LE NUOVE UNIONI DI COMUNI MONTANI
Siamo qui per discutere del futuro di territori, vastissimi, bellissimi e molto particolari.
Territori nei quali sono custoditi paesi, culture, animali e vegetali diversi da tutti gli altri.
Luoghi nei quali la “diversità” è il vero valore, è la sua peculiarità. Luoghi speciali, dunque,
che hanno esigenze speciali. La montagna è un ambiente speciale. Affermare, oggi, nel
mezzo del guado legislativo che pretende di regolamentare in modo migliorativo i governi
dei territori montani, che deve riprendere profondamente il discorso sulla “montanità”, è il
primo obiettivo che tutti noi dobbiamo avere. Noi che abbiamo la responsabilità di
occuparci delle comunità, delle cittadinanze che abitano la montagna e dell’ambiente in cui
esse vivono. E la “montanità” non è solo il concetto statistico contenuto nella legge 991 del
1952 che tutti noi conosciamo, non è solo un elenco di difficoltà che il clima e la morfologia
del territorio comportano e che giustamente devono conservare un’attenzione particolare
da parte dello Stato. Essa, la montanità, è un valore da proteggere e sviluppare.
Abbiamo di fronte a noi, nella concretezza, la necessità di strumenti che ci consentano di
intervenire con maggiore incisività nella manutenzione e nella tutela dei territori montani.
Dobbiamo dimostrare la sostenibilità, visto che il problema principale sono sempre le
risorse, di un sistema di manutenzione permanente dei territori dei quali ci occupiamo.
Intervenire con tempestività ed efficacia sulla viabilità montana, sull’attualizzazione della
segnaletica, per esempio, o sui percorsi, sui trasporti, sulla messa in sicurezza delle
arterie, una particolare attenzione alle colture boschive e alla cura del patrimonio arboreo,
tutto questo e tanto altro non può essere frutto di provvedimenti sporadici. Definire,
dunque, concetti e criteri condivisi tra comuni, concetti di ricognizione, controllo e
manutenzione del territorio, proporre modelli di coinvolgimento degli enti locali, è ormai
indispensabile. E’ indifferibile che i Comuni montani condividano i sistemi integrati di
somministrazione idrica, di metanizzazione, delle attività collegate alla neve.
Ma i servizi non sono tutto. Esiste un altro concetto sul quale dobbiamo concentrarci,
quello, appunto, di comunità. Le difficoltà dell’essere una comunità in zona montana
risiedono anche nell’esigenza di rivitalizzare le società. Di fornire delle strategie per
mantenere aperti i luoghi di ritrovo e di culto. Ci troviamo di fronte a realtà nelle quali
risulta ormai difficile che restino aperte persino le chiese, dove l’ufficio postale è divenuto
un privilegio, dove la popolazione (sempre più anziana) ha necessità divenute difficili
quando altrove sono di normale soluzione come quella dell’approvvigionamento di farmaci.
Dobbiamo operare per rivitalizzare questi centri e favorire l’attività di promozione locale,
per esempio occupandoci anche delle Pro Loco che stentano a rimanere in vita. La messa
in atto di ogni azione per il rilancio turistico delle nostre montagna, lo sviluppo, più in
generale dell’economia montana per combattere lo spopolamento dei centri, ci deve
vedere sempre più attenti. Nella nostra regione i centri montani offrono, per esempio, una
ricchezza enorme di prodotti e di preparazioni cibarie. Fin’ora nessuno ha messo insieme
un tale mosaico di eccellenze da proporre a mercati estesi. Stiamo operando, con l’Uncem
Lazio, per realizzare un primo ma ritengo importante passo verso la creazione di
un’identità commerciale delle produzioni montane con l’organizzazione, a Roma, del primo
Mercato dei prodotti montani del Lazio. Questa iniziativa, che vedrà partecipi, tutte le
Comunità Montane nella nostra regione, avrà il primo scopo nel monitoraggio dei prodotti
e delle preparazioni eccellenti delle montagna della nostra regione e poi di proporle nella
Capitale con un’iniziativa ambiziosa.
Per tutto questo e per tanto altro che per brevità mi astengo dal citare, ora dobbiamo
essere in grado di sfruttare al meglio la costituzione, l’avvio e l’ampliamento dell’esercizio
associato di funzioni fondamentali nella forma dell’Unione di Comuni montani e della
Convenzione tra Comuni; di incidere sui criteri e le modalità per il riparto delle risorse
statali “regionalizzate” a sostegno dell’associazionismo comunale. E proprio per questo
dobbiamo essere capaci di incidere sulle normative che regolano tale associazionismo
sostenendo con forza le modifiche indispensabili che stiamo individuando, producendo
controproposte e emendamenti, fino a una bozza di proposta normativa dell’associazione
nazionale dei comuni italiani, dove si ravvisano delle vere e proprie falle normative. Per
esempio la norma sull’obbligo associativo, se non modificata, propone l’inapplicabilità in
molti dei centri interessati. Un esempio per tutti la contiguità di comuni assoggettati
all’obbligo a soli comuni non assoggettati al medesimo obbligo, come pure è da ravvisare
che i tentativi di gestione associata di tutte e dieci le funzioni fondamentali non
consentono di fare economia ma, al contrario, a volte generano maggiori costi.
Diciamocelo senza peli sulla lingua, Il modello adottato dalla Legge Delrio, l’Unione di
Comuni, non è il massimo; si poteva fare di meglio, proprio grazie all’esperienza delle
Comunità Montane. “Esperienza” è il concetto al quale in questa legge di riforma dei
governi intermedi non si è voluto dare il giusto valore. C’è un punto emerso nella recente
riunione presso l’ANCI che mi pare di notevole importanza: la necessità di considerare
queste norme di modifica istituzionale, non come ordini calati dall’alto con tempi, sanzioni,
poteri sostitutivi, ma come avvio di processi non solo burocratici ma anche culturali; non
solo impositivi, ma anche forti di spazi autonomi; non solo rispondenti alla lettera delle
leggi ed agli adempimenti connessi, ma legati soprattutto ai risultati. Noi vorremmo, in
sintesi, che la nostra esperienza fosse tenuta in debito conto, perché è preziosa per
evitare fallimenti come quello, ad esempio, dell’associazionismo obbligatorio. Vorremmo
che si valutasse con attenzione il nostro suggerimento di prevedere un periodo transitorio,
due o tre anni, in cui la realtà dei processi applicativi sia affidata agli enti locali coinvolti;
che lo si faccia secondo un programma condiviso e soprattutto seguito e monitorato.
Vorremmo che la Regione Lazio, con la quale il confronto finora non è stato soddisfacente
soprattutto perché abbiamo avuto l’impressione che il Cal più che il luogo della
consultazione sia diventato quello della concertazione, ci consideri come partner fedeli in
questo processo di trasformazione, per esempio come coloro che possono svolgere il
delicato compito di raccordo tra le Unioni di Comuni Montani e la Regione stessa. Noi, le
associazioni degli Enti Locali abbiamo stabilito una forte collaborazione tra UNCEM ed
ANCI nel Lazio; le Consulte dei Borghi e Paesi e l’Associazionismo lavorano insieme,
sarebbe un vero peccato se gli enti di referenza, a cominciare dalla Regione Lazio, non
utilizzasse tali energie e tali esperienze. Per essere ancora più schietti e precisi dico che
superate le prossime scadenze di definizione della legge applicativa della Delrio, per la
quale abbiamo avanzato emendamenti ed oggi alcune proposte, subito dopo bisognerà
applicarla e l’esperienza ci dice che senza una puntuale e quotidiana attività di
accompagnamento ed impulso, non ce la si può fare. Speriamo che ci ascoltino! Noi siamo
a disposizione per la prima e la seconda fase e se la legge Borghi sui Comuni Piccoli e
Montani sarà approvata (sarebbe un’ulteriore beffa non farlo) ci occuperemo anche di
essa. L’UNCEM Lazio sta ritrovando un nuovo tono organizzativo, e se ne sentiva il
bisogno ovunque, come pure della preziosa collaborazione con ANCI LAZIO. Insieme
potremo operare per il bene dei cittadini e del territorio, ricompattando le istituzioni
coinvolte, ed a loro ed a tutti noi auguro buon lavoro.
Achille Bellucci
Presidente UNCEM Lazio