introduzione alla psicologia sociale

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INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA SOCIALE
AROUSAL= STATO DI ECCITAZIONE, ATTIVAZIONE FISIOLOGICA
INCLUSIVE FITNESS = IDONEITà COMPLESSIVA = SUCCESSO RIPRODUTTIVO
COGNIZIONE = ATTIVITà DEL CONOSCERE = ACQUISIZIONE, ORGANIZZAZIONE,
USO DELLA CONOSCENZA.
CAP. 1
•
LE ORIGINI
Nel 1897 prende l’avvio la Psicologia Sociale Sperimentale moderna, da un osservazione di Norman Triplett sulla
prestazione degli atleti a seconda della situazione sociale: aveva notato che la prestazione era migliore in sede di gara
piuttosto che durante gli allenamenti.
Fece gli esperimenti su dei bambini che avvolgevano le lenze, uno in cui i bambini erano soli e l’altro insieme ai loro
compagni: la prestazione era migliore nel secondo caso. Questo episodio fu detto facilitazione sociale.
Max Ringelmann nel 1880 era invece giunto a risultati opposti: aveva notato che quando una corda era tirata da un
gruppo di persone la forza impiegata da ciascuno era minore di quando veniva tirata singolarmente.
La conclusione è la seguente: la presenza degli altri facilita la prestazione quando è possibile rintracciare il contributo
del singolo, mentre il sentirsi parte anonima di un gruppo porta ad una riduzione di qualità e dell’impegno.
Pertanto possiamo dire che la Psicologia sociale studia l’articolazione tra il mondo psichico e quello sociale.
I primi due manuali di psicologia sociale appaiono entrambi nel 1908:
Introduction to Social Psychology di W. McDougall che ha per oggetto l’individuo e come questi si pone con il mondo
esterno;
Social Psychology di E.A. Ross che ha per oggetto l’influenza del sociale sul comportamento degli individui.
Agli inizi del 900 era difficile distinguere tra psicologia sociale e sociologia.
La rivoluzione industriale in Europa aveva visto affacciare sulla scena le “masse” e la minaccia che esse
rappresentavano per l’ordine sociale della borghesia. Pertanto diversi studiosi quali Le Bon (la Psicologia delle folle)
e Sighele (Studio della folla) si erano interessati a questo fenomeno.
I modelli di riferimento per l’analisi della folla sono due ed entrambi partono dal concetto di “malattia”:
• L’INFLUENZA SOCIALE ALLA PARI DELLA SUGGESTIONE due psichiatri francesi Charcot e
Bernheim, che influenzarono Freud, , vedono l’influenza sociale come un meccanismo che, al pari della
suggestione, fa saltare i freni inibitori (la suggestione veniva usata come modalità diagnostica e terapeutica
delle malattie mentali);
• IL CONTAGIO MENTALE, l’intensità emotiva e l’agitazione della folla è interpretata come una malattia
infettiva.
• LA PSICOANALISI E LA PSICOLOGIA SOCIALE
La psicoanalisi nasce con Sigmund Freud e considera la comprensione della vita conscia dell'uomo subordinata alla
comprensione della sua vita inconscia.
Freud trova una causa psicologica per spiegare alcuni disturbi mentali che all'epoca non venivano considerati in
quanto non si riusciva a trovarne nessuna causa organica. In questo si rifà ad alcuni psichiatri francesi del tempo come
Charcot, e Bernheim che proponevano ipnosi e suggestione per portare i pazienti al di sotto della soglia di coscienza,
dar loro dei comandi appropriati, per liberare le forze inconsce che li bloccano e creavano i disturbi.
La psicoanalisi Freud la costruisce come tecnica terapeutica verso il 1892/97.
Il metodo delle libere associazioni è l'ultimo di una serie di metodi che Freud sperimenta per la cura delle
psiconevrosi:
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-prima prova con l'ipnosi
-poi con la suggestione
-poi l'insistenza
-infine invita il paziente a comunicare quello che gli passa per la testa tramite le libere associazioni,
pensando che così le cause dei disturbi possano emergere e scaricarsi, facendo regredire i sintomi.
Freud ipotizza che negli esseri umani ci siano:
Forze pulsionali inconsce:
Sono il risultato di accumulo di energia psichica (libido)
Queste forze determinano il comportamento
La motivazione ad agire è dovuta al bisogno di scaricare l'energia
Se la libido non viene scaricata provoca tensioni dolorose
Quindi il comportamento è determinato da forze psichiche inconsce
LE FORZE PSICHICHE SONO REGOLATE DA DUE PRINCIPI:
Principio del piacere
Principio della realtà
Presente fin dalla nascita spinge a soddisfare i bisogni e a scaricare la
libido anche quando non ci sono le condizioni reali per farlo. Tramite
sogni, lapsus, dimenticanze si scaricano bisogni inaccettabili per se
stessi e per la società (es. uccidere il proprio padre=sognare di farlo)
per non incorrere in punizioni sociali e del proprio senso morale.
Fa si che l'individuo verifichi che ci siano
le condizioni nella vita reale per
soddisfare i propri bisogni e desideri e
che rinunci o ne posticipi l'attuazione se
non ci sono le condizioni
• STRUTTURA DELLA PERSONALITÀ
La lotta tra desideri inconsci e l'attuazione nella realtà è regolata dal modo in cui è strutturata la personalità.
ES o ID
La struttura della personalità:
È completamente inconscio ed è il serbatoio di tutte le pulsioni (sessuali, aggressive,
autoconservative) che in parte sono innate in parte sono create da processi di rimozione cioè
lo spostamento degli impulsi inaccettabile a livello inconscio.
IO
In parte conscio in parte inconscio fa da mediatore tra i bisogni dell'Es, le esigenze della
realtà e gli imperativi del Superio
SUPERIO
Maggiormente inconscio si forma nelle prime fasi della vita, in base a divieti e punizioni
ricevuti dai genitori. Serve da giudice e censore, vieta all'Io di mettere in atto azioni
proposte dall'Es, creando il senso di colpa o un Io ideale.
Sublimazione
Esistono meccanismi di difesa inconsci che difendono l'Io dagli attacchi dell'Es. La
sublimazione fa si che spinte distruttive e aggressive si tramutino in azioni socialmente
accettabili (es. il bisogno di uccidere e ferire si trasforma in attività di chirurgo).
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• LE FASI DELLO SVILUPPO PSICO-SESSUALE: LIBIDO E AGGRESSIVITÀ
Libido e aggressività si manifestano già nel neonato
1- fase orale:
12/18 mesi; gratificazioni sessuali e scaricamento dell'aggressività attraverso la bocca, la
suzione e il morso del capezzolo
2- fase anale:
18 mesi/3 anni; gratificazioni sessuali attraverso ritenzione e espulsioni delle feci,
scaricamento dell'aggressività facendolo in contrasto con le richieste dei genitori.
3- fase fallica:
3/5-6 anni, interesse per i propri genitali (per la femmina c'è la scoperta di non avere il
pene) e l'elaborazione del Complesso di Edipo: pensieri incestuosi per genitore dell'altro
sesso, pensieri aggressivi verso genitore dello stesso sesso. Il suo superamento è critico per
lo sviluppo dell'individuo: per il maschio, si teme la vendetta per i pensieri sulla madre e
scatta la paura dell'evirazione, inizia il processo di identificazione col genitore odiato e poi
preso come modello e l'acquisizione di identità sessuale appropriata. Per la femmina: il
non avere il pene la fa innamorare del padre per avere il pene e ad odiare la madre, poi
superato con l'identificazione nella madre.
4- fase latente:
6/11 anni; pulsione sessuale si rafforza ma non si esprime
5- fase genitale:
adolescenza; pulsioni finalizzate alla preparazione a una vita sessuale adulta
• INDIVIDUO E SOCIETÀ
Per Freud c'è un continuo conflitto tra individuo e società .
L'individuo alla nascita è perverso e polimorfo, e tramite le due pulsioni di Eros (erotica) e Tanatos (di morte) è spinto a
realizzare comportamenti finalizzati alla perpetuazione della specie, cioè dando vita a nuovi individui (eros) e avendo poi la
tendenza, una volta riprodotti, a lasciare spazio alla nuova generazione (Tanatos, sia verso se stessi che verso gli altri).
Queste due pulsioni porterebbero ad una continua e feroce competizione tra gli uomini che quindi hanno bisogno di essere
controllati da leggi e sanzioni della società, che quindi è creata per regolare questi istinti e non come risposta ai bisogni
individuali.
Per Freud <<l'individuo nella società può trovare giustizia ma non comprensione>>
Il Super Io è quella parte della psiche individuale che incorpora le leggi sociali, regolando le pulsioni. Le leggi sociali quindi
sono in eterno contrasto con gli istinti individuali. A queste leggi nel Super Io si aggiungono i modelli ideali proposti dai
genitori che tramite meccanismi di introiezione e proiezione, contribuiscono a fare da controllore interno, così da far sentire in
colpa l'individuo ogni volta che non si uniforma alle norme sociali o si allontana dall'io ideale che ha come modello.
Motivazioni inconsce che portano gli adulti a unirsi in gruppi sociali.
Conflitti edipici irrisolti e rimossi spingono gli adulti ad entrare nei gruppi, a sviluppare una psicologia collettiva, delle masse:
• nelle orde primordiali, i giovani maschi si coalizzano per rovesciare e impadronirsi del potere del padre. Questa
ferocia è così forte che potrebbe portare all'annientamento del gruppo sociale. Emergono quindi i primi tabù
che vietano di aggredire membri del proprio gruppo, convogliando l'aggressività verso gruppi esterni.
• Quando le persone si riuniscono in folle riemergono le pulsioni distruttive (gelosia, intolleranza) verso il
padre/padrone alla base del complesso di Edipo. Nella folla si può rivivere l'arcaica possibilità di unirsi ad altri
per abbattere il padre
• Come Le Bon, Freud vede la folla come luogo dove l'inconscio può esprimersi nella sua forza distruttiva e
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•
•
devastante.
La psicoanalisi è la meno presente nella psicologia sociale perché il suo interesse primario è l'individuo.
PSICOLOGIA SOCIALE PSICOLOGICA E PSICOLOGIA SOCIALE SOCIOLOGICA
psicologia sociale psicologica
psicologia sociale sociologica
Pone enfasi sulla sperimentazione, analisi quantitative, paradigmi
scientifici. Il rapporto individuo/società è visto principalmente come
processi cognitivi individuali.
Riduce sempre più le differenze con
sociologia e scienze sociali. Verifiche
empiriche di tipo qualitativo.
•
PSICOLOGIA SOCIALE SOCIOLOGICA
L'interazionismo simbolico
Dalla Scuola di Chicago e George Herbert Mead. Dà grande importanza al ruolo del gruppo nel determinare il significato che i
singoli danno alla loro vita sociale.
Il comportamento è determinato da come gli stimoli diventano simboli in base all'interazione sociale.
ESEMPIO: un certo modo di vestirsi significherà qualcosa di diverso in base al contesto sociale e si caricherà quindi di simboli
diversi in base al gruppo. Un orecchino al naso per un ragazzo significa “sono parte del gruppo” quando è tra amici, e “non sono
come voi” se è in famiglia con genitori tradizionali.
La concezione del Self (identita personale) e degli altri, è costruita con l'interazione sociale.
C'è un continuo confronto tra proprio punto di vista e quello degli altri, intesi anche come “altro generale” che racchiude il punto
di vista dell'intero gruppo sociale.
Storia
La psicologia sociale propriamente detta è diventata quella psicologica, che pone l'attenzione all'individuo pur nella sua
intersezione con la società. In europa nasce la psicologia sociale psicologica con Kurt Lewin, ma poi si sviluppa
soprattutto negli Stati Uniti, dove il concetto di gruppi, folle masse, non viene visto più come rivoluzionario e
destabilizzante ma l'intraprendenza dei singoli e dei gruppi serve per portare avanti il progresso. Su questa base nascerà il
Comportamentismo che si contrappone alle teorie vigenti dell'introspezionismo. Solo dopo la Seconda Guerra mondiale
la disciplina tornerà in Europa.
• INTROSPEZIONISMO E PSICOLOGIA DEI POPOLI DI WUNDT
Wundt segna la nascita della psicologia generale, aprendo il primo laboratorio di psicologia sperimentale a Lipsia. Fa ricerche in
ambiente controllato, dove in condizioni di stimolazione esterna costante, chiedeva ai soggetti di riferire le sensazioni, tramite
l'introspezione e non tramite giudizi o ragionamenti. Si interessa in particolare dei singoli elementi che costituiscono la vita psichica
e sui fatti di coscienza.
INTROSPEZIONISMO: ricerca di elementi della vita psichica e fatti di coscienza.
• COMPORTAMENTISMO – J.B. Watson (1913) e B.F. Skinner (1938)
Per il modello comportamentista, l'individuo è alla nascita una tabula rasa sulla quale le influenze ambientali possono
incidervi qualsiasi cosa. Il successo nello sviluppo dipende dalle opportunità dell'ambiente sociale e fisico.
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La psicologia deve indagare sulle condizioni obiettive che determinano il comportamento.
Il comportamento è spiegato in base a catene casuali di stimoli e risposte.
Il comportamento è la risposta ad uno stimolo quasi sempre esterno secondo un modello S-R cioè una connessione
stimolo-risposta.
I comportamentisti indagano su dati osservabili, misurabili con l'itento di dare obiettività e scientificità alla psicologia
al pari delle altre scienze. Quindi gli esperimenti in laboratorio diventano gli unici accettabili perché controllabili e
verificabili.
I loro studio partono da meccanismi di base di tipo associativo:
Associazioni tra due stimoli e risposta
Rinforzi
Teorie della contiguità – Watson
Teoria del rinforzo – Skinner, Miller
Studiato a lungo da Pavlov
Condizionamento classico:
ad uno stimolo neutro SN
può seguire una risposta condizionata RC che in
precedenza era attivata da uno stimolo incondizionato
SI e la cui risposta era una risposta incondizionata RI.
ESPERIMENTI sulla salivazione dei cani:
alla vista del cibo SI, il cane saliva RI, se all'SI si associa
per un periodo uno stimolo neutro come una
campanella, SN o una luce, alla fine il cane senza più
vedere il cibo saliverà al suono della campanella o alla
luce RC, perché lo assocerà al cibo.
Studiato da Skinner
Condizionamento operante:
una risposta casuale verrà poi ripetuta se ad essa viene
associato uno stimolo piacevole (rinforzo positivo).
Se lo stimolo sarà spiacevole, il comportamento si estingue
(rinforzo negativo).
Questi sistemi di rinforzo si basano su l'apprendimento
detto di tentativi ed errori che scansiona gli elementi
presenti nell'ambiente che ci circonda, e li considera uno
dopo l'altro in successione.
ESPERIMENTI Skinner box: una gabbia con un topo,
una leva che premuta fa cadere del cibo. Il topo
camminando preme x caso la leva varie volte, fino a che
apprende che premendola avrà il cibo. Il condizionamento
operante viene definito così perché si basa sull'agire.
La psicologia sociale sposa l'ipotesi comportamentista che ha una prospettiva individualista per cui le azioni del
gruppo non sono altro che la somma delle azioni dei singoli. Solo l'individuo è reale, il gruppo è solo
un'astrazione frutto dell'interazione dei singoli.
ALLPORT (1924) con una vasta opera spiega come bisogna intendere l'interazione sociale e diventa modello per gli
psicologi sociali.
In seguito negli anni '40 gli psicologi capiscono che è troppo elementare la sola teoria S-R per spiegare il
comportamento sociale. Bisogna anche tener conto delle percezioni, delle opinioni, degli stati mentali degli individui.
Gli stimoli vengono interpretati, non considerati uno dopo l'altro in sequenza lineare. Nasce quindi la SOCIAL
LEARNING THEORY, l'Apprendimento Sociale che con gli studi di Dollard e Bandura, includono nella teoria
comportamentista S-R, le variabili che intervengono tra stimolo e risposta, la mediazione dell'organismo nel
decodificare lo stimolo secondo il
modello S-O-R stimolo-organismo-risposta.
Bandura osserva che maggiormente al condizionamento classico e operante si affianca l'effetto modeling cioè un'imitazione del
comportamento degli altri che l'individuo elabora e astrae, traendone un modello da seguire. Il rinforzo non è più il meccanismo
più importante per spiegare il cambiamento dei comportamenti, può essere però importante per i comportamenti sociali
quando diventa rinforzo vicariante cioè una risposta allo stimolo non più del soggetto che lo compie ma del modello a cui egli si
ispira, che può portare alla desiderabilità sociale, cioè si fa ciò ceh fa un proprio idolo perché quel comportamento nell'idolo lo
porta ad avere successo sociale, e per questo lo si imita.
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• GESTALT
Teoria tedesca (Scuola di Berlino) portata negli Stati Uniti da studiosi tedeschi in fuga dal nazismo negli anni '40.
GESTALT PSYCHOLOGIE, psicologia della forma sempre in un'ottica individuale considera il ruolo dell'elaborazione
percettivo-cognitiva degli stimoli nel comportamento sociale.
Anno di nascita, 1912 con uno studio di Wertheimer sul movimento stroboscopico (movimento apparente di figure statiche in
successione veloce).
La Gestalt è detta teoria fenomenologica perché si basa sui fenomeni così come l'individuo li percepisce.
La mente non è una tabula rasa, ma ha la capacità di strutturare la realtà in base a leggi tipiche. Il PRINCIPIO DI BASE è che il
tutto è più della somma delle parti.
PERCEZIONE DELLA TOTALITÀ
2 leggi principali
Legge della formazione non additiva della totalità
Legge della pregnanza
o della buona forma (gestalt)
Il tutto viene percepito solo se non viene visto come
somma delle parti.
La percezione tende a cogliere insiemi armonici, che
stanno bene insieme, forme chiuse
Gli elementi singoli sono strutturanti cioè servono per
dare la struttura e a cambiare il significato della totalità
In base a questo vediamo perfino parti che non esistono,
se contribuiscono a dare senso all'insieme che si osserva.
Per i gestaltisti c'è una corrispondenza tra mondo fisico e mondo psichico, per questo riusciamo a classificare un paesaggio come
triste, o una musica è triste. La percezione è vista quindi come un'interazione tra organismo e ambiente, che avviene all'interno
dell'individuo su basi innate.
L'interazione organismo-ambiente e quindi LA PERCEZIONE È REGOLATA oltre che dalle due leggi base, anche da altri
principi organizzativi:
Chiusura
di strutture aperte
Insieme alla legge della pregnanza fa si che in un campo visivo omogeneo, si
percepiscano forme dai contorni che in realtà non esistono. Vengono detti
contorni anomali o soggettivi
Somiglianza
Elementi simili vengono percepiti come insiemi
Continuità di direzione
Vicinanza
Elementi vicini vengono percepiti come insiemi
Destino comune
Se alcuni elementi di una figura vengono spostati, si modifica la percezione della
figura stessa, se la figura viene spostata in blocco, la sua percezione non cambia.
Rigidità percettiva
Regola il rapporto figura-sfondo per cui una volta individuata una figura su uno
sfondo, è difficile vederli in modo differente. È alla base del pregiudizio, una
volta vista una cosa è difficile cambiare idea su di essa.
Koehler (1921) fa degli esperimenti partendo da questi principi e rivede le teorie comportamentali e introspezionistiche.
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Funzionamento della mente
esperimento con gli scimpanzè
Pensiero produttivo
Forma di ragionamento che produce una conoscenza nuova, non tramite tentativi
e errori, ma con un atto mentale che coglie la relazione tra gli elementi presenti nel
campo visivo ristrutturandolo cognitivamente
Esperimento
Uno scimpanzé affamato in una gabbia con un bastone. Fuori della gabbia una
banana: attraverso l'insight (illuminazione) lo scimpanzé riesce a dare al bastone
finora solo strumento di gioco, una nuova funzione per avvicinare la banana e
risolvere il problema creando una nuova relazione tra gli elementi nel suo campo
visivo.
•
La Gestalt di KURT LEWIN
Allievo di Koehler, usa i principi della Gestalt sullo studio dei gruppi e elabora la TEORIA DEL CAMPO Field Theory.
CAMPO:
la totalità dei fatti, coesistenti in un dato momento, nella loro interdipendenza
si può intendere per:
• spazio di vita: una sorta di mappa che ha l'individuo del suo ambiente sociale
• spazio fisico e sociale
• spazio di confine: il punto di incontro tra mondo interno ed esterno, dove ha luogo la condotta.
Il gruppo (sociale) è qualcosa di più, di diverso della somma dei suoi membri, è l'interdipendenza tra di essi, al variare di
uno, varia l'assetto generale e tutte le sue parti (destino comune). Il gruppo è una TOTALITÀ DINAMICA.
Per questo nella sua metodologia di ricerca, sapeva che il solo inserirsi del ricercatore nell'ambiente di ricerca, lo
modificava. Si poteva quindi con la ricerca-intervento, sia fare ricerche che lavorare sui gruppi per modificarne i
comportamenti.
Sia l'individuo che il gruppo non è percepibile e comprensibile se non in rapporto con l'ambiente sociale che li
circonda e in relazione con gli altri individui/gruppi.
Es. un ebreo si percepisce come tale sia per i rapporti che ha con i membri del suo gruppo ma anche perché sa di essere
visto come tale da chi non è del suo gruppo.
Lewin fa esperimenti sulla leadership
tre gruppi di bambini di 10 anni devono fare delle maschere
con la supervisione di 3 adulti che conducono differentemente:
Leadership democratica
Favorita la collaborazione, la valorizzazione di ognuno, decisioni collettive,
confronto delle idee, nessuno può disimpegnarsi
Il gruppo procede con l'obiettivo, nasce collaborazione e soddisfazione per la
propria partecipazione.
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Leadership autoritaria
Imposizione della volontà, rimproveri per errori, divisione tra bravi e non
Inizialmente gruppo più produttivo, poi però senso di frustrazione e reazioni
aggressive tra i membri, che porta ulteriore severità del leader, infine gruppo
poco coeso e poco produttivo
Leadership lassista
Molto permissivo, eccessiva libertà, poca sicurezza del proprio compito
Disinteressamento per il proprio lavoro, momenti di collaborazione alternati
ad ostilità. Nascono piccoli gruppi non coordinati, inefficienza e scarsa
produttività.
I risultati di questi esperimenti servirono per confermare che uno stato democratico che ponga regole sicure e supporti
la cittadinanza, in base alle competenze di ognuno, usa la politica giusta, e boccia l'autoritarismo che finisce con lo
sfaldare il gruppo e le politiche troppo deboli. Per il periodo gli Stati Uniti erano quindi il modello di governo più
adeguato.
Lewin mette ulteriormente a punto la sua metodologia action-research (ricerca-azione) e la usa per risolvere problemi
come l'eventualità per gli Stati Uniti di razionamenti a causa della Seconda Guerra Mondiale. Le tecniche tradizionali
come le conferenze davano pochi risultati. Lewin scopre invece che creare gruppi di discussione in cui entrare e
direzionare lo scambio di idee e la partecipazione attiva delle persone, portava a ottimi risultati. Riuscì a convincere le
casalinghe a comprare più frattaglie e meno bistecche.
• LE MINI-TEORIE E L'INIZIO DELLA SOCIAL COGNITION
Gli allievi di Lewin tra gli anni '50 e '60 porteranno avanti moltissime ricerche che si pongono come mini-teorie, che si
possono definire già cognitiviste infatti per alcuni l'origine della Social Cognition, cioè lo studio dell'origine sociale
della cognizione e di come le persone giungano alla costruzione del loro mondo, viene fatta risalire alla
pubblicazione delle ricerche di Ash (1946).
•
•
Tra le mini-teorie rilevante quella di Heider dell'equilibrio cognitivo, cioè ciascuno di noi cerca di mantenere
un suo equilibrio e di come siamo portati ad errori di giudizio pur di mantenere un alto livello di autostima.
Importante anche Festinger e la sua dissonanza cognitiva, per cui se si è costretti a comportarsi in un modo
non consono ne deriva una dissonanza cognitiva che cerca di ripristinare la consonanza o cambiando il
comportamento o l'atteggiamento per quella situazione specifica.
Da questi studi negli anni '60 si va affermando IL MODELLO COGNITIVISTA, in contrasto col modello
comportamentista. L'individuo è un elaboratore di informazioni sia che vengano dall'esterno che dall'interno.
•
NOAM CHOMSKY E LA PSICOLINGUISTICA
Studia i processi mentali alla base della capacità di parlare. Osserva che i bambini fanno degli errori sistematici,
applicano cioè delle regole grammaticali (il participio) anche quando non serve (es. ho aprito, voi facete). Questo
contrasta con l'idea comportamentista per cui i bambini apprendono in base a tentativi giusti o sbagliati, rinforzati dai
genitori, o tramite l'imitazione del linguaggio dei grandi. Se così fosse non direbbero “aprito” perché nessun adulto lo
dice o lo incoraggerebbe.
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Chomsky ipotizza il LAD Language Acquisition Disposal (dispositivo di acquisizione del linguaggio) che è un
dispositivo mentale a base innata che è alla base delle regole di trasformazione che danno origine alla grammatica
generativa. L'acquisizione di queste regole permette un apprendimento potenzialmente infinito di frasi.
Quindi per Chomsky, l'uomo ha una predisposizione innata ad apprendere il linguaggio della comunità in cui è
inserito.
•
MILLER, GALANTER, PRIBAM E IL MODELLO TOTE
Partono dal comportamentismo ma se ne allontanano e studiano un modello che sostituisca quello S-R. Individuano
il modello TOTE (test-operate-test-exit) ripreso dai modelli cibernetici, per cui un individuo è un elaboratore e il
comportamento è il risultato di una programmazione di base e la costante verifica delle condizioni esterne che siano
corrispondenti a quelle programmate.
•
NEISSER E LA PSICOLOGIA COGNITIVA
1967 Neisser propone la teoria dello Human Information Processing HIP la mente umana funziona come
elaboratore delle informazioni.
Individua i meccanismi e le strutture alla base dell'immagazzinamento delle informazioni in entrata, alla
trasformazione e all'organizzazione.
Le informazioni vengono:
• dai sensi
• dalla memoria
• da conoscenze precedenti
LA COGNIZIONE è l'attività del conoscere, è l'acquisire, organizzare e usare la conoscenza. Anche se gli strumenti
sono vari, memoria, percezione, linguaggio, alla base della cognizione ci sono dei principi base:
• la capacità di elaborare le informazioni è limitata rispetto alla quantità che proviene dall'esterno,
perciò si usano strategie di semplificazione per selezionare e trattenere solo certe informazioni
• rigidità, selezione di alcuni stimoli rispetto ad altri
• raggruppamento in categorie ampie.
• IL COSTRUTTIVISMO
I cognitivisti si pongono davanti all'elaborazione delle informazioni degli individui come davanti ad un computer,
studiano come i dati in entrata sono elaborati, con che tipi di memoria, se in sequenza o più dati simultaneamente, ecc.
secondo i costruttivisti quando una persona elabora nuove informazioni non le immagazzina così come sono, come
unità distinte, ma le assimila in una rete di altre conoscenze già possedute e quindi spesso le informazioni in entrata
spesso vengono alterate per essere coerenti con le altre già esistenti. La costruzione e ricostruzione dei dati da luogo a
nuovi significati. Si supera quindi la visione della Gestalt secondo cui il pensiero produttivo si limita a trovare nuove
relazioni tra gli elementi ma non di modificare le conoscenze già possedute. Piaget, Bruner e Vygotskij sono i nuovi
punti di riferimento.
• PIAGET E L’EPISTEMOLOGIA GENETICA
L’epistemologia genetica è la scuola psicologica fondata da Jean Piaget, interessata allo studio delle origini della
conoscenza. Questa prospettiva mostra che i metodi usati per ottenere la conoscenza, per crearla , influenzano la
validità della conoscenza risultante. L’intelligenza è vista in termini di adattamento mentale: mantenimento di un
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equilibrio tra le nuove conoscenze e quelle che già si possiedono. Le nuove conoscenze vanno ad assimilarsi a degli
schemi mentali, che sono a base innata ma dinamici: gli schemi mentali si accomodano all’informazione in entrata e si
modificano.
Gli schemi sono organizzazioni di conoscenze costruiti in maniera dinamica.
L’epistemologia genetica spiega anche il processo tramite il quale un essere umano sviluppa le sue abilità cognitive nel
corso della sua vita, a partire dalla nascita, attraverso stadi sequenziali di sviluppo.
SVILUPPO DELLE ABILITÀ COGNITIVE: 4 PERIODI FONDAMENTALI:
fase senso-motoria
dalla nascita ai 2 anni circa
fase pre-operatoria
dai 2 ai 7 anni
fase delle operazioni concrete
dai 7 agli 11 anni
fase delle operazioni formali
dai 12 anni in poi
Piaget non dà rilevanza ai fattori sociali, tuttavia il suo concetto di schema è utilizzato dalla psicologia sociale, concetto
utilizzato insieme al modello TOTE, al HIP di Neisser. Da tutti questi studi emerge inoltre che il processo di
elaborazione delle informazioni può essere condizionato dagli stereotipi.
Gli psicologi sociali si rendono conto che le strategie cognitive vanno affiancate alle relazioni con il contesto
sociale. L’appartenenza ad un gruppo determina la nostra identità sociale. Soprattutto in Europa l’analisi del gruppo
era un tema dominante da sempre. Dagli anni 70 in poi la psicologia sociale europea ha una sua identità autonoma
rispetto a quella americana. In Europa, grazie anche al contributo della psicologia russa (Vygotskij), viene molto
enfatizzato il ruolo costruttivistico del mondo sociale nell’assetto mentale dell’individuo.
• JEROME SEYMOUR BRUNER E LA PSICOLOGIA SOCIALE
Bruner concepisce il comportamento umano come guidato da scopi, piani e strutture di attuazione, dando una
particolare importanza all’influenza della cultura sullo sviluppo mentale.
Rilevante la sua concezione delle CATEGORIE MENTALI:
raggruppamenti di due o più oggetti distinti che vengono trattati allo stesso modo.
Le categorie sono chiare, arbitrarie in quanto basate solo sulla cultura.
Con la categorizzazione l’individuo utilizza un’economia cognitiva che gli consente di andare oltre l’informazione data
(formazione delle impressioni sulla personalità altrui). Secondo Bruner vengono utilizzati dei format che implica una
conoscenza sociale comune basata su:
• ripetitività
• convenzionalità
• prevedibilità
• VYGOTSKIJ, LA SCUOLA STORICO-CULTURALE E IL SOCIO-COSTRUTTIVISMO
Per Vygotskij i processi psichici superiori hanno una natura sociale, grande enfasi viene dato al ruolo della cultura e
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della storia (umana ed individuale) nella genesi e nello sviluppo delle funzioni psichiche. Ruolo centrale viene dato al
linguaggio che può essere acquisito solo all’interno dell’interazione sociale. Solo dopo l’acquisizione del linguaggio si
possono sviluppare le altre funzioni superiori e in particolare il pensiero.
• LA TEORIA EVOLUZIONISTICA E LA PSICOLOGIA SOCIALE
Alla fine del diciannovesimo secolo la teoria evoluzionistica aveva influenzato la psicologia generale e quella sociale.
Diventa ben presto oggetto di critiche perché i suoi postulati (le predisposizioni biologiche ed ereditarie) vengono
interpretati come la base per un determinismo ed un immobilismo sociale che mal si sposava con le esigenze di
rinnovamento e di egalitarismo che caratterizzavano la società americana. Il comportamentismo invece si prestava
meglio alle esigenze ideologiche americane. Immaginare l’individuo come una tabula rasa poteva dar spazio
all’intraprendenza dei singoli ed ai cambiamenti sociali . Si deve ad Herbert Spencer la diffusione nonché la messa
bando delle teorie di Darwin: le basi innate sembravano portare a giustificare l’aggressività e le lotte interetniche.
CAP. 2
•
•
LA PSICOLOGIA SOCIALE EVOLUZIONISTICA
vedi altro libro/riassunto
CAP. 3
• PERCEZIONE E COGNIZIONE
Gli psicologi sociali (social cognition) fanno varie teorie sui meccanismi di percezione e cognizione di ciò che
è sociale:
1. CONSIDERANO COME DELLE “INEFFICIENZE”
• la propensione umana ad attribuire a qualcuno appena conosciuto caratteristiche che vanno al di là dei tratti
rilevati come prima impressione,
• la facilità con cui i processi di elaborazione vanno incontro a distorsioni,
• l'economizzazione delle risorse cognitive che portano ad errori,
• l'utilizzo di stereotipi e schemi.
Sono startegie che all'origine della specie, servivano per capire e prevedere e controllare rapidamente la realtà sociale.
2. AVARI COGNITIVI (cognitive miser)
La tendenza ad usare al minimo le capacità cognitive, è una strategia di difesa dall'abbondanza di dati in
entrata.
Queste strategie ci portano però a cadere in errori di giudizio e di elaborazione dei dati. Questo non esclude la
capacità di comportarsi in maniera tattica in base ai bisogni.
LA PSICOLOGIA SOCIALE STUDIA
COME LE PERSONE PERCEPISCONO SE STESSE e GLI ALTRI
E LE TEORIE INGENUE CHE SI DANNO PER GIUSTIFICARE TALI PERCEZIONI.
11
3. Analizzano la CAPACITÀ DI FARE INFERENZE:
trarre conclusioni, dedurre, partendo da informazioni incomplete o ambigue.
4. L'uomo viene visto come coerente, cioè portato a RIPRISTINARE CONTINUAMENTE LA
COERENZA COGNITIVA quando accade che un dato in entrata vada contro le conoscenze già possedute,
cosa che causa tensione psicologica.
5. Studiano i meccanismi che fanno si che DATI IN ENTRATA MODIFICHINO LE CATEGORIE
ESISTENTI E VICEVERSA
Gestalt (processo costruttivo, da pochi dati, significato coerente con le conoscenze) e Cognitivismo (l'importanza
del peso dei dati rispetto alle conoscenze previe) sono le basi per la psicologia sociale.
Bruner unisce questi due modelli:
• il dato viene classificato in una categoria
• in base alle conoscenze relative alla categoria, il dato viene valutato
• si tende a dare una valutazione coerente con se stessi e la realtà esterna
• si recupera dalla memoria le conoscenze relative a quella categoria
• uno stesso dato è valutato differentemente in base alla categoria in cui è inserito
• es: guidatore che passa col rosso – se (categoria) maschio: va di fretta – se (categoria) femmina: è distratta
• questo processo viene chiamato top down (su giù) dalle conoscenze già organizzate, si arriva a significato del
dato.
LE IMPRESSIONI DI PERSONALITÀ
• Asch: MODELLO CONFIGURAZIONALE
quando vediamo qualcuno per la prima volta o ne sentiamo parlare ci facciamo un'impressione sulla sua personalità
che non è la semplice somma di ciò che vediamo o sentiamo, che sono limitati. Ci formiamo un gestalt, una forma
coerente, una configurazione che può cambiare il significato dei singoli tratti se serve per avere un'impressione
coerente.
• ESPERIMENTO che fa Asch sul modello configurazionale
Due gruppi devono valutare la personalità in base a una lista di aggettivi e varie possibili personalità da associarvi. La
lista è uguale tranne per un aggettivo: caldo/freddo. Questo cambiamento cambia il contesto globale degli altri
aggettivi e le personalità risultano opposte. Chi è caldo viene detto anche saggio e generoso, chi è freddo è anche
ostinato e riservato. Ma gli aggettivi di contorno sono gli stessi.
Asch individua anche altri effetti:
Effetto centralità
Alcuni tratti sono più importanti di altri al loro cambiamento, cambia tutta
la struttura. Altri sono periferici e non sono essenziali
Effetto cambio di significato
Il significato di un tratto (es. caldo) cambia in base al contesto degli altri
tratti. Se caldo è insieme a debole, superficiale, “caldo” non è più percepito
come fattore positivo ma negativo
Effetto primacy Ordine temporale
L'ordine temporale in cui acquisiamo i tratti influenza la percezione. In base
alla prima impressione, elaboriamo gli aggettivi successivi. Se intelligente è
12
il primo della lista, ci disponiamo positivamente, se invidioso è il primo ci
disponiamo neagtivamente per l'effetto top down, ricerchiamo nella
memoria ciò che va bene con intelligente o con invidioso
•
Bruner: TEORIE IMPLICITE DELLA PERSONALITÀ
se ogni volta che ci troviamo di fronte ad una nuova situazione o persona, dovessimo verificare tutte le impressioni
che ci suscitano, la vita sociale sarebbe un caos, dove le persone non sarebbero capaci di prendere decisioni veloci. le
teorie implicite ci aiutano ad inserire i dati in modelli o categorie già esistenti, per darci la possibilità di andare oltre le
informazioni date e formare teorie e previsioni veloci. Per cui, chi è amichevole sarà anche fidato perché sono due dati
che stanno bene insieme, anche se in realtà non possiamo sapere se sia vero.
•
Gli esperimenti di Brunswik e Reiter al riguardo hanno dimostrato che anche alcune strutture dei tratti
somatici incorporano delle qualità espressive e che perfino accessori esterni come occhiali o baffi ci danno
impressioni diverso dello stesso volto (disegni dei volti schematici e del volto con o senza barba e occhiali)
• Anderson: MODELLO ALGEBRICO
In contrasto con Asch, la valutazione della personalità è il risultato della somma algebrica dei tratti, positivi o negativi,
che hanno un peso, un punteggio, per cui un tratto appena positivo come intelligente più un tratto molto negativo
come invidioso, si fa una media e il giudizio sarà negativo. Se a intelligente si aggiunge un tratto molto positivo
generoso, la valutazione sarà positiva.
• Non è però un modello esaustivo perché non spiega l'utilizzo delle categorie e degli schemi.
LE TEORIE DELL'ATTRIBUZIONE
• Heider: TEORIA DELL'ATTRIBUZIONE
nella vita di tutti giorni deduciamo la personalità in base al comportamento
di chi ci sta di fronte.
• Quali sono le regole che governano questo fenomeno?
• Ogni comportamento è sempre inserito in un contesto. Come si inferiscono le caratteristiche di personalità
da comportamento e situazione?
• Nella teoria dell'attribuzione, Heider parte da una posizione della Gestalt, cioè la costanza della forma a
prescindere dalla prospettiva: un cubo è sempre un cubo anche se dalla nostra posizione lo vediamo come un
quadrato o un rombo. Allo stesso modo, dai vari comportamenti si ricavano delle costanti che vengono
attribuite alla personalità.
Jones e Davis: TEORIA DELL'INFERENZA CORRISPONDENTE
• studiano come si arriva a fare inferenze sugli elementi stabili della personalità. Gli indici per inferire
la personalità sono:
• nel giudicare gli altri si fa molta attenzione agli atti intenzionali cioè quello che facciamo
perché lo vogliamo è frutto della nostra personalità stabile; comportamenti invece non
intenzionali possono essere solo frutto del caso.
• ES. se danneggio qualcuno intenzionalmente sarà per la mia personalità malvagia o violenta,
ma se lo faccio senza volerlo, questo non significa che sono cattivo.
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•
•
•
•
•
L'intenzionalità è data dalla conoscenza del fatto che sto danneggiando qualcuno e dalla
capacità di poterlo fare.
Non sempre però ciò che si fa intenzionalmente è dovuto alla nostra personalità. Entra in
gioco qui la desiderabilità sociale cioè, se l'azione non ha desiderabilità sarà allora veramente
frutto della personalità perché può andare contro chi lo mette in atto. Se invece in una
situazione comportarsi in un certo modo da desiderabilità, allora, possiamo metterlo in atto
intenzionalmente ma non essere così di natura.
es. se davanti ad un poliziotto che ci vuole fare una multa siamo aggressivi, sarà per la nostra
personalità, ma se davanti a lui siamo tranquilli e ragionevoli per evitare la multa, questo
non vuol dire che lo siamo sempre.
Anche la libera scelta ci indica qualcosa sugli altri. Se ad es. parlando della guerra dei ragazzi
sono per la pace, possiamo dedurre che siano contro la violenza. Se scopriamo però che il
loro partito li ha indotti a dire ciò, non possiamo più essere sicuri che la loro personalità sia
pacifica.
Infine, comportamenti che corrispondono alle aspettative del ruolo sociale che copre una
persona, ci dicono di lui. Ad es. se un prete fa l'elemosina, è scontato ma non ci dice quale sia
la sua vera personalità. Se un prete si batte a favore dell'aborto, è sicuramente per una sua
inclinazione personale.
Heider: PROCESSI ATTRIBUZIONALI (sono processi mentali)
• gli esseri umani hanno bisogno di poter controllare e prevedere la realtà fisica e sociale che li circonda.
• Per questo cercano di individuare le ragioni, di inferire le cause del comportamento di una persona. Cercano
di collegare comportamenti osservabili con cause non osservabili:
quali sono i criteri di questi processi mentali:
• locus della causalità:
si cerca di stabilire se la causa del comportamento è interna alla persona o esterna in base alla situazione,
o un intreccio delle due.
• Stabilità:
sia le cause interne che esterne possono essere stabili o instabili, cioè, una causa interna stabile può essere
un tratto della personalità, instabile, l'umore del momento. Esterna, può essere stabile come una
legge di una religione, o instabile come il divieto di un genitore.
• La controllabilità:
quanto tutti questi fattori siano sotto il controllo di chi attua il comportamento. L'essere portato per una
materia e passare l'esame senza studiare, è una causa interna incontrollabile. Passare perché si è
cambiato il turno con un amico e si è avuto più tempo per studiare, è un fattore esterno controllabile.
Kelley: MODELLO DELLA COVARIAZIONE
• in che modo però attribuiamo ad un comportamento una causa interna o esterna, stabile o no?
• Osservando in modo scientifico, una dopo l'altra, in che modo il comportamento co-varia con gli
effetti. Controlliamo se il comportamento persiste:
• Al di là dello stimolo - distintività: il comportamento permane anche in assenza di quello
stimolo? (la ragazza sorride solo ad un ragazzo o a tutti i ragazzi)
• se ha coerenza nel tempo: la ragazza sorride sempre a quel ragazzo o solo in un'occasione
• ne analizziamo il consenso: se tutte le ragazze sorridono a quel ragazzo, sarà causa del
fascino di lui.
Alto grado di distintività, coerenza e consenso, la causa è il fascino; bassa distintività, consenso, ma alta coerenza, la
causa è la personalità di lei.
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ERRORI E GIUDIZI TENDENZIOSI
•
•
•
Quanto le teorie sopra descritte esprimono davvero ciò che la gente fa quando cerca di capire cosa causa
cosa?
Sono più teorie su come si dovrebbe fare o su come si fa veramente?
Queste teorie sono teorie descrittive o normative cioè si pongono come “cosa si dovrebbe fare”?
Da alcuni esperimenti è emerso che il nostro assetto psicologico ad essere cognitive miser, ci porta a fare errori
sistematici ed essere vittime di distorsioni a base motivazionale.
Da capire se questi errori siano da attribuire
al nostro assetto psicologico o alle teorie.
Jones, Nisbet: DIVERGENZE SÈ-ALTRI, E
Ross: L'ERRORE FONDAMENTALE DI ATTRIBUZIONE
• Ci sono differenze sostanziali tra ciò che pensiamo delle nostre azioni e ciò che pensiamo delle azioni degli
altri.
• C'è una forte tendenza ad attribuire fattori situazionali alle nostre azioni e fattori disposizionali a quelle degli
altri.
• Questo modo sistematico di distorcere la realtà viene chiamato errore fondamentale di attribuzione: il
comportamento altrui è da ricondurre a caratteristiche stabili della persona.
• Avviene anche se chi giudica si è comportato allo stesso modo in passato, se è lui la causa del comportamento
dell'altro, o se sa che l'altro non ha scelta.
• Avviene in maniera automatica e inconsapevole. Heider lo associa al principio Gestaltiano della percezione
figura sfondo, chiamandola in ambito sociale principio della salienza. Cioè vediamo la persona che compie
l'atto come principale e la situazione come sfondo non importante. Questo aiuta a risparmiare energie
cognitive.
LA PERCEZIONE DEL SELF.
DISTORSIONI COGNITIVE
• Il motivo per cui attribuiamo motivi esterni ai nostri comportamenti può avere due spiegazioni:
• abbiamo più informazioni su noi stessi che sugli altri
• ancora per il principio della salienza, non possiamo vedere noi stessi mentre agiamo, ma ciò che ci
circonda, cioè la situazione ha un'estrema rilevanza.
• Questo è un errore da attribuire all'incapacità di elaborare le informazioni in modo adeguato.
DISTORSIONI MOTIVAZIONALI
Self-serving bias di attribuzione
•
•
•
distorciamo la realtà in modo inconsapevole perché vediamo noi stessi in modo positivo per cui
facciamo un'attribuzione pregiudiziale che sia principalmente al servizio della nostra immagine (selfserving bias di attribuzione).
È un meccanismo di difesa che fa si che il nostro livello di autostima rimanga alto quando siamo noi i
protagonisti del comportamento.
Su questa base attribuiamo a cause interne i nostri successi (siamo bravi), e a cause esterne gli
insuccessi (colpa degli altri, del momento, ecc.)
15
•
anche nelle relazioni di coppia, ci prendiamo sempre il merito degli aspetti positivi del rapporto e
diamo la responsabilità all'altro delle cose negative.
• Si riscontra anche a livello di gruppo o etnia, si chiama group-serving bias dando all'in-group cause
interne per i successi ed esterne per gli insuccessi, e facendo il contrario per l'out-group.
Il group-serving bias fa da sfondo a pregiudizi e stereotipi.
• Le persone si giudicano al di sopra della media per tutto ciò che è positivo, desiderabile per la società
(onestà, fascino, simpatia).
• Per lo più la gente ha un ottimismo irrealistico e un'illusione di invulnerabilità per cui si credono
immuni da malattie e incidenti.
• Abbiamo la tendenza a credere che gli altri la pensino come noi (falso consenso) che per i
comportamenti negativi, sono come noi ma riguardo agli aspetti positivi ci crediamo unici (effetto
falsa unicità).
• La tendenza all'illusione del controllo per cui pensiamo di essere padroni del nostro destino e a dare
agli altri la colpa della loro sfortune, questo perché abbiamo bisogno di vivere in un mondo giusto, in
cui ognuno ha ciò che si merita e se le cose vanno male è perché avrebbe potuto fare di più.
L'emozione negativa dell'essere in balia del caso viene cacciata pensando di poter fare meglio degli
altri ed evitare i pericoli.
• Tutti questi meccanismi al servizio di se stessi sembrerebbe sempre a causa del principio della
salienza per cui le informazioni su noi stessi sono più chiare, predominanti.
• La tendenza all'autoaccrescimento sarebbe frutto della selezione naturale, per cui chi è più sereno e
soddisfatto (alto livello di autostima) tende ad occuparsi di più degli altri.
LE EURISTICHE DI GIUDIZIO
•
•
•
•
•
•
Sono delle scorciatoie mentali usate per prendere decisioni quando ci si trova davanti a situazioni
complesse e di cui non abbiamo tutte le informazioni necessarie.
L'euristica della disponibilità recuperando dalla memoria i dati che noi abbiamo disponibili
riguardo al dare un giudizio sulla probabilità o frequenza di un evento. (es. quanti disoccupati ci sono
a Roma? Non avendo i dati ufficiali, facciamo riferimento a ciò che conosciamo sul tema, es.
disoccupati che conosciamo noi)
l'euristica della simulazione, se dobbiamo giudicare come qualcuno si comporterà secondo noi,
facciamo riferimento alla memoria su quale è stata la reazione più frequente in casi simili (reazione
di mio padre ad un brutto voto, in base alle volte precedenti)
l'euristica della rappresentatività, calcoliamo la probabilità che una persona, in base a pochi dati,
faccia parte di una determinata categoria. (es. un individuo appena conosciuto, timido, meticoloso,
farà l'attore, il contadino o il bibliotecario? Dirò bibliotecario perché è rappresentativo delle
caratteristiche di quella categoria.
L'euristica dell'ancoraggio. Quando si hanno informazioni ambigue o completamente nuove,
chiediamo il parere di chi già sa, cosi da prenderlo come base di partenza, (di ancoraggio) per
prendere decisioni in proposito.
Le euristiche sono utili per prendere decisioni veloci sul persone ed eventi, ma possono portare ad
errori di giudizio in quanto non sono frutto di considerazioni accurate.
SCHEMI E CATEGORIZZAZIONI
•
Lo schema è l'insieme strutturato e organizzato delle conoscenze. Tutti possediamo:
1. schemi di eventi: sequenze di comportamento in situazioni
16
2. schemi di persone:
3. schemi del self:
4. schemi di ruolo:
standard (es. sappiamo cosa fare al ristorante)
ricordiamo i dettagli congruenti con le aspettative che abbiamo sulle
persone (se è antipatico ricordiamo le cose negative)
ci descriviamo in base allo schema di noi stessi che abbiamo,
ricordiamo meglio ciò che conferma il nostro schema.
in base al ruolo sociale che ricopriamo ci comportiamo in base allo
schema che ci si aspetta da quella figura. (una madre si comporta da
madre, un poliziotto da poliziotto). Esperimenti di Zimbardo su
guardie e prigionieri, film “The experiment”.
5. Schemi di gruppo
GLI SCHEMI DI GRUPPO
•
•
•
•
Li usiamo nelle nostre relazioni con gli altri. Attribuiamo tratti specifici a gruppi particolari
(donne= superficiali, emotive; giovani= forti, rivoluzionari; anziani= deboli, conservatori).
Tendono a diventare rigidi e duri al cambiamento, sono la base per gli stereotipi.
Gli stereotipi distorcono la realtà. Sono regolati dalla stessa rigidità percettiva (gestalt) per cui nelle
figure ambigue, (vaso o due profili) una volta vista una figura, è difficile scorgere l'altra.
Influenzano l'attenzione e la percezione, per cui di chi fa parte di un gruppo vedremo
principalmente i tratti che lo accomunano al gruppo di appartenenza. Le caratteristiche non
congruenti, passano inosservate o vengono facilmente dimenticate. (es. una donna leader, non sarà
classificata con “donna forte”, ma con “donna forte come un uomo”, per mantenere la categoria
“donna” intatta).
L'ATTIVAZIONE DEGLI SCHEMI
•
Cosa ci porta ad usare uno schema o un altro?
1. La salienza=
i tratti più salienti, evidenti di una persona, ci guidano nel giudicarla. Tratti
come razza, sesso, bellezza, attivano facilmente schemi di gruppo (o
meglio stereotipi).
2. l'effetto primacy= i primi dati fanno attivare uno schema piuttosto che un altro e in base a
questo interpretiamo tutti gli altri dati in arrivo.
3. l'effetto priming= gli schemi attivati con l'effetto primacy, guidano l'interpretazione di tutti i
dati seguenti. Se la prima impressione è positiva, si vedranno gli altri dati
anche positivi.
LE PROFEZIE AUTOAVVERANTESI E CONFERMA DELLE IPOTESI
•
•
•
Gli schemi influenzano i dati in arrivo dall'ambiente ma fanno anche si che l'ambiente diventi ciò che
noi abbiamo nel nostro schema.
Se si pensa che la Borsa crolla, crollerà davvero perché il timore farà vendere azioni. Se pensiamo che
al telefono siamo con una bella donna, ci comporteremo in modo più seduttivo e la ragazza a sua
volta attuerà uno schema seducente confermandoci che lo sia davvero(anche se forse non lo sarà
nella realtà ma si è comportata come tale).
Le persone con una personalità incerta tenderanno di più a comportarsi come ci si aspetta da loro.
17
•
•
(il giudizio degli altri cambia il comportamento) Esperimenti della donna al telefono e delle donne
con falsa cicatrice sul volto.
Abbiamo la tendenza a a cercare conferma alle nostre ipotesi, ponendo attenzione selettivamente a
ciò che ci aspettiamo di vedere.
Un processo di memoria costruttiva fa si che il solo aver ipotizzato una situazione, nella memoria
quel dato si depositi mischiandosi ai dati veri facendo si che alla fine non si ricordi più che quel dato
era solo un'ipotesi e lo si considera come vero. (es. l'averci chiesto se il sig. X è mafioso o no, fa si che
nel tempo ricordiamo che il sig. X è un mafioso e non che era una congettura).
CAP. 4
GLI ATTEGGIAMENTI
•
•
•
•
cerchiamo di dare un senso agli eventi facendoci guidare dalle informazioni coerenti tra loro.
Valutare una cosa o persona o evento significa arrivare ad una conoscenza univoca, coerente su di essa.
LA TEORIA DELL'EQUILIBRIO COGNITIVO (Heider): siamo spinti da forze interne motivazionali a
tenere in equilibrio le cognizioni che abbiamo (credenze, affetti, percezioni).
Le relazioni sociali per Heider sono una configurazione triadica:
◦ atteggiamento verso la persona
◦ atteggiamento verso un oggetto
◦ percezione di come l'altro valuta l'oggetto
•
in base al principio Gestalt della “buona forma” se questa triade è armoniosa, le 2 persone stanno bene
insieme.
◦ Esempio:
mi piace Marco
mi piacciono le moto
equilibrio cognitivo
a Marco piacciono le moto
•
se la triade è squilibrata cerco l'equilibrio cambiando uno degli atteggiamenti. Se non mi piacciono le moto, o
mi faccio piacere le moto o non mi piace più Marco. Si cambia l'atteggiamento in base al principio dello
sforzo minore, cioè si cambia l'atteggiamento che riduce al minimo i cambiamenti.
•
Cerchiamo di essere coerenti anche tra ciò che pensiamo (es. Hitler uccise milioni di innocenti) e ciò che
proviamo (rabbia e paura verso Hitler).
Quindi le informazioni influenzano le emozioni
•
•
ma anche le emozioni influenzano le informazioni in base agli esperimenti di Rosenberg. Vengono rilevati I
giudizi dei bianchi sui neri. Poi vengono ipnotizzati e suggerite emozioni opposte a quanto avevano detto. Da
svegli, cambiano le argomentazioni in base alle nuove emozioni.
•
Il BISOGNO DI COERENZA ci spinge anche a comportarci in modo coerente con ciò che proviamo.
Secondo Festinger, se facciamo qualcosa di cui abbiamo un atteggiamento in contraddizione, abbiamo una
DISSONANZA che crea un arousal negativo e che cerchiamo di ridurre, modificando l'atteggiamento a
riguardo. (DISSONANZA COGNITIVA)
18
•
ci sono 2 tipi di dissonanza:
1. comportamento contro-attitudinale: facciamo una cosa anche se sappiamo che fa male
2. dissonanza post-decisionale: scelta tra 2 possibilità che non sono ottimali, ognuna ci fa perdere e avere
qualcosa.
Come risolviamo la dissonanza:
1. tra un comportamento che ci piace e un atteggiamento negativo (fumo ma fa male) cerco attivamente e
selettivamente informazioni a favore del comportamento.
2. Cerco di risolvere la dissonanza dell'aver scelto perdendo qualcosa (lavoro sicuro ma noioso o
interessante ma precario), cercando giustificazioni positive, i lati positivi della scelta fatta e negativi per
quella scartata.
PRINCIPIO DELLA GIUSTIFICAZIONE INSUFFICIENTE (Festinger)
• la dissonanza causata dal dover fare qualcosa che non pensiamo, fa cambiare l'atteggiamento verso il
comportamento, se riceviamo, per mentire o fingere, un premio (o una punizione) lieve, mentre se riceviamo
un grosso premio o forte punizione, non cambiamo il nostro atteggiamento verso ciò che siamo costretti a
dire o fare.
• MOTIVO: una grossa cifra o la paura per una grossa punizione, giustifica il perché facciamo o diciamo
qualcosa che non condividiamo e quindi non crea dissonanza, sappiamo quello che pensiamo e perché
siamo costretti a fare differentemente.
• Se invece lo facciamo (ce lo chiede mamma o la maestra o il capoufficio) per una ricompensa o punizione
minima, non possiamo giustificare a noi stessi il nostro operato e quindi dobbiamo diminuire la dissonanza,
rivedendo il nostro atteggiamento nei confronti di ciò che facciamo.
•
È controproducente dare incentivi ad una persona per fare ciò che gli piace, in quanto il comportamento non
verrà più attribuito ad un interesse interno ma alla ricompensa esterna.
•
La libera scelta è anche un fattore per il cambiamento degli atteggiamenti. Se si pensa di non aver scelta, si fa
ciò che si deve ma non si cambia idea al riguardo. Se si pensa di poter scegliere di fare o no una cosa, si può
cambiare idea al riguardo.
•
Anche con la consapevolezza che il comportamento attuato sia irreversibile, si sente il bisogno di cambiare
atteggiamento perché non si può tornare indietro. Pensare che in qualsiasi momento si può tornare indietro
(fumare) non crea forte dissonanza e non si cambia.
Allo stesso modo se pensiamo che potevamo prevedere le conseguenze del comportamento, ci sentiamo
responsabili e tendiamo a cambiare atteggiamento. Se pensiamo che non potevamo fare niente per prevedere
le conseguenze, allora ci giustifichiamo e non cambiamo idea.
Gli atteggiamenti sono composti da:
1. una componente cognitiva (le conoscenze)
2. una componente emotiva (sentimenti, affetti)
3. una componente comportamentale
sono tre componenti distinte ma con una forte concordanza tra loro.
•
•
•
ATTEGGIAMENTI E COMPORTAMENTISTI (Bem)
• in base a come ci comportiamo, a come ci auto-percepiamo, deduciamo i nostri atteggiamenti.
• Se dipingo ne deduco che ho un atteggiamento positivo nei confronti della pittura e mi piace.
• Per Bem (TEORIA DELL'AUTOPERCEZIONE come osserviamo gli altri, osserviamo i nostri
19
•
comportamenti e ne inferiamo i nostri atteggiamenti), se una persona mente per una misera ricompensa, ne
deduce che per mentire per così poco, in realtà ci crede.
Essere pagati (motivazione estrinseca) per fare ciò che ci piace, trasforma il piacere (motivazione intrinseca)
in obbligo: se mi faccio pagare significa che forse non mi piace così tanto.
ALLPORT
ha una concezione degli atteggiamenti simile ai comportamentisti, sono le esperienze che ci
predispongono a comportarci in un certo modo riguardo certe situazioni.
ATTEGGIAMENTI E COGNITIVISTI (Festinger)
• Krech e Cruthfield dicono che l'atteggiamento è un'organizzazione mentale durevole.
• Festinger dimostra che sono i comportamenti che influenzano gli atteggiamenti.
• Zanna e Rempel affermano invece che l'influenza è a doppia via, e anche gli atteggiamenti possono
influenzare i comportamenti. Infatti gli atteggiamenti fanno da filtro per le informazioni così che solo quelle
congruenti vengono prese in considerazione,influenzando il comportamento.
• Wicker infine fa un controllo su vari studi e arriva alla conclusione che non ci sono collegamenti tra
comportamenti e atteggiamenti (esperimento della coppia cinese in giro per l'America).
•
•
•
Allora Ajzen e Fishbein cercano di spiegare come e quando comportamenti e atteggiamenti si influenzano.
TEORIA DELL'A ZIONE RAGIONATA: ci comportiamo in modo razionale rispetto al calcolo dei
possibili effetti dei nostri comportamenti e su come reagiranno gli altri.
• Si può prevedere un comportamento in base all'intenzione a metterlo in atto (se ho intenzione di
fare una cosa è probabile che la farò).
• L'intenzione è influenzata dall'atteggiamento verso il comportamento e le norme che, secondo noi, ci
dicono come dovremmo comportarci.
• L'atteggiamento è determinato dalle credenze sui possibili esiti del comportamento (se penso che
l'esito sarà positivo, ho un atteggiamento positivo)
• le norme soggettive sono influenzate da quanto una persona è motivata a fare quello che le norme
(gli altri) vorrebbero che facesse.
È una teoria di successo ma debole allora Ajzen stesso aggiungerà:
• la percezione del controllo sull'esito. Nonostante l'intenzione, se si pensa che non si possa riuscire,
non si attua il comportamento.
• Le limitazioni e opportunità dall'esterno influenzano i comportamenti: se voglio nuotare ma sto
lontano dal mare non posso farlo. Se voglio il cocomero ma è inverno non posso mangiarlo.
• Infine le esperienze passate e le abitudini influenzano il comportamento a prescindere da ciò che
penso al riguardo.
A COSA SERVONO GLI ATTEGGIAMENTI
1. Funzione di adattamento sociale. La condivisione degli atteggiamenti serve per adattarsi e integrarsi nel
gruppo. Si mantengono però anche gli atteggiamenti negativi che si perpetuano nel tempo.
2. Funzione di definizione del self. Rafforza l'identità personale rispetto agli altri. Siamo ciò che crediamo e
che amiamo.
3. Funzione di espressione di valori. Con gli atteggiamenti difendiamo i nostri valori.
4. Funzione egodifensiva. L'atteggiamento di difesa verso chi è diverso da noi fa si che si copra la paura e
aggressività che ci provoca.
5. Funzione conoscitiva.come gli schemi e le categorie, influenzano l'elaborazione delle informazioni e il
20
nostro pensiero.
Gli atteggiamenti sono l'unione tra sociale e individuale. Il cambiamento totale dell'atteggiamento è quasi sempre
opera dell'influenza sociale, dalla capacità di persuasione degli altri.
LA COMUNICAZIONE PERSUASIVA
• Quando un messaggio è abbastanza persuasivo da far cambiare gli atteggiamenti?
• Gli studi principali sulla comunicazione persuasiva sono stati fatti dalla Scuola di Yale (Hovland)
• la comunicazione persuasiva è un sistema con vari componenti:
1. STIMOLI ESTERNI
◦ LA FONTE: più è credibile più è persuasiva, più è esperta più è degna di fiducia. La credibilità della
fonte si perde nella memoria a lungo termine. Dopo del tempo un messaggio di una fonte credibile e
una no, sono ricordate allo stesso modo, si scorda la fonte. Una buona fonte è anche: attraente, simile
a noi, simile al gruppo di maggioranza, non manifesta gli intenti persuasivi.
◦ IL MESSAGGIO: più è emotivo (paura, rabbia) più è comprensibile, più ha argomentazioni, più è
efficace. Importante effetto primacy (i primi argomenti esposti). Se si sollecita rabbia si spinge ad
adottare misure punitive, se si sollecita paura a bassa intensità è efficace. Troppa paura spaventa e fa
distogliere l'attenzione.
◦ L'OGGETTO: la persona o l'evento
◦ LA SITUAZIONE: può provocare distrazione. Se è poca, aiuta il messaggio (bella donna che parla)
se è troppa la ostacola. Serve una piccola distrazione quando si sa che il messaggio è debole.
2. AUDIENCE - TARGET (chi riceve il messaggio)in base all'atteggiamento iniziale può essere più o
meno predisposto a captare il messaggio perché l'atteggiamento filtra la percezione e la memoria
selettiva. Se conosce troppo l'argomento trova i punti deboli del messaggio e non funziona.
3. LE RISPOSTE
possibili al messaggio. Il messaggio persuasivo tenta di cambiare completamento il
nostro atteggiamento, quello che proviamo, sappiamo e il nostro comportamento: un'auto veniamo a
sapere che è sicura e scattante, sentiamo che è giusta per noi, usciamo e andiamo a comprarla.
4.
Il messaggio potrebbe crearci una dissonanza allora possiamo riequilibrarci come:
◦ screditando la fonte, se invece di farci cambiare atteggiamento ci fa pensare che non è credibile.
◦ Possiamo percepire, ricordare o rivisitare solo una parte del messaggio
◦ possiamo dimenticarlo perché molto simile ad altri (il messaggio deve essere unico e diverso)
◦ possiamo rifiutare in blocco il messaggio anche argomenti logici.
◦ Possiamo cercare contro-argomentazioni per indebolire il messaggio.
CAP. 5
INFLUENZA SOCIALE E CONFORMISMO
Influenza sociale=
cambiamento nei giudizi e opinioni quando una persona è esposta ai
giudizi e opinioni degli altri.
Conformismo=
essere influenzati da ciò che fanno gli altri al punto da fare volontariamente
cose che da soli non si farebbero.
Adesione interiore=
possiamo fare la stessa cosa che fanno altre migliaia di persone perché
pensiamo effettivamente che sia giusto, lo avremmo fatto anche se fossimo
21
stati da soli.
Conformismo pubblico= ci conformiamo perché dobbiamo ma non perché veramente condividiamo
o acquiescenza
le idee del gruppo.
Obbedienza=
riconosciamo la legittima autorità ad influenzare il nostro comportamento
INFLUENZA SOCIALE SULLA PRESTAZIONE
facilitazione sociale= (Norman Triplett e bimbi che avvolgono la lenza=la presenza degli altri
aumenta le prestazioni, in contrasto con
inibizione sociale=
Allport e l'imparare a memoria frasi sensa senso= la presenza degli altri
diminuisce le prestazioni). La presenza di persone, di un pubblico, crea uno
stato di arousal. Questo stato di allerta sarebbe frutto della selezione perché
permette/va di essere pronti a qualsiasi azione dell'altro.
Robert Zajonc spiega questo contrasto partendo dalla teoria delle pulsioni secondo cui l'eccitazione
favorisce risposte dominanti, cioè quelle che per prime compaiono come possibili risposte ad un
evento.:
• nelle situazioni semplici l'ansia ci aiuta a rispondere velocemente con la prima risposta
possibile che normalmente è quella giusta, essendo il compito facile.
• Nei compiti difficili la risposta non è mai la prima che viene, bisogna riflettere, e lo stato
d'ansia, inibisce la capacità di risposte giuste.
•
Altri tipi di spiegazione:
• Cottrell dice che la presenza degli altri crea arousal perché ci chiediamo come verremo valutati=
Apprensione per la valutazione che è una motivazione acquisita, non innata
• Baron invece dice che gli altri ci creano arousal perché nasce un conflitto tra il prestare attenzione al
pubblico di cui temiamo il giudizio, e l'attenzione al compito
• Zajonc però sottolinea che l'arousal c'è anche quando non c'è valutazione o distrazione (es. quando
facciamo jogging) ed è presente anche negli animali per cui è a base innata.
DE-INDIVIDUAZIONE E INDOLENZA SOCIALE
Il gruppo ha il potere di mettere i suoi membri in uno stato di prontezza all'azione, e da la possibilità di
non essere identificabili, a perdere il senso della responsabilità, permettendo di compiere azioni che
non si farebbero se si fosse soli.
Le Bon (1895) parla di contagio sociale
Festinger lo chiama de-individuazione= perdere i normali freni inibitori e sostituire la propria identità
con l'identità di gruppo, i suoi scopi, le sue azioni, diffusione di responsabilità al gruppo e non
all'individuo. La perdita di responsabilità spiega anche l'indolenza.
Ringelmann studia l'indolenza o inerzia sociale: se si fa un lavoro in gruppo (compiti additivi) i singoli
si sforzano poco. Ringelmann lo spiega con l'effetto perdita di coordinazione (non tutti si sforzano
contemporaneamente e nella stessa direzione _tirare una corda) a cui si aggiunge dove gli sforzi
individuali NON sono riconosciuti, l'effetto perdita di motivazione (Strobe e Frey) detto anche
effetto free-rider.
Quindi c'è facilitazione sociale quando gli sforzi individuali all'interno del gruppo sono riconosciuti. C'è
inibizione se gli sforzi non sono riconosciuti.
INFLUENZA DELLA MAGGIORANZA
il nostro bisogno di essere parte di un gruppo e di esserne accettato, fa si che le altre persone influenzino
le nostre opinioni e la nostra percezione della realtà. Conformarsi alla maggioranza è una risposta
22
adattativa che consente al gruppo di rimanere coeso e di sviluppare le norme sociali.
FORMAZIONE DELLE NORME SOCIALI – EFFETTO AUTOCINETICO (Sherif)
le norme sociali si formano quando le persone interagiscono all'interno di un gruppo, fino a che le
loro opinioni diventano man mano più simili, e quando devono dare un giudizio, le opinioni dei
singoli alla fine convergono.
• Esperimento di Sherif: un soggetto alla volta deve valutare il movimento di una luce in una stanza
buia. In realtà non c'è nessun movimento, è un effetto ottico dell'occhio (effetto autocinetico).
Ognuno alla fine ha una sua valutazione personale. (norma personale)
Poi stessa cosa ma a coppie o a gruppi. I gruppi arrivano alla fine ad un giudizio comune, partendo
da valutazioni diverse. (norma di gruppo).
• Questo dimostra che di fronte a stimoli ambigui le persone si creano riferimenti individuali,
ma se possono confrontarsi si adeguano a quelli esterni.
• Confluire i vari pensieri in uno unico, di gruppo, crea la norma sociale che è quindi indispensabile
per il gruppo e frutto dell'interazione sociale.
• In termini evoluzionistici, le norme sono il succo delle esperienze e conoscenze passate e
conformarvisi significa utilizzare quelle conoscenze in modo rapido, per affrontare la realtà con
meno rischi.
PARADIGMA DI ASCH E CONFORMISMO
se le persone si conformano agli altri in situazioni ambigue, che succede quando la situazione è
priva di ambiguità, è certa?
•
•
Esperimento di Asch: scegliere quali tra tre linee è lunga uguale ad una quarta. I primi 5 (complici)
scelgono tutti la stessa sbagliata, il sesto (ignaro) è in dubbio perché sa che la scelta degli altri è
sbagliata e non sa come comportarsi.
Risultato: in media una volta su tre i soggetti hanno dato una risposta palesemente sbagliata per non
andare contro la maggioranza, piuttosto che scegliere quella giusta.
LE RAGIONI DEL CONFORMISMO
• INFLUENZA DELLE NORME E INFLUENZA DELL'INFORMAZIONE
perché le persone tendono a conformarsi anche quando non sono d'accordo con la maggioranza?
Quando si deve esprimere un giudizio di fronte agli altri è importante che:
1. che la nostra opinione sia giusta
2. che gli altri si facciano un'idea positiva di noi
queste sono le ragioni del conformismo.
1. Per sapere se la nostra opinione è corretta usiamo due fonti di informazione: noi stessi (i nostri sensi) e quello
che dicono gli altri.
La maggior parte di quello che sappiamo proviene dagli altri, infatti spesso le nostre e le altrui impressioni
coincidono. Questo è requisito essenziale per vivere in gruppo. Se gli altri vedessero il mondo diversamente
da noi non si potrebbe interagire.
L'esperimento di Asch dimostra che è causa di forte stress che gli altri vedano le cose differentemente da noi.
Quindi accettiamo il giudizio degli altri presupponendo che abbiano più informazioni di noi. (pressione
23
dell'informazione)
2. Per piacere invece tendiamo a conformarci se pensiamo che non facendolo suscitiamo antipatie o
impressioni negative. (pressione normativa). Il gruppo può anche fare pressione perché ci si conformi o
punire se non lo si fa.
Conformarsi per il bisogno di apparire informato o di piacere, portano a due esiti diversi:
• la pressione informazionale porta ad un cambiamento profondo delle nostre opinioni (conversione o
adesione interiore)
• la pressione normativa porta a cambiare il comportamento, ma l'accettazione è superficiale e dovuta perché
non si può fare diversamente. (acquiescenza o conformismo pubblico).
•
CARATTERISTICHE DEL GRUPPO E CONFORMISMO
• COESIONE: più un gruppo è coeso più i membri si sentono di dover mantenere i valori del
gruppo, più sono soggetti a pressioni normative.
• GRANDEZZA: Importante per il conformismo è la grandezza del gruppo. Esperimenti dimostrano
la grandezza ottimale del gruppo (tra 3 e 5 membri). Se sono di meno, non influenzano gli altri, se
sono di più il potere di influenzare varia in modo minimo (es. tra 5 e 15).
• UNANIMITÀ': se solo uno del gruppo la pensa diversamente, la forza di conformare si riduce
drasticamente.
INFLUENZA DELLE MINORANZE E CONVERSIONE
•
Moscovici fa studi (foto blu coerentemente definite verdi dalla minoranza) per spiegare che non solo le
maggioranze conformano, altrimenti le organizzazioni sociali sarebbero statiche e omogenee. Anche una
minoranza può influenzare gli altri. Dipende dallo stile di comportamento e certe caratteristiche:
•
•
coerenza: i membri della minoranza per avere potere di influenzare, devono saper esprimere la loro
opinione e difenderla. Devono avere coerenza intraindividuale (non cambiare idea) e coerenza
interindividuale tra i membri, costante nel tempo.
Se sono coerenti i membri della minoranza vengono percepiti più competenti e più onesti. Per questo la
maggioranza può arrivare ad accettare le loro idee.
•
La minoranza produce cambiamenti profondi e che si prolungano nel tempo per il processo di validazione,
cioè chi si conforma è portato a capire i motivi della minoranza, facendoli propri e induce una conversione.
Spinge inoltre al pensiero divergente, cioè partendo dai problemi comuni, i membri si spingono oltre trovando
soluzioni creative.
•
La maggioranza invece produce cambiamenti più superficiali e di breve durata per il processo di confronto
sociale, per cui ci conformiamo in pubblico, ma in privato torniamo sul problema e lo risolviamo di nuovo
secondo il nostro punto di vista.
Spinge al pensiero convergente, cioè ci si focalizza sul messaggio proposto senza cercare altre soluzioni.
INFLUENZA SOCIALE DELL'AUTORITÀ
E OBBEDIENZA DISTRUTTIVA
24
•
Affinché i gruppi funzionino è necessario che i membri ubbidiscano ed eseguano gli ordini di chi ha il potere
legittimo.
•
Alla base dell'obbedienza c'è il riconoscimento che chi ha il potere legittimo può chiederci con diritto di
obbedire.
•
Cosa accade se l'autorità chiede cose che vanno contro la morale e può controllare che gli ordini vengano
eseguiti?
•
Stanley Milgram fa degli esperimenti sull'obbedienza distruttiva:
i soggetti dovevano dare scosse elettriche di varia intensità se l'altro (complice) sbagliava
risposta e potevano sentire ma non vedere la sofferenza che provocavano.
L'autorità era quella del ricercatore che pure non aveva imposto l'autorità con la forza, solo
veniva considerato leader legittimo.
Quando i soggetti titubavano ascoltando le grida di dolore, lo sperimentatore gli diceva di
andare avanti, lo facevano mettendo a tacere la loro coscienza.
•
Ci sono delle caratteristiche che ci inducono ad obbedire:
• la distanza dalla vittima: se non la vediamo siamo più indotti ad obbedire, se ne
vediamo la sofferenza, obbediamo molto meno (in accordo con gli etologi e
l'aggressività intraspecifica)
• la presenza fisica dell'autorità: se il leader è presente obbediamo di più, se ci
controlla qualcuno che non ha il potere legittimo, obbediamo meno.
• Il comportamento degli altri: se gli altri si rifiutano di provocare dolore, lo
facciamo anche noi, se gli altri obbediscono e continuano fino al massimo, pure lo
facciamo
• La percezione della nostra responsabilità: se viene detto che non siamo
responsabili dell'esito dell'ordine, obbediamo di più, se siamo ritenuti responsabili,
non eseguiamo ordini immorali.
L'esperimento di Milgram dimostra che l'autorità legittima può spingere chiunque a mettere
in atto crimini distruttivi.
Motivi: l'obbedienza è a base innata, serve per la coesione del gruppo.
Fin da piccoli siamo spinti ad obbedire e ricompensati per questo. L'autorità è vista
come degna di fiducia.
•
PROCESSI DECISIONALI DI GRUPPO
•
•
•
Il conformismo visto nel cap. 5 parla di persone che vengono influenzate dagli altri anche se non li
conoscono. Un individuo deve prendere una decisione personale e viene influenzato da ciò che dicono gli
altri e alla fine il giudizio è più o meno simile.
Ma che succede quando si è parte di un gruppo che deve prendere una decisione unanime? Non è vero che
un gruppo prende decisioni più caute rispetto a quelle che prenderebbe un singolo.
Stoner e successivi dimostrano che i gruppi tendono a prendere decisioni che comprendono un'assunzione
di rischio che non ci sarebbe a livello individuale.
◦ Esperimento: singolarmente si risponde a dei “dilemmi” tra due situazioni, una sicura ma poco
gradevole, l'altra vantaggiosa ma rischiosa. (es. posto di lavoro sicuro/noioso o
interessante/precario). Poi venivano riuniti in gruppo e se ne parlava. Poi singolarmente davano di
nuovo i giudizi: i nuovi giudizi si spostavano decisamente verso il rischio.
25
•
•
•
•
•
LA POLARIZZAZIONE DI GRUPPO va da un estremo all'altro. Se la tendenza media dei membri è
conservatrice, il giudizio di gruppo si sposterà decisamente verso il conservatorismo. Se la tendenza è
rischiosa, si polarizzerà su un rischio elevato.
LA DISCUSSIONE DI GRUPPO RAFFORZA LA POSIZIONE DOMINANTE.
Motivi:
◦ in gruppo i singoli acquisiscono nuove informazioni (pressione informazionale)
◦ nel confronto sociale, si vuole dare una buona impressione e si arriva a prendere posizioni più
estreme pur di far colpo e sembrare migliori (pressione normativa).
IL PENSIERO GRUPPALE
Janis ha studiato un caso estremo di polarizzazione quando i membri di un gruppo partono da idee molto
simili, arrivando a pendere decisioni completamente sbagliate. Ognuno si sente vincolato e punta alla
coesione di gruppo, è difficile che informazioni nuove e diverse giungano ai singoli. Il leader direttivo che
caratterizza questi gruppi, predilige una soluzione particolare e che guida il gruppo intero.
L'INFLUENZA DEI SINGOLI E IL POTERE SOCIALE
• A volte non si riesce a dire di no alle richieste di qualcuno, perfino un estraneo.
• Raven ha classificato le risorse che i singoli usano per influenzare gli altri (potere sociale):
• IL POTERE DA RICOMPENSA: capacità o possibilità di ricompensare. Non solo materialmente. Anche
un sorriso o un'approvazione
• IL POTERE COERCITIVO: capacità o possibilità di punire, fisicamente o simbolicamente.
• Entrambe producono al pari del conformismo, acquiescenza esterna ma non cambiano le idee, e si
ottiene solo con la sorveglianza.
• IL POTERE DA COMPETENZE: seguiamo i consigli degli esperti. Si basa sulla credibilità
• IL POTERE DELL'INFORMAZIONE: quando si vuole persuadere con argomentazioni logiche ma non
per forza si è esperti.
• IL POTERE DI RIFERIMENTO: quando ci piace qualcuno o un gruppo gli diamo inconsapevolmente il
potere di influenzarci.
• IL POTERE LEGITTIMO: una persona o un gruppo hanno il diritto di
chiederci di comportarci in un dato modo. Si basa su norme e valori
interiorizzati. Valori culturali come l'essere anziano o donna. O in base alla
struttura sociale (essere un leader) o in base al ruolo sociale (essere genitori,
insegnanti..).
CAP. 6
INTERAZIONE NEI GRUPPI
• COS'è UN GRUPPO:
si parla di gruppo quando gli individui che ne fanno parte hanno almeno la potenzialità di avere interazioni tra di loro
e quando c'è tra loro interdipendenza.
• Per Lewin il gruppo è un'entità collettiva diversa da quella individuale
le persone si sentono parte di un gruppo quando si percepiscono come aventi un destino comune.
Non è la somiglianza, ma l'interdipendenza che accomuna i membri di un gruppo.
• Questo non spiega però i gruppi ampi dove le persone non interagiscono (es. tifosi di una squadra o
26
passeggeri di un aereo).
•
ALLORA COSA NON È UN GRUPPO:
• quando raggruppiamo le persone per caratteristiche specifiche, (sesso, etnia, professione, religione)
si parla di categorie sociali non di gruppi. Di pubblico o audience, se assistono ad un evento ma non
è detto che interagiscono. Di folle o aggregati se sono in una situazione comune che li avvicina (fila
ad un concerto o allo stadio).
• Sono gruppi sociali, un team, una squadra, un gruppo di lavoro, una famiglia, perché interagiscono e
hanno obiettivi comuni.
• Anche le organizzazioni formali le istituzioni, sono gruppi sociali perché c'è la potenzialità di
interagire e si lavora per lo stesso scopo.
STRUTTURA DEL GRUPPO
I gruppi variano per grandezza, durata, scopi e valori.
I gruppi sono strutturati in modo che gli individui tramite la ripartizione dei compiti arrivino agli
obiettivi individuali e di gruppo.
Nel momento in cui si forma un gruppo, spontaneamente si adottano dei pattern, dei ruoli. (es. leader).
La struttura del gruppo si basa quindi sullo status, sulla posizione e il ruolo che ricoprono in modo più o
meno duraturo, che sia consensuale per i membri.
La teoria delle aspettative circa lo status (Berger) dice che i ruoli si rivestono in base alle aspettative del
gruppo su come può il singolo contribuire allo scopo.
In tutti i gruppi di primati occupa il ruolo di leader chi ha una postura più eretta, mostra più forza e
decisione.
Negli uomini inoltre diventa leader chi parla di più e fa più interventi.
Il gruppo segue le norme sociali condivise che regolano responsabilità obblighi e diritti, in base allo
status che si ha.
Quasi sempre si possono trovare dei ruoli fissi nei gruppi:
• nuovo arrivato: ci si aspetta che sia passivo, ansioso, conformista
• capro espiatorio: sul quale gli altri membri del gruppo scaricano le parti inaccettabili del sè
• leader: ci si aspetta che svolga 2 funzioni:
• leader socio-emozionale: fa procedere il gruppo in un'atmosfera armoniosa
• leader centrato sul compito: che abbia il raggiungimento dello scopo come
costante preoccupazione.
IDENTITÀ SOCIALE: INGROUP E OUTGROUP
•
•
•
•
Il gruppo è un'unità con una sua identità sociale. Dai membri del proprio gruppo ci si aspetta dei
comportamenti che non sono richiesti a chi non fa parte del gruppo.
L'identità del singolo è legata all'identità del gruppo di cui fa parte.
Identificarsi con i gruppi di cui facciamo ci permette di definire chi siamo. (test fatto sulle 10 frasi per
descriverci).
Descrizioni che ci definiscono come gruppo (uomo/donna italiano/ecuadoriano, pallavolista/calciatore)
prevarranno nella descrizione su definizioni più personali (emotiva, timido, estroverso, ecc).
27
•
Il gruppo da un significato alla vita delle persone, sia nei rapporti interni al proprio gruppo (ingroup) sia per i
rapporti con chi appartiene ad altri gruppi (outgroup).
•
Tajfel formula la teoria dell'identità sociale, dando prove empiriche del fatto che in base alla descrizione di
sé che si ha come affiliazione di gruppo, si determina anche l'identità sociale verso gli altri gruppi.
• Tajfel mostra che la definizone di gruppo di Lewin, (insieme di persone che condividono destino
comune e interdipendenza) non presuppone che l'interdipendenza e scopi simili ci siano sin dalla
formazione del gruppo, piuttosto interdipendenza e scopi comuni, possono emergere come
conseguenza del sentirsi parte del gruppo.
• Gli esseri umani hanno una propensione innata a categorizzare le persone raggruppandole in base a
caratteristiche come sesso, religione, età, ecc. Questi processi di categorizzazione portano a
autoidentificarsi con un gruppo, cosa essenziale per la vita psicologica.
• Il self è un miscuglio di identità sociali che derivano dai gruppi a cui si appartiene. Ci sono gruppi
secondari (generali, come, italiano, uomo, cattolico...) e gruppi primari (o di identità personale) che
sono gruppi più privati (figlia di Ivana, moglie di Marco...), oltre a tratti della propria storia personale
e del proprio carattere.
• In base alle situazioni, sarà più saliente una caratteristica piuttosto che un altra. Se ad es. si fa parte di
un gruppo dominante, si punterà più su caratteristiche personali, se si appartiene ad un gruppo
dominato, si tenderà a descriversi principalmente come parte di quel gruppo.
• Nei processi di categorizzazione e di autocategorizzazione si tende ad enfatizzare le somiglianze con
il proprio gruppo e le differenze con gli altri gruppi, gettando le basi per gli stereotipi.
• La definizione sociale di chi siamo comprende una descrizione di chi non siamo. L'ingroup (noi)
esclude l'outgroup (altri).
EFFETTO OMOGENEITÀ DEL GRUPPO ESTERNO
Il gruppo esterno viene percepito come un insieme di individui quasi uguali, anonimi = effetto
omogeneità del gruppo esterno, (es. gli americani, tutti uguali, i cinesi... ecc..) mentre “noi” siamo
diversi tra di noi.
Ci sono alcune possibili spiegazioni:
1. conosciamo meglio e siamo più in contatto con il nostro gruppo e possiamo rilevare con
più facilità le differenze tra le persone del nostro gruppo.
2. Facciamo poca attenzione ai gruppi estranei per cui non vale la pena sprecare energie
3. ci sono poche opportunità di interagire con l'altro gruppo.
4. Mackie ha fatto gruppi arbitrari in laboratorio e pure tra gruppi che non avevano niente in
comune, si tendeva a considerare gli “altri” come omogenei e il proprio gruppo diversificato,
perciò i soli processi di categorizzazione bastano per provocare l'effetto omogeneità.
Una volta categorizzati gli altri come tutti uguali, si attribuiscono caratteristiche negative di uno a tutto il
suo gruppo. Se uno è ladro, lo saranno tutti quelli del suo gruppo. Mentre se si trova un ladro nel
nostro gruppo, la negatività sarà attribuita al singolo individuo non a tutto il gruppo che rimano
“buono”.
EFFETTO ASSUNZIONE DI SIMILARITÀ
• riteniamo di condividere molte opinioni e gusti con gli altri membri del nostro gruppo; però
ognuno ha la sua personalità e noi siamo unici e irripetibili.
• I membri del proprio gruppo hanno caratteristiche più gradevoli
• nell'attribuire le cause al comportamento dell'ingroup, usiamo un bias, cioè un pregiudizio, funzionale al
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mantenimento di una buona immagine del proprio gruppo:
• i comportamenti negativi sono dovuti alla situazione
• i comportamenti positivi sono visti come tratti stabili della persona.
• Appartenendo a quel gruppo e condividendo molte nostre caratteristiche con loro, i membri del
nostro gruppo non possono che essere migliori.
• Considerare il nostro gruppo migliore serve per mantenere un'identità sociale positiva, e un alto
livello di autostima personale. L'etnocentrismo deriva dal credere la propria etnia migliore delle altre
LA LEADERSHIP
•
•
•
•
Per far si che un gruppo funzioni c'è bisogno sia della leadership socio-emozionale sia quella centrata sul
compito. È raro che una persona ricopra entrambe i ruoli.
Sembra che le donne sia portate per entrambe le leadership, gli uomini più per quella centrata sul compito.
LEADERSHIP SOCIO-EMOZIONALE: basata sulle relazioni, sui bisogni emotivi, allentano le tensioni,
chiedono opinioni e suggerimenti = stile leadership democratica.
LEADERSHIP CENTRATA SUL COMPITO = stile leadership autoritaria. basata su comportamenti che
portano al raggiungimento dello scopo. Danno molti comandi spingono al rispetto delle regole. Crea
tensione e antagonismo tra i membri.
•
•
•
IL LEADER
la struttura del gruppo porta all'emergere di un leader già dai 3 anni (Barbara Hold).
Di solito nei bambini diventa leader chi:
◦ più aiuta
◦ più ha iniziativa
◦ più organizza
◦ più distribuisce risorse
◦ più è inventivo.
•
In età adulta non ci sono tratti di personalità specifici che fanno capire chi diventerà leader, ma più
probabilmente diventa leader chi, oltre alle caratteristiche soprascritte è:
◦ più intelligente
◦ che sa gestire i rapporti
◦ è più motivato, ambizioso, pronto ad assumersi responsabilità
◦ che riscuote fiducia (leader carismatico)
In base alla situazione, servono leadership differenti con caratteristiche differenti.
• Secondo il MODELLO DELLA CONTINGENZA di Fiedler, un leader efficiente è l'incrocio tra lo stile del
leader e il controllo della situazione che ha. Controllo, ciè la sicurezza che ha di svolgere il compito, in base a:
• tipo di relazioni con gli altri
• chiarezza degli scopi
• livello di potere
• sia che abbia un controllo molto basso o molto alto è più efficace la leadership autoritaria. Se il controllo è
moderato, meglio leadership socio-emozionale.
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LA TEORIA TRANSAZIONALE (Hollander)
• un leader può influenzare i membri di un gruppo, ma anche il contrario.
• Un leader che si allontana troppo dalle norme del gruppo può essere rifiutato e spodestato.
Secondo la teoria transazionale un leader è legittimato se:
• viene SCELTO dai membri e non imposto
• se all'inizio si CONFORMA alle norme di gruppo
• se dimostra di avere le COMPETENZE x lo scopo
• se si IDENTIFICA nel gruppo
•
In tutti i gruppi si riscontra che 1 o 2 persone monopolizzano la comunicazione. Gli altri parlano più col
leader che non tra loro. È una propensione a base innata dare attenzione a chi è dominante. Il leader ha la
possibilità di comunicare di più con tutti.
LE RETI DI COMUNICAZIONE
•
Nei gruppi la comunicazione fra i membri è regolata da norme che regolano chi comunica con chi, e non
sempre in modo centralizzato. In base alla rete di comunicazione, varia la produttività e la soddisfazione dei
membri.
•
Le reti possono variare da un massimo di centralizzazione detto a ruota, dove una persona al centro, riceve e
invia messaggi agli altri disposti come raggi, per cui si può comunicare solo attraverso il centro; ad un
massimo di apertura, a cerchio dove ognuno è libero di comunicare con tutti gli altri.
•
Più la rete è centralizzata, più è efficace il gruppo nello svolgimento di compiti semplici anche se la
motivazione dei membri è bassa così come la motivazione a raggiungere lo scopo.
• Reti a cerchio sono invece più efficaci per compiti difficili. Disporsi in cerchio intorno ad un tavolo e potersi
scambiare idee, rende le soluzioni più semplici.
•
Questo però solo in una prima fase. Nella seconda fase il cerchio deve sostituirsi ad una rete
centralizzata dove qualcuno raccolga e coordini le informazioni anche nei compiti difficili come nei facili.
•
Il rischio di una leadership centralizzata basata sul compito, è di arrivare ad una leadership autoritaria che crea
malcontento nel gruppo fino ad arrivare ad aggressività ed estrema competitività.
Quindi:
• i membri di un gruppo che devono prendere una decisione ma sono poco implicati personalmente nella
decisione, sono orientati verso una normalizzazione, ad una norma che è la media delle idee singole.
•
I membri di un gruppo che devono prendere una decisione ma sono molto coinvolti nel compito ed è
possibile un conflitto, si tende ad una polarizzazione verso il rafforzamento dell’idea della maggioranza.
IL LAVORO DI GRUPPO
Per fare previsioni sulla produttività di un gruppo e delle risorse necessarie, Steiner ha classificato i vari compiti che un
gruppo può trovarsi ad affrontare.
• bisogna chiedersi se il compito è divisibile tra varie persone o no. Può essere quindi divisibile (squadra di
30
•
•
calcio con vari ruoli) o unitario (risolvere un problema di matematica)
bisogna vedere se è importante la quantità di lavoro rispetto alla qualità, cioè un compito può essere
massimizzante cioè lo sforzo di tutti produce il risultato (tirare una corda) od ottimizzante dove non
necessariamente il risultato è lo sforzo di tutti (squadra che deve rispondere a dei quiz).
infine se il compito è additivo cioè è la somma degli sforzi di tutti. Tirare una corda è anche un compito
additivo oltre che massimizzante e unitario.
• Si possono avere anche compiti congiunti, dove per raggiungere un obiettivo bisogna agire di comune
accordo (un’imboscata) e il più debole determina il successo: un passo falso ed è insuccesso.
• Oppure compiti disgiunti, dove il successo è determinato dal più competente: un problema di
matematica, anche se partecipano tutti, ha una sola soluzione e viene scelta quella del più competente.
Quindi nella riuscita di un compito un gruppo deve avere sia il modo di portare avanti un compito, ma
anche le risorse umane o strumentali per farlo, oppure fallirà.
CAP. 7
PARADIGMA DEI GRUPPI MINIMI – Tajfel
•
•
•
•
•
Paradigma dei gruppi minimi = è sufficiente sentirsi parte di un “noi” un gruppo diverso dagli “altri”
per far scattare l'ingroup bias o effetto favoritismo dell'ingroup, anche se le differenze sono minime (come
es. colore dei capelli, quelli con la maglietta blu, quelli nati nel 1973...) e anche se i gruppi sono creati solo
lanciando una moneta e quindi non ci sono stereotipi o pregiudizi preesistenti.
Dal momento che si viene divisi in gruppi e si viene a sapere di far parte di un gruppo, l'outgroup, viene visto
come diverso.
Inizialmente Tajfel attribuì il favoritismo verso il proprio gruppo come un fatto acquisito, una norma, per cui
si favorisce il proprio gruppo in una competizione per assicurargli risorse.
Poi si accorse con altri esperimenti che non basta assicurare risorse al proprio gruppo ma lo scopo del bias è
far si che il proprio gruppo sia superiore all'altro, non importa se poi le risorse effettive sono minori (es,
piuttosto che dare 20 punti sia al proprio gruppo che all'altro, si preferiva dare 10 al proprio e 5 all'outgroup,
quindi anche se i punti effettivi erano meno, però si confermava la superiorità del proprio gruppo sull'altro).
Tanto più aumenta il senso di identità di gruppo, tanto più aumenta il bias e competitività col gruppo esterno.
(se una squadra ha tutte le magliette uguali è + competitiva che se ha magliette diverse).
La teoria di Tajfel, confutò altre teorie pure empiriche che partivano dalla definizione di Lewin di gruppo. Tajfel
dimostra che avere un destino comune e interdipendenza è sufficiente perché si inneschi l'ingroup bias, ma non il fatto
che queste debbano esistere già alla creazione del gruppo, perché si innescano automaticamente dopo.
TEORIA DELLA DEPRIVAZIONE RELATIVA Tajfel e Turner
•
•
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Teoria della deprivazione relativa: anche quando il gruppo ha risorse sufficienti, continua a competere se i
gruppi esterni hanno condizioni migliori.
Questo perché dal valore del nostro gruppo deriva la nostra autostima
proviamo deprivazione relativa egoistica se possediamo meno degli altri.
31
•
Proviamo deprivazione relativa fraterna se il nostro gruppo non raggiunge i traguardi sperati. (es. scudetto
per la squadra del cuore).
TEORIA DEL CONFLITTO REALISTICO - Sherif
•
•
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Teoria del conflitto realistico: è la scarsità di risorse a determinare il conflitto tra gruppi.
La teoria della deprivazione relativa mette in discussione la teoria del conflitto realistico su cui Sherif aveva
condotto degli esperimenti:
ESPERIMENTO DI ROBBERS CAVE:
◦ fece due gruppi di adolescenti in un campo estivo. Evidenziò che già alla formazione dei gruppi, subito
tende ad instaurarsi un clima di rivalità.
◦ Quando gli interessi di un gruppo sono in conflitto con quelli dell'altro, e quindi quando ci sono scopi
competitivi si arriva al conflitto.
◦ Se invece gli interessi dei gruppi coincidono (scopi sovraordinati cioè che sono interesse di entrambi
raggiungere) allora si osserva la collaborazione tra gruppi per il raggiungimento dello scopo (es. camion
rotto, si lavora insieme per tornare a casa).
◦ Sherif osserva anche che quando si entra in fase di conflitto, cambia la leadership e l'individuo più
aggressivo diventa dominante.
◦ Possibilità di socializzare tra gruppi rivali serviva solo ad aumentare i conflitti.
◦ Solo scopi comuni riducevano il conflitto.
L'esperimento di Sherif dimostrò che non sono il bisogno di risorse individuali o tratti di personalità
individuali a far scatenare i conflitti di gruppo.
Gli studi successivi di Tajfel, aggiungono che non è solo il bisogno di risorse materiali a scatenare il conflitto
ma anche il mantenimento di una identità sociale positiva, che è una risorsa psicologica necessaria al nostro
benessere.
Spiegazione evoluzionistica: da ricondurre all'etica di piccolo gruppo, cioè il proprio gruppo è percepito
come amico e l'altro come nemico.
◦ favorire il proprio gruppo significava favorire chi portava lo stesso patrimonio genetico, e capire subito
chi non era “noi” dava la possibilità di difendersi da chi poteva aver motivi a sopprimerli sia per le risorse
che per il patrimonio genetico.
STEREOTIPI E PREGIUDIZI
•
Gli stereotipi sono la parte cognitiva dell'antagonismo tra gruppi
• sono le rappresentazioni mentali dovute al raggruppare gli individui in base a tratti che li
accomunano.
• Sono le rappresentazioni cognitive che più risentono dell'effetto omogeneità del gruppo esterno e
similarità col gruppo interno.
• I membri di un gruppo condividono le credenze relative alle caratteristiche tipiche dei membri di un
altro gruppo.
• Sono l'effetto collaterale dei processi di categorizzazione e autocategorizzazione.
• Le persone tendono a creare profili molto diversi tra un outgroup e l'altro e molto simili tra i membri
di ognuno.
• Gli stereotipi sono categorizzazioni approssimative che danno luogo ad impressioni distorte e sono
32
•
la base dei pregiudizi.
Pregiudizi: sono quegli atteggiamenti ingiustificati sfavorevoli verso determinati gruppi, senza che ci siano
dati empirici di base.
• Alla loro base ci sono categorizzazioni rispetto a razza, etnia, religione, sesso...
•
DISCRIMINAZIONE SOCIALE
• la discriminazione deriva dagli stereotipi ed è di 2 tipi:
• discriminazione contro il gruppo per cui si ha pregiudiziale
• discriminazione a favore del proprio gruppo che ha il potere di emarginare l'altro gruppo.
• I processi di categorizzazione sociale portano a dinamiche di relazione tra i gruppi, infatti se effetto
omogeneità, il self-serving bias, l'etonocentrismo, promuovono la propria autostima, fanno anche si
che i gruppi esterni diventino bersaglio di atteggiamenti negativi e comportamenti aggressivi.
•
PROCESSI DI FORMAZIONE DEGLI STEREOTIPI
• i ruoli sociali
• gli stereotipi hanno alla base le esperienze che facciamo nella nostra vita con i membri di
altri gruppi.
• È possibile parlare di un nocciolo di verità degli stereotipi
• riflettono i ruoli sociali svolti nel passato o nel presente da un determinato gruppo.
• ES. gli ebrei sono giudicati avari e astuti perché nel medioevo una delle poche professioni
che potevano svolgere era prestare denaro. Hanno perciò sviluppato comportamenti
consoni al ruolo. Quelle caratteristiche sono poi state attribuite alla loro personalità non al
loro status.
• In base alla società cui si appartiene, uno stereotipo può essere attribuito a vari gruppi. ES:
in Asia sono considerati i cinesi avari e scaltri, in Russia, sono i caucasici.
•
In ogni società però si riscontra uno stereotipo comune cioè:
◦
il gruppo che occupa il gradino più basso economicamente è considerato
ignorante, sporco immorale.
◦
Quando la posizione economica di quel gruppo migliora, i pregiudizi e
stereotipi passano all'ultimo gruppo immigrato.
•
I ruoli sociali spiegano in parte anche gli stereotipi di genere.
◦
Donne: miti, emotive, dipendenti, affettuose
◦
Uomini: aggressivo, razionale, indipendente
◦
è dovuto ai ruoli sociali ricoperti per secoli: le donne al focolare, in casa,
incaricate della prole; gli uomini occupati in attività fuori casa.
Gli stereotipi non riflettono i gruppi come effettivamente sono, ma la percezione che gli altri
hanno del ruolo che ricoprono.
•
•
L'ERRORE DI CORRISPONDENZA
• il ruolo sociale di un gruppo ne determina i comportamenti (es. ebrei prestano denaro = diventano
scaltri e avari)
• l'errore di corrispondenza è un meccanismo che fa si che i comportamenti dovuti al ruolo sociale
vengano attribuiti alla personalità dei singoli.
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FORMAZIONE DELLO STEREOTIPO
Fattori sociali e culturali determinano il ruolo sociale
A gruppi diversi vengono assegnati ruoli diversi
I membri del gruppo assumono i comportamenti consoni al ruolo
Errore di corrispondenza: quei comportamenti
vengono attribuiti alla personalità, non al ruolo
Si forma lo stereotipo di gruppo (ebrei avari)
•
Questo non vuol dire che uno stereotipo non possa riflettere anche caratteristiche reali, o che in base a tratti
di personalità particolari, si assumano determinati ruoli.
•
Anche se si parla di propensioni innate ad avere date caratteristiche, si parla come tendenza media, che
avevano e hanno senso per farsi un'impressione rapida. Diventa dannoso quando le caratteristiche medie
vengono attribuite a tutto il gruppo escludendo le differenze tra un membro e l'altro.
•
GLI SCHEMI
• Gli stereotipi sono regolati dagli stessi meccanismi degli schemi, per cui le informazioni discordanti
con lo stereotipo vengono facilmente dimenticate o rifiutate. Le informazioni ambigue vengono
elaborate in modo congruente allo stereotipo. Gli stereotipi distorcono la realtà per renderla più
semplice e coerente.
• gli stereotipi di razza sono già presenti in età precoce (Sagar e Schofield)
•
LE PROFEZIE AUTOAVVERANTISI
• Lo stereotipo può portare chi ne è bersaglio, a comportarsi esattamente come lo stereotipo prevede,
facendo si che lo stereotipo diventi una profezia autoavverantisi. Es. se un ragazzo viene trattato
come un ribelle è probabile che si comporterà come tale.
•
L'AUTO-CONSAPEVOLEZZA
• l'auto-consapevolezza di far parte di una minoranza, rendersi conto che al proprio gruppo vengono
attribuite determinate caratteristiche, fa si che si abbia la consapevolezza di essere diverso, e quindi di
aspettarsi che gli altri reagiscano alla propria diversità.
• ESPERIMENTO: Klech e Strenta a delle donne hanno applicato una cicatrice finta sul volto per
studiare le reazioni ai difetti tipici. Poi le cicatrici sono state tolte senza che le donne se ne
accorgessero, quindi anche se non avevano nessun difetto, loro credevano di averlo, per cui
riportarono che le persone con cui avevano parlato avevano avuto un comportamento prevenuto e le
avevano distanziate. In realtà loro si erano predisposte in modo freddo e distaccato e gli altri non erano
prevenuti perché non c'era nessun difetto.
•
LA CORRELAZIONE ILLUSORIA
• perché stereotipi e pregiudizi non cambiano se abbiamo informazioni che non corrispondono?
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•
•
Perché poniamo più attenzione alle caratteristiche salienti, insolite e trascuriamo quelle comuni.
È stato scoperto un meccanismo cognitivo per cui due eventi insoliti, salienti, se accadono più di una
volta in contemporanea, li consideriamo correlati.
◦ Per questa correlazione illusoria, correliamo eventi insoliti o salienti a gruppi insoliti o
salienti.
◦ ES. se in un gruppo di bianchi c'è un nero e avviene un furto, le cose sono correlate.
◦ Questo perché avere tratti diversi dal gruppo, ci rende molto visibili, attraiamo l'attenzione, e
la loro percezione viene esagerata. Siamo sensibili a tutto ciò che è inusuale.
◦ Spiega anche perché di solito a gruppi minoritari vengono attribuitie azioni criminali.
•
I MASS MEDIA nel riportare notizie di cronaca, riflettono e accentuano questo fenomeno, per cui se nel
criminale c'è un tratto saliente (di colore, omosessuale) viene enfatizzato, se fa parte del gruppo quindi è
“comune”, non viene sottolineato.
•
LA TEORIA DEL CAPRO ESPIATORIO
• l'aggressività verso gruppi minoritari è stata interpretata come uno spostamento dell'aggressività del
gruppo dominante, derivante dalla frustrazione a non poter raggiungere i propri scopi e a non poter
attaccare la vera fonte della frustrazione (es. il Governo in una crisi), verso gruppi più deboli e
raggiungibili. (es. i neri nella crisi del cotone negli stati uniti).
• Non sono però state riscontrate conferme sicure nelle prove empiriche. Non sempre la frustrazioneaggressività-capro espiatorio, si riversa verso il gruppo su cui si hanno pregiudizi.
•
PREGIUDIZIO COME PERSONALITÀ
• Un gruppo di scienziati chiamati il gruppo di Berkley , tra cui Adorno, hanno investigato negli anni
'50 sui motivi del nazi-fascismo. Partirono dall'ipotesi freudiana che il pregiudizio potesse essere un
problema di personalità che dipende dalle cure ricevute nei primi anni di vita quindi:
◦ se un individuo viene allevato in un contesto equilibrato tra spinte personali e regole da
seguire, si avrà una persona equilibrata.
◦ Se invece viene cresciuto in modo conservatore, con forti restrizioni e regole ferree, si avrà
una persona con una personalità autoritaria, che non potendo sfogare l'aggressività
derivante dalla frustrazione sui genitori, la scarica su chi è più debole e si avrà:
▪ eccesso di rispetto per le figure autoritarie
▪ atteggiamento ostile verso gli altri gruppi
• Per Adorno e co. Quindi il pregiudizio è l'effetto collaterale di una personalità distorta.
• Misurarono nei loro studi quella che chiamarono sindrome autoritaria, su una scala del fascismo F;
le tendenze antisemite con la scala AS dell'antisemitismo; e l'inclinazione all'etnocentrismo con la
scala E dell'etnocentrismo.
•
La prospettiva di Adorno è solo incentrata su differenze e dinamiche personali, ma non tiene in
considerazione fattori socio-culturali.
Il pregiudizio infatti riguarda nel tempo, gruppi diversi. Ad es. negli Stati Uniti agli inizi del secolo erano
discriminati italiani e irlandesi.
Ora italo-americani e irlandesi discriminano i nuovi gruppi migranti (asiatici) ma è improbabile che questo
sia da attribuire a un cambiamento così drastico dei modi di allevamento di italiani e irlandesi tanto da
generare tanti individui di personalità autoritaria.
•
•
35
CAP. 8
L'AGGRESSIVITà
•
•
•
•
•
L'aggressività e l'altruismo sono i due poli positivo e negativo del comportamento umano.
Per analizzarli bisogna prima di tutto definire cosa sono
entrambe sono propensioni generali che possono manifestarsi in vari modi o non manifestarsi affatto.
In base ai vari modelli di riferimento, possono essere interpretati differentemente.
Vanno valutati in base a: i fattori che ne influenzano la messa in atto (cosa rende una persona aggressiva o
altruista); le caratteristiche di chi si comporta così (chi è aggressivo o altruista); le caratteristiche
dell'individuo a cui sono rivolte queste azioni (chi viene aiutato o aggredito); la situazione in cui si
manifestano (quando aggrediamo o aiutiamo).
•
Cos'è l'aggressività
• Quelle azioni che intenzionalmente si attuano per provocano un danno ad altri.
Cos'è un danno
• Tutto ciò che danneggia intenzionalmente non solo dal punto di vista fisico. Un insulto è
aggressione; non fare niente quando si potrebbe intervenire per evitare un danno ad altri, è
aggressione.
•
•
Spesso le differenti reazioni ad un atto aggressivo delle persone dipendono da come vengono interpretati gli
atti aggressivi:
• per alcuni una determinata azione può lasciare indifferenti, per altri può scatenare una reazione
violenta.
Normalmente quando si parla di aggressività ci si rifà comunemente a due modelli opposti:
• uno che enfatizza le componenti istintive ed innate
• uno che enfatizza i fattori sociali, ambientali, educativi.
Si nasce aggressivi (Hobbes – 1600) o ci si diventa (J. Jaques Rousseau -1700)?
•
AGGRESSIVI SI NASCE: psicoanalisi, etologia tedesca. (determinismo biologico)
•
Nel “Disagio della società” Freud pone società e individuo in eterno contrasto. Gli istinti devono
essere controllati, regolati e sanzionati dalla società. La società agisce in modo diretto costringendo
l'uomo a non mettere in atto comportamenti inaccettabili, ma anche in modo indiretto, tramite i
divieti e punizioni parentali che con meccanismi di introiezione e proiezione, contribuiscono a
formare il Super Io, un controllore interno.
•
La repressione di sessualità e aggressività da parte dei genitori è indispensabile per la sopravvivenza
della società ma al contempo è fonte di altra aggressività a causa della frustrazione che provoca.
36
•
Per Lorenz l'aggressività è frutto dell'istinto, incontrollabile, che causa nell'individuo un accumulo di
energia che cerca di defluire all'esterno appena possibile (modelli idraulici o energetici). È una
risposta adattativa, rimasta nel patrimonio genetico. Nell'ambiente adattativo con risorse scarse era
adeguato mettere in atto comportamenti aggressivi. Abbiamo ereditato questa spinta incontrollabile.
•
Per Lorenz e Freud, la società deve arginare, reprimere, punire la violenza, per impedire l'attuarsi di
spinte incontrollabili. È una visione completamente negativa. L'unica alternativa è creare situazioni in
cui sfogare in modo socialmente accettabile la violenza come lo sport.
•
AGGRESSIVI SI DIVENTA: comportamentismo e social learning theory
• L'aggressività è causata da influenze ambientali:
• imitazione, cattivo esempio, assistere o subire violenze.
• La società deve plasmare ed educare l'individuo, indirizzandolo.
•
Secondo i comportamentisti, in particolare per la Social Learning Theory, alla nascita siamo tabule rase, su
sui si può incidere qualsiasi cosa.
Un accurato sistema di rinforzi positivi (premi) per azioni accettabili e rinforzi negativi (punizioni) per i
comportamenti da bloccare, può portare le persone a comportarsi secondo le regole, come in un
ammaestramento, un modellamento (effetto modeling).
Bandura compie l'esperimento della Bobo doll per mostrare che l'aggressività è frutto dell'imitazione e che
assistere a scene aggressive, porta ad un'imitazione, immediata o nel tempo.
• ESPERIMENTO: 3 gruppi di bambini: uno assiste ad un adulto che si scatena contro una grossa
bambola. L'altro vede un adulto che ci gioca. Il terzo viene fatto giocare senza assistere a nessuna
scena.
• Poi i bambini vengono messi sotto pressione, dando bei giocattoli poi sottratti per creare
frustrazione.
• I vari gruppi vengono poi messi in stanze con giochi tra cui la bobo doll: il primo gruppo si scagliò
contro la bambola e gli altri giochi. Gli altri due gruppi, furono molto meno aggressivi.
Bandura fa poi un altro esperimento simile per vedere i legami tra realtà e fiction:
• i 3 gruppi assistono a : un adulto dal vero che si scagli acontro la bambola; un adulto in un filmato
che picchia la bambola; un adulto vestito da pupazzo che picchia la bambola.
• Il modello più imitato fu quello del video.
• In più se la violenza è poi premiata viene più imitata che se è punita.
• Quindi assistere in tv o al cinema a violenze, specialmente se premiate, incrementa l'aggressività.
•
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•
Anche i modelli di allevamento parentale, inducono all'imitazione:
• figli di genitori aggressivi sono aggressivi. Punizioni e minacce inducono ad apprendere
l'aggressione. Infatti le punizioni bloccano il comportamento al momento ma forniscono modelli di
comportamento.
Perfino vedere armi o oggetti collegati ad atti violenti, scatena per associazione il comportamento aggressivo. (effetto
arma, weapon effect) – Berkowitz -.
Televisione e violenza
• Moltissimi esperimenti di Bandura, hanno provato che la televisione proponendo in media 5 azioni
violente all'ora, fa aumentare atteggiamenti aggressivi, che si possono riscontrare anche nel tempo, a
distanza di anni. Quanto più i soggetti avevano assistito a spettacoli violenti verso gli 8 anni, tanto più
da grandi venivano condannati per crimini violenti. Quindi i media incrementano l'aggressività.
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Non provano però che la televisione sia il principale motivo che scatena la violenza.
Ma perché vedere violenza, la tv, scatena l'aggressività? Come avviene il passaggio tra vedere e
compiere violenze?
Attraverso i processi di apprendimento, di imitazione e identificazione con modelli vincenti.
Inoltre vedere spesso scene di violenza induce un processo di de-sensibilizzazione che porta
all'indifferenza.
Trascorrere molte ora davanti la tv porta a credere che il mondo reale sia come quello della fiction, che
viene mostrato molto pericoloso, quindi ne deriva che nella realtà ci si crede molto a rischio e si rimane
pronti a reagire con l'aggressione negli incontri sociali.
Potrebbe non essere il contenuto stesso del film a scatenare la violenza, ma il fatto che questo
contenuto fa scattare un meccanismo di eccitazione, un arousal.
Zillmann con la sua teoria dell'attivazione-disclocazione dice che qualsiasi sia la fonte di arousal,
di attivazione, (non solo la rabbia e non solo eventi negativi), può essere trasferita ad altre cause. ES:
se si esce da un cinema dove si è visto un film violento, si è in uno stato di eccitazione e si riceve o
percepisce una provocazione, si tende a credere che lo stato di attivazione sia dovuto a quella
provocazione, a cui si reagisce.
Non è ancora chiaro se sia la visione di scene violente che incrementa l'aggressività o se gli individui
predisporti ad aggredire, preferiscono vedere film violenti. Alcuni studi recenti non hanno trovato
nessuna correlazione tra violenza vista e violenza reale. Perciò il rapporto tra violenza e tv è ancora
da chiarire.
COSA FA SCATENARE L'AGGRESSIVITÀ?
•
Teoria della frustrazione-aggressività – Dollard, 1939.
È una delle prime teorie e cerca di coniugare l'interpretazione di Freud e le teorie del
comportamento animale di stampo comportamentista: un comportamento aggressivo
presuppone sempre una frustrazione. La frustrazione porta all'aggressione.
•
•
La frustrazione deriva dall'impossibilità di raggiungere i propri scopi.
Per Freud la frustrazione viene dal dover attendere la disponibilità della madre per essere nutrito e
dal dover attendere per soddisfare i bisogni corporali in base alle imposizioni dei genitori solo in
luoghi adeguati. L'energia negativa accumulata si scatena quando si è in presenza poi di nuove
frustrazioni.
Gli esperimenti sui topi avevano mostrato che se si davano scosse elettriche, il topo si metteva in
posizione di attacco, aggrediva gli altri topi, cercava qualcosa su cui avventarsi.
Dollard e colleghi partendo da questi due postulati, mostrano con esperimenti che gli uomini,
frustrati rispondono con rabbia cieca e irrazionale, anche se questa non elimina la fonte di
frustrazione e anche se l'azione è illegittima.
Il legame frustrazione-aggressività è regolato da due meccanismi:
• spostamento (emotivo) e ridirezione (comportamentale):
◦ se la fonte della frustrazione non è individuabile o è troppo potente per aggredirla, viene cercato
un bersaglio più debole (spostamento) su cui si scarica la rabbia (ridirezione) a volte anche su se
stessi.
•
•
•
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MODELLO FRUSTRAZIONE-AGGRESSIONE
accumulo di energia
emozione
Comportamento
Aggressione
verso altri
diretta verso la fonte
spostata verso bersagli facili
frustrazione
rabbia istigazione ad
aggredire
Aggressione verso se stessi
(suicidio)
•
•
•
•
A conferma di questa teoria sono stati fatti molti esperimenti soprattutto con la macchina che dà scosse
elettriche (elettroshock).
L'esperimento di Milgram sull'obbedienza distruttiva, in cui bisognava dare scosse ad una persona, misurava
l'aggressività in base all'intensità degli shock inflitti e la resistenza dell'individuo a continuare l'esperimento.
È stato visto che se i soggetti venivano insultati, quindi messi in stato di frustrazione, infliggevano più shock e
più a lungo.
Miller e Bugelsky hanno costretto dei soldati a fare dei test durante le ore di libera uscita, dando giudizi su
messicani e giapponesi. Questi erano più negativi di quanto non avessero espresso in un test precedente in
cui non erano frustrati. (frustrazione per mancanza di lavoro e immigrati?)
•
EVENTI NEGATIVI E AGGRESSIVITÀ
• Berkowitz critica la teoria di Dollard, perché dimostra che non solo la rabbia porta all'aggressione,
ma qualsiasi sentimento negativo:
• il dolore, la paura, l'irritazione. Ma anche l'eccessivo freddo o caldo, (in Texsas il più alto
numero di delitti si è riscontrato quando la temperatura superava i 32 gradi), odori cattivi,
sovraffollamento, rumori molto forti, inquinamento atmosferico sono sensazioni negative
che possono innescare la violenza.
• Come già detto invece Zillmann (teoria attivazione-dislocazione) dice che qualsiasi stato di
eccitazione, non per forza negativo, può portare alla violenza:
• l'eccitazione preesistente si somma a quella causata dalla provocazione (o percepita tale)
aumentando l'aggressività
• tutte le forme di eccitazione si sommano e alimentano tra loro: eccitazione sessuale
amplifica rabbia, rabbia amplifica eccitazione sessuale.
•
Singer e Schatcher fanno degli esperimenti che mostrano che non sempre ad uno stato di attivazione segue
un'emozione, dipende da come interpretiamo il nostro eccitamento.
• Esperimento: ad alcuni era stato detto che gli era stato somministrato un farmaco che
amplificava le emozioni. Alle provocazioni non rispondevano perché sapevano che la loro
tensione era dovuta al farmaco. Ad altri era stato detto che il farmaco non aveva
controindicazioni, e alle provocazioni avevano risposto con aggressività.
• Se una persona riesce a capire a spiegarsi il motivo del suo arousal, non aumenta
l'aggressività; se non sa spiegarselo invece, aumenta.
• Infine, si ha una risposta violenta se l'atteggiamento subito viene percepito come intenzionalmente
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aggressivo (processi di attribuzione di intenzioni) e a cui si risponde.
•
I FATTORI SOCIOCULTURALI.
Le azioni violente come tutte le azioni sociali sono anche frutto di una dialettica tra predisposizioni
interne e fattori sociali, che possono ridurne o ampliare la portata.
Accumulo di energia, istinti innati, frustrazioni, stati negativi, di arousal, apprendimento e acquisizione,
sono tutti fattori interni all'individuo.
• Un'azione è vista come aggressiva se è considerata illegittima se infrange le norme sociali. Quindi il
comportamento aggressivo è frutto dell'interpretazione.
• Alcune norme sociali possono giustificare o promuovere azioni aggressive:
• norma della reciprocità: se si è violenti per vendetta perché si è subita una violenza la
persona si sente giustificata.
• Norma dell'accettabilità della violenza se commessa da maschi, soprattutto se
perpetrata contro le donne. Un capo di stato che dichiara guerra, è elogiato. La stessa norma
giustifica uno stupro puntando sull'abbigliamento della vittima.
• Norma della privacy familiare: accettabili violenze in casa perché chi è estraneo non ha
diritto di intromettersi.
• Norma della violenza controllata all'interno del gruppo ma accettata se il bersaglio è
un altro gruppo. (giustifica violenze per stereotipi e pregiudizi)
• norma che giustifica il non rispetto delle regole se si è in gruppi ampi (folla). Tanto più
i gruppi sono numerosi tanto più efferate sono le violenze (Zimbardo)
• norma emergente: teoria secondo cui non è tanto il non rispetto delle regole, ma
l'emergere di regole sociali nuove all'interno di un gruppo, a portare al compimento di
violenze.
APPROCCIO EVOLUZIONISTICO E SCUOLA INGLESE DELL'ETOLOGIA
Nikko Tinbergen e la scuola inglese di etologia, rifiuta il determinismo di Lorenz e anche se parte da
predisposizioni innate dell'aggressività, pone l'enfasi sul ruolo che svolge l'ambiente.
• Il comportamento è frutto dell'interazione organismo-ambiente:
• la selezione naturale ha distillato in milioni di anni, tendenze funzionali alla sopravvivenza e al successo
riproduttivo.
• Queste tendenze si possono sviluppare in comportamenti solo in base all'influenza degli stimoli ambientali,
alle esperienze personali vissute.
• È il modello cibernetico che presuppone l'attivazione di comportamenti a base innata, solo a seguito di
processi di elaborazione delle informazioni provenienti dall'esterno.
• Il livello di complessità del cervello umano fa si che il comportamento, e quindi le risposte all'ambiente sia
estremamente flessibile.
• Abbiamo propensioni innate sia ad essere aggressivi che altruisti, ma dalle nostre esperienze dipenderanno le
risposte che daremo.
•
Per la teoria dell'attaccamento di Bowlby, sono le rappresentazioni mentali di sé, degli altri e quindi
dell'ambiente che fungono da modelli interni operativi (Internal Working Models) a determinare il nostro
comportamento. Si formano in base al tipo di relazione avuta con la figura di attaccamento.
Modelli mentali ed elaborazione delle informazioni
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Ai fini della sopravvivenza ai primordi della specie era vitale avere una figura di attaccamento pronta a
difenderci in caso di paura e pericolo. Il bisogno di essere protetto e aiutato è la condizione necessaria perché il piccolo
diventi un adulto autonomo e ben adattato socialmente.
• Un attaccamento di tipo sicuro, sviluppa un'immagine di sé amabile, degli altri come pronti ad
aiutare in caso di pericolo, della realtà come sicura. Si sviluppa la capacità di decodificare
efficacemente i segnali degli altri e si risponde con aggressività solo in caso di effettivo bisogno
• esperienze di rifiuto o mancanza della figura di attaccamento (attaccamento insicuro e ansioso)
porta a rappresentazioni di se come non amabile, degli altri come non disposti ad aiutare, la realtà
come pericolosa. Porta a decodificare i messaggi dall'esterno in modo distorto e ad attribuire
intenzioni ostili anche quando non esistono e a rispondere con la violenza.
• Quindi l'aggressività non è dovuta allo scaricarsi di energie accumulate, ma di filtri mentali che
inconsciamente vengono usati per elaborare le informazioni provenienti dall'esterno, che se distorti,
distorcono anche la realtà.
RAPPORTO TRA AGGRESSIVITÀ INDIVIDUALE E AGGRESSIVITÀ DELLA SOCIETÀ.
•
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Gli esseri umani sono predisposti a vivere in gruppi sociali che facciano da contesto protettivo, che
rassicurino.
Perciò hanno tendenze innate a pacificare, riconciliare, rassicurare (scambio di doni, complimenti,
sorrisi...). Mantenere il gruppo coeso è funzionale alla sopravvivenza.
Se per qualsiasi motivo gli individui non possono o non hanno il tempo per scambiarsi questi
segnali, il gruppo perde coesione.
Se il contesto sociale offre poche risorse, gli scambi sociali sono sempre più competitivi,
distruggendo il sistema sociale.
Si innescano in contesti sociali troppo competitivi, delle vere patologie dei sistemi sociali. Certe
strategie aggressive potrebbero essere colpa non dell'odio, ma dell'assenza di empatia, alla non
conoscenza dell'altro e all'impossibilità di prendere il suo punto di vista (conflitti interetnici).
Non in tutte le persone ambienti sociali competitivi scatenano aggressività.
Dipende dai modelli mentali che si ha. Ma in una società competitiva è più probabile che gli adulti
siano impegnati nella competizione per prestare l'attenzione necessaria ai figli, creando le condizioni
per rappresentazioni di sé e degli altri distorta, gettando le basi per comportamenti aggressivi.
L'aggressività che si riscontra nei bambini che guardano molta tv potrebbe essere ricondotta
semplicemente ad una mancanza di cure e trascuratezza dei genitori, più che il solo osservare scene
violente.
Estrema povertà, o ricchezza, forte competitività sociale, sono situazioni di rischio per condotte
antisociali e violente.
L'aggressività è spesso riconducibile all'incapacità di prendere il punto di vista dell'altro.
Tutto questo può essere sommato a tutte quelle condizioni viste nelle altre teorie, cioè frustrazioni,
magari dovute a disoccupazione, condizioni svantaggiate, arousal, temperature calde, genitori
assenti, troppa televisione, diventino un mix che faccia esplodere la violenza.
Un sistema sociale che non rispecchi le condizioni per le quali ci siamo evoluti, porta a sollecitare
l'aggressività.
LE MOTIVAZIONI ALLA BASE DELL’AGGRESSIVITÀ
Ci sono varie forme di aggressività e varie motivazioni alla base.
Hinde e Attili hanno evidenziato 2 tendenze principali:
• Ad essere ASSERTIVI (assertività specifica)
41
•
Ad essere VIOLENTI (aggressività per sé)
Tipi diversi di aggressività sono riconducibili a diversi sistemi neuronali e ormonali, così da spiegare perché sono
presenti in alcuni individui ed in altri no.
•
AGGRESSIVITÀ STRUMENTALE (assertività specifica): aggredire per un guadagno, per impossessarsi di
un oggetto, per una ricompensa (scippo; calunnia su un rivale). È un comportamento aggressivo fatto a
freddo, calcolato. MOTIVAZIONE: affermare se stessi o il gruppo raggiungendo uno scopo.
•
AGGRESSIONE OSTILE (aggressività per sé): aggredire per danneggiare o far male o ferire l’altro. Sembra
non essere scatenata da nessuna provocazione della vittima. MOTIVAZIONE personale generale ad essere
violenti. Può essere mesa in atto quando si vuole attrarre l’attenzione magari perché si è stati trascurati
durante l’infanzia, come compensazione.
•
VIOLENZA EMOTIVA (aggressività per sé): esplode a caldo a causa di rabbia. Caratterizza le relazioni
intime. MOTIVAZIONE simile all’aggressione ostile, per una inclinazione ad essere aggressivi più che
assertivi. Entrambe sembrano esulare da calcoli di costi e benefici e non sembrano sensibili a eventuali
punizioni
•
VIOLENZA DIFENSIVA O RITORSIONE (aggressività per sé): è scatenata dalla percezione (reale o
distorta) di una provocazione o ostilità da parte dell’altro. MOTIVAZIONE: aggressività come personalità e
disturbi psicopatologici (attaccamento insicuro).
•
VIOLENZA CRIMINALE (aggressività per sé): atti delinquenziali commessi all’interno di altri crimini,
come un omicidio mentre si fa un furto. Si può ricondurre alla paura
•
VIOLENZA DISSOCIALE (assertività specifica): violenza attuata per cercare l’approvazione del gruppo.
(Mafia).
•
VIOLENZA BIZZARRA: crimini psicopatici.
Manning fece degli studi sull’aggressività nei bambini ha notato che se mettono in atto aggressività strumentale o
specifica, spesso i bambini si rattristano e si pentono se la vittima si mette a piangere. Chi invece mette in atto
aggressività per sé, con lo scopo di tormentare l'altro, non si fermano anche davanti alle lacrime.
AGGRESSIVITÀ NEGLI ANIMALI
•
AGGRESSIVITÀ PREDATORIA: assenza di segnali di minaccia e perpetrata in silenzio. (leone che fa un
agguato ad una preda). È presente sia nei maschi che nelle femmine. Si attacca un bersaglio specifico, scelto
come più adeguato.
•
AGGRESSIVITÀ IRRITATIVA: gli animali attaccano perché in stato di rabbia o dolore o di paura perché
minacciati, quindi su spinta emotiva. Si può attaccare qualsiasi bersaglio. È presente sia nei maschi che nelle
femmine.
•
AGGRESSIVITÀ DIFENSIVA: simile alla irritativa, ma prima di contrattaccare emette varie risposte: può
42
fuggire o attuare la fuga bloccata (rimanere immobile) o segnali di sottomissione. È presente sia nei maschi
che nelle femmine.
•
AGGRESSIVITÀ TRA MASCHI: i maschi combattono tra loro per diventare dominanti e avere accesso
alle femmine e quindi successo riproduttivo. Molto intensa ma poco letale, si emettono suoni e posture di
minaccia, (aggressività intraspecifica) al contrario dell’aggressività predatoria (interspecifica). Collegata al
testosterone. Principalmente dei maschi ma non solo.
•
AGGRESSIVITÀ DA STIMOLI SESSUALI: come sopra elicitata dal testosterone, atteggiamenti simili,
solo esibiti in fase di corteggiamento. Alti tassi di testosterone sia negli animali che negli esseri umani porta ad
un aumento dell’aggressività e del desiderio sessuale, anche nelle femmine. Quindi aggressività ed
eccitamento sessuali potrebbero essere collegati.
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AGGRESSIVITÀ MATERNA: presente ovviamente nelle femmine, dovuto allo stato ormonale post parto.
L’aggressività predatoria che caratterizza la lotta tra specie diverse, con esito mortale, ha qualcosa in comune con le
lotte tra gruppi o inter-etniche. (non è sensibile ai segnali di sottomissione. Pseudo-speciazione culturale – EiblEibesfeld) e con l’aggressione ostile (Manning). L’out-group viene de-umanizzato la violenza non si ferma fino alla
morte, neanche davanti al dolore della vittima, forse per l’incapacità di vedere l’altro come essere umano. È associabile
anche all’aggressione tra maschi perché è infatti più presente nei maschi che nelle femmine e più diretta verso altri
maschi.
I maschi umani sembrano essere più aggressivi delle femmine ed utilizzano di più l’aggressività fisica
Le femmine usano più aggressività strumentale per cercare di ottenere risorse per la propria famiglia.
CAP. 9
L'ALTRUISMO
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I teorici dell'apprendimento sociale sostengono che i bambini imparano ad essere prosociali attraverso il
sistema di rinforzi, positivi e negativi, e attraverso il modeling, e l'imitazione. Vedere persone che
aiutano gli altri porta a fare lo stesso.
Una volta appreso, il comportamento prosociale diventa un valore interiorizzato, non c'è più bisogno di
rinforzi esterni, ma ci si comporta così perché lo si sente dall'interno.
Alcuni rinforzi funzionano meglio degli altri: se si apprezza un bambino per ciò che è (bravo, hai aiutato, sei
uno che aiuta gli altri) è meglio che se lo si elogia per quello che fa (bravo, hai dato i tuoi giocattoli ai bambini
poveri).
APPROCCIO EVOLUZIONISTICO
• l'altruismo non è solo frutto dell'apprendimento ma siamo portati geneticamente a prenderci cura di chi ha le
nostre stesse caratteristiche genetiche e che siano in grado di propagarle.
Il gene egoista (Dawkins)
• L'investimento parentale, un egoismo genetico frutto della selezione parentale è una forza che ci spinge ad
aiutare e sacrificarci per la nostra famiglia. Si può arrivare a dare la propria vita se questo garantisce la
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sopravvivenza dei figli, fratelli cugini, con cui condividiamo parte del patrimoni genetico.
Non è qualcosa che calcoliamo, lo facciamo e basta.
Perché allora aiutiamo gli sconosciuti?
Tendiamo ad aiutare chi è più simile a noi, perché ha qualcosa in comune con noi (pelle chiara/scura, occhi
neri/blu, capelli ricci/lisci).
Ai primordi della specie, vivendo in gruppi piccoli, chi aiutava sapeva che sarebbe stato ricambiato. Non a
caso il disprezzo per chi tradisce, non contraccambia, è universale.
Se chi aiutava moriva, la sua famiglia avrebbe ricevuto aiuto in cambio.
È qualcosa rimasto nei geni, che può spiegare perché ci si getta nel fuoco per salvare qualcuno.
È provato però che nei piccoli centri e piccoli gruppi di lavoro la solidarietà è più forte.
La teoria evoluzionistica prevede che siamo più propensi ad aiutare nell'ordine:
◦ i figli piuttosto che altri della famiglia
◦ i figli più piccoli piuttosto che i grandi
◦ i fratelli meglio se giovani piuttosto che i cugini
◦ i parenti piuttosto che gli amici
◦ gli amici e chi ci somiglia di più piuttosto che estranei
◦ il proprio gruppo piuttosto che altri
Wilson dice che la selezione parentale è la nemica della civilizzazione perché permette solo una limitata
globalizzazione.
L’ALTRUISMO
Possiamo parlare di altruismo quando c’è un’intenzione di aiutare gli altri, per libera scelta e non per obblighi
professionali e senza attesa di ricevere vantaggi. La sola motivazione è aiutare gli altri (un medico che cura in ospedale
non è altruista).
Si parla di comportamento prosociale quando si ha intenzione di aiutare ma non si sa quale sia la motivazione. Si può
aiutare per ottenere vantaggi o evitare punizioni, quindi le motivazione sono egoistiche.
Se si è davanti alla possibilità di aiutare, la decisione sarà presa in base ad un calcolo di costi e benefici
(PROSPETTIVA DECISIONALE). La decisione è frutto di:
• percezione del bisogno dell’altro
• considerazione della responsabilità ad agire (spetta a me aiutare?)
• costi e benefici (vale la pena aiutare?)
• cosa fare (posso aiutare?)
Se si arriva a prendere una decisione positiva, ci possono essere varie motivazioni, a parte quella di ottenere un
vantaggio, ci può essere uno stress personale a vedere il dolore degli altri (motivazione egoistica) e può anche portare
a fuggire invece di aiutare, o per un senso di partecipazione e preoccupazione per la sofferenza altrui (empatia) una
vera motivazione altruistica.
Anche la situazione influisce l’aiutare o no.
• EFFETTO ASTANTI: sentire che è propria responsabilità intervenire (tocca a me aiutare?) sarà influenzato
dalla presenza o meno di altre persone. La presenza di altri inibisce la risposta di aiuto a causa della diffusione
di responsabilità: ognuno è portato a credere che l’aiuto può venire da altri o che qualcuno ha già fatto
qualcosa. Inotre, se vedee che nessuno fa niente in una situazione ambigua (una persona a erra) si pensa che
forse ci si sta sbagliando, e si ha apprensione per il poter essere giudicati se si interviene in modo negativo o
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fare cose sbagliate.
Se si è soli, è chiaramente nostra responsabilità intervenire.
Si interviene anche se ci viene chiesto direttamente.
Ci sono delle NORME SOCIALI che ci fanno sentire responsabili e ci spingono ad agire per non essere disapprovati.
(norma della responsabilità civile). La norma della reciprocità ci impone di aiutare chi aiuta noi.
La norma della giustizia sociale prevede che ci sia un’equità della distribuzione delle risorse. Gli aiuti umanitari sembra
siano motivati da questo bisogno di equità.
CHI RICEVE AIUTO?
Si tende a prestare soccorso a :
• famigliari
• amici
• conoscenti
• chi ci somiglia
• se proviamo empatia
• se abbiamo obblighi sociali
In generale se un uomo è il soccorritore, ricevono più aiuto le donne.
Aiutiamo chi pensiamo che merita aiuto. (facciamo l’elemosina a chi pensiamo comprerà cibo per i bimbi e non a chi
ci si comprerà le sigarette).
Tendiamo a fare inferenze sulle cause del bisogno in base alla teoria dell’attribuzione per cui aiutiamo chi non ha il
controllo del suo stato di bisogno: aiutiamo un disoccupato se effettivamente c’è crisi di posti (proviamo empatia) e
non se è disoccupata perché è pigra (proviamo rabbia).
CHI AIUTA?
• Chi sente un forte bisogno di essere approvato aiuta ma solo se può essere visto dagli altri.
• Chi ha una predisposizione a prendersi cura degli altri, tende ad offrirsi volontario.
• Chi ha una capacità al riguardo si sente pronta ad intervenire (se un bambino è in acqua interverrà chi sa
nuotare).
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Si può aiutare per compensare un senso di colpa
Perché ci si sente di buon umore o se si è depressi o di cattivo umore, perché portare aiuto produce un senso
di gratificazione.
Il comportamento prosociale è quindi un insieme di caratteristiche personali e ambientali.
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