizzato”
intendeva riconciliare l’esigenza di un ordine sociale con l’auspicata
capacità di iniziativa dell’individuo. Beck ha ripreso questa definizione
riferendosi alla esigenza degli individui di condurre un’esistenza autonoma,
di realizzare i propri progetti di vita nell’ambito, comunque, di regole poste,
principalmente, dalle istituzioni e dal mercato.
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Ciò che non è sufficientemente enfatizzato da quanti osservano la
disuguaglianza è che il crescere di questa condizione sta diventando sempre
meno compatibile con il principio dell’uomo libero valorizzato dal
neoliberismo e con la radicalizzazione dei processi di individualizzazione.
Le dinamiche che hanno determinato in questi anni la crescita della
disuguaglianza - il consolidarsi di una società dei patrimoni, le elevate
disuguaglianze nella distribuzione dei redditi, la disuguaglianza nelle
opportunità e negli esiti, una limitata mobilità sociale ascendente, un
mercato del lavoro flessibile – incidono severamente sui singoli individui.
L’esistenza individualizzata di chi non si avvantaggia più dall’appartenenza
a soggetti collettivi, di chi vive in una società che non offre opportunità di
affermazione, con scarsa mobilità sociale, con una distribuzione dei redditi
che premia solo alcuni gruppi sociali, diventa troppo esposta a rischi sociali.
Gli individui che si affrancano dai vincoli familiari e dalle appartenenze
collettive, e acquistano autonomia rispetto alle condizioni ed ai legami
primari, diventano sempre più dipendenti dal mercato del lavoro e dalle
congiunture economiche. L’individuo moderno e dinamico che intende
sottrarsi ai vincoli tradizionali della famiglia e della rete parentale, si affida
in questo modo ad una nuova dipendenza: quello del mercato del lavoro,
flessibile, precario, del lavoro sottopagato.
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Nei confronti di questi gruppi sociali non si sviluppa più un progetto di
inclusione, una politica espansiva che possa reintegrarli nel mercato del
lavoro e nella vita sociale. Sassen ci ricorda che si è esaurito il ciclo di
crescente inclusione sociale ed economica caratteristico del keynesismo.
Negli anni Ottanta c'è stata una rottura radicale, una frattura rispetto al
capitalismo keynesiano, la cui logica dominante – nonostante tutti i limiti –
era l'inclusione, la riduzione delle tendenze sistemiche alla disuguaglianza,
perché il sistema si reggeva sulla produzione e sul consumo di massa. La
manifattura di massa, il consumo di massa, la costruzione di case e strade
anche per i meno abbienti: tutto ciò è stato ottenuto espandendo lo spazio
dell’economia e incorporando le persone nel sistema (Sassen 2014). Ora
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sulle macerie del keynesismo emergono nuove logiche fondate sulle
espulsioni, espulsioni di individui, comunità, imprese e luoghi dagli ambiti
della società, dagli ambiti dell’economia.
La possibilità di realizzare il progetto di vita individuale si affievolisce
notevolmente. In una società che garantisce sempre meno sicurezze di base e
meno opportunità di costruirle autonomamente con il proprio impegno, in
una società divisa, ogni scelta di vita sembra presentare crescenti rischi
sociali. ----------------------------------------------------------Alcune parti non sono mostrate nell’anteprima
------------------------------------------------------------------------In termini più generali, possiamo rappresentare questo deterioramento delle
fiducia e del senso civico come crisi dell’“individualismo
istituzionalizzato”, una crisi che lascia emergere l’individualismo di chi
teme di superare i margini sistemici, essere fuori definitamente dal mondo
del lavoro, dalla rete di socialità e di sostegno, subire la sottrazione di diritti
e di beni. Questa condizione coinvolge persone che non hanno più un
progetto di vita, ma un insieme confuso di aspirazioni e rancori, di
insofferenze per le regole e per le istituzioni e di chi si limita a costruire una
strategia di sopravvivenza componendo valori e modi di vita molto
differenti, oscillanti tra posizioni contrastanti, lontano da ogni forma di
appartenenza, privo di fiducia nelle istituzioni e sulla possibilità di costruire
beni comuni (Siza 2014). Nel passato questo individualismo privo di regole
riguardava l’esercito degli esclusi che abitavano le periferie urbane, persone
ritenute non affidabili né come lavoratori né come consumatori. Ora
coinvolge un insieme molto esteso di persone, quelle che sono ai margini del
sistema e quelle che temono di essere coinvolti in questa deriva.
5. La subordinazione del welfare alle logiche prevalenti
Il welfare state molto parzialmente riesce a far fronte a questi effetti sociali
della disuguaglianza né sembra in grado di affrontare con azioni di politica
sociale adeguate le logiche sistemiche alle quali si riferiscono Sassen e
Harvey. In molte società avanzate, il welfare per troppi aspetti sembra
subordinato alle logiche prevalenti dello sviluppo economico, si adatta ai
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nuovi assetti sociali, senza provare a contrapporre con sufficiente insistenza
i valori e i principi di una società differente.
Nelle società caratterizzate da elevata disuguaglianza, il modello emergente,
dopo un decennio di politiche di riduzione della spesa, è un welfare
dualizzato (Emmenegger et all. 2012) inteso come una organizzazione dei
servizi che prevede una differenziazione del diritto a ricevere una
prestazione sulla base della posizione sociale del beneficiario. In questo
modello la maggioranza delle famiglie può contare su un sistema pubblico
universalistico sempre meno efficiente e che garantisce una copertura dei
rischi sempre meno estesa. Le famiglie con redditi e condizioni lavorative
soddisfacenti possono integrare le prestazioni pubbliche con assicurazioni
private e con ulteriori benefici, quali il welfare aziendale, derivanti dalla
loro posizione lavorativa. Le altre famiglie, invece, inevitabilmente possono
accedere in termini molto limitati alle prestazioni private. Il modello di
riferimento delle trasformazioni auspicate è quello adottato da anni da molte
nazioni europee in cui il sistema pubblico convive con un sistema privato
molto dinamico e finanziato prevalentemente da fondi assicurativi.
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Le politiche di welfare possono proporre e sostenere un’altra
rappresentazione dei bisogni e dei destini delle persone, rendere visibili
margini sistemici, criticità e aree di abbandono, possono essere
ragionevolmente fondate su principi e modalità d’intervento innovativi. Le
società avanzate sono società dinamiche, individualizzate nella quale
ognuno cerca di realizzare il proprio progetto di vita. Le attuali politiche
sociali e le politiche dell’istruzione, in particolare, troppe volte non sanno
cosa farne del dinamismo e di questa crescente capacità autonoma delle
persone, rischiano di essere la sfera di vita dei comportamenti passivi, in cui
operatori e beneficiari delle prestazioni si adattano ad una cultura
assistenzialistica, di attese e di reciproche dipendenze, senza costruire un
futuro differente. Queste politiche possono diventare, invece, l’ambito, dove
si realizzano i progetti di vita più innovativi, l’ambito delle passioni gioiose,
dei giochi dei bambini e degli adulti, possono essere capaci di promuovere
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nuove forme di socialità, nuove forme di collaborazione e nuove modalità di
stare insieme che contrastino realmente disuguaglianze e logiche sistemiche.
Remo Siza svolge attività di ricerca, formazione e consulenza in Italia e nel Regno Unito.
[email protected]
Riferimenti bibliografici
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Editore 2015.
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