Aristotele (384-322 aC): L`Etica

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Aristotele (384-322 a.C.): L’Etica
Differenza fra scienze teoretiche e pratiche
Da un lato ci sono le scienze teoretiche, relative alla conoscenza della realtà, che hanno per oggetto il necessario,
ossia ciò che esiste indipendentemente dall’uomo e dalla sua volontà, ciò che l’uomo non può modificare, ma solo
comprendere; dall’altro lato abbiamo le scienze pratiche, che studiano i principi del comportamento (praxis). In
questo caso non si tratta di realtà già date, oggettive, ma di principi da discutere e scegliere, sulla base del
ragionamento
La felicità come fine
Il fine delle scienze pratiche è la realizzazione della felicità: l’Etica tratta di quella individuale; la Politica di quella
collettiva
Che cos’è la felicità
Per Aristotele, la felicità è un concetto relativo, diverso per i diversi enti, in quanto consiste nella realizzazione
della propria natura. La natura umana si distingue da quella degli altri esseri viventi per la razionalità, e dunque la
felicità per l’uomo, consiste nelle attività che realizzano al massimo grado la sua natura razionale, ovvero
nell’agire secondo ragione (virtù = agire secondo ragione)
Virtù dianoetiche ed etiche
Aristotele distingue due modi di realizzare la propria natura razionale, a cui corrispondono due livelli di felicità e
due tipi di virtù: 1) La massima realizzazione dell’uomo consiste nelle virtù dianoetiche (diànoia = conoscenza
razionale), legate alla ragione e al pensiero. Solo pochi riescono a raggiungerle. 2) Il livello inferiore, invece,
consiste nelle virtù etiche, che tutti possono raggiungere, legate al «costume» (éthos), cioè al controllo delle
passioni mediante la ragione
Le virtù etiche
Per Platone le passioni, legate al corpo, sono di per sé negative: l’anima deve combatterle e liberarsene
(purificazione). Aristotele, invece, non reputa negative le passioni, purché disciplinate e controllate dalla
ragione
Le virtù etiche (la virtù come medietà)
Le passioni sono negative quando si traducono in eccessi, tuttavia il controllo della ragione garantisce la giusta
misura (medietà), che permette di evitare tali eccessi. La virtù è il giusto mezzo tra due eccessi opposti.
Coraggio: giusto mezzo fra viltà e temerarietà; Temperanza: giusto mezzo tra intemperanza e insensibilità;
Generosità: giusto mezzo fra avarizia e prodigalità; Magnificenza: giusto mezzo fra volgarità e grettezza d'animo;
Magnanimità: giusto mezzo tra la vanità e l'umiltà; Mitezza: giusto mezzo tra l'iracondia e l'eccessiva flemma;
Amabilità: giusto mezzo tra misantropia e compiacenza; Sincerità: giusto mezzo tra l'ironia e la vanità; Arguzia:
giusto mezzo tra la buffoneria e la rusticità; La virtù più importante è la giustizia…
Le virtù etiche (la giustizia)
La giustizia è la virtù etica per eccellenza («la maggiore tra le virtù»), è definita come il giusto mezzo tra il fare e il
ricevere ingiustizia. Scrive Aristotele: «La giustizia è la virtù più efficace, e né la stella della sera, né quella del
mattino sono cosi meravigliose, e citando il proverbio diciamo: Nella giustizia ogni virtù si raccoglie in una sola. Ed
è una virtù perfetta al più alto grado perché chi la possiede è in grado di usare la virtù anche verso gli altri e non
soltanto verso se stesso».
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Aristotele ne parla anche nella Politica, a riprova dello stretto legame che stabilisce tra individuo e società. Anche
per Aristotele, come per Platone, il legame tra individuo e comunità (polis) e quindi tra etica e politica è molto
stretto. Esso è importante per due aspetti: 1) La comunità forma eticamente gli individui, crea un tessuto che
promuove i comportamenti buoni, finché non si sedimentano in disposizioni permanenti (virtù). 2)La giustizia
garantita dalla comunità rende possibile il raggiungimento della felicità individuale: sarebbe difficile
raggiungere la felicità in uno Stato ingiusto.
Le virtù etiche (come si diventa virtuosi)
La virtù non è un singolo comportamento, ma un modo di essere da acquisire. Si diventa virtuosi mediante
l’abitudine, ripetendo comportamenti virtuosi, fino a quando il comportamento non diviene un modo di essere,
un habitus. A differenza di Socrate e Platone, per Aristotele conoscere il bene non implica il farlo (non è detto che
i filosofi siano i più saggi e i migliori governanti).
Che cosa spinge un individuo, inizialmente, a manifestare comportamenti che, una volta interiorizzati,
diventeranno virtù? Evidentemente, qualcosa di esterno all’individuo stesso, che Aristotele individua
nell’educazione e nel costume, cioè nei comportamenti e nei valori sociali, ovvero nella polis. Il costume
rappresenta però solo il punto di avvio. Per essere morali, le norme devono essere interiorizzate e fatte proprie
dall’individuo, il quale deve agire per libera scelta, senza costrizioni esterne.
Le virtù dianoetiche
Per l’uomo, la massima realizzazione della propria natura razionale consiste nelle virtù che riguardano l’esercizio
della ragione, cioè le virtù dianoetiche, che sono la sapienza, l’intelligenza, la scienza, la saggezza e l’arte. La
sapienza non indica il possesso di conoscenze, ma il desiderio di ricerca e le disposizioni che spingono verso la
conoscenza. L’intelligenza è la capacità di intuire i principi primi. La scienza è la capacità di sviluppare i principi
mediante il ragionamento deduttivo. La saggezza è la disposizione ad agire in vista del bene. L’arte è la
disposizione ad applicare correttamente le diverse arti
Sapienza e saggezza
La sapienza (sophia) è la disposizione a conoscere, la saggezza (phrònesis) è la disposizione ad agire bene. Platone
aveva identificato queste due virtù, concludendo che i sapienti (i filosofi) sono anche saggi e per questo destinati
alla guida dello Stato. Il filosofo infatti conosce le idee, sia quelle da cui derivano le cose (base della conoscenza),
sia le idee valori (dalle quali deriva la saggezza). Per Aristotele, le essenze, immanenti e non trascendenti, sono
oggettive e costituiscono l’oggetto delle scienze teoretiche, legate alla sapienza, mentre i valori derivano
dall’uomo e sono argomento delle scienze pratiche, non esistendo oggettivamente in modo necessario ma
soggettivamente nell’ambito del possibile. Per questo il filosofo, che ha la sapienza, non necessariamente
sarebbe un buon politico (cui necessita la saggezza)
La saggezza e il giusto mezzo
Senza la saggezza non è possibile individuare il giusto mezzo. La virtù morale consiste nella «disposizione a
scegliere il giusto mezzo adeguato alla nostra natura, quale è determinato dalla ragione, e quale potrebbe
determinarlo il saggio». Senza saggezza, in generale, non sono possibili le virtù etiche. La saggezza non può essere
una scienza, quindi le sue affermazioni sono opinabili. Tuttavia, il saggio sa cosa è bene per l'uomo e lo mette in
pratica.
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