Aristotele - Etica a Nicomaco È dunque esatto il dire che l`uomo

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Aristotele - Etica a Nicomaco
È dunque esatto il dire che l'uomo diventa giusto col compiere azioni giuste e moderato col compiere azioni moderate:
e senza compiere queste cose nessuno potrà mai giungere a diventar buono. Ma la maggior parte, senza compiere
queste cose, rifugiandosi nel ragionamento crede di filosofare e di diventar così virtuoso, facendo press'a poco come
quei malati che ascoltano attentamente i medici, ma non compiono nessuna delle loro prescrizioni. E così, come quelli
così curandosi non guariranno mai il loro corpo, così costoro col loro filosofare non miglioreranno la loro anima.
[Aristotele, Etica nicomachea, II, 4] Con la "grande etica", il testo di riferimento della filosofia pratica aristotelica, la
conversazione sul bene esce dall'ambito dell'ontologia. Nell'Etica a Nicomaco emerge non tanto una nuova concezione
del bene, quanto una radicale trasformazione dell'atteggiamento filosofico: la ricerca della Virtù esce infatti dall'ambito
della pura contemplazione teoretica e coinvolge quello dell'azione morale. Non è la corretta visione dell'idea quello che
permette all'anima di realizzare la perfetta felicità, così come non basta il rigore dialettico per essere saggi, bensì è
l'esercizio delle proprie facoltà secondo un modello che la vita stessa ci propone nei suoi aspetti più alti, ciò che fa
essere felici, o buoni. La filosofia non esaurisce dunque la sua funzione nell'indicare la giusta via verso la verità, ma è
anche uno stile di vita, un esercizio spirituale, qualcosa che "serve" alla realizzazione della propria naturale umanità. Per
diventare saggi occorre comportarsi "da saggi", e per diventare buoni occorre seguire i giusti modelli che la società ci
offre; dunque, per diventare filosofi occorre vivere "da filosofi". Gli esempi indicano la via, la pratica ci trasforma da
semplici filosofanti in autentici filosofi e da semplici cittadini in buoni cittadini; nulla ci viene che non sia già, in qualche
misura, dentro di noi, nella forma di una potenzialità che richiede di essere riconosciuta nei suoi fini ultimi. Di
conseguenza non esiste un bene uguale per tutti, ma il bene è la misura suprema della conoscenza di sé, la perfetta
aderenza alla propria anima. In quest'ottica, la felicità corrisponde semplicemente all'essere se stessi nella forma
migliore, in quella cioè che possa essere riconosciuta eccellente nel suo genere da chiunque, e che possa di
conseguenza farsi a sua volta modello per altri: Frammenti, Protreptico
Epperò bisogna dire che vive colui che è sveglio piuttosto che non colui che dorme, che vive colui che svolge
un'attività con la sua anima piuttosto che non colui che solamente possiede quest'anima. Per causa del precedente noi
diciamo che anche il successivo vive, perché è tale da agire o da patire nel senso del precedente. Dunque il fare uso di
qualcosa consiste in questo: quando vi sia la capacità di fare una sola cosa, questa si faccia; se invece le cose possibili
sono molte, si faccia quella, tra queste, che è la migliore; come nel caso dell'uso dei flauti, quando uno usa il flauto
nell'unico o nel migliore dei modi: ed è in riferimento a questo che valgono anche gli altri casi. E dunque si deve dire che
fa uso piuttosto colui che fa uso rettamente: giacché a colui che fa uso rettamente ed esattamente sono presenti lo
scopo e la conformità alla natura. Sola e principale attività, tra tutte le altre, dell'anima è il pensare e ragionare. Si
comprende quindi agevolmente, e ciascuno può facilmente dedurlo da quel che si è detto, che vive nel senso più alto
del termine colui che pensa esattamente, e vive in misura maggiore di ogni altro colui che è più di ogni altro nel vero. E
questi è il saggio e colui che contempla secondo la scienza più esatta. E anche il vivere in maniera perfetta deve essere
attribuito a costoro, a coloro cioè che son saggi e a coloro che possono esserlo. [Aristotele, Frammenti, Protreptico, fr.
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Etica a nicomaco
Anzitutto dobbiamo notare che le azioni di cui abbiamo parlato sono soggette a divenir imperfette o per difetto
o per eccesso (per servirci si testimonianze evidenti intorno a questioni oscure), come possiamo vedere a proposito
della forza e della salute: infatti sia gli eccessivi sia gli scarsi esercizi ginnici nuocciono alla forza, parimenti anche il bere
e il mangiare che siano sovrabbondanti o deficienti rovinano la salute, mentre la giusta proporzione la produce,
l'aumenta e la preserva. Così dunque accade anche intorno alla moderazione, al coraggio e alle altre virtù. Infatti chi
fugge e teme ogni cosa e nulla affronta diviene timido, chi invece non teme proprio nulla, ma va contro ogni cosa diviene
temerario; parimenti chi gode di ogni sorta di piacere e non si astiene da nessuno diventa intemperante, chi invece li
rifugge tutti, come i rustici, diviene insensibile; dunque la moderazione e il coraggio vengono rovinati sia dall'eccesso sia
dal difetto, mentre vengono preservati dalla via di mezzo. [Aristotele, Etica nicomachea, II, 2] Il principio del
giusto
mezzo costituisce il punto d'arrivo dell'argomentare aristotelico intorno alle virtù etiche, ossia quei comportamenti che si
fondano sul carattere temperato dalla ragione. Le virtù etiche sono quelle che derivano dall'abitudine (ethos), cioè dai
valori e dai costumi acquisiti nella comunità di cui si è parte. L'esercizio, ovvero la scelta del mezzo adeguato a
raggiungere determinati fini, che deve condurre al perfezionamento di questi comportamenti, è innanzitutto la
temperanza, che è sempre il frutto di un equilibrio tra retto desiderio (senza la spinta del desiderio l'uomo non potrebbe
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mai voler nulla) e retta ragione. «La teoria del giusto mezzo è una teoria dell'equilibrio del carattere e dell'agire: l'uomo
virtuoso per Aristotele è colui che non ha conflitti interni, e non deve vincere se stesso per agire in modo giusto o
generoso. Per questo non solo le azioni, ma soprattutto le emozioni devono avere un carattere mediano, devono essere
una risposta misurata agli stimoli dell'ambiente esterno. La virtù non consiste nell'adeguarsi ad una regola oggettiva e
universale, ma consiste in un certo carattere dell'agente, derivante da un appropriato processo educativo, culminante in
uno stato d'armonia interiore: "Non è quindi una differenza da poco, se fin dalla nascita veniamo abituati in un modo
piuttosto che in un altro, è importantissimo, anzi, è tutto". L'azione eccellente, infatti, è tale non solo per l'oggetto, il cosa
si fa, ma anche per il modo in cui si agisce». [Carlo Natali, in: Guida ad Aristotele, a cura di Enrico Berti, Roma-Bari
Laterza, 2007, pag. 265]
Aristotele e la felicità
Aristotele e la virtù
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In questa unità
Testo: Storia delle idee
Autore: Maurizio Châtel
Curatore: Maurizio Châtel
Metaredazione: Erica Pellizzoni
Editore: BBN
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