Corso 2016-2017: Aristotele, Etica 2

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10/01/2017
Ricapitolando: l’eudaimonia
Storia della filosofia antica
Maddalena Bonelli
a.a. 2016-2017
Aristotele: etica 2
L’eudaimonia:
In 1098a7-18 (libro I di E.N.) Aristotele fornisce
una definizione di ‘bene umano’, coincidente
con l’eudaimonia:
Si tratta dell’attività (continuata: una rondine
non fa primavera!) dell’anima secondo ragione e
secondo virtù, cioè nella sua versione eccellente.
Agire secondo ragione
Agire secondo ragione
- Agire secondo ragione:
Sempre nel I libro di E.N (1098a4-6), abbiamo visto
che agire secondo ragione si dice in due modi:
1) Agire obbedendo alla ragione:
In questo caso Aristotele parla della ‘parte’
irrazionale e desiderante (orektikon) dell’anima
(quella fatta da passioni, desideri, impulsi) che
obbedisce alla ragione (che si rivelerà essere la
phronesis, cioè la saggezza pratica).
2) Nel secondo significato, agire secondo ragione
significa esercitare la ragione che possediamo.
Qui Aristotele si riferisce ad attività
esclusivamente legate all’anima razionale
(teoretica e calcolatrice).
Le virtù
Il genere della virtù
Sulla base della distinzione dei due tipi di attività
secondo ragione, Aristotele presenta una
distinzione tra due tipi di virtù (E.N.II, 1103a1-18):
1) Le virtù etiche, o morali, o del carattere, come
generosità e temperanza, che si acquisiscono
tramite l’abitudine (ethos, con l’epsilon):
2) Le virtù dianoetiche, o intellettuali, come
sapienza e saggezza, che si acquisiscono tramite
insegnamento (didaskalia)
Nel secondo libro di E.N. (capitolo 5) Aristotele si
chiede cosa sia la virtù in generale. Procedendo
per esclusione, Aristotele stabilisce che essa,
non essendo né una affezione né una capacità, è
piuttosto una exis, uno stato abituale. Si tratta di
uno stato psichico che ci fa avere
comportamenti corretti (o non corretti) in
rapporto alle passioni (1105b25-1106a13).
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Caratterizzazione della virtù etica: il
giusto mezzo
La virtù viene definita come giusto mezzo in
relazione ad azioni e affezioni (o passioni).
Più precisamente, in 1106a36-1107a2 Aristotele
definisce la virtù etica come uno stato
decisionale (II, 6, 1106b36, p. 501 Fermani: exis
proairetiké), che consiste in una medietà tra due
mali (eccesso-difetto) determinata saggiamente,
cioè razionalmente (1107a1, p. 501 F.).
Le virtù etiche (E.N. II, 7)
Aristotele rende concreta la definizione di virtù
etica applicandola alle virtù individuali.
Il suo scopo è duplice:
i) innanzitutto vuole dimostrare che la
definizione generale di virtù si applica a tutti i
casi particolari, cioè alle varie specie di virtù;
Le virtù etiche (E.N. II, 7)
Le virtù etiche
ii) inoltre Aristotele vuole formare l’uomo
virtuoso.
In questo modo, egli fornisce una lista di virtù
particolari, accompagnati da modelli di uomini
virtuosi da imitare, proprio per mostrare agli
uomini come essere virtuosi (così da realizzare la
propria natura in modo eccellente).
I libri di EN rivolti alle virtù etiche sono il libro II
(cap. 5: definizione generale delle virtù; cap. 7:
lista delle virtù particolari); i libri III, 8-IV, 9, che
analizzano in dettaglio le virtù particolari; il libro
V, che analizza la virtù etica della giustizia e delle
sue specie. Il libro VIII che parla dell’amicizia,
considerata una virtù.
E.N. II, 7, 1107a33-1108b7
Qualche esempio
La lista delle virtù (EN II, 7, 1107a33-1108b7) è
la seguente:
1) Coraggio- 2) temperanza- 3) generosità- 4)
magnificenza- 5) fierezza- 6) mitezza- 7)
sincerità- 8) arguzia- 9) amabilità- 10) pudore11) sdegno.
Vediamo qualche esempio, per altro già visto
(1107a33-1107b10, p. 505 Fermani):
«Quindi, riguardo alle forme…difetta nello
spendere».
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Qualche esempio
Qualche esempio
1) coraggio (andreia): le passioni in gioco sono la
paura e l’ardimento;
- il giusto mezzo è il coraggio;
- estremi:
i) eccesso: temerarietà (difetto di paura; eccesso
nell’ardire) ;
ii) difetto: viltà (eccesso di paura; difetto
dell’ardire).
2) temperanza (sophrosyne): le passioni in gioco
sono piacere e dolore;
- il giusto mezzo è la temperanza;
- estremi:
i) eccesso: intemperanza (incapacità di
dominarsi);
ii) difetto: insensibilità (difetto di sensibilità ai
piaceri e ai dolori).
Qualche esempio
La lista delle virtù
3) generosità (eleutheriotes): in questo caso sono in
gioco azioni, dare ed avere ricchezze (caso di piccole
somme).
Giusto mezzo: generosità;
estremi:
i) eccesso: prodigalità (dare troppo, ricevere poco);
ii) difetto: avarizia (dare troppo poco; cercare di
ricevere troppo).
Ecc.
La lista delle virtù
La lista delle virtù e le relative spiegazioni hanno
lo scopo di mostrare che la definizione di virtù
come giusto mezzo si applica ai casi di virtù
particolari.
Questo però non significa che Aristotele metta
in scena una sorta di mediocrità, come Kant
accuserà. Al contrario, la virtù per Aristotele è
una sommità, dal punto di vista dell’eccellenza
del bene.
Nel seguito di E.N. Aristotele presenta degli
approfondimenti su queste virtù: coraggio e
temperanza saranno trattati nel III libro, le altre
virtù nel IV.
La virtù come giusto mezzo:
giustificazione
Per giustificare la definizione, e quindi la natura,
della virtù etica, Aristotele fa una comparazione
tra opere della natura e dell’arte (E.N. II, 6,
1106b5-18).
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La virtù come giusto mezzo:
giustificazione
La virtù come giusto mezzo:
giustificazione
Esse sono eccellenti quando evitano gli eccessi e
realizzano una giusta proporzione di elementi
disparati e contrari: gli elementi fondamentali –
terra, aria, acqua, fuoco (che hanno proprietà
contrarie) nei composti naturali; gli umori nella
buona salute del corpo; le proporzioni nelle
opere d’arte.
Allo stesso modo, le passioni presentano
l’eccesso e il difetto, il più e il meno, ed esiste
una sorta di continuo tra una qualità e un difetto
opposto, come la temerarietà e la viltà, e gli altri
estremi che abbiamo visto.
Le virtù etiche
Come si diviene virtuoso?
Le virtù etiche costituiscono il luogo della
conciliazione tra l’anima razionale e l’anima
desiderativa dell’uomo, per una realizzazione
dell’uomo nell’universo sociale.
Come si diviene virtuoso?
Secondo Aristotele (almeno, nell’Etica
nicomachea, perché nell’Etica eudemia non c’è
tutta questa enfasi sull’abitudine e l’esercizio):
si può acquisire la virtù solo grazie all’abitudine
alla condotta virtuosa. Quindi, si diventa giusti
abituandosi a compiere azioni giuste, si diventa
coraggiosi abituandosi a comportarsi in modo
coraggioso, ecc.
Ma come si diviene giusti, temperanti, coraggiosi,
ecc.?
Certamente non attraverso l’insegnamento teorico
che si riceve alla scuola di Aristotele, visto che
l’insegnamento serve solo alla trasmissione di un
sapere. D’altra parte, non si nasce naturalmente
virtuosi; la natura fornisce al limite una
predisposizione alla virtù, che si può però acquisire
solo con un impegno individuale.
Come si diviene virtuoso?
L’antico problema socratico e platonico
dell’insegnabilità della virtù (vedi ad esempio
Menone) trova in E.N. la sua soluzione:
Aristotele presenta la teoria di una formazione
morale che si realizza attraverso un’abitudine
fino a produrre nel soggetto una seconda
natura.
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Come si diviene virtuoso?
Come si diviene virtuoso?
Affinché questo sia possibile, questa formazione
morale dev’essere precoce: è importante che
l’abitudine morale venga acquisita fin dalla
giovinezza (vedi 1103b24 ss). Bisognerà fin
dall’inizio condizionare l’orexis, cioè il desiderio,
perché possa seguire la ragione. Gli agenti di
questo processo di condizionamento sono prima
di tutto il padre, poi il milieu sociale, infine la
polis.
Ma ovviamente non ci si può limitare a obbedire
(con un comportamento meccanico) al padre o
alle leggi della polis per diventare virtuoso;
bisognerà anche divenire consapevoli di questi
comportamenti, e sviluppare una exis, uno stato
cosciente e razionale per esercitare il
comportamento virtuoso.
Riassumendo…
Riassumendo…
i) la virtù etica ha un ruolo centrale in E.N.
poiché essa è la modalità perfetta
dell’attività dell’anima; tale modalità è
necessaria per raggiungere il nostro scopo
morale, la felicità, l’eudaimonia;
ii) la sfera di azione della virtù etica è il sostrato
non razionale dell’anima, in cui si generano i
desideri e le tendenze. Il materiale psicologico
su cui la virtù lavora per condizionarlo è
costituito da quell’universo complesso di ciò che
in greco si chiamano pathe, passioni; passioni
che, a loro volta, sono caratterizzate da una
coppia di esperienze elementari; piacere e
dolore.
Riassumendo…
Riassumendo…
In generale si può dire che per Aristotele la
condizione della persona cattiva deriva da due cose:
a) compiere azioni cattive per il desiderio del
piacere;
b) evitare le buone azioni per la paura del dolore.
In effetti, nella sua forma elementare, il vizio (kakia)
risiede nella subordinazione al piacere (che bisogna
possedere tutto il tempo) e al dolore (che bisogna
evitare tutto il tempo).
In compenso, la virtù risiede nel controllo corretto
di queste esperienze primarie.
In generale si può dire che per Aristotele la
condizione della persona cattiva deriva da due cose:
a) compiere azioni cattive per il desiderio del
piacere;
b) evitare le buone azioni per la paura del dolore.
In effetti, nella sua forma elementare, il vizio (kakia)
risiede nella subordinazione al piacere (che bisogna
possedere tutto il tempo) e al dolore (che bisogna
evitare tutto il tempo).
In compenso, la virtù risiede nel controllo corretto
di queste esperienze primarie.
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Le passioni
Le passioni
Sulla base della lista delle virtù analizzata, possiamo
anche estrarre la lista (probabilmente non
sistematica né esaustiva) delle affezioni o passioni.
Essa è, come abbiamo visto, fornita un po’ alla
rinfusa in EN II, 4, 1105b20ss, quando Aristotele
cerca di spiegare che cos’è la virtù (passione,
capacità o stato):
desiderio, ira, paura, ardimento, invidia, gioia,
affetto, odio, brama, gelosia, pietà “e in generale
tutto ciò cui fa seguito piacere e dolore” (righe 2526).
Di fronte a questo insieme emozionale,
Aristotele non prende l’atteggiamento platonico
(né quello che sarà stoico) di ritenere che le
passioni costituiscano il male morale. Piuttosto,
egli crede che le passioni costituiscano delle
reazioni naturali (cioè, psicologicamente
spontanee) all’ambiente circostante, cioè alle
situazioni proposte dalla rete dei rapporti
interpersonali e sociali.
Virtù e passioni
Virtù e passioni
Si tratta delle reazioni dell’orexis, della parte
desiderativa dell’anima, cioè della funzione
psichica non razionale, che però non è negativa,
piuttosto moralmente neutra.
Il problema della virtù non è quindi quello di una
negazione del ‘materiale psichico’ delle passioni
(vedi EN II, 2, 1104b24: Aristotele dice che le
virtù sono definite anche come un certo tipo di
impassibilità, ma tale definizione è sbagliata),
ma quello del suo buon uso: bisognerà
dominare le passioni nel momento adatto,
riguardo alle cose adatte e in relazione alla
gente adatta, nel modo adatto e per il fine
adatto.
Saggezza e sapienza
Saggezza e sapienza
L’analisi della saggezza pratica (phronesis)
costituisce uno dei contributi più importanti di
Aristotele all’etica. Con questa analisi e,
potremmo dire, con l’invenzione della saggezza
pratica, Aristotele supera l’intellettualismo
socratico che aveva influenzato Platone, e
impone una distinzione netta tra la sapienza
teorica (sophia) e la saggezza pratica (phronesis).
Il sapere teorico funziona in modo del tutto
indipendente dalle emozioni, con la sua logica
basata su induzione e dimostrazione, e non ha
alcuna influenza sull’azione.
In compenso, il sapere pratico, la phronesis, è un
miscuglio di intelligenza (ragione) e desiderio, ed
è lui che determina l’azione.
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Saggezza e sapienza
La phronesis
Grazie alla phronesis l’universo delle emozioni e
passioni umane ottiene una razionalizzazione e
può essere così oggetto di ricerca per il filosofo
morale.
Aristotele introduce la sua analisi della saggezza
pratica dopo aver trattato dell’orexis, la ‘parte’
desiderativa dell’anima, e le virtù etiche.
In effetti, abbiamo già visto che la virtù è un
giusto mezzo determinato in modo razionale; e
all’inizio del libro VI, libro in cui Aristotele
comincia l’analisi delle virtù dianoetiche, cioè di
quelle della funzione intellettuale dell’anima,
Aristotele si collega direttamente alla questione
del giusto mezzo.
Ancora il giusto mezzo
Ancora il giusto mezzo
1138b16-35 (p. 685 Fermani) “Siccome…ne è la
definizione”.
Ecco ciò che dice il passaggio:
1) abbiamo definito la virtù etica come scelta del
giusto mezzo determinato dalla retta ragione
(orthos logos). Bisogna quindi determinare che
cosa essa sia;
2) gli stati dell’anima, e qui Aristotele limita il
discorso agli stati virtuosi, mirano:
- ad un certo scopo che l’uomo dotato di ragione
persegue;
- alla determinazione di alcuni mezzi che si
trovano tra l’eccesso e il difetto, proprio a causa
del fatto che essi sono determinati dalla retta
ragione.
La retta ragione
La retta ragione
Ora, poiché la retta ragione ha la funzione di
condurre l’uomo ragionevole a dei buoni scopi, e
quella di determinare i mezzi tra l’eccesso e il
difetto (proprio le virtù che, come abbiamo visto,
sono dei mezzi per l’azione), allora si rivela
necessario
(i) mostrare la verità di ciò che si è appena detto;
(ii) definire la retta ragione e mostrare in che modo
essa si manifesti (cioè, per mezzo di che e in
funzione di che cosa essa si realizzi).
(i) La retta ragione, o ragionamento corretto
(orthos logos) che sceglie il giusto mezzo è il
ragionamento dato dalla saggezza pratica
(phronesis) che è una delle virtù dianoetiche o
intellettuali.
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La retta ragione
Essa è precisamente l’eccellenza (secondo il
senso di “virtù” visto) della funzione calcolatrice
(loghistikon) dell’anima, la parte che ha a che
fare con le cose che dipendono da noi.
Una nuova distinzione
E’ da notare che Aristotele, all’inizio del VI libro
(1138b35-1139a15), ripropone nuovamente la
distinzione tra virtù etiche e virtù dianoetiche
vista in precedenza. Essa, però, si basa su una
nuova distinzione dell’anima razionale.
La phronesis
E’ questa ‘parte’ che dirige le scelte, che
“produce” il desiderio corretto, e di
conseguenza i fini buoni, così come i mezzi per
agire in vista di questi fini buoni.
La phronesis è la capacità di deliberare bene in
rapporto a ciò che è buono per colui che
delibera (VI, 5, 1140a25-28, p. 695 Fermani:
«Sembra, quindi…vita buona in generale»).
Le due funzioni dell’anima razionale
Da una parte abbiamo 1) l’anima irrazionale,
dominata dalla ragione, da cui dipendono le
virtù etiche;
dall’altra abbiamo 2) l’anima razionale, a sua
volta divisibile tra 2a) quella che contempla le
verità eterne e necessarie (la parte scientifica,
che concerne le cose che non dipendono da noi)
e 2b) quella che considera le cose che possono
essere diverse da quello che sono.
La saggezza pratica
La saggezza pratica
Quest’ultima è ciò che calcola (loghistikon) e che
delibera, cioè la saggezza pratica che riguarda le
cose che dipendono da noi (e che in questo
senso potrebbero anche essere diverse da
quello che sono, perché io posso decidere di
fare una cosa, ma anche di non farla). L’anima
scientifica e quella calcolatrice, cioè sapienza e
saggezza, costituiscono le virtù dianoetiche.
Ciò che è stato considerato quasi scandaloso da
parte di alcuni filosofi etici contemporanei è
l’affermazione, ripetuta a più riprese da
Aristotele, secondo cui la saggezza pratica non si
occupa dei fini dell’azione umana, ma solo di
come realizzare tali fini, cioè dei mezzi:
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La saggezza pratica
VI 13, 1144a6-9 (p. 717 Fermani):
«Inoltre…che conducono ad esso»;
1145a4-6 (p. 723 Fermani):
«non vi sarà scelta corretta…di raggiungerlo».
La saggezza pratica
In quest’ultima frase il greco è ambiguo e la tesi
che stiamo sostenendo funziona solo se si
identifica il primo ‘l’una’ con la virtù, e ‘l’altra’
con la saggezza. Sarebbe quindi la virtù che
pone il fine e la saggezza che fornisce i mezzi che
realizzano (grazie all’azione) il fine.
La tesi di Aristotele
La tesi di Aristotele
Perché non si accetta la posizione di Aristotele?
Perché nel dibattito contemporaneo si è
manifestata una crisi della ragione teorica e
della ragione tecnica, crisi che ha condotto a
porre l’esigenza di ritrovare una razionalità dei
fini; qualcuno ha voluto trovare nella concezione
aristotelica della phronesis un modello di
ragionamento atto ad analizzare i fini in modo
razionale.
Ciò ha suscitato le critiche di altri filosofi, che
hanno giustamente obiettato che la phronesis
aristotelica non si occupa dei fini. Ma qualcuno
ha cercato comunque di trovare passi che
dimostrano che in fondo la phronesis ha anche il
compito di determinare i fini. Tuttavia, ci sono
passi in cui Aristotele afferma chiaramente che
la phronesis si occupa solo dei mezzi per
realizzare i fini.
Saggezza e sapienza
Saggezza e sapienza
E.N. X, 1178a5-10:
«ciò che per natura…sono umane».
Aristotele in questo passo sembra dire che vi
sono due tipi di eudaimonia, corrispondenti a
due tipi di virtù, di cui una è superiore all’altra
(che si trova al secondo posto).
Problemi:
1) Qual è la miglior vita, quella contemplativa o quella
pratica?
Sembrerebbe quella teoretica.
1) Qual è la relazione tra le due?
Dal punto di vista della priorità temporale, si può pensare di
perseguire la felicità politica e sociale per poi approdare alla
vita contemplativa.
Dal punto di vista delle priorità ontologica o di valore, sarà la
sapienza a permettere al sophos di essere anche saggio.
Ma qui si entra nel regno della congettura, perché Aristotele
più di tanto non dice.
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