La pala d’altare del Lanfranco nella chiesa del Rosario di Afragola Presso il Museo di Capodimonte, dove era stata portata per la memorabile mostra sulla “Civiltà del Seicento a Napoli”, è ancora depositata (ormai da diversi anni), in attesa di essere riposta nell’originaria collocazione nonostante che da qualche tempo siano state attuate, come da disposizioni della Soprintendenza, le misure di sicurezza prescritte, la grande pala d’altare con la Madonna col Bambino e i santi Domenico e Gennaro. Il dipinto, realizzato nel 1638 dal pittore emiliano Giovanni Lanfranco per la certosa di San Martino a Napoli, pervenne alla fine del secolo scorso, dopo una lunga serie di vicissitudini, alla chiesa del Rosario di Afragola, dove occupava prima della temporanea, e ci auguriamo non definitiva rimozione com’è successo in passato per altre importanti opere d’arte conservate nelle chiese della provincia l’abside retrostante l’altare maggiore. Prima di illustrare il dipinto e comunicare delle notizie biografiche sull’autore sarà opportuno ripercorrere, seppure brevemente, le vicende, particolarmente complesse, che portarono la pala in questa chiesa. Va innanzitutto detto che la sua realizzazione, originariamente concepita - come si legge nella convenzione stipulata tra il pittore e il procuratore dei Padri certosini - con le figure «...di S. Ugo et santo Anselmo et sopra la Madonna santissima con il bambino con qualche puttinello...» cade nel periodo di un’accesa lite giudiziaria, durata diversi mesi, tra i certosini e l’artista in merito al pagamento dei lavori ad affresco eseguiti in precedenza da questi nella chiesa, ragion per cui, non essendo addivenuti a un accordo «... per differenza con quei Padri, egli ne fece dono alla chiesa di Sant’Anna della sua natione lombarda... (Bellori, 1672) ... ove fu esposto, e veduto da tutta la Città» (Passeri). Più tardi, essendo venuta in possesso della potente famiglia veneziana dei Samueli la cappella dove era posto il dipinto, questi fecero mutuare i due santi certosini in san Domenico e san Gennaro dal pittore napoletano Luca Giordano «il quale cosi bene imitò la maniera di Lanfranco che non è possibile che si possa conoscere da chi nol sa... » (Celano, 1692). Dopo il crollo della chiesa di Sant’Anna dei Lombardi nel 1798 la pala - che occupava l’altare del transetto sinistro - passò in proprietà privata, per poi essere successivamente acquistata, nel 1899, dalla chiesa del Rosario, su proposta del Saquella, studioso d’arte dell’epoca. Il culto della Madonna del Rosario, cui si riallaccia il soggetto del dipinto, si fa risalire a san Domenico, al quale, secondo gli storici dell’ordine da lui fondato, in una notte del 1208 circa, mentre era in preghiera in una cappella di Prouille, presso Albi, in Francia, sarebbe apparsa la Vergine consegnandogli una coroncina che egli chiamò «la corona di rose di nostro Signore». Sicché la composizione lanfranchiana - pur tenendo in debita considerazione che era stata originariamente concepita per celebrare un’altra devozione e che successivamente aveva subito delle modificazioni per adattarla alla sua nuova veste - propone, in aderenza al racconto domenicano, la Vergine seduta su un gradino col Bambino che offre la corona a san Domenico inginocchiato ai loro piedi; a questi si contrappone sull’altro lato san Gennaro, vestito dell’abito vescovile. Tutt’intorno degli angeli si librano nell’aria. Quanto a Lanfranco, abbiamo notizie abbastanza dettagliate della sua attività. Afragola, Chiesa del Rosario, G. Lanfranco, Madonna del Rosario Nato a Terenzo, presso Parma, nel 1582, dopo un iniziale apprendistato presso Agostino Carracci alla morte del maestro, si recò a Roma alla scuola dell’altro Carracci, Annibale, col quale collaborò, tra l’altro, alla decorazione della Galleria Farnese. Nella Città Eterna egli ebbe modo di conoscere il suo corregionale Guido Reni, di cui diventò ben presto coadiutore nei vari lavori realizzati per papa Paolo V e per il cardinale Scipione Borghese. Dopo un breve ritorno in Emilia, al suo rientro a Roma v’introdusse il gusto illusionistico del Correggio che egli aveva avuto modo di assorbire studiando le opere realizzate dal pittore nella sua Parma. Durante il lungo soggiorno romano, che durò circa vent’anni, egli partecipò alla decorazione di diverse chiese tra le quali Sant’Andrea della Valle, dove con un gusto già pienamente barocco e già molto partecipe della corrente neo-veneta che caratterizzerà la pittura romana di quel tempo, decorò la cupola. Chiamato a Napoli nel 1633 dai Gesuiti per affrescare la grande cupola del Gesù Nuovo vi rimase ben tredici anni durante i quali eseguì diversi dipinti e numerosi cicli di affreschi tra i quali i citati affreschi di San Martino, il cui pagamento fu oggetto del contenzioso con i frati certosini, le decorazioni per la chiesa dei Santi Apostoli e la cupola della cappella del Tesoro di San Gennaro nel duomo. Tra i dipinti si segnalano oltre che la pala di Afragola, le tele per il duomo di Pozzuoli, Tornato a Roma nel 1646 vi morì l’anno successivo non prima, tuttavia, di aver affrescato il catino absidale della chiesa di San Carlo ai Catinari. Franco Pezzella