guerra del peloponneso

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ATENE NEL V SECOLO
Il periodo d’oro di Atene va tra la fine delle guerre persiane (478) e la guerra del Peloponneso (431)
L’anno che seguì la vittoria vide il passaggio del comando nella lotta contro i persiani
(ufficialmente ancora aperta) da Sparta ad Atene.
Gli spartani erano sempre stati diffidenti verso le avventure di politica estera e temevano la
“corruzione” morale di chi si allontanava dalla città. Decidono quindi di defilarsi dalla guerra.
Atene invece era propensa a lanciarsi in una politica di espansionismo.
Nel 477 viene creata la LEGA DI DELO, un’alleanza anti-persiana tra Atene e innumerevoli poleis
greche. Le poleis alleate fornivano ogni anno un determinato numero di navi alla lega. Le poleis
minori, che non erano in grado di farlo, versavano un contributo in denaro al tesoro della lega,
custodito nell’isola di Delo. La partecipazione all’alleanza era libera e, formalmente, le città che
aderirono erano tutte sullo stesso piano; ma in realtà esisteva una forte differenza di status tra le
poche poleis in grado di fornire navi (Atene, Chio, Lesbo, Samo…) e le tante che si limitavano a
versare un tributo annuo.
Ben presto Atene assume un ruolo che va ben al di là del comando delle operazioni militari:
- determinava l’entità del tributo;
- entrare nella lega era una scelta libera, uscirne era impossibile (Atene condusse vere e
proprie spedizioni punitive contro gli alleati intenzionati a lasciare la lega);n
- nel 454 il tesoro della lega fu trasportato da Delo ad Atene (non si fece più distinzione tra le
entrate della lega e quelle dello stato ateniese);
- persino l’amministrazione della giustizia era sotto controllo ateniese (i provvedimenti che
contemplavano la pena di morte dovevano essere analizzati da magistrati ateniesi).
LA GUERRA DEL PELOPONNESO
La crescente potenza ateniese e la sua politica aggressiva provocarono l’inquietudine di Sparta, i cui
alleati vennero ripetutamente attaccati da Atene.
La guerra durò 27 anni (dal 431 al 404)
Si trattò di una guerra generalizzata (nessuna polis ne fu estranea - vedi cartina a pag.105) che
venne combattuta su un teatro vastissimo (dall’Asia Minore alla Sicilia).
Nella prima fase della guerra Atene poteva vantare la superiorità navale e una vasta disponibilità
economica.
I peloponnesiaci (Sparta e alleati) contavano sulla superiorità dell’esercito terrestre.
Pericle, il leader ateniese, decise di non affrontare mai uno scontro di terra: il dominio dei mari
assicurava l’approvvigionamento e la possibilità di effettuare blitz attraverso sbarchi improvvisi. Lo
scopo era logorare gli spartani costringendoli a rinunciare alla guerra.
Gli spartani ogni estate devastano le terre dell’Attica mentre gli ateniesi rimanevano chiusi dentro
alle Lunghe Mura che proteggevano la città e il suo porto (Il Pireo).
Tuttavia un’epidemia di peste (o forse di tifo) colpisce nel 430 gli ateniesi ammassati dentro alle
mura; muore lo stesso Pericle (429).
La leadership è assunta allora da Cleone e la reazione ateniese si fa più aggressiva: una spedizione
navale sbarca improvvisamente sulla costa del Peloponneso: viene creato un avamposto in territorio
nemico e vengono catturati di 300 spartiati . Sparta propone la cessazione delle ostilità, ma Cleone
convince i cittadini a rifiutare la pace. Perde così il momento favorevole.
Atene subisce alcune gravi sconfitte ad opera del generale spartano Brasida.
Durante una battaglia muoiono sia Brasida che Cleone.
Sparta e Atene a questo punto decidono di firmare un trattato di pace (pace di Nicia – 421) che
ristabilisce lo status quo ante1.
La fase intermedia
In realtà la pace è molto precaria.
Molti esponenti dei due schieramenti premono per una ripresa delle ostilità.
Ad Atene diventa stratego2 Alcibiade, il quale mira all’egemonia di Atene su tutto il mondo greco.
Alcibiade fonda un’alleanza con gli oppositori interni di Sparta, ma il piano si risolve in un disastro:
la coalizione viene schiacciata dagli spartani a Mantinea (418). Nonostante ciò Alcibiade viene
rieletto stratego e convince gli ateniesi ad intraprendere una grande spedizione in Sicilia (415).
La Sicilia era fondamentale per l’approvvigionamento di grano ed era trampolino di lancio per le
ambizioni ateniesi di conquista dell’Occidente, Cartagine compresa.
La spedizione è condotta in maniera disastrosa: ad Alcibiade viene tolto il comando. Lo stratego è
oltretutto costretto a fuggire perché accusato, ad Atene, di essersi reso responsabile di alcuni
crimini. Si rifugia a Sparta dove diviene consigliere del grande generale Gilippo.
Gli ateniesi cercano di conquistare la polis di Siracusa, ma il loro esercito, messo in fuga dopo una
sconfitta navale, viene annientato in seguito al’intervento degli spartani, guidati da Gilippo.
La fase finale
Protagonista di questa fase è ancora Alcibiade.
Allontanatosi da Sparta inizia un complesso gioco diplomatico presso i persiani, spingendoli ora ad
appoggiare Atene, ora la rivale.
Alla fine i persiani preferiscono sostenere Sparta, giudicata, per loro, meno pericolosa.
Questa decisione deciderà la guerra: grazie ai finanziamenti persiani Sparta riesce ad allestire una
flotta.
Dopo varie e complesse vicende (tra l’altro Alcibiade ritornerà trionfalmente ad Atene, ne sarà
nuovamente cacciato e verrà ucciso a tradimento dai persiani), il generale spartano Lisandro
sorprende la flotta ateniese ad Egospotami (presso lo stretto dei Dardanelli) e la distrugge (405).
Per Atene è la fine. L’anno dopo lo stesso Lisandro conquista il Pireo e prende possesso di
un’Atene affamata.
Corinzi e tebani, alleati di Sparta, chiedono che Atene venga rasa al suolo. Gli spartani sono più
moderati e ottengono:
- la distruzione di quasi tutta la flotta;
- l’abbattimento delle Lunghe Mura:
- la fine della democrazia ateniese e l’instaurazione di un regime oligarchico filo-spartano.
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La situazione esistente prima della guerra
Massimo comandante militare
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