CAPITOLO 7 Branding, Comunicazione e Pubblicità Cittadellarte “Italia in Persona-La missione culturale del prodotto italiano” presentazione del progetto alla Fiera Internazionale del Libro di Torino, 2004 Foto: M. Scattaro 176 Il pregresso dell’esperienza italiana in materia di comunicazione e pubblicità Quando si pensa alla “creatività” italiana in materia di comunicazione chi ha un po’ di memoria circa la lunga condivisa stagione della storia repubblicana sorride, si compiace di una battuta che ha riguardato l’educazione di milioni di bambini e ragazzini (“dopo Carosello tutti a letto!”) e, appunto, alza la bandiera del maggior fattore di alleanza tra televisione, consumi e nuovi pubblici della vicenda italiana contemporanea: Carosello! Un breve programma televisivo trasmesso quotidianamente dal primo canale della Rai dalle 20.50 alle 21.00 dal 3 febbraio 1957 al 31 dicembre 1976. Praticamente vent’anni. Il legame del pubblico con quel programma era viscerale. Ebbe solo due sospensioni: in occasione dell'assassinio di John Fitzgerald Kennedy e la sera della strage di Piazza Fontana a Milano. Carosello era spettacolo – lo spettacolo che mescolava il cinema della commedia all’italiana, i cartoni animati, l’anteprima di quella che poi sarebbe stata la fiction televisiva, insieme al non sense, ai giochi di gioventù, al nuovo lessico (matusa&capelloni) – separato dalla pubblicità (che al tempo si chiamava “il codino”) così da lanciare due messaggi forti e contrastanti: da un lato l’attrazione di un grande pubblico, dall’altro limiti al puro uso della tv come fattore di accelerazione dei consumi. Era questa infatti anche l’anomalia di quel fenomeno. Un paese che esprimeva una cultura politica prudente in materia di centralità dell’impresa nella vita pubblica (tanto che la parola “impresa” è estranea al lessico costituzionale) e prudente soprattutto nel non trasformare un veicolo di formazione (anzi di “pedagogia”), come la televisione del monopolio, con una forza crescente e già robusta almeno come la scuola, in un veicolo troppo caratterizzato dalla funzione di ampliamento del mercato. Ma nel merito del “processo comunicativo”, quella vicenda fu il laboratorio di un’industria culturale (quella della comunicazione) che attorno a quello spazio sostenuto da risorse extra-televisive e quindi con investimenti per il tempo importanti scaricati sui soggetti produttivi e, alla fine, anche sui consumatori, ebbe la possibilità di compiere sperimentazioni di linguaggio, di tecniche e di “cultura identitaria” grazie ad un formidabile processore che aveva il carattere sintetico e abbastanza fulmineo dello “short”. Innumerevoli i nomi dei talenti del cinema, del teatro, della musica, della fotografia, dell’animazione, insieme a letterati, poeti, illustratori, coreografi e altri “creativi” che non hanno disdegnato questa forma di sostegno professionale che non premiava, come è oggi, il testimonal perché già famoso ma lasciava anzi nell’anonimato il grosso dei “creativi” perché all’epoca il mondo degli intellettuali si dichiarava contro la televisione ma non voleva rinunciare ad un comodo integratore finanziario. Carosello era cominciato nell’Italia appena uscita dalla ricostruzione post-bellica, al momento dell’avvio sul mercato della motorizzazione di massa (anche se la pubblicità delle auto era tra quelle vietate in tv) e sarebbe terminato – per lasciare alla pubblicità la possibilità di spalmarsi tra i programmi e poi di “marcare” i programmi e alla fine anche di “produrre” i programmi – dopo gli anni della crisi energetica e quindi in piena fase di ristrutturazione strutturale dell’economia, che assumeva caratteri più globali e si distaccava dal modello produttivo e consumistico di “casa nostra”. Gianluigi Falabrino è tra i più noti storici della pubblicità in Italia. Inquadriamo in questa premessa la sua opinione su questo tema: qual è il più riconosciuto e riconoscibile profilo "italiano" che caratterizza nella sua vicenda storica il profilo creativo della pubblicità e della comunicazione? “Non credo che vi sia un unico profilo italiano nella comunicazione d’impresa, ma che ve ne siano (o ve ne siano stati) tre diversi filoni, generalmente non comunicanti fra loro o 177 addirittura considerati antitetici Il primo è dato dall’impostazione grafica della pubblicità, che va dalla “rivoluzione” di Campografico (1933) e, attraverso Erberto Carboni, Castiglioni, Huber e altri, arriva fino agli anni 70, e ha i suoi “regni” in tre grandi aziende: RAI, Olivetti e Pirelli. L’Olivetti e la Pirelli, insieme all’Italsider, si sono caratterizzate anche per una visione culturale dell’industria: da qui il mecenatismo artistico, soprattutto della prima, l’elevata qualità culturale delle riviste delle tre società (non comparabili con le normali riviste “di prestigio”) e il contributo che tutte hanno dato all’idea dell’arte “industriale”. Il terzo filone comunicativo, certamente il più diffuso, ha visto gran parte della pubblicità marketing oriented modellata sullo schema di Carosello, anche dopo la sua fine (1976): a parere di molti studiosi oltre che di tanti creativi, Carosello non è stato soltanto una formula che ha rinverdito la Commedia dell’Arte con la comicità degli “spettacolini” e che con i cartoni animati ha ricreato le favole (Calimero come “Il brutto anatroccolo”), ma ha abituato alla pubblicità di racconto o di serie: così, nell’ultimo decennio, si sono viste le serie della ragazzina al telefono (Mi ami, ma quanto mi ami?), della fucilazione nella Legione Straniera (ripreso recentemente e con meno spirito), delle tre ragazze che fanno in barca il periplo dell’Italia e che poi vanno alla ricerca dell’Isola che non c’è, e tantissime altre”. Naturalmente la pubblicità non nasce in Italia nel secondo dopoguerra, ma ha la sua prima forte espansione (dopo le origini limitate dalla modeste superfici mediatiche nell’ottocento) nel primo dopoguerra, con illustratori e creativi di chiara fama (tra cui Leonetto Cappiello, Leopoldo Metlicovitz e Marcello Dudovich, con i quali diventa una vera e propria forma d’arte) e poi ha accelerazioni connesse alla gestione del fascismo dei media e della propaganda (su cui andrebbe naturalmente ampliata fortemente l’indagine). Forme di pubblicità sono rintracciabili comunque in tutta la storia italiana e ci consentono di rintracciare condizioni pressoché moderne di uso della comunicazione nella stessa vita degli antichi romani, come dimostrano tracce archeologiche a Pompei. Parallela alla vicenda della pubblicità maturano nel rapporto tra sistema di impresa e società culture comunicative che utilizzano una serie di altre superfici e di modalità per promuovere le identità aziendali e il loro ruolo prima di tutto nel rapporto tra territorio e vocazioni di sviluppo, poi tra cultura dell’innovazione e prospettive professionali per i lavoratori qualificati e le classi dirigenti. Nello stesso periodo compreso tra gli anni cinquanta e gli anni settanta sul fronte dell’impresa privata sarà l’Olivetti (azienda fino alle soglie degli anni ottanta in testa alle aspirazioni di lavoro per i laureati italiani) a costruire – tra Ivrea sede storica dell’azienda e Milano sede delle attività commerciali e comunicative – modelli comunicativi attraversati dal rapporto con l’arte, la cultura, l’editoria, il design. Mentre sul fronte pubblico sarà Roma la città di riferimento delle esperienze dei maggiori gruppi a partecipazione statale in cui, nel campo comunicativo, IRI si segnala per la stagione di Civiltà delle macchine, diretta da Leonardo Sinisgalli (con derivate nella cultura comunicative di tutte le sue finanziarie) e ENI si segnala per la forza applicativa di un suo originale logo (di origine pittorica) e per la tenuta della sua visual identity con applicazioni internazionali che si identificano con la stessa identità nazionale. Nell’ambito dell’IRI Alitalia creerà una delle prime e più significative esperienze di applicazione coordinata della comunicazione, territorio su cui tutte le maggiori aziende italiane utilizzano i potenziali creativi che si sono stabilizzati attorno alla particolare esperienza del mondo pubblicitario. Ma anche la grafica applicata ai processi aziendali, ai media, all’editoria – con scuole e centri di esperienza caratterizzati a Milano – fa segnare storie che oggi occupano i musei del design e una stagione di maestri che non hanno avuto pari, per filigrana intellettuale, in altri contesti anche più forti industrialmente. Torino – capitale indiscussa del car design – ha nella FIAT un forte centro di comunicazione per il traino di 178 un prodotto essenziale sul mercato interno di quegli anni e ha – nelle forme soprattutto dell’immagine e nel presidio esercitato da Cinefiat – un’esperienza comunicativamente impareggiabile. A metà degli anni settanta le aziende pubbliche e le maggiori aziende private italiane partecipano alla sperimentazione di “Firma Italia” che porta in mostra in alcuni musei di paesi interessati alla cooperazione industriale con l’Italia (dall’Iran al Brasile) gli originali creativi realizzati da grandi pittori, scultori, grafici, registi e artisti in generale italiani a esclusivo favore della comunicazione aziendale. Una potenza realizzativa che evidenzia un carattere di questi processi davvero poco sperimentato da paesi anche a più robusta economia. Questa premessa segnala solo (nell’impossibilità di esaurire qui una storia che pure andrebbe scritta in forma organica, toccando tutte le superfici di applicazione del sistema della comunicazione) che – anche se i corsi di laurea in scienze della comunicazione vengono introdotti in Italia con decenni di ritardo rispetto alla realtà americana, ma anche alla realtà francese, sviluppando poi tuttavia una offerta formativa fortunata e ancora di successo – i laboratori creativi del settore avevano modalità di sperimentazione con sponde importanti nell’industria (poco e tardi arriveranno nel settore le banche) e con sponde professionali che hanno attraversato le facoltà di architettura, il sistema editoriale, il cinema e la tv, costruendo una modellistica, una semiotica e un’economia che possono essere considerate “con specificità italiana”. Quando le istituzioni vorranno, solo a metà degli anni ottanta, cominciare la loro storia comunicativa (dal branding pubblico, che aveva un forte carattere simbolico storico e che è stato sviluppato in generale rispettando le tradizioni, alla comunicazione di servizio, alle forme di modernizzazione della segnaletica, fino a vere e proprie campagne di pubblica utilità) dovranno attingere a questo pregresso travasando idee, persone, format. Oggi sistema di impresa, sistema istituzionale e sistema dei soggetti sociali costituiscono un’area di circa cento profili professionali accertati, con un perimetro occupazionale (diretto e consulenziale) che supera le 300 mila unità, ancora in fase di moderato assorbimento di risorse e comunque in evoluzione sia per effetto combinato dell’allargamento disciplinare dell’area del marketing sia, soprattutto, per incidenza dell’evoluzione tecnologica e di continue nuove superfici di operatività. Nel 2003 è stata resa nota una stima degli occupati (a cura dell’Istituto Civicom (Rolando, 2003)) nel mercato professionale della comunicazione (con esclusione quindi del settore giornalistico ed editoriale) con un totale di 260.000 addetti a diverso titolo contrattualizzati, rispetto a cui il dato tendenziale dei 300 mila occupati costituisce una prevedibile estensione a tutto il 2007. Essa era articolata nelle seguenti voci: Media relation: 16.000 (di cui 6.000 nella sfera pubblica, 6.000 nelle imprese e 4.000 nell’area della consulenza) Comunicazione e pubblicità: 92.000 (di cui 2.000 nella sfera pubblica, 40.000 nelle imprese e 50.000 nell’area della consulenza) Web, reti e sportelli (con esclusione dei call center): 86.000 (di cui 41.000 nella sfera pubblica, 20.000 nelle imprese e 25.000 nell’area della consulenza) P.R. ed eventi (convegnistica compresa): 38.000 (di cui 5.000 nella sfera pubblica, 18.000 nelle imprese e 15.000 nell’area della consulenza) Altri settori (tra cui la comunicazione interna): 28.000 (di cui 3.000 nella sfera pubblica, 7.000 nelle imprese e 18.000 nell’area della consulenza). Stime che dunque determinavano le seguenti aree di occupazione: 57.000 nella sfera pubblica, 91.000 nelle imprese, 112.000 nella consulenza. Questi dati forniscono dunque una cornice occupazionale più articolata del solo dato previsto dalle voci della statistica ufficiale del settore, che stanno nella tabella che questo 179 Rapporto riferisce a proposito della sola voce “Pubblicità” con l’indicazione di 64.900 addetti. Nel testo seguente si farà cenno al profilo attuale e di tendenza del settore. La tradizione accennata mantiene alcuni percorsi professionali, alcune scuole (alcune anche di carattere privato esprimono un’elevata soglia di qualità e di credibilità, anche internazionale), alcuni modelli di riferimento che hanno tuttora senso nell’ambito della creatività italiana applicata ai profili comunicativi. Anche se il contesto dei soggetti produttivi è profondamente mutato, così come sono mutate le agenzie di consulenza, lo scenario e i supporti della pubblicità, in un quadro più globalizzato e più caratterizzato da un ruolo meno pregnante della grande impresa. Il consolidarsi del Web 2.0. rivoluziona ormai le logiche stesse dalla domanda e dell’offerta pubblicitaria e comunicativa e l’advertising on line è uscito da ogni sperimentazione determinando nuovi paradigmi nella creatività pubblicitaria ormai assecondati da un mutato profilo degli investimenti. Soggetti pubblici, politici e sociali sono entrati nel campo della comunicazione, l’accelerazione del marketing territoriale ha creato sviluppi comunicativi in capo a rapporti sinergici tra istituzioni locali e associazioni o consorzi economici e di categoria. Il successo di Milano e dell’Italia con l’assegnazione il 31 marzo 2008 dell’Expo 2015 ha dimostrato il peso che i fattori comunicativi e relazionali (integrati in un complesso quadro di interventi progettuali) assumono oggi sul terreno della competizione internazionale legando sia logiche di promozione esterna che logiche di partecipazione e consenso dei sistemi amministrati. Lo scenario dei consumi fa poi segnare mutamenti profondi di stili, scelte, predominanza di prodotti rispetto a quelli di una volta. Cambiamenti che rendono l’analisi sulle attuali condizioni di sviluppo non paragonabile agli anni che qui – per sintesi espositiva – abbiamo chiamato “di Carosello”. Il Rapporto sarà dunque centrato sull’ultimo decennio di sviluppo, pur con la giusta memoria di un passato prossimo in cui si parlava poco di “economia della creatività”, ma molto di “creatività dell’economia”. 180 Creatività e comunicazione in Italia oggi Nel solco di alcune continuità L’epoca di Carosello, come si è detto, è finita da tempo, eppure che si occupa di pubblicità e in particolare di creatività pubblicitaria continua, dopo 30 anni a riferirsi a quel particolare tipo di modello. Per i più si tratta di un’esperienza unica, inimitabile, che ha consentito, come si è detto, l’importazione di un modello di consumi in un paese, come l’Italia, che si affacciava appena alla moderna società dei consumi. Quando negli USA le grandi imprese sponsorizzavano le soap opera, in Italia Miralanza lanciava il famoso concorso legato alla raccolta delle figurine. Quando i grandi creativi come Bernbach e Ogilvy (1983, 1985) erano giunti a teorizzare sulla loro attività e a scriverne, in Italia c’erano Caballero e Carmencita. E ci sono ancora. Ne è passata di acqua sotto i ponti eppure nel 2005 Lavazza, una delle più importanti imprese italiane e anche una delle maggiori investitrici in pubblicità, ha pensato bene di rispolverare una delle icone della creatività nostrana con un’operazione definita di retromarketing. E così a Carmencita è stato dedicato in sito Internet (www.carmencita.it), in cui il noto personaggio dispensa consigli di cuore ai visitatori, ma Carmencita è anche stata protagonista di una sitcom trasmessa nel preserale di Italia1 (la trasmissione però non ha riscosso grande successo) ed è attualmente un’inviata virtuale per la versione on-line del quotidiano La Stampa dove cura una rubrica di lettere. Lavazza non è l’unica azienda che ha imboccato la via del retromarketing; che dire del ritorno di Calimero come testimonial del detersivo Ava (che nel frattempo non è più dell’italiana Mira Lanza, perché quest’ultima è diventata parte del gruppo Benckiser) anche lui protagonista di tanti Caroselli assieme all’Olandesina? O ancora come non cogliere il riferimento ai Caroselli di Calindri nel recente spot del Cynar che ha come protagonisti “Elio e le Storie tese” che consumano il prodotto attorno ad un tavolino in mezzo al traffico? La rivisitazione è in chiave ironica, in sintonia con il target a cui ci si vuole rivolgere, ma la citazione è certamente riconoscibile. Certo, anche il Tigrotto del cereali Frosties è un personaggio che esiste da tempo, come pure il Gigante Verde e il Bibendum della Michelin, ma si tratta di personaggi che fanno parte della mondo della marca, sono i brand characters della visual identity dell’impresa e come tali sono rimasti costanti e coerenti nel tempo (se pure con qualche necessario restyling come il noto e recente dimagrimento dell’omino Michelin1). Non si tratta quindi di un ritorno al passato, ma di una necessaria coerenza del sistema comunicativo di un’impresa. Perché allora, ci si chiede, riutilizzare, dopo tutti questi anni, delle icone del passato e, soprattutto, delle icone legate al Carosello? La risposta la si può trovare forse nelle stesse parole di coloro che, all’interno dei un agenzia di pubblicità, sono responsabili della creatività (AA.VV, 2003), questi lamentano la difficoltà da parte del sistema pubblicitario italiano di tagliare definitivamente il cordone ombelicale con il passato e in particolare con Carosello, che è riconosciuto come un momento di straordinario esempio di creatività italiana (non a caso al fenomeno sono state dedicate, in anni relativamente recenti, delle mostre come “Carosello 1957-1977”. Non è vero che fa tutto brodo”2), ma anche come un limite allo sviluppo di nuove forme di sperimentazione (Codeluppi, 2000). 1 La notizie è del febbraio del 2007. La mostra promossa da RAI, Sacis e Sipra con la collaborazione di Agip, Ferrero e Lavazza è stata inaugurata per la prima volta a Milano il 5 dicembre del '96 e si è conclusa il 23 ottobre '97 a Torino dopo le tappe di Napoli e Roma (http://www.sipra.it/eventi/carosello/mostra.html). 2 181 Il motivo per cui in Italia si ricorre più frequentemente ad una semplice comicità che ad una sofisticata ironia? Carosello, che ha abituato il pubblico televisivo alle scenette da cabaret e alle risate un po’ grasse. La causa della sovrabbondanza dei buoni sentimenti? Carosello che ha celebrato la logica della famiglia felice e ha dato una rappresentazione edulcorata della realtà. E che dire dell’utilizzo di personaggi famosi come testimonial pubblicitari? Ancora Carosello, che ospitava i primi personaggi che affermavano la loro notorietà attraverso la televisione. Certo ci sono state delle debite eccezioni anche in passato e le parole di Mauro Ferraresi, docente di Tecniche Pubblicitarie, lo confermano, pur partendo da – e citando, ancora una volta – Carosello. Quando nel gennaio del 1976 va in onda l'ultimo Carosello gli ascolti parlavano di circa 19 milioni di italiani sintonizzati, di cui quasi 9 milioni erano bambini. Finisce un'epoca e finisce, contemporaneamente, la via italiana alla creatività pubblicitaria. Carosello era ingenuo, Carosello era burocratico, Carosello era ingessato, ma nel contempo si era fatto molto amare e aveva creato una sua via. Il prodotto era un lontano "di cui", la creatività si centrava su una vicenda, una storiella che doveva accalappiare l'interessa. Quando si cominciava a parlare del prodotto (il cosiddetto "codino" che durava pochi secondi ed era posto alla fine della scenetta o sketch che invece poteva durare tranquillamente più di un minuto, la comunicazione diventava, piana, esplicativa, diretta, certamente non pubblicitaria. Era informazione pura e semplice. All'estero ridevano di noi, dicevano che non è così che si fa pubblicità. Quando siamo diventati pubblicitariamente adulti abbiamo dovuto ammettere che la scuola italiana di Carosello non funzionava più e che non c'era una nuova scuola. Ed è cosi anche oggi. Con alcune importanti eccezioni. La prima eccezione ha il nome e il cognome di Armando Testa, che è stato il massimo pubblicitario italiano in epoca di Carosello, e che sopravvive ancor oggi nella omonima agenzia torinese gestita dal figlio e che ne ha raccolto l'eredità. Lo stile creativo di Testa era artistico prima ancora che grafico. Per lui il discorso pubblicitario doveva esplicitarsi in un'opera quasi artistica (l'ippopotamo di Linus, gli abitanti di Papalla, Caballero e Carmencita). Era vitale per Testa trasformare l'idea creativa in un personaggio, o in una forma artistica. Dargli corpo. Così come avviene certamente per l'agenzia omonima, responsabile oggi di quelle creative operazioni che sono le pubblicità di Esselunga, con gli ortaggi, la frutta, e in generale i prodotti di Esselunga che diventano personaggi, strambi, onirici, creati direttamente dalla immaginazione grafica dei creativi. Un pane diventa la faccia di Tutankamen, un ravanello il pittore Raffaello Sanzio, un aglio la strega di Aglioween, e così via. Un'altra importante eccezione è certamente costituta Da Emanuele Pirella che ha indubbiamente avuto uno stile bernbachiano e ricco di understatement. E' riuscito cioè a coniugare una tipicità anglosassone dentro il novero della cultura creativa italiana. Anche Pirella non disdegna l'elemento artistico nella pubblicità. Infine un'ultima menzione va data a Gavino Sanna, ora felicemente in pensione nella sua Sardegna (ma si è di nuovo messo nell'agone pubblicitario nel 2006 per la Federfarma) che all'epoca del suo lavoro in Joung & Rubicam ha costruito uno stile ancora una volta basato sulla bozzettistica. In sostanza, si può dire che la via italiana alla creatività pubblicitaria è ancora quella tracciata anni fa da Testa. Il nostro pubblicitario non è un creativo che ha come materia prima i concetti o i giochi di parole, non usa molto l'ironia e tanto meno il sarcasmo, non si diverte a spaventare o a scandalizzare (a parte la notevole eccezione di Benetton e del fotografo Oliviero Toscani) ma è un creativo che ha per materia prima cose, oggetti, e che costruisce con competenza grafica e artistica nuovi oggetti, nuove forme, nuovi materiali. 182 Attuali esperienze creative Su queste basi si è costruita e profilata la creatività italiana oggi nel settore della comunicazione. Può essere illuminante dare uno sguardo ai risultati di una ricerca promossa dall’Art Directors Club italiano presso i manager delle principali aziende che investono in pubblicità in Italia (ADCI, 2004) proprio allo scopo di verificare la soddisfazione dei clienti nei confronti della creatività pubblicitaria, a fronte di un’insoddisfazione serpeggiante anche negli stessi ambienti delle agenzie. Uno degli indicatori che viene da sempre citato come esempio di “non compiuta adeguatezza” della creatività italiana è la scarsità di riconoscimenti che le campagne nostrane hanno nei contesti internazionali (tipicamente il Festival della Pubblicità a Cannes). Chi non ricorda il successo di qualche anno fa della campagna Fiat “Buonaseraaaaa”, che meritò un bronzo a Cannes, e nel 2002 l’oro vinto dallo spot della Peugeot 206 “Sculptor” (creatività di Marco Mignani3) in cui si faceva uno straordinario uso dell’ironia? Sono eccezioni a una regola che vede vincitori gli spot di Nike e Budweiser e, nel 2007, uno spot creato per il web, e quindi liberamente scaricabile, si tratta di Evolution che appartiene alla campagna Real Beauty promossa da Dove, brand Unilever (Lombardi, 2007). Dai risultati della ricerca emerge che i manager, pur apprezzando in maggioranza il trend creativo italiano, riconoscono nel 39,2% dei casi la creatività italiana peggiore di quella dei paesi avanzati e le motivazioni sono in ordine di importanza: la scarsa propensione a osare nuove strade/linguaggi, la scarsa apertura e la tendenza al provincialismo, l’eccessiva dipendenza dalle richieste del cliente, la poca preparazione e sensibilità culturale. Le critiche sono comprensibili se si pensa al ricorso ad un “format culturale provinciale”, come quello usato per alcune delle campagne più viste negli ultimi anni: si pensi al Paradiso Lavazza che utilizza come testimonial la coppia Paolo Bonolis e Luca Laurenti e alla campagna Tim con Christian De Sica. Si tratta in entrambi i casi si campagne seriali, che propongono una storia a puntate di cui lo spettatore può riconoscere la linea narrativa. Entrambe utilizzano la comicità, immediata, un po’ “cinematografica” (a copione), piuttosto che l’ironia, l’allusione, più difficili da comprendere e che richiedono maggiore elaborazione. Entrambe fanno ricorso a testimonial che sono parte del vissuto degli italiani e che ripropongono quella comicità che per semplificare si indicherà come “centrata sul ridere delle sventure altrui” che ha come riferimento immediato le disavventure (appunto cinematografiche) del Rag. Fantozzi. Nulla di nuovo quindi rispetto al modello di Carosello. Uno dei punti fondamentali che emergono dalla ricerca riguarda l’abitudine, ormai diffusa, dei manager italiani ad utilizzare lo strumento delle gare sulla creatività per la scelta dell’agenzia (51,3% degli intervistati dichiara di farne uso) che però non sembra incidere sul grado di soddisfazione nei confronti del risultato ottenuto (solo il 25% si dichiara molto soddisfatto e la percentuale non aumenta fra i coloro che ricorrono alle gare). I creativi dal canto loro si dichiarano contrari a questa prassi che non aiuta il loro lavoro costringendoli a produrre molti progetti per vederne realizzati pochi o nessuno e, al tempo stesso, non aiuta le Agenzie che si vedono costrette a togliere risorse ai clienti già acquisiti per 3 Mentre questo capitolo è in scrittura giunge la notizia della scomparsa di questo brillante pubblicitario a cui va un pensiero di chi scrive, con la memoria allo stile pacato e alla visione sociale della sua professione che ha con coerenza manifestato in tanti anni di successi. 183 investirle nelle gare e, alla lunga, non è positiva neppure per le aziende. La gestione di una gara, infatti, costa tempo e risorse all’impresa e una volta scelta l’agenzia, questa si troverà automaticamente a concorrere ad altre gare per conquistare nuovi clienti e non dedicherà appieno le proprie risorse al cliente già acquisito. Al tema della scelta dell’agenzia si collega anche quello della remunerazione: finito orma il tempo del famoso 15% di ristorno (ovvero l’agenzia veniva remunerata dalle concessionarie ricevendo il 15% del costo per la gestione dell'investimento, percentuale che si applica sul prezzo al netto di tutti gli sconti di quantità o promozionali) che attualmente regola meno del 9% dei rapporti (Makno, 2005). Complessivamente, Mario Abis - Presidente della Makno & Consulting e docente di “Sondaggi e ricerche sull’opinione pubblica” - sottolinea che: La remunerazione è ancorata alle specificità del progetto ed all’arco temporale di riferimento, e non risulta necessariamente correlata all’entità del budget. Questo si traduce in una progressiva diminuzione del pagamento per la creatività che per i maggior investitori è passato dal 6,9% del budget del 2003 al 5,6% nel 2005 (Makno, 2005). Tornando ai dati della ricerca dell’Art Director Club, il clima che emerge non è euforico, ma di diffusa insoddisfazione che deriva principalmente dalla scarsa rispondenza della figura e del ruolo del creativo a quello proposto da uno stereotipo comune che lo individua come una persona innovativa, alla ricerca di nuove soluzioni, indisciplinata. Secondo i manager intervistati le competenze attribuite ai creativi si concentrano sulle funzioni più legate alla generazione di idee che non agli ambiti strategici, organizzativi o produttivi. A questo proposito si è chiesto ad Annamaria Testa, docente, copy writer e consulente di comunicazione, di illustrare quali sono i presupposti per considerare "creativo" un professionista, un operatore nel campo della comunicazione. Ecco la sua risposta. Comunicazione e creatività sono legate da un legame doppio: l’una non si dà senza l’altra. 1. Non c’è creatività senza comunicazione. La creatività si esprime sempre nel gesto di un individuo che interagisce in un contesto storico-sociale e all’interno di una comunità. Comunicare efficacemente è una meta-competenza, preliminare al successo di qualsiasi attività creativa o sfida innovativa, in ogni campo: artistico, scientifico, tecnologico… 2. Il gesto creativo si configura anche come un atto di comunicazione, nel momento stesso in cui si esprime – in un’opera d’arte, in una teoria scientifica, in un’invenzione, in un’impresa - e viene compreso. 3. L’atto di comunicazione si configura anche come gesto creativo: il linguaggio è in sé creativo e generativo (possibilità di dar luogo a infinite frasi e discorsi, che si esprimono in infiniti contesti, a partire da un numero assai limitato di segni o suoni). A partire da questa premessa, può sembrare un paradosso il fatto che per gestire creativamente la comunicazione siano necessarie figure professionali dedicate. Non lo è, oggi, perché la complessità dei pubblici e la molteplicità delle attività necessarie a comunicare, dei media, dei linguaggi propri di ciascun medium, richiede competenze tecniche specifiche per essere gestita in modo finalizzato al raggiungimento di un obiettivo. Gestire professionalmente la creatività nella comunicazione vuol dire saper progettare processi e realizzare prodotti di comunicazione per conto di un committente, tenendo conto dei suoi obiettivi, dei suoi vincoli, delle sue risorse, del suo pubblico. Se serve, aiutando il committente a metterli a fuoco. • Creatività professionale: un professionista può essere ritenuto creativo quando i processi e i prodotti che realizza raggiungono efficacemente l’obiettivo e presentano dei 184 • • • gradi di innovazione nella forma o nel processo. I contenuti appartengono al committente. Un professionista che sostituisce la propria visione a quella del committente magari riesce a promuovere se stesso, ma non fa bene il suo lavoro. Ambiti: costruzione e presidio dell’identità e dell’immagine della marca (se il committente è un’azienda), dell’immagine (se è una persona fisica). Planning strategico. Comunicazione pubblicitaria. Supporto redazionale, ufficio stampa. Comunicazione interna ed esterna. Promozioni e sponsorizzazioni. Packaging. Operazioni di marketing sul territorio (viral, guerrilla…), e così via. Specializzazioni: per necessità e tradizione le professionalità della comunicazione sono a loro volta segmentate e specializzate per competenze: un genio del packaging può trovarsi a disagio con il planning strategico, e viceversa. Talenti: per svolgere il suo lavoro, oltre ad avere eccellenti competenze linguistiche, l’attitudine a tradurre analisi dettagliate in sintesi brillanti, buona cultura di base, capacità di ascoltare, interpretare, negoziare, una sufficiente esperienza del mondo e una dose di pragmatismo, ciascun professionista deve: saper gestire la complessità. Ragionare per obiettivi e secondo i pubblici e i contesti. Saper integrare creativamente, senza travisarli, contenuti dati in forme nuove ed efficaci che siano attraenti, comprensibili, memorabili, convincenti. Saper progettare comunicazione adatta a essere veicolata da mass media e new media, tenendo conto dei linguaggi propri di ciascun medium. Tutto questo rispettando i tempi e senza sforare i budget a disposizione. Facile, no? Il creativo ideale quindi deve essere una persona con un solida preparazione che lascia poco spazio all’idea un po’ romantica dello spirito innovativo e artistico, generatore di idee che emerge invece dalla ricerca condotta nel 2004 da Eurisko4 sulla percezione che gli italiani hanno della creatività. In particolare, secondo i giovani universitari appartenenti al campione, la creatività fa parte degli atteggiamenti degli individui ed è sinonimo di impulsività, emotività e fantasia. Essere creativi vuol dire avere “un atteggiamento trasgressivo”, “uscire dagli schemi”. La creatività trova il suo habitat naturale nell'arte (letteratura, pittura, teatro, cinema, musica), perché solo in questo contesto le qualità creative innate possono esprimersi. D’altro canto, la scienza non può essere creativa, dato che per applicarla sono necessarie regole, rigore e fatica. Dalla stessa ricerca emerge, inoltre, che l’Italia è, per più della metà degli italiani, il paese della creatività, ma lo è nei settori dell’arte applicata come moda e cucina, mentre appare poco o per niente creativa nelle aree determinanti per lo sviluppo del paese (finanza, economia, stampa, università, politica, insegnamento, marketing, tecnologia, letteratura, industria e ricerca scientifica). Media e creatività Eppure, se si dà uno sguardo al panorama pubblicitario contemporaneo si trovano non poche espressioni che possono essere considerate creative. Certo spesso si tratta di forme di creatività che si esprimono meglio attraverso i nuovi media che con i mezzi classici. Si pensi agli spot interattivi di cui il consumatore può decidere la fine, ai lunghi filmati che Pirelli ha creato per i suoi pneumatici e che si possono vedere solo on line. O, ancora, alle attività di comunicazione integrata on-line e off-line svolte da Kinder per uno dei suoi prodotti di punta: l’ovetto. 4 . La ricerca è divisa in due fasi, una qualitativa e una estensiva realizzata, con il metodo CAPI, su un campione di mille casi rappresentativi della popolazione italiana dai 18 ai 64 anni. 185 Le parole di Alberto Abruzzese, docente di Sociologia della Comunicazione, e tra i maggiori animatori del dibattito intellettuale in Italia su questi temi, illustrano come i new media abbiano modificato il rapporto tra creatività e comunicazione. Il modo corrente di rispondere alla domanda su come stia cambiando la creatività con l’avvento dei new media è quello di enfatizzare il carattere trasversale – multimediale e interattivo – delle loro piattaforme tecnologiche senza per questo uscire dalla mentalità dei paradigmi della comunicazione unidirezionale. A quel contesto mentale – tipicamente progressista e continuista – appartengono tuttavia anche le numerose dichiarazioni sulle nuove potenzialità comunicative che nascerebbero da una creatività prodotta dal basso invece che dall’alto o dal centro; così come le rivendicazioni di un maggior grado di personalizzazione, da un lato, e di solidarietà collettiva, dall’altro lato. Vero. Ma sono tutte qualità perfettamente compatibili – nel quadro di una tradizione democratica e occidentale – con le trasformazioni e anche opposizioni dialettiche contemplate dai modelli di sviluppo della società moderna, dai suoi poteri, soggetti e saperi. Se, invece di riferirci ai perfezionamenti delle strategie comunicative tradizionali e allo sviluppo delle pratiche di creatività inscritte in queste strategie, ci spingiamo a circoscrivere nell’area dei new media prevalentemente o esclusivamente le forme di comunicazione basate sul web (oggi rilanciate in modo particolare dal web 2.0), il modello di sviluppo dei media storici della società di massa sembra spinto al suo limite massimo, sulla soglia della disintegrazione. La creatività vive qui una duplice possibile rigenerazione o meglio due passaggi dall’incerto esito. Il primo passaggio: abita il consumo separandosi in modo sempre più deciso e decisivo dalle forme di creatività dei media tradizionali ovvero dalla creatività inscritta nei loro modi di produzione, distribuzione e consumo. Il secondo passaggio: franano i paradigmi fondati sulla opposizione tra alto e basso, centro e periferia e dunque svaniscono progressivamente le dicotomie che ad essi risalgono: tra mente e corpo, sapere e passioni, persona e moltitudine. Se la modernità ci ha convinti di una creatività fondata sul talento o sul genio o sull’eccellenza o sullo sviluppo, gli orizzonti aperti dai new media rivelano invece forme di creatività che riguardano situazioni e processi, zone di instabilità invece che stabilità, sconfinamenti di campo invece che mappature, dinamiche di de-civilizzazione invece che di civilizzazione, zone opache invece che trasparenti, senso del tragico e del comico al posto della commedia e del romanzo, ibridazioni della carne invece che controllo dei corpi, corrosione delle etiche, estetiche e politiche dell’appartenenza e dell’identità, culto dell’abitare ma non di spazi geopolitici, culto del fare e dell’avere ma non dell’essere amministrati. I new media possono diventare una creatività né trasmessa, né insegnata né comunicata ma vissuta. Come dire in qualche modo una creatività evenemenziale, fluttuante, situazionale, orale, esperienziale, psicosomatica. Se, in qualche modo, i new media facilitano l’avvento di una forma di creatività più fluida, essi rendono anche possibile l’accesso dei non specialisti al mondo della pubblicità. Un buon esempio è rappresentato da quanto è accaduto durante l’edizione del 2007 del Super Bowl (la finale del campionato di football americano che raccoglie una delle audience maggiori della programmazione statunitense e i cui spazi pubblicitari sono fra più costosi). In quest’occasione, la marca di patatine Doritos ha trasmesso uno spot interamente realizzato dai consumatori (che erano stati invitati dall’azienda attraverso il web a partecipare ad un concorso): “Doritos ha mostrato sul palcoscenico del Super Bowl la semplicità, l’antiretorica, la tecnica spontanea da “garage” a costo zero, di un video con 186 il linguaggio parodistico, assurdo, minimalista, diretto sul prodotto, senza pudori, tipico del mondo virale che si vive su YouTube” (Lombardi, 2007. p. 18). In un’ottica di web 2.0 e di empowerment del consumatore (Mortara, 2007) il confine tra creatore e fruitore della pubblicità si è praticamente dissolto. Tendenze della comunicazione di impresa La comunicazione d’impresa, ovvero l’insieme di tutti i flussi comunicativi emessi nei confronti dei diversi stakeholder siano essi interni che esterni, non può prescindere dal concetto di integrazione; la comunicazione integrata infatti (Collesei, Ravà, 2004) fa riferimento alla capacità dell’azienda di coordinare tutti gli strumenti di comunicazionedalla pubblicità, alle relazioni pubbliche, dalla visual identity (gestione coordinata di logo, marchio e lettering) al sito internet, dalle sponsorizzazioni alle promozioni – che devono essere orchestrati (Fabris, 2003) per contribuire a creare un’immagine unica e distintiva dell’azienda che si imprima in maniera indelebile nella mente dei diversi interlocutori. Sia che si parli di comunicazione corporate, che si colloca al vertice del sistema di comunicazione integrata, che di comunicazione istituzionale maggiormente legata alla divulgazione dei valori propri e distintivi dell’impresa, che ancora di comunicazione di brand o di prodotto particolarmente rivolta al consumatore finale, gli strumenti a tutt’oggi maggiormente utilizzati sono la pubblicità e le relazione pubbliche. Il primo che, come si è più volte sottolineato, è ancora quello più efficace per “stabilire nella mente del consumatore una identità distintiva e memorizzabile per il prodotto o per l’impresa” (Collesei, Ravà, 2003, p. 104) e il secondo il cui ruolo negli ultimi anni ha subito una decisiva evoluzione. Le relazioni pubbliche, infatti, nell’ottica di una gestione integrata della corporate communication hanno assunto un ruolo fondamentale di coordinamento e controllo. Come sottolineano le parole di Adriana Mavellia, presidente del sistema di imprese delle aziende del settore di Assolombarda: l'apporto della comunicazione d'impresa e delle relazioni pubbliche all'economia della creatività è duplice sia nel senso che tali discipline possono agire nella comunicazione istituzionale quanto in quella di marketing, sia perché danno vita ad una industria della consulenza oltre che a specifici comparti aziendali. In particolare la industry della comunicazione eroga professionalmente consulenza e servizi attraverso agenzie, gruppi di comunicazione integrata, studi professionali, consulenti singoli che agiscono attraverso figure professionali e addetti fortemente orientati alla creatività o per provenienza scolastica o per percorso formativo ad hoc o per attitudine e capacità personali. Ciò porta facilmente ad intuire come la catena formativa implichi derivate nella scuola ed Università connesse (lauree specialistiche, Master, corsi professionali, ecc.). Il secondo elemento creativo agente all'interno dei Gruppi di comunicazione e nelle strutture imprenditoriali minori è la creazione di strategie d'impresa, veri e propri progetti creativi ideati per risolvere problemi di comunicazione esterna ed interna delle aziende clienti. Qui la derivata indotta è data a sua volta dalla catena dei fornitori di creatività specialistica che agiscono spesso come portatori di conferme di fattibilità dei progetti stessi. Anche dal lato degli utilizzatori della comunicazione (imprese pubbliche e private) vi è apporto all'economia della creatività, seppur in percentuale minore, attraverso alcuni profili di addetti aziendali impiegati nelle Direzioni della Comunicazione. Quando poi le strategie ed i progetti vengono messi in atto dalle imprese si snoda spesso una lunga collana della creatività classica (design, prodotti cartacei, video, allestimenti, scenografie,oggettistica) e di creatività innovativa (web, guerrilla). 187 Da non sottovalutare infine, anche se più difficile da quantificare, il contributo creativo che i Comunicatori d'Impresa danno alle Direzioni Aziendali per la creazione di prodotti e servizi come risposta delle imprese all'ascolto dei bisogni della società e del mercato Naturalmente la collocazione del settore nel quadro della creatività applicata alle dinamiche relazionali delle imprese è ben circoscritta nel concetto di “competenza comunicativa” (Morelli, 2003) descrivendo “l’insieme delle abilità linguistiche ed extralinguistiche , queste ultime di tipo sociale e di tipo semiologica,consolidando in esse tutto ciò che è indispensabile ad una comunicazione efficace ed efficiente”. Tendenze della comunicazione pubblica La pubblicità però non è solo quella legata alla promozione della notorietà della marca. Esiste, come è noto, anche il ben strutturato settore della comunicazione così detta pubblica (Rolando, 2003) o di pubblica utilità (Rolando, 2004) o, ancora, comunicazione non profit, che comprende “l’insieme di attività di comunicazione, messe in atto da un soggetto pubblico o privato, volte a promuovere finalità non lucrative” (Gadotti, 2001, p. 16). In quest’ambito rientrano le strutture della Pubblica Amministrazione, gli enti parastatali, le grandi istituzioni, i partiti politici, il sistema associativo e i soggetti della rappresentanza e le organizzazioni non profit. A fianco di questi soggetti si trovano però anche aziende pubbliche o private, che operano quindi all’interno del mercato, con iniziative non profit. Si pensi alle attività di sostegno delle cause sociali intraprese dalle aziende anche tramite le attività di cause related marketing (Dash/Abio, Pomellato/WWF, Svelto/Comunità Sant’Egidio e Opera San Francesco, solo per citarne alcune), ma anche all’attività di sensibilizzazione nei confronti di tematiche di pubblica utilità (ad esempio l’impegno di Heineken contro la guida in stato di ebbrezza). Gli obiettivi della comunicazione sociale – individuabili prevalentemente nella comunicazione della propria identità, nell’aumento del livello di notorietà, nelle attività di fundraising e nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica in merito a temi e problemi di carattere sociale (valori/diritti) – si raggiungono con l’utilizzo degli strumenti tipici della comunicazione commerciale, con gli stessi media e, spesso, anche servendosi delle stesse agenzie di pubblicità. Per comprendere le specificità della comunicazione pubblica – che ha avuto negli anni novanta un quadro di riferimenti normativi per radicarsi (dalla legge 241 del 1990 alla legge 150 del 2000, senza dimenticare la costituzione degli uffici per le relazioni con il pubblico attraverso il decorato legislativo 29 del 1993) – è stato chiesto a Roberto Grandi, docente di Comunicazione Pubblica a Bologna, come definirebbe oggi i profili di "creatività" in Italia nel settore della comunicazione sociale, politica e istituzionale. I tre settori che nel loro insieme rappresentano la comunicazione pubblica si diversificano anche in relazione ai profili di “creatività”. Per quanto riguarda la comunicazione sociale una dose rilevante di “creatività” all’interno del suo processo comunicativo viene ritenuta un forte elemento di valorizzazione. In questo settore la creatività fa riferimento alle fasi di ideazione, realizzazione e veicolazione dei vari testi. La committenza “sociale” permette di innovare, anche fortemente, i contenuti, i modi di esprimerli e i media utilizzati, quindi la comunicazione di marketing e le relazioni pubbliche, con particolare attenzione ai rapporti con i media e alla costruzione di eventi. La comunicazione dell’istituzione pubblica avendo obiettivi molto vari – dall’informazione di servizio all’informazione di cittadinanza - e facendo riferimento a istituzioni tra loro molto differenti – per dimensioni, mission, strutture - attua modalità di comunicazione creative un 188 po’ a macchia di leopardo. In particolare si tratta di profili creativi che hanno a che fare con la costruzione di campagne, la creazione di eventi e, anche, di modalità di democrazia partecipativa attraverso innovazioni nelle comunicazioni che portano a processi inclusivi. Modalità comunicative creative sono meno applicate in riferimento alla comunicazione interna. La comunicazione politica è un po’ prigioniera, in Italia, del clima di campagna permanente in cui viviamo già da alcuni anni. Si tratta, quindi, di una comunicazione politica che si configura come campagna elettorale che pone vari limiti ai profili creativi: gli obiettivi a breve termine, la concentrazione in periodi brevi e intensi che non sedimentano, i vincoli posti dalle norme specifiche. Non esiste quindi una sostanziale differenza tra chi si occupa di creatività per il pubblico e chi invece lo fa per il settore privato. Le differenze se mai si possono rilevare negli investimenti. Gli investimenti Una recente ricerca effettuata da Eurisko (Vita, 2008) rileva che le organizzazioni non profit italiane derivano i loro finanziamenti principalmente da privati (63,5%), che le campagne sociali hanno avuto nel 2007 un incremento del 17% rispetto al 2006 e che, in particolare, sono state effettuate 169 campagne con un investimento complessivo pari a 89.436.000 euro (23.293.000 euro in più dell'anno precedente). La crescita degli investimenti lordi conferma il trend positivo già iniziato tra il 2005 e il 2006, che aveva mostrato un incremento percentuale pari all’11,1%. Le informazioni sono confermate dai dati riportati dall’Osservatorio sul marketing sociale (realizzato da Sodalitas in collaborazione con Nielsen Media Research) che misura gli investimenti delle imprese italiane in marketing sociale, e documenta le campagne di CRM realizzate in Italia. La tabella 1 mostra l’incremento che si è avuto nel 2007 per gli investimenti nelle campagne di CRM. Tabella 1 – Investimenti in campagne di Cause Related Marketing Gennaio/Settembre 2006 2.286 66.143 Gennaio/Settembre 2007 6.334 89.436 Differenza 07/06 169 +17% Totale annunci Investimento lordo (migliaia di ) Totale campagne 145 Fonte: elaborazione personale su dati Sodalitas- NMR. +177% +35% I dati raccolti dall’Osservatorio mettono in luce (Tabelle 2), inoltre, come ci sia stato un generale incremento di tutti i mezzi utilizzati con particolare rilevanza della stampa (9 punti percentuali i periodici e 6 i quotidiani). Tabella 2 - Media utilizzati per la comunicazione sociale Televisione Quotidiani Periodici Gennaio-Settembre 2006 1,5% 60% 28,7% Gennaio-Settembre 2007 1,7% 66% 37,7% 189 Radio 0,8% Affissioni e internet Fonte: elaborazione personale su dati Sodalitas- NMR. 3,1% 0,5% Confrontando questi dati con quelli riportati nel Primo Rapporto Sociale in Italia (OCCS, 2005) si può notare come ci sia stato un incremento costante degli investimenti in pubblicità sociale che al 2003 erano pari a 327.040.000,00 euro. Sempre al 2003 la quota maggiore di investimenti era legata alle campagne sociali gratuite (soprattutto su tv, radio e stampa) che rappresentavano quasi il 50% del totale, mentre poco più del 40% era rappresentato da campagne di natura ministeriale. Il rimanente riguardava campagne prodotte da soggetti privati. Ci si rende conto delle differenze di dimensione se si confrontano queste cifre con quelle riportate nella tabella 3 relative agli investimenti pubblicitari complessivi. Ciò nonostante è proprio nelle campagne sociali che si soprattutto nel recente passato, è stato possibile individuare un tentativo di creatività fuori dalla traduzione italiana. Si pensi alle campagne realizzate da Oliviero Toscani per la Benetton (anche se non si trattava di pubblicità sociale in senso canonico), sicuramente non tradizionali e non conformiste, ma anche alle prime campagna di sensibilizzazione realizzate da Pubblicità Progresso nella seconda metà degli anni ’70 (“Chi fuma avvelena anche te. Digli di smettere”, “C’è bisogno di sangue. Ora lo sai”) che utilizzavano una modalità enunciativa estremamente forte e diretta, ben lontana dall’edulcorata realtà proposta dagli spot commerciali. Tabella 3 - Gli investimenti pubblicitari in Italia (in milioni di ) QUOTIDIANI PERIODICI E MAGAZINES PERIODICI PROFESSIONALI TOTALE STAMPA TELEVISIONE ESTERNA RADIO CINEMA TOTALE INVESTIMENTI MEZZI CLASSICI PROMOZIONI DIRECT RESPONSE RELAZIONI PUBBLICHE SPONSORIZZAZIONI INTERNET TOTALE AREA ALLARGATA Fonte: elaborazione personale su dati UPA 2005 1.625 1.226 170 3.021 4.916 750 555 75 9.317 2006 1.662 1.280 170 3.112 4.999 777 567 68 9.523 2007 1.770 1.313 300 3.383 5.081 807 601 68 9.940 3.620 2.271 1.842 1.369 131 18.550 3.751 2.314 1.927 1.409 194 19.118 4.217 2.372 2.014 1.446 550 20.539 Dalla tabella emerge ancora la netta predominanza degli investimenti in comunicazione televisiva e questo nonostante la dichiarata obsolescenza dei mezzi classici, che non consento l’interazione con il pubblico e che sono meno flessibili e incapaci di adattare codici e modelli alle mutate esigenze del target (UPA, 2007). Lo scenario predittivo che emerge dal Futuro della Pubblicità mette in evidenza il differenziale che si riscontrerà fra il tasso di crescita dell’economia e quello degli investimenti destinati ai mezzi classici, a testimonianza della loro crescente inefficacia alla profilazione dell’audience. 190 Di contro si può notare l’incremento notevole degli investimenti nel canale Internet che testimonia la presa di coscienza degli utenti della volontà dello spettatore di avere un ruolo attivo anche nell’ambito della comunicazione, con il superamento della fruizione passiva. Internet, come si è detto, ha permesso la partecipazione alla ‘produzione’ dell’informazione, grazie alla fruizione dei nuovi media interattivi e alla presenza di format partecipativi (come i blog e i forum). Sempre i dati forniti dall’UPA consentono si valutare quanto sia, in percentuale, l’incidenza degli investimenti sul PIL (si vedano le tabelle 4 e 5). Tabella 4 - Tassi di crescita e indicatori macro economici TASSI DI CRESCITA REALI MEZZI CLASSICI (compresi costi di produzione INIZIATIVE DI COMUNICAZIONE INTERNET PIL Fonte: elaborazione personale su dati UPA 2005 2006 2007 % 0,6 % -0,1 %. -0,3 2008 (stima) % 0,4 0,9 16,5 0,1 0,8 44,8 1,9 1,1 32,4 2,0 1,3 27,8 1,6 La diminuzione dell’incidenza sul PIL dei mezzi classici che si è riscontrata negli ultimi anni rafforza l’ipotesi, ancora una volta, del disinvestimento in particolare nella televisione a fronte di investimenti in altri mezzi e in forme di comunicazione non convenzionali (che sono cresciute del 3,1% ). Tabella 5 - Investimenti pubblicitari in rapporto al PIL TOTALE MEZZI CLASSICI/PIL TOTALE AREA CLASSICA/PIL Totale generale/PIL Fonte: elaborazione personale su dati UPA 2005 2006 2007 0,68 0,73 1,27 0,66 0,72 1,26 0,65 0,71 1,24 2008 (stima) 0,64 0,70 1,24 Le previsioni per il 2008 confermano la ripresa degli investimenti nelle discipline dell’area allargata e delle forme non convenzionali che si stimano in un +3,2%. Cresceranno anche gli investimenti sul web (+30,2%) aiutati anche dalla diffusione della banda larga e dall’aumento delle possibilità di connessioni wireless che favoriranno anche iniziative di marketing specifico. Creatività e identità competitiva Un discorso a parte va fatto per l’area della comunicazione che riguarda maggiormente il tema dell’identità: la sua costruzione e il suo mantenimento. Gli investimenti in questa forma di comunicazione non sono ovviamente così facilmente rilevabile, ma ciò nondimeno sono sempre di più le aziende, le istituzioni e i soggetti di rilievo pubblico e sociale che perseguono con più attenzione il presidio alla loro identità visuale, come pre-condizione di qualunque operatività comunicativa che cioè determina strategie di sviluppo di una pre-condizione relazionale contenuta nella corporate communication. La contaminazione tra comunicazione e marketing è quindi all’origine di un vasto quadro 191 applicativo di tecniche, prodotti e servizi – sia nell’area commerciale che di servizio – connessi alla sfera della promozionalità. Questo ambito – in cui agiscono, alla ricerca di sintesi, profili professionali e disciplinari differenziati – ha in Italia tradizione e un discreto sviluppo, definendosi il valore aggiunto creativo proprio nella necessità di raccordare ricerca sociale e identitaria, cultura storica della tradizione (istituzionale e di radicamento), cultura del design e del processo di comunicazione integrata, valutazione (nell’utenza e tra gli interlocutori esterni) della reputazione. I soggetti che dispongono di questo genere di presidio (come lo hanno avuto grandi aziende e come cominciano ad averlo anche alcune moderne istituzioni, tra cui le maggiori città consapevoli del ruolo rivestito oggi dal branding pubblico) creano in questo ambito un vero snodo di regia e di controllo delle attività comunicative e pubblicitarie, costantemente ricondotto alla valorizzazione (ma anche alla correzione e al riorientamento) del patrimonio simbolico acquisito. Come osserva – con riferimento agli sviluppi attuali del presidio – Daniele Comboni, docente di Comunicazione e operatore professionale nel campo della corporate identity. Benché il sistema contabile adottato in Italia non permetta di patrimonializzare il brand così come quello anglosassone (una sorta di “magazzino” in cui sia deposto un bene e dove questo bene sia l’espressione di un patrimonio intangibile), finalmente anche da noi i temi legati a branding e identità iniziano a costituire un segmento ben definito della comunicazione, con una sua dignità, un sistema professionale sottostante, una sua riconosciuta merceologia. Dietro all’identità visiva (come viene solitamente chiamata con vocabolo italiano) si cela un mondo di valori, di riconoscimento simbolico, di appartenenze, di identificazione che in realtà è vecchio quanto il mondo (basti pensare al valore della bandiera fin dal passato). Ma è un mondo che, in quanto segmento di comunicazione, si è iniziato a riconoscere tardi, soprattutto da parte del sistema pubblico. Il settore turistico ad esempio, con la tematica del “marchio d’area” ha iniziato a scoprire il valor del brand ( e ultimamente spesso ad abusarne) e forse col turismo è iniziato un processo di assegnazione di identità attraverso un marchio anche a “prodotti” atipici nei quali il detentore del brand non è un privato, e neanche una Amministrazione pubblica nel senso letterale, ma una comunità di stakeholders, che in quell’area esercitano la propria funzione, pubblica e/o privata (dai residenti alle imprese, dagli esercenti alle amministrazioni). Dietro al brand si inizia finalmente a profilare un sistema, fatto da un lato di formazione (attraverso la definizione di profili professionali e formativi sottostanti) e di costruzione di comunicazione (attraverso il recepimento del branding in tutti i Piani di comunicazione, privati e pubblici e l’assegnazione al branding di righe di budget e di risorse umane); all’altro di “racconto di sé” (pensiamo ancora una volta alle bandiere e alla loro trasposizione simbolica, ma anche storica, nei marchi identitari, ad esempio, di un territorio); e finalmente di “identità competitiva”, secondo la felice definizione di Simon Anholt che ne fa il caposaldo della cosiddetta “public diplomacy”, ovvero del sistema competitivo pubblico tra nazioni, regioni e città, in cui il valore percepito del brand (e della sua dimensione di sogno ovvero tensione a recarsi in quel paese, quella regione, quella città) è chiave di volta della dimensione competitiva che conferisce competitività alo territorio. 192 Proposte e raccomandazioni Sono qui annotate alcune proposte che incidono sulle dinamiche creative nel settore della comunicazione e della pubblicità, non quindi tali da abbracciare questioni aperte dal punto di vista strutturale al dibattito generale sulla normazione e sul negoziato di interessi. Leggi, codici di autodisciplina, innovazioni tecnologiche costituiscono ambiti di più ampia attuale discussione di un settore che, comunque, tendenzialmente ha sempre espresso una certa autoreferenzialità nella gestione dei propri problemi, con poca dipendenza da forme di intervento economico pubblico (con una curva leggermente ascendente nell’area dello spending in comunicazione pubblica). Libertà culturale La condizione generale di libertà culturale del paese è cornice essenziale per garantire processi creativi nella dinamica della qualità sociale. Abbiamo chiesto a Francesco Morace, sociologo, di fare una riflessione sul tema della “creatività sulla creatività”, ovvero su come si comunica oggi la creatività italiana connessa al made in Italy: L’originalità e la creatività non stanno nei contenuti, bensì nelle strategie, nei modi, nei procedimenti per destrutturate, decostruire, scardinare la tradizione filosofica e culturale dell’Occidente. La creatività nella vita materiale è resa possibile anche da questa maggiore soglia di libertà che nel quotidiano si esprime attraverso percorsi individuali non prestabiliti, che sono spesso anche ricreatici, cioè legati al gioco e al divertimento. La ri-creazione introduce al concetto di ripetizione che nel genius loci italiano gioca un ruolo fondamentale, e che rende compatibile artigianato e industria, creatività artistica e logica seriale. In questa prospettiva è la categoria dell’uso a prevalere, dei piaceri ripetuti e irripetibili della vita quotidiana, del caffè o del vino, del bottone o del filo, della finitura e del materiale, che hanno appunto una valenza profondamente ri-creativa. L’incidenza della comunicazione e soprattutto della pubblicità nella vita dei cittadini (declinati altresì come consumatori, come utenti, come elettori) apre il vasto capitolo delle problematiche di autodisciplina delle categorie professionali del settore e delle problematiche di trasparenza della soglia etica dei comportamenti degli operatori, degli investors e delle superfici mediatiche che è materia in ordine a cui le regole e i parametri hanno il compito di fornire la massima informazione ai soggetti implicati così da determinare soglie di responsabilità nel sistema professionalmente coinvolto e negli stessi utenti. La tutela dei minori e dei soggetti più deboli – in una visione che i soggetti creativi devono vivere e condividere – continua ad essere ambito di impegno istituzionale in ordine a cui è segno di civiltà collocare una costante responsabilizzazione sia delle autorità di governo che soprattutto del sistema legislativo e parlamentare da cui dipendono profili di garanzia e controllo Fare sistema. La relazione pubblico-privato. Regolare il negoziato su norme e regole Da sempre il settore della comunicazione ha una debole interazione con il quadro istituzionale. Competenza cioè considerata storicamente propria del “mercato” e regolata da normative tecniche specifiche ma meno da “politiche pubbliche”. In realtà, l’assunzione di responsabilità da parte di Stato e istituzioni come soggetti comunicanti o come soggetti interagenti (il settore del branding pubblico e del marketing territoriale sono due evidenti ambiti applicativi di questo orientamento sinergico) ha aperto da anni una “contaminazione” culturale e professionale tra ambiti istituzionali e culture professionali della comunicazione. Un baricentro istituzionale è ancora oggi immaginabile nel ruolo coordinante della Presidenza del Consiglio dei Ministri – da intendersi anche come luogo di verifica sull’attuazione di normative interessanti per il settore – ma in stretto rapporto con altri segmenti che approfondiscono il ruolo del comparto a favore 193 dell’economia, della cultura e degli affari sociali della comunità nazionale (un esempio è quello del Consiglio Nazionale per il design da poco radicato presso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ma altre connessioni sono evidentemente da rintracciare presso Ministeri – o competenze ministeriali – di carattere economico come quello del Turismo, dello Sviluppo, del Commercio estero, oltre a quello citato dei Beni Culturali e altri ancora). Dunque una raccomandazione investe l’opportunità di immaginare uno strumento più strutturato e di relazione tra competenze istituzionali e comparti creativi della comunicazione. In tale raccordo tre specifiche istituzioni andranno adeguatamente coinvolte sollecitando il loro profilo attenzionale a sviluppare iniziativa in questo campo. Si tratta del Consiglio superiore delle Comunicazioni, presso l’omonimo Ministero (soprattutto per il raccordo con i nuovi processi tecnologici della comunicazione) e le due Autorità garanti per le Comunicazioni e per i dati personali (privacy). Fare sistema. La rappresentazione dello sviluppo del settore. Il carattere frammentato delle organizzazioni professionali di settore potrebbe essere sollecitato ad una iniziativa di rappresentazione del rapporto evolutivo di questi comparti rispetto ai caratteri di un’area di costruzione del valore aggiunto che come si è visto ha una sua non marginale quota nel perimetro complessivo di ciò che è qui definito come comparto creativo. Product placement Con l’entrata in vigore della “Legge Urbani sul Cinema” (DLS 28/2004), che include un capitolo riservato al product placement, si è aperta per le aziende la possibilità di inserirsi e di inserire i loro prodotti all'interno delle pellicole cinematografiche di produzione italiana (come è noto il fenomeno del product placement trova da sempre ampio riscontro all’estero, soprattutto nelle produzioni statunitensi, mentre in Italia era stato bandito dal decreto legislativo 74 del 1992 che lo equiparava alla pubblicità occulta (Mortara, 2005). Dal 2004 ad oggi non sembra che questa opportunità sia stata colta in maniera adeguata dalle aziende italiane: sono ancora relativamente pochi, infatti, i casi di produzioni cinematografiche nostrane che hanno beneficiato degli investimenti in questo strumento (le eccezioni sono rappresentate da film come Natale a Miami, o Il mio miglior nemico 2005 in cui numerose aziende hanno inserito i loro marchi e i loro prodotti). Il grande limite del Decreto Urbani, però, è quello di non aver legittimato l’inserimento di brand e prodotti all’interno delle produzioni televisive (quasi “dimenticandosi” che, nella logica della long tail, i film approdano comunque all’interno mura domestiche, prima grazie al mercato dell’home video, poi attraverso i canali satellitari e, infine, attraverso le reti televisive tradizionali). In questo senso l’Italia (e l’Europa) è rimasta indietro rispetto a quanto avviene nel resto del mondo (si pensi che il mercato mondiale del product placement in tv è cresciuto del 46% nel 2004, raggiungendo un volume di 1,8 miliardi di dollari e superando quello nel cinema). È solo nel dicembre del 2005 che la Commissione Europea approva uno schema di aggiornamento per la direttiva sulla "Tv senza frontiere" del 1989, che tiene conto dei progressi fatti in questi anni sui linguaggi e sulle tecnologie televisive. In questo schema, il posizionamento dei prodotti sarebbe autorizzato insieme con altre nuove forme di pubblicità, come quella virtuale o interattiva, con l'obbligo però di informare preventivamente i telespettatori. Il passo successivo viene fatto nel maggio del 2007 quando viene siglato l’accordo tra Commissione e Parlamento Europeo sulla direttiva che rinnova le norme sulla televisione che, ammorbidendo le regole sulla pubblicità, consente l’introduzione di prodotti sponsorizzati negli show televisivi e accantona il divieto di inserire product placement nei set televisivi. L’attuazione è prevista per il 2009 (Martino, 2007), ma in Italia se ne è parlato pochissimo, questo perché se questo nuovo strumento rappresenta un’opportunità per le imprese è visto però come una minaccia dalle agenzie di pubblicità 194 che prevedono un’ulteriore frammentazione del budget di comunicazione a discapito dell’advertising classico. Diritto d’autore Il tema del diritto d’autore è di sicura rilevanza nell’ambito delle raccomandazioni che qui si sono delineate. Il diritto d’autore, infatti, si applica alle «opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione» (art. 2575 c.c. e l’art. 1 l. 22.4.1941, n. 633). È evidente che un primo problema si pone nella definizione di opera dell’ingegno che è definita “come quella creazione intellettuale che assume una forma esteriore rappresentabile, caratteristica questa che ha un’importanza cruciale nella de-terminazione dell’oggetto della protezione, appartenente in senso lato alle categorie fenomenologiche del mondo della cultura” (Lazzareschi, 2007, p. 207). Tra le categorie soggette a protezione rientrano le opere letterarie (che utilizzano la parola per esprimersi sia per iscritto che oralmente), le opere e le composizioni musicali (opere liriche, sinfoniche, musica leggera, canzoni popolari, opere composte di sola musica o di solo testo), le opere coreografiche e pantomimiche (quelle che utilizzano il corpo come mezzo di espressione; è necessario però che esista traccia scritta o comunque fissata su un supporto audio o video). La protezione si estende anche ai prodotti della scultura, della pittura, dell’arte del disegno, della incisione e delle arti figurative similari, compresa la scenografia e, nell’ambito architettonico anche gli edifici, gli arredamenti, i giardini sono stati inclusi, assieme ai disegni, fra le opere da tutelare; ovviamente sono considerate opere dell’ingegno anche i film e le fotografie. Fra le opere dell’ingegno non si fa riferimento diretto alla creatività pubblicitaria, anche se la materia è disciplinata, sul piano generale, dalle norme degli artt. 2222 segg. c.c. e dalla legge 22 aprile 1941, n. 633 e successive modificazioni apportate dalla L. 18 agosto 2000 n. 248 («nuove norme di tutela del diritto d’autore» G.U. 206 del 4/9/2000) (Ubertazzi, Ubertazzi, 2003). Inoltre, con riferimento agli articoli 13 e 44 del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale chi intende tutelare una futura campagna di comunicazione, può depositarne gli elementi essenziali (con una sintetica ma significativa descrizione, eventualmente anche visiva, dell'idea che si intende proteggere). Dato che il diritto d’autore non tutela l’idea in sé, né le informazioni contenute nell’opera e neppure il contenuto, ma la forma con cui questi elementi vengono utilizzati, applicare il diritto d’autore al settore della comunicazione e del branding vuol dire da un lato chiedersi in che modo siano tutelate le idee creative che sottostanno, ad esempio, ad una campagna pubblicitaria dall’altro quanto ci si possa ispirare ad un’opera d’arte o quanto so possa “citare” un film, un quadro o anche una precedente campagna pubblicitaria. Rapporto con l’Università e la formazione Come si accennato i corsi di laurea in scienze della comunicazione (e percorsi affini, quali relazioni pubbliche e pubblicità) hanno avuto radicamento universitario all’inizio degli anni novanta, dopo decenni in cui le professioni fino allora prevalenti del sistema – quella dei giornalisti e quella dei pubblicitari – si facevano spesso vanto di non avere una laurea universitaria ma di concepire la validazione professionale “a bottega”, ovvero nell’esperienza dei luoghi di esercizio della professione. Il contesto professionale (oggi i profili professionali disegnati compiutamente nel mercato del lavoro della comunicazione sono oltre cento), l’incidenza delle nuove tecnologie, la costruzione di un ambito di riferimento disciplinare di tipo mediologico che comincia ad affrancarsi dall’insieme delle discipline “genitoriali” (la sociologia, l’economia, la filosofia tra le prime), la straordinaria crescita del rilievo dell’economia immateriale (Rullani, 2004) attorno a questo quadro di funzioni e professioni, l’interdipendenza essenziale che si è andata costruendo tra molti 195 settori e quello della comunicazione (la moda, il design, lo sport, lo spettacolo, l’arte, il patrimonio culturale, il turismo, eccetera), insomma un vasto numero di fattori pongono l’alta formazione (universitaria e prost-universitaria) nella condizione di reagire efficacemente alle ironie di chi ancora qualche anno fa criticava la crescita di questo ambito disciplinare vagheggiando il bisogno di “ingegneri” contro il rischio di sviluppo di professioni “effimere”. Approccio che in realtà doveva essere inteso come stimolo a qualificare sempre di più l’offerta formativa nel settore, non dando spazio a offerte deboli e riciclate ma sostenendo invece ambiti di solida competenza e di capacità dimostrata nella ricerca e nell’innovazione legate alla didattica. Dunque la raccomandazione che questo punto sottolinea riguarda proprio l’importanza della connessione con una realtà della formazione in cui il fattore qualitativo (e le necessarie valutazioni) sia al centro di alleanze tra istituzioni, imprese e sistemi professionali per mantenere sia vigilanza della cultura sugli sviluppi professionali, sia vigilanza dei mercati competitivi sul trattamento accademico. Le competenti istituzioni (educazione, lavoro, cultura e soprattutto università e ricerca) hanno qui compiti di vigilanza commisurati con il rilievo di raccordo che questo ambito di offerta formativa esprime nei confronti dell’intero campo della creatività con al centro un filo rosso certamente rappresentato dalle scienze della comunicazione, dagli studi sul design, dalle scienze legate al turismo e alla cultura e alla promozione del territorio, dalle scienze legate all’information&communication technology. Vigilanza che deve trovare nel costante ascolto dei sistemi professionali e di impresa la fonte di un continuo aggiornamento dell’offerta formativa che, nel settore, si muove con dinamiche tra le più veloci esistenti nel campo della formazione universitaria. Trend Infine, si vogliono indicare in questa sede alcune tendenze emergenti a livello delle prassi, anche internazionali. Si tratta di profili che la letteratura professionale e disciplinare recente ha evidenziato e che vengono richiamati come ambiti di attenzione nel prolungamento delle indagini e delle rilevazioni sull’evoluzione del settore. • Nonostante la pubblicità tradizionale sembri ancora tenere, almeno dal punto di vista degli investimenti (come si può notare dalla tabella 3), da più parti si legge che è in atto un processo di evoluzione e di differenziazione (Berman S. J et al., 2007). Il sovraffollamento mediatico ha definitivamente ridotto l’impatto dell’advertising classico, la diffusione dei canali tematici, le trasmissioni satellitari o via decoder hanno ridimensionato in maniera progressiva l’esposizione di alcuni particolari target alla televisione (Lombardi, 2007). L’esempio che ci viene dagli altri paesi, in primis dagli USA, induce a pensare che da adesso in poi la pubblicità da sola non basterà più a sostenere l’immagine di marca e ad aumentarne la notorietà. Sarà infatti necessario utilizzare un’idea creativa che sia media neutral, ovvero che possa essere declinata su più mezzi senza perdere di efficacia, ma anzi sfruttando l’effetto accumulo (Lombardi, 2007). Questa strada è già stata imboccata in Italia da alcune imprese: si pensi a Lavazza e a Ferrero. • Un’ulteriore tendenza è quella che vede i creativi coinvolti nel suscitare l’engagement del consumatore (Lombardi, 2007): ovvero contribuire a far sì che quest’ultimo sia fatto partecipe, tramite esperienza diretta, delle diverse attività della marca (si inseriscono in questo contesto gli eventi organizzati ad hoc, le sponsorizzazioni, l’implementazione di comunità virtuali) e non sia più solo un ricevente passivo delle sue affermazioni (tipicamente diffuse tramite la pubblicità). A questo proposito sembra interessante citare il commento fatto agli investimenti in comunicazione non convenzionale che esemplifica anche la contingente difficoltà di quantificazione sia in termini di spesa che di numero di addetti: “La prorompente crescita delle forme non convenzionali5, spesso contigue a quelle consolidate o frutto della loro integrazione creativa, agisce quale ulteriore 5 Rientrano in questa categorie le tecniche di guerrila, di viral e di ambient media. 196 elemento perturbativo, rendendo impossibile la classificazione secondo le usuali modalità, mentre molti operatori di successo risultano estranei alle categorie e alle famiglie professionali impegnate nella comunicazione ‘non media’” (UPA, 2007, p. 94). • Internet sta assumendo un ruolo sempre più fondamentale, lo dimostrano le cifre degli investimenti in questo mezzo, ma anche le sperimentazioni continue che si sono avute grazie al mondo del web. Si pensi, ad esempio, alle potenzialità che l’esistenza di mondi virtuali quali Second Life ha aperto alle aziende. Si tratta di potenzialità che sono state spesso sfruttate in maniera troppo tradizionale, replicando cioè nella seconda vita esattamente quanto avveniva nella Real Life (e le imprese che si sono mosse in questa direzione sono state anche le prime a disinvestire), ma nonostante apparentemente il fenomeno si sia rapidamente sgonfiato, le alte potenzialità relazionali e l’elevata interazione dell’ambiente virtuale, aprono sicuramente nuove strade alle figure creative emergenti. Si pensi al concorso lanciato da Coca Cola, nell’aprile del 2007, per ideare la vending machine del futuro, o alle attività promosse dalla Nseries di Nokia. Si tratta del primo progetto di cinema partecipativo, nella logica tipica del Web2.0 (Prati, 2007), inaugurato lo scorso 2 ottobre, che avrà come esito un serial movie, Tigri di Carta, composto da 14 episodi della durata di tre minuti (http://www.playthelab.it/) in cui attori e registri saranno gli utenti di SL. • Infine, per rimanere in ambito italiano, non si possono non citare le raccomandazioni che i creativi fanno a sé stessi (ADCI, 2004) nell’ottica di rendere il loro lavoro migliore. In primo luogo emerge la necessità di prestare una maggiore attenzione al prodotto e al target a cui si comunica. Spesso infatti, vengono privilegiate le idee e la loro realizzazione piuttosto che la coerenza con il brief del cliente. Un altro elemento importante sembra la necessità di tenersi aggiornati sulle nuove tendenze della comunicazione. Questa mancanza, che spesso è legata anche a una carenza di tempo, indica che ci sono nuovi spazi per una tipo di formazione continua che faciliti l’aggiornamento costante. Last but not least anche i creativi, così come già i manager, lamentano una certa mancanza di coraggio nel proporre idee innovative che, forse, si può ricollegare alla pesante, e già citata, eredità di Carosello. 197 Bibliografia essenziale AA.VV. (2003), I quaderni della comunicazione. 50 anni di Festival. Creatività multidisciplinare, Milano, ADVexpress. ADCI (2004), La ragione del cliente. Indagine sulla valutazione e il riconoscimento della creatività nella comunicazione commerciale italiana, svolta tra i manager delle aziende che investono in pubblicità, reperibile al seguente indirizzo http://www.adci.it/sito/db/pdf/ADCI_ricerca.pdf. Berman S. J., Battino B., Shipnuck L., Neus A. 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