SCHEMA THERAPY La terapia cognitivo-comportamentale integrata per i disturbi della personalità jeffrey e. young • janet s. klosko • marjorie e. weishaar Edizione italiana a cura di Alessandra Carrozza, Nicola Marsigli e Gabriele Melli ECLIPSI Traduzione italiana di: Schema Therapy Traduzione: Elena Paoli Cura: Alessandra Carrozza, Nicola Marsigli, Gabriele Melli Editing: Enza Ricciardi Videoimpaginazione: Camilla Romoli Copyright © 2003 The Guilford Press A Division of Guilford Publications, Inc. 72 Spring Street, New York, NY 10012 www.guilford.com Copyright © 2007 Eclipsi di Mindgest srl Via Mannelli 139 50132 Firenze Tel. 055-2466460 – Fax 055-2008414 978-88-89627-08-2 I diritti di traduzione, di riproduzione, di memorizzazione elettronica, di adattamento totale e parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi. SOMMARIO 1. Schema Therapy: il modello teorico 2. La fase di assessment e psicoeducazione 3. Le strategie cognitive 1 69 101 4. Le tecniche esperenziali 121 5 Il cambiamento dei comportamenti disfunzionali 159 6. La relazione terapeutica 7. Una strategia specifica per ogni schema 8. Strategie d’intervento sui mode (mode work) 193 227 305 9. Schema Therapy per il Disturbo Borderline di Personalità 341 10. Schema Therapy per il Disturbo Narcisistico di Personalità 415 Bibliografia Appendice 469 475 PREFAZIONE ALL’EDIZIONE ITALIANA La terapia cognitiva nasce negli anni 60 con il lavoro di A.T. Beck e di A. Ellis che giungono alla formulazione di una teoria ed una pratica clinica fondata sulla modificazione dei pensieri disfunzionali, nei loro contenuti e nelle modalità organizzative, come il punto focale dell’intervento psicoterapico. Inizialmente, questo approccio viene utilizzato per il trattamento dei disturbi depressivi e dei disturbi d’ansia; successivamente, le dimostrazioni di efficacia portano allo sviluppo di nuovi protocolli di intervento, imponendo, nel corso degli anni, la terapia cognitivo-comportamentale come trattamento preferenziale per i più comuni disturbi di Asse I. Negli ultimi decenni l’interesse della terapia cognitiva si è rivolto verso l’area dei disturbi di personalità, da sempre terreno delle terapie di derivazione psicodinamica. Ancora una volta è Beck, insieme ad Arthur Freeman, a proporre un protocollo di intervento, una forma di terapia cognitiva più articolata e mirata per ciascun cluster di disturbo di personalità. Da allora sono stati prodotti diversi protocolli clinici per trattare i pazienti con disturbi di Asse II, differenti modelli che hanno analizzato e studiato la difficoltà e la complessità del trattamento dei pazienti difficili, come il modello dialettico-comportamentale di M. Linehan, la terapia metacognitiva-interpersonale di A. Semerari e collaboratori o l’approccio cognitivo-evoluzionista proposto da G. Liotti e colleghi. Negli ultimi anni, le tecniche cognitive e comportamentali sono state integrate con strategie dialettiche, finalizzate all’accettazione, alla validazione ed alla regolazione delle emozioni, con attenzione al potenziamento delle abilità metacognitive del paziente, al fine di poter modificare la qualità delle sue relazioni interpersonali, oltre alla sua capacità di adattamento. Fra le nuove proposte, la Schema Therapy di Jeffrey Young si presenta come un approccio sistematico, organizzato e metodico per il trattamento dei pazienti con disturbi della personalità o con una grande resistenza al cambiamento, che colma alcune lacune del modello cognitivista attraverso l’integrazione di contributi derivati da altre teorie, come la teoria dell’attaccamento, la teoria della Gestalt, quella psicodinamica e il comportamentismo. Nello specifico, come il lettore potrà cogliere, nella Schema Therapy l’attenzione per relazione terapeutica, tema spesso sottovalutato o addirittura dimenticato dalla terapia cognitivo-comportamentale, acquisisce un peso strategico fondamentale; inoltre, viene dato particolare peso alle tecniche immaginative ed esperienziali, sottolineando il valore terapeutico delle esperienze di correzione emotiva. VI Schema Therapy Assunto fondamentale della Schema Therapy è che ciascun essere umano ha, fin dall’infanzia, dei bisogni fondamentali (come ad esempio il bisogno di sentirsi protetto, accudito, contenuto), che richiedono una naturale soddisfazione. Se nell’ambiente evolutivo ciò è mancato in modo continuativo, il bambino sperimenta l’impossibilità di soddisfare i propri “normali” bisogni e sviluppa una valutazione negativa di sé e dell’altro. È in questo contesto che si sviluppano gli Schemi Maladattivi Precoci, che condizioneranno nel tempo lo sviluppo relazionale. Questi Schemi, fortemente radicati e stabili, sono i fattori di mantenimento del disturbo nei pazienti difficili e con disturbi della personalità. L’obiettivo terapeutico della Schema Therapy è quello di rendere consapevole il paziente dell’esistenza e del funzionamento di questi schemi e di aiutarlo a trovare strategie di coping più efficaci per riuscire a soddisfare i propri bisogni. Gli autori, inoltre, hanno proposto un intervento più complesso per trattare i pazienti più gravi, come quelli affetti da Disturbo Borderline o Narcisistico di Personalità. Questo tipo intervento, che il lettore troverà ben descritto nell’ultima parte del manuale, è suggerito quando il paziente presenta repentini cambiamenti emotivi e un numero di schemi molto elevato, che rendono difficile il lavoro sul singolo schema. In questo caso il modello che propongono si basa sul concetto di Mode - forse il concetto più innovativo di questo nuovo approccio - inteso come l’insieme degli stati emotivi e degli stili di coping attivi in un individuo in un determinato momento. Abbiamo deciso di tradurre questo manuale e di seguirne personalmente la curatela perché riteniamo che l’approccio di Young e collaboratori offra un contributo significativo, anche se non esaustivo, al trattamento dei disturbi di personalità in un’ottica prevalentemente cognitivo-comportamentale. Pensiamo, comunque, che il trattamento dei pazienti gravi non possa prescindere da un certo eclettismo terapeutico e che, di conseguenza, ogni manuale strutturato abbia i suoi grossi limiti. Apprezzando enormemente e utilizzando ogni giorno le strategie per il trattamento dei disturbi di personalità proposte dai ricercatori, italiani e non, sopra citati, il nostro auspicio non è quello di promuovere in Italia un approccio terapeutico rivoluzionario o migliore di altri, quanto di mettere a disposizione dei colleghi ulteriori strategie che possono risultare utili quando si ha a che fare con quei casi difficili di fronte ai quali qualunque tecnica terapeutica non sembra mai abbastanza efficace. Ci auguriamo, quindi, che questo nostro contributo possa essere utile a tutti quelli che, come noi, pur avendo una formazione cognitivo-comportamentale, si cimentano nell’impegnativo lavoro terapeutico con i pazienti gravi. Alessandra Carrozza Nicola Marsigli Gabriele Melli Istituto di Psicologia e Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva, IPSICO, Firenze GLI AUTORI Jeffrey E. Young, PhD. Docente di psichiatria presso la Columbia University; è il fondatore e il direttore del Cognitive Therapy Center di New York e del Connecticut oltre che dello Schema Therapy Institute (institute@schematherapy. com). Tiene conferenze sulla terapia cognitiva e sulla Schema Therapy da oltre vent’anni a livello internazionale; ha formato migliaia di professionisti che operano nel campo della salute mentale ed è ampiamente apprezzato per le capacità dimostrate nell’insegnamento. Young è il fondatore della Schema Therapy, nuovo approccio terapeutico integrato per il trattamento dei disturbi di personalità e per i pazienti che mostrano maggiore resistenza alle terapie tradizionali; è inoltre autore di numerose pubblicazioni, tra le quali i due importanti volumi “Cognitive Therapy for Personality Disorders: A Schema-Focused Approach”, un manuale per gli operatori del settore, e “Reinventa la tua vita”, un libro a carattere divulgativo, che ha ottenuto un notevole successo tra il grande pubblico, di cui Janet S. Klosko è co-autrice. Young è ricercatore sulla terapia cognitiva e sulla Schema Therapy e ha lavorato a molti progetti di ricerca, tra i quali il Collaborative Study of Depression, promosso dal National Institute of Mental Health; in ambito editoriale collabora alle seguenti riviste: Cognitive Therapy and Research e Cognitive and Behavioral Practice. Janet S. Klosko, PhD. È co-direttrice del Cognitive Therapy Center di Long Island a Great Neck, New York e psicoterapeuta presso lo Schema Therapy Institute di Manhattan e il Woodstock Women’s Health di Woodstock, New York. Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in psicologia clinica alla State University of New York (SUNY) ad Albany, New York, e ha svolto il tirocinio alla Brown University Medical School. Durante la sua permanenza alla SUNY, ha svolto attività clinica e di ricerca per il trattamento dei disturbi d’ansia sotto la supervisione del dr. Davide H. Barlow. Ha ricevuto l’Albany Award for Excellence in Research e il Dissertation Award in Clinical Psichology as a Science dall’American Psichological Association Section. È autrice di numerose pubblicazioni accademiche e co-autrice, insieme a William Sanderson, del volume “Trattamento cognitivocomportamentale della depressione” e del popolare libro di auto-aiuto “Reinventa la tua vita”, insieme a Jeffrey E. Young. La dott.ssa Klosko ha conseguito inoltre una laurea specialistica in letteratura inglese. Marjorie E. Weishaar, PhD. Professore di psichiatria e comportamento umano alla Brown University Medical School, dove ha ricevuto ben due premi VIII Schema Therapy per l’insegnamento, insegna terapia cognitiva a medici e psicologi. Laureata alla University of Pennsylvania, ha conseguito tre lauree specialistiche alla Pennsylvania State University; si è specializzata in terapia cognitiva con Aaron T. Beck e in Schema Therapy con Jeffrey E. Young. È autrice di “Aaron T. Beck”, un libro sulla terapia cognitiva e sul suo fondatore, recentemente tradotto in cinese. La dott.ssa Weishaar tiene regolarmente conferenze, è autrice di numerosi articoli e capitoli di volumi di terapia cognitiva e, in particolare, sul rischio di suicidio. Attualmente, svolge attività clinica come libera professionista a Providence, nel Rhode Island. PREFAZIONE Per quanto risulti difficile da credere, sono già trascorsi nove anni dalla pubblicazione del nostro primo volume sulla Schema Therapy. Nel corso dell’ultimo decennio, l’interesse per il nostro modello terapeutico è andato man mano crescendo e consolidandosi. Molti colleghi negli anni ci hanno rivolto la stessa domanda: “Quando pubblicherete un manuale aggiornato ed esaustivo sulla Schema Therapy?”. Con un certo imbarazzo, eravamo costretti ad ammettere che non avevamo ancora trovato il tempo per intraprendere un progetto così impegnativo. Nonostante le difficoltà iniziali, dopo tre anni di intenso lavoro siamo finalmente riusciti a portare a termine quella che ci auguriamo possa diventare una vera e propria “bibbia” per tutti coloro che praticano la Schema Therapy. Per rendere il nostro lavoro il più esaustivo possibile, abbiamo inserito tutti gli aggiornamenti e gli approfondimenti degli ultimi anni, il nostro modello concettuale revisionato e una descrizione dettagliata delle varie strategie terapeutiche; abbiamo inoltre presentato numerosi casi clinici insieme ad alcuni dialoghi estratti dalle sedute. In particolare, ci siamo dedicati alla stesura di due capitoli che descrivessero in maniera dettagliata un protocollo terapeutico più ampio, specificamente sviluppato per il trattamento dei disturbi borderline e narcisistico di personalità. Negli ultimi anni, si sono verificati molti cambiamenti nel campo della salute mentale e molti di essi hanno avuto un impatto profondo sulla Schema Therapy. La crescente insoddisfazione dei clinici di vario orientamento per i limiti dei protocolli terapeutici tradizionali è andata di pari passo ad un crescente interesse per lo sviluppo di modelli nuovi, il cui obiettivo fosse quello di integrare i diversi approcci terapeutici. La Schema Therapy è stata uno dei primi approcci a muoversi in questa direzione ed è riuscita ad attrarre molti dei professionisti, dei clinici e dei ricercatori che erano alla ricerca di una legittimazione, così come di una guida, per andare oltre i confini dei modelli terapeutici esistenti. Un chiaro indicatore del crescente interesse che i clinici nutrono nei confronti della Schema Therapy è la diffusione capillare che lo Young Schema Questionnaire (YSQ) ha riscontrato a livello internazionale; il questionario, impiegato nella pratica clinica e nella ricerca, è già stato tradotto in spagnolo, greco, olandese, francese, giapponese, norvegese, tedesco e finlandese, per citare soltanto alcuni dei paesi nei quali la Schema Therapy viene praticata. Un altro importante segnale è il successo che i due volumi finora pubblicati sull’argomento continuano ad avere a distanza di dieci anni dalla prima uscita: “Cognitive Therapy for Personal Disorders: A Schema Focused Approach”, attualmente alla terza edizione, e “Reinventa la tua vita”, un manuale di auto-aiuto Schema Therapy che ha venduto più di 125.000 copie, è stato tradotto in svariate lingue ed è ancora disponibile sugli scaffali delle principali librerie. Nel corso dell’ultimo decennio, gli ambiti di applicazione della Schema Therapy si sono moltiplicati: oltre che per i disturbi di personalità, essa viene impiegata nel trattamento di una vasta gamma di problematiche cliniche, fra cui i disturbi depressivi cronici, i traumi infantili, gli atti criminali, i disturbi alimentari, la terapia di coppia e la prevenzione della ricaduta nell’abuso da sostanze. Inoltre, viene spesso utilizzata per lavorare sui tratti patologici di personalità predisponenti o sottostanti ai disturbi di Asse I. Un’altra importante evoluzione è stata raggiunta con lo sviluppo di diversi approcci basati sull’integrazione tra la Schema Therapy e le pratiche meditative. Su come sia possibile combinare la Schema Therapy con la Mindfulness o con altre pratiche tradizionali di derivazione religiosa sono già stati pubblicati tre volumi: “Alchimia emotiva” di Tara Bennett-Goleman, “Praying Through Our Lifetraps: A Psycho-Spiritual Path to Freedom” di John Cecero e “The Myth of More” di Joseph Novello. Un ostacolo allo sviluppo della Schema Therapy si è invece avuto in seguito all’aumento, negli Stati Uniti, dei programmi di contenimento dei costi per il trattamento dei disturbi di personalità. Per i clinici e per i ricercatori che lavorano in questo ambito è diventato sempre più difficile ottenere i rimborsi dalle assicurazioni e avere accesso ai finanziamenti per i programmi di ricerca, poiché il tempo necessario per il trattamento dei disturbi di Asse II è mediamente più lungo di quello previsto dai protocolli terapeutici tradizionali. Per questo, gli Stati Uniti si trovano adesso in netto svantaggio rispetto a molti altri paesi sia per la promozione della ricerca sia per il trattamento dei disturbi di personalità. Il taglio dei finanziamenti, infatti, ha posto un freno alla ricerca, ostacolando fortemente lo sviluppo di validi studi di efficacia rivolti all’indagine del trattamento dei disturbi di personalità (un’importante eccezione è rappresentata dall’approccio comportamentale dialettico sviluppato da Marsha Linehan per il trattamento del disturbo borderline di personalità). Questo ha comportato anche per noi delle notevoli difficoltà, impedendoci di ottenere i finanziamenti necessari per portare avanti progetti di ricerca in grado di fornire evidenze empiriche alla Schema Therapy. Per questo motivo, recentemente ci siamo rivolti ad altri paesi, per poter sviluppare questo ambito di ricerca che riteniamo fondamentale. In particolare, guardiamo con speranza ad uno studio di efficacia, diretto da Arnoud Arntz, che sta per giungere al termine nei Paesi Bassi. Si tratta di uno studio multicentrico, condotto su vasta scala, che mette a confronto la Schema Therapy con l’approccio sviluppato da Otto Kernberg per il trattamento del Disturbo Borderline di Personalità e del quale attendiamo con ansia i risultati. Nel primo capitolo il lettore che non ha familiarità con la Schema Therapy può trovare una sintesi dei principali vantaggi che questo approccio terapeutico Prefazione XI offre rispetto alle terapie cognitivo-comportamentali tradizionali. Innanzitutto, rispetto alla maggior parte dei protocolli standard, la Schema Therapy presenta un modello teorico e terapeutico più articolato, che amplia ed integra elementi mutuati da vari approcci, quali la terapia cognitivo-comportamentale, le teorie psicodinamiche, la teoria dell’attaccamento e quella della Gestalt. Inoltre, anche se gli elementi della terapia cognitivo-comportamentale sono alla base della Schema Therapy, il cambiamento emotivo, le tecniche esperienziali e la relazione terapeutica rivestono un ruolo altrettanto importante. Il modello degli schemi da un lato è dotato di una apparente semplicità, dall’altro possiede aspetti più profondi e molto complessi; questa sua versatilità facilita l’approccio e la comprensione sia del terapeuta che del paziente. Anche se il suo modello teorico si fonda, come abbiamo detto, su concetti complessi che spesso, in altri approcci terapeutici, risultano poco comprensibili o addirittura confusivi per il paziente, la Schema Therapy ha il merito di esplicitarli in maniera chiara e comprensibile, mantenendo l’immediatezza della terapia cognitivo-comportamentale (TCC), senza dover rinunciare alla complessità delle teorie psicodinamiche. La Schema Therapy fa proprie due caratteristiche fondamentali della TCC: è strutturata e sistematica allo stesso tempo. Il terapeuta si attiene alle procedure di assessment e di trattamento descritte. La fase di valutazione include la somministrazione di una serie di questionari volti a misurare l’eventuale presenza di schemi e di stili di coping. La terapia è attiva e direttiva, non limitandosi a promuovere l’insight ma cercando di ottenere il cambiamento cognitivo, emotivo, interpersonale e comportamentale. La Schema Therapy si è dimostrata efficace, oltre che nella terapia individuale, anche nella terapia di coppia, per aiutare entrambi i partner a riconoscere e contrastare i propri schemi. Un altro vantaggio della Schema Therapy consiste nel suo elevato livello di specificità. Non solo definisce schemi, stili di coping e mode specifici, ma fornisce anche strategie dettagliate per i singoli schemi, fornendo per ciascuno di essi indicazioni dettagliate circa la più appropriata forma di intervento. Anche per quanto riguarda la relazione terapeutica, la Schema Therapy fornisce un metodo semplice e lineare che consente al terapeuta di utilizzarla per comprendere le difficoltà del paziente e lavorarci sopra. È compito del terapeuta, a tale scopo, monitorare, nel corso delle sedute, anche l’attivazione dei propri schemi, dei propri stili di coping e dei propri mode. Inoltre, la Schema Therapy si distingue per un altro aspetto, probabilmente il più importante: rispetto alle psicoterapie tradizionali la sua impostazione è decisamente più orientata al paziente. Essa tende a normalizzare piuttosto che a patologizzare i disturbi psicologici. Tutti noi sviluppiamo degli schemi, degli stili di coping e dei mode; l’unica differenza è che queste caratteristiche sono più accentuate e rigide nei soggetti clinici. Infine, l’approccio della Schema Therapy è empatico e rispettoso nei confronti dei pazienti, soprattutto di quelli più gravi e, in particolare, di quelli affetti da Disturbo Borderline di Personalità, ai XII Schema Therapy quali spesso viene riservato un trattamento decisamente poco empatico, per non dire “rimproverante”, nel contesto delle terapie tradizionali. Gli stessi concetti di “confronto empatico” e “parziale reparenting” inducono i terapeuti a sviluppare un atteggiamento accudente nei confronti del paziente. Lavorare sui “mode”, inoltre, facilita il processo di confronto, permettendo al terapeuta di contrastare con forza i comportamenti rigidi e disfunzionali del paziente, senza per questo compromettere l’alleanza terapeutica. Per concludere, è stato dato particolare rilievo ad alcuni degli sviluppi che hanno interessato la Schema Therapy negli ultimi dieci anni: innanzitutto, abbiamo incluso la nuova lista degli Schemi Maladattivi Precoci, revisionata ed ampliata fino a comprenderne 18, suddivisi in cinque domini. Abbiamo, inoltre, sviluppato due nuovi protocolli terapeutici comprensivi di strategie dettagliate per i Disturbi Borderline e Narcisistico di Personalità. Questi protocolli ampliano e integrano la Schema Therapy, soprattutto attraverso l’utilizzo del nuovo concetto di “mode”. Abbiamo, infine, posto una maggiore enfasi sugli stili di coping, in particolare su quelli di evitamento e di ipercompensazione, e sul processo di cambiamento dei comportamenti disfunzionali volto a modificarli. Lo scopo è quello di aiutare il paziente a sostituire i propri stili di coping disadattivi con altri più funzionali, che gli permettano di soddisfare i propri bisogni emotivi di base. Con la pratica clinica e il maturare della nostra esperienza, il “parziale reparenting” ha assunto un ruolo sempre più importante nella terapia, in particolare per quanto riguarda il trattamento dei pazienti più gravi. Per questo motivo, riteniamo fondamentale che il terapeuta cerchi di soddisfare, ovviamente entro i limiti della relazione terapeutica, i bisogni che il paziente non ha potuto soddisfare durante l’infanzia. Con il passare del tempo, si è posta maggiore enfasi anche sugli schemi e sugli stili di coping del terapeuta, soprattutto nel contesto della relazione terapeutica. Ci auguriamo che questo manuale possa offrire al clinico una prospettiva nuova per affrontare i pazienti più difficili e che il nostro approccio terapeutico possa dare risultati significativi con i pazienti più gravi e problematici, per i quali è stato appositamente sviluppato. RINGRAZIAMENTI Gli autori Desideriamo ringraziare tutti i collaboratori della Guilford Press per averci sostenuto in questo lungo e impegnativo percorso: Kitty Moore, il direttore editoriale, per i suoi preziosi consigli e per averci guidato nella progettazione del volume; il direttore di produzione, Anna Nelson, per aver supervisionato le varie fasi di produzione con tanta professionalità e disponibilità; Elaine Kehoe, per il suo accurato lavoro di editing; e, infine, tutto lo staff, per averci seguito e sostenuto in tutte le fasi di realizzazione. In particolare, ringraziamo il dr. George Lockwood, che ci ha fornito numerosi chiarimenti e riferimenti storici sui vari approcci psicoanalitici e al quale dobbiamo la maggior parte del materiale sulle altre psicoterapie presentato nel primo capitolo. Lavorare con lui è stata un’esperienza estremamente stimolante, che speriamo di poter ripetere in futuro. Siamo, inoltre, riconoscenti a tutto lo staff dello Schema Therapy Institute di Manhattan e, in particolare, a Nancy Ribeiro e Sylvia Tamm. Il loro impegno e la loro affidabilità ci hanno dato il coraggio e la serenità di portare avanti il nostro progetto. Infine, ringraziamo i nostri pazienti, che ci hanno dimostrato come sia possibile trasformare anche le realtà più difficili in momenti di speranza ed esperienze di recupero. Jeffrey E. Young Sono molte le persone che desidero ringraziare per il prezioso contributo ed il sostegno che mi hanno dato, sia nello sviluppo della Schema Therapy, sia nella stesura di questo libro. Sono grato ai miei amici più cari per l’affetto e la disponibilità dimostratemi nel corso degli ultimi anni e per il ruolo fondamentale che hanno avuto nell’elaborazione di questo approccio terapeutico. ��������������������������������� Sono stati come una famiglia per me: Wendy Behary, Pierre Cousineau, Cathy Flanagan, Vivian Francesco, George Lockwood, Marty Slogane, Bob Sternberg, Will Swift, Dick e Diane Wattenmaker e William Zangwill. Ringrazio i miei colleghi, che hanno contribuito in vari modi a sviluppare la Schema Therapy, sia negli Stati Uniti che in altri paesi: Arnoud Arntz, Sam Ball, Jordi Cid, Michael First, Vartouhi Ohanian, Bill Sanderson, Glenn Walzer e David Weinberger. Ringrazio Nancy Ribeiro, la mia assistente amministrativa, per la devozione XIV Schema Therapy dimostrata nella realizzazione del progetto e per aver saputo sopportare le mie stranezze giorno dopo giorno. Grazie a mio padre, che con il suo amore incondizionato mi ha fornito un ottimo modello di accudimento e riaccudimento. Infine, grazie al mio mentore, Tim Beck, che è stato sia un amico, sia una guida fin dall’inizio della mia carriera. Janet S. Klosko Oltre alle persone già citate, vorrei ringraziare tutti i miei colleghi per l’appoggio che mi hanno saputo dare. ��������������������������������������������� In particolare, sono grata a Jayne Rygh, Ken Appelbaum, David Bricker, William Sanderson e Jenna Smith. Desidero ����������������� inoltre ringraziare la mia famiglia e i miei amici, in particolare Michael e Molly, per aver costituito la base sicura sulla quale ho potuto costruire la mia carriera. Marjorie E. Weishaar Ringrazio i miei professori, in particolare Aaron T. Beck, per i loro saggi consigli e la loro guida. Grazie ai miei colleghi e ai miei studenti per l’importante contributo che mi hanno dato e grazie a tutti i membri della mia famiglia per l’ottimismo, l’onestà e l’amore incondizionato che mi hanno dimostrato. 1 SCHEMA THERAPY: IL MODELLO TEORICO La Schema Therapy, sviluppata da Young (1990-1999) e colleghi, consiste in un modello teorico e in un approccio terapeutico innovativo e articolato che integra e amplia la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e le teorie su cui essa si basa, prendendo spunto da diversi altri modelli teorici, quali la teoria dell’attaccamento, la teoria costruttivista, la scuola psicoanalitica e quella della Gestalt. Questo approccio terapeutico è rivolto in particolare ai pazienti affetti da problematiche psicologiche ben radicate, considerati casi difficili da trattare. Evidenze cliniche dimostrano come la Schema Therapy sia un trattamento efficace per i disturbi di personalità e per quei tratti patologici di personalità che spesso costituiscono un fattore di mantenimento della sintomatologia di Asse I. DALLA CBT ALLA SCHEMA THERAPY Alcune considerazioni sulla CBT sono utili per capire l’importanza che ha avuto per Young lo sviluppo della Schema Therapy. I progressi nella ricerca e nella terapia hanno consentito di sviluppare protocolli di trattamento soddisfacenti per la maggior parte dei disturbi di Asse I; si tratta di terapie brevi (in media 20 sedute) che mirano alla riduzione della sintomatologia, allo sviluppo di alcune abilità e alla risoluzione delle problematiche che affliggono il paziente. In questa sede, il termine “terapia cognitivo-comportamentale” si riferisce a svariati protocolli elaborati da Beck (Beck, Rush, Shaw e Emery, 1979), Barlow (Crasse, Barlow e Meadows, 2000) ed altri autori per trattare i disturbi di Asse I. In ambito cognitivo-comportamentale, alcuni terapeuti hanno modificato i protocolli standard per adattarli ai casi difficili, sviluppando modelli compatibili con la Schema Therapy (Beck, Freeman, e colleghi, 1990). Discuteremo di alcune di queste modifiche più avanti (pagg. 50-57). È tuttavia opportuno sottolineare che, a tutt’oggi, i protocolli standard utilizzati in terapia cognitivo-comportamentale raramente tengono conto di questi adattamenti. 1 Schema Therapy Gli studi che si sono occupati di valutare l’efficacia dei trattamenti basati su questi protocolli hanno evidenziato un’elevata percentuale di risultati positivi (Barlow, 2001); tuttavia, considerando un intervallo di tempo più esteso, in molti casi essi si sono rivelati inefficaci. Ad esempio, nel trattamento dei disturbi depressivi la percentuale di successo è del 60%, ma la percentuale di ricaduta a distanza di un anno dalla fine della terapia si aggira intorno al 30% (Young, Weinberger e Beck, 2001). È noto, inoltre, come la CBT standard abbia una scarsa efficacia nel trattamento dei pazienti affetti da disturbi di personalità o che presentino tratti di personalità patologici (Beck, Freeman e colleghi, 1990). Non a caso, oggigiorno, la ricerca nell’ambito della CBT ha come principale obiettivo la sperimentazione di protocolli di trattamento che diano risultati soddisfacenti nella cura del paziente grave. Sono diverse le situazioni in cui si nota come i tratti patologici di personalità possano ridurre l’efficacia della CBT. Un esempio tipico può essere quello dei pazienti in trattamento per un disturbo di Asse I che si bloccano durante il percorso terapeutico o presentano una ricaduta al suo termine. Prendiamo il caso di una donna che aveva effettuato una terapia per superare il suo disturbo agorafobico. Attraverso l’utilizzo di esercizi di respirazione e di una gerarchia di esposizione graduale, accompagnati dalla ristrutturazione dei pensieri catastrofici, la donna era riuscita ad ottenere una significativa riduzione della sintomatologia e a vincere, di conseguenza, la paura di numerose situazioni. Al termine del trattamento, tuttavia, la paziente era tornata rapidamente ad essere afflitta dallo stesso disturbo. Se analizziamo la storia di vita di questa persona, ci troviamo di fronte a un passato caratterizzato dall’assenza di autonomia personale e dalla presenza di sentimenti di vulnerabilità e inefficienza – quelli che noi definiamo “schemi di Dipendenza e Vulnerabilità” – che hanno sempre influito sulla sua capacità di affrontare da sola le incombenze della vita quotidiana. Priva della fiducia necessaria per prendere delle decisioni, nel corso della sua esistenza la donna non è mai riuscita ad acquisire alcune capacità elementari, come ad esempio prendere la patente, orientarsi nel quartiere in cui abita, gestire il denaro o fissare obiettivi a lungo termine. Una volta conclusa la terapia, la paziente non era stata in grado di esporsi alle situazioni temute senza la guida del terapeuta, vanificando i progressi ottenuti durante il trattamento. È frequente, inoltre, che una terapia cognitivo-comportamentale venga intrapresa per affrontare un disturbo di Asse I, ma che, una volta ottenuta la riduzione della sintomatologia, i pazienti si trovino a dover fare i conti con i propri tratti patologici di personalità. Per comprendere meglio ciò che accade in queste situazioni, prendiamo in considerazione il caso di un paziente affetto da disturbo ossessivo-compulsivo. Grazie ad un breve trattamento basato sull’esposizione e la prevenzione della risposta, l’uomo era riuscito a liberarsi dai pensieri ossessivi e dai rituali compulsivi che fino a quel momento avevano impegnato la maggior parte del suo tempo. Finalmente in grado di dedicarsi ad altre attività, si era trovato a dover affrontare la sua pressoché totale mancanza di rapporti sociali, naturale Schema Therapy: il modello teorico conseguenza di una vita trascorsa in solitudine. Il paziente presentava quello che noi definiamo “schema di Inadeguatezza”, che lo aveva portato, fin dall’infanzia, a sperimentare sentimenti di rifiuto e ad evitare, di conseguenza, il contatto con gli altri e qualsiasi rapporto interpersonale. Infine, dobbiamo considerare tutti quei casi in cui il paziente non presenta sintomi specifici, ma riferisce problematiche vaghe e generiche, prive di fattori scatenanti facilmente identificabili e per i quali è difficile impostare degli obiettivi terapeutici. Anche in queste circostanze la CBT risulta poco efficace: il paziente sente che qualcosa non va o è carente nella sua vita, ma non sa definire il problema. Ciò che inconsapevolmente vorrebbe modificare è costituito dai tratti patologici di personalità e, dalla terapia, si aspetta un aiuto per risolvere le difficoltà che ha sempre avuto nel gestire le relazioni interpersonali in ambito familiare o lavorativo, ma poiché non ha alcun disturbo evidente in Asse I, o ne ha troppi, può trarre pochi benefici dalla CBT standard. Perché i pazienti con tratti patologici di personalità non sono adatti alla terapia cognitivo-comportamentale La CBT si basa su alcuni presupposti riguardanti le caratteristiche del paziente che vengono a mancare in coloro che presentano tratti patologici di personalità. Queste persone, infatti, si differenziano dai pazienti affetti dai classici disturbi di Asse I per una serie di caratteristiche psicologiche che li rendono meno adatti alla CBT tradizionale. Uno dei presupposti a cui ci riferiamo, ad esempio, è la capacità del paziente di aderire al protocollo di trattamento. In terapia cognitivo-comportamentale, si parte dal principio che il paziente sia motivato ad affrontare il percorso di riduzione dei sintomi, di acquisizione delle abilità e di soluzione dei problemi che lo affliggono e che, di conseguenza, con gli adeguati stimoli e rassicurazioni, riesca ad aderire alle procedure terapeutiche necessarie. Tuttavia, nel caso di pazienti con tratti patologici di personalità, la motivazione al trattamento e l’aderenza alle prescrizioni terapeutiche sono spesso altalenanti e, talvolta, si nota la mancanza di volontà o l’incapacità di seguire il percorso terapeutico. In alcuni casi, il paziente non esegue i compiti che dovrebbe svolgere al di fuori delle sedute, oppure manifesta una grande riluttanza nel mettere in pratica le strategie di autocontrollo o, ancora, si mostra più interessato ad ottenere consolazione dal terapeuta piuttosto che ad apprendere strategie adeguate per aiutare se stesso. Un altro presupposto su cui si basa la CBT è la capacità del paziente di imparare tempestivamente a riconoscere, e riferire al terapeuta, i pensieri e le emozioni. Tuttavia, chi presenta tratti patologici di personalità, tende ad avere una scarsa capacità di accedere alle proprie emozioni e ai propri pensieri e perciò difficilmente riesce ad osservarli e ad annotarli, soprattutto nelle prime fasi della terapia. Molti di questi pazienti, infatti, operano inconsapevolmente un evitamento emotivo e cognitivo, rifuggendo dai pensieri, dai ricordi, dalle immagini sgradevoli, Schema Therapy dalle sensazioni negative e risultano, di conseguenza, incapaci di un qualsiasi tipo di autoanalisi. In questi soggetti, l’evitamento si instaura tendenzialmente come un meccanismo di difesa che tende a consolidarsi nel tempo, poiché funzionale alla riduzione delle sensazioni negative. In presenza di stimoli associati a ricordi dell’infanzia, si possono scatenare alcune emozioni sgradevoli, quali l’ansia o la depressione, portando l’individuo ad evitare questi stimoli, al fine di sottrarsi al disagio, e favorendo l’instaurarsi di un automatismo di evitamento estremamente difficile da modificare. La CBT presuppone, inoltre, che il paziente sia in grado di modificare i comportamenti disfunzionali e i pensieri negativi attraverso l’applicazione di tecniche quali l’ABC, la ristrutturazione cognitiva, l’esposizione alle situazioni temute e così via; nel caso di pazienti con tratti patologici di personalità, raramente questo è possibile. L’esperienza ci ha dimostrato con chiarezza quanto sia difficile ristrutturare i pensieri distorti e gli atteggiamenti disfunzionali in soggetti con tratti patologici di personalità utilizzando la sola CBT. Spesso, infatti, anche dopo mesi di lavoro, non si nota alcun miglioramento significativo. In questi casi, la terapia cognitivo-comportamentale è, come abbiamo detto, di gran lunga meno efficace e necessita di tempi più lunghi per dare risultati significativi anche a causa della rigidità mentale che contraddistingue tutti i disturbi di personalità (American Psychiatric Association, 1994, pag. 633). Dobbiamo considerare, inoltre, che i pazienti con questi disturbi, presentando tratti patologici egosintonici, sono pessimisti circa le possibilità di trattamento e considerano i meccanismi disfunzionali di cui si avvalgono una parte così importante della propria identità personale da non riuscire a prendere in considerazione un eventuale cambiamento. Il tentativo di smuoverli dalle loro posizioni, spesso, si traduce in un attaccamento rigido, automatico e talvolta aggressivo alla consueta visione che hanno di se stessi e del mondo che li circonda. Un altro fattore da prendere in considerazione è la relazione terapeutica: nella CBT il rapporto terapeuta-paziente non è considerato un “elemento attivo” del percorso di trattamento. L’assunto di base è che, essendo il paziente collaborativo e motivato, si possa sviluppare in poche sedute una buona intesa e che la relazione, di conseguenza, non costituisca uno degli obiettivi primari della terapia, ma piuttosto un obiettivo secondario, da perseguire esclusivamente per supportare il paziente nel superamento degli ostacoli che può incontrare nel percorso terapeutico. Questo presupposto può costituire un grosso limite nel trattamento dei pazienti gravi, poiché essi presentano un altro elemento distintivo di tutti i disturbi di personalità, ovvero una difficoltà cronica nelle relazioni interpersonali (Millon, 1981), che gli impedisce di instaurare legami stabili, tanto nella vita privata quanto nella terapia. Alcuni pazienti, come ad esempio quelli affetti da disturbo borderline o dipendente di personalità, sono così presi dal far sì che il terapeuta soddisfi i loro bisogni emotivi, da perdere di vista le problematiche vere e proprie da affrontare nel trattamento; altri ancora, come quelli affetti da disturbo Schema Therapy: il modello teorico narcisistico, paranoide, schizoide o ossessivo-compulsivo di personalità, tendono ad essere così distaccati o ostili da non riuscire a collaborare con il terapeuta. Per questo motivo, l’analisi approfondita della relazione terapeutica è un elemento estremamente importante, sia per la valutazione del caso che per il trattamento di questi disturbi. In conclusione, la CBT è stata concepita per trattare quei casi che presentano una sintomatologia facilmente identificabile. Non è possibile, dunque, impostare una terapia di questo tipo per i pazienti che presentano aspetti di personalità patologici, poiché, come già detto, essi presentano problemi vaghi e cronici: sono sempre insoddisfatti, non riescono a vivere relazioni di coppia durature, la realizzazione in campo professionale è difficoltosa e sono dominati da un gran senso di vuoto. Tutti questi aspetti esistenziali non solo sono difficili da decodificare, ma anche da affrontare con la sola CBT. Più avanti cercheremo di spiegare come i diversi schemi identificabili nei pazienti con tratti patologici di personalità possano ostacolare il buon esito della terapia cognitivo-comportamentale. LO SVILUPPO DELLA SCHEMA THERAPY Per tutte le ragioni che abbiamo fin qui analizzato, Young (1990, 1999) ha sviluppato la Schema Therapy con l’obiettivo principale di allargare i confini della CBT tradizionale, integrando tecniche di diverse scuole, al fine di ottenere un modello terapeutico efficace nel trattamento dei disturbi di personalità. Rispetto alla CBT, la Schema Therapy – che, a seconda dei casi, può essere di breve, media o lunga durata – dà molta più importanza all’analisi delle diverse fasi dello sviluppo del disturbo (a partire dall’infanzia o dall’adolescenza), alla sfera emotiva, alla relazione terapeutica e alle modalità di coping disfunzionali. Nel trattamento di molti disturbi di Asse I e II che hanno origine da tratti patologici di personalità, la Schema Therapy può essere molto efficace una volta che è stata ridotta la sintomatologia acuta. Questo tipo di terapia, infatti, è finalizzato al trattamento di quegli aspetti patologici di personalità che sottostanno al disturbo o lo mantengono attivo, anziché dei sintomi psichiatrici acuti (come la depressione maggiore o gli attacchi di panico ricorrenti); per questo motivo, è spesso affiancata ad altri tipi di intervento, come la CBT standard e il trattamento farmacologico. La Schema Therapy si è dimostrata efficace nel trattamento dei problemi cronici di ansia e depressione, dei disturbi alimentari, delle problematiche di coppia e delle difficoltà relazionali, oltre che nel percorso di riabilitazione dei criminali e nella prevenzione della ricaduta nei tossicodipendenti. Come discuteremo in dettaglio nel prossimo paragrafo, questo nuovo approccio terapeutico è centrato sull’individuazione e la modificazione di alcuni aspetti psicologici profondi, detti “schemi maladattivi precoci” (SMP), tipici dei soggetti che presentano tratti patologici di personalità. Il terapeuta che applica la Schema Therapy tenta di ricostruire lo sviluppo di questi schemi dalla prima infanzia al Schema Therapy presente, dedicando particolare attenzione, nella loro analisi e comprensione, alle relazioni interpersonali del paziente. Utilizzando il modello, il paziente riesce a rendere egodistonici i propri tratti di personalità disfunzionali e, di conseguenza, è facilitato nel modificarli. Il terapeuta lo aiuta a modificare i propri schemi patogeni, attraverso l’utilizzo di strategie cognitive, emotive, comportamentali e interpersonali. Quando il paziente mette in atto i meccanismi disfunzionali tipici dello schema maladattivo precoce, il terapeuta, in modo empatico, gli ricorda i vantaggi che otterrebbe dal cambiamento e, svolgendo una funzione di parziale reparenting, cerca di colmare, in parte, le carenze che il paziente ha subito durante l’infanzia. GLI SCHEMI MALADATTIVI PRECOCI (SMP) Genesi del concetto di schema Analizziamo, adesso, i concetti di base della Schema Therapy, partendo dalla storia e dallo sviluppo del termine “schema”. Esso rientra nel lessico di diverse discipline. Nel linguaggio comune, uno schema equivale ad una struttura, ad un modello, ad un profilo. Nella filosofia dell’antica Grecia, gli Stoici, in particolare Crisippo (ca. 279-206 a.C.), presentavano i principi di logica sotto forma di “schemi inferenziali” (Nussbaum, 1994). Nella filosofia di Kant, lo schema era una rappresentazione di ciò che è comune a tutti i membri di una classe sociale. Il concetto di schema viene utilizzato anche nella teoria degli insiemi, nell’algebra, nelle scienze dell’educazione, nell’analisi letteraria, nella programmazione informatica e in molti altri settori. Esso ha un significato particolarmente importante in psicologia, e in particolare nell’ambito dello sviluppo cognitivo, dove lo schema rappresenta la struttura che l’individuo utilizza per interpretare la realtà e le esperienze vissute e di cui si avvale per trovare delle spiegazioni, per filtrare le percezioni e per guidare le proprie reazioni. Uno schema è dunque una rappresentazione astratta delle caratteristiche di un evento, una sorta di traccia dei suoi elementi più rilevanti. In psicologia il concetto di schema è comunemente associato al lavoro di Piaget, che ha descritto dettagliatamente gli schemi che caratterizzano le diverse fasi dello sviluppo cognitivo infantile. In ambito cognitivista, uno schema viene definito anche come un piano cognitivo astratto teso all’interpretazione delle informazioni e alla risoluzione dei problemi. Si può pensare, ad esempio, ad uno schema linguistico o ad uno schema culturale come strumenti psicologici da utilizzare, rispettivamente, per interpretare una frase o un mito. Nello sviluppo della terapia cognitiva, Beck (1967) ha utilizzato il concetto di schema fin dall’inizio, come testimoniano i suoi primi scritti. Ad ogni modo, nell’ambito della psicologia e della psicoterapia, di solito si tende a definire schema un qualunque principio organizzativo tramite il quale l’individuo può interpretare le esperienze vissute. In base a tale definizione, uno schema può essere sia positivo che negativo, funzionale all’adattamento o meno, e può avere origine sia nell’infanzia che in età adulta. Schema Therapy: il modello teorico È noto, in ambito psicoterapeutico, come gli schemi, che solitamente si formano durante l’infanzia, tendano a riattivarsi e a ripresentarsi durante le esperienze vissute in età adulta, anche quando non risultano più adeguati. Questo fenomeno, dovuto a un bisogno di “coerenza cognitiva”, ha la funzione di mantenere una certa stabilità nella visione di se stessi e del mondo, anche quando questa visione risulta inappropriata o distorta. La definizione di schema secondo Young Secondo Young (1990, 1999), alcuni schemi – in particolare quelli che si sviluppano in seguito ad un’esperienza negativa vissuta nell’infanzia – potrebbero essere all’origine dei tratti di personalità patologica o dei veri e propri disturbi di personalità, nonché di molte patologie croniche di Asse I. Per sviluppare questa teoria, Young ha individuato un gruppo di schemi che ha denominato schemi maladattivi precoci (SMP). Secondo la definizione di Young un SMP è: • • • • • • un concetto o modello omnicomprensivo; formato da ricordi, emozioni, pensieri e sensazioni somatiche; utilizzato per comprendere se stessi e il rapporto con gli altri; sviluppato nell’infanzia o nell’adolescenza; presente in tutte le fasi della vita; evidentemente poco funzionale. In sintesi, un SMP è una struttura emotiva e cognitiva disfunzionale, che si consolida nelle prime fasi dello sviluppo e si mantiene per tutta la vita. È importante notare come, secondo questa definizione, il comportamento di un individuo non faccia parte dello schema. Young considera, infatti, i comportamenti maladattivi delle risposte ad uno schema; essi, quindi, sono innescati dagli schemi ma non ne fanno parte. LE CARATTERISTICHE DEGLI SCHEMI MALADATTIVI PRECOCI Esaminiamo, adesso, alcune delle principali caratteristiche degli schemi (d’ora in avanti utilizzeremo i termini “schema” e “schema maladattivo precoce” come sinonimi). Prendiamo, ad esempio, il caso di un paziente che presenta uno dei quattro schemi più ostinati e devastanti tra i diciotto elencati nella tabella 1.1 (pag.14): Abbandono/Instabilità; Sfiducia/Abuso; Deprivazione emotiva; Inadeguatezza/Vergogna. Se da bambino il paziente ha subito un abbandono o un abuso, è stato trascurato o rifiutato, in età adulta il suo schema maladattivo si attiverà di fronte a situazioni che ritiene inconsciamente simili alle esperienze traumatiche vissute nell’infanzia e proverà una forte emozione negativa, che può essere di dolore, di vergogna, di paura o di rabbia. Schema Therapy Non tutti gli schemi hanno origine da un trauma o da un maltrattamento subito da bambini, ma la maggior parte di essi sono causati da esperienze nocive che si protraggono per tutta l’infanzia e l’adolescenza. Un individuo, ad esempio, può sviluppare uno schema di Dipendenza/Incapacità senza aver vissuto da bambino alcun evento traumatico, ma, al contrario, essendo cresciuto in una famiglia iperprotettiva o in un ambiente estremamente rassicurante. Gli schemi maladattivi precoci sono resistenti al cambiamento; questo, come abbiamo già detto, è dovuto al bisogno di coerenza insito nell’essere umano: essi sono, infatti, un qualcosa di ben conosciuto dal soggetto e, pur essendo fonte di sofferenza, risultano sicuri e familiari. Le persone tendono ad essere attratte proprio dalle situazioni che attivano gli SMP e questo è uno dei motivi per cui è così difficile modificarli. I pazienti, inoltre, considerano gli schemi delle verità assolute e, di conseguenza, continuano ad utilizzarli nel tempo per interpretare gli eventi. Gli schemi giocano, dunque, un ruolo fondamentale nel modo di pensare, di sentire, di relazionarsi con gli altri e di agire del paziente e, paradossalmente, lo inducono a ricreare senza volere, in età adulta, lo stesso tipo di situazioni che lo hanno ferito maggiormente da bambino. Gli SMP si originano nell’infanzia o nell’adolescenza come rappresentazioni realmente fondate dell’ambiente nel quale si è vissuti. La nostra esperienza ci ha dimostrato, infatti, come gli schemi riflettano abbastanza fedelmente l’atmosfera in cui ha vissuto l’individuo che li presenta. Ad esempio, quando un paziente descrive i propri genitori come freddi e poco affettuosi, ha generalmente ragione, anche se probabilmente non comprende perché la sua famiglia avesse tali difficoltà a dimostrargli affetto o ad esprimere i propri sentimenti. Le spiegazioni che attribuisce al loro comportamento tendono ad essere sbagliate, ma la percezione dell’emotività e dell’atteggiamento della famiglia nei suoi confronti risulta quasi sempre realistica. La natura invalidante degli schemi, solitamente, si fa notare in età adulta, quando il paziente inizia a manifestarli nei rapporti interpersonali, pur non essendo in grado di averne una reale consapevolezza. Gli schemi maladattivi precoci e le relative modalità di risposta, infatti, sono spesso all’origine di alcuni problemi cronici di Asse I, come ad esempio l’ansia, la depressione, la tossicodipendenza e i disturbi psicosomatici. Gli SMP sono dimensionali, nel senso che possono essere più o meno gravi e invalidanti, e la gravità di uno schema è direttamente proporzionale al numero di situazioni capaci di attivarlo. Un individuo che è stato oggetto, fin da bambino, di critiche aspre e ricorrenti da parte di entrambi i genitori, tenderà ad esperire lo schema di Inadeguatezza ogni qual volta si troverà in contatto con altre persone; colui che ha subito, a partire dall’adolescenza, critiche meno aspre, occasionali e da parte di un solo genitore, tenderà a manifestare lo stesso schema, ma molto più raramente e magari soltanto in presenza di figure autoritarie ed esigenti dello stesso sesso del genitore criticante. La gravità di uno schema, inoltre, è propor- Schema Therapy: il modello teorico zionale all’intensità e alla durata della sensazione negativa che scatena quando si attiva. Come già accennato, gli schemi, in generale, possono essere sia positivi che negativi e possono instaurarsi sia nell’infanzia che in età adulta; tuttavia il nostro obiettivo è quello di analizzare esclusivamente gli schemi maladattivi precoci, quindi non prenderemo in considerazione né gli schemi positivi né quelli che si sviluppano in età adulta. Alcuni studiosi sostengono che ad ogni SMP ne corrisponda uno adattivo (Elliot e Lassen, 1997); del resto, considerando le fasi psicosociali di Erikson (1950), si potrebbe avanzare l’ipotesi che il superamento o meno di una fase psicosociale si traduca, rispettivamente, in uno schema adattivo o disadattivo. Tuttavia, l’attenzione di questo libro è rivolta ai pazienti affetti da patologie croniche e non alle persone “sane”, per cui analizzeremo principalmente gli schemi disfunzionali che riteniamo essere all’origine dei disturbi di personalità. COME SI SVILUPPANO GLI SCHEMI I bisogni primari Il presupposto su cui ci basiamo è che gli schemi derivino dalla frustrazione, durante l’infanzia, di almeno uno dei cinque bisogni primari dell’essere umano: • legami stabili con gli altri (bisogno di protezione, stabilità, cura e accettazione); • autonomia, senso di competenza e d’identità; • libertà di esprimere i bisogni e le emozioni fondamentali; • spontaneità e gioco; • limiti realistici e autocontrollo. Questi bisogni sembrano essere universali e comuni a tutti gli individui, sebbene in alcuni siano più marcati e in altri meno. Una persona in buona salute mentale è capace di trovare delle strategie funzionali al soddisfacimento dei propri bisogni emotivi primari. L’interazione tra il temperamento innato del bambino e l’ambiente in cui cresce può portare alla frustrazione, piuttosto che alla soddisfazione, dei suoi bisogni primari. Scopo della Schema Therapy e di tutte le modalità d’intervento relative è di aiutare il paziente a trovare delle strategie funzionali al soddisfacimento di questi bisogni. La presente lista è avvalorata da svariate teorie, nonché da osservazioni cliniche da noi condotte personalmente, ma non è ancora stata sottoposta a test empirici; è nostro auspicio riuscire a condurre delle ricerche in tal senso, che ci permettano di continuare ad aggiornare o modificare l’elenco dei bisogni primari. Anche l’elenco dei domini degli schemi (vedi tabella 1.1. a pag. 14) rimane aperto ad eventuali modifiche, laddove esse si rendessero necessarie in seguito ad evidenze empiriche e cliniche. 10 Schema Therapy Le esperienze della prima infanzia All’origine degli SMP possiamo quasi sempre associare delle esperienze negative vissute durante l’infanzia. In generale, le modalità con le quali un bambino si approccia al mondo esterno coincidono con le dinamiche che ha vissuto nel contesto familiare. Di solito, gli schemi maladattivi precoci si attivano quando il soggetto si trova in situazioni che gli ricordano un evento traumatico vissuto in ambito familiare, generalmente durante l’infanzia, per lo più nella relazione con uno dei genitori. Altri fattori, quali le amicizie, l’ambiente scolastico, il gruppo dei pari e i condizionamenti sociali, diventano sempre più importanti via via che il bambino cresce e possono essere anch’essi responsabili dello sviluppo di alcuni SMP; in linea di massima, tuttavia, questi schemi sono meno persistenti e meno invalidanti (lo schema Esclusione sociale, ad esempio, tende ad instaurarsi negli ultimi anni dell’infanzia o nell’adolescenza e non riflette necessariamente le esperienze familiari). Abbiamo individuato quattro tipi di esperienze che favoriscono la formazione degli schemi maladattivi precoci in età infantile. La prima è la frustrazione dei bisogni primari, che porta allo sviluppo di schemi quali quello della Deprivazione emotiva o dell’Abbandono; ciò accade quando il bambino soffre di una qualche carenza emotiva, vive in una situazione d’instabilità, non trova l’adeguata comprensione o non riceve abbastanza amore. La seconda consiste nel trauma o nel maltrattamento; in questo caso, il bambino viene ferito emotivamente o maltrattato e sviluppa schemi del tipo Sfiducia/Abuso, Inadeguatezza/Vergogna o Vulnerabilità. Una terza situazione è quella in cui il bambino riceve troppe attenzioni e i genitori riversano su di lui eccessive manifestazioni di affetto e di stima o elevate aspettative, atteggiamenti che, in giusta misura, sarebbero positivi. Difficilmente schemi come quelli di Dipendenza/Incompetenza o Pretese/Grandiosità scaturiscono da episodi di maltrattamento; è più facile che il bambino sia stato troppo coccolato o viziato e che i suoi bisogni primari connessi allo sviluppo di autonomia e di limiti realistici siano rimasti insoddisfatti, così come è probabile che i genitori siano stati troppo presenti nella sua vita, che lo abbiano protetto troppo o, al contrario, che gli abbiano dato troppa libertà e autonomia. Il quarto tipo di esperienza che favorisce l’instaurarsi degli SMP è la cosiddetta interiorizzazione dell’altro significativo o, in altre parole, l’identificazione con un familiare. Il bambino sceglie il genitore con cui identificarsi e ne introietta i pensieri, le emozioni, le esperienze e i comportamenti. Consideriamo, ad esempio, i casi di Ruth e Kevin, due pazienti che avevano subito violenza durante l’infanzia. Da bambina, Ruth aveva assunto il ruolo della vittima quando il padre la picchiava; invece di reagire, era sempre rimasta passiva e sottomessa, subendo il comportamento violento del padre senza identificarsi con lui; aveva sperimentato i sentimenti della vittima, senza interiorizzare quelli dell’abusatore. Kevin, invece, si era sempre ribellato alle violenze del padre, identificandosi con lui, interiorizzando i suoi pensieri, le sue emozioni e i suoi comportamenti violenti e Schema Therapy: il modello teorico 11 diventando a sua volta violento (i casi descritti si riferiscono a situazioni estreme, dato che, in realtà, i bambini tendono sia a sentirsi vittime che a interiorizzare alcuni dei pensieri, delle emozioni e dei comportamenti dell’adulto dal quale subiscono violenza). Immaginiamo due pazienti che hanno avuto dei genitori poco affettuosi e che, da bambini, sentendosi soli e poco amati hanno sviluppando lo schema Deprivazione emotiva. Dovremmo per forza supporre che entrambi siano diventati adulti poco affettuosi? Non necessariamente! Un bambino che ha sofferto della mancanza di affetto non è inevitabilmente destinato a diventare a sua volta una persona poco affettuosa. Come vedremo nel capitolo dedicato alle modalità di risposta agli schemi, questi bambini, nel crescere, potrebbero reagire alla loro deprivazione emotiva diventando premurosi o, al contrario, esigenti e dispotici, invece di interiorizzare gli atteggiamenti freddi dei loro genitori. Il nostro modello non presuppone né una necessaria identificazione con i genitori, né un’indiscriminata interiorizzazione dei loro comportamenti da parte del bambino; l’esperienza clinica ci insegna come il bambino “selezioni” la persona con cui identificarsi e gli aspetti da interiorizzare, sviluppando i propri schemi e le relative modalità di risposta. Anche il temperamento di un individuo determina la propensione ad identificarsi o meno con una delle persone amate e ad interiorizzarne le caratteristiche. Un bambino con temperamento distimico, ad esempio, difficilmente si identificherà con l’ottimismo del genitore di fronte ad un evento sfortunato, poiché questo atteggiamento è totalmente contrario alla sua predisposizione naturale. Il temperamento Lo sviluppo di uno schema in un bambino non è determinato esclusivamente dall’ambiente nel quale trascorre i primi anni dell’infanzia; il suo temperamento di base, innanzitutto, può giocare un ruolo fondamentale. Come ben sanno tutti i genitori, ogni bambino è dotato di una “personalità” o di un temperamento unico e ben distinto fin dalla nascita: può essere più o meno nervoso, più o meno timido, più o meno aggressivo e cosi via. L’importanza dei fattori biologici nello sviluppo della personalità è documentata da un gran numero di ricerche. Kagan e colleghi (Kagan, Reznick e Snidman, 1988), ad esempio, hanno ampiamente studiato i tratti distintivi del temperamento nei primissimi mesi di vita, rilevando come essi siano notevolmente stabili nel corso di tutta l’esistenza di un individuo. Di seguito riportiamo alcuni aspetti del temperamento che sembrano essere innati e che la psicoterapia, da sola, difficilmente riesce a modificare: • emotività/mancanza di emotività; • pessimismo/ottimismo; 12 Schema Therapy • • • • • ansia/calma; ossessività/superficialità; passività/aggressività; irritabilità/pacatezza; introversione/estroversione. Potremmo rappresentare il temperamento su un grafico in cui venga riportato come si colloca l’individuo riguardo ad ognuna delle suddette dimensioni, ottenendo sempre grafici diversi e irripetibili. Possiamo ipotizzare che gli SMP scaturiscano dall’interazione tra il temperamento del bambino e le esperienze negative vissute. A seconda del suo temperamento di base, inoltre, un bambino potrà essere più esposto di un altro a determinate situazioni. Ad esempio, è più probabile che sia un bambino aggressivo a suscitare la rabbia di un genitore violento, piuttosto che un bambino calmo e mansueto. Il temperamento può determinare anche il grado di sensibilità di un bambino di fronte a determinati avvenimenti: due bambini che sono stati trattati dai genitori allo stesso modo, infatti, possono reagire molto diversamente l’uno dall’altro. Se consideriamo, ad esempio, una madre che ha avuto un atteggiamento rifiutante nei confronti dei figli, possiamo notare come quello dal temperamento introverso conduca una vita ritirata e, man mano che cresce, dipenda sempre più dalla mamma, mentre quello dal temperamento estroverso sia più intraprendente e vada alla ricerca di altre persone con cui stabilire rapporti più gratificanti. La capacità di socializzare si è più volte dimostrata una risorsa importante per quei bambini che crescono senza problemi pur essendo stati trascurati o maltrattati dai genitori. In alcuni casi, è il contesto familiare particolarmente favorevole o, al contrario, avverso ad influenzare il temperamento. Un ambiente domestico rassicurante e pieno d’affetto può rendere anche un bambino timido relativamente socievole in molte situazioni; al contrario, un bambino socievole che viene continuamente rifiutato può, a sua volta, diventare riservato. Per gli stessi motivi, un bambino con un temperamento particolarmente difficile può sviluppare una psicopatologia pur crescendo in un contesto familiare normale. CLASSIFICAZIONE DEGLI SCHEMI MALADATTIVI PRECOCI Nel modello a cui si fa riferimento, sono stati individuati diciotto schemi, classificati in cinque categorie, chiamate “domini degli schemi”, per indicare i bisogni frustrati che sottostanno allo schema. Nella tabella 1.1, le cinque categorie sono riportate in corsivo al centro della pagina (ad esempio, Distacco e rifiuto) mentre i diciotto schemi sono numerati e allineati sul margine sinistro della pagina (ad esempio, “1. Abbandono/Instabilità”). Schema Therapy: il modello teorico 13 Dominio I: Distacco e rifiuto I pazienti che presentano gli schemi di questa categoria sono incapaci di stabilire delle relazioni sicure ed appaganti, perché sono convinti che il loro bisogno di stabilità, sicurezza, cura, amore e accettazione non sarà mai soddisfatto. Solitamente, in questi casi, la famiglia di origine è una famiglia instabile (Abbandono/Instabilità), violenta (Sfiducia/Abuso), poco affettuosa (Deprivazione emotiva), troppo esigente (Inadeguatezza/Vergogna) o isolata dal mondo esterno (Esclusione sociale/Alienazione). Da questo dominio, e specialmente dai primi quattro SMP, si originano alcune tra le più gravi patologie relazionali, in quanto la maggior parte delle persone con questi schemi ha subito un trauma nell’infanzia e tende a passare da un relazione disastrosa all’altra o ad evitare qualsiasi tipo di legame importante. Il rapporto terapeuta-paziente è, in questi casi, uno strumento terapeutico estremamente importante. Abbandono/Instabilità: questi soggetti hanno la sensazione che i legami affettivi fondamentali siano instabili; pensano che l’altro li abbandonerà o li sostituirà con qualcuno migliore di loro; valutano l’altro come inaffidabile da un punto di vista affettivo o troppo poco presente; considerano tutte le relazioni come destinate a morire. Sfiducia/Abuso: questi soggetti hanno la convinzione che gli altri vogliano approfittarsi di loro; hanno paura di subire delle violenze, una forte delusione o un’umiliazione; temono che l’altro dica loro delle bugie, che li inganni o che li manipoli. Deprivazione emotiva: questi soggetti ritengono di non riuscire ad avere dei legami soddisfacenti da un punto di vista emotivo. Ne esistono tre forme: (1) dovuta a carenza di cure (mancanza di affetto o attenzione); (2) dovuta a carenza di empatia (mancanza di ascolto e comprensione); (3) dovuta a carenza di protezione (mancanza di persone forti o capaci di fungere da guida). Inadeguatezza/Vergogna: questi soggetti hanno la sensazione di essere inadeguati, sbagliati, inferiori o immeritevoli e di non piacere agli altri. Di solito, si vergognano dei difetti che sono convinti di avere, nascosti (ad esempio, egoismo, impulsi aggressivi, desideri sessuali inaccettabili) o manifesti (ad esempio, aspetto fisico poco attraente o difficoltà nel socializzare) che siano. Esclusione sociale/Alienazione: al di fuori del contesto familiare, questi soggetti si sentono diversi o incompatibili con gli altri e, generalmente, non trovano alcun gruppo o comunità di cui sentirsi parte. 14 Schema Therapy TABELLA 1.1. Schemi maladattivi precoci e rispettivi domini Distacco e rifiuto Chi presenta uno o più schemi in questo dominio è convinto che probabilmente i propri bisogni di sicurezza, stabilità, cura, empatia, condivisione delle emozioni, accettazione e rispetto non saranno soddisfatti. La tipica famiglia di origine di questi soggetti è distaccata, fredda, rifiutante, iperprotettiva, poco socievole, instabile, imprevedibile o abusante. 1. Abbandono/Instabilità Questo schema comporta una percezione di instabilità o inaffidabilità nelle persone significative. Chi presenta questo schema ha la sensazione che esse non continueranno a fornire nel tempo il loro sostegno emotivo, il loro affetto, la loro forza o la loro protezione perché sono emotivamente instabili e imprevedibili (ad esempio a causa delle loro esplosioni di rabbia), inaffidabili o troppo poco presenti, perché potrebbero morire da un momento all’altro o perché potrebbero decidere di abbandonarli per qualcun altro. 2. Sfiducia/Abuso Chi presenta questo schema ha la convinzione che gli altri abuseranno o si approfitteranno di lui, lo feriranno, lo umilieranno, lo raggireranno, lo manipoleranno, oppure che gli mentiranno. Generalmente il soggetto crede che il dolore o il danno causato dagli altri sia intenzionale o che scaturisca da una loro ingiustificata ed eccessiva negligenza. La persona si può sentire destinata ad essere ferita dagli altri o può credere di essere sempre l’unica a rimetterci. 3. Deprivazione emotiva Questo schema comporta la sensazione che i propri bisogni emotivi non verranno adeguatamente soddisfatti nelle relazioni con gli altri. Le tre principali forme di deprivazione sono: • carenza di cure (mancanza di affetto, attenzione, calore o compagnia); • carenza di empatia (mancanza di ascolto, comprensione, intimità e possibilità di confidarsi e condividere i propri sentimenti con gli altri); • carenza di protezione (mancanza di persone forti, capaci di dare consigli o fungere da guida). 4. Inadeguatezza/Vergogna Chi presenta questo schema ha la sensazione di essere inadeguato, sbagliato, poco desiderato, inferiore o carente in alcuni ambiti fondamentali della propria vita ed è convinto che le persone significative non lo amerebbero più se si mostrasse loro per quello che è veramente. Tende ad essere particolarmente sensibile alle critiche, ai rifiuti o ai rimproveri; è troppo attento a ciò che dice e a ciò che fa, si paragona agli altri e si sente insicuro nelle situazioni sociali; si vergogna di quelli che considera i propri difetti, nascosti (ad esempio, egoismo, impulsi aggressivi o desideri sessuali inaccettabili) o manifesti (ad esempio, aspetto fisico poco attraente o difficoltà nel socializzare) che siano. (segue) Schema Therapy: il modello teorico 15 TAB: 1.1. (Continua) 5. Esclusione sociale/Alienazione Questo schema induce il soggetto a sentirsi escluso dal resto del mondo, a percepirsi diverso dagli altri, e gli impedisce di sentirsi parte di qualsiasi gruppo o comunità. Mancanza di autonomia e abilità Le persone con uno o più schemi in questo dominio hanno delle aspettative nei confronti di se stesse e del mondo che interferiscono con la loro capacità di differenziarsi dalle figure genitoriali, di vivere senza l’aiuto degli altri e di crearsi una vita indipendente o acquisire determinate abilità. Generalmente questi soggetti crescono in famiglie invischiate o iperprotettive, hanno genitori che hanno minato la loro fiducia in se stessi o che non sono riusciti a fornire loro stimoli a sufficienza per acquisire le abilità necessarie per agire e vivere adeguatamente al di fuori del contesto familiare. 6. Dipendenza/Incompetenza Chi presenta questo schema si considera incapace di gestire adeguatamente le responsabilità della vita quotidiana senza un aiuto considerevole da parte degli altri (è convinto, ad esempio, di non essere in grado di occuparsi di se stesso, di risolvere i problemi di tutti i giorni, di agire con buon senso, di affrontare nuovi compiti o di prendere decisioni adeguate). Spesso lo schema è accompagnato da una sensazione di impotenza. 7. Vulnerabilità al pericolo o alle malattie Questo schema provoca nel soggetto il timore esagerato che possa accadere da un momento all’altro qualcosa di catastrofico e la convinzione di non poter fare niente per impedirlo. Le paure sono generalmente incentrate sulle seguenti tipologie di catastrofi: mediche (infarto, Aids); emotive (perdita della ragione); esterne (guasti all’ascensore, aggressioni, disastri aerei, terremoti, ecc.). 8. Invischiamento/Sé poco sviluppato Chi presenta questo schema è eccessivamente coinvolto in una o più relazioni con le persone significative (solitamente con i genitori), tanto che non gli è stato possibile sviluppare una piena identità o raggiungere un adeguato inserimento sociale. Spesso il soggetto è convinto di non poter vivere o essere felice senza il continuo sostegno dell’altra persona, crede che essa non possa vivere o essere felice senza di lui, o entrambe le cose. Lo schema, talvolta, genera una sensazione di inscindibilità e immedesimazione con gli altri e la percezione di non avere un adeguato senso d’identità. Le persone con questo schema tendono, infine, a sviluppare sensazioni di vuoto, a sentirsi disorientate e, in casi estremi, arrivano a dubitare della propria esistenza. 9. Fallimento Lo schema comporta la sensazione di non essere in grado di raggiungere i propri obiettivi (scolastici, sportivi, professionali, ecc.) o di essere sostanzialmente inferiori ai propri pari nella capacità di portarli a termine. Lo schema spesso genera la sensazione di essere poco intelligenti, inetti o privi di talento, di appartenere ad una classe sociale inferiore o di essersi realizzati meno degli altri. (segue) 16 Schema Therapy Mancanza di regole TAB: 1.1. (Continua) Chi presenta uno o più schemi in questo dominio non ha sviluppato regole adeguate in ambito relazionale e interpersonale o non riesce a perseguire obiettivi a lungo termine. Riscontra delle difficoltà nel rispettare gli altri nei loro diritti fondamentali, nell’instaurare rapporti collaborativi, nell’adempiere ai propri impegni o nell’impostare e raggiungere obiettivi personali realistici. La tipica famiglia di origine ha ostacolato il figlio nell’assunzione delle proprie responsabilità, non gli ha insegnato a collaborare in modo proficuo con le altre persone, né a definire i propri obiettivi, perché, invece di confrontarsi con lui e definire una disciplina e delle regole adeguate, ha assunto atteggiamenti troppo permissivi o indulgenti nei suoi confronti, è stata incapace di fornirgli un adeguato orientamento o ha manifestato un atteggiamento di superiorità. Talvolta, i genitori non hanno permesso al figlio di imparare a tollerare un normale livello di sopportazione del disagio o non hanno esercitato a sufficienza le loro funzioni di controllo, orientamento e guida. 10. Pretese/Grandiosità Chi presenta questo schema si sente superiore agli altri, si arroga particolari diritti e privilegi e si ritiene esonerato dal rispettare le regole di reciprocità alla base dei rapporti sociali. Spesso il soggetto è convinto di poter fare e ottenere tutto ciò che desidera, anche quando le sue richieste o i suoi propositi sono irrealistici, irragionevoli o arrecano danno agli altri; in alcuni casi, si pone, in modo esasperato, come unico obiettivo il raggiungimento di una condizione di superiorità (aspira, ad esempio, a diventare una delle persone più ricche, più affermate o più famose), intesa come strumento per ottenere potere o controllo (piuttosto che l’attenzione o l’approvazione). Spesso il suo atteggiamento è troppo competitivo nei confronti degli altri: cerca di dominarli, di imporre loro il proprio punto di vista o di controllarne i comportamenti allo scopo di soddisfare i propri desideri, senza curarsi e mostrare alcuna empatia nei confronti delle esigenze e dei desideri altrui. 11. Autocontrollo o autodisciplina insufficienti Le persone con lo schema Autocontrollo o autodisciplina insufficienti non esercitano le capacità di autocontrollo e di gestione della frustrazione necessarie per raggiungere gli obiettivi personali e contenere le manifestazioni eccessive degli impulsi e delle emozioni. Quando lo schema è poco marcato, il soggetto tende ad evitare qualsiasi forma di disagio: evita di affrontare situazioni dolorose, conflittuali o di confronto con gli altri, oppure di assumersi responsabilità o compiti troppo gravosi; questo ha evidenti ripercussioni sulle sue capacità di realizzarsi, adempiere agli impegni presi e mantenere una propria integrità. Eccessiva attenzione ai bisogni degli altri Chi ha uno o più schemi in questo dominio mostra un’eccessiva attenzione ai desideri, ai sentimenti e alle reazioni degli altri, trascurando i propri bisogni allo scopo di conquistare l’amore e l’approvazione degli altri, preservare le relazioni interpersonali o evitare che gli altri possano reagire negativamente. Il soggetto tende a reprimere le proprie sensazioni di rabbia e a non tenere (segue) Schema Therapy: il modello teorico 17 TAB: 1.1. (Continua) in considerazione le proprie inclinazioni, oppure ne è del tutto inconsapevole. La tipica famiglia di origine è caratterizzata da un atteggiamento di accettazione condizionata, per cui il bambino si sente obbligato a reprimere alcuni aspetti importanti della propria personalità per conquistare l’amore, le attenzioni o l’approvazione degli adulti. In molti casi, i genitori prestano maggiore attenzione ai propri desideri e ai propri bisogni emotivi - o alle apparenze e allo status sociale - che ai sentimenti e alle esigenze soggettive del figlio. 12. Sottomissione I soggetti con questo schema lasciano un’eccessiva capacità di controllo agli altri poiché si sentono costretti a farlo e si sottomettono per evitare la rabbia, l’abbandono o una qualche reazione negativa da parte degli altri. Le due forme principali di sottomissione riguardano: • i bisogni: repressione delle preferenze, delle scelte e dei desideri; • le emozioni: repressione delle proprie reazioni emotive, in particolar modo della rabbia. Generalmente il soggetto è convinto che i propri desideri, le proprie opinioni e i propri sentimenti siano inopportuni o ininfluenti agli occhi degli altri; si mostra eccessivamente compiacente e subisce eccessivamente le pressioni che gli altri esercitano su di lui. Questo schema solitamente scatena nel soggetto sensazioni di rabbia, che si manifestano attraverso sintomi maladattivi (quali comportamenti passivo-aggressivi, scatti d’ira incontrollabili, sintomi psicosomatici, allontanamenti dalle persone care, episodi di “acting out” o abuso di sostanze). 13. Autosacrificio Chi presenta questo schema rinuncia in maniera sistematica e volontaria alle gratificazioni personali per soddisfare i bisogni degli altri. Le ragioni più comuni di un comportamento del genere sono: risparmiare le sofferenze agli altri; evitare i sensi di colpa che potrebbero scaturire dalla sensazione di essere egoisti; preservare le relazioni con le persone considerate “bisognose”. Spesso lo schema si manifesta con una eccessiva sensibilità alle sofferenze altrui; in alcuni casi, tuttavia, il soggetto sente che i propri bisogni non vengono adeguatamente soddisfatti e, di conseguenza, sviluppa sensazioni di risentimento nei confronti delle persone di cui si prende cura. 14. Ricerca di approvazione o riconoscimento Questo schema si manifesta con una tendenza così accentuata a ricercare l’approvazione, il riconoscimento, l’attenzione o l’accettazione degli altri da compromettere lo sviluppo di un senso d’identità stabile e autentico. I principali parametri utilizzati per misurare la propria autostima sono le reazioni degli altri piuttosto che le proprie; talvolta, si denota un’eccessiva attenzione alla condizione economica o sociale, all’aspetto esteriore, alla necessità di conformarsi ai canoni della società e al raggiungimento del successo, intesi come mezzi per ottenere l’approvazione, l’ammirazione o l’attenzione degli altri (piuttosto che per conquistare una posizione di controllo e di potere su di loro). Spesso lo schema si traduce in scelte di vita poco autentiche e poco soddisfacenti e induce il soggetto ad avere reazioni esagerate ai rifiuti subiti. (segue) 18 Schema Therapy Ipercontrollo e inibizione TAB: 1.1. (Continua) Le persone i cui schemi rientrano in questo dominio reprimono talmente i propri sentimenti, le proprie preferenze e i propri impulsi spontanei o sono così concentrate a soddisfare gli standard severi e le aspettative rigide di carattere etico o prestazionale che hanno interiorizzato, da trascurare i piaceri dalla vita, l’espressione di sé, il riposo, le relazioni intime o la salute. La tipica famiglia di origine è cupa, esigente, e, in alcuni casi, punitiva: le prestazioni, il dovere, il perfezionismo, il rispetto delle regole, la repressione delle emozioni e il tentativo di non commettere errori hanno un ruolo prioritario sui piaceri e le gioie della vita, sul benessere e sul riposo individuale. Generalmente lo schema induce il soggetto a vivere in una condizione di costante pessimismo e nella continua preoccupazione che qualcosa di negativo possa accadere se non rimane costantemente vigile e attento. 15. Negatività/Pessimismo Chi presenta questo schema mostra un’attenzione costante ed eccessiva agli aspetti negativi dell’esistenza (il dolore, la morte, la perdita, le delusioni, i conflitti, i sensi di colpa, il risentimento, i tradimenti, le difficoltà o la possibilità di commettere errori o vivere eventi negativi), mentre tende a sottovalutarne o a negarne gli aspetti positivi e ottimistici. Solitamente il soggetto manifesta un eccessivo timore che qualcosa di terribile possa accadere - in ambito lavorativo, economico o interpersonale - o che gli aspetti della propria vita che al momento sembrano stabili finiranno con l’avere un’evoluzione del tutto negativa. Lo schema generalmente promuove nel soggetto una paura ingiustificata di commettere errori che lo porteranno a cadere in disgrazia, a subire delle perdite o delle umiliazioni o a rimanere coinvolto in brutte situazioni. Esagerando le probabilità che qualcosa vada storto, chi presenta questo schema è costantemente preoccupato e vigile, tende a lamentarsi e non riesce a prendere delle decisioni. 16. Inibizione emotiva Le persone con questo schema reprimono in modo eccessivo il loro spontaneo modo di agire, sentire e comunicare; tendenzialmente si comportano così per evitare le critiche degli altri, i sentimenti di vergogna o eventuali perdite di controllo sui propri impulsi. Le quattro principali forme di inibizione sono: (1) l’inibizione della rabbia e dell’aggressività; (2) l’inibizione degli impulsi positivi (gioia, affettività, eccitazione sessuale, divertimento); (3) la difficoltà ad esprimere la propria vulnerabilità o a parlare liberamente dei propri sentimenti e dei propri bisogni; (4) l’esaltazione della razionalità a discapito delle emozioni. 17. Standard severi/Ipercriticismo Lo schema si fonda sulla convinzione di dover soddisfare a tutti i costi gli standard severi di carattere etico e prestazionale che si sono interiorizzati, allo scopo di evitare le critiche degli altri. Chi presenta questo schema si sente generalmente sotto pressione, non riesce a concedersi un adeguato riposo e diviene eccessivamente critico nei confronti di se stesso e degli altri. Per poter essere considerato maladattivo, lo schema deve comportare una compromissione significativa (segue) Schema Therapy: il modello teorico 19 TAB: 1.1. (Continua) della capacità dell’individuo di trarre piacere dalla vita, di rilassarsi, di sviluppare una buona autostima, di mantenere un buono stato di salute, di sentirsi realizzato o di instaurare relazioni interpersonali soddisfacenti. Lo schema generalmente si traduce in una tendenza: (1) al perfezionismo, inteso come un’eccessiva attenzione ai dettagli o alla sottostima delle proprie prestazioni nel confronto con gli altri; (2) alla definizione di regole rigide e “doveri” in molti ambiti esistenziali, che riguardano, tra le altre, la sfera morale, culturale e religiosa; (3) a sviluppare un’eccessiva preoccupazione rispetto al tempo e all’efficienza, che induce la sensazione di non fare mai abbastanza. 18. Punizione Chi presenta questo schema è convinto che chi sbaglia debba essere severamente punito. Il soggetto tende ad arrabbiarsi, ad essere poco tollerante, a punire o ad avere poca pazienza con chi (incluso se stesso) non soddisfa i suoi standard o non si mostra all’altezza delle sue aspettative. Lo schema induce ad avere notevoli difficoltà nel perdonare i propri errori e quelli degli altri, in quanto promuove una certa riluttanza a prendere in esame i fattori attenuanti, ad accettare l’imperfezione insita nell’essere umano e ad empatizzare con gli altri. © Copyright 2002 - Jeffrey Young. È vietata ogni riproduzione non espressamente autorizzata. Per informazioni contattare lo Schema Therapy Institute, 36 West 44th Street, Suite 1007, New York, NY 10036. Dominio II: Mancanza di autonomia e abilità Per autonomia si intende la capacità di una persona di distaccarsi dalla famiglia d’origine e di crearsi una vita più o meno indipendente, in relazione all’età. I pazienti che presentano schemi appartenenti a questa categoria hanno delle aspettative nei confronti di se stessi e del mondo che interferiscono con la capacità di differenziarsi dalle figure genitoriali e di crearsi una vita indipendente. Si tratta di soggetti che, durante l’infanzia, sono stati iperprotetti e che hanno avuto una famiglia d’origine che interveniva in ogni situazione sostituendosi a loro. In alcuni casi, ma molto più raramente, gli schemi appartenenti a questa categoria si riscontrano in soggetti che hanno vissuto l’esperienza opposta, di una famiglia che li trascurava e si curava di loro a malapena, abbandonandoli a se stessi durante la crescita. Entrambe le situazioni, infatti, estreme per un verso o per l’altro, favoriscono problematiche nell’ambito dell’autonomia. Spesso i genitori di queste persone sono state, nel passato, una vera e propria minaccia per la loro autostima e non sono stati capaci di fornire stimoli a sufficienza da consentire loro di vivere ed agire adeguatamente all’esterno dell’ambiente familiare. Di conseguenza, questi soggetti risultano incapaci di crearsi un’identità e una vita indipendente; non riescono a porsi degli obiettivi né ad acquisire le attitudini necessarie al loro conseguimento. In relazione alla capacità di rapportarsi adeguatamente al mondo che li circonda e alle abilità che presentano in età adulta, essi rimangono, in effetti, dei bambini. 20 Schema Therapy I soggetti che presentano lo schema Dipendenza/Incompetenza si sentono incapaci di affrontare le responsabilità quotidiane senza un aiuto decisivo da parte degli altri. Tendono a sentirsi inadeguati nel gestire il denaro, si ritengono incapaci di risolvere i problemi pratici, di fare delle valutazioni appropriate, di assumersi impegni o di prendere delle decisioni sensate. Lo schema, di solito, si traduce in una passività generale o in un’eccessiva dipendenza. Lo schema Vulnerabilità al pericolo o alle malattie consiste nel timore esagerato che possa accadere da un momento all’altro qualcosa di catastrofico e nella convinzione di non essere in grado di gestire la situazione. Le paure possono essere incentrate sulle seguenti tipologie di catastrofi: 1) mediche (infarto, malattie come l’Aids, ecc.); 2) emotive (perdita della ragione o del controllo, ecc.); 3) esterne (incidenti, atti criminosi, catastrofi naturali, ecc.). I soggetti che presentano lo schema Invischiamento/Sé poco sviluppato sono così coinvolti in una o più relazioni affettive con le persone care (prevalentemente con i genitori) da non riuscire a sviluppare una piena identità ed a raggiungere un adeguato inserimento sociale. Chi ha questo schema ritiene di non poter vivere senza l’altra persona, che l’altra persona non possa vivere senza di lui, o entrambe le cose. Lo schema, talvolta, genera una sensazione di inscindibilità e immedesimazione con gli altri o la percezione di non avere un adeguato senso d’identità e dei precisi obiettivi. Lo schema Fallimento si fonda sulla convinzione che il tentativo di raggiungere qualsiasi obiettivo (scolastico, sportivo, professionale) si concluderà inevitabilmente con un insuccesso. Chi presenta questo schema ha la sensazione di essere sostanzialmente inferiore ai propri pari nella capacità di raggiungere i propri obiettivi. Lo schema spesso induce il paziente a ritenersi poco intelligente, inetto, privo di talento e, di conseguenza, destinato al fallimento. Dominio III: Mancanza di regole I pazienti con schemi che rientrano in questo dominio non hanno sviluppato adeguate regole in ambito relazionale e interpersonale. Riescono difficilmente a rispettare gli altri, hanno problemi a cooperare, ad assolvere gli impegni e a raggiungere obiettivi a lungo termine. Appaiono spesso come delle persone egoiste, irresponsabili o narcisiste. In genere sono cresciuti in una famiglia indulgente e permissiva (l’atteggiamento pretenzioso può anche scaturire da un meccanismo di ipercompensazione derivante da un altro schema, come quello della Deprivazione emotiva; in questo caso l’eccessiva indulgenza della famiglia non è un fattore determinante, come vedremo nel capitolo 10). Da bambini, questi pazienti, sono stati esonerati dal seguire le regole generali di comportamento, dal rispettare gli altri o dallo sviluppare una forma di autocontrollo. Da adulti, non riescono a frenare gli impulsi e a rinunciare a gratificazioni immediate in vista di soddisfazioni a lungo termine. Lo schema Pretese/Grandiosità è caratterizzato da una sensazione di superiorità. Chi lo presenta si arroga, infatti, dei diritti e dei privilegi speciali senza rispettare Schema Therapy: il modello teorico 21 le regole di reciprocità che sono alla base dei rapporti sociali. Spesso è caparbiamente convinto di potere fare tutto, anche a discapito degli altri, e si pone, in modo esasperato, come unico obiettivo la superiorità, intesa come strumento per ottenere potere (mira, ad esempio, a diventare una delle persone più ricche, più affermate o più famose). Spesso ha un atteggiamento troppo esigente o dominante, ed è decisamente poco empatico. I pazienti che presentano lo schema Autocontrollo o autodisciplina insufficienti non esercitano, per incapacità o per mancanza di volontà, un sufficiente autocontrollo, e non riescono a tollerare la frustrazione e gli ostacoli che inevitabilmente si incontrano nel raggiungimento degli obiettivi personali. Queste persone esprimono senza nessun controllo emozioni e impulsi e, quando lo schema è poco marcato, tendono ad evitare, in modo eccessivo, ogni disagio, cercando di sfuggire alla maggior parte dei confronti e delle responsabilità. Dominio IV: Eccessiva attenzione ai bisogni degli altri Le persone che presentano schemi appartenenti a questo dominio danno eccessiva importanza al soddisfacimento dei bisogni altrui, a discapito dei propri. Il vantaggio di questo comportamento è ottenere approvazione, preservare i legami emotivi o evitare le reazioni degli altri. Quando interagiscono con qualcuno, tendono a focalizzarsi quasi esclusivamente sulle reazioni dell’altra persona, ignorando i propri bisogni e rimanendo, spesso, inconsapevoli delle sensazioni di rabbia che provano o delle preferenze che hanno. Da bambini, è stata loro negata la libertà di seguire le proprie inclinazioni; da adulti, invece di focalizzarsi su se stessi, si focalizzano sugli altri, tentando di soddisfare i loro desideri. La famiglia tipica di questi pazienti è caratterizzata da un atteggiamento di accettazione condizionata: per ricevere amore o per essere approvato, il bambino è costretto a modificare alcuni degli aspetti principali della sua personalità. In molte famiglie di questo tipo, i genitori danno più importanza ai propri bisogni emotivi o alle apparenze sociali piuttosto che ai bisogni soggettivi dei figli. Il paziente che presenta lo schema Sottomissione lascia agli altri un’eccessiva capacità di controllo. La persona si sente costretta ad agire così allo scopo di evitare la rabbia, le reazioni aggressive o l’abbandono dell’altro. Le due forme principali sono: (1) la sottomissione dei bisogni, che consiste nel reprimere preferenze e desideri; (2) la sottomissione delle emozioni, che comporta la repressione delle reazioni emotive, in particolar modo della rabbia. Questo schema, generalmente, porta la persona a considerare sbagliati o ininfluenti i propri bisogni e le proprie sensazioni. Spesso lo schema si traduce in un’eccessiva disponibilità, nell’ansia di piacere e nel sentirsi eccessivamente obbligati a fare ciò che vogliono gli altri. Lo schema Sottomissione tende a scatenare nel paziente delle sensazioni di rabbia che si manifestano attraverso sintomi maladattivi (ad esempio, comportamenti passivo-aggressivi, scoppi incontrollati di rabbia, sintomi psicosomatici o improvvisi allontanamenti dalle persone care). 22 Schema Therapy I pazienti che presentano lo schema Autosacrificio rinunciano volontariamente alle gratificazioni personali per soddisfare le esigenze degli altri. Il loro obiettivo è quello di risparmiare agli altri le sofferenze, evitare i sensi di colpa, rinforzare l’autostima o preservare un legame affettivo con le persone per le quali il soggetto ritiene di essere importante. Spesso questo schema scaturisce da un’accesa sensibilità verso le sofferenze altrui; esso comporta la sensazione che i propri bisogni non vengano adeguatamente soddisfatti e, di conseguenza, può generare un profondo risentimento. Questo schema è sovrapponibile al concetto di “codipendenza” nel “metodo dei dodici passi” sviluppato per gli alcolisti. Chi presenta lo schema Ricerca di approvazione o riconoscimento manifesta una tendenza eccessiva a ricercare l’approvazione e il riconoscimento da parte degli altri, a discapito dello sviluppo di un’identità stabile e autentica. Il parametro che queste persone utilizzano per misurare la propria autostima sono le reazioni degli altri più che le proprie. Questo schema spesso comporta una preoccupazione eccessiva per lo status sociale, l’apparenza, la condizione economica o il successo, intesi come mezzi per ottenere approvazione o riconoscimento. Le scelte di vita di chi presenta questo schema, spesso, sono poco autentiche e poco soddisfacenti. Dominio V: Ipercontrollo e inibizione I pazienti il cui schema rientra in questo dominio sopprimono sia le emozioni che gli impulsi. Sono così impegnati a rispettare le rigide regole che hanno interiorizzato riguardo a come devono essere le loro prestazioni da trascurare le esperienze ludiche, l’espressione di sé, il riposo, le relazioni intime e perfino la salute. Lo schema tende a svilupparsi in soggetti che hanno vissuto un’infanzia cupa, all’insegna della repressione e della rigidità, in cui l’autocontrollo e l’autonegazione avevano un ruolo predominante rispetto alla spontaneità e alle gratificazioni. Da bambini, questi pazienti non erano incoraggiati a intraprendere attività ricreative e non erano educati alla ricerca della felicità. Erano indotti, piuttosto, ad essere eccessivamente vigilanti nei confronti delle esperienze negative e a sviluppare una visione del mondo del tutto deprimente. Di conseguenza, la vita di questi pazienti è dominata in ogni momento dal pessimismo e dalla preoccupazione, che deriva dalla paura di trovarsi in pericolo non appena tralasciano l’atteggiamento costante di vigilanza e attenzione. Nello schema Negatività/Pessimismo gli aspetti negativi dell’esistenza (dolore, morte, perdita, delusione, conflitto, tradimento) sono tenuti eccessivamente e costantemente in considerazione, mentre gli eventi positivi sono del tutto sminuiti. Lo schema comporta una paura esagerata che le cose possano precipitare in modo irrimediabile in un ambito qualsiasi dell’esistenza, da quello professionale a quello finanziario, o nelle relazioni interpersonali. I pazienti che presentano questo schema sono tormentati dal timore irrazionale di commettere un errore qualsiasi che possa provocare crolli finanziari, perdite, umiliazioni o possa coinvolgerli in situazioni negative. A causa di queste aspettative eccessivamente negative, il paziente è spesso preoccupato, apprensivo e ipervigilante, tende a lamentarsi e non riesce a prendere delle decisioni. Schema Therapy: il modello teorico 23 I pazienti che presentano lo schema Inibizione emotiva reprimono il loro spontaneo modo di agire, di sentire e di comunicare. Si comportano così per evitare di essere criticati o per non rischiare di perdere il controllo degli impulsi. Questo atteggiamento riguarda in particolare quattro aree: (1) l’inibizione della rabbia; (2) l’inibizione degli impulsi positivi; (3) la difficoltà ad esprimere la vulnerabilità; (4) l’esaltazione della razionalità a discapito delle emozioni. Questi pazienti spesso appaiono poco espressivi, poco spontanei, introversi o emotivamente freddi. Lo schema Standard severi/Ipercriticismo consiste nel sentire di dover raggiungere a tutti i costi degli obiettivi estremamente severi che sono stati interiorizzati; questo, generalmente, avviene allo scopo di evitare la disapprovazione degli altri o la vergogna nei confronti di se stessi. Lo schema, nella sua forma più tipica, genera la sensazione di subire costantemente pressioni e un atteggiamento di ipercriticismo nei confronti di se stessi e degli altri. Si può veramente parlare di schema maladattivo precoce solo quando persistono implicazioni significative sulla salute mentale del paziente, sulla sua autostima, sulla sua vita relazionale o sulla sua capacità di avere esperienze piacevoli. Lo schema può assumere tre forme diverse: (1) perfezionismo (il bisogno di fare tutto “alla perfezione”, l’eccessiva attenzione ai dettagli o la sottostima del livello delle proprie prestazioni); (2) regole rigide e “doveri” in molti ambiti esistenziali, tra i quali dobbiamo considerare anche quegli standard talmente severi da risultare irrealistici nella sfera morale, culturale o religiosa; (3) preoccupazioni riguardo al tempo e all’efficienza. Lo schema Punizione consiste nella convinzione che chi commette un errore debba essere severamente punito. Chi presenta questo schema tende a non tollerare o a provare rabbia verso chi non rispetta gli standard da lui fissati (incluso se stesso); a questo si aggiunge una notevole difficoltà a perdonare gli errori, derivante da una certa riluttanza a considerare i fattori attenuanti, a tenere conto delle intenzioni o ad ammettere l’imperfezione dell’essere umano. Presentazione di un caso Analizziamo, adesso, la breve descrizione di un caso che ci aiuta a comprendere meglio la teoria degli schemi. Una giovane donna di nome Natalie intraprende un percorso terapeutico. Natalie presenta lo schema Deprivazione emotiva: a causa delle esperienze che ha vissuto fin dall’infanzia, la donna ritiene che i suoi bisogni emotivi non possano essere soddisfatti all’interno delle relazioni intime. Figlia unica, in una famiglia emotivamente fredda, pur essendo stata soddisfatta nei suoi bisogni materiali, Natalie ha sentito la mancanza di figure genitoriali in grado di seguirla e di darle sufficienti attenzioni e affetto. I genitori non hanno cercato di capire chi fosse realmente e con loro si è sentita sola. Natalie soffre di depressione cronica. Pur essendosi impegnata in numerose terapie, non è riuscita ad uscirne e, al terapeuta, confessa di essere stata depressa per tutta la vita. Gli uomini che da sempre la attraggono sono individui spenti e incapaci di comunicare emozioni. Suo marito rientra in questa categoria: ogni 24 Schema Therapy volta che Natalie cerca sostegno e comprensione, Paul si irrita e la manda via. Si innesca così il meccanismo che attiva in Natalie lo schema di Deprivazione emotiva e fa nascere in lei una forte rabbia. Questa reazione, pur essendo parzialmente giustificata, risulta eccessiva nei riguardi di un marito che, anche se non riesce a dimostrarlo, è comunque innamorato. La sua reazione sortisce l’effetto di renderlo sempre più estraneo e di allontanarlo da lei, favorendo il mantenimento dello schema. Il loro matrimonio è preda di un circolo vizioso e dei meccanismi dello schema. La vita di coppia fa rivivere a Natalie la deprivazione emotiva subita nell’infanzia. Prima di sposarsi, d’altra parte, Natalie frequentava un uomo dotato di una maggiore capacità di esprimere i propri sentimenti, ma non era attratta da lui sessualmente e si sentiva soffocare dalle sue normali manifestazioni d’affetto. La tendenza a ricercare dei compagni in grado di attivare uno degli schemi disfunzionali principali è, purtroppo, una delle caratteristiche principali dei nostri pazienti (la cosiddetta “alchimia degli schemi”). Il caso di Natalie dimostra come una deprivazione emotiva subita durante l’infanzia possa indurre l’insorgere dello schema, che viene involontariamente utilizzato dal soggetto anche in età adulta. La sua attivazione sistematica può far insorgere una sintomatologia cronica di Asse I e portare il soggetto ad instaurare delle relazioni disfunzionali. Schemi condizionati e schemi incondizionati: le differenze In un primo momento, si riteneva che la principale differenza tra gli schemi maladattivi precoci e gli assunti di base di Beck fosse nel fatto che i primi erano incondizionati, mentre i secondi condizionati. Attualmente, riteniamo che gli schemi possano essere sia condizionati che incondizionati. In linea di massima, gli schemi che insorgono nelle prime fasi della vita e che tendono a diventare predominanti scaturiscono da credenze incondizionate riguardo a se stessi e agli altri, mentre gli schemi che si sviluppano in fasi successive sono, invece, condizionati. Gli schemi incondizionati non lasciano speranza. Essi instaurano una reazione a catena che impedisce al paziente di modificare, seppure minimamente, le proprie idee anche in seguito a situazioni o ad esperienze positive: il soggetto continua a sentirsi incapace, invischiato, indesiderabile, inadeguato, vulnerabile o sbagliato, e niente può cambiare il suo modo di percepirsi. Lo schema ripropone ciò che il paziente subiva quando era piccolo e non aveva nessuna voce in capitolo; esso semplicemente esiste ed agisce in modo autonomo. Gli schemi condizionati, invece, sono meno invalidanti. La reazione a catena, infatti, si può interrompere; se il paziente ha la possibilità di sacrificarsi, di sottomettersi, di ottenere approvazione, di reprimere le emozioni o di soddisfare standard severi, probabilmente potrà spezzare, almeno temporaneamente, il ciclo negativo. Schema Therapy: il modello teorico 25 Schemi incondizionati Schemi condizionati Abbandono/Instabilità Sottomissione Sfiducia/Abuso Autosacrificio Deprivazione emotiva Ricerca di approvazione o Inadeguatezza riconoscimento Esclusione sociale Inibizione emotiva Dipendenza/Incompetenza Standard severi/Ipercriticismo Vulnerabilità al pericolo o alle malattie Invischiamento/Sé poco sviluppato Fallimento Negatività/Pessimismo Punizione Pretese/Grandiosità Autocontrollo o autodisciplina insufficienti Gli schemi condizionati, generalmente, si sviluppano per cercare di ottenere sollievo dagli schemi incondizionati. Ecco perché vengono definiti “secondari”. Forniamo alcuni esempi: Standard severi come reazione all’Inadeguatezza. Il soggetto è convinto che “Se sarò perfetto, allora sarò degno di amore”. Sottomissione come reazione all’Abbandono. L’individuo è convinto che “Se farò sempre di buon grado tutto ciò che gli altri desiderano, allora rimarranno con me”. Autosacrificio come reazione all’Inadeguatezza. “Se soddisferò tutti i bisogni degli altri, senza tener conto dei miei, le altre persone mi accetteranno, nonostante i miei difetti, e non mi sentirò più così indesiderabile”. È impossibile, tuttavia, riuscire a soddisfare in ogni momento le richieste degli schemi condizionati. È difficile, ad esempio, sottomettersi sempre e totalmente senza arrabbiarsi mai; è difficile essere talmente determinati da riuscire a soddisfare tutte le proprie aspettative; così come è difficile essere talmente disposti a sacrificarsi da accontentare gli altri in tutto e per tutto. Ciò che gli schemi condizionati riescono a fare, tutt’al più, è ritardare l’attivazione degli schemi incondizionati. Ma è solo questione di tempo: in breve, infatti, la persona si troverà nuovamente imprigionata nei meccanismi dello schema principale. Non necessariamente, però, gli schemi condizionati si instaurano come conseguenza di schemi incondizionati. Alcuni schemi, infatti, si definiscono condizionati solo nel senso che il bambino può evitare ciò che teme comportandosi secondo le aspettative dell’adulto. L’influenza degli schemi sulla terapia cognitivo-comportamentale Gli schemi maladattivi precoci possono ostacolare il buon andamento di una 26 Schema Therapy CBT tradizionale. Come abbiamo visto in precedenza, essi impediscono al paziente di rispettare molti degli assunti su cui si basa la CBT. Se, ad esempio, il soggetto presenta uno schema appartenente al dominio Distacco e rifiuto (Abbandono, Sfiducia/Abuso, Deprivazione emotiva, Inadeguatezza/Vergogna) viene meno il presupposto che i pazienti possano instaurare senza difficoltà una relazione terapeutica positiva e collaborativa in tempi brevi. Allo stesso modo, il presupposto che i pazienti abbiano un forte senso d’identità e delle chiare finalità di vita in base alle quali fissare gli obiettivi terapeutici, è difficilmente applicabile nel caso in cui il soggetto presenti uno degli schemi classificati nel dominio Mancanza di autonomia e abilità (Dipendenza, Vulnerabilità, Invischiamento/Sé poco sviluppato, Fallimento). La CBT presuppone, inoltre, che il paziente sia in grado di valutare e riferire al terapeuta i propri pensieri e le proprie emozioni. I pazienti i cui schemi appartengono al dominio Eccessiva attenzione ai bisogni degli altri (Sottomissione, Autosacrificio, Ricerca di approvazione) tendono ad essere talmente impegnati a comprendere le aspettative del terapeuta, da non riuscire a concentrarsi su se stessi e ad esprimere i propri pensieri e i propri sentimenti. Infine, la CBT prevede la capacità del paziente di attenersi alle procedure terapeutiche, ma questa capacità, per mancanza di motivazione o autodisciplina, spesso è carente nel paziente che presenta uno o più schemi nel dominio Mancanza di regole (Pretese/Grandiosità, Autocontrollo o autodisciplina insufficienti). SCHEMI MALADATTIVI PRECOCI: LE EVIDENZE EMPIRICHE Gli schemi maladattivi precoci sono stati e sono tuttora oggetto di numerose ricerche, condotte mediante lo Young Schema Questionnaire (Young e Brown, 1990). Nella maggior parte dei casi è stata finora utilizzata la versione completa del questionario, sebbene siano attualmente in corso alcuni studi che ne utilizzano la forma abbreviata. Lo Young Schema Questionnaire è stato tradotto in numerose lingue, tra cui il francese, lo spagnolo, l’olandese, il turco, il giapponese, il finlandese, il norvegese e l’italiano (vedi appendice). La prima analisi esaustiva delle proprietà psicometriche del questionario fu effettuata nel 1995 da Schmidt, Joiner e Telch, su un campione non clinico. Per tutti gli schemi risultarono coefficienti alfa di Cronbach compresi tra 0,83 (Invischiamento/Sé poco sviluppato) e 0,96 (Inadeguatezza/Vergogna) e coefficienti test-retest compresi tra 0,50 e 0,82. Le sottoscale primarie rivelarono una buona affidabilità test-retest e una buona coerenza interna. Il questionario dimostrò, inoltre, un’ottima validità convergente e discriminante per la valutazione del distress psicologico, dell’autostima, della vulnerabilità cognitiva alla depressione e della sintomatologia correlata ai disturbi di personalità. I ricercatori effettuarono un’analisi fattoriale su campioni sia clinici che non clinici; i risultati misero in evidenza alcuni fattori primari fortemente correlati Schema Therapy: il modello teorico 27 agli schemi elaborati da Young tramite la pratica clinica e alle relative e ipotetiche relazioni gerarchiche. In un campione di studenti universitari, emersero 17 fattori, di cui 15 dei 16 già proposti da Young nel 1990. Fra gli schemi originari l’unico a non emergere fu quello dell’Indesiderabilità sociale, mentre emersero due fattori nuovi. Nel 1995 l’esperimento fu ripetuto da Schmidt ed altri con l’intento di effettuare una verifica incrociata di questa struttura fattoriale: anche questa volta il questionario fu somministrato a un gruppo di studenti universitari, scelti tra una popolazione non clinica. Utilizzando nuovamente l’analisi fattoriale, i ricercatori scoprirono che 13 dei 17 fattori emersi nella prima analisi si riscontravano chiaramente nel secondo campione. Identificarono, inoltre, tre distinti fattori di ordine superiore. Su un campione clinico emersero 15 fattori, che rientravano tutti nei 16 originariamente proposti da Young e che rappresentavano nell’insieme il 54% della varianza totale (Schmidt et al., 1995). Attraverso questo studio, fu dimostrata anche la validità convergente dell’YSQ con un test di sintomatologia correlata ai disturbi di personalità (versione revisionata del Personality Diagnostic Questionnaire; Hyler, Rieder, Spitzer e Williams, 1987), oltre alla sua validità discriminante rispetto alle valutazioni della depressione (Beck Depression Inventory; Beck, Ward, Mendelson, Mock e Erbaugh, 1961) e dell’autostima (Rosenberg Self-Esteem Questionnaire; Rosenberg, 1965) su una popolazione non clinica di studenti universitari. Nel 1999, questo studio venne riproposto da Lee, Taylor e Dunn su una popolazione clinica in Australia. L’analisi fattoriale, in coerenza con gli studi precedenti, fece emergere 16 fattori primari, 15 dei quali rientravano tra i 16 proposti in origine da Young. Soltanto la scala dell’Indesiderabilità sociale, ancora una volta, non venne confermata (e, da allora, non esiste più come schema a sé stante, ma è stata incorporata nello schema Inadeguatezza). Inoltre, un’analisi fattoriale di ordine superiore sembrò supportare alcuni dei domini teorizzati da Young. Nel complesso, questo studio, condotto su due campioni clinici diversi per nazionalità e diagnosi, dimostrò l’ottima coerenza interna dello Young Schema Questionnaire e la stabilità della struttura dei suoi fattori primari. Nel 1999, Lee e i suoi colleghi discussero le ragioni per cui i due studi avevano prodotto strutture fattoriali diverse a seconda del campione utilizzato: i risultati del test effettuato sulla popolazione clinica erano leggermente diversi da quelli sulla popolazione non clinica. Gli studiosi conclusero che il campione composto da studenti universitari aveva prodotto quei risultati poiché la probabilità che fra essi vi fossero molti individui affetti da forme estreme di psicopatologia era scarsa. Lee e gli altri sostennero che, per ottenere la stessa struttura fattoriale, gli schemi sottostanti alla psicopatologia nella popolazione clinica avrebbero dovuto essere presenti anche in un campione casuale di studenti universitari. Young, tuttavia, propose l’ipotesi che, sebbene gli schemi esistano anche nella popolazione non clinica, essi assumano forme estreme ed esagerate soltanto nella popolazione clinica. 28 Schema Therapy Ulteriori studi si sono posti l’obiettivo di esaminare la validità dei singoli schemi e la loro capacità di supportare il modello concepito da Young. Nel 1999, Freeman condusse un’analisi sull’applicazione della teoria degli schemi di Young come modello esplicativo dei processi cognitivi irrazionali. Utilizzando un campione non clinico, lo studio di Freeman rivelò che la presenza nel soggetto degli schemi maladattivi precoci era inversamente proporzionale al suo adattamento interpersonale, confermando l’assunto di Young secondo il quale gli schemi maladattivi precoci sono, per definizione, negativi e disfunzionali. Nel 1997, Rittenmeyer esaminò la validità convergente dei domini degli schemi di Young con il Maslach Burnout Inventory (Maslach e Jackson, 1986), un inventario di autovalutazione sulle conseguenze negative causate dalle condizioni di vita stressanti. Lo studio venne effettuato su un campione di insegnanti californiane e dimostrò che due domini, l’Iperconnessione e gli Standard severi (N.d.T.: nell’attuale versione non più inclusi tra i domini dell’YSQ), erano strettamente correlati alla scala Esaurimento emotivo del Maslach Burnout Inventory. Il dominio Iperconnessione, sebbene non strettamente, era correlato anche ad altre due scale dell’inventario, la Depersonalizzazione e la Realizzazione personale. Nel 1997, Carine elaborò una ricerca sull’efficacia della teoria degli schemi di Young nel trattamento dei disturbi di personalità. Utilizzando gli schemi maladattivi precoci come variabili predittrici, Carine, tramite un’analisi funzionale discriminante, tentò di verificare se la presenza di uno schema maladattivo discriminasse o meno i pazienti con psicopatologie di Asse II del DSM-IV dai pazienti con altri tipi di psicopatologie. Lo studio dimostrò che l’appartenenza al gruppo Asse II veniva predetta correttamente nell’83% dei casi. A sostegno della teoria di Young, dallo studio si rilevò anche come l’aspetto affettivo/emotivo fosse una parte intrinseca degli schemi. Sebbene lo Young Schema Questionnaire non sia stato concepito come strumento di valutazione dei disturbi di personalità classificati secondo il DSMIV, tuttavia sembra esserci una evidente correlazione tra gli schemi maladattivi precoci e la sintomatologia dei disturbi di personalità (Schmidt e altri, 1995). I punteggi finali del questionario e quelli della versione revisionata del Personality Diagnostic Questionnaire (Hyler et al., 1987), uno strumento di auto-valutazione delle patologie di personalità secondo il DSM-III-R, sono, infatti, strettamente correlati. Lo schema Autocontrollo o autodisciplina insufficienti e lo schema Inadeguatezza sono risultati, da questo studio, quelli maggiormente associati alla sintomatologia dei disturbi di personalità. Tuttavia, questa profonda correlazione si è rivelata valida per tutti gli schemi. Ad esempio, allo schema Sfiducia/Abuso è possibile associare il disturbo paranoie di personalità, allo schema Dipendenza il disturbo dipendente di personalità, allo schema Autocontrollo o autodisciplina insufficienti il disturbo borderline di personalità e a quello Standard severi il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità (Schmidt e al., 1995). Schema Therapy: il modello teorico 29 ASPETTI NEUROBIOLOGICI DEGLI SCHEMI MALADATTIVI PRECOCI Nelle prossime pagine proveremo ad analizzare gli schemi da un punto di vista neurobiologico, basandoci su alcune ricerche effettuate recentemente sulle emozioni (LeDoux, 1996). È opportuno sottolineare che le teorie proposte in questo paragrafo sui possibili meccanismi di sviluppo e modificazione degli schemi sono soltanto delle ipotesi, in quanto non è stata ancora effettuata nessuna ricerca a convalida di esse. Secondo recenti studi, nel cervello non esisterebbe un solo sistema emotivo, ma più di uno. Alle diverse funzioni vitali sarebbero associate delle emozioni specifiche (in risposta al pericolo, al bisogno di cibo, al desiderio sessuale e alla ricerca del compagno, alla cura della prole, alle relazioni sociali), ognuna delle quali sembra essere mediata da una meccanismo cerebrale specifico. In particolare, andiamo ad analizzare i meccanismi cerebrali coinvolti nel trauma e nel condizionamento. I sistemi cerebrali coinvolti nel trauma e nel condizionamento La neurobiologia sembra aver individuato le aree del cervello dove si attivano gli schemi scaturiti da esperienze traumatiche vissute nell’infanzia, come l’abbandono o l’abuso. Nel 1996, nella sintesi della sua ricerca sulla neurobiologia delle memorie traumatiche, LeDoux scrisse: “Nel corso dell’apprendimento di una situazione traumatica, la memoria conscia è regolata da un sistema in cui operano l’ippocampo e le relative sedi corticali; la memoria inconscia, invece, è gestita da meccanismi di condizionamento che agiscono attraverso un sistema controllato dall’amigdala. Questi due sistemi operano in parallelo e immagazzinano i diversi tipi di informazioni significative di una determinata esperienza. Quando l’individuo è esposto a stimoli associati al trauma originario, entrambi i sistemi sono potenzialmente in grado di recuperare i ricordi che hanno immagazzinato. Per quanto riguarda il sistema dell’amigdala, il recupero si manifesta attraverso spontanee reazioni corporee di preparazione al pericolo, mentre nel caso del sistema dell’ippocampo si hanno ricordi a livello conscio” (pag. 239). Secondo LeDoux (1996), dunque, i meccanismi cerebrali che registrano, immagazzinano e recuperano i dati mnestici associati alle manifestazioni emotive di un evento traumatico sono diversi da quelli che consentono la memoria conscia e la riflessione razionale sullo stesso evento. In pratica, l’amigdala immagazzina la memoria emotiva, mentre l’ippocampo e la neocorteccia immagazzinano quella cognitiva. Le reazioni emotive, quindi, si possono innescare senza il coinvolgimento dei sistemi cerebrali superiori: quelli che regolano l’attività cognitiva, razionale e cosciente. 30 Schema Therapy Caratteristiche del sistema dell’amigdala Secondo LeDoux (1996), il sistema dell’amigdala presenta una serie di caratteristiche che lo distinguono da quello dell’ippocampo e delle cortecce superiori. • Il sistema dell’amigdala è inconscio. Le risposte emotive si possono formare nell’amigdala senza che vi sia nessuna registrazione conscia dello stimolo. Come affermò Zajonc (1984) già più di venti anni fa, le emozioni possono esistere senza le cognizioni. • Il sistema dell’amigdala è più veloce. Ogni segnale di pericolo viene inviato, attraverso il talamo, sia all’amigdala che alla corteccia. Tuttavia, esso raggiunge molto più rapidamente l’amigdala che la corteccia. Quando il segnale raggiunge la corteccia, l’amigdala ha già avviato i meccanismi di risposta al pericolo. Come afferma ancora Zajonc (1984), le emozioni possono esistere prima della valutazione cognitiva. • Il sistema dell’amigdala è automatico. Non appena il sistema dell’amigdala valuta la presenza di pericolo, le emozioni e le risposte corporee si innescano automaticamente. I sistemi coinvolti nei processi cognitivi, al contrario, non sono legati in modo così stretto alle risposte automatiche. La peculiarità dei processi cognitivi, infatti, consiste proprio nella flessibilità della risposta, dovuta alla presenza di una cognizione, che implica la possibilità di scegliere. • I ricordi emotivi nel sistema dell’amigdala sembrano essere permanenti. LeDoux (1996) ha scritto: “I ricordi traumatici immagazzinati dall’amigdala sembrano essere impressi in modo indelebile nel sistema cerebrale; probabilmente essi accompagnano l’individuo per tutta la vita” (pag. 252). Il fatto che gli stimoli associati al pericolo non vengano dimenticati ha a che fare con l’istinto di sopravvivenza. È difficile, infatti, che questo tipo di ricordi si estingua. In condizioni di stress, spesso ricompaiono automaticamente perfino le paure che sembravano essere scomparse. L’estinzione evita il manifestarsi delle risposte condizionate, ma non cancella i ricordi che sottostanno a queste reazioni. “Tramite l’estinzione […] si ottiene il controllo corticale degli effetti dell’amigdala, ma non la completa cancellazione della memoria immagazzinata in essa” (pag. 250). Questo costituirebbe il motivo per cui si suppone che non sia possibile risanare gli schemi completamente. • Il sistema dell’amigdala non opera discriminazioni sottili. Il sistema dell’amigdala è predisposto ad evocare risposte condizionate alle paure in conseguenza di stimoli associati ad esperienze traumatiche. Una volta che il ricordo emotivo è immagazzinato nell’amigdala, anche uno stimolo che ricorda vagamente il trauma è in grado di innescare la reazione di paura. Il sistema dell’amigdala fornisce un’immagine approssimativa del mondo esterno, mentre la corteccia superiore fornisce rappresentazioni più accurate e dettagliate. È la corteccia superiore che, in seguito a una valutazione cognitiva, può regolare la soppressione delle risposte emotive. L’amigdala evoca le risposte, non le inibisce. Schema Therapy: il modello teorico 31 • L’evoluzione del sistema dell’amigdala è anteriore a quella delle cortecce superiori. Di fronte a una minaccia, l’amigdala innesca una risposta d’ansia che si è modificata ben poco nel corso della storia e che accomuna l’uomo al regno animale e, probabilmente, anche ad alcune specie inferiori. Anche l’ippocampo rientra fra quelle aree del cervello più primitive da un punto di vista evolutivo; tuttavia, esso è collegato alla neocorteccia, che a sua volta contiene le cortecce superiori, di più recente evoluzione. Implicazioni per il modello degli schemi Ma quali possono essere le implicazioni di tutto ciò sulla teoria degli schemi? Proviamo ad individuarne alcune. Gli SMP, come abbiamo visto, possono essere definiti come un complesso di ricordi, di emozioni, di sensazioni somatiche e di pensieri legati ad esperienze dell’infanzia quali l’abbandono, il rifiuto, la scarsa attenzione o l’abuso. A livello neurobiologico, quando il soggetto percepisce uno stimolo che evoca l’esperienza traumatica infantile da cui ha avuto origine lo schema, le emozioni e le sensazioni somatiche associate a quella esperienza vengono attivate, a livello inconscio, dal sistema dell’amigdala; anche nel caso in cui il soggetto sia in grado di dominare razionalmente le proprie reazioni, le emozioni e le sensazioni somatiche vengono attivate più rapidamente rispetto ai pensieri che ne consentono il padroneggiamento. L’attivazione delle emozioni e delle sensazioni somatiche è automatica ed è probabile che si mantenga nel tempo, caratterizzando l’intera esistenza della persona, sebbene sia possibile attenuarne l’intensità attraverso una graduale correzione dello schema. Diversamente dalle emozioni e dalle sensazioni somatiche, i ricordi e le cognizioni associati al trauma vengono immagazzinati nell’ippocampo e nella corteccia. Questa diversa collocazione anatomica degli aspetti emotivi e cognitivi del ricordo dell’esperienza traumatica, potrebbe spiegare il motivo per cui non è possibile modificare gli schemi attraverso il solo utilizzo di tecniche cognitive. Inoltre, possiamo notare come le componenti cognitive di uno schema spesso si sviluppino in un momento successivo, quando le emozioni e le sensazioni somatiche sono già state registrate dal sistema dell’amigdala. Molti schemi si instaurano nella fase preverbale, ancora prima che il bambino abbia imparato a parlare; gli schemi preverbali si sviluppano quando il bambino è talmente piccolo da essere in grado di immagazzinare unicamente ricordi composti da emozioni e sensazioni somatiche. I pensieri si associano soltanto dopo, quando nel bambino iniziano a svilupparsi la facoltà di pensare e di esprimersi attraverso il linguaggio (uno dei compiti del terapeuta, infatti, sarà proprio quello di aiutare il paziente ad associare la narrazione all’esperienza che ha generato lo schema). Per questo motivo, nel trattamento psicoterapeutico centrato sugli schemi, il lavoro sulle emozioni ha un ruolo predominante rispetto a quello sui pensieri. Quando un SMP si attiva, il soggetto viene invaso da emozioni e sensazioni somatiche che non sempre associa in modo consapevole al ricordo di ciò che è 32 Schema Therapy avvenuto originariamente (e questo sarà un altro compito del terapeuta: aiutare il paziente ad associare le emozioni e le sensazioni somatiche ai ricordi dell’infanzia). Questi ricordi costituiscono la parte centrale di uno schema, ma in genere non si manifestano a livello cosciente, neppure sotto forma di immagini; sarà il terapeuta ad aiutare il paziente a ricomporre queste immagini e a fornirgli un valido supporto emotivo durante il percorso di ricostruzione dei ricordi. Implicazioni per la Schema Therapy Il primo obiettivo della Schema Therapy è permettere al paziente il raggiungimento della consapevolezza: il terapeuta aiuta il paziente a identificare i propri schemi e a diventare consapevole dei ricordi d’infanzia, delle emozioni, dei pensieri e degli stili di coping ad essi associati. Questo consente al paziente stesso di esercitare un certo controllo sulle proprie risposte e di trovare la motivazione per liberarsi dagli schemi patogeni. LeDoux (1996) scriveva: “La terapia è soltanto un metodo alternativo per raggiungere un potenziamento sinaptico nei meccanismi cerebrali che controllano l’amigdala. I ricordi emotivi contenuti nell’amigdala, come abbiamo visto, sono impressi indelebilmente nei suoi circuiti. Pertanto possiamo al massimo sperare di riuscire a regolare l’espressione di questi ricordi; per farlo dobbiamo fare in modo che la corteccia assuma una funzione di controllo sull’amigdala” (pag. 265). In quest’ottica, il trattamento si pone l’obiettivo di incrementare il controllo cosciente che il paziente può esercitare sugli schemi, attraverso l’acquisizione di strategie mirate alla riduzione dell’intensità e della pervasività dei ricordi, delle sensazioni somatiche e dei pensieri associati agli schemi e alla correzione dei comportamenti disfunzionali ad essi correlati. Un’esperienza traumatica vissuta nelle prime fasi dell’infanzia ha anche altre ripercussioni fisiologiche. I primati separati dalla madre presentano un’elevata concentrazione di cortisolo nel plasma; se le separazioni avvengono ripetutamente questi cambiamenti diventano permanenti (Coe, Mendoza, Smotherman, e Levine, 1978; Coe, Glass, Wiener, e Levine, 1983). Altri effetti neurobiologici duraturi imputabili alla separazione dalla madre comprendono un’alterazione degli enzimi che sintetizzano la catecolamina nelle ghiandole surrenali (Coe et al., 1978, 1983) e della secrezione di serotonina nell’ipotalamo (Coe, Wiener, Rosenberg e Levine, 1985). Le ricerche effettuate sui primati suggeriscono anche che il sistema degli oppiacei endogeni sia coinvolto nella regolazione dell’ansia da separazione e che l’isolamento sociale influenzi la sensibilità e il numero dei recettori cerebrali per le endorfine (Van der Kolk, 1987). È evidente come le alterazioni fisiologiche derivate dalla separazione nelle prime fasi della vita influenzino successivamente i processi psicologici, probabilmente in modo irreversibile. Schema Therapy: il modello teorico 33 I PROCESSI DEGLI SCHEMI Gli schemi possono dar vita a due processi: il mantenimento e la correzione. Qualsiasi pensiero, sentimento, esperienza e comportamento che abbia a che fare con uno schema può concorrere al suo mantenimento (quando lo arricchisce e lo rinforza) o alla sua correzione (quando lo indebolisce). Il mantenimento dello schema Tutte le azioni (volontarie o involontarie) che attivano lo schema costituiscono il processo di mantenimento; in esso sono coinvolti i pensieri, i sentimenti e i comportamenti che finiscono per rinforzare piuttosto che ridimensionare lo schema. Sono tre i principali meccanismi attraverso i quali si mantengono gli schemi: le distorsioni cognitive, gli stili di vita autodistruttivi e gli stili di coping (di cui parleremo più approfonditamente nel prossimo paragrafo). Le distorsioni cognitive generano nella persona una percezione alterata delle situazioni, che vengono interpretate in modo da rinforzare lo schema; questo avviene selezionando le informazioni che convalidano lo schema e sminuendo o negando quelle che, al contrario, lo invaliderebbero. Il soggetto tende, inoltre, a bloccare le emozioni associate allo schema, di conseguenza esso non raggiunge il livello di consapevolezza e la persona non riesce a modificarlo o a correggerlo. Il soggetto, infine, instaura stili di vita autodistruttivi: senza rendersene conto, sceglie e promuove le circostanze e le relazioni interpersonali che innescano e mantengono lo schema, evitando, invece, quelle che potrebbero invalidarlo. Nel contesto dei rapporti interpersonali, le modalità di relazione che il soggetto utilizza sono tali da suscitare negli altri reazioni negative che rinforzano lo schema. Il caso di Martine Il difficile rapporto che, da bambina, Martine ha avuto con la madre ha generato in lei lo schema Inadeguatezza. “A mia madre non piaceva niente di me”, riferisce al terapeuta, “e non c’era niente che potevo fare per farle cambiare idea. Non ero bella, non ero estroversa e non avevo molto successo con gli altri. Non avevo una personalità spiccata e non sapevo vestirmi con stile. Ero intelligente, ma a mia madre questo non importava”. Attualmente Martine ha 31 anni e poche amicizie femminili. Di recente, il suo ragazzo le ha presentato le fidanzate di alcuni suoi amici. Martine le trova simpatiche e disponibili eppure non si sente capace di stabilire con loro un rapporto di amicizia. “Non credo di piacere a quelle ragazze”, spiega al terapeuta. “Mi innervosisco tantissimo quando sono con loro. Non riesco a rilassarmi, non mi comporto in maniera naturale”. Le strategie cognitive, affettive, comportamentali e interpersonali che Martine utilizza nelle nuove amicizie contribuiscono al mantenimento dello schema. A livello cognitivo, Martine distorce le informazioni in modo da validare lo schema: sminuisce le dimostrazioni di amicizia nei suoi confronti (“Sono gentili con me 34 Schema Therapy solo perché esco con Johnny ma, in realtà, non mi trovano per niente simpatica”) e interpreta i comportamenti delle ragazze in modo distorto, trasformandoli in conferme della loro antipatia nei suoi confronti. Ad esempio, quando Robin si è sposata e non le ha chiesto di farle da testimone, Martine è saltata subito alla conclusione che Robin la “detestasse”, invece di pensare che in realtà la conosceva da troppo poco tempo per farle ricoprire un ruolo che in genere si riserva ad amiche di vecchia data. Per quanto riguarda la sfera affettiva, Martine sperimenta risposte emotive molto intense anche in situazioni che le ricordano solo vagamente le esperienze infantili responsabili dell’insorgere dello schema; ad esempio, ogni volta che ritiene di essere minimamente rifiutata, la paziente vive un profondo turbamento e sentimenti di inadeguatezza e di odio verso se stessa. Nei rapporti interpersonali, Martine è attratta dalle relazioni che con più probabilità rispecchieranno il rapporto che aveva con la madre. Nel nuovo gruppo, ad esempio, ha stretto amicizia in modo particolare con la persona più critica e più esigente e si comporta con lei esattamente come si comportava con la madre, assumendo un atteggiamento deferente e stando sempre sulla difensiva. Quasi tutti i pazienti che presentano tratti patologici di personalità reiterano i pattern negativi elaborati nell’infanzia, instaurando modalità autodistruttive; essi diventano parte integrante della vita di queste persone, che, continuando ad emettere, in modo cronico e pervasivo, i pensieri, le emozioni, i comportamenti e le modalità relazionali che rinforzano lo schema, favoriscono, senza rendersene conto, il ricostituirsi delle condizioni che più le hanno danneggiate durante l’infanzia. La correzione dello schema L’obiettivo ultimo della Schema Therapy è trasformare uno schema maladattivo in uno schema più funzionale, operando, in questo senso, una correzione di esso. Poiché uno schema consiste in un insieme di ricordi, di emozioni, di sensazioni somatiche e di pensieri, il processo di correzione consiste nel ridurre la pervasività dei ricordi ad esso associati, l’intensità delle emozioni e delle sensazioni somatiche che ne derivano e la quantità dei pensieri disfunzionali. Ma non solo. Perché il processo possa dirsi completo, è necessario anche un cambiamento comportamentale, che avviene attraverso l’apprendimento, da parte del paziente, di strategie adattive nuove e alternative agli stili di coping disfunzionali. Per questo motivo, il trattamento prevede un intervento su più livelli: cognitivo, emotivo e comportamentale. Attraverso questo processo di trasformazione lo schema gradualmente si indebolisce e si attiva con una frequenza e un’intensità sempre minori, procurando al soggetto esperienze molto più facili da gestire e superare. Il processo di correzione è dunque molto complesso e, nella maggior parte dei casi, il paziente incontra numerose difficoltà nel portarlo a termine. Gli schemi, infatti, sono convinzioni che il soggetto sviluppa riguardo a se stesso e al mondo nelle primissime fasi della vita e, pertanto, sono profondamente radicati; spesso, essi costituiscono l’unico metro di valutazione che l’individuo ha a disposizione e, a prescindere Schema Therapy: il modello teorico 35 dal loro potenziale distruttivo, riescono a comunicare a chi li vive sicurezza e familiarità. Gli schemi sono perciò strutture centrali per il senso d’identità del paziente e, per questa ragione, tende a rimanervi legato e a rinunciarvi con difficoltà. Abbandonare uno schema è un’esperienza destabilizzante, perché implica uno stravolgimento della visione che si ha di sé, del mondo e degli altri. In quest’ottica, la resistenza alla terapia può essere interpretata come una forma di autoconservazione, un tentativo di mantenere un senso di controllo, di coerenza interiore e di equilibrio. Dunque, per operare una correzione degli schemi, il paziente deve essere pronto ad affrontarli e contrastarli con la necessaria determinazione. Per correggere uno schema occorre infatti molta costanza: il paziente deve osservare lo schema in modo sistematico e lavorare quotidianamente per modificarlo, perché altrimenti esso continuerà ad attivarsi. In quest’ottica, la terapia può essere considerata una “dichiarazione di guerra” che il paziente e il terapeuta, alleati, muovono allo schema, con un unico obiettivo: “sconfiggerlo e annientarlo”. Tuttavia, questo obiettivo rimane un ideale irrealizzabile nella maggior parte dei casi, dato che gli schemi non scompaiono mai del tutto, essendo impossibile sradicare i ricordi ad essi associati. Se non è possibile eliminare gli schemi completamente, è tuttavia possibile correggerli e far sì che si attivino più sporadicamente e con effetti meno intensi e meno duraturi per il paziente. Quando questo avviene, il paziente impara a rispondere all’attivazione degli schemi con modalità più funzionali, sceglie partner e amici più premurosi e sviluppa una visione di sé più positiva. In uno dei prossimi paragrafi, forniremo un quadro generale delle principali strategie di correzione degli schemi. MODALITÀ E RISPOSTE DI COPING MALADATTIVE Le modalità di coping si sviluppano nelle prime fasi della vita per consentire al paziente di adattarsi agli schemi ed evitare le emozioni intense e violente che questi generalmente procurano. Sebbene tali modalità siano talvolta di aiuto al paziente per evitare l’attivazione di uno schema, è importante ricordare che non sono affatto utili per correggerlo. Infatti, tutti gli stili di coping maladattivi sono elementi attivi nel processo di mantenimento dello schema. La Schema Therapy distingue lo schema dalle strategie che l’individuo utilizza per affrontarlo; questo è il motivo per cui, nel modello di Young, lo schema contiene i ricordi, le emozioni, le sensazioni somatiche e i pensieri dell’individuo, ma non le sue risposte comportamentali. Il comportamento non fa parte dello schema, ma dello stile di coping. Sebbene la maggior parte delle risposte di coping siano comportamentali, i pazienti utilizzano anche strategie cognitive ed emotive che allo stesso modo vanno a far parte dello stile di coping e non dello schema. Questa distinzione tra gli schemi e gli stili di coping è dovuta al fatto che ogni persona reagisce allo stesso schema con stili di coping diversi a seconda delle situazioni e delle fasi di vita. Gli stili di coping utilizzati da un soggetto per fronteggiare uno schema non rimangono necessariamente stabili nel tempo, come avviene invece 36 Schema Therapy per lo schema in sé. Inoltre, pazienti diversi utilizzano per lo stesso schema strategie comportamentali di coping totalmente differenti, talvolta perfino opposte. Proviamo a considerare, ad esempio, tre diversi pazienti, ognuno dei quali affronta lo schema Inadeguatezza con uno stile specifico. Sebbene tutti e tre si sentano inadeguati, le risposte comportamentali non sono intrinseche allo schema: uno di loro ricerca partner o amici critici, un altro evita qualsiasi relazione tenendosi a distanza da tutti e l’ultimo assume un atteggiamento di superiorità e di critica nei confronti degli altri. Tre modalità di coping maladattive Tutti gli esseri viventi, di fronte a una minaccia, possono presentare tre principali modalità di risposta: l’attacco, la fuga e l’immobilità. Ognuna di queste risposte, in linea di massima, corrisponde rispettivamente ad uno dei tre stili di coping che il soggetto può mettere in atto in risposta ad uno schema: ipercompensazione, evitamento e resa. Uno SMP rappresenta, durante l’infanzia, una minaccia, che può consistere nella frustrazione di uno dei bisogni emotivi primari del bambino (legami stabili, autonomia, libertà di espressione, spontaneità e gioco o limiti realistici) o nella paura delle emozioni intense che lo schema stesso può generare. Davanti alla minaccia, il bambino si può arrendere, può evitare oppure ipercompensare, ma tutti e tre gli stili, generalmente, operano al di fuori della consapevolezza. Il bambino tenderà a utilizzare soltanto uno dei tre stili per una determinata situazione, ma potrà avvalersi di altri stili di coping per reagire a situazioni diverse o in presenza di schemi diversi (di seguito forniremo alcuni esempi di questi tre stili). L’attivazione di uno schema, dunque, equivale a una minaccia, alla quale l’individuo reagisce attraverso uno stile di coping. Gli stili di coping utilizzati risultano generalmente adattivi durante l’infanzia e possono essere considerati meccanismi funzionali di sopravvivenza. Ma durante la crescita diventano maladattivi, in quanto determinano il mantenimento dello schema anche quando la persona si trova ormai in condizioni ambientali molto diverse e avrebbe la possibilità di utilizzare modalità più funzionali. In sintesi, gli stili di coping maladattivi tengono le persone intrappolate nei loro stessi schemi. Resa Arrendersi allo schema significa accettarlo incondizionatamente, non provare ad evitarlo né a combatterlo, accettare il dolore che esso provoca e contribuire, con questo atteggiamento, al rinforzarsi dello schema stesso. Senza rendersene conto, i pazienti con uno SMP continuano a rivivere, in età adulta, le situazioni che nell’infanzia hanno provocato l’instaurarsi dello schema stesso. Quando un evento attiva lo schema, queste persone hanno una risposta emotiva sproporzionata, che viene vissuta in modo intenso e consapevole; in ambito relazionale, scelgono partner dai quali possono aspettarsi un trattamento simile a quello ricevuto dal genitore con cui hanno avuto difficoltà (come Natalie, ad esempio, – la paziente affetta da depres- Schema Therapy: il modello teorico 37 sione che abbiamo incontrato prima – che aveva scelto come marito Paul, un uomo emotivamente spento) e in questo rapporto assumono un atteggiamento passivo e accomodante che reitera lo schema. Spesso questi pazienti che si arrendono allo schema lo mettono in atto anche nella relazione terapeutica, interpretando il ruolo del bambino e identificando il terapeuta con il genitore che li ha danneggiati. Evitamento Le persone che utilizzano l’evitamento come stile di coping organizzano la loro vita in modo tale da evitare l’attivazione dello schema, tentando di ignorarlo e facendo finta che non esista. Evitano di pensarci e bloccano i pensieri e le immagini che potrebbero attivarlo, cercano di distrarsi e fanno di tutto per respingerlo quando questo si presenta. Evitano anche le sensazioni connesse allo schema, soffocandole immediatamente quando affiorano. Possono essere persone che fanno uso di alcol o sostanze stupefacenti per evitare di entrare in contatto con le proprie emozioni, che hanno incontri sessuali promiscui o che mangiano più del dovuto, che effettuano le pulizie domestiche in maniera maniacale, che sono continuamente alla ricerca di stimoli o che sono schiave del lavoro. Descrivono le proprie relazioni interpersonali come soddisfacenti, eppure tendono ad evitare le situazioni che possono innescare lo schema, come, ad esempio, le relazioni intime o le sfide in ambito lavorativo. È molto frequente che il soggetto eviti interi ambiti esistenziali rispetto ai quali si sente vulnerabile e che non si impegni a fondo nella terapia, “dimenticando”, ad esempio, di portare a termine i “compiti a casa”, evitando di esprimere le proprie emozioni, parlando soltanto di argomenti superficiali, arrivando tardi alle sedute o andando via in anticipo. Ipercompensazione Chi contrasta lo schema ipercompensandolo pensa, sente, si comporta e si relaziona in modo tale da percepirsi, in età adulta, diversamente da come si è percepito durante l’infanzia, quando lo schema si è formato. Chi da piccolo si sentiva indegno, da adulto cerca di essere perfetto; chi era sottomesso, prevarica gli altri; chi era eccessivamente sorvegliato, controlla gli altri o rifiuta qualsiasi tentativo di condizionamento; chi subiva violenza, diventa a sua volta violento. La strategia di coping di queste persone è il contrattacco: dall’esterno, sembrano assertive e sicure di sé, ma, in realtà, sono gravate dal peso dello schema che minaccia continuamente di emergere. L’ipercompensazione è in effetti un tentativo di difendersi dallo schema e, in quanto tale, potrebbe essere funzionale se da esso non scaturisse un atteggiamento che finisce per rinforzare lo schema, piuttosto che correggerlo. Molto spesso, chi si avvale del meccanismo di ipercompensazione appare del tutto equilibrato; non è un caso, infatti, che esso sia caratteristico di molte persone famose, che rivestono ruoli di spicco nella società: star televisive, leader politici, noti uomini d’affari e via dicendo. Combattere uno schema è funzionale solo nel caso in cui il 38 Schema Therapy comportamento che si adotta sia adeguato alla situazione, prenda in considerazione i sentimenti degli altri e permetta il raggiungimento degli obbiettivi prefissati; chi si avvale del meccanismo di ipercompensazione, invece, rimane generalmente intrappolato nel circolo vizioso generato dal suo atteggiamento di contrattacco e assume talvolta comportamenti eccessivi, poco rispettosi dei sentimenti degli altri o controproducenti. Ad esempio, se esercitare un maggior controllo, nella vita quotidiana, è senz’altro funzionale per chi presenta lo schema Sottomissione, assumere un atteggiamento troppo dispotico e autoritario (per ipercompensare lo schema) comporta invece un allontanamento da parte degli altri; un paziente con lo schema Sottomissione che utilizza l’ipercompensazione finisce, inoltre, per non lasciare il controllo agli altri neppure quando sarebbe opportuno farlo. Un esempio simile si può fare per le persone che presentano lo schema Deprivazione emotiva: per loro è funzionale chiedere un sostegno emotivo agli altri, ma quando entra in gioco il meccanismo di ipercompensazione le loro richieste diventano eccessive, trasformandosi in pretese. L’ipercompensazione rappresenta per il paziente un’alternativa al dolore causato dallo schema, in quanto gli offre la possibilità di fuggire dal senso di impotenza e vulnerabilità che ha caratterizzato la sua infanzia. Ad esempio, l’ipercompensazione narcisista è il meccanismo tipico di chi si trova ad affrontare sensazioni primarie di deprivazione emotiva e inadeguatezza e utilizza questa modalità di coping per sentirsi speciale e superiore, anziché ignorato e inferiore. Tuttavia, il paziente narcisista non riesce mai a stare bene con se stesso, anche quando esteriormente raggiunge una piena realizzazione. Il meccanismo di ipercompensazione porta all’isolamento e, infine, all’infelicità. Le persone, infatti, continuano ad utilizzare l’ipercompensazione anche se il loro atteggiamento fa fuggire gli altri e così facendo perdono la capacità di relazionarsi, se non superficialmente; sono così impegnate ad apparire perfette da trascurare la vera intimità. Inoltre, per quanto questi pazienti tentino di raggiungere la perfezione, prima o poi falliscono in qualcosa e, quando ciò avviene, difficilmente riescono a vivere in maniera costruttiva l’esperienza negativa. Essendo incapaci di assumersi la responsabilità dei propri fallimenti o di accettare i propri limiti non riescono a trarre insegnamento dai propri errori e, di conseguenza, quando vivono esperienze fallimentari decisive e dirompenti, la loro capacità di ipercompensazione crolla e, il più delle volte, si verifica uno scompenso che sfocia in una depressione clinica. Quando il meccanismo di ipercompensazione fallisce, gli schemi sottostanti si riaffermano, generando un malessere intenso e devastante. Ma quali sono i motivi per cui un paziente si avvale di certi stili di coping piuttosto che di altri? Possiamo ipotizzare che uno dei fattori principali risieda nel temperamento, che sembra avere un ruolo più importante nel determinare gli stili di coping piuttosto che nel determinare gli schemi. L’individuo con un temperamento passivo, ad esempio, tenderà a sviluppare lo stile di coping di resa o di evitamento, mentre quello con un temperamento aggressivo adotterà, con molta probabilità, il meccanismo di ipercompensazione. Anche il modeling, costituisce Schema Therapy: il modello teorico 39 un elemento utile per comprendere il motivo per cui alcuni pazienti assumono un determinato stile: spesso i bambini prendono a modello il comportamento di coping del genitore con il quale si sono identificati. Nel capitolo 5, analizzeremo più dettagliatamente questi stili di coping. Le risposte di coping Le risposte di coping consistono in comportamenti o strategie specifiche attraverso i quali il soggetto può manifestare uno dei tre principali stili di coping; tutte quelle specifiche modalità attraverso cui l’individuo sceglie l’ipercompensazione, l’evitamento o la resa in risposta alla percezione della minaccia di attivazione dello schema. L’utilizzo sistematico di alcune risposte di coping determina lo “stile di coping” che può essere considerato una caratteristica di tratto, distintiva e specifica della persona, a differenza della “risposta di coping” che può essere considerata una caratteristica di stato, variabile a seconda della situazione. Uno stile di coping è, dunque, l’insieme delle risposte di coping che l’individuo utilizza abitualmente per evitare, ipercompensare o arrendersi allo schema; una risposta di coping è, invece, la strategia o il comportamento specifico di cui l’individuo si avvale in un determinato momento. Prendiamo ad esempio un paziente che utilizza prevalentemente una forma di evitamento per fronteggiare lo schema Abbandono; se in seguito ad un litigio in cui la sua ragazza minaccia di lasciarlo, il paziente assume sostanze alcoliche per evitare il dolore provocato dall’attivazione dello schema, l’evitamento costituisce lo stile di coping che il paziente adotta di fronte all’abbandono, mentre la decisione di ricorrere all’alcol costituisce la sua risposta di coping alla situazione specifica (approfondiremo questa distinzione nel prossimi paragrafi, quando esamineremo il concetto di mode). Nella tabella 1.2, per ogni schema sono elencati alcuni esempi di risposte di coping maladattive. In genere, i pazienti utilizzano per lo più una combinazione di risposte e stili di coping: a volte si arrendono, a volte evitano, a volte ipercompensano. Gli schemi e le risposte di coping nelle diagnosi di Asse II Lo scopo di questo paragrafo è evidenziare quelli che consideriamo i principali difetti concettuali del sistema di valutazione delle patologie di Asse II e, in generale, del sistema diagnostico del DSM-IV, che riteniamo inadeguato rispetto al nostro modello teorico. Altrove abbiamo già esaminato i suoi numerosi limiti (Young e Gluhoski, 1996), compresa la scarsa affidabilità e validità per molte categorie e il livello inaccettabile di sovrapposizione tra le categorie stesse. Riteniamo che, nel tentativo di formulare dei criteri basati sull’osservazione dei comportamenti, i colleghi che hanno sviluppato il DSM-IV abbiano perso di vista l’essenza sia di ciò che distingue i disturbi di Asse I da quelli di Asse II, sia di ciò che rende i disturbi cronici difficili da trattare. Secondo il nostro modello concettuale, gli SMP sarebbero alla base dei disturbi di personalità, ma se valutiamo i criteri diagnostici indicati dal DSM-IV vediamo 40 Schema Therapy che a questi corrispondono esclusivamente pattern di risposte di coping; il DSMIV indicherebbe, dunque, come criteri di valutazione delle patologie di Asse II, esclusivamente dei modelli comportamentali di risposta agli schemi primari da noi individuati. In quasi tutte le categorie del DSM-IV i disturbi di personalità coincidono con i comportamenti di coping. Ma come abbiamo già sottolineato, l’obiettivo principale del trattamento di pazienti con disturbi di personalità dovrebbe essere la correzione degli schemi e non l’eliminazione delle risposte di coping maladattive, che nella nostra ottica è peraltro impossibile da attuare a livello permanente senza modificare gli schemi sottostanti. È inoltre opportuno tenere presente che le risposte di coping non sono stabili come gli schemi, ma cambiano, in relazione allo schema che le innesca, alla situazione specifica, e alla fase di vita del paziente. Perciò risulta alquanto difficoltoso formulare una diagnosi definitiva avvalendosi del DSM-IV, in quanto i sintomi su cui si basa la diagnosi coincidono con le risposte di coping che si vanno a modificare nel corso della terapia stessa. Nel modello degli schemi, inoltre, i pattern cronici e pervasivi di personalità, rappresentati sia come schemi che come risposte di coping, vengono messi in relazione alla loro origine nell’infanzia e considerati come specifici per ogni singolo paziente, a seconda della specifica manifestazione e dell’intensità dell’attivazione. I disturbi di personalità, dunque, vengono presi in considerazione in un’ottica dimensionale e non categoriale, quale quella proposta dal DSM. IL CONCETTO DI MODE Il concetto di mode costituisce probabilmente l’aspetto più complesso del nostro modello teorico. I mode comprendono sia gli stati emotivi sia le risposte di coping (adattive o maladattive) di cui, in determinati momenti, tutti noi facciamo esperienza. A seconda delle situazioni, alcuni dei nostri schemi e le relative risposte di coping rimangono inattivi, o latenti, mentre altri si attivano, assumendo un ruolo predominante sul nostro umore e sul nostro comportamento. Il “mode” è l’insieme di schemi e relative operazioni (adattive o maladattive) attivi in un paziente in un determinato momento. La nostra teoria – a differenza di molte altre elaborate sugli schemi – prevede una costante analisi sia dei mode adattivi che di quelli maladattivi; infatti, uno degli obiettivi del percorso terapeutico è proprio quello di aiutare il paziente a “saltare” da un mode disfunzionale ad uno più funzionale. Un mode disfunzionale entra in gioco quando determinati schemi o risposte di coping maladattivi emergono sotto forma di emozioni negative, risposte di evitamento o comportamenti autodistruttivi che influenzano la risposta dell’individuo e ne determinano il funzionamento emotivo e comportamentale. Una persona può saltare da un mode disfunzionale all’altro attivando gli schemi o le risposte di coping che prima erano latenti. Il termine mode può essere tradotto in italiano con “modalità espressiva” o “modalità organizzativa”, ma entrambe le traduzioni non ne rendono compiutamente il senso, per cui risulta conveniente mantenere il termine in inglese (come già in Clark, Beck, Alford, 1999) [NdT]. Schema Therapy: il modello teorico 41 TABELLA 1.2. Esempi di risposte di coping maladattive Esempi di evitamento Esempi di ipercompensazione Abbandono/Instabilità Selezionare partner poco disposti ad impegnarsi nella relazione e ostinarsi a portarla avanti. Evitare le relazioni intime; assumere alcol per contrastare la solitudine. Stabilire un legame morboso con il partner e “soffocarlo” al punto da farlo allontanare; rimproverare duramente il partner ogni volta che si allontana anche minimamente. Sfiducia/Abuso Selezionare partner abusanti e continuare a subire gli abusi. Evitare di mostrarsi vulnerabili; non fidarsi di nessuno; non confidare i propri segreti. Prendersi gioco o abusare degli altri (per evitare che lo facciano loro). Deprivazione emotiva Scegliere partner poco affettuosi e non chiedere loro di soddisfare i propri bisogni emotivi. Evitare qualsiasi relazione intima. Pretendere in maniera eccessiva che il partner o gli amici più intimi soddisfino i propri bisogni emotivi. Inadeguatezza/ Vergogna Selezionare partner critici e rifiutanti; essere penalizzanti con se stessi. Evitare di esprimere pensieri e sentimenti; non permettere agli altri di avvicinarsi. Assumere un atteggiamento critico e rifiutante nei confronti degli altri; cercare di sembrare perfetti. Esclusione sociale/ Alienazione Tendenza a focalizzarsi, nelle situazioni sociali, più sugli elementi che ci contraddistinguono che su quelli che ci accomunano agli altri. Evitare le situazioni sociali e di gruppo. Divenire eccessivamente versatili per adattarsi alle varie situazioni sociali. Dipendenza/ Incompetenza Delegare le persone significative (genitori o coniuge) ad amministrare i propri risparmi. Evitare situazioni che mettono alla prova le proprie capacità, come imparare a guidare. Affidarsi esclusivamente a se stessi, al punto da non dover chiedere niente a nessuno (“comportamento controdipendente”). Vunerabilità al pericolo o alle malattie Ricercare ossessivamente gli avvenimenti drammatici riportati sui quotidiani e aspettarsi che qualcosa di simile accada nella vita quotidiana. Evitare di frequentare luoghi ritenuti non del tutto “sicuri”. Assumere comportamenti sconsiderati, essere sprezzanti del pericolo (“comportamento controfobico”). Schema maladattivo precoce Esempi di resa 42 Schema Therapy Schema maladattivo precoce Esempi di resa Esempi di evitamento Esempi di ipercompensazione Invischiamento/Sé poco sviluppato Raccontare tutto di sé ai genitori anche in età adulta; immedesimarsi troppo nel partner. Evitare di stabilire relazioni intime; mantenere la propria indipendenza. Cercare di diventare l’esatto contrario delle persone significative. Fallimento Dedicarsi con poco impegno o in maniera disorganizzata alle proprie attività. Evitare di assumersi responsabilità in ambito lavorativo; procrastinare nell’adempiere ai propri compiti. Prefiggersi obiettivi eccessivamente elevati facendo di tutto per raggiungerli. Pretese/Grandiosità Imporre agli altri la propria volontà; vantarsi dei propri successi. Evitare le situazioni in cui non si ha la possibilità di mostrare la propria superiorità. Soddisfare eccessivamente i bisogni degli altri. Autocontrollo o autodisciplina insufficienti Non riuscire ad assolvere i compiti quotidiani o di routine. Non cercare un impiego ed evitare le responsabilità. Sviluppare un eccessivo autocontrollo e un’eccessiva autodisciplina. Sottomissione Lasciare che siano gli altri a gestire le situazioni e a prendere decisioni al posto proprio. Evitare situazioni in cui potrebbero insorgere conflitti con gli altri. Assumere un atteggiamento di ribellione. Autosacrificio Dare molto agli altri senza pretendere niente in cambio. Evitare le situazioni in cui è inevitabile dare o ricevere qualcosa. Dare agli altri il meno possibile. Ricerca di approvazione o riconoscimento Cercare di far colpo sugli altri. Evitare il confronto con le persone di cui si vorrebbe l’approvazione. Assumere comportamenti irragionevoli per ottenere disapprovazione; rimanere in disparte. Negatività/Pessimismo Focalizzarsi sugli aspetti negativi dell’esistenza e trascurare quelli positivi; essere costantemente preoccupati; fare di tutto per prevenire eventuali esiti negativi. Ricorrere all’alcol per sentirsi più ottimisti e contrastare la tristezza. Essere troppo ottimismi (ottimismo a tutti i costi); negare le realtà spiacevoli. Inibizione emotiva Mantenere un atteggiamento compito e poco espressivo. Evitare situazioni in cui le persone parlano dei propri sentimenti o li esprimono. Cercare in tutti i modi di essere vitali e stimolanti pur sentendosi poco spontanei e a disagio. Schema Therapy: il modello teorico 43 Esempi di resa Esempi di evitamento Esempi di ipercompensazione Standard severi/ Ipercriticismo Fare di tutto per raggiungere la perfezione. Evitare o procrastinare situazioni e compiti che mettono alla prova le proprie capacità. Non curarsi affatto della qualità delle proprie prestazioni; svolgere i propri compiti in maniera sbrigativa e senza impegno. Punizione Avere un atteggiamento duro e punitivo nei confronti di se stessi e degli altri. Evitare gli altri per paura di essere puniti. Essere troppo comprensivi e indulgenti. Schema maladattivo precoce I mode come stati mentali dissociati Secondo una prospettiva diversa, un mode disfunzionale può essere considerato come uno degli aspetti del sé nel quale sono coinvolti specifici schemi e le relative risposte di coping, che non si è integrato completamente con gli altri e che presenta determinate caratteristiche a seconda del grado in cui si è dissociato o è rimasto escluso da altri mode dell’individuo. Un mode, in quest’ottica, potrebbe essere definito a seconda della posizione che occupa lungo uno spettro di dissociazione. Il livello di dissociazione più basso si avrebbe quando il soggetto è in grado di attivare o di esprimere più di un mode contemporaneamente, ad esempio durante i normali cambiamenti di umore, provocati dalla malinconia o dalla rabbia. Al contrario, il livello di dissociazione più alto si avrebbe quando il soggetto utilizza un determinato mode, senza avere, in quel momento, la consapevolezza dell’esistenza degli altri, come ad esempio accade nei pazienti affetti da disturbo dissociativo dell’identità. Allo stato attuale, sono stati identificati dieci mode, che si possono raggruppare in quattro categorie: i mode Bambino, i mode Coping disfunzionale, i mode Genitore disfunzionale e il mode Adulto funzionale. Alcuni di essi sono funzionali per l’individuo, mentre altri non lo sono. Analizzeremo questi mode in maggior dettaglio in seguito. Uno degli obiettivi centrali della Schema Therapy è insegnare al paziente a rinforzare il mode Adulto funzionale, imparando ad esplorare quelli disfunzionali, modificandoli o migliorando il loro funzionamento. Lo sviluppo del concetto di mode Il concetto di mode è nato dall’esperienza acquisita nel lavoro svolto con pazienti affetti da disturbo borderline di personalità, ma si è sviluppato nel tempo attraverso lo studio e il trattamento di molte altre categorie diagnostiche. Tutti i tentativi di applicare il modello degli schemi ai pazienti borderline si sono scontrati con un problema essenziale: i pazienti presentavano un numero troppo elevato di 44 Schema Therapy schemi e risposte di coping, per cui diventava difficile, sia per il paziente che per il terapeuta, affrontarli tutti insieme contemporaneamente. Capitava, ad esempio, che i pazienti con disturbo borderline ottenessero punteggi alti per tutti e 16 gli schemi dello Young Schema Questionnaire: avevamo bisogno, quindi, di un sistema di analisi diverso, che raggruppasse gli schemi e li rendesse più facili da gestire. Inoltre, con questi pazienti, l’applicazione della Schema Therapy, nel suo modello originale, risultava difficile anche perché essi cambiavano continuamente stato affettivo o risposta di coping: se in un momento erano arrabbiati, il momento dopo diventavano tristi, distaccati, introversi, innaturali, terrorizzati, impulsivi o carichi di odio verso se stessi. Basandosi principalmente sui tratti caratteristici della persona (schemi o stili di coping), il nostro modello originale non sembrava essere esaustivo per spiegare il fenomeno del passaggio da uno stato all’altro. Affermare che un individuo presenta un determinato schema non implica ritenere che esso sia attivo in ogni momento della sua vita; lo schema è un tratto caratteristico che può essere attivo in un determinato momento ma non in un altro, come avviene per i diversi stili di coping. Per questo motivo, il nostro modello originale, riferendosi ai tratti caratteristici, ci permette di comprendere i meccanismi della persona in un ampio lasso di tempo, ma non ci aiuta a capire lo stato del paziente in un determinato momento. Poiché i pazienti con disturbo borderline di personalità sono estremamente incostanti, abbiamo deciso di utilizzare per il loro trattamento un modello che prendesse in considerazione gli stati, piuttosto che i tratti caratteristici, e che avesse come fondamento concettuale primario i mode. Dall’osservazione dei singoli casi abbiamo valutato che gli schemi e le risposte di coping tendono a raggrupparsi, formando le diverse parti del sé. Alcuni gruppi di schemi o di risposte di coping si innescano contemporaneamente; ad esempio, nel mode Bambino vulnerabile le sensazioni del soggetto sono quelle di un bambino indifeso che si sente fragile, spaventato e triste e, quando il paziente è in questo mode, è possibile che si attivino contemporaneamente gli schemi Deprivazione emotiva, Abbandono e Vulnerabilità. Il mode Bambino arrabbiato si manifesta attraverso le emozioni di un bambino adirato in preda ad uno scatto d’ira, mentre il mode Protettore distaccato è caratterizzato dall’assenza di emozioni e da una forte tendenza all’evitamento. Alcuni mode sono, dunque, composti principalmente da schemi, mentre altri sono rappresentati soprattutto da risposte di coping; ogni paziente mostra alcuni particolari mode, a partire dai quali è possibile risalire a particolari raggruppamenti di schemi o risposte di coping. In modo analogo, anche alcune diagnosi di Asse II possono essere descritte in base ai loro mode più tipici. Un paziente con disturbo borderline di personalità, ad esempio, mostra solitamente quattro mode diversi, che si alternano con grande rapidità: in un determinato momento egli si trova nel mode Bambino abbandonato e vive il dolore provocato dagli schemi, un attimo dopo può passare al mode Bambino arrabbiato ed esprimere rabbia, per poi passare rapidamente al mode Genitore punitivo, nel quale punisce il Bambino abbandonato e, infine, ritirarsi Schema Therapy: il modello teorico 45 nel mode Protettore distaccato, nel quale frena tutte le emozioni e tiene gli altri a distanza, nel tentativo di proteggersi. I mode nell’esperienza dissociativa Come abbiamo accennato in precedenza, il nostro concetto di mode va messo in relazione con un continuum di gravità di dissociazione. Anche se siamo consapevoli che la diagnosi di disturbo dissociativo dell’identità è assai controversa, noi consideriamo le diverse personalità che i pazienti affetti da questo disturbo assumono come forme estreme di mode disfunzionali. Diverse parti del sé si sono scisse in personalità separate, tendenzialmente inconsapevoli l’una dell’altra, e che possono avere nomi, età, sesso, ricordi, funzioni e tratti caratteriali differenti. Le identità dissociate che assumono questi pazienti, in genere, sono: o quella di un bambino che ha vissuto un trauma profondo, o quella di una figura genitoriale interiorizzata che tormenta, criticando o punendo il bambino, o una modalità di coping tipica dell’età adulta che in un modo o nell’altro protegge o frena i diversi mode Bambino. Noi siamo convinti che la differenza sostanziale tra le identità dissociate del disturbo dissociativo dell’identità e i mode dei pazienti con disturbo borderline di personalità consista nell’intensità e nella gravità della dissociazione; in entrambi i casi possiamo valutare l’esistenza di parti del sé che si sono scisse, ma il livello di scissione nel disturbo borderline è decisamente inferiore. Inoltre, i pazienti che presentano un disturbo dissociativo hanno, in genere, un numero superiore di mode rispetto a quelli con personalità borderline. Anche in un individuo psicologicamente sano sono presenti mode distinti, che gli permettono, ad esempio, di essere distaccato, arrabbiato o triste in relazione agli eventi; ma, a differenza di un soggetto borderline, in un individuo sano il senso di identità rimane intatto, pur sperimentando più di un mode contemporaneamente; questo capita, ad esempio, quando un evento ci rende tristi e felici allo stesso tempo, dandoci una sensazione di “dolce amarezza”. Al contrario, un soggetto borderline viene completamente sopraffatto dalla paura o dalla rabbia e una parte del sé esclude le altre in maniera totale e profonda. I mode normali, inoltre, sono meno rigidi; per dirla con Piaget, essi sono più disponibili ad accomodarsi alla realtà (Piaget, 1962) e quindi più flessibili e aperti al cambiamento di quelli che caratterizzano i pazienti con seri tratti patologici di personalità. In sintesi, i mode possono variare da un individuo all’altro in relazione alle seguenti caratteristiche: • • • • • • Dissociati – Integrati; Inconsapevoli – Consapevoli; Maladattivi – Adattivi; Estremi – Lievi; Rigidi – Flessibili; Puri – Eterogenei. 46 Schema Therapy L’intensità e l’efficacia dei mode Adulto funzionale costituiscono un’altra importante differenza tra le persone sane e quelle che presentano tratti patologici di personalità. Tutti abbiamo un mode Adulto funzionale che ha la capacità di mitigare e correggere i mode disfunzionali; questo mode, però, risulta più intenso ed efficace nelle persone psicologicamente sane. Ad esempio, quando una di queste si arrabbia, assume un mode Adulto funzionale, che generalmente gli permette di tenere sotto controllo le emozioni e i comportamenti che derivano dall’ira. Nei pazienti borderline, invece, questo mode generalmente è così debole che quando, ad esempio, si attiva il mode Bambino arrabbiato, il mode Adulto funzionale non ha la capacità per controbilanciarlo e la persona viene completamente sopraffatta dalla rabbia. I dieci mode Abbiamo individuato dieci mode che possono essere raggruppati in quattro categorie generali: i mode Bambino; i mode Coping disfunzionale; i mode Genitore disfunzionale; il mode Adulto funzionale. Riteniamo che i mode Bambino siano innati e universali e che tutti i bambini abbiano, fin dalla nascita, la potenzialità di manifestarli. Ne abbiamo individuati quattro: Bambino vulnerabile, Bambino arrabbiato, Bambino impulsivo/indisciplinato e Bambino felice (i termini che abbiamo utilizzato sono generici, ma di norma, nel corso della terapia, scegliamo insieme al paziente il nome da dare ai singoli mode; ad esempio, possiamo definire il Bambino vulnerabile “la piccola Ann” o “Ann l’abbandonata”). Il mode Bambino vulnerabile, generalmente, è l’espressione della maggior parte degli schemi disfunzionali principali: esso rappresenta il Bambino abbandonato, abusato, deprivato o rifiutato. Il Bambino arrabbiato costituisce la parte che prova rabbia a causa dei bisogni emotivi insoddisfatti e che reagisce con ira a prescindere dalle conseguenze. Il Bambino impulsivo/indisciplinato esprime emozioni, agisce in base ai desideri e segue i propri bisogni momento per momento, in maniera disordinata, senza considerare le possibili conseguenze per se stesso e per gli altri. Il Bambino felice, invece, è pienamente soddisfatto, in quel determinato momento, nei suoi principali bisogni emotivi. Per quanto riguarda i mode di Coping disfunzionale, ne abbiamo identificati tre: il Protettore distaccato, l’Ipercompensatore, e l’Arreso compiacente. Questi tre mode corrispondono ai tre stili di coping: evitamento, ipercompensazione e resa (anche in questo caso, nel corso della terapia, personalizzeremo il nome dei mode disfunzionali in base alle sensazioni e ai comportamenti del paziente). L’Arreso compiacente si sottomette agli schemi, diventando di nuovo il bambino passivo e impotente che si arrende agli altri; il Protettore distaccato fugge psicologicamente dal dolore provocato dagli schemi attraverso il distacco dalle emozioni, l’assunzione di sostanze stupefacenti, la continua ricerca di stimoli, l’isolamento o altre forme di fuga. L’Ipercompensatore combatte gli schemi o maltrattando gli altri o assumendo, nel tentativo di confutarli, comportamenti estremi destinati Schema Therapy: il modello teorico 47 a rivelarsi disfunzionali. L’esito di tutti gli stili di coping maladattivi è il mantenimento degli SMP. Abbiamo, finora, identificato due mode Genitore disfunzionale: il Genitore punitivo e il Genitore esigente. Quando si trova in uno di questi mode, il paziente acquisisce l’atteggiamento del genitore che ha interiorizzato. Il Genitore punitivo è colui che punisce uno dei mode Bambino, poiché lo considera “cattivo”, mentre il Genitore esigente è colui che fa continuamente pressione affinché il bambino raggiunga standard eccessivamente elevati. Il decimo mode, di cui abbiamo parlato in precedenza, è il mode Adulto funzionale che è quello che si tenta di rafforzare attraverso la terapia, insegnando al paziente a moderare, guidare o modificare i mode disfunzionali. L’ASSESSMENT E LA MODIFICAZIONE DEGLI SCHEMI In questa breve rassegna del percorso terapeutico vengono presentati i passaggi necessari per valutare e modificare gli schemi. Descriveremo dettagliatamente nei capitoli successivi le procedure a cui qui facciamo soltanto accenno. Il trattamento è strutturato in due fasi: “Assessment e psicoeducazione”, e “Cambiamento”. Assessment e psicoeducazione Nel corso di questa prima fase, il terapeuta aiuta il paziente ad identificare gli schemi e a ricercarne le origini nell’infanzia e nell’adolescenza. Questa è la fase in cui il paziente, con l’aiuto del terapeuta, impara a familiarizzare con il modello degli schemi, comincia a riconoscere gli stili di coping maladattivi di cui si avvale e a capire in che modo essi contribuiscano al mantenimento degli schemi. I pazienti più gravi imparano a riconoscere i propri mode disfunzionali e vengono guidati nella comprensione dei processi che compiono gli schemi, tramite spiegazioni razionali, ma anche con sperimentazioni a livello emotivo. In questa fase, si alternano molteplici tecniche: colloqui mirati a raccogliere informazioni sulla vita del paziente, somministrazione di questionari riguardanti gli schemi, assegnazione di compiti di automonitoraggio e esercizi immaginativi, che, innescando gli schemi, aiutano il paziente a collegare sul piano emotivo i problemi che vive nel presente con le esperienze vissute nell’infanzia. Quando tutti i passaggi di questa fase sono stati conclusi, il terapeuta e il paziente elaborano una concettualizzazione del caso basata sugli schemi e programmano una terapia centrata su di essi, che includerà l’utilizzo di strategie cognitive, esperienziali e comportamentali e si fonderà sulla relazione terapeuta-paziente, elemento attivo del processo terapeutico. Modificazione degli schemi In questa seconda fase il terapeuta utilizza con flessibilità le strategie cognitive, esperienziali, comportamentali e interpersonali previste, tenendo conto delle 48 Schema Therapy esigenze che il paziente manifesta di settimana in settimana. La Schema Therapy non prevede protocolli rigidi o predefinite sequenze procedurali. Le tecniche cognitive Gli schemi non possono essere modificati fino a quando il soggetto rimane convinto che abbiano una validità; finché non viene scardinata quest’idea, continuerà ad avere una visione distorta di se stesso e degli altri. Per questo, nel corso della terapia, i pazienti devono imparare a costruire situazioni che dimostrino loro la mancanza di validità dello schema; inizialmente ne valutano l’infondatezza a livello razionale, elencando, insieme al terapeuta, tutte le situazioni della vita che possano costituire una prova a favore della validità dello schema o contraria ad essa. Nella maggior parte dei casi, l’analisi di queste prove dimostrerà che lo schema non è valido, che il paziente non è intrinsecamente inadeguato, incompetente o fallito. Talvolta, però, le prove non sono sufficienti ad invalidare lo schema. I pazienti, ad esempio, potrebbero aver sperimentato dei reali fallimenti, a scuola o sul lavoro, probabilmente perché, procrastinando o evitando continuamente, non hanno potuto sviluppare le adeguate capacità attitudinali. Se le prove per fronteggiare lo schema non risultano sufficienti, è possibile utilizzare delle strategie per modificare gli aspetti della vita del paziente che non risultano soddisfacenti; ad esempio, il terapeuta può aiutarlo a contrastare la convinzione che il fallimento sia inevitabile e permettergli, così, di acquisire capacità concrete in ambito lavorativo. Al termine di questi esercizi, il paziente e il terapeuta sintetizzano su un promemoria (flash card) le prove individuate a sfavore dello schema; il paziente lo porterà con sé, con il compito di leggerlo di frequente, soprattutto nelle situazioni che possono innescare lo schema. Le tecniche esperienziali Attraverso queste tecniche i pazienti affrontano lo schema su un piano emotivo; le procedure immaginative, ad esempio, consentono ai pazienti di esprimere la rabbia o la tristezza che provano per ciò che hanno vissuto nell’infanzia. In questo modo, possono confrontarsi con il genitore o le altre figure significative dell’infanzia e proteggere e confortare il bambino vulnerabile, riuscendo a esprimere i bisogni che avevano da bambini e che non sono stati soddisfatti dai genitori; possono associare immagini dell’infanzia a immagini di situazioni problematiche che affrontano nella vita attuale; hanno la possibilità di contrastare lo schema in prima persona, attraverso un confronto diretto. Attraverso le tecniche immaginative e i role-playing i pazienti si possono inoltre esercitare a dialogare con le persone significative della loro vita, controbattendole e interrompendo il circolo vizioso che lo schema crea a livello emotivo. Il cambiamento di comportamenti disfunzionali Vengono stabiliti, con l’aiuto del terapeuta, alcuni esercizi comportamentali che il Schema Therapy: il modello teorico 49 paziente deve svolgere al di fuori delle sedute per imparare a sostituire le risposte di coping maladattive con pattern comportamentali nuovi e più funzionali. Il paziente impara a capire che importanti decisioni di vita, come ad esempio la scelta del partner, favoriscono il mantenimento dello schema; comincia, così, ad ipotizzare e sperimentare la possibilità di fare scelte più funzionali che si contrappongono ai vecchi modelli di vita autodistruttivi. Durante le sedute, il terapeuta aiuta il paziente a programmare i compiti che dovrà svolgere a casa e lo guida nella preparazione di questi, attraverso le procedure immaginative e i role-playing, aiutandolo a superare gli inevitabili ostacoli che si presenteranno durante il processo di cambiamento del comportamento disfunzionale. Quando il paziente ha portato a termine i compiti, ne analizza i risultati con il terapeuta, esaminando ciò che ha appreso; in questo modo modifica gradualmente le modalità di coping maladattive acquisendo modelli sempre più funzionali, che gli permetteranno a lungo termine la correzione dello schema. Per poter cambiare, i pazienti devono essere disposti a rinunciare agli stili di coping maladattivi che hanno sempre utilizzato. Ad esempio, coloro che continuano ad arrendersi allo schema (rimanendo intrappolati in relazioni distruttive o non ponendosi dei limiti in ambito personale o lavorativo) lo mantengono e non riescono ad ottenere risultati significativi con la terapia. I pazienti che ipercompensano, invece, tendono a non fare progressi poiché, piuttosto che prendere atto dei propri schemi e responsabilizzarsi in tal senso, biasimano gli altri o sono troppo concentrati a ipercompensare dedicandosi al lavoro o tentando di migliorare se stessi o di far colpo sugli altri; di conseguenza, non riescono a identificare chiaramente gli schemi, né ad impegnarsi a sufficienza per modificarli. I soggetti che utilizzano il meccanismo di evitamento, invece, tendono a ottenere pochi progressi in terapia poiché si ostinano a fuggire dal dolore provocato dallo schema; non si concedono la possibilità di concentrarsi sui propri problemi, sul passato, sulla famiglia d’origine o sugli stili di vita, perché frenano o attenuano tutte le emozioni. Attraverso il meccanismo di evitamento si ottengono benefici immediati e rinunciarvi significa essere disposti a sopportare molti disagi; per questo motivo è fondamentale che il paziente sia veramente motivato a modificare lo schema e tenga continuamente presenti le conseguenze negative a lungo termine che ne derivano. La relazione terapeutica Gli schemi, gli stili di coping e i mode che il terapeuta deve valutare ed esaminare emergono anche dalla sua relazione con il paziente. La relazione terapeutapaziente, infatti, costituisce un potenziale antidoto, sebbene parziale, agli schemi: il paziente interiorizza il terapeuta come un adulto funzionale che contrasta gli schemi e cerca di aiutarlo a raggiungere una vita affettiva soddisfacente. Nella Schema Therapy, risultano particolarmente importanti due caratteristiche della relazione terapeutica: l’atteggiamento di confronto empatico del terapeuta 50 Schema Therapy e l’utilizzo di una funzione di parziale reparenting. Nel confronto empatico il terapeuta si pone in atteggiamento di empatia nei confronti degli schemi che si attivano nel paziente durante le sedute e allo stesso tempo sottolinea come le reazioni del paziente rispecchino gli schemi e i relativi stili di coping e, di conseguenza, siano spesso distorte o disfunzionali. La funzione di reparenting prevede che il terapeuta, nei limiti del rapporto terapeutico, fornisca al paziente ciò di cui aveva bisogno ma che non ha ricevuto dai genitori durante l’infanzia. Approfondiremo questi aspetti della relazione terapeutica in seguito. UN CONFRONTO TRA LA SCHEMA THERAPY E ALTRI MODELLI L’approccio concettuale e terapeutico della Schema Therapy si sviluppa sulla base di una filosofia di apertura e integrazione. Nella complessa rete di modelli e protocolli terapeutici, praticare la Schema Therapy significa cercare di trovare la soluzione più adatta al problema senza curarsi di etichette e definizioni; poco importa se l’approccio sarà definito cognitivo-comportamentale, psicodinamico o della Gestalt, ciò che conta è che sia efficace. L’aspetto centrale della Schema Therapy, infatti, è l’attenzione costantemente puntata sui cambiamenti significativi che il paziente riesce o meno ad ottenere. Il senso di libertà che questo atteggiamento genera nei pazienti e nei terapeuti ha contribuito ad allentare la schematicità della seduta terapeutica, promuovendo una maggiore autonomia nei contenuti del colloquio, nella scelta degli interventi e nelle modalità di attuazione di essi. Inoltre, il modello lascia molto spazio allo stile personale del terapeuta. La Schema Therapy, tuttavia, non è da considerarsi una terapia eclettica, se con questo termine si vuole intendere un approccio che procede per tentativi e per errori; essa si basa, piuttosto, su una teoria combinata, i cui elementi concettuali e le cui strategie si fondono armonicamente in un modello sistematico e strutturato. La conseguenza di questo atteggiamento di totale apertura è che alcuni aspetti del modello degli schemi coincidono con quelli di molti altri modelli di psicopatologia e psicoterapia, tra cui l’approccio cognitivo-comportamentale, costruttivista, psicodinamico, delle relazioni oggettuali e della Gestalt. Tuttavia la Schema Therapy ha in comune con questi modelli soltanto determinati elementi e non coincide mai totalmente con nessuno di essi; anzi essa si differenzia da ognuno per altri fattori fondamentali, che determinano la singolarità del suo sistema concettuale. Nel prossimo paragrafo, verranno evidenziate alcune delle principali somiglianze e differenze riscontrate tra la Schema Therapy e la recente riformulazione dell’approccio cognitivo-comportamentale operata da Beck e verrà fatto cenno ad altri approcci terapeutici che hanno in comune con la Schema Therapy alcuni aspetti rilevanti. La riformulazione del modello di Beck Beck e i suoi collaboratori (Beck et al., 1990; Alford e Beck, 1997) hanno for- Schema Therapy: il modello teorico 51 mulato, a partire dalla terapia cognitiva, un approccio specifico per il trattamento dei disturbi di personalità. Secondo questo modello la personalità è un “pattern specifico di processi sociali, motivazionali e cognitivo-affettivi” (Alford e Beck, 1997, pag. 25); essa comprende il comportamento, i processi cognitivi, le risposte emotive e i bisogni motivazionali. La personalità è determinata da “strutture idiosincratiche” o schemi, che ne costituiscono gli elementi base. Secondo Alford e Beck (1997), il concetto di schema potrebbe “fornire un linguaggio condiviso, capace di facilitare l’integrazione di alcuni approcci psicoterapici” (pag. 25) mentre le “credenze di base” rappresenterebbero il significato, o la parte cognitiva, di uno schema. Beck ha elaborato, inoltre, un suo specifico concetto di mode (Beck, 1996), che rappresenta una struttura integrata, composta da elementi cognitivi, affettivi, motivazionali e comportamentali. I mode possono comprendere molti schemi cognitivi, scatenano nel soggetto intense reazioni psicologiche e sono orientati al raggiungimento di obiettivi specifici. Così come gli schemi, i mode sono sostanzialmente automatici e si manifestano in seguito ad un’attivazione. Un soggetto vulnerabile dal punto di vista cognitivo esposto a stress intenso può sviluppare una sintomatologia strettamente correlata ad un determinato mode. Secondo Beck (Alford e Beck, 1997), i mode sono formati da schemi, che a loro volta contengono ricordi, strategie di problem solving, immagini e linguaggio; essi attivano delle “strategie che permettono all’individuo di mettere in atto le abilità elementari di sopravvivenza, come la capacità di difendersi dai predatori” (pag. 27). Ogni individuo sviluppa specifici mode, in base alle proprie caratteristiche genetiche e agli influssi sociali e culturali che riceve. Beck (1996, pag. 9) afferma inoltre che quando uno schema viene attivato non si verifica necessariamente l’attivazione del mode corrispondente: nonostante siano attive le componenti cognitive di uno schema, potrebbero non riscontrarsi nel paziente le corrispettive componenti affettive, motivazionali o comportamentali. Attraverso la terapia, il paziente impara ad utilizzare il proprio pensiero cosciente per disattivare i mode; attribuendo agli eventi attivanti un significato diverso, il paziente ne dà un’interpretazione nuova che risulta del tutto incompatibile con il mode. Un’accurata revisione della letteratura ci permette di affermare che Beck non chiarisce, se non in modo molto generico, quale sia la differenza sostanziale tra le tecniche di modificazione degli schemi e dei mode e quelle proposte dalla terapia cognitiva standard. Alford e Beck (1997) considerano la relazione terapeutica uno strumento attivo della terapia, e affermano perfino che un lavoro strutturato con le tecniche immaginative sia in grado di alterare le strutture cognitive mediante la comunicazione “diretta con il livello esperienziale (il sistema automatico), attraverso il suo specifico mediatore: la fantasia” (pag. 70). Tuttavia, non indicano delle strategie dettagliate o specifiche per modificare gli schemi e i mode. In ultima analisi, Beck et al., nel 1990, hanno elaborato una definizione di 52 Schema Therapy strategie cognitive e comportamentali che sembra combaciare con quella che la Schema Therapy propone per gli stili di coping: un individuo psicologicamente sano affronta le varie situazioni della vita quotidiana adottando strategie cognitive e comportamentali adattive, mentre un soggetto con disturbi psicologici si avvale di risposte rigide e disfunzionali per affrontare le situazioni nell’ambito delle quali risulta più vulnerabile. A livello concettuale, il modello cognitivo revisionato da Beck ha molti aspetti in comune con l’attuale versione della Schema Therapy. Entrambi i modelli, per definire e comprendere la personalità, si basano su due strutture principali alquanto complesse: gli schemi e i mode. Entrambi considerano fattori importanti della personalità i processi cognitivi, motivazionali e affettivi, le caratteristiche genetiche, i meccanismi di coping e gli influssi culturali. Infine, entrambe le teorie sottolineano la necessità di focalizzare l’attenzione sia sugli aspetti consci che su quelli inconsci della personalità. Più difficile, invece, è individuare le differenze tra i due modelli: si tratta, infatti, di sottili discrepanze riscontrabili nella diversa importanza attribuita ad alcuni aspetti teorici, più che in reali contrapposizioni riguardanti settori specifici dell’elaborazione concettuale. Nella definizione di schema maladattivo precoce è possibile riscontrare chiaramente elementi caratteristici degli schemi e dei mode di Beck (1996): la definizione youngiana di schema comprende sia la struttura che il contenuto dello schema elaborato da Beck; inoltre, per entrambi i modelli, sono coinvolte, durante l’attivazione degli schemi, componenti affettive, motivazionali e comportamentali. Nella teoria di Beck, il concetto di attivazione del mode è molto simile a quello che Young propone riguardo all’attivazione dello schema. Non è chiaro il motivo per il quale Beck (1996) avverta l’esigenza di differenziare gli schemi dai mode, attribuendo ai due termini definizioni diverse. Secondo la nostra opinione il concetto di mode di Beck potrebbe essere facilmente ampliato in modo da incorporare gli elementi di uno schema (o viceversa). Forse Beck, nel suo modello revisionato, ritiene opportuno distinguere lo schema dal mode per sottolineare che quest’ultimo rappresenta un meccanismo evoluzionistico di sopravvivenza, mentre il concetto di schema, rimanendo pressappoco quello proposto nel modello cognitivo originale (Beck, 1976), è più strettamente connesso a costrutti cognitivi di altro tipo, come i pensieri automatici e le credenze di base. In realtà, il concetto di mode formulato da Young è sovrapponibile solo in parte a quello elaborato da Beck. Infatti, mentre Beck ha sviluppato il suo concetto di mode (1996) per spiegare le intense reazioni psicologiche associate alla sopravvivenza e al raggiungimento dei propri obiettivi, Young ha elaborato il modello centrato sul concetto di mode allo scopo di operare una distinzione tra gli schemi e gli stili di coping intesi come tratti (modelli coerenti e stabili nel tempo) e gli schemi e gli stili di coping intesi come stati (modelli variabili di attivazione e disattivazione). In questo senso, il concetto di mode proposto da Young è più Schema Therapy: il modello teorico 53 strettamente connesso ai concetti di dissociazione e di “stato mentale” che al concetto di mode proposto da Beck. I due modelli che stiamo considerando presentano, inoltre, a livello concettuale, un’altra sostanziale differenza: sebbene entrambi prendano in considerazione il concetto di stili di coping, ben diversa è l’enfasi che l’uno e l’altro vi attribuiscono. Infatti Beck elabora il concetto di strategie disadattive di coping (Beck et al., 1990) ma non lo inserisce tra gli elementi fondamentali del suo modello revisionato (Beck, 1996; Alford e Beck, 1997), mentre Young attribuisce agli stili di coping un ruolo fondamentale nel mantenimento degli schemi. Appare evidente, dunque, il netto contrasto tra la funzione centrale che Young attribuisce ai meccanismi di resa, evitamento e ipercompensazione degli schemi e il ruolo marginale in cui essi sono relegati da Beck. La Schema Therapy e la terapia cognitiva, inoltre, conferiscono ai bisogni primari e alle fasi dello sviluppo un’importanza decisamente diversa: Beck e i suoi colleghi, pur sostenendo in termini generali che i bisogni motivazionali e le influenze che un individuo subisce durante l’infanzia hanno un ruolo centrale nel determinare la personalità, non si addentrano nella spiegazione di quali siano i bisogni primari, né di come specifiche esperienze vissute nell’infanzia favoriscano l’instaurarsi di uno schema o di un mode. Dopo aver analizzato le convergenze/divergenze concettuali dei due modelli, prendiamo ora in considerazione gli aspetti che riguardano l’approccio terapeutico elaborato dai due studiosi. Cominciamo dagli elementi comuni. Non sorprende, infatti, che il percorso di trattamento previsto dalla Schema Therapy presenti diversi elementi che si possono sovrapporre a quello della terapia cognitiva; d’altra parte, la principale influenza che Young ha ricevuto nell’elaborare la sua teoria deriva proprio dall’approccio cognitivo di Beck. Tanto per cominciare, l’importanza di una stretta collaborazione tra il paziente e il terapeuta e la necessità che il terapeuta assuma un ruolo attivo nel gestire sia le singole sedute che l’iter terapeutico sono elementi che assumono un ruolo centrale in entrambi i percorsi terapeutici. Inoltre, sia Young che Beck considerano l’empirismo collaborativo fondamentale per il cambiamento cognitivo; pertanto, in entrambi i trattamenti, i pazienti vengono incoraggiati a modificare i pensieri per renderli più rispondenti alla realtà, sulla base delle prove empiriche che essi stessi sono invitati a trarre dalla vita quotidiana. Anche le tecniche utilizzate per favorire il cambiamento dei pensieri e dei comportamenti risultano spesso comuni ad entrambi i trattamenti: un esempio possono essere i diari di registrazione dei pensieri e le prove comportamentali. Lo stesso possiamo dire per le strategie di cambiamento delle distorsioni cognitive e delle convinzioni di base, dei pensieri automatici e dei loro assunti sottostanti, che vengono insegnate ai pazienti in entrambi gli approcci terapeutici. La Schema Therapy e la terapia cognitiva sottolineano entrambe l’importanza di spiegare al paziente i rispettivi modelli terapeutici, per consentirgli di partecipare al processo terapeutico ad un livello paritario. In entrambi i trattamenti il 54 Schema Therapy terapeuta condivide la concettualizzazione del caso con il paziente e lo incoraggia a leggere materiale di auto-aiuto relativo all’approccio specifico; entrambi attribuiscono un ruolo centrale ai compiti a casa e a quelli di auto-aiuto per aiutare il paziente ad applicare alla vita quotidiana ciò che ha imparato durante le sedute; entrambi, per facilitare l’apprendimento, prevedono l’insegnamento di strategie pratiche che consentano al paziente di gestire in maniera funzionale le situazioni della vita reale, piuttosto che lasciargli il compito di capire da solo come applicare i principi cognitivo-comportamentali. Nonostante questo lungo elenco di elementi comuni, la terapia cognitiva e la Schema Therapy presentano, nell’approccio terapeutico, anche sostanziali differenze. La maggior parte di esse scaturisce dalla diversità dell’intento con cui le tecniche sono state concepite: il trattamento proposto dalla terapia cognitiva, infatti, risponde allo scopo di ridurre i sintomi correlati ai disturbi di Asse I, mentre le strategie della la Schema Therapy sono state orientate fin dall’inizio verso i disturbi di personalità e le problematiche croniche. La nostra esperienza ci insegna che esistono differenze sostanziali tra le tecniche di cambiamento che operano efficacemente per la riduzione dei sintomi e quelle che agiscono sulla modificazione della personalità. Innanzitutto la Schema Therapy effettua un percorso che va dal basso verso l’alto e non viceversa: il processo terapeutico, infatti, parte dall’analisi degli aspetti più “profondi” per arrivare ai livelli più “superficiali”. In altre parole, il terapeuta comincia ad analizzare il nucleo primario della psicopatologia, ovvero gli schemi, per creare poi, gradualmente, le associazioni con le cognizioni più accessibili come i pensieri automatici e le distorsioni cognitive. Al contrario, i terapeuti cognitivisti partono dalle cognizioni più “superficiali”, quali i pensieri automatici, e affrontano solo in un secondo momento le convinzioni primarie; ammesso, naturalmente, che il paziente sia disposto a continuare la terapia una volta ottenuta la riduzione dei sintomi. Questo approccio “capovolto” genera, nella Schema Therapy, un netto spostamento di attenzione: al centro del trattamento non vi sono più gli aspetti della vita presente del paziente, ma i pattern storici e consolidati che hanno caratterizzato la sua esistenza. Le conseguenze di questo atteggiamento si avvertono anche a livello strutturale, in quanto l’approccio terapeutico assume caratteristiche meno rigide e le sedute attenuano la loro formale schematicità. Il terapeuta avverte l’esigenza di spaziare liberamente e senza restrizioni dal presente al passato e da uno schema all’altro, durante la singola seduta, come nelle dinamiche generali del percorso terapeutico. Diametralmente opposto, invece, è il punto di partenza della terapia cognitiva: i problemi attuali del paziente e la sua sintomatologia costituiscono, infatti, il cuore del trattamento almeno fino a quando non se ne sia ottenuta una notevole riduzione. Inoltre, la terapia cognitiva attribuisce un ruolo secondario agli schemi, agli stili di coping e ai mode, che nella Schema Therapy sono, invece, considerati obiettivi primari. Schema Therapy: il modello teorico 55 Proprio in considerazione della centralità che la Schema Therapy attribuisce agli schemi e agli stili di coping, Young ha elaborato diciotto specifici schemi precoci e tre principali stili di coping che costituiscono le fondamenta su cui si basa gran parte del trattamento. Gli schemi e gli stili di coping vengono inizialmente stabiliti in modo generico e poi, durante la terapia, definiti in modo più specifico per adattarli al singolo paziente. In questo modo, il terapeuta ha a disposizione strumenti efficaci per identificare gli schemi e i comportamenti di coping del paziente, che potrebbero sfuggire utilizzando le tradizionali tecniche cognitive di valutazione. Un esempio lampante, a questo proposito, è lo schema Deprivazione emotiva, che è relativamente facile da identificare con le tecniche immaginative, ma molto difficile da riconoscere attraverso l’indagine dei pensieri automatici e degli assunti di base. Analizzando le differenze tra i due approcci terapeutici, non si può non tenere in considerazione la diversa importanza che essi attribuiscono alle origini dei disturbi nell’infanzia e agli stili genitoriali. La terapia cognitiva non si occupa di individuare riferimenti specifici riguardo alle origini dei pensieri, incluse le convinzioni di base; nell’ambito della Schema Therapy, al contrario, sono state identificate le origini più comuni di ognuno dei 18 schemi ed è stato sviluppato uno strumento per procedere alla loro valutazione. L’approccio terapeutico della Schema Therapy prevede, infatti, che il terapeuta spieghi al paziente le origini degli schemi, per fargli comprendere quali sono i bisogni primari di un bambino e cosa accade se essi non vengono soddisfatti. Il terapeuta ha il compito di individuare i collegamenti fra gli schemi che, fra i diciotto della lista, risultano più rilevanti nel paziente e la loro origine nell’infanzia. Alla definizione e alla spiegazione delle origini degli schemi, la Schema Therapy affianca un percorso di tecniche esperienziali per il superamento delle esperienze traumatiche dell’infanzia: queste tecniche aiutano il paziente a superare le emozioni, i pensieri e i comportamenti di coping disadattivi. Nella terapia cognitiva standard, al contrario, tutto questo non si verifica in quanto essa si occupa solo in modo marginale delle esperienze legate all’infanzia. Ancora un’altra, fondamentale differenza distingue i due approcci terapeutici di cui ci stiamo occupando. Parliamo della diversa importanza che essi attribuiscono alle procedure esperienziali, come le tecniche immaginative e i dialoghi associati. Un ristretto numero di terapeuti ad indirizzo cognitivo ha iniziato ad avvalersi di questo tipo di tecniche (Smucher e Dancu, 1999), ma la terapia cognitiva in genere non le considera aspetti centrali del percorso terapeutico e se ne serve principalmente per le prove comportamentali. Gran parte delle sedute di Schema Therapy, invece, sono dedicate all’attuazione di queste tecniche, in quanto esse sono considerate uno dei quattro elementi indispensabili per il trattamento. Il motivo della riluttanza da parte dei terapeuti ad indirizzo cognitivo ad utilizzare in modo più diffuso le tecniche esperienziali è di difficile comprensione, se si considera che nella letteratura cognitiva è ampiamente accettata l’idea per cui le “cognizioni calde” (che si 56 Schema Therapy presentano quando il paziente prova uno stato affettivo di notevole intensità) sono più facilmente modificabili delle “cognizioni fredde” (che si presentano quando lo stato affettivo è neutro) e se si considera il fatto che le tecniche esperienziali, a volte, si rivelano l’unico modo per stimolare le “cognizioni calde” durante la seduta. Il ruolo della relazione terapeutica costituisce un’altra delle sostanziali differenze tra la Schema Therapy e la terapia cognitiva: entrambe ne riconoscono l’importanza a fini terapeutici, ma ne fanno un utilizzo molto diverso. Il rapporto terapeuta-paziente è considerato, nell’ambito della terapia cognitiva, quasi esclusivamente uno strumento per motivare il paziente a seguire la procedura terapeutica (ad esempio, per completare i compiti a casa); pertanto il terapeuta cognitivo focalizza la sua attenzione sul rapporto con il paziente solo quando la relazione terapeutica sembra costituire un ostacolo al progredire del trattamento. In questo modo essa diventa un mero strumento di mediazione che ha lo scopo di favorire la realizzazione del cambiamento, ma non le viene riconosciuto alcun ruolo come strumento per il cambiamento stesso. Usando un’analogia medica, si potrebbero considerare le tecniche cognitive come i “principi attivi” per il cambiamento e la relazione terapeutica come il “veicolo” che consente ai principi attivi di agire. Nella Schema Therapy, il rapporto terapeuta-paziente costituisce, invece, una delle quattro componenti necessarie per il cambiamento. Come abbiamo già detto, la Schema Therapy utilizza la relazione terapeutica in due modi: il primo consiste nell’osservazione da parte del terapeuta degli schemi che si manifestano durante le sedute e nell’utilizzo di un’ampia gamma di procedure per valutare e modificare gli schemi nell’ambito della relazione terapeutica; il secondo coincide con l’assunzione di una funzione di parziale reparenting da parte del terapeuta. In questo modo la relazione terapeutica si traduce in “un’esperienza emotiva correttiva” (Alexander e French, 1946). Il terapeuta, nei limiti consentiti dal suo ruolo, fornisce al paziente una parziale compensazione ai bisogni primari di cui è stato privato da bambino. In termini di stile, il terapeuta che pratica la Schema Therapy utilizza il confronto empatico più che l’empirismo collaborativo; il terapeuta cognitivo, invece, si serve della scoperta guidata per aiutare i pazienti ad individuare le distorsioni cognitive. Per esperienza sappiamo che i pazienti con tratti patologici di personalità non riescono, di solito, a trovare delle alternative funzionali e realistiche agli schemi senza la guida diretta del terapeuta. Gli schemi sono così radicati e profondi che l’indagine empirica e le domande, da sole, non bastano per far comprendere ai pazienti quali distorsioni cognitive presentano. Per questo, nella Schema Therapy, il terapeuta assume un atteggiamento empatico nei confronti del punto di vista dello schema, ma gli dimostra, contemporaneamente, che quel punto di vista non è funzionale e non è in linea con la realtà oggettiva. Il terapeuta deve costantemente mettere il paziente di fronte a questa realtà, per evitare che torni ad assumere la prospettiva disfunzionale dello schema. Come diciamo ai nostri pazienti: “lo schema combatte per la sopravvivenza”. L’idea di ingaggiare la battaglia contro gli schemi, invece, non è tra gli obiettivi primari della terapia cognitiva. Schema Therapy: il modello teorico 57 Poiché gli schemi sono molto più resistenti al cambiamento rispetto agli altri livelli di cognizione, il trattamento dei disturbi di Asse II con la Schema Therapy richiede un tempo molto più lungo di quello necessario per il trattamento dei sintomi di Asse I con la terapia cognitiva. Tuttavia non è chiaro se questa differenza di durata resti valida anche nel caso in cui il l’approccio cognitivo standard venga utilizzato per il trattamento dei disturbi di Asse II. Sia nella concettualizzazione del caso che nell’attuazione delle strategie, l’obiettivo principale della Schema Therapy è modificare i pattern cronici disfunzionali, più che i singoli comportamenti disadattivi utilizzati dal paziente nel presente (sebbene sia necessario modificare entrambi). I terapeuti cognitivi, invece, concentrandosi sulla rapida riduzione dei sintomi, tendono a focalizzarsi molto meno sui problemi radicati, come la scelta disfunzionale del compagno, le delicate problematiche dell’intimità e l’evitamento dei fondamentali cambiamenti di vita; essi pongono in secondo piano anche l’analisi dei bisogni primari insoddisfatti, come l’assenza di attenzioni e di conferme. In linea con questo atteggiamento, i terapeuti cognitivi tendono ad attribuire un’importanza secondaria anche all’identificazione e al cambiamento degli stili di coping radicati, come i meccanismi di evitamento, di resa e di ipercompensazione. Eppure, secondo la nostra esperienza, sono proprio questi meccanismi (e non soltanto le convinzioni primarie o gli schemi) che spesso rendono così difficile il trattamento dei pazienti affetti da disturbi di personalità. Ulteriori differenze fra i due approcci terapeutici si possono rilevare nell’utilizzo del concetto di mode a cui abbiamo accennato in precedenza. Infatti, sebbene esso si possa riscontrare in entrambi gli orientamenti, tuttavia la terapia cognitiva non ha ancora proposto delle tecniche per intervenire sui mode disfunzionali, mentre la Schema Therapy ha già identificato i dieci mode più comuni (secondo la definizione di mode elaborata da Young, che abbiamo citato precedentemente) e ha sviluppato una gamma completa di strategie terapeutiche, come i dialoghi tra i mode, per il trattamento di ognuno di essi. Inoltre la Schema Therapy pone il lavoro incentrato sui mode come base del percorso terapeutico per i pazienti affetti da disturbi di personalità borderline e narcisista. Gli approcci psicodinamici La Schema Therapy presenta diverse caratteristiche simili ai modelli terapeutici psicodinamici: i due approcci condividono in particolare la ricerca nell’infanzia delle origini delle problematiche presenti e la centralità della relazione terapeutica. Per quanto riguarda quest’ultima, il modello psicodinamico moderno si è orientato verso un approccio empatico e verso l’instaurazione di una relazione terapeutica aperta e sincera (cfr., Kohut, 1984; Shane, Shane e Gales, 1997), avvicinandosi in tal senso alla Schema Therapy e all’enfasi da essa posta sul confronto empatico e sulla funzione di reparenting nel contesto della relazione terapeutica. Entrambi gli approcci tengono in considerazione il concetto di insight e sottolineano la 58 Schema Therapy necessità di un’elaborazione emotiva del materiale associato alle esperienze traumatiche, invitano il terapeuta a considerare con attenzione le problematiche associate al transfert e al controtransfert e affermano l’importanza della struttura della personalità, sostenendo che proprio nel tipo di struttura che ogni paziente presenta è possibile trovare la chiave per una terapia efficace. Anche tra la Schema Therapy e gli approcci psicodinamici esistono, comunque, differenze rilevanti. Nonostante esistano orientamenti più moderni, a cui abbiamo accennato prima, è necessario sottolineare che gli psicoanalisti tradizionali da sempre cercano di conservare, nella relazione terapeutica, un atteggiamento neutrale che si discosta notevolmente dal ruolo attivo previsto dalla Schema Therapy, in cui il terapeuta si pone alla guida del percorso terapeutico. Inoltre, molti approcci psicodinamici non prevedono la funzione di parziale reparenting che, nella Schema Therapy, il terapeuta assume nei confronti del paziente, per soddisfare almeno in parte quei bisogni emotivi precedentemente trascurati e favorire la correzione degli schemi. Un’altra differenza non trascurabile consiste nel fatto che, contrariamente alle teorie analitiche classiche, il modello degli schemi non è una teoria basata sulle pulsioni. La teoria degli schemi non focalizza l’attenzione sugli impulsi istintuali della sessualità e dell’aggressività, ma pone l’enfasi sui bisogni emotivi primari, basandosi sul principio di coerenza cognitiva, secondo il quale ogni persona tende a mantenere una visione coerente di se stessa e degli altri e a interpretare le varie situazioni in modo tale che confermino gli schemi. Da questo punto di vista, la Schema Therapy si può definire più come un modello cognitivo che psicodinamico. Laddove la psicoanalisi individua meccanismi di difesa sviluppati per contrastare i desideri istintuali, la Schema Therapy scorge stili di coping generati come conseguenza degli schemi e dei bisogni emotivi insoddisfatti. Il modello degli schemi proclama l’assoluta normalità e funzionalità dei bisogni emotivi che il paziente tenta di soddisfare. Per concludere, la terapia psicodinamica tende a essere meno flessibile rispetto alla Schema Therapy: è raro che i terapeuti che seguono il modello psicodinamico assegnino al paziente dei compiti da svolgere fuori dalle sedute, o che utilizzino le tecniche immaginative o i role-playing. La teoria dell’attaccamento di Bowlby La teoria dell’attaccamento, basata sul lavoro di Bowlby e Ainsworth (Ainsworth e Bowlby, 1991), ha avuto un impatto notevole sulla Schema Therapy, in particolare per lo sviluppo dello schema dell’Abbandono e del concetto di disturbo borderline di personalità. Bowlby ha formulato la teoria dell’attaccamento basandosi sui modelli etologici e psicoanalitici. Questa teoria si basa su un assunto di base: gli esseri umani (come altri animali) sono dotati di un istinto di attaccamento che li porta a stabilire una relazione stabile con la madre (o con altre figure di attaccamento). Nel 1969, Bowlby condusse degli studi empirici sui Schema Therapy: il modello teorico 59 bambini separati dalla madre, grazie ai quali poté identificare dei pattern universali di risposte. Nel 1968, Ainsworth sviluppò l’idea secondo la quale la madre costituisce la base sicura da cui il neonato inizia a esplorare il mondo e dimostrò l’importanza della sensibilità materna verso i segnali del figlio. Questo concetto di madre come base sicura è stato utilizzato nella Schema Therapy per definire la nozione di funzione di parziale reparenting. I pazienti affetti da disturbo borderline (e da altri disturbi più gravi), traggono dalla funzione di reparenting che il terapeuta assume nei loro confronti un antidoto, seppur parziale, allo schema dell’Abbandono. In questo modo, il terapeuta, senza mai travalicare i limiti del suo ruolo, diventa quella base affettiva sicura che il paziente non ha mai avuto. In un certo senso, si può dire che per quasi tutti i pazienti con schemi nel dominio Distacco e rifiuto (escluso lo schema dell’Esclusione sociale) è necessario che il terapeuta diventi una base sicura. Il modello degli schemi, rifacendosi a Bowlby, sostiene che lo sviluppo emotivo del bambino si realizza attraverso il passaggio dall’attaccamento all’autonomia e al raggiungimento della propria identità. Bowlby (1969, 1973, 1980) afferma che la necessità di un legame sicuro con la madre (o altre figure di attaccamento) è un bisogno emotivo di base che precede e promuove l’indipendenza del soggetto. Secondo Bowlby, è prevedibile che un bambino amato dai genitori protesti vivamente se viene separato da loro ma che, nel corso del tempo, sviluppi una maggiore sicurezza in se stesso. Esperienze familiari estremamente dolorose, come la perdita o la ripetuta minaccia di abbandono da parte di uno dei genitori possono generare un’eccessiva ansia da separazione. In alcuni casi, sottolinea Bowlby, quest’ansia si manifesta in modo non accentuato, generando una falsa impressione di maturità. La continua sostituzione delle figure di attaccamento può determinare l’incapacità di costruire dei rapporti basati su una sincera intimità. Nel 1973, Bowlby ipotizzò che negli esseri umani sia in atto una dinamica di bilanciamento tra il mantenimento di ciò che è familiare e la ricerca di ciò che è ignoto. Per dirla con Piaget (1962), l’individuo tende a mantenere l’equilibrio tra il meccanismo di assimilazione (l’inserimento di nuovi dati nelle strutture cognitive esistenti) e quello di accomodamento (l’adattamento delle strutture cognitive esistenti ai nuovi dati). Gli schemi maladattivi precoci interferiscono con questo equilibrio. Le persone intrappolate nei loro schemi interpretano erroneamente, distorcono e sminuiscono i dati e le prove acquisiti attraverso le nuove esperienze che potrebbero correggere le distorsioni causate dagli schemi stessi; le nuove informazioni vengono così assimilate in modo da mantenere intatti gli schemi. L’assimilazione, dunque, coincide con il concetto di mantenimento dello schema sviluppato dalla Schema Therapy. Pertanto l’obiettivo della terapia è di aiutare il paziente a far sì che le nuove esperienze che contengono prove contrarie agli schemi provochino un accomodamento di essi e ne favoriscano il processo di correzione. Nel 1973, Bowlby elaborò il concetto di modelli operativi interni che coincide con la nostra definizione di schemi maladattivi precoci. I modelli operativi 60 Schema Therapy interni di un soggetto si basano, come gli schemi, principalmente sui pattern di interazione esistenti tra il bambino e la madre (o altre figure di attaccamento). Se la madre risponde al bisogno di protezione del figlio e, allo stesso tempo, rispetta il suo bisogno d’indipendenza, il bambino svilupperà un modello operativo interno di sé improntato sulla validità e l’efficienza. Se, al contrario, la madre ignora frequentemente i tentativi del figlio di ottenere protezione e indipendenza, il bambino costruirà un modello operativo interno di sé basato sull’inadeguatezza e l’inefficienza. È attraverso il modello operativo interno che il bambino prevede il comportamento delle figure di attaccamento e prepara le proprie risposte; per questo, lo sviluppo di un determinato modello assume un’importanza fondamentale. In quest’ottica, gli schemi maladattivi precoci possono essere definiti dei modelli operativi interni disfunzionali e gli stili di coping possono essere considerati come le risposte con le quali generalmente il bambino si relaziona alle figure di attaccamento. Sia gli schemi che i modelli operativi controllano l’attenzione e l’elaborazione delle informazioni. Le distorsioni difensive dei modelli operativi interni si verificano quando il soggetto impedisce a se stesso di acquisire le informazioni a livello cosciente, precludendosi la possibilità di ottenere un cambiamento come conseguenza dei nuovi dati acquisiti. Col passare del tempo, attraverso un processo simile a quello di mantenimento degli schemi, i modelli operativi interni tendono a diventare più rigidi; man mano che i pattern di interazione tra figlio e genitore si instaurano in modo abituale e automatico, i modelli operativi diventano meno accessibili alla coscienza e più difficili da cambiare, in quanto si stabilizzano in modo sempre più radicato delle aspettative reciproche. Nel 1988, Bowlby si occupò dell’applicazione della teoria dell’attaccamento alla psicoterapia. Lo studioso osservò che un elevato numero di pazienti presentava dei modelli di attaccamento insicuri o disorganizzati. Uno dei principali obiettivi della psicoterapia consiste nella rielaborazione dei modelli operativi interni, inadeguati e obsoleti, che il paziente utilizza nel relazionarsi con le figure di attaccamento e che spesso vengono messi in atto anche nel rapporto con il terapeuta. Inizialmente la terapia si incentra sulla comprensione dell’origine dei modelli operativi disfunzionali e, successivamente, il terapeuta assume una funzione di base sicura da cui il paziente può esplorare la sua realtà e rielaborare i modelli disfunzionali. Nella Schema Therapy, il trattamento dei pazienti si basa sullo stesso principio. La terapia cognitivo-analitica di Ryle Nel 1991, Anthony Ryle sviluppò “la terapia cognitivo-analitica”, una terapia rapida e intensiva che concilia gli aspetti attivi ed educativi della terapia cognitivocomportamentale con i vari approcci psicoanalitici, in particolare quello delle relazioni oggettuali. Ryle propone una struttura concettuale che combina in modo sistematico le teorie e le tecniche di questi approcci e che, pertanto, si avvicina molto alla Schema Therapy. Schema Therapy: il modello teorico 61 L’approccio concettuale di Ryle (1991) è definito “modello di sequenza procedurale”. In questa teoria non sono gli schemi a costituire l’idea centrale, ma l’“attività diretta a uno scopo”. Secondo Ryle, le nevrosi si identificano con l’utilizzo costante di procedure inefficaci o disfunzionali e con l’incapacità di modificarle. Le procedure responsabili della maggior parte delle nevrosi sono catalogate in tre categorie: le trappole, i dilemmi e gli ostacoli. Molti dei pattern che Ryle descrive corrispondono agli schemi e ai relativi stili di coping. Per quanto riguarda le strategie per il trattamento, Ryle promuove, esattamente come Young, una relazione terapeutica attiva e collaborativa nella quale venga elaborata una concettualizzazione completa e profonda dei problemi del paziente. Il terapeuta e il paziente, in stretta collaborazione, elaborano la concettualizzazione del caso, cercano di comprendere in che modo il passato del paziente abbia portato all’instaurarsi dei problemi del presente e stilano un elenco delle varie procedure disadattive che il paziente utilizza per affrontare tali problemi. Nella terapia cognitivo-analitica, le strategie più utilizzate consistono nel lavoro in seduta, finalizzato a comprendere i temi centrali per il paziente e nella compilazione di un diario, allo scopo di monitorare le procedure disadattive. Anche la Schema Therapy si avvale di queste due tecniche, ma le associa a numerose altre strategie. Il metodo di cambiamento della terapia cognitivo-analitica coinvolge tre aspetti: nuove comprensioni, nuove esperienze e nuovi comportamenti. Tuttavia, al centro del trattamento viene collocato il primo aspetto, che è considerato lo strumento di cambiamento più efficiente. Nel corso della terapia cognitivo-analitica è previsto che il paziente venga aiutato a sviluppare la consapevolezza dei pattern negativi che utilizza nella vita quotidiana. Ryle, infatti, sottolinea la centralità dell’insight: “La terapia cognitivo-analitica (CAT) pone l’accento in modo particolare sul potenziamento dei livelli più alti (quelli cognitivi), utilizzando soprattutto un processo di riformulazione che modifica le procedure di valutazione e promuove l’auto-monitoraggio” (Ryle, 1991, pag. 200). La Schema Therapy considera l’insight uno strumento necessario, ma non sufficiente per determinare il cambiamento. Nel trattamento di patologie gravi quali il disturbo borderline o narcisistico di personalità, l’insight si rivela meno efficace delle nuove esperienze che il paziente affronta grazie agli approcci esperienziali e comportamentali. Le nuove comprensioni sono considerate da Ryle (1991) il principale strumento di cambiamento nel trattamento di pazienti borderline. La terapia si basa sull’utilizzo di diagrammi scritti, definiti “riformulazioni diagrammatiche sequenziali”, che sintetizzano la concettualizzazione del caso. Il terapeuta dispone questi diagrammi sul pavimento davanti al paziente e, nel corso del trattamento, fa frequentemente riferimento ad essi, allo scopo di aiutare il paziente affetto da disturbo borderline a sviluppare un “occhio auto-osservatore”. Notevoli sono le differenze tra la Schema Therapy e la terapia cognitivo-analitica. La Schema Therapy, innanzitutto, è orientata in modo più deciso a favorire il 62 Schema Therapy cambiamento a livello emotivo; essa, infatti, attribuisce un’importanza nettamente maggiore all’evocazione dell’affettività e alla funzione di parziale reparenting del terapeuta, in particolare nel trattamento di pazienti con gravi disturbi di personalità. Ryle (1991) ammette che, in alcuni casi, le procedure in grado di stimolare l’affettività, come le tecniche della Gestalt o lo psicodramma, potrebbero essere utili per aiutare il paziente a spostarsi da un piano puramente razionale ad un piano emotivo. Young, invece, sostiene che le tecniche esperienziali, come quelle delle immagini e del dialogo associato, siano efficaci per la quasi totalità dei pazienti. Secondo l’approccio di Ryle, il terapeuta interagisce principalmente con la parte adulta del paziente, cioè con il suo mode Adulto funzionale, e solo marginalmente con quella infantile, ovvero con il suo mode Bambino vulnerabile. Secondo la Schema Therapy, però, i pazienti borderline sono spesso come bambini e, pertanto, hanno bisogno di stabilire un legame sicuro con il terapeuta prima di poter diventare autonomi ed indipendenti. La terapia degli schemi-persona di Horowitz Horowitz ha elaborato una struttura nella quale sono integrati vari approcci: psicodinamico, cognitivo-comportamentale, interpersonale e sistemico-familiare. Il suo modello sottolinea l’importanza dei ruoli e delle convinzioni basandosi sulla “teoria degli schemi-persona” (Horowitz, 1991; Horowitz, Stinson e Milbrath, 1996). Uno schema-persona è un pattern, generalmente inconscio, costituto dalla visione che il soggetto ha di se stesso e degli altri, e che scaturisce dalle reminiscenze legate alle esperienze dell’infanzia (Horowitz, 1997). Questa definizione, dal punto di vista concettuale, è identica a quella di schema maladattivo precoce. Horowitz, però, focalizza l’attenzione soprattutto sulla struttura generale degli schemi, mentre Young delinea gli schemi specifici che sono alla base dei principali stili di vita disfunzionali. Horowitz (1997) elabora il suo concetto di “modelli di relazione”, associando ogni singolo ruolo relazionale a: (1) un desiderio o bisogno che ne è alla base (“il modello di relazione desiderato”); (2) una paura primaria (“il modello di relazione temuto”); (3) i modelli di relazione che il soggetto utilizza per difendersi dal modello di relazione temuto. Facendo un confronto con la teoria degli schemi, questi modelli si accostano vagamente ai bisogni emotivi primari, agli schemi maladattivi precoci e agli stili di coping. Horowitz spiega che nel ruolo relazionale del soggetto sono compresi dei copioni per le interazioni, le intenzioni, l’espressione delle emozioni e le azioni, e una valutazione critica delle azioni e delle intenzioni. In questo senso, un ruolo relazionale contiene sia elementi degli schemi che degli stili di coping. Nella Schema Therapy, invece, gli schemi e gli stili di coping hanno un sistema concettuale separato, poiché gli schemi non sono associati in maniera diretta a specifiche azioni. Ogni individuo gestisce uno schema con stili di coping specifici, che dipendono dal temperamento e da altri fattori. Nella sua teoria Horowitz (1997) definisce anche il concetto di “stati menta- Schema Therapy: il modello teorico 63 li” che si avvicina molto al concetto di mode del modello di Young. Uno stato mentale è “un pattern di esperienze coscienti e modalità relazionali. Espressioni di idee ed emozioni, sia verbali che non verbali, sono gli elementi che concorrono alla formazione di un pattern, identificabile come stato” (Horowitz, 1997, pag. 31). Ma Horowitz non colloca questi stati mentali lungo una graduale linea di dissociazione. Secondo il modello degli schemi, invece, i pazienti più gravi, come quelli affetti da disturbo borderline o narcisistico, entrano in stati mentali che annientano totalmente il loro senso d’identità; più che entrare in uno stato mentale, essi assumono una diversa “identità” o un diverso “mode”. Operare questa distinzione è importante, in quanto il grado di dissociazione relativo a un mode comporta necessariamente delle modifiche significative alla procedura terapeutica. Horowitz propone, inoltre, il concetto di “processi difensivi di controllo” che si può associare a quello di stili di coping elaborato da Young. Horowitz identifica tre categorie principali: • i processi difensivi che mettono in atto l’evitamento degli argomenti dolorosi attraverso il controllo del contenuto di ciò che è espresso (ad esempio, spostando l’attenzione o minimizzando l’importanza); • quelli che mettono in atto l’evitamento attraverso il controllo della modalità di espressione (ad esempio, utilizzando la razionalizzazione verbale); • quelli nei quali viene utilizzato come strumento di coping il passaggio da un ruolo all’altro (ad esempio, operando un brusco spostamento da un ruolo passivo ad uno di comando). In questa classificazione, Horowitz (1997) include molti dei fenomeni tipici degli stili di evitamento, resa e ipercompensazione. Nel corso della terapia, il terapeuta ha il compito di fornire un supporto al paziente, di combattere l’evitamento spostando l’attenzione della persona in altre direzioni, di interpretare gli atteggiamenti disfunzionali e la resistenza, di pianificare insieme al paziente la sperimentazione di nuovi comportamenti. Come nel lavoro di Ryle (1991), l’insight è la parte più importante del trattamento. Il terapeuta indirizza i pensieri e i discorsi del paziente sui modelli di relazione e sui processi difensivi, fornendo delle chiarificazioni e delle interpretazioni su di essi. L’obiettivo consiste nel far sì che nuovi schemi “sopraordinati” acquistino un ruolo prioritario rispetto a quelli immaturi e maladattivi del paziente. Dal confronto con la Schema Therapy emerge che l’approccio di Horowitz (1997) non fornisce delle strategie terapeutiche dettagliate o sistematiche e non prevede l’utilizzo né di tecniche esperienziali, né di una funzione di parziale reparenting da parte del terapeuta. La Schema Therapy, inoltre, pone maggiore enfasi sull’attivazione della sfera affettiva e tenta di accedere a quelli che Horowitz (1997) definisce “stati regressivi” e che Young chiama mode Bambino vulnerabile. 64 Schema Therapy La terapia centrata sulle emozioni La terapia centrata sulle emozioni, elaborata da Leslie Greenberg e colleghi (Greenberg, Rice e Elliott, 1993; Greenberg e Paivio, 1997) prende spunto dai modelli esperienziali, costruttivisti e cognitivi; come la Schema Therapy, essa è profondamente influenzata dalla teoria dell’attaccamento e dalla relativa ricerca in ambito terapeutico. L’integrazione della sfera emotiva con quella cognitiva, motivazionale e comportamentale rappresenta l’elemento centrale della terapia centrata sulle emozioni. Nel corso del trattamento, la sfera emotiva viene attivata con l’obiettivo di correggerla; inoltre, gran parte della terapia è orientata ad identificare e ridefinire gli schemi emotivi, che Leslie Greenberg (Greenberg e Paivio, 1997) definisce come gruppi di principi organizzativi, dal contenuto idiosincratico, che uniscono le emozioni, gli obiettivi, i ricordi, i pensieri e le inclinazioni comportamentali. Gli schemi emotivi deriverebbero dall’interazione tra le primissime esperienze di apprendimento di un individuo e il suo temperamento innato. Gli schemi costituiscono delle importanti strutture organizzative attraverso le quali il soggetto interpreta la realtà e risponde alle varie circostanze della vita quotidiana. Come per la Schema Therapy, l’obiettivo centrale della terapia centrata sulle emozioni è la modificazione degli schemi emotivi. La terapia consente al paziente di accedere a livello cosciente a “esperienze interne inaccessibili […] per poter costruire nuovi schemi” (Greenberg e Paivio, 1997, pag. 83). Inoltre, come la Schema Therapy, anche la terapia centrata sulle emozioni attribuisce molta importanza allo sviluppo di un’alleanza tra il terapeuta e il paziente; questa alleanza terapeutica viene utilizzata per sviluppare un “dialogo empatico” centrato sulle emozioni, che stimoli e prenda in considerazione le problematiche emotive del paziente. Per riuscire ad instaurare un dialogo di questo tipo, il terapeuta deve, in primo luogo, creare un senso di sicurezza e fiducia; successivamente, egli ha il compito di impegnarsi a mantenere il delicato equilibrio fra i due opposti aspetti del suo ruolo, nel quale deve assumere contemporaneamente la funzione di “sostenitore” e di “guida”. Questo duplice atteggiamento da un lato permette al terapeuta di favorire e sostenere il cambiamento, dall’altro gli dà la possibilità di dirigerlo e guidarlo. In questo modo si instaura un processo del tutto simile a quello che la Schema Therapy si propone di realizzare attraverso il confronto empatico. Sia la Schema Therapy che la terapia centrata sulle emozioni riconoscono che l’attivazione delle emozioni da sola non è sufficiente per determinare dei cambiamenti significativi. La terapia di Leslie Greenberg, per realizzare il cambiamento, prevede un graduale processo di attivazione emotiva che si realizza attraverso l’utilizzo di tecniche esperienziali, l’abbandono dei meccanismi di evitamento, l’interruzione dei comportamenti disfunzionali e la facilitazione di modificazioni funzionali nella sfera emotiva. Il terapeuta aiuta i pazienti a riconoscere e ad esprimere i propri sentimenti primari, a verbalizzarli e, successivamente, ad accedere Schema Therapy: il modello teorico 65 alle proprie risorse interiori (come, ad esempio, le risposte adattive di coping). Inoltre, la terapia centrata sulle emozioni propone interventi diversificati e specifici per le diverse emozioni. Nonostante le significative somiglianze, i due approcci presentano tuttavia numerose differenze, sia negli aspetti pratici che in quelli teorici. Una delle principali divergenze si può riscontrare nel ruolo privilegiato che la terapia proposta da Leslie Greenberg attribuisce all’affettività negli schemi emotivi, in contrasto con la visione della Schema Therapy, nella quale i fattori cognitivi, comportamentali e emotivi sono considerati sullo stesso piano. Inoltre Leslie Greenberg sostiene l’esistenza di un “numero infinito di schemi emotivi specifici” (Greenberg e Paivio, 1997, pag. 3), mentre Young ha individuato un numero ben definito di schemi e stili di coping, associando ad ognuno di essi interventi specifici. La terapia centrata sulle emozioni organizza gli schemi in una struttura complessa e gerarchica, in base alla quale le emozioni sono classificate in primarie, secondarie e strumentali e ulteriormente suddivise in: adattive, disadattive, complesse o condizionate dalla società. La tipologia dello schema emotivo determina obiettivi d’intervento specifici, che tengono conto dell’orientamento interno o esterno dell’emozione (ad esempio la tristezza in opposizione alla rabbia) e del livello eccessivo o insufficiente di controllo che il paziente esercita sull’emozione nella vita presente. Paragonata al più moderato modello degli schemi, la terapia elaborata da Leslie Greenberg fa gravare sul terapeuta l’impegnativo compito di analizzare accuratamente le emozioni e di intervenire in maniera diversa e specifica a seconda delle emozioni identificate. Nella terapia centrata sulle emozioni, il processo di assessment si basa soprattutto sulle informazioni che emergono momento per momento durante le sedute. Nel 1997, Greenberg e Paivio si discostano da questa tecnica affidandosi ad approcci che si basano sulla concettualizzazione iniziale del caso o su valutazioni comportamentali. La Schema Therapy propone tuttavia un approccio più articolato: pur avvalendosi delle informazioni raccolte direttamente in seduta, prevede anche l’uso di procedure di assessment in immaginazione, la somministrazione di questionari e la costruzione di un’alleanza terapeuta-paziente. CONCLUSIONI Nel 1990, Young ha sviluppato la Schema Therapy per il trattamento dei pazienti che non avevano tratto beneficio dalla terapia cognitivo-comportamentale tradizionale e, in particolar modo, di coloro che presentavano disturbi di personalità o tratti patologici di personalità sottostanti ai disturbi di Asse I. In effetti, questi pazienti tendono a violare molti degli assunti fondamentali su cui si basa la terapia cognitivo-comportamentale e, quindi, difficilmente possono essere trattati efficacemente con questo metodo. Anche se, in seguito alle revisioni apportate da Beck e colleghi, la terapia cognitiva per il trattamento dei disturbi di personalità (Beck et. al., 1990; Alford e Beck, 1997) risulta più coerente con il modello 66 Schema Therapy della Schema Therapy, tra i due approcci permangono differenze significative, soprattutto riguardo all’enfasi attribuita ai vari aspetti concettuali e alla gamma di strategie terapeutiche utilizzate. La Schema Therapy presenta un sistema concettuale articolato e integrato; proprio questa sua caratteristica di apertura agli stimoli provenienti da altre teorie rende il modello degli schemi parzialmente sovrapponibile a molti altri modelli di psicoterapia, compresi quelli psicodinamici. Tuttavia, la maggior parte di questi approcci risulta limitata rispetto alla Schema Therapy, sia nel modello concettuale che nella molteplicità di strategie terapeutiche adoperate. Altre differenze si riscontrano nella relazione terapeuta-paziente, nello stile e nell’impostazione del terapeuta e nel diverso equilibrio tra funzione attiva e funzione direttiva che egli assume nella terapia. Gli schemi maladattivi precoci (SMP) sono modelli articolati e pervasivi, riguardanti la visione che l’individuo ha di se stesso e dei suoi rapporti con gli altri, che si rivelano marcatamente disfunzionali; sono costituiti da ricordi, emozioni, pensieri e sensazioni somatiche; si sviluppano durante l’infanzia o l’adolescenza e vengono elaborati successivamente nel corso della vita. In origine, gli SMP costituiscono una rappresentazione adattiva e relativamente accurata della realtà con cui il bambino viene a contatto, ma diventano disadattivi e poco accurati man mano che il bambino cresce. Il bisogno di coerenza, presente in ogni essere umano, rende gli schemi difficili da modificare; essi, infatti, assumono un ruolo centrale nella vita del paziente, condizionandone il modo di pensare, di sentire, di agire e di relazionarsi agli altri. Gli SMP si innescano quando il paziente vive delle situazioni che in qualche modo richiamano gli eventi dell’infanzia che hanno contribuito a farli nascere: quando ciò avviene, il soggetto viene sopraffatto da intense emozioni negative. Le ricerche di LeDoux (1996) sui sistemi cerebrali coinvolti nel trauma e nel condizionamento emozionale lasciano supporre che gli schemi abbiano delle componenti biologiche. Gli SMP scaturiscono da bisogni emotivi primari insoddisfatti e, generalmente, si instaurano in seguito ad esperienze dolorose vissute nell’infanzia. Anche altri fattori, come il temperamento e le influenze culturali, rivestono un ruolo fondamentale nello sviluppo degli schemi. Sono stati individuati 18 schemi maladattivi precoci che, a loro volta, sono stati suddivisi in cinque domini principali. I diciotto schemi e alcuni domini sono sostenuti da un cospicuo supporto empirico. Gli schemi si caratterizzano per due specifiche operazioni: il mantenimento e la correzione. Quest’ultima è l’obiettivo primario della Schema Therapy. Gli stili di coping maladattivi sono i meccanismi che il soggetto sviluppa nelle prime fasi della vita per adattarsi agli schemi e che, nel tempo, contribuiscono al mantenimento degli schemi. Sono stati identificati tre stili di coping maladattivi: la resa, l’evitamento e l’ipercompensazione. Le risposte di coping sono i comportamenti specifici attraverso cui gli stili di coping si manifestano. Per ogni schema esistono Schema Therapy: il modello teorico 67 tipiche risposte di coping. I mode sono gli stati, o aspetti del sé, che coinvolgono schemi o operazioni specifici. I mode si distinguono in quattro categorie principali: i mode Bambino, i mode Coping disfunzionale, i mode Genitore disfunzionale e il mode Adulto funzionale. La Schema Therapy si articola in due fasi: la fase di “Assessment e psicoeducazione” e la fase di “Cambiamento”. Nel corso della prima fase, il terapeuta aiuta il paziente a identificare gli schemi o i mode, a comprenderne le origini, ricercandole nell’infanzia o nell’adolescenza, e a creare delle associazioni fra essi e i problemi della vita presente. La seconda fase prevede un utilizzo integrato di strategie cognitive, esperienziali, comportamentali e interpersonali che hanno l’obiettivo di correggere gli schemi e sostituire gli stili di coping disadattivi con modelli di comportamento più funzionali.