Simon Bolivar - vita e lotte
Nella storia dell’America Latina riecheggia sempre il nome di Simon Bolìvar,
soprannominato il LIBERTADOR perché ha combattuto per l’indipendenza dei paesi
sudamericani dalla Spagna e dal Portogallo.
Vita
Nato a Caracas il 24 luglio 1783 da una ricca famiglia spagnola, fu educato secondo le idee
dell’Illuminismo, vivendo tra la Spagna, l’Italia e la Francia e conoscendo da vicino la
Rivoluzione francese e l’ascesa napoleonica.
Durante un viaggio in Europa, a Parigi conobbe lo scienziato tedesco Alexander von Humboldt;
da quest’incontro, in Bolìvar cominciò a radicarsi la convinzione che le colonie americane
dovessero essere libere. Continuando il suo viaggio, giunse a Roma e, salendo sul colle
Aventino in compagnia del suo amico e maestro Simon Rodriguez, prestò questo giuramento:
“Per il Dio dei miei genitori, giuro per loro; giuro per il mio onore e giuro per la patria, che non
darò pace al mio braccio, né riposo alla mia anima, finché non avrò spezzato le catene che ci
opprimono!” (Giuramento Del Monte Sacro 15/8/1805)
La miccia della ribellione si accese in seguito all’invasione della Spagna da parte di Napoleone
nel 1808. Il re Ferdinando VII fu deposto e sostituito da Giuseppe Bonaparte. Nel resto della
Spagna si formarono Giunte Autonome di Governo e lo stesso accadde nelle colonie
americane, dove nacque un grande movimento indipendentistico guidato dai creoli (bianchi nati
nelle colonie), che assunsero l’autogoverno che desideravano.
Caracas fu la prima città ad eleggere una Giunta che rifiutò l’autorità del Consiglio di Reggenza
spagnolo e che adottò misure radicali, come la riduzione della pressione fiscale e l’apertura
commerciale; quest’ultima era sempre stata impedita dalla madre patria, che voleva sfruttare in
maniera esclusiva le ricchezze delle terre americane. Il movimento, però, non ebbe la forza di
estendersi alle altre città, anche perché i creoli, rappresentando la minoranza della popolazione,
non cercarono mai l’appoggio degli Indios e dei Meticci. Infatti, la Costituzione che si adottò a
Caracas nel 1811, sul modello di quella nordamericana, manteneva, però, i privilegi
dell’oligarchia dei creoli e la loro egemonia politica, con poche pretese liberali.
Questa esperienza repubblicana fallì presto, poiché nella regione Llanos, contrapposta
all’oligarchia di Caracas, i gruppi di Llaneros di Josè Tomàs Boves si scontrarono con Bolìvar
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ed i suoi uomini, fino alla caduta di Puerto Cabello, difesa da Bolìvar stesso. Questi si diresse
perciò a Cartagena per mettersi al servizio della Giunta e della rivoluzione di questa città.
Simon Bolìvar, consapevole del fatto che in sudamerica, vasto territorio senza strade, con
pianure ed alte montagne inesplorate, l’arte militare non poteva essere appresa dai libri, si
affidò solo alla sua tenacia ed alla sua capacità di imparare dai propri errori e, riorganizzandosi,
ritornò a Caracas. Qui abolì la Costituzione e fondò una nuova Repubblica, assumendo, però,
poteri dittatoriali. Ma ancora una volta le truppe di Boves ebbero la meglio su di lui,
sconfiggendolo a Puerta; decise così di abbandonare la resistenza e di rifugiarsi nuovamente a
Cartagena, cercando, però prima di raggiungerla, di liberare le città di Santa Marta e
Maracaibo.
Nel frattempo in Europa, con la caduta di Napoleone e l’avvento della Restaurazione, si tornava
alla monarchia: re Ferdinando VII, tornato sul trono di Spagna, cercò subito di favorire la
riconquista delle colonie sudamericane ed, infatti, nel dicembre del 1815 il principale porto della
Nueva Granada (attuale Colombia) cadde in mani spagnole. Nel giugno del 1816 tutta la Nueva
Granada era di nuovo sotto il dominio spagnolo.
A questo punto Bolìvar si rifugiò prima in Giamaica e poi ad Haiti; da qui riuscì a stabilire buoni
contatti con i guerriglieri delle Guyane e dei Llanos e ad organizzare un primo sbarco ad
Ocumare nel maggio del 1816, che purtroppo fallì; successivamente ne preparò un altro a
Nueva Barcelona, che finalmente riuscì. Rientrato sul continente istallò il suo quartier generale
nella città di Angostura, sull’Orinoco e si dedicò alla preparazione di nuove campagne militari
contro gli Spagnoli, che per tutto l’anno 1817 avevano ottenuto importanti vittorie: erano infatti
riusciti a riconquistare quasi tutto il territorio.
Nel 1819 Bolìvar indisse un congresso in cui propose la nascita di una grande nazione,
costituita dai territori dell’antico vicereame della Nueva Granada, cioè le attuali Venezuela,
Colombia ed Ecuador, chiamata Gran Colombia. Egli fu nominato presidente provvisorio, fino
alla conclusione delle guerre di indipendenza.
Nello stesso anno iniziò una nuova campagna militare attraverso le Ande, dal Venezuela verso
la Colombia; come sempre alla testa dei propri uomini, si distinse nella dura battaglia di Boyaca,
che gli consentì di dirigersi facilmente verso Bogotà, dove fu proclamato LIBERTADOR. Fondò
pochi giorni dopo il Nuovo Stato di Colombia.
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A questo punto Bolìvar ed i suoi uomini si resero conto che era arrivato il momento di sferrare il
colpo di grazia: ingaggiarono una dura battaglia a Carabobo, a sud di Valencia, il 24 giugno
1821, contro le truppe regie, che furono pesantemente sconfitte, riuscendo così a giungere a
Caracas. Il Venezuela era finalmente libero.
L’opera di Bolìvar non era però ancora conclusa. Infatti, una volta riorganizzate le proprie
truppe, si diresse verso ovest alla volta delle ultime città della Nueva Granada, ancora in mani
spagnole, e di Quito. Già nel 1820 Antonio Josè de Sucre, generale di Bolìvar, arrivò in Ecuador
e liberò Guayaquil per poi dirigersi verso Quito; nell’attuale capitale ecuadoregna, le truppe di
Bolìvar e di de Sucre si unirono per liberare la città; riuscirono poi a sconfiggere le truppe regie
a Pichincha, antica capitale inca.
A questo punto restava da liberare l’Alto Perù (attuale Bolivia) e la zona andina peruviana prese
contro i dominatori spagnoli.
A Guayaquil giunse nel 1822 anche il generale argentino San Martìn, che intanto stava
combattendo per la liberazione degli attuali Cile ed Argentina.
Bolìvar, de Sucre e San Martìn avevano l’intenzione di unire i loro sforzi per liberare
definitivamente il Sudamerica dal dominio spagnolo, ma dopo poco il generale argentino
abbandonò l’impresa per partire alla volta dell’Europa; in questa maniera Bolìvar e le sue truppe
venezuelane presero le redini delle nuove campagne indipendentiste.
Il Libertador istallò il suo quartier generale sulla costa peruviana e nel maggio del 1824
cominciò ad avanzare verso sud, ottenendo importanti vittorie a Junin e ad Ayacucho. Agli inizi
del 1825 il generale de Sucre riuscì ad eliminare gli ultimi nuclei di resistenza realista nella zona
di Charcas.
Nel frattempo anche il Brasile, che era sotto la dominazione portoghese, si rese indipendente.
Fu l’unico paese, però, a seguire una via pacifica per la conquista dell’indipendenza.
Dopo l’invasione del Portogallo da parte delle truppe napoleoniche, il re Giovanni VI di
Briganza e la sua corte si erano trasferiti a Rio de Janeiro; solo nel 1821 il sovrano decise di
tornare in patria, lasciando in Brasile suo figlio don Pedro. Questi, per evitare che anche lì si
diffondessero i moti indipendentisti che da alcuni anni caratterizzavano la vita sudamericana,
proclamò il 7 settembre 1822 l’indipendenza del Brasile, facendosi eleggere imperatore con il
nome di Pedro I.
Finalmente tutto il Sudamerica era libero dal dominio spagnolo e portoghese..
L’opera di Bolìvar non era ancora conclusa; da sempre infatti aveva sognato l’indipendenza dei
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paesi latinoamericani accompagnata da una loro modernizzazione da un punto di viste
socio-politico.
Pensiero Bolivariano
La vita del Libertador Simòn Bolìvar fu completamente dedita alla realizzazione di un’America
unita e solidale sotto la bandiera della libertà e della democrazia. È particolarmente nella carta
storica che Bolivar, esiliato, scrisse a Kingston (Giamaica), il 6 settembre del 1815, pubblicata
nel The Royal Gazette, della suddetta città , che le idee internazionali di Bolivar acquistano
lineamenti precisi e si abbozza il suo progetto di una grande confederazione americana, che
proverà a realizzare più tardi nel Congresso di Panama del 1826. In questa carta, scritta
quando ancora non si poteva prevedere l’esito glorioso della campagna emancipatrice, Bolivar
presentava l’organizzazione del Nuovo Mondo su basi di solidarietà continentale, d’uguaglianza
giuridica delle nazioni che la formavano, di un comune regime democratico e repubblicano,
assenza d’antagonismo irriducibile e d’identità d’aspirazioni e dottrine in politica internazionale.
“Io desidero – dice il Libertador - più di tutti gli altri vedere formarsi in America la più grande
nazione del mondo meno per la sua estensione e ricchezza che per la sua libertà e gloria. È
un’idea grandiosa pretendere di formare di tutto il nuovo mondo una sola nazione con un solo
vincolo che leghi le parti tra loro. Poiché hanno una sola origine, lingua, costumi e religione,
dovrebbe di conseguenza avere un solo governo che confederi i differenti Stati che la formano;
di più non è possibile perché situazioni diverse, interessi opposti, caratteri diversi dividono
l’America. Che bello sarebbe che l’istmo di Panama fosse per noi ciò che quello di Corinto era
per i greci”.
“Io dirò a voi - continua Bolivar - ciò che può metterci in grado di espellere gli spagnoli e di
fondare un governo libero: è l’unione, certamente, ma quest’unione non avverrà per prodigi
divini, ma per effetto di sforzi ben precisi. L’America si trova in questa situazione perché e stata
abbandonata da tutte le nazioni, senza relazioni diplomatiche ne aiuti militari”. La carta di
Giamaica, nella quale si rivela la visione politica e il genio di Bolivar, meriterebbe un ampio
commento per interpretare le straordinarie concezioni ed il nobile pensiero del Libertador
d’America.
Lí s’incontra l’uomo di stato, il militare, il diplomatico, l’apostolo della libertà. Questa è una delle
carte più celebri tra quelle che riguardano il Libertador. Bolivar polarizzò intorno al suo genio
politico e al suo prestigio di primo capitano della libertà d’America, le aspirazioni d’indipendenza
in tutti ed in ognuno dei popoli del continente; egli cercava, in effetti, non solo di costituire un
gruppo di nazioni libere e indipendenti, ma anche di allacciare, una volta emancipate, una
all’altra queste nazioni con i vincoli di solidarietà più perfetta affinché l’America Latina potesse
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divenire una vera famiglia unita sotto l’egida del diritto e della democrazia. Quando già
s’intravedeva all’orizzonte la fine della lotta, Bolivar, capo supremo del Venezuela, espone una
volta ancora, alla metà del 1818, il suo progetto di confederare i popoli d’America. L’idea che
Bolivar aveva dell’America del Sud, era quella di una stessa razza, stessa religione, lingua,
pericoli e speranze comuni, uguale destino nella storia e identica concezione del mondo e della
vita e la coscienza di formare una stessa famiglia di nazioni.
Bolivar assunse, dopo la battaglia di Boyacà, la presidenza della Colombia ed ebbe modo di
sviluppare più intensamente e con più efficacia le idee che aveva preconizzato fino allora e che
formano il midollo del trattato “de union, liga y confederaciòn perpetua” che per ispirazione dello
stesso Bolivar, in qualità di Libertador – Presidente della Colombia e Capo Supremo del Perù,
sarà approvato dal Congresso riunito a Panama nel 1826.
Nella lettera di convocazione al Congresso di Panama, diretta ai governi della Colombia, del
Messico, del Río de la Plata, del Cile e del Guatemala, Bolivar traccia le linee essenziali del suo
progetto di integrazione delle giovani repubbliche americane. La ricerca dell’unità americana è
presente sin dall’inizio della sua epopea militare e politica; si evince un certo pessimismo,
paragonando l’unità americana ad “un delirio”, per come risposero i governi cui la citata
convocazione era indirizzata. Solo il Perù, la Colombia, il Centro America ed il Messico,
riuscirono a partecipare al Congresso, mentre gli altri paesi sabotarono l’iniziativa bolivariana.
Dal 1815, con la famosa “Carta de Jamaica” nella quale Bolivar aveva ripetutamente affermato
che i paesi appartenenti alle ex colonie spagnole dovevano formare un’unica confederazione di
Stati, egli pensava che in piccolo l’America rappresentasse l’intera umanità; un’umanità diversa,
nuova, come profondamente nuova era tutta l’America agli occhi dell’Europa. Bolivar intuì che
l’avvenire delle nuove repubbliche era solo nella ricerca dell’unità continentale; in America non
poteva ripetersi ciò che invece era successo nella vecchia Europa dove le nazioni che si erano
formate dallo smembramento dell’impero romano possedevano saldi punti di riferimento nella
loro storia e ognuna di loro andò alla ricerca delle proprie origini nelle nazioni violate
dall’imperialismo romano, cercando di ricostruire, con i dovuti mutamenti, le forme politiche
originarie. Le Repubbliche americane non potevano ripercorrere quelle strade, il loro passato
era breve, le loro origini spesso ignote. I popoli americani erano il prodotto di una razza mista ;
essi non erano né indios, né europei, ma un ibrido prodotto dall’incrocio fra le legittime
popolazioni del continente e gli usurpatori spagnoli. Insomma l’unica strategia possibile era
l’unità, altrimenti si andava verso l’arbitrarietà di paesi che nulla avevano e, soprattutto, che
nulla sapevano della scienza del governo e ancora meno della libertà. L’America Latina dalla
“disgrazia” della conquista e della colonizzazione poteva trarne un vantaggio che avrebbe
notevolmente agevolato il consolidamento del progetto democratico. Infatti, essendo le province
in lotta per l’indipendenza e le loro popolazioni accomunate dallo stesso “destino storico”, dalla
stessa dominazione, dalle stesse vicende culturali, diveniva indispensabile unirle in un progetto
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comune di riscatto ed emancipazione.
Il Congresso di Panama
Il Congresso di Panama doveva divenire dunque la prassi di tutta la teoria americana di Bolivar
che, dal punto di vista politico-internazionale, rispettava due fondamentali esigenze: unificare la
politica estera delle giovani repubbliche rispetto alle potenze europee – si rammenti che in
Europa si era in piena restaurazione legittimista – e costituire un organo di conciliazione e di
intesa fra le nazioni americane che, ancora non pienamente costituite, erano già caratterizzate
da rivendicazioni e vecchie dispute territoriali che avrebbero scatenato quei conflitti di frontiera,
ancora oggi presenti (Cfr. la guerra di frontiera di qualche anno fa fra il Perù e l’Ecuador). In
definitiva Bolivar sperava che a Panama si dibattessero i grandi temi dell’America libera e che si
potessero formulare leggi sovra-nazionali che garantissero la pace e la coesione fra i nuovi
Stati. Vi fu, invece, da più parti la paura che Bolivar cercasse solo di imporre la propria
egemonia e quella della Gran Colombia che si presentava come un paese con istituzioni più
salde. Al di là di ogni sorta di interpretazione più o meno corretta del pensiero bolivariano, resta
il fatto che il Congresso dell’Istmo è stato il primo tentativo di convocare un gran numero di
nazioni indipendenti per deliberare sui mezzi atti a conciliare gli interessi comuni ed a preparare
la pace nel Nuovo Mondo. Vi è nelle tesi di Bolivar la ricerca di una solidarietà a tutti i costi,
l’esigenza che si comprendesse che solo federandosi quei paesi avrebbero potuto aspirare ad
essere un soggetto politico autonomo ed indipendente rispetto alle velleità dell’Europa prima e
dei nord americani poi. A questo proposito è d’uopo riportare la “profezia” che il Libertador
formulò nel 1815 dal suo esilio in Giamaica nella "Lettera guatemalteca" sulla Royal Gazzette di
Kingston: "Gli Stati Uniti sembrano destinati dalla Provvidenza a piegare con la fame e la
miseria l'America intera in nome della libertà".
Questo riassunto dà un’idea esatta della solida struttura giuridica e politica del trattato di union,
liga y confederación perpetua sottoscritto a Panama.
Per sintetizzare lo spirito del trattato, concordato sotto l’ispirazione diretta del Libertador
Bolivar, si può affermare che detto patto si distingue principalmente per i seguenti caratteri:
1. Suo obiettivo primordiale è costituire una grande confederazione continentale composta da
tutte le nazioni americane con il fine di mantenere la pace tra gli Stati membri e tra loro e le altre
nazioni del mondo, così come provvedere alla difesa solidale dei diritti dei confederati.
2. Difendere la sovranità e indipendenza politica e l’integrità territoriale degli Stati membri.
3. Stabilire come organo principale della confederazione “un’assemblea generale” composta da
due plenipotenziari per ciascuno Stato membro, che si riunirà ogni due anni in tempo di pace e
annualmente in periodo di guerra.
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4. L’Assemblea dovrà avere ampi poteri per negoziare e concludere trattati e convenzioni tra gli
Stati membri, per contribuire al mantenimento della pace e amicizia inalterabile tra le potenze
confederate servendo da consiglio nei grandi conflitti, da punto di contatto nei pericoli comuni,
da fedele interprete dei trattati quando si presenta qualche dubbio e da conciliatore nelle
controversie.
5. Soluzioni amichevoli obbligatorie di tutte le differenze esistenti o che possono esistere in
futuro tra gli Stati confederati.
6. Obbligo per qualsiasi delle parti che avessero ragione - qualsiasi siano le cause d’ingiuria,
danno grave o altro motivo che potesse portare una nazione contro l’altra - per dichiarare
guerra od ordinare rappresaglie uno contro l’altro dei confederati, di presentare all’assemblea
generale “un’esposizione dettagliata del caso” e sottomettersi alle decisioni conciliatorie della
stessa assemblea.
7. Le parti non potranno dichiarare guerra o rompere le ostilità contro una potenza straniera
senza aver prima sollecitato le funzioni, l’interposizione o la mediazione degli altri confederati.
8. L’espulsione del confederato restio sarà la sanzione per la violazione del patto confederale
in materia di mantenimento della pace o di rispetto alle decisioni dell’assemblea generale.
9. Stabilire la cittadinanza continentale a favore dei cittadini degli Stati confederati.
10. Diritto per tutti gli Stati americani non firmatari originali del trattato, d’incorporarsi nella
confederazione sempre che accetti integralmente il patto confederale e senza doversi
sottomettere ad altre condizioni per la sua ammissione.
11. Abolizione completa della schiavitù nel Nuovo Mondo.
12. Mantenimento della sovranità e indipendenza dei confederati nelle relazioni estere con le
potenze straniere.
13. La condanna della conquista e della guerra nelle relazioni tra i popoli ed i governi.
14. La codificazione del diritto internazionale, se possibile in collaborazione con “le potenze
neutre e amiche”, per fissare “tutti quei punti, regole e principi che devono dirigere la loro
condotta.”
15. Un esercito di terra e mare composto da contingenti per ogni Stato confederato che starà a
disposizione della Confederazione per rendere effettive le stipulazioni del trattato concernenti la
difesa collettiva e la sicurezza di tutti e ciascuno dei membri della Confederazione.
Da queste risoluzioni adottate dal Congresso, che come detto si svolse sotto l’abile regia del
Libertador, si desume come in pratica per Bolivar l’elemento politico intorno al quale costruire il
diritto internazionale non doveva essere l’equilibrio delle forze, ma una di politica di solidarietà e
di cooperazione continentale. Anche se il fine immediato e lampante era quello di formare
un’Assemblea che proteggesse le giovani Repubbliche dallo scoppio di guerre intestine, vi era
anche un ulteriore aspetto che non andava trascurato e cioè la possibilità che la Santa
Alleanza potesse intervenire in America per restituire le colonie ai loro “legittimi governanti”,
compromettendo di fatto l’appena raggiunta, ed ancora non ultimata, indipendenza. In
quest’ottica deve essere considerata la presenza dell’Inghilterra a Panama, che avrebbe dovuto
essere “l’alleato” europeo da contrapporre ad ogni pretesa spagnola. Ma purtroppo questa
doveva rivelarsi una previsione totalmente errata. Il Libertador si rivelò poco lungimirante in
merito alle reali intenzioni dell’Inghilterra. In breve, gli inglesi monopolizzarono tutto il traffico
commerciale, controllando di fatto l’economia latino americana. Nessuno seppe o poté arrestare
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l’ingerenza prima economica e poi politica della potenza europea e questo fu solo il primo
passo verso quel neocolonialismo nord americano che completò definitivamente il processo di
indipendenza del secolo appena trascorso e che ha condannato alla miseria tutti i paesi del
continente latino, riducendoli primi a paesi sottosviluppati e poi a paesi in eterna via di sviluppo.
Nei mesi seguenti al Congresso di Panama, che tanta parte della storiografia attuale tende a
considerare come un clamoroso fallimento, Simon Bolivar si trovò addirittura costretto a
fronteggiare con le armi le spinte secessioniste che tra il 1826 e il 1830 avrebbero mandato in
frantumi la Confederazione della Grande Colombia. Incapace di pacificare le varie fazioni in
lotta, Bolívar abbandonò il potere il 27 aprile 1830.
Il 20 settembre del 1830, Simón Bolívar scrive da Cartagena de Indias a Pedro Briceño
Méndez, suo ex ministro della Marina e della Guerra: “Sono vecchio, malato, stanco, disilluso,
nauseato, calunniato e pagato male. Non chiedo altra ricompensa che il riposo e la
salvaguardia del mio onore; disgraziatamente è quello che non riesco ad ottenere”.
Tre mesi dopo, il 17 dicembre 1830, Bolívar moriva a Santa Marta. Aveva solo 47 anni.
Il progetto di una sola Grande Patria si scontrò con le posizioni particolaristiche degli antichi
vicereami e capitani e generali dell'impero spagnolo, le cui oligarchie locali preferirono cercare
separatamente l'indipendenza.
Il Libertador macinò 123.000 chilometri – molti di più di quelli percorsi da Cristoforo Colombo –
e portò l'indipendenza a 65.000 chilometri di distanza, il che equivale ad una volta e mezza il
giro
del pianeta. In altre parole: ha peregrinato il triplo del macedone Alessandro Magno e dieci
volte più del cartaginese Annibale.
Come si accennava prima, il giudizio degli storici in merito al Congresso Anfitrionico di Panama
tendono sovente a soffermarsi sul fallimento che nell’immediato tale progetto riportò; di contro
però è necessario porsi in un’ottica di lunga durata per comprendere il vero valore storico di
quella meravigliosa esperienza: 170 anni dopo grazie al popolo venezuelano ed al suo
comandante Hugo Chavez Frias, il pensiero Bolivariano torna incredibilmente attuale, e sembra
essere ora più che mai l’unica via per la reale emancipazione del continente sudamericano
dell’imperialismo statunitense.
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Inoltre, resta il fatto che a tutt’oggi “l’Umanità” si sforza ancora di stabilire un’organizzazione
internazionale così evoluta come quella creata nel trattato di Panama. Né l’estinta Società delle
Nazioni di Ginevra, né l’attuale Organizzazione delle Nazioni Unite hanno avuto il coraggio di
strutturarsi su basi tanto audaci quanto quelle dell’union, liga y confederación perpetua creata
con il Trattato di Panama del 1826, opera di Bolivar e creazione esclusiva del suo genio politico.
Risale al 14/9/05 l’ultimo clamoroso fallimento dell’O.N.U., che in occasione del vertice indetto
attorno alle tematiche della povertà e della fame nel mondo, del disarmo e del terrorismo, non è
stato in grado di produrre un documento degno di tal nome. Sintomatico che gli interventi più
esplicitamente contrari, siano stati quelli del Presidente dell’Assemblea Nazionale del Popolo
Cubano Ricardo Alarcon de Quesada, e quella del Presidente della Repubblica Bolivariana del
Venezuela Hugo Chavez Frias.
Da: www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 08-10-05
Tratto da: “La Rivoluzione Bolivariana” – ed. La Città del Sole, Napoli
A cura della delegazione italiana comunista per il XVI F.M.G.S. di Caracas 2005
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