SCHEMA THERAPY
La terapia cognitivo-comportamentale
integrata per i disturbi della personalità
jeffrey e. young
• janet s. klosko • marjorie e. weishaar
Edizione italiana a cura di Alessandra Carrozza, Nicola Marsigli e Gabriele Melli
ECLIPSI
Traduzione italiana di:
Schema Therapy
Traduzione: Elena Paoli
Cura: Alessandra Carrozza, Nicola Marsigli, Gabriele Melli
Editing: Enza Ricciardi
Videoimpaginazione: Camilla Romoli
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SOMMARIO
1. Schema Therapy: il modello teorico
2. La fase di assessment e psicoeducazione
3. Le strategie cognitive
1
69
101
4. Le tecniche esperenziali
121
5 Il cambiamento dei comportamenti disfunzionali 159
6. La relazione terapeutica
7. Una strategia specifica per ogni schema
8. Strategie d’intervento sui mode (mode work)
193
227
305
9. Schema Therapy per il Disturbo Borderline
di Personalità
341
10. Schema Therapy per il Disturbo Narcisistico
di Personalità
415
Bibliografia
Appendice
469
475
PREFAZIONE
ALL’EDIZIONE ITALIANA
La terapia cognitiva nasce negli anni 60 con il lavoro di A.T. Beck e di A. Ellis
che giungono alla formulazione di una teoria ed una pratica clinica fondata sulla
modificazione dei pensieri disfunzionali, nei loro contenuti e nelle modalità organizzative, come il punto focale dell’intervento psicoterapico.
Inizialmente, questo approccio viene utilizzato per il trattamento dei disturbi
depressivi e dei disturbi d’ansia; successivamente, le dimostrazioni di efficacia
portano allo sviluppo di nuovi protocolli di intervento, imponendo, nel corso
degli anni, la terapia cognitivo-comportamentale come trattamento preferenziale
per i più comuni disturbi di Asse I.
Negli ultimi decenni l’interesse della terapia cognitiva si è rivolto verso l’area
dei disturbi di personalità, da sempre terreno delle terapie di derivazione psicodinamica. Ancora una volta è Beck, insieme ad Arthur Freeman, a proporre un
protocollo di intervento, una forma di terapia cognitiva più articolata e mirata
per ciascun cluster di disturbo di personalità. Da allora sono stati prodotti diversi
protocolli clinici per trattare i pazienti con disturbi di Asse II, differenti modelli
che hanno analizzato e studiato la difficoltà e la complessità del trattamento dei
pazienti difficili, come il modello dialettico-comportamentale di M. Linehan, la
terapia metacognitiva-interpersonale di A. Semerari e collaboratori o l’approccio
cognitivo-evoluzionista proposto da G. Liotti e colleghi.
Negli ultimi anni, le tecniche cognitive e comportamentali sono state integrate
con strategie dialettiche, finalizzate all’accettazione, alla validazione ed alla regolazione delle emozioni, con attenzione al potenziamento delle abilità metacognitive
del paziente, al fine di poter modificare la qualità delle sue relazioni interpersonali,
oltre alla sua capacità di adattamento.
Fra le nuove proposte, la Schema Therapy di Jeffrey Young si presenta come
un approccio sistematico, organizzato e metodico per il trattamento dei pazienti
con disturbi della personalità o con una grande resistenza al cambiamento, che
colma alcune lacune del modello cognitivista attraverso l’integrazione di contributi derivati da altre teorie, come la teoria dell’attaccamento, la teoria della Gestalt, quella psicodinamica e il comportamentismo.
Nello specifico, come il lettore potrà cogliere, nella Schema Therapy l’attenzione per relazione terapeutica, tema spesso sottovalutato o addirittura dimenticato
dalla terapia cognitivo-comportamentale, acquisisce un peso strategico fondamentale; inoltre, viene dato particolare peso alle tecniche immaginative ed esperienziali,
sottolineando il valore terapeutico delle esperienze di correzione emotiva.
VI
Schema Therapy
Assunto fondamentale della Schema Therapy è che ciascun essere umano ha,
fin dall’infanzia, dei bisogni fondamentali (come ad esempio il bisogno di sentirsi
protetto, accudito, contenuto), che richiedono una naturale soddisfazione. Se nell’ambiente evolutivo ciò è mancato in modo continuativo, il bambino sperimenta
l’impossibilità di soddisfare i propri “normali” bisogni e sviluppa una valutazione
negativa di sé e dell’altro. È in questo contesto che si sviluppano gli Schemi Maladattivi Precoci, che condizioneranno nel tempo lo sviluppo relazionale.
Questi Schemi, fortemente radicati e stabili, sono i fattori di mantenimento
del disturbo nei pazienti difficili e con disturbi della personalità.
L’obiettivo terapeutico della Schema Therapy è quello di rendere consapevole
il paziente dell’esistenza e del funzionamento di questi schemi e di aiutarlo a trovare strategie di coping più efficaci per riuscire a soddisfare i propri bisogni.
Gli autori, inoltre, hanno proposto un intervento più complesso per trattare i
pazienti più gravi, come quelli affetti da Disturbo Borderline o Narcisistico di Personalità. Questo tipo intervento, che il lettore troverà ben descritto nell’ultima parte del
manuale, è suggerito quando il paziente presenta repentini cambiamenti emotivi e un
numero di schemi molto elevato, che rendono difficile il lavoro sul singolo schema.
In questo caso il modello che propongono si basa sul concetto di Mode - forse il
concetto più innovativo di questo nuovo approccio - inteso come l’insieme degli stati
emotivi e degli stili di coping attivi in un individuo in un determinato momento.
Abbiamo deciso di tradurre questo manuale e di seguirne personalmente la curatela perché riteniamo che l’approccio di Young e collaboratori offra un contributo
significativo, anche se non esaustivo, al trattamento dei disturbi di personalità in
un’ottica prevalentemente cognitivo-comportamentale. Pensiamo, comunque, che
il trattamento dei pazienti gravi non possa prescindere da un certo eclettismo terapeutico e che, di conseguenza, ogni manuale strutturato abbia i suoi grossi limiti.
Apprezzando enormemente e utilizzando ogni giorno le strategie per il trattamento dei disturbi di personalità proposte dai ricercatori, italiani e non, sopra citati,
il nostro auspicio non è quello di promuovere in Italia un approccio terapeutico rivoluzionario o migliore di altri, quanto di mettere a disposizione dei colleghi ulteriori strategie che possono risultare utili quando si ha a che fare con quei casi difficili di
fronte ai quali qualunque tecnica terapeutica non sembra mai abbastanza efficace.
Ci auguriamo, quindi, che questo nostro contributo possa essere utile a tutti
quelli che, come noi, pur avendo una formazione cognitivo-comportamentale, si
cimentano nell’impegnativo lavoro terapeutico con i pazienti gravi.
Alessandra Carrozza
Nicola Marsigli
Gabriele Melli
Istituto di Psicologia e Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva, IPSICO, Firenze
GLI AUTORI
Jeffrey E. Young, PhD. Docente di psichiatria presso la Columbia University; è il fondatore e il direttore del Cognitive Therapy Center di New York e del
Connecticut oltre che dello Schema Therapy Institute (institute@schematherapy.
com). Tiene conferenze sulla terapia cognitiva e sulla Schema Therapy da oltre
vent’anni a livello internazionale; ha formato migliaia di professionisti che operano nel campo della salute mentale ed è ampiamente apprezzato per le capacità
dimostrate nell’insegnamento.
Young è il fondatore della Schema Therapy, nuovo approccio terapeutico integrato per il trattamento dei disturbi di personalità e per i pazienti che mostrano
maggiore resistenza alle terapie tradizionali; è inoltre autore di numerose pubblicazioni, tra le quali i due importanti volumi “Cognitive Therapy for Personality
Disorders: A Schema-Focused Approach”, un manuale per gli operatori del settore, e “Reinventa la tua vita”, un libro a carattere divulgativo, che ha ottenuto un
notevole successo tra il grande pubblico, di cui Janet S. Klosko è co-autrice. Young
è ricercatore sulla terapia cognitiva e sulla Schema Therapy e ha lavorato a molti
progetti di ricerca, tra i quali il Collaborative Study of Depression, promosso dal
National Institute of Mental Health; in ambito editoriale collabora alle seguenti
riviste: Cognitive Therapy and Research e Cognitive and Behavioral Practice.
Janet S. Klosko, PhD. È co-direttrice del Cognitive Therapy Center di Long
Island a Great Neck, New York e psicoterapeuta presso lo Schema Therapy Institute di Manhattan e il Woodstock Women’s Health di Woodstock, New York. Ha
conseguito il titolo di dottore di ricerca in psicologia clinica alla State University
of New York (SUNY) ad Albany, New York, e ha svolto il tirocinio alla Brown
University Medical School. Durante la sua permanenza alla SUNY, ha svolto attività clinica e di ricerca per il trattamento dei disturbi d’ansia sotto la supervisione
del dr. Davide H. Barlow. Ha ricevuto l’Albany Award for Excellence in Research
e il Dissertation Award in Clinical Psichology as a Science dall’American Psichological Association Section. È autrice di numerose pubblicazioni accademiche
e co-autrice, insieme a William Sanderson, del volume “Trattamento cognitivocomportamentale della depressione” e del popolare libro di auto-aiuto “Reinventa la tua vita”, insieme a Jeffrey E. Young. La dott.ssa Klosko ha conseguito
inoltre una laurea specialistica in letteratura inglese.
Marjorie E. Weishaar, PhD. Professore di psichiatria e comportamento
umano alla Brown University Medical School, dove ha ricevuto ben due premi
VIII Schema Therapy
per l’insegnamento, insegna terapia cognitiva a medici e psicologi. Laureata alla
University of Pennsylvania, ha conseguito tre lauree specialistiche alla Pennsylvania State University; si è specializzata in terapia cognitiva con Aaron T. Beck e
in Schema Therapy con Jeffrey E. Young. È autrice di “Aaron T. Beck”, un libro
sulla terapia cognitiva e sul suo fondatore, recentemente tradotto in cinese. La
dott.ssa Weishaar tiene regolarmente conferenze, è autrice di numerosi articoli
e capitoli di volumi di terapia cognitiva e, in particolare, sul rischio di suicidio.
Attualmente, svolge attività clinica come libera professionista a Providence, nel
Rhode Island.
PREFAZIONE
Per quanto risulti difficile da credere, sono già trascorsi nove anni dalla pubblicazione del nostro primo volume sulla Schema Therapy. Nel corso dell’ultimo decennio, l’interesse per il nostro modello terapeutico è andato man mano crescendo
e consolidandosi. Molti colleghi negli anni ci hanno rivolto la stessa domanda:
“Quando pubblicherete un manuale aggiornato ed esaustivo sulla Schema Therapy?”. Con un certo imbarazzo, eravamo costretti ad ammettere che non avevamo ancora trovato il tempo per intraprendere un progetto così impegnativo.
Nonostante le difficoltà iniziali, dopo tre anni di intenso lavoro siamo finalmente riusciti a portare a termine quella che ci auguriamo possa diventare una vera
e propria “bibbia” per tutti coloro che praticano la Schema Therapy. Per rendere
il nostro lavoro il più esaustivo possibile, abbiamo inserito tutti gli aggiornamenti
e gli approfondimenti degli ultimi anni, il nostro modello concettuale revisionato
e una descrizione dettagliata delle varie strategie terapeutiche; abbiamo inoltre
presentato numerosi casi clinici insieme ad alcuni dialoghi estratti dalle sedute. In
particolare, ci siamo dedicati alla stesura di due capitoli che descrivessero in maniera dettagliata un protocollo terapeutico più ampio, specificamente sviluppato
per il trattamento dei disturbi borderline e narcisistico di personalità.
Negli ultimi anni, si sono verificati molti cambiamenti nel campo della salute
mentale e molti di essi hanno avuto un impatto profondo sulla Schema Therapy.
La crescente insoddisfazione dei clinici di vario orientamento per i limiti dei protocolli terapeutici tradizionali è andata di pari passo ad un crescente interesse per
lo sviluppo di modelli nuovi, il cui obiettivo fosse quello di integrare i diversi approcci terapeutici. La Schema Therapy è stata uno dei primi approcci a muoversi
in questa direzione ed è riuscita ad attrarre molti dei professionisti, dei clinici e
dei ricercatori che erano alla ricerca di una legittimazione, così come di una guida,
per andare oltre i confini dei modelli terapeutici esistenti.
Un chiaro indicatore del crescente interesse che i clinici nutrono nei confronti
della Schema Therapy è la diffusione capillare che lo Young Schema Questionnaire (YSQ) ha riscontrato a livello internazionale; il questionario, impiegato nella
pratica clinica e nella ricerca, è già stato tradotto in spagnolo, greco, olandese,
francese, giapponese, norvegese, tedesco e finlandese, per citare soltanto alcuni
dei paesi nei quali la Schema Therapy viene praticata.
Un altro importante segnale è il successo che i due volumi finora pubblicati
sull’argomento continuano ad avere a distanza di dieci anni dalla prima uscita:
“Cognitive Therapy for Personal Disorders: A Schema Focused Approach”, attualmente alla terza edizione, e “Reinventa la tua vita”, un manuale di auto-aiuto
Schema Therapy
che ha venduto più di 125.000 copie, è stato tradotto in svariate lingue ed è ancora
disponibile sugli scaffali delle principali librerie.
Nel corso dell’ultimo decennio, gli ambiti di applicazione della Schema Therapy si sono moltiplicati: oltre che per i disturbi di personalità, essa viene impiegata nel trattamento di una vasta gamma di problematiche cliniche, fra cui i disturbi
depressivi cronici, i traumi infantili, gli atti criminali, i disturbi alimentari, la terapia di coppia e la prevenzione della ricaduta nell’abuso da sostanze. Inoltre, viene
spesso utilizzata per lavorare sui tratti patologici di personalità predisponenti o
sottostanti ai disturbi di Asse I.
Un’altra importante evoluzione è stata raggiunta con lo sviluppo di diversi approcci basati sull’integrazione tra la Schema Therapy e le pratiche meditative. Su
come sia possibile combinare la Schema Therapy con la Mindfulness o con altre
pratiche tradizionali di derivazione religiosa sono già stati pubblicati tre volumi:
“Alchimia emotiva” di Tara Bennett-Goleman, “Praying Through Our Lifetraps:
A Psycho-Spiritual Path to Freedom” di John Cecero e “The Myth of More” di
Joseph Novello.
Un ostacolo allo sviluppo della Schema Therapy si è invece avuto in seguito
all’aumento, negli Stati Uniti, dei programmi di contenimento dei costi per il trattamento dei disturbi di personalità. Per i clinici e per i ricercatori che lavorano in
questo ambito è diventato sempre più difficile ottenere i rimborsi dalle assicurazioni e avere accesso ai finanziamenti per i programmi di ricerca, poiché il tempo
necessario per il trattamento dei disturbi di Asse II è mediamente più lungo di
quello previsto dai protocolli terapeutici tradizionali. Per questo, gli Stati Uniti si
trovano adesso in netto svantaggio rispetto a molti altri paesi sia per la promozione della ricerca sia per il trattamento dei disturbi di personalità.
Il taglio dei finanziamenti, infatti, ha posto un freno alla ricerca, ostacolando
fortemente lo sviluppo di validi studi di efficacia rivolti all’indagine del trattamento dei disturbi di personalità (un’importante eccezione è rappresentata dall’approccio comportamentale dialettico sviluppato da Marsha Linehan per il trattamento del disturbo borderline di personalità). Questo ha comportato anche per
noi delle notevoli difficoltà, impedendoci di ottenere i finanziamenti necessari
per portare avanti progetti di ricerca in grado di fornire evidenze empiriche alla
Schema Therapy.
Per questo motivo, recentemente ci siamo rivolti ad altri paesi, per poter sviluppare questo ambito di ricerca che riteniamo fondamentale. In particolare,
guardiamo con speranza ad uno studio di efficacia, diretto da Arnoud Arntz, che
sta per giungere al termine nei Paesi Bassi. Si tratta di uno studio multicentrico,
condotto su vasta scala, che mette a confronto la Schema Therapy con l’approccio sviluppato da Otto Kernberg per il trattamento del Disturbo Borderline di
Personalità e del quale attendiamo con ansia i risultati.
Nel primo capitolo il lettore che non ha familiarità con la Schema Therapy
può trovare una sintesi dei principali vantaggi che questo approccio terapeutico
Prefazione
XI
offre rispetto alle terapie cognitivo-comportamentali tradizionali. Innanzitutto,
rispetto alla maggior parte dei protocolli standard, la Schema Therapy presenta
un modello teorico e terapeutico più articolato, che amplia ed integra elementi
mutuati da vari approcci, quali la terapia cognitivo-comportamentale, le teorie
psicodinamiche, la teoria dell’attaccamento e quella della Gestalt. Inoltre, anche
se gli elementi della terapia cognitivo-comportamentale sono alla base della Schema Therapy, il cambiamento emotivo, le tecniche esperienziali e la relazione terapeutica rivestono un ruolo altrettanto importante.
Il modello degli schemi da un lato è dotato di una apparente semplicità, dall’altro possiede aspetti più profondi e molto complessi; questa sua versatilità facilita
l’approccio e la comprensione sia del terapeuta che del paziente. Anche se il suo
modello teorico si fonda, come abbiamo detto, su concetti complessi che spesso,
in altri approcci terapeutici, risultano poco comprensibili o addirittura confusivi
per il paziente, la Schema Therapy ha il merito di esplicitarli in maniera chiara e
comprensibile, mantenendo l’immediatezza della terapia cognitivo-comportamentale (TCC), senza dover rinunciare alla complessità delle teorie psicodinamiche.
La Schema Therapy fa proprie due caratteristiche fondamentali della TCC: è
strutturata e sistematica allo stesso tempo. Il terapeuta si attiene alle procedure
di assessment e di trattamento descritte. La fase di valutazione include la somministrazione di una serie di questionari volti a misurare l’eventuale presenza di
schemi e di stili di coping. La terapia è attiva e direttiva, non limitandosi a promuovere l’insight ma cercando di ottenere il cambiamento cognitivo, emotivo,
interpersonale e comportamentale. La Schema Therapy si è dimostrata efficace,
oltre che nella terapia individuale, anche nella terapia di coppia, per aiutare entrambi i partner a riconoscere e contrastare i propri schemi.
Un altro vantaggio della Schema Therapy consiste nel suo elevato livello di
specificità. Non solo definisce schemi, stili di coping e mode specifici, ma fornisce anche strategie dettagliate per i singoli schemi, fornendo per ciascuno di essi
indicazioni dettagliate circa la più appropriata forma di intervento. Anche per
quanto riguarda la relazione terapeutica, la Schema Therapy fornisce un metodo
semplice e lineare che consente al terapeuta di utilizzarla per comprendere le difficoltà del paziente e lavorarci sopra. È compito del terapeuta, a tale scopo, monitorare, nel corso delle sedute, anche l’attivazione dei propri schemi, dei propri
stili di coping e dei propri mode.
Inoltre, la Schema Therapy si distingue per un altro aspetto, probabilmente il più importante: rispetto alle psicoterapie tradizionali la sua impostazione è
decisamente più orientata al paziente. Essa tende a normalizzare piuttosto che
a patologizzare i disturbi psicologici. Tutti noi sviluppiamo degli schemi, degli
stili di coping e dei mode; l’unica differenza è che queste caratteristiche sono
più accentuate e rigide nei soggetti clinici. Infine, l’approccio della Schema Therapy è empatico e rispettoso nei confronti dei pazienti, soprattutto di quelli più
gravi e, in particolare, di quelli affetti da Disturbo Borderline di Personalità, ai
XII
Schema Therapy
quali spesso viene riservato un trattamento decisamente poco empatico, per non
dire “rimproverante”, nel contesto delle terapie tradizionali. Gli stessi concetti di
“confronto empatico” e “parziale reparenting” inducono i terapeuti a sviluppare
un atteggiamento accudente nei confronti del paziente. Lavorare sui “mode”,
inoltre, facilita il processo di confronto, permettendo al terapeuta di contrastare
con forza i comportamenti rigidi e disfunzionali del paziente, senza per questo
compromettere l’alleanza terapeutica.
Per concludere, è stato dato particolare rilievo ad alcuni degli sviluppi che hanno interessato la Schema Therapy negli ultimi dieci anni: innanzitutto, abbiamo
incluso la nuova lista degli Schemi Maladattivi Precoci, revisionata ed ampliata
fino a comprenderne 18, suddivisi in cinque domini. Abbiamo, inoltre, sviluppato
due nuovi protocolli terapeutici comprensivi di strategie dettagliate per i Disturbi
Borderline e Narcisistico di Personalità. Questi protocolli ampliano e integrano la
Schema Therapy, soprattutto attraverso l’utilizzo del nuovo concetto di “mode”.
Abbiamo, infine, posto una maggiore enfasi sugli stili di coping, in particolare su
quelli di evitamento e di ipercompensazione, e sul processo di cambiamento dei
comportamenti disfunzionali volto a modificarli. Lo scopo è quello di aiutare il
paziente a sostituire i propri stili di coping disadattivi con altri più funzionali, che
gli permettano di soddisfare i propri bisogni emotivi di base.
Con la pratica clinica e il maturare della nostra esperienza, il “parziale reparenting” ha assunto un ruolo sempre più importante nella terapia, in particolare per
quanto riguarda il trattamento dei pazienti più gravi. Per questo motivo, riteniamo
fondamentale che il terapeuta cerchi di soddisfare, ovviamente entro i limiti della
relazione terapeutica, i bisogni che il paziente non ha potuto soddisfare durante
l’infanzia. Con il passare del tempo, si è posta maggiore enfasi anche sugli schemi
e sugli stili di coping del terapeuta, soprattutto nel contesto della relazione terapeutica.
Ci auguriamo che questo manuale possa offrire al clinico una prospettiva nuova per affrontare i pazienti più difficili e che il nostro approccio terapeutico possa
dare risultati significativi con i pazienti più gravi e problematici, per i quali è stato
appositamente sviluppato.
RINGRAZIAMENTI
Gli autori
Desideriamo ringraziare tutti i collaboratori della Guilford Press per averci sostenuto in questo lungo e impegnativo percorso: Kitty Moore, il direttore
editoriale, per i suoi preziosi consigli e per averci guidato nella progettazione del
volume; il direttore di produzione, Anna Nelson, per aver supervisionato le varie
fasi di produzione con tanta professionalità e disponibilità; Elaine Kehoe, per il
suo accurato lavoro di editing; e, infine, tutto lo staff, per averci seguito e sostenuto in tutte le fasi di realizzazione.
In particolare, ringraziamo il dr. George Lockwood, che ci ha fornito numerosi chiarimenti e riferimenti storici sui vari approcci psicoanalitici e al quale
dobbiamo la maggior parte del materiale sulle altre psicoterapie presentato nel
primo capitolo. Lavorare con lui è stata un’esperienza estremamente stimolante,
che speriamo di poter ripetere in futuro.
Siamo, inoltre, riconoscenti a tutto lo staff dello Schema Therapy Institute di
Manhattan e, in particolare, a Nancy Ribeiro e Sylvia Tamm. Il loro impegno e la
loro affidabilità ci hanno dato il coraggio e la serenità di portare avanti il nostro
progetto.
Infine, ringraziamo i nostri pazienti, che ci hanno dimostrato come sia possibile trasformare anche le realtà più difficili in momenti di speranza ed esperienze
di recupero.
Jeffrey E. Young
Sono molte le persone che desidero ringraziare per il prezioso contributo ed
il sostegno che mi hanno dato, sia nello sviluppo della Schema Therapy, sia nella
stesura di questo libro.
Sono grato ai miei amici più cari per l’affetto e la disponibilità dimostratemi
nel corso degli ultimi anni e per il ruolo fondamentale che hanno avuto nell’elaborazione di questo approccio terapeutico. ���������������������������������
Sono stati come una famiglia per
me: Wendy Behary, Pierre Cousineau, Cathy Flanagan, Vivian Francesco, George
Lockwood, Marty Slogane, Bob Sternberg, Will Swift, Dick e Diane Wattenmaker
e William Zangwill.
Ringrazio i miei colleghi, che hanno contribuito in vari modi a sviluppare la
Schema Therapy, sia negli Stati Uniti che in altri paesi: Arnoud Arntz, Sam Ball,
Jordi Cid, Michael First, Vartouhi Ohanian, Bill Sanderson, Glenn Walzer e David Weinberger.
Ringrazio Nancy Ribeiro, la mia assistente amministrativa, per la devozione
XIV Schema Therapy
dimostrata nella realizzazione del progetto e per aver saputo sopportare le mie
stranezze giorno dopo giorno.
Grazie a mio padre, che con il suo amore incondizionato mi ha fornito un
ottimo modello di accudimento e riaccudimento.
Infine, grazie al mio mentore, Tim Beck, che è stato sia un amico, sia una guida fin dall’inizio della mia carriera.
Janet S. Klosko
Oltre alle persone già citate, vorrei ringraziare tutti i miei colleghi per l’appoggio che mi hanno saputo dare. ���������������������������������������������
In particolare, sono grata a Jayne Rygh, Ken
Appelbaum, David Bricker, William Sanderson e Jenna Smith. Desidero
�����������������
inoltre
ringraziare la mia famiglia e i miei amici, in particolare Michael e Molly, per aver
costituito la base sicura sulla quale ho potuto costruire la mia carriera.
Marjorie E. Weishaar
Ringrazio i miei professori, in particolare Aaron T. Beck, per i loro saggi consigli e la loro guida. Grazie ai miei colleghi e ai miei studenti per l’importante
contributo che mi hanno dato e grazie a tutti i membri della mia famiglia per
l’ottimismo, l’onestà e l’amore incondizionato che mi hanno dimostrato.
1
SCHEMA THERAPY:
IL MODELLO TEORICO
La Schema Therapy, sviluppata da Young (1990-1999) e colleghi, consiste in
un modello teorico e in un approccio terapeutico innovativo e articolato che integra e amplia la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e le teorie su cui essa si
basa, prendendo spunto da diversi altri modelli teorici, quali la teoria dell’attaccamento, la teoria costruttivista, la scuola psicoanalitica e quella della Gestalt.
Questo approccio terapeutico è rivolto in particolare ai pazienti affetti da problematiche psicologiche ben radicate, considerati casi difficili da trattare. Evidenze cliniche dimostrano come la Schema Therapy sia un trattamento efficace
per i disturbi di personalità e per quei tratti patologici di personalità che spesso
costituiscono un fattore di mantenimento della sintomatologia di Asse I.
DALLA CBT ALLA SCHEMA THERAPY
Alcune considerazioni sulla CBT sono utili per capire l’importanza che ha
avuto per Young lo sviluppo della Schema Therapy.
I progressi nella ricerca e nella terapia hanno consentito di sviluppare protocolli di
trattamento soddisfacenti per la maggior parte dei disturbi di Asse I; si tratta di terapie
brevi (in media 20 sedute) che mirano alla riduzione della sintomatologia, allo sviluppo
di alcune abilità e alla risoluzione delle problematiche che affliggono il paziente.
In questa sede, il termine “terapia cognitivo-comportamentale” si riferisce a svariati protocolli elaborati da Beck (Beck,
Rush, Shaw e Emery, 1979), Barlow (Crasse, Barlow e Meadows, 2000) ed altri autori per trattare i disturbi di
Asse I. In ambito cognitivo-comportamentale, alcuni terapeuti hanno modificato i protocolli standard per adattarli ai
casi difficili, sviluppando modelli compatibili con la Schema Therapy (Beck, Freeman, e colleghi, 1990). Discuteremo
di alcune di queste modifiche più avanti (pagg. 50-57). È tuttavia opportuno sottolineare che, a tutt’oggi, i protocolli
standard utilizzati in terapia cognitivo-comportamentale raramente tengono conto di questi adattamenti.
1
Schema Therapy
Gli studi che si sono occupati di valutare l’efficacia dei trattamenti basati su
questi protocolli hanno evidenziato un’elevata percentuale di risultati positivi
(Barlow, 2001); tuttavia, considerando un intervallo di tempo più esteso, in molti casi essi si sono rivelati inefficaci. Ad esempio, nel trattamento dei disturbi
depressivi la percentuale di successo è del 60%, ma la percentuale di ricaduta
a distanza di un anno dalla fine della terapia si aggira intorno al 30% (Young,
Weinberger e Beck, 2001). È noto, inoltre, come la CBT standard abbia una scarsa efficacia nel trattamento dei pazienti affetti da disturbi di personalità o che
presentino tratti di personalità patologici (Beck, Freeman e colleghi, 1990). Non
a caso, oggigiorno, la ricerca nell’ambito della CBT ha come principale obiettivo
la sperimentazione di protocolli di trattamento che diano risultati soddisfacenti
nella cura del paziente grave.
Sono diverse le situazioni in cui si nota come i tratti patologici di personalità
possano ridurre l’efficacia della CBT. Un esempio tipico può essere quello dei pazienti in trattamento per un disturbo di Asse I che si bloccano durante il percorso
terapeutico o presentano una ricaduta al suo termine. Prendiamo il caso di una donna che aveva effettuato una terapia per superare il suo disturbo agorafobico. Attraverso l’utilizzo di esercizi di respirazione e di una gerarchia di esposizione graduale,
accompagnati dalla ristrutturazione dei pensieri catastrofici, la donna era riuscita ad
ottenere una significativa riduzione della sintomatologia e a vincere, di conseguenza, la paura di numerose situazioni. Al termine del trattamento, tuttavia, la paziente
era tornata rapidamente ad essere afflitta dallo stesso disturbo. Se analizziamo la
storia di vita di questa persona, ci troviamo di fronte a un passato caratterizzato
dall’assenza di autonomia personale e dalla presenza di sentimenti di vulnerabilità
e inefficienza – quelli che noi definiamo “schemi di Dipendenza e Vulnerabilità”
– che hanno sempre influito sulla sua capacità di affrontare da sola le incombenze
della vita quotidiana. Priva della fiducia necessaria per prendere delle decisioni, nel
corso della sua esistenza la donna non è mai riuscita ad acquisire alcune capacità elementari, come ad esempio prendere la patente, orientarsi nel quartiere in cui abita,
gestire il denaro o fissare obiettivi a lungo termine. Una volta conclusa la terapia, la
paziente non era stata in grado di esporsi alle situazioni temute senza la guida del
terapeuta, vanificando i progressi ottenuti durante il trattamento.
È frequente, inoltre, che una terapia cognitivo-comportamentale venga intrapresa per affrontare un disturbo di Asse I, ma che, una volta ottenuta la riduzione
della sintomatologia, i pazienti si trovino a dover fare i conti con i propri tratti
patologici di personalità. Per comprendere meglio ciò che accade in queste situazioni, prendiamo in considerazione il caso di un paziente affetto da disturbo
ossessivo-compulsivo. Grazie ad un breve trattamento basato sull’esposizione e
la prevenzione della risposta, l’uomo era riuscito a liberarsi dai pensieri ossessivi
e dai rituali compulsivi che fino a quel momento avevano impegnato la maggior
parte del suo tempo. Finalmente in grado di dedicarsi ad altre attività, si era trovato a dover affrontare la sua pressoché totale mancanza di rapporti sociali, naturale
Schema Therapy: il modello teorico
conseguenza di una vita trascorsa in solitudine. Il paziente presentava quello che
noi definiamo “schema di Inadeguatezza”, che lo aveva portato, fin dall’infanzia,
a sperimentare sentimenti di rifiuto e ad evitare, di conseguenza, il contatto con
gli altri e qualsiasi rapporto interpersonale.
Infine, dobbiamo considerare tutti quei casi in cui il paziente non presenta
sintomi specifici, ma riferisce problematiche vaghe e generiche, prive di fattori
scatenanti facilmente identificabili e per i quali è difficile impostare degli obiettivi
terapeutici. Anche in queste circostanze la CBT risulta poco efficace: il paziente
sente che qualcosa non va o è carente nella sua vita, ma non sa definire il problema. Ciò che inconsapevolmente vorrebbe modificare è costituito dai tratti patologici di personalità e, dalla terapia, si aspetta un aiuto per risolvere le difficoltà
che ha sempre avuto nel gestire le relazioni interpersonali in ambito familiare o
lavorativo, ma poiché non ha alcun disturbo evidente in Asse I, o ne ha troppi,
può trarre pochi benefici dalla CBT standard.
Perché i pazienti con tratti patologici di personalità non sono
adatti alla terapia cognitivo-comportamentale
La CBT si basa su alcuni presupposti riguardanti le caratteristiche del paziente
che vengono a mancare in coloro che presentano tratti patologici di personalità.
Queste persone, infatti, si differenziano dai pazienti affetti dai classici disturbi di
Asse I per una serie di caratteristiche psicologiche che li rendono meno adatti alla
CBT tradizionale.
Uno dei presupposti a cui ci riferiamo, ad esempio, è la capacità del paziente
di aderire al protocollo di trattamento. In terapia cognitivo-comportamentale, si
parte dal principio che il paziente sia motivato ad affrontare il percorso di riduzione dei sintomi, di acquisizione delle abilità e di soluzione dei problemi che lo
affliggono e che, di conseguenza, con gli adeguati stimoli e rassicurazioni, riesca
ad aderire alle procedure terapeutiche necessarie. Tuttavia, nel caso di pazienti
con tratti patologici di personalità, la motivazione al trattamento e l’aderenza alle
prescrizioni terapeutiche sono spesso altalenanti e, talvolta, si nota la mancanza di
volontà o l’incapacità di seguire il percorso terapeutico. In alcuni casi, il paziente
non esegue i compiti che dovrebbe svolgere al di fuori delle sedute, oppure manifesta una grande riluttanza nel mettere in pratica le strategie di autocontrollo o,
ancora, si mostra più interessato ad ottenere consolazione dal terapeuta piuttosto
che ad apprendere strategie adeguate per aiutare se stesso.
Un altro presupposto su cui si basa la CBT è la capacità del paziente di imparare tempestivamente a riconoscere, e riferire al terapeuta, i pensieri e le emozioni. Tuttavia, chi presenta tratti patologici di personalità, tende ad avere una scarsa
capacità di accedere alle proprie emozioni e ai propri pensieri e perciò difficilmente riesce ad osservarli e ad annotarli, soprattutto nelle prime fasi della terapia.
Molti di questi pazienti, infatti, operano inconsapevolmente un evitamento emotivo e cognitivo, rifuggendo dai pensieri, dai ricordi, dalle immagini sgradevoli,
Schema Therapy
dalle sensazioni negative e risultano, di conseguenza, incapaci di un qualsiasi tipo
di autoanalisi. In questi soggetti, l’evitamento si instaura tendenzialmente come
un meccanismo di difesa che tende a consolidarsi nel tempo, poiché funzionale
alla riduzione delle sensazioni negative. In presenza di stimoli associati a ricordi
dell’infanzia, si possono scatenare alcune emozioni sgradevoli, quali l’ansia o la
depressione, portando l’individuo ad evitare questi stimoli, al fine di sottrarsi al
disagio, e favorendo l’instaurarsi di un automatismo di evitamento estremamente
difficile da modificare.
La CBT presuppone, inoltre, che il paziente sia in grado di modificare i comportamenti disfunzionali e i pensieri negativi attraverso l’applicazione di tecniche
quali l’ABC, la ristrutturazione cognitiva, l’esposizione alle situazioni temute e
così via; nel caso di pazienti con tratti patologici di personalità, raramente questo
è possibile. L’esperienza ci ha dimostrato con chiarezza quanto sia difficile ristrutturare i pensieri distorti e gli atteggiamenti disfunzionali in soggetti con tratti
patologici di personalità utilizzando la sola CBT. Spesso, infatti, anche dopo mesi
di lavoro, non si nota alcun miglioramento significativo.
In questi casi, la terapia cognitivo-comportamentale è, come abbiamo detto,
di gran lunga meno efficace e necessita di tempi più lunghi per dare risultati significativi anche a causa della rigidità mentale che contraddistingue tutti i disturbi di
personalità (American Psychiatric Association, 1994, pag. 633). Dobbiamo considerare, inoltre, che i pazienti con questi disturbi, presentando tratti patologici
egosintonici, sono pessimisti circa le possibilità di trattamento e considerano i
meccanismi disfunzionali di cui si avvalgono una parte così importante della propria identità personale da non riuscire a prendere in considerazione un eventuale
cambiamento. Il tentativo di smuoverli dalle loro posizioni, spesso, si traduce in
un attaccamento rigido, automatico e talvolta aggressivo alla consueta visione che
hanno di se stessi e del mondo che li circonda.
Un altro fattore da prendere in considerazione è la relazione terapeutica: nella
CBT il rapporto terapeuta-paziente non è considerato un “elemento attivo” del
percorso di trattamento. L’assunto di base è che, essendo il paziente collaborativo
e motivato, si possa sviluppare in poche sedute una buona intesa e che la relazione, di conseguenza, non costituisca uno degli obiettivi primari della terapia, ma
piuttosto un obiettivo secondario, da perseguire esclusivamente per supportare
il paziente nel superamento degli ostacoli che può incontrare nel percorso terapeutico. Questo presupposto può costituire un grosso limite nel trattamento
dei pazienti gravi, poiché essi presentano un altro elemento distintivo di tutti i
disturbi di personalità, ovvero una difficoltà cronica nelle relazioni interpersonali (Millon, 1981), che gli impedisce di instaurare legami stabili, tanto nella vita
privata quanto nella terapia. Alcuni pazienti, come ad esempio quelli affetti da
disturbo borderline o dipendente di personalità, sono così presi dal far sì che il terapeuta soddisfi i loro bisogni emotivi, da perdere di vista le problematiche vere e
proprie da affrontare nel trattamento; altri ancora, come quelli affetti da disturbo
Schema Therapy: il modello teorico
narcisistico, paranoide, schizoide o ossessivo-compulsivo di personalità, tendono
ad essere così distaccati o ostili da non riuscire a collaborare con il terapeuta. Per
questo motivo, l’analisi approfondita della relazione terapeutica è un elemento
estremamente importante, sia per la valutazione del caso che per il trattamento
di questi disturbi.
In conclusione, la CBT è stata concepita per trattare quei casi che presentano
una sintomatologia facilmente identificabile. Non è possibile, dunque, impostare
una terapia di questo tipo per i pazienti che presentano aspetti di personalità patologici, poiché, come già detto, essi presentano problemi vaghi e cronici: sono
sempre insoddisfatti, non riescono a vivere relazioni di coppia durature, la realizzazione in campo professionale è difficoltosa e sono dominati da un gran senso
di vuoto. Tutti questi aspetti esistenziali non solo sono difficili da decodificare,
ma anche da affrontare con la sola CBT.
Più avanti cercheremo di spiegare come i diversi schemi identificabili nei pazienti con tratti patologici di personalità possano ostacolare il buon esito della
terapia cognitivo-comportamentale.
LO SVILUPPO DELLA SCHEMA THERAPY
Per tutte le ragioni che abbiamo fin qui analizzato, Young (1990, 1999) ha
sviluppato la Schema Therapy con l’obiettivo principale di allargare i confini della
CBT tradizionale, integrando tecniche di diverse scuole, al fine di ottenere un
modello terapeutico efficace nel trattamento dei disturbi di personalità. Rispetto
alla CBT, la Schema Therapy – che, a seconda dei casi, può essere di breve, media
o lunga durata – dà molta più importanza all’analisi delle diverse fasi dello sviluppo del disturbo (a partire dall’infanzia o dall’adolescenza), alla sfera emotiva, alla
relazione terapeutica e alle modalità di coping disfunzionali.
Nel trattamento di molti disturbi di Asse I e II che hanno origine da tratti
patologici di personalità, la Schema Therapy può essere molto efficace una volta
che è stata ridotta la sintomatologia acuta. Questo tipo di terapia, infatti, è finalizzato al trattamento di quegli aspetti patologici di personalità che sottostanno
al disturbo o lo mantengono attivo, anziché dei sintomi psichiatrici acuti (come
la depressione maggiore o gli attacchi di panico ricorrenti); per questo motivo, è
spesso affiancata ad altri tipi di intervento, come la CBT standard e il trattamento
farmacologico. La Schema Therapy si è dimostrata efficace nel trattamento dei
problemi cronici di ansia e depressione, dei disturbi alimentari, delle problematiche di coppia e delle difficoltà relazionali, oltre che nel percorso di riabilitazione
dei criminali e nella prevenzione della ricaduta nei tossicodipendenti.
Come discuteremo in dettaglio nel prossimo paragrafo, questo nuovo approccio terapeutico è centrato sull’individuazione e la modificazione di alcuni aspetti
psicologici profondi, detti “schemi maladattivi precoci” (SMP), tipici dei soggetti
che presentano tratti patologici di personalità. Il terapeuta che applica la Schema
Therapy tenta di ricostruire lo sviluppo di questi schemi dalla prima infanzia al
Schema Therapy
presente, dedicando particolare attenzione, nella loro analisi e comprensione, alle
relazioni interpersonali del paziente. Utilizzando il modello, il paziente riesce a
rendere egodistonici i propri tratti di personalità disfunzionali e, di conseguenza, è
facilitato nel modificarli. Il terapeuta lo aiuta a modificare i propri schemi patogeni,
attraverso l’utilizzo di strategie cognitive, emotive, comportamentali e interpersonali. Quando il paziente mette in atto i meccanismi disfunzionali tipici dello schema maladattivo precoce, il terapeuta, in modo empatico, gli ricorda i vantaggi che
otterrebbe dal cambiamento e, svolgendo una funzione di parziale reparenting,
cerca di colmare, in parte, le carenze che il paziente ha subito durante l’infanzia.
GLI SCHEMI MALADATTIVI PRECOCI (SMP)
Genesi del concetto di schema
Analizziamo, adesso, i concetti di base della Schema Therapy, partendo dalla
storia e dallo sviluppo del termine “schema”. Esso rientra nel lessico di diverse
discipline. Nel linguaggio comune, uno schema equivale ad una struttura, ad un
modello, ad un profilo. Nella filosofia dell’antica Grecia, gli Stoici, in particolare Crisippo (ca. 279-206 a.C.), presentavano i principi di logica sotto forma di
“schemi inferenziali” (Nussbaum, 1994). Nella filosofia di Kant, lo schema era
una rappresentazione di ciò che è comune a tutti i membri di una classe sociale.
Il concetto di schema viene utilizzato anche nella teoria degli insiemi, nell’algebra, nelle scienze dell’educazione, nell’analisi letteraria, nella programmazione
informatica e in molti altri settori. Esso ha un significato particolarmente importante in psicologia, e in particolare nell’ambito dello sviluppo cognitivo, dove lo
schema rappresenta la struttura che l’individuo utilizza per interpretare la realtà
e le esperienze vissute e di cui si avvale per trovare delle spiegazioni, per filtrare
le percezioni e per guidare le proprie reazioni. Uno schema è dunque una rappresentazione astratta delle caratteristiche di un evento, una sorta di traccia dei
suoi elementi più rilevanti.
In psicologia il concetto di schema è comunemente associato al lavoro di
Piaget, che ha descritto dettagliatamente gli schemi che caratterizzano le diverse
fasi dello sviluppo cognitivo infantile. In ambito cognitivista, uno schema viene
definito anche come un piano cognitivo astratto teso all’interpretazione delle informazioni e alla risoluzione dei problemi. Si può pensare, ad esempio, ad uno
schema linguistico o ad uno schema culturale come strumenti psicologici da utilizzare, rispettivamente, per interpretare una frase o un mito. Nello sviluppo della
terapia cognitiva, Beck (1967) ha utilizzato il concetto di schema fin dall’inizio,
come testimoniano i suoi primi scritti. Ad ogni modo, nell’ambito della psicologia
e della psicoterapia, di solito si tende a definire schema un qualunque principio
organizzativo tramite il quale l’individuo può interpretare le esperienze vissute. In
base a tale definizione, uno schema può essere sia positivo che negativo, funzionale all’adattamento o meno, e può avere origine sia nell’infanzia che in età adulta.
Schema Therapy: il modello teorico
È noto, in ambito psicoterapeutico, come gli schemi, che solitamente si formano
durante l’infanzia, tendano a riattivarsi e a ripresentarsi durante le esperienze vissute in età adulta, anche quando non risultano più adeguati. Questo fenomeno,
dovuto a un bisogno di “coerenza cognitiva”, ha la funzione di mantenere una
certa stabilità nella visione di se stessi e del mondo, anche quando questa visione
risulta inappropriata o distorta.
La definizione di schema secondo Young
Secondo Young (1990, 1999), alcuni schemi – in particolare quelli che si sviluppano in seguito ad un’esperienza negativa vissuta nell’infanzia – potrebbero
essere all’origine dei tratti di personalità patologica o dei veri e propri disturbi di
personalità, nonché di molte patologie croniche di Asse I. Per sviluppare questa
teoria, Young ha individuato un gruppo di schemi che ha denominato schemi
maladattivi precoci (SMP).
Secondo la definizione di Young un SMP è:
•
•
•
•
•
•
un concetto o modello omnicomprensivo;
formato da ricordi, emozioni, pensieri e sensazioni somatiche;
utilizzato per comprendere se stessi e il rapporto con gli altri;
sviluppato nell’infanzia o nell’adolescenza;
presente in tutte le fasi della vita;
evidentemente poco funzionale.
In sintesi, un SMP è una struttura emotiva e cognitiva disfunzionale, che si
consolida nelle prime fasi dello sviluppo e si mantiene per tutta la vita. È importante notare come, secondo questa definizione, il comportamento di un individuo
non faccia parte dello schema. Young considera, infatti, i comportamenti maladattivi delle risposte ad uno schema; essi, quindi, sono innescati dagli schemi ma non
ne fanno parte.
LE CARATTERISTICHE DEGLI SCHEMI
MALADATTIVI PRECOCI
Esaminiamo, adesso, alcune delle principali caratteristiche degli schemi (d’ora
in avanti utilizzeremo i termini “schema” e “schema maladattivo precoce” come
sinonimi). Prendiamo, ad esempio, il caso di un paziente che presenta uno dei
quattro schemi più ostinati e devastanti tra i diciotto elencati nella tabella 1.1
(pag.14): Abbandono/Instabilità; Sfiducia/Abuso; Deprivazione emotiva; Inadeguatezza/Vergogna. Se da bambino il paziente ha subito un abbandono o un abuso, è stato trascurato o rifiutato, in età adulta il suo schema maladattivo si attiverà
di fronte a situazioni che ritiene inconsciamente simili alle esperienze traumatiche
vissute nell’infanzia e proverà una forte emozione negativa, che può essere di
dolore, di vergogna, di paura o di rabbia.
Schema Therapy
Non tutti gli schemi hanno origine da un trauma o da un maltrattamento subito da bambini, ma la maggior parte di essi sono causati da esperienze nocive che
si protraggono per tutta l’infanzia e l’adolescenza. Un individuo, ad esempio, può
sviluppare uno schema di Dipendenza/Incapacità senza aver vissuto da bambino
alcun evento traumatico, ma, al contrario, essendo cresciuto in una famiglia iperprotettiva o in un ambiente estremamente rassicurante.
Gli schemi maladattivi precoci sono resistenti al cambiamento; questo, come
abbiamo già detto, è dovuto al bisogno di coerenza insito nell’essere umano: essi
sono, infatti, un qualcosa di ben conosciuto dal soggetto e, pur essendo fonte
di sofferenza, risultano sicuri e familiari. Le persone tendono ad essere attratte
proprio dalle situazioni che attivano gli SMP e questo è uno dei motivi per cui
è così difficile modificarli. I pazienti, inoltre, considerano gli schemi delle verità
assolute e, di conseguenza, continuano ad utilizzarli nel tempo per interpretare gli
eventi. Gli schemi giocano, dunque, un ruolo fondamentale nel modo di pensare,
di sentire, di relazionarsi con gli altri e di agire del paziente e, paradossalmente, lo
inducono a ricreare senza volere, in età adulta, lo stesso tipo di situazioni che lo
hanno ferito maggiormente da bambino.
Gli SMP si originano nell’infanzia o nell’adolescenza come rappresentazioni
realmente fondate dell’ambiente nel quale si è vissuti. La nostra esperienza ci ha
dimostrato, infatti, come gli schemi riflettano abbastanza fedelmente l’atmosfera
in cui ha vissuto l’individuo che li presenta. Ad esempio, quando un paziente
descrive i propri genitori come freddi e poco affettuosi, ha generalmente ragione,
anche se probabilmente non comprende perché la sua famiglia avesse tali difficoltà
a dimostrargli affetto o ad esprimere i propri sentimenti. Le spiegazioni che attribuisce al loro comportamento tendono ad essere sbagliate, ma la percezione
dell’emotività e dell’atteggiamento della famiglia nei suoi confronti risulta quasi
sempre realistica.
La natura invalidante degli schemi, solitamente, si fa notare in età adulta, quando il paziente inizia a manifestarli nei rapporti interpersonali, pur non essendo
in grado di averne una reale consapevolezza. Gli schemi maladattivi precoci e le
relative modalità di risposta, infatti, sono spesso all’origine di alcuni problemi
cronici di Asse I, come ad esempio l’ansia, la depressione, la tossicodipendenza e
i disturbi psicosomatici.
Gli SMP sono dimensionali, nel senso che possono essere più o meno gravi
e invalidanti, e la gravità di uno schema è direttamente proporzionale al numero
di situazioni capaci di attivarlo. Un individuo che è stato oggetto, fin da bambino,
di critiche aspre e ricorrenti da parte di entrambi i genitori, tenderà ad esperire lo
schema di Inadeguatezza ogni qual volta si troverà in contatto con altre persone;
colui che ha subito, a partire dall’adolescenza, critiche meno aspre, occasionali e
da parte di un solo genitore, tenderà a manifestare lo stesso schema, ma molto
più raramente e magari soltanto in presenza di figure autoritarie ed esigenti dello
stesso sesso del genitore criticante. La gravità di uno schema, inoltre, è propor-
Schema Therapy: il modello teorico
zionale all’intensità e alla durata della sensazione negativa che scatena quando
si attiva.
Come già accennato, gli schemi, in generale, possono essere sia positivi che
negativi e possono instaurarsi sia nell’infanzia che in età adulta; tuttavia il nostro obiettivo è quello di analizzare esclusivamente gli schemi maladattivi precoci, quindi non prenderemo in considerazione né gli schemi positivi né quelli
che si sviluppano in età adulta. Alcuni studiosi sostengono che ad ogni SMP ne
corrisponda uno adattivo (Elliot e Lassen, 1997); del resto, considerando le fasi
psicosociali di Erikson (1950), si potrebbe avanzare l’ipotesi che il superamento o
meno di una fase psicosociale si traduca, rispettivamente, in uno schema adattivo
o disadattivo. Tuttavia, l’attenzione di questo libro è rivolta ai pazienti affetti
da patologie croniche e non alle persone “sane”, per cui analizzeremo principalmente gli schemi disfunzionali che riteniamo essere all’origine dei disturbi di
personalità.
COME SI SVILUPPANO GLI SCHEMI
I bisogni primari
Il presupposto su cui ci basiamo è che gli schemi derivino dalla frustrazione,
durante l’infanzia, di almeno uno dei cinque bisogni primari dell’essere umano:
• legami stabili con gli altri (bisogno di protezione, stabilità, cura e accettazione);
• autonomia, senso di competenza e d’identità;
• libertà di esprimere i bisogni e le emozioni fondamentali;
• spontaneità e gioco;
• limiti realistici e autocontrollo.
Questi bisogni sembrano essere universali e comuni a tutti gli individui, sebbene in alcuni siano più marcati e in altri meno. Una persona in buona salute mentale è capace di trovare delle strategie funzionali al soddisfacimento dei propri
bisogni emotivi primari.
L’interazione tra il temperamento innato del bambino e l’ambiente in cui cresce
può portare alla frustrazione, piuttosto che alla soddisfazione, dei suoi bisogni primari.
Scopo della Schema Therapy e di tutte le modalità d’intervento relative è di aiutare il
paziente a trovare delle strategie funzionali al soddisfacimento di questi bisogni.
La presente lista è avvalorata da svariate teorie, nonché da osservazioni cliniche da noi condotte personalmente,
ma non è ancora stata sottoposta a test empirici; è nostro auspicio riuscire a condurre delle ricerche in tal senso, che
ci permettano di continuare ad aggiornare o modificare l’elenco dei bisogni primari. Anche l’elenco dei domini degli
schemi (vedi tabella 1.1. a pag. 14) rimane aperto ad eventuali modifiche, laddove esse si rendessero necessarie in
seguito ad evidenze empiriche e cliniche.
10
Schema Therapy
Le esperienze della prima infanzia
All’origine degli SMP possiamo quasi sempre associare delle esperienze negative vissute durante l’infanzia. In generale, le modalità con le quali un bambino
si approccia al mondo esterno coincidono con le dinamiche che ha vissuto nel
contesto familiare. Di solito, gli schemi maladattivi precoci si attivano quando il
soggetto si trova in situazioni che gli ricordano un evento traumatico vissuto in
ambito familiare, generalmente durante l’infanzia, per lo più nella relazione con
uno dei genitori. Altri fattori, quali le amicizie, l’ambiente scolastico, il gruppo dei
pari e i condizionamenti sociali, diventano sempre più importanti via via che il
bambino cresce e possono essere anch’essi responsabili dello sviluppo di alcuni
SMP; in linea di massima, tuttavia, questi schemi sono meno persistenti e meno
invalidanti (lo schema Esclusione sociale, ad esempio, tende ad instaurarsi negli
ultimi anni dell’infanzia o nell’adolescenza e non riflette necessariamente le esperienze familiari).
Abbiamo individuato quattro tipi di esperienze che favoriscono la formazione
degli schemi maladattivi precoci in età infantile. La prima è la frustrazione dei bisogni
primari, che porta allo sviluppo di schemi quali quello della Deprivazione emotiva
o dell’Abbandono; ciò accade quando il bambino soffre di una qualche carenza
emotiva, vive in una situazione d’instabilità, non trova l’adeguata comprensione o
non riceve abbastanza amore. La seconda consiste nel trauma o nel maltrattamento;
in questo caso, il bambino viene ferito emotivamente o maltrattato e sviluppa
schemi del tipo Sfiducia/Abuso, Inadeguatezza/Vergogna o Vulnerabilità. Una
terza situazione è quella in cui il bambino riceve troppe attenzioni e i genitori
riversano su di lui eccessive manifestazioni di affetto e di stima o elevate aspettative, atteggiamenti che, in giusta misura, sarebbero positivi. Difficilmente schemi
come quelli di Dipendenza/Incompetenza o Pretese/Grandiosità scaturiscono
da episodi di maltrattamento; è più facile che il bambino sia stato troppo coccolato o viziato e che i suoi bisogni primari connessi allo sviluppo di autonomia e
di limiti realistici siano rimasti insoddisfatti, così come è probabile che i genitori
siano stati troppo presenti nella sua vita, che lo abbiano protetto troppo o, al
contrario, che gli abbiano dato troppa libertà e autonomia.
Il quarto tipo di esperienza che favorisce l’instaurarsi degli SMP è la cosiddetta interiorizzazione dell’altro significativo o, in altre parole, l’identificazione con
un familiare. Il bambino sceglie il genitore con cui identificarsi e ne introietta i
pensieri, le emozioni, le esperienze e i comportamenti. Consideriamo, ad esempio, i casi di Ruth e Kevin, due pazienti che avevano subito violenza durante
l’infanzia. Da bambina, Ruth aveva assunto il ruolo della vittima quando il padre
la picchiava; invece di reagire, era sempre rimasta passiva e sottomessa, subendo
il comportamento violento del padre senza identificarsi con lui; aveva sperimentato i sentimenti della vittima, senza interiorizzare quelli dell’abusatore. Kevin,
invece, si era sempre ribellato alle violenze del padre, identificandosi con lui,
interiorizzando i suoi pensieri, le sue emozioni e i suoi comportamenti violenti e
Schema Therapy: il modello teorico
11
diventando a sua volta violento (i casi descritti si riferiscono a situazioni estreme,
dato che, in realtà, i bambini tendono sia a sentirsi vittime che a interiorizzare
alcuni dei pensieri, delle emozioni e dei comportamenti dell’adulto dal quale
subiscono violenza).
Immaginiamo due pazienti che hanno avuto dei genitori poco affettuosi e che,
da bambini, sentendosi soli e poco amati hanno sviluppando lo schema Deprivazione emotiva. Dovremmo per forza supporre che entrambi siano diventati adulti
poco affettuosi? Non necessariamente! Un bambino che ha sofferto della mancanza di affetto non è inevitabilmente destinato a diventare a sua volta una persona poco affettuosa. Come vedremo nel capitolo dedicato alle modalità di risposta
agli schemi, questi bambini, nel crescere, potrebbero reagire alla loro deprivazione emotiva diventando premurosi o, al contrario, esigenti e dispotici, invece
di interiorizzare gli atteggiamenti freddi dei loro genitori. Il nostro modello non
presuppone né una necessaria identificazione con i genitori, né un’indiscriminata interiorizzazione dei loro comportamenti da parte del bambino; l’esperienza
clinica ci insegna come il bambino “selezioni” la persona con cui identificarsi e
gli aspetti da interiorizzare, sviluppando i propri schemi e le relative modalità di
risposta.
Anche il temperamento di un individuo determina la propensione ad identificarsi o meno con una delle persone amate e ad interiorizzarne le caratteristiche. Un bambino con temperamento distimico, ad esempio, difficilmente si
identificherà con l’ottimismo del genitore di fronte ad un evento sfortunato,
poiché questo atteggiamento è totalmente contrario alla sua predisposizione
naturale.
Il temperamento
Lo sviluppo di uno schema in un bambino non è determinato esclusivamente dall’ambiente nel quale trascorre i primi anni dell’infanzia; il suo temperamento di base, innanzitutto, può giocare un ruolo fondamentale. Come
ben sanno tutti i genitori, ogni bambino è dotato di una “personalità” o di un
temperamento unico e ben distinto fin dalla nascita: può essere più o meno
nervoso, più o meno timido, più o meno aggressivo e cosi via. L’importanza
dei fattori biologici nello sviluppo della personalità è documentata da un gran
numero di ricerche. Kagan e colleghi (Kagan, Reznick e Snidman, 1988), ad
esempio, hanno ampiamente studiato i tratti distintivi del temperamento nei
primissimi mesi di vita, rilevando come essi siano notevolmente stabili nel corso di tutta l’esistenza di un individuo. Di seguito riportiamo alcuni aspetti del
temperamento che sembrano essere innati e che la psicoterapia, da sola, difficilmente riesce a modificare:
• emotività/mancanza di emotività;
• pessimismo/ottimismo;
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Schema Therapy
•
•
•
•
•
ansia/calma;
ossessività/superficialità;
passività/aggressività;
irritabilità/pacatezza;
introversione/estroversione.
Potremmo rappresentare il temperamento su un grafico in cui venga riportato come si colloca l’individuo riguardo ad ognuna delle suddette dimensioni,
ottenendo sempre grafici diversi e irripetibili. Possiamo ipotizzare che gli SMP
scaturiscano dall’interazione tra il temperamento del bambino e le esperienze
negative vissute.
A seconda del suo temperamento di base, inoltre, un bambino potrà essere più
esposto di un altro a determinate situazioni. Ad esempio, è più probabile che sia
un bambino aggressivo a suscitare la rabbia di un genitore violento, piuttosto che
un bambino calmo e mansueto. Il temperamento può determinare anche il grado
di sensibilità di un bambino di fronte a determinati avvenimenti: due bambini che
sono stati trattati dai genitori allo stesso modo, infatti, possono reagire molto diversamente l’uno dall’altro. Se consideriamo, ad esempio, una madre che ha avuto
un atteggiamento rifiutante nei confronti dei figli, possiamo notare come quello
dal temperamento introverso conduca una vita ritirata e, man mano che cresce,
dipenda sempre più dalla mamma, mentre quello dal temperamento estroverso
sia più intraprendente e vada alla ricerca di altre persone con cui stabilire rapporti
più gratificanti. La capacità di socializzare si è più volte dimostrata una risorsa
importante per quei bambini che crescono senza problemi pur essendo stati trascurati o maltrattati dai genitori.
In alcuni casi, è il contesto familiare particolarmente favorevole o, al contrario,
avverso ad influenzare il temperamento. Un ambiente domestico rassicurante e
pieno d’affetto può rendere anche un bambino timido relativamente socievole in
molte situazioni; al contrario, un bambino socievole che viene continuamente rifiutato può, a sua volta, diventare riservato. Per gli stessi motivi, un bambino con
un temperamento particolarmente difficile può sviluppare una psicopatologia pur
crescendo in un contesto familiare normale.
CLASSIFICAZIONE DEGLI SCHEMI
MALADATTIVI PRECOCI
Nel modello a cui si fa riferimento, sono stati individuati diciotto schemi, classificati in cinque categorie, chiamate “domini degli schemi”, per indicare i bisogni
frustrati che sottostanno allo schema. Nella tabella 1.1, le cinque categorie sono
riportate in corsivo al centro della pagina (ad esempio, Distacco e rifiuto) mentre
i diciotto schemi sono numerati e allineati sul margine sinistro della pagina (ad
esempio, “1. Abbandono/Instabilità”).
Schema Therapy: il modello teorico
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Dominio I: Distacco e rifiuto
I pazienti che presentano gli schemi di questa categoria sono incapaci di stabilire delle relazioni sicure ed appaganti, perché sono convinti che il loro bisogno di stabilità, sicurezza, cura, amore e accettazione non sarà mai soddisfatto.
Solitamente, in questi casi, la famiglia di origine è una famiglia instabile (Abbandono/Instabilità), violenta (Sfiducia/Abuso), poco affettuosa (Deprivazione
emotiva), troppo esigente (Inadeguatezza/Vergogna) o isolata dal mondo esterno
(Esclusione sociale/Alienazione). Da questo dominio, e specialmente dai primi
quattro SMP, si originano alcune tra le più gravi patologie relazionali, in quanto la
maggior parte delle persone con questi schemi ha subito un trauma nell’infanzia
e tende a passare da un relazione disastrosa all’altra o ad evitare qualsiasi tipo di
legame importante. Il rapporto terapeuta-paziente è, in questi casi, uno strumento terapeutico estremamente importante.
Abbandono/Instabilità: questi soggetti hanno la sensazione che i legami affettivi fondamentali siano instabili; pensano che l’altro li abbandonerà o li sostituirà
con qualcuno migliore di loro; valutano l’altro come inaffidabile da un punto
di vista affettivo o troppo poco presente; considerano tutte le relazioni come
destinate a morire.
Sfiducia/Abuso: questi soggetti hanno la convinzione che gli altri vogliano approfittarsi di loro; hanno paura di subire delle violenze, una forte delusione o
un’umiliazione; temono che l’altro dica loro delle bugie, che li inganni o che li
manipoli.
Deprivazione emotiva: questi soggetti ritengono di non riuscire ad avere dei legami soddisfacenti da un punto di vista emotivo. Ne esistono tre forme: (1) dovuta
a carenza di cure (mancanza di affetto o attenzione); (2) dovuta a carenza di empatia (mancanza di ascolto e comprensione); (3) dovuta a carenza di protezione
(mancanza di persone forti o capaci di fungere da guida).
Inadeguatezza/Vergogna: questi soggetti hanno la sensazione di essere inadeguati, sbagliati, inferiori o immeritevoli e di non piacere agli altri. Di solito, si
vergognano dei difetti che sono convinti di avere, nascosti (ad esempio, egoismo,
impulsi aggressivi, desideri sessuali inaccettabili) o manifesti (ad esempio, aspetto
fisico poco attraente o difficoltà nel socializzare) che siano.
Esclusione sociale/Alienazione: al di fuori del contesto familiare, questi soggetti
si sentono diversi o incompatibili con gli altri e, generalmente, non trovano alcun
gruppo o comunità di cui sentirsi parte.
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Schema Therapy
TABELLA 1.1. Schemi maladattivi precoci e rispettivi domini
Distacco e rifiuto
Chi presenta uno o più schemi in questo dominio è convinto che probabilmente i propri bisogni
di sicurezza, stabilità, cura, empatia, condivisione delle emozioni, accettazione e rispetto non
saranno soddisfatti. La tipica famiglia di origine di questi soggetti è distaccata, fredda, rifiutante,
iperprotettiva, poco socievole, instabile, imprevedibile o abusante.
1. Abbandono/Instabilità
Questo schema comporta una percezione di instabilità o inaffidabilità nelle persone significative. Chi presenta questo schema ha la sensazione che esse non continueranno a fornire nel
tempo il loro sostegno emotivo, il loro affetto, la loro forza o la loro protezione perché sono
emotivamente instabili e imprevedibili (ad esempio a causa delle loro esplosioni di rabbia), inaffidabili o troppo poco presenti, perché potrebbero morire da un momento all’altro o perché
potrebbero decidere di abbandonarli per qualcun altro.
2. Sfiducia/Abuso
Chi presenta questo schema ha la convinzione che gli altri abuseranno o si approfitteranno
di lui, lo feriranno, lo umilieranno, lo raggireranno, lo manipoleranno, oppure che gli mentiranno. Generalmente il soggetto crede che il dolore o il danno causato dagli altri sia intenzionale o
che scaturisca da una loro ingiustificata ed eccessiva negligenza. La persona si può sentire destinata ad essere ferita dagli altri o può credere di essere sempre l’unica a rimetterci.
3. Deprivazione emotiva
Questo schema comporta la sensazione che i propri bisogni emotivi non verranno adeguatamente soddisfatti nelle relazioni con gli altri. Le tre principali forme di deprivazione sono:
• carenza di cure (mancanza di affetto, attenzione, calore o compagnia);
• carenza di empatia (mancanza di ascolto, comprensione, intimità e possibilità di
confidarsi e condividere i propri sentimenti con gli altri);
• carenza di protezione (mancanza di persone forti, capaci di dare consigli o fungere da guida).
4. Inadeguatezza/Vergogna
Chi presenta questo schema ha la sensazione di essere inadeguato, sbagliato, poco desiderato,
inferiore o carente in alcuni ambiti fondamentali della propria vita ed è convinto che le persone
significative non lo amerebbero più se si mostrasse loro per quello che è veramente. Tende ad essere
particolarmente sensibile alle critiche, ai rifiuti o ai rimproveri; è troppo attento a ciò che dice e a ciò
che fa, si paragona agli altri e si sente insicuro nelle situazioni sociali; si vergogna di quelli che considera i propri difetti, nascosti (ad esempio, egoismo, impulsi aggressivi o desideri sessuali inaccettabili) o manifesti (ad esempio, aspetto fisico poco attraente o difficoltà nel socializzare) che siano.
(segue)
Schema Therapy: il modello teorico
15
TAB: 1.1. (Continua)
5. Esclusione sociale/Alienazione
Questo schema induce il soggetto a sentirsi escluso dal resto del mondo, a percepirsi diverso
dagli altri, e gli impedisce di sentirsi parte di qualsiasi gruppo o comunità.
Mancanza di autonomia e abilità
Le persone con uno o più schemi in questo dominio hanno delle aspettative nei confronti di se
stesse e del mondo che interferiscono con la loro capacità di differenziarsi dalle figure genitoriali,
di vivere senza l’aiuto degli altri e di crearsi una vita indipendente o acquisire determinate abilità.
Generalmente questi soggetti crescono in famiglie invischiate o iperprotettive, hanno genitori che
hanno minato la loro fiducia in se stessi o che non sono riusciti a fornire loro stimoli a sufficienza
per acquisire le abilità necessarie per agire e vivere adeguatamente al di fuori del contesto familiare.
6. Dipendenza/Incompetenza
Chi presenta questo schema si considera incapace di gestire adeguatamente le responsabilità
della vita quotidiana senza un aiuto considerevole da parte degli altri (è convinto, ad esempio, di
non essere in grado di occuparsi di se stesso, di risolvere i problemi di tutti i giorni, di agire con
buon senso, di affrontare nuovi compiti o di prendere decisioni adeguate). Spesso lo schema è
accompagnato da una sensazione di impotenza.
7. Vulnerabilità al pericolo o alle malattie
Questo schema provoca nel soggetto il timore esagerato che possa accadere da un momento
all’altro qualcosa di catastrofico e la convinzione di non poter fare niente per impedirlo. Le paure
sono generalmente incentrate sulle seguenti tipologie di catastrofi: mediche (infarto, Aids); emotive (perdita della ragione); esterne (guasti all’ascensore, aggressioni, disastri aerei, terremoti, ecc.).
8. Invischiamento/Sé poco sviluppato
Chi presenta questo schema è eccessivamente coinvolto in una o più relazioni con le persone significative (solitamente con i genitori), tanto che non gli è stato possibile sviluppare una
piena identità o raggiungere un adeguato inserimento sociale. Spesso il soggetto è convinto di
non poter vivere o essere felice senza il continuo sostegno dell’altra persona, crede che essa non
possa vivere o essere felice senza di lui, o entrambe le cose. Lo schema, talvolta, genera una
sensazione di inscindibilità e immedesimazione con gli altri e la percezione di non avere un adeguato senso d’identità. Le persone con questo schema tendono, infine, a sviluppare sensazioni di
vuoto, a sentirsi disorientate e, in casi estremi, arrivano a dubitare della propria esistenza.
9. Fallimento
Lo schema comporta la sensazione di non essere in grado di raggiungere i propri obiettivi (scolastici, sportivi, professionali, ecc.) o di essere sostanzialmente inferiori ai propri pari nella capacità di
portarli a termine. Lo schema spesso genera la sensazione di essere poco intelligenti, inetti o privi
di talento, di appartenere ad una classe sociale inferiore o di essersi realizzati meno degli altri.
(segue)
16
Schema Therapy
Mancanza di regole
TAB: 1.1. (Continua)
Chi presenta uno o più schemi in questo dominio non ha sviluppato regole adeguate in ambito
relazionale e interpersonale o non riesce a perseguire obiettivi a lungo termine. Riscontra delle
difficoltà nel rispettare gli altri nei loro diritti fondamentali, nell’instaurare rapporti collaborativi,
nell’adempiere ai propri impegni o nell’impostare e raggiungere obiettivi personali realistici. La
tipica famiglia di origine ha ostacolato il figlio nell’assunzione delle proprie responsabilità, non gli
ha insegnato a collaborare in modo proficuo con le altre persone, né a definire i propri obiettivi,
perché, invece di confrontarsi con lui e definire una disciplina e delle regole adeguate, ha assunto
atteggiamenti troppo permissivi o indulgenti nei suoi confronti, è stata incapace di fornirgli un
adeguato orientamento o ha manifestato un atteggiamento di superiorità. Talvolta, i genitori non
hanno permesso al figlio di imparare a tollerare un normale livello di sopportazione del disagio o
non hanno esercitato a sufficienza le loro funzioni di controllo, orientamento e guida.
10. Pretese/Grandiosità
Chi presenta questo schema si sente superiore agli altri, si arroga particolari diritti e privilegi
e si ritiene esonerato dal rispettare le regole di reciprocità alla base dei rapporti sociali. Spesso il
soggetto è convinto di poter fare e ottenere tutto ciò che desidera, anche quando le sue richieste
o i suoi propositi sono irrealistici, irragionevoli o arrecano danno agli altri; in alcuni casi, si pone,
in modo esasperato, come unico obiettivo il raggiungimento di una condizione di superiorità
(aspira, ad esempio, a diventare una delle persone più ricche, più affermate o più famose), intesa come strumento per ottenere potere o controllo (piuttosto che l’attenzione o l’approvazione).
Spesso il suo atteggiamento è troppo competitivo nei confronti degli altri: cerca di dominarli,
di imporre loro il proprio punto di vista o di controllarne i comportamenti allo scopo di soddisfare i propri desideri, senza curarsi e mostrare alcuna empatia nei confronti delle esigenze e
dei desideri altrui.
11. Autocontrollo o autodisciplina insufficienti
Le persone con lo schema Autocontrollo o autodisciplina insufficienti non esercitano le capacità di autocontrollo e di gestione della frustrazione necessarie per raggiungere gli obiettivi personali e contenere le manifestazioni eccessive degli impulsi e delle emozioni. Quando lo schema è poco marcato, il
soggetto tende ad evitare qualsiasi forma di disagio: evita di affrontare situazioni dolorose, conflittuali
o di confronto con gli altri, oppure di assumersi responsabilità o compiti troppo gravosi; questo ha
evidenti ripercussioni sulle sue capacità di realizzarsi, adempiere agli impegni presi e mantenere una
propria integrità.
Eccessiva attenzione ai bisogni degli altri
Chi ha uno o più schemi in questo dominio mostra un’eccessiva attenzione ai desideri, ai sentimenti e alle reazioni degli altri, trascurando i propri bisogni allo scopo di conquistare l’amore e
l’approvazione degli altri, preservare le relazioni interpersonali o evitare che gli altri possano reagire negativamente. Il soggetto tende a reprimere le proprie sensazioni di rabbia e a non tenere
(segue)
Schema Therapy: il modello teorico
17
TAB: 1.1. (Continua)
in considerazione le proprie inclinazioni, oppure ne è del tutto inconsapevole. La tipica famiglia di origine è caratterizzata da un atteggiamento di accettazione condizionata, per cui il
bambino si sente obbligato a reprimere alcuni aspetti importanti della propria personalità per
conquistare l’amore, le attenzioni o l’approvazione degli adulti. In molti casi, i genitori prestano
maggiore attenzione ai propri desideri e ai propri bisogni emotivi - o alle apparenze e allo status
sociale - che ai sentimenti e alle esigenze soggettive del figlio.
12. Sottomissione
I soggetti con questo schema lasciano un’eccessiva capacità di controllo agli altri poiché si
sentono costretti a farlo e si sottomettono per evitare la rabbia, l’abbandono o una qualche reazione negativa da parte degli altri. Le due forme principali di sottomissione riguardano:
•
i bisogni: repressione delle preferenze, delle scelte e dei desideri;
•
le emozioni: repressione delle proprie reazioni emotive, in particolar modo della rabbia.
Generalmente il soggetto è convinto che i propri desideri, le proprie opinioni e i propri
sentimenti siano inopportuni o ininfluenti agli occhi degli altri; si mostra eccessivamente compiacente e subisce eccessivamente le pressioni che gli altri esercitano su di lui. Questo schema
solitamente scatena nel soggetto sensazioni di rabbia, che si manifestano attraverso sintomi
maladattivi (quali comportamenti passivo-aggressivi, scatti d’ira incontrollabili, sintomi psicosomatici, allontanamenti dalle persone care, episodi di “acting out” o abuso di sostanze).
13. Autosacrificio
Chi presenta questo schema rinuncia in maniera sistematica e volontaria alle gratificazioni
personali per soddisfare i bisogni degli altri. Le ragioni più comuni di un comportamento
del genere sono: risparmiare le sofferenze agli altri; evitare i sensi di colpa che potrebbero
scaturire dalla sensazione di essere egoisti; preservare le relazioni con le persone considerate
“bisognose”. Spesso lo schema si manifesta con una eccessiva sensibilità alle sofferenze altrui;
in alcuni casi, tuttavia, il soggetto sente che i propri bisogni non vengono adeguatamente
soddisfatti e, di conseguenza, sviluppa sensazioni di risentimento nei confronti delle persone
di cui si prende cura.
14. Ricerca di approvazione o riconoscimento
Questo schema si manifesta con una tendenza così accentuata a ricercare l’approvazione, il
riconoscimento, l’attenzione o l’accettazione degli altri da compromettere lo sviluppo di un senso d’identità stabile e autentico. I principali parametri utilizzati per misurare la propria autostima
sono le reazioni degli altri piuttosto che le proprie; talvolta, si denota un’eccessiva attenzione
alla condizione economica o sociale, all’aspetto esteriore, alla necessità di conformarsi ai canoni
della società e al raggiungimento del successo, intesi come mezzi per ottenere l’approvazione,
l’ammirazione o l’attenzione degli altri (piuttosto che per conquistare una posizione di controllo e
di potere su di loro). Spesso lo schema si traduce in scelte di vita poco autentiche e poco soddisfacenti e induce il soggetto ad avere reazioni esagerate ai rifiuti subiti.
(segue)
18
Schema Therapy
Ipercontrollo e inibizione
TAB: 1.1. (Continua)
Le persone i cui schemi rientrano in questo dominio reprimono talmente i propri sentimenti,
le proprie preferenze e i propri impulsi spontanei o sono così concentrate a soddisfare gli standard severi e le aspettative rigide di carattere etico o prestazionale che hanno interiorizzato, da
trascurare i piaceri dalla vita, l’espressione di sé, il riposo, le relazioni intime o la salute. La tipica
famiglia di origine è cupa, esigente, e, in alcuni casi, punitiva: le prestazioni, il dovere, il perfezionismo, il rispetto delle regole, la repressione delle emozioni e il tentativo di non commettere
errori hanno un ruolo prioritario sui piaceri e le gioie della vita, sul benessere e sul riposo
individuale. Generalmente lo schema induce il soggetto a vivere in una condizione di costante
pessimismo e nella continua preoccupazione che qualcosa di negativo possa accadere se non
rimane costantemente vigile e attento.
15. Negatività/Pessimismo
Chi presenta questo schema mostra un’attenzione costante ed eccessiva agli aspetti negativi
dell’esistenza (il dolore, la morte, la perdita, le delusioni, i conflitti, i sensi di colpa, il risentimento,
i tradimenti, le difficoltà o la possibilità di commettere errori o vivere eventi negativi), mentre tende a sottovalutarne o a negarne gli aspetti positivi e ottimistici. Solitamente il soggetto manifesta
un eccessivo timore che qualcosa di terribile possa accadere - in ambito lavorativo, economico o
interpersonale - o che gli aspetti della propria vita che al momento sembrano stabili finiranno con
l’avere un’evoluzione del tutto negativa. Lo schema generalmente promuove nel soggetto una paura
ingiustificata di commettere errori che lo porteranno a cadere in disgrazia, a subire delle perdite o
delle umiliazioni o a rimanere coinvolto in brutte situazioni. Esagerando le probabilità che qualcosa
vada storto, chi presenta questo schema è costantemente preoccupato e vigile, tende a lamentarsi e
non riesce a prendere delle decisioni.
16. Inibizione emotiva
Le persone con questo schema reprimono in modo eccessivo il loro spontaneo modo di
agire, sentire e comunicare; tendenzialmente si comportano così per evitare le critiche degli altri,
i sentimenti di vergogna o eventuali perdite di controllo sui propri impulsi. Le quattro principali
forme di inibizione sono: (1) l’inibizione della rabbia e dell’aggressività; (2) l’inibizione degli
impulsi positivi (gioia, affettività, eccitazione sessuale, divertimento); (3) la difficoltà ad esprimere
la propria vulnerabilità o a parlare liberamente dei propri sentimenti e dei propri bisogni; (4) l’esaltazione della razionalità a discapito delle emozioni.
17. Standard severi/Ipercriticismo
Lo schema si fonda sulla convinzione di dover soddisfare a tutti i costi gli standard severi di
carattere etico e prestazionale che si sono interiorizzati, allo scopo di evitare le critiche degli altri.
Chi presenta questo schema si sente generalmente sotto pressione, non riesce a concedersi un
adeguato riposo e diviene eccessivamente critico nei confronti di se stesso e degli altri. Per poter
essere considerato maladattivo, lo schema deve comportare una compromissione significativa
(segue)
Schema Therapy: il modello teorico
19
TAB: 1.1. (Continua)
della capacità dell’individuo di trarre piacere dalla vita, di rilassarsi, di sviluppare una buona
autostima, di mantenere un buono stato di salute, di sentirsi realizzato o di instaurare relazioni
interpersonali soddisfacenti.
Lo schema generalmente si traduce in una tendenza: (1) al perfezionismo, inteso come un’eccessiva attenzione ai dettagli o alla sottostima delle proprie prestazioni nel confronto con gli altri;
(2) alla definizione di regole rigide e “doveri” in molti ambiti esistenziali, che riguardano, tra le
altre, la sfera morale, culturale e religiosa; (3) a sviluppare un’eccessiva preoccupazione rispetto
al tempo e all’efficienza, che induce la sensazione di non fare mai abbastanza.
18. Punizione
Chi presenta questo schema è convinto che chi sbaglia debba essere severamente punito. Il
soggetto tende ad arrabbiarsi, ad essere poco tollerante, a punire o ad avere poca pazienza con
chi (incluso se stesso) non soddisfa i suoi standard o non si mostra all’altezza delle sue aspettative. Lo schema induce ad avere notevoli difficoltà nel perdonare i propri errori e quelli degli altri,
in quanto promuove una certa riluttanza a prendere in esame i fattori attenuanti, ad accettare
l’imperfezione insita nell’essere umano e ad empatizzare con gli altri.
© Copyright 2002 - Jeffrey Young. È vietata ogni riproduzione non espressamente autorizzata. Per informazioni contattare
lo Schema Therapy Institute, 36 West 44th Street, Suite 1007, New York, NY 10036.
Dominio II: Mancanza di autonomia e abilità
Per autonomia si intende la capacità di una persona di distaccarsi dalla famiglia d’origine e di crearsi una vita più o meno indipendente, in relazione all’età. I
pazienti che presentano schemi appartenenti a questa categoria hanno delle aspettative nei confronti di se stessi e del mondo che interferiscono con la capacità di
differenziarsi dalle figure genitoriali e di crearsi una vita indipendente. Si tratta di
soggetti che, durante l’infanzia, sono stati iperprotetti e che hanno avuto una famiglia d’origine che interveniva in ogni situazione sostituendosi a loro. In alcuni casi,
ma molto più raramente, gli schemi appartenenti a questa categoria si riscontrano
in soggetti che hanno vissuto l’esperienza opposta, di una famiglia che li trascurava e si curava di loro a malapena, abbandonandoli a se stessi durante la crescita.
Entrambe le situazioni, infatti, estreme per un verso o per l’altro, favoriscono problematiche nell’ambito dell’autonomia. Spesso i genitori di queste persone sono
state, nel passato, una vera e propria minaccia per la loro autostima e non sono
stati capaci di fornire stimoli a sufficienza da consentire loro di vivere ed agire
adeguatamente all’esterno dell’ambiente familiare. Di conseguenza, questi soggetti
risultano incapaci di crearsi un’identità e una vita indipendente; non riescono a
porsi degli obiettivi né ad acquisire le attitudini necessarie al loro conseguimento.
In relazione alla capacità di rapportarsi adeguatamente al mondo che li circonda e
alle abilità che presentano in età adulta, essi rimangono, in effetti, dei bambini.
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Schema Therapy
I soggetti che presentano lo schema Dipendenza/Incompetenza si sentono incapaci di affrontare le responsabilità quotidiane senza un aiuto decisivo da parte
degli altri. Tendono a sentirsi inadeguati nel gestire il denaro, si ritengono incapaci
di risolvere i problemi pratici, di fare delle valutazioni appropriate, di assumersi
impegni o di prendere delle decisioni sensate. Lo schema, di solito, si traduce in
una passività generale o in un’eccessiva dipendenza.
Lo schema Vulnerabilità al pericolo o alle malattie consiste nel timore esagerato
che possa accadere da un momento all’altro qualcosa di catastrofico e nella convinzione di non essere in grado di gestire la situazione. Le paure possono essere
incentrate sulle seguenti tipologie di catastrofi: 1) mediche (infarto, malattie come
l’Aids, ecc.); 2) emotive (perdita della ragione o del controllo, ecc.); 3) esterne
(incidenti, atti criminosi, catastrofi naturali, ecc.).
I soggetti che presentano lo schema Invischiamento/Sé poco sviluppato sono così
coinvolti in una o più relazioni affettive con le persone care (prevalentemente con i
genitori) da non riuscire a sviluppare una piena identità ed a raggiungere un adeguato
inserimento sociale. Chi ha questo schema ritiene di non poter vivere senza l’altra
persona, che l’altra persona non possa vivere senza di lui, o entrambe le cose. Lo
schema, talvolta, genera una sensazione di inscindibilità e immedesimazione con gli
altri o la percezione di non avere un adeguato senso d’identità e dei precisi obiettivi.
Lo schema Fallimento si fonda sulla convinzione che il tentativo di raggiungere
qualsiasi obiettivo (scolastico, sportivo, professionale) si concluderà inevitabilmente con un insuccesso. Chi presenta questo schema ha la sensazione di essere sostanzialmente inferiore ai propri pari nella capacità di raggiungere i propri
obiettivi. Lo schema spesso induce il paziente a ritenersi poco intelligente, inetto,
privo di talento e, di conseguenza, destinato al fallimento.
Dominio III: Mancanza di regole
I pazienti con schemi che rientrano in questo dominio non hanno sviluppato
adeguate regole in ambito relazionale e interpersonale. Riescono difficilmente a
rispettare gli altri, hanno problemi a cooperare, ad assolvere gli impegni e a raggiungere obiettivi a lungo termine. Appaiono spesso come delle persone egoiste,
irresponsabili o narcisiste. In genere sono cresciuti in una famiglia indulgente e
permissiva (l’atteggiamento pretenzioso può anche scaturire da un meccanismo
di ipercompensazione derivante da un altro schema, come quello della Deprivazione emotiva; in questo caso l’eccessiva indulgenza della famiglia non è un fattore determinante, come vedremo nel capitolo 10). Da bambini, questi pazienti,
sono stati esonerati dal seguire le regole generali di comportamento, dal rispettare
gli altri o dallo sviluppare una forma di autocontrollo. Da adulti, non riescono a
frenare gli impulsi e a rinunciare a gratificazioni immediate in vista di soddisfazioni a lungo termine.
Lo schema Pretese/Grandiosità è caratterizzato da una sensazione di superiorità.
Chi lo presenta si arroga, infatti, dei diritti e dei privilegi speciali senza rispettare
Schema Therapy: il modello teorico
21
le regole di reciprocità che sono alla base dei rapporti sociali. Spesso è caparbiamente convinto di potere fare tutto, anche a discapito degli altri, e si pone, in
modo esasperato, come unico obiettivo la superiorità, intesa come strumento per
ottenere potere (mira, ad esempio, a diventare una delle persone più ricche, più affermate o più famose). Spesso ha un atteggiamento troppo esigente o dominante,
ed è decisamente poco empatico.
I pazienti che presentano lo schema Autocontrollo o autodisciplina insufficienti non
esercitano, per incapacità o per mancanza di volontà, un sufficiente autocontrollo, e non riescono a tollerare la frustrazione e gli ostacoli che inevitabilmente si incontrano nel raggiungimento degli obiettivi personali. Queste persone esprimono
senza nessun controllo emozioni e impulsi e, quando lo schema è poco marcato,
tendono ad evitare, in modo eccessivo, ogni disagio, cercando di sfuggire alla
maggior parte dei confronti e delle responsabilità.
Dominio IV: Eccessiva attenzione ai bisogni degli altri
Le persone che presentano schemi appartenenti a questo dominio danno eccessiva importanza al soddisfacimento dei bisogni altrui, a discapito dei propri. Il
vantaggio di questo comportamento è ottenere approvazione, preservare i legami
emotivi o evitare le reazioni degli altri. Quando interagiscono con qualcuno, tendono a focalizzarsi quasi esclusivamente sulle reazioni dell’altra persona, ignorando i propri bisogni e rimanendo, spesso, inconsapevoli delle sensazioni di rabbia
che provano o delle preferenze che hanno. Da bambini, è stata loro negata la libertà di seguire le proprie inclinazioni; da adulti, invece di focalizzarsi su se stessi,
si focalizzano sugli altri, tentando di soddisfare i loro desideri. La famiglia tipica di
questi pazienti è caratterizzata da un atteggiamento di accettazione condizionata:
per ricevere amore o per essere approvato, il bambino è costretto a modificare alcuni degli aspetti principali della sua personalità. In molte famiglie di questo tipo,
i genitori danno più importanza ai propri bisogni emotivi o alle apparenze sociali
piuttosto che ai bisogni soggettivi dei figli.
Il paziente che presenta lo schema Sottomissione lascia agli altri un’eccessiva capacità di controllo. La persona si sente costretta ad agire così allo scopo di evitare
la rabbia, le reazioni aggressive o l’abbandono dell’altro. Le due forme principali
sono: (1) la sottomissione dei bisogni, che consiste nel reprimere preferenze e desideri;
(2) la sottomissione delle emozioni, che comporta la repressione delle reazioni emotive,
in particolar modo della rabbia. Questo schema, generalmente, porta la persona a
considerare sbagliati o ininfluenti i propri bisogni e le proprie sensazioni. Spesso
lo schema si traduce in un’eccessiva disponibilità, nell’ansia di piacere e nel sentirsi eccessivamente obbligati a fare ciò che vogliono gli altri. Lo schema Sottomissione tende a scatenare nel paziente delle sensazioni di rabbia che si manifestano
attraverso sintomi maladattivi (ad esempio, comportamenti passivo-aggressivi,
scoppi incontrollati di rabbia, sintomi psicosomatici o improvvisi allontanamenti
dalle persone care).
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Schema Therapy
I pazienti che presentano lo schema Autosacrificio rinunciano volontariamente
alle gratificazioni personali per soddisfare le esigenze degli altri. Il loro obiettivo
è quello di risparmiare agli altri le sofferenze, evitare i sensi di colpa, rinforzare
l’autostima o preservare un legame affettivo con le persone per le quali il soggetto ritiene di essere importante. Spesso questo schema scaturisce da un’accesa
sensibilità verso le sofferenze altrui; esso comporta la sensazione che i propri
bisogni non vengano adeguatamente soddisfatti e, di conseguenza, può generare
un profondo risentimento. Questo schema è sovrapponibile al concetto di “codipendenza” nel “metodo dei dodici passi” sviluppato per gli alcolisti.
Chi presenta lo schema Ricerca di approvazione o riconoscimento manifesta una tendenza eccessiva a ricercare l’approvazione e il riconoscimento da parte degli altri,
a discapito dello sviluppo di un’identità stabile e autentica. Il parametro che queste persone utilizzano per misurare la propria autostima sono le reazioni degli altri
più che le proprie. Questo schema spesso comporta una preoccupazione eccessiva per lo status sociale, l’apparenza, la condizione economica o il successo, intesi
come mezzi per ottenere approvazione o riconoscimento. Le scelte di vita di chi
presenta questo schema, spesso, sono poco autentiche e poco soddisfacenti.
Dominio V: Ipercontrollo e inibizione
I pazienti il cui schema rientra in questo dominio sopprimono sia le emozioni che
gli impulsi. Sono così impegnati a rispettare le rigide regole che hanno interiorizzato
riguardo a come devono essere le loro prestazioni da trascurare le esperienze ludiche,
l’espressione di sé, il riposo, le relazioni intime e perfino la salute. Lo schema tende
a svilupparsi in soggetti che hanno vissuto un’infanzia cupa, all’insegna della repressione e della rigidità, in cui l’autocontrollo e l’autonegazione avevano un ruolo predominante rispetto alla spontaneità e alle gratificazioni. Da bambini, questi pazienti
non erano incoraggiati a intraprendere attività ricreative e non erano educati alla
ricerca della felicità. Erano indotti, piuttosto, ad essere eccessivamente vigilanti nei
confronti delle esperienze negative e a sviluppare una visione del mondo del tutto
deprimente. Di conseguenza, la vita di questi pazienti è dominata in ogni momento
dal pessimismo e dalla preoccupazione, che deriva dalla paura di trovarsi in pericolo non appena tralasciano l’atteggiamento costante di vigilanza e attenzione. Nello
schema Negatività/Pessimismo gli aspetti negativi dell’esistenza (dolore, morte, perdita,
delusione, conflitto, tradimento) sono tenuti eccessivamente e costantemente in considerazione, mentre gli eventi positivi sono del tutto sminuiti. Lo schema comporta
una paura esagerata che le cose possano precipitare in modo irrimediabile in un
ambito qualsiasi dell’esistenza, da quello professionale a quello finanziario, o nelle
relazioni interpersonali. I pazienti che presentano questo schema sono tormentati
dal timore irrazionale di commettere un errore qualsiasi che possa provocare crolli
finanziari, perdite, umiliazioni o possa coinvolgerli in situazioni negative. A causa di
queste aspettative eccessivamente negative, il paziente è spesso preoccupato, apprensivo e ipervigilante, tende a lamentarsi e non riesce a prendere delle decisioni.
Schema Therapy: il modello teorico
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I pazienti che presentano lo schema Inibizione emotiva reprimono il loro spontaneo modo di agire, di sentire e di comunicare. Si comportano così per evitare
di essere criticati o per non rischiare di perdere il controllo degli impulsi. Questo
atteggiamento riguarda in particolare quattro aree: (1) l’inibizione della rabbia; (2)
l’inibizione degli impulsi positivi; (3) la difficoltà ad esprimere la vulnerabilità; (4)
l’esaltazione della razionalità a discapito delle emozioni. Questi pazienti spesso
appaiono poco espressivi, poco spontanei, introversi o emotivamente freddi.
Lo schema Standard severi/Ipercriticismo consiste nel sentire di dover raggiungere a tutti i costi degli obiettivi estremamente severi che sono stati interiorizzati;
questo, generalmente, avviene allo scopo di evitare la disapprovazione degli altri
o la vergogna nei confronti di se stessi. Lo schema, nella sua forma più tipica,
genera la sensazione di subire costantemente pressioni e un atteggiamento di
ipercriticismo nei confronti di se stessi e degli altri. Si può veramente parlare
di schema maladattivo precoce solo quando persistono implicazioni significative
sulla salute mentale del paziente, sulla sua autostima, sulla sua vita relazionale
o sulla sua capacità di avere esperienze piacevoli. Lo schema può assumere tre
forme diverse: (1) perfezionismo (il bisogno di fare tutto “alla perfezione”, l’eccessiva attenzione ai dettagli o la sottostima del livello delle proprie prestazioni); (2)
regole rigide e “doveri” in molti ambiti esistenziali, tra i quali dobbiamo considerare
anche quegli standard talmente severi da risultare irrealistici nella sfera morale,
culturale o religiosa; (3) preoccupazioni riguardo al tempo e all’efficienza.
Lo schema Punizione consiste nella convinzione che chi commette un errore
debba essere severamente punito. Chi presenta questo schema tende a non tollerare o a provare rabbia verso chi non rispetta gli standard da lui fissati (incluso
se stesso); a questo si aggiunge una notevole difficoltà a perdonare gli errori,
derivante da una certa riluttanza a considerare i fattori attenuanti, a tenere conto
delle intenzioni o ad ammettere l’imperfezione dell’essere umano.
Presentazione di un caso
Analizziamo, adesso, la breve descrizione di un caso che ci aiuta a comprendere meglio la teoria degli schemi. Una giovane donna di nome Natalie intraprende un percorso terapeutico. Natalie presenta lo schema Deprivazione emotiva: a
causa delle esperienze che ha vissuto fin dall’infanzia, la donna ritiene che i suoi
bisogni emotivi non possano essere soddisfatti all’interno delle relazioni intime.
Figlia unica, in una famiglia emotivamente fredda, pur essendo stata soddisfatta
nei suoi bisogni materiali, Natalie ha sentito la mancanza di figure genitoriali in
grado di seguirla e di darle sufficienti attenzioni e affetto. I genitori non hanno
cercato di capire chi fosse realmente e con loro si è sentita sola.
Natalie soffre di depressione cronica. Pur essendosi impegnata in numerose
terapie, non è riuscita ad uscirne e, al terapeuta, confessa di essere stata depressa
per tutta la vita. Gli uomini che da sempre la attraggono sono individui spenti
e incapaci di comunicare emozioni. Suo marito rientra in questa categoria: ogni
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Schema Therapy
volta che Natalie cerca sostegno e comprensione, Paul si irrita e la manda via. Si
innesca così il meccanismo che attiva in Natalie lo schema di Deprivazione emotiva e fa nascere in lei una forte rabbia. Questa reazione, pur essendo parzialmente
giustificata, risulta eccessiva nei riguardi di un marito che, anche se non riesce a
dimostrarlo, è comunque innamorato.
La sua reazione sortisce l’effetto di renderlo sempre più estraneo e di allontanarlo da lei, favorendo il mantenimento dello schema. Il loro matrimonio è preda
di un circolo vizioso e dei meccanismi dello schema. La vita di coppia fa rivivere
a Natalie la deprivazione emotiva subita nell’infanzia. Prima di sposarsi, d’altra
parte, Natalie frequentava un uomo dotato di una maggiore capacità di esprimere
i propri sentimenti, ma non era attratta da lui sessualmente e si sentiva soffocare
dalle sue normali manifestazioni d’affetto. La tendenza a ricercare dei compagni
in grado di attivare uno degli schemi disfunzionali principali è, purtroppo, una
delle caratteristiche principali dei nostri pazienti (la cosiddetta “alchimia degli
schemi”).
Il caso di Natalie dimostra come una deprivazione emotiva subita durante
l’infanzia possa indurre l’insorgere dello schema, che viene involontariamente
utilizzato dal soggetto anche in età adulta. La sua attivazione sistematica può far
insorgere una sintomatologia cronica di Asse I e portare il soggetto ad instaurare
delle relazioni disfunzionali.
Schemi condizionati e schemi incondizionati: le differenze
In un primo momento, si riteneva che la principale differenza tra gli schemi
maladattivi precoci e gli assunti di base di Beck fosse nel fatto che i primi erano
incondizionati, mentre i secondi condizionati. Attualmente, riteniamo che gli
schemi possano essere sia condizionati che incondizionati. In linea di massima,
gli schemi che insorgono nelle prime fasi della vita e che tendono a diventare
predominanti scaturiscono da credenze incondizionate riguardo a se stessi e
agli altri, mentre gli schemi che si sviluppano in fasi successive sono, invece,
condizionati.
Gli schemi incondizionati non lasciano speranza. Essi instaurano una reazione a catena che impedisce al paziente di modificare, seppure minimamente,
le proprie idee anche in seguito a situazioni o ad esperienze positive: il soggetto continua a sentirsi incapace, invischiato, indesiderabile, inadeguato, vulnerabile o sbagliato, e niente può cambiare il suo modo di percepirsi. Lo schema
ripropone ciò che il paziente subiva quando era piccolo e non aveva nessuna
voce in capitolo; esso semplicemente esiste ed agisce in modo autonomo. Gli
schemi condizionati, invece, sono meno invalidanti. La reazione a catena, infatti, si può interrompere; se il paziente ha la possibilità di sacrificarsi, di sottomettersi, di ottenere approvazione, di reprimere le emozioni o di soddisfare
standard severi, probabilmente potrà spezzare, almeno temporaneamente, il
ciclo negativo.
Schema Therapy: il modello teorico
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Schemi incondizionati
Schemi condizionati
Abbandono/Instabilità
Sottomissione
Sfiducia/Abuso
Autosacrificio
Deprivazione emotiva
Ricerca di approvazione o
Inadeguatezza
riconoscimento
Esclusione sociale
Inibizione emotiva
Dipendenza/Incompetenza
Standard severi/Ipercriticismo
Vulnerabilità al pericolo o alle malattie
Invischiamento/Sé poco sviluppato
Fallimento
Negatività/Pessimismo
Punizione
Pretese/Grandiosità
Autocontrollo o autodisciplina insufficienti
Gli schemi condizionati, generalmente, si sviluppano per cercare di ottenere
sollievo dagli schemi incondizionati. Ecco perché vengono definiti “secondari”.
Forniamo alcuni esempi:
Standard severi come reazione all’Inadeguatezza. Il soggetto è convinto che “Se sarò
perfetto, allora sarò degno di amore”.
Sottomissione come reazione all’Abbandono. L’individuo è convinto che “Se farò sempre di buon grado tutto ciò che gli altri desiderano, allora rimarranno con me”.
Autosacrificio come reazione all’Inadeguatezza. “Se soddisferò tutti i bisogni degli
altri, senza tener conto dei miei, le altre persone mi accetteranno, nonostante
i miei difetti, e non mi sentirò più così indesiderabile”.
È impossibile, tuttavia, riuscire a soddisfare in ogni momento le richieste degli
schemi condizionati. È difficile, ad esempio, sottomettersi sempre e totalmente
senza arrabbiarsi mai; è difficile essere talmente determinati da riuscire a soddisfare tutte le proprie aspettative; così come è difficile essere talmente disposti a sacrificarsi da accontentare gli altri in tutto e per tutto. Ciò che gli schemi condizionati
riescono a fare, tutt’al più, è ritardare l’attivazione degli schemi incondizionati. Ma
è solo questione di tempo: in breve, infatti, la persona si troverà nuovamente imprigionata nei meccanismi dello schema principale. Non necessariamente, però,
gli schemi condizionati si instaurano come conseguenza di schemi incondizionati.
Alcuni schemi, infatti, si definiscono condizionati solo nel senso che il bambino
può evitare ciò che teme comportandosi secondo le aspettative dell’adulto.
L’influenza degli schemi sulla terapia
cognitivo-comportamentale
Gli schemi maladattivi precoci possono ostacolare il buon andamento di una
26
Schema Therapy
CBT tradizionale. Come abbiamo visto in precedenza, essi impediscono al paziente di rispettare molti degli assunti su cui si basa la CBT. Se, ad esempio, il
soggetto presenta uno schema appartenente al dominio Distacco e rifiuto (Abbandono, Sfiducia/Abuso, Deprivazione emotiva, Inadeguatezza/Vergogna) viene meno il presupposto che i pazienti possano instaurare senza difficoltà una
relazione terapeutica positiva e collaborativa in tempi brevi. Allo stesso modo, il
presupposto che i pazienti abbiano un forte senso d’identità e delle chiare finalità
di vita in base alle quali fissare gli obiettivi terapeutici, è difficilmente applicabile
nel caso in cui il soggetto presenti uno degli schemi classificati nel dominio Mancanza di autonomia e abilità (Dipendenza, Vulnerabilità, Invischiamento/Sé poco
sviluppato, Fallimento).
La CBT presuppone, inoltre, che il paziente sia in grado di valutare e riferire
al terapeuta i propri pensieri e le proprie emozioni. I pazienti i cui schemi appartengono al dominio Eccessiva attenzione ai bisogni degli altri (Sottomissione,
Autosacrificio, Ricerca di approvazione) tendono ad essere talmente impegnati a
comprendere le aspettative del terapeuta, da non riuscire a concentrarsi su se stessi e ad esprimere i propri pensieri e i propri sentimenti. Infine, la CBT prevede la
capacità del paziente di attenersi alle procedure terapeutiche, ma questa capacità,
per mancanza di motivazione o autodisciplina, spesso è carente nel paziente che
presenta uno o più schemi nel dominio Mancanza di regole (Pretese/Grandiosità,
Autocontrollo o autodisciplina insufficienti).
SCHEMI MALADATTIVI PRECOCI:
LE EVIDENZE EMPIRICHE
Gli schemi maladattivi precoci sono stati e sono tuttora oggetto di numerose
ricerche, condotte mediante lo Young Schema Questionnaire (Young e Brown,
1990). Nella maggior parte dei casi è stata finora utilizzata la versione completa
del questionario, sebbene siano attualmente in corso alcuni studi che ne utilizzano
la forma abbreviata. Lo Young Schema Questionnaire è stato tradotto in numerose lingue, tra cui il francese, lo spagnolo, l’olandese, il turco, il giapponese, il
finlandese, il norvegese e l’italiano (vedi appendice).
La prima analisi esaustiva delle proprietà psicometriche del questionario fu
effettuata nel 1995 da Schmidt, Joiner e Telch, su un campione non clinico. Per
tutti gli schemi risultarono coefficienti alfa di Cronbach compresi tra 0,83 (Invischiamento/Sé poco sviluppato) e 0,96 (Inadeguatezza/Vergogna) e coefficienti
test-retest compresi tra 0,50 e 0,82. Le sottoscale primarie rivelarono una buona
affidabilità test-retest e una buona coerenza interna. Il questionario dimostrò,
inoltre, un’ottima validità convergente e discriminante per la valutazione del distress psicologico, dell’autostima, della vulnerabilità cognitiva alla depressione e
della sintomatologia correlata ai disturbi di personalità.
I ricercatori effettuarono un’analisi fattoriale su campioni sia clinici che non
clinici; i risultati misero in evidenza alcuni fattori primari fortemente correlati
Schema Therapy: il modello teorico
27
agli schemi elaborati da Young tramite la pratica clinica e alle relative e ipotetiche
relazioni gerarchiche. In un campione di studenti universitari, emersero 17 fattori,
di cui 15 dei 16 già proposti da Young nel 1990. Fra gli schemi originari l’unico a
non emergere fu quello dell’Indesiderabilità sociale, mentre emersero due fattori
nuovi. Nel 1995 l’esperimento fu ripetuto da Schmidt ed altri con l’intento di effettuare una verifica incrociata di questa struttura fattoriale: anche questa volta il
questionario fu somministrato a un gruppo di studenti universitari, scelti tra una
popolazione non clinica. Utilizzando nuovamente l’analisi fattoriale, i ricercatori
scoprirono che 13 dei 17 fattori emersi nella prima analisi si riscontravano chiaramente nel secondo campione. Identificarono, inoltre, tre distinti fattori di ordine
superiore. Su un campione clinico emersero 15 fattori, che rientravano tutti nei
16 originariamente proposti da Young e che rappresentavano nell’insieme il 54%
della varianza totale (Schmidt et al., 1995).
Attraverso questo studio, fu dimostrata anche la validità convergente dell’YSQ
con un test di sintomatologia correlata ai disturbi di personalità (versione revisionata del Personality Diagnostic Questionnaire; Hyler, Rieder, Spitzer e Williams,
1987), oltre alla sua validità discriminante rispetto alle valutazioni della depressione (Beck Depression Inventory; Beck, Ward, Mendelson, Mock e Erbaugh, 1961)
e dell’autostima (Rosenberg Self-Esteem Questionnaire; Rosenberg, 1965) su una
popolazione non clinica di studenti universitari.
Nel 1999, questo studio venne riproposto da Lee, Taylor e Dunn su una popolazione clinica in Australia. L’analisi fattoriale, in coerenza con gli studi precedenti, fece emergere 16 fattori primari, 15 dei quali rientravano tra i 16 proposti in
origine da Young. Soltanto la scala dell’Indesiderabilità sociale, ancora una volta,
non venne confermata (e, da allora, non esiste più come schema a sé stante, ma
è stata incorporata nello schema Inadeguatezza). Inoltre, un’analisi fattoriale di
ordine superiore sembrò supportare alcuni dei domini teorizzati da Young. Nel
complesso, questo studio, condotto su due campioni clinici diversi per nazionalità
e diagnosi, dimostrò l’ottima coerenza interna dello Young Schema Questionnaire e la stabilità della struttura dei suoi fattori primari.
Nel 1999, Lee e i suoi colleghi discussero le ragioni per cui i due studi avevano
prodotto strutture fattoriali diverse a seconda del campione utilizzato: i risultati
del test effettuato sulla popolazione clinica erano leggermente diversi da quelli
sulla popolazione non clinica. Gli studiosi conclusero che il campione composto
da studenti universitari aveva prodotto quei risultati poiché la probabilità che
fra essi vi fossero molti individui affetti da forme estreme di psicopatologia era
scarsa. Lee e gli altri sostennero che, per ottenere la stessa struttura fattoriale, gli schemi sottostanti alla psicopatologia nella popolazione clinica avrebbero
dovuto essere presenti anche in un campione casuale di studenti universitari.
Young, tuttavia, propose l’ipotesi che, sebbene gli schemi esistano anche nella
popolazione non clinica, essi assumano forme estreme ed esagerate soltanto
nella popolazione clinica.
28
Schema Therapy
Ulteriori studi si sono posti l’obiettivo di esaminare la validità dei singoli schemi e la loro capacità di supportare il modello concepito da Young. Nel 1999,
Freeman condusse un’analisi sull’applicazione della teoria degli schemi di Young
come modello esplicativo dei processi cognitivi irrazionali. Utilizzando un campione non clinico, lo studio di Freeman rivelò che la presenza nel soggetto degli
schemi maladattivi precoci era inversamente proporzionale al suo adattamento
interpersonale, confermando l’assunto di Young secondo il quale gli schemi maladattivi precoci sono, per definizione, negativi e disfunzionali.
Nel 1997, Rittenmeyer esaminò la validità convergente dei domini degli
schemi di Young con il Maslach Burnout Inventory (Maslach e Jackson, 1986),
un inventario di autovalutazione sulle conseguenze negative causate dalle condizioni di vita stressanti. Lo studio venne effettuato su un campione di insegnanti californiane e dimostrò che due domini, l’Iperconnessione e gli Standard
severi (N.d.T.: nell’attuale versione non più inclusi tra i domini dell’YSQ), erano
strettamente correlati alla scala Esaurimento emotivo del Maslach Burnout Inventory. Il dominio Iperconnessione, sebbene non strettamente, era correlato
anche ad altre due scale dell’inventario, la Depersonalizzazione e la Realizzazione personale.
Nel 1997, Carine elaborò una ricerca sull’efficacia della teoria degli schemi
di Young nel trattamento dei disturbi di personalità. Utilizzando gli schemi maladattivi precoci come variabili predittrici, Carine, tramite un’analisi funzionale
discriminante, tentò di verificare se la presenza di uno schema maladattivo discriminasse o meno i pazienti con psicopatologie di Asse II del DSM-IV dai pazienti
con altri tipi di psicopatologie. Lo studio dimostrò che l’appartenenza al gruppo
Asse II veniva predetta correttamente nell’83% dei casi. A sostegno della teoria
di Young, dallo studio si rilevò anche come l’aspetto affettivo/emotivo fosse una
parte intrinseca degli schemi.
Sebbene lo Young Schema Questionnaire non sia stato concepito come
strumento di valutazione dei disturbi di personalità classificati secondo il DSMIV, tuttavia sembra esserci una evidente correlazione tra gli schemi maladattivi
precoci e la sintomatologia dei disturbi di personalità (Schmidt e altri, 1995). I
punteggi finali del questionario e quelli della versione revisionata del Personality
Diagnostic Questionnaire (Hyler et al., 1987), uno strumento di auto-valutazione
delle patologie di personalità secondo il DSM-III-R, sono, infatti, strettamente correlati. Lo schema Autocontrollo o autodisciplina insufficienti e lo schema
Inadeguatezza sono risultati, da questo studio, quelli maggiormente associati alla
sintomatologia dei disturbi di personalità. Tuttavia, questa profonda correlazione
si è rivelata valida per tutti gli schemi. Ad esempio, allo schema Sfiducia/Abuso
è possibile associare il disturbo paranoie di personalità, allo schema Dipendenza
il disturbo dipendente di personalità, allo schema Autocontrollo o autodisciplina
insufficienti il disturbo borderline di personalità e a quello Standard severi il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità (Schmidt e al., 1995).
Schema Therapy: il modello teorico
29
ASPETTI NEUROBIOLOGICI DEGLI SCHEMI
MALADATTIVI PRECOCI
Nelle prossime pagine proveremo ad analizzare gli schemi da un punto di vista
neurobiologico, basandoci su alcune ricerche effettuate recentemente sulle emozioni (LeDoux, 1996). È opportuno sottolineare che le teorie proposte in questo
paragrafo sui possibili meccanismi di sviluppo e modificazione degli schemi sono
soltanto delle ipotesi, in quanto non è stata ancora effettuata nessuna ricerca a
convalida di esse.
Secondo recenti studi, nel cervello non esisterebbe un solo sistema emotivo,
ma più di uno. Alle diverse funzioni vitali sarebbero associate delle emozioni
specifiche (in risposta al pericolo, al bisogno di cibo, al desiderio sessuale e alla
ricerca del compagno, alla cura della prole, alle relazioni sociali), ognuna delle
quali sembra essere mediata da una meccanismo cerebrale specifico. In particolare, andiamo ad analizzare i meccanismi cerebrali coinvolti nel trauma e nel
condizionamento.
I sistemi cerebrali coinvolti nel trauma
e nel condizionamento
La neurobiologia sembra aver individuato le aree del cervello dove si attivano
gli schemi scaturiti da esperienze traumatiche vissute nell’infanzia, come l’abbandono o l’abuso. Nel 1996, nella sintesi della sua ricerca sulla neurobiologia delle
memorie traumatiche, LeDoux scrisse:
“Nel corso dell’apprendimento di una situazione traumatica, la memoria conscia è
regolata da un sistema in cui operano l’ippocampo e le relative sedi corticali; la memoria inconscia, invece, è gestita da meccanismi di condizionamento che agiscono
attraverso un sistema controllato dall’amigdala. Questi due sistemi operano in parallelo e immagazzinano i diversi tipi di informazioni significative di una determinata esperienza. Quando l’individuo è esposto a stimoli associati al trauma originario,
entrambi i sistemi sono potenzialmente in grado di recuperare i ricordi che hanno
immagazzinato. Per quanto riguarda il sistema dell’amigdala, il recupero si manifesta attraverso spontanee reazioni corporee di preparazione al pericolo, mentre nel
caso del sistema dell’ippocampo si hanno ricordi a livello conscio” (pag. 239).
Secondo LeDoux (1996), dunque, i meccanismi cerebrali che registrano, immagazzinano e recuperano i dati mnestici associati alle manifestazioni emotive di
un evento traumatico sono diversi da quelli che consentono la memoria conscia
e la riflessione razionale sullo stesso evento. In pratica, l’amigdala immagazzina la
memoria emotiva, mentre l’ippocampo e la neocorteccia immagazzinano quella
cognitiva. Le reazioni emotive, quindi, si possono innescare senza il coinvolgimento dei sistemi cerebrali superiori: quelli che regolano l’attività cognitiva, razionale e cosciente.
30
Schema Therapy
Caratteristiche del sistema dell’amigdala
Secondo LeDoux (1996), il sistema dell’amigdala presenta una serie di caratteristiche che lo distinguono da quello dell’ippocampo e delle cortecce superiori.
• Il sistema dell’amigdala è inconscio. Le risposte emotive si possono formare nell’amigdala senza che vi sia nessuna registrazione conscia dello stimolo. Come
affermò Zajonc (1984) già più di venti anni fa, le emozioni possono esistere
senza le cognizioni.
• Il sistema dell’amigdala è più veloce. Ogni segnale di pericolo viene inviato, attraverso il talamo, sia all’amigdala che alla corteccia. Tuttavia, esso raggiunge
molto più rapidamente l’amigdala che la corteccia. Quando il segnale raggiunge la corteccia, l’amigdala ha già avviato i meccanismi di risposta al pericolo.
Come afferma ancora Zajonc (1984), le emozioni possono esistere prima della
valutazione cognitiva.
• Il sistema dell’amigdala è automatico. Non appena il sistema dell’amigdala valuta
la presenza di pericolo, le emozioni e le risposte corporee si innescano automaticamente. I sistemi coinvolti nei processi cognitivi, al contrario, non sono
legati in modo così stretto alle risposte automatiche. La peculiarità dei processi
cognitivi, infatti, consiste proprio nella flessibilità della risposta, dovuta alla
presenza di una cognizione, che implica la possibilità di scegliere.
• I ricordi emotivi nel sistema dell’amigdala sembrano essere permanenti. LeDoux
(1996) ha scritto: “I ricordi traumatici immagazzinati dall’amigdala sembrano
essere impressi in modo indelebile nel sistema cerebrale; probabilmente essi
accompagnano l’individuo per tutta la vita” (pag. 252). Il fatto che gli stimoli
associati al pericolo non vengano dimenticati ha a che fare con l’istinto di
sopravvivenza. È difficile, infatti, che questo tipo di ricordi si estingua. In
condizioni di stress, spesso ricompaiono automaticamente perfino le paure
che sembravano essere scomparse. L’estinzione evita il manifestarsi delle risposte condizionate, ma non cancella i ricordi che sottostanno a queste reazioni. “Tramite l’estinzione […] si ottiene il controllo corticale degli effetti dell’amigdala, ma non la completa cancellazione della memoria immagazzinata in
essa” (pag. 250). Questo costituirebbe il motivo per cui si suppone che non sia
possibile risanare gli schemi completamente.
• Il sistema dell’amigdala non opera discriminazioni sottili. Il sistema dell’amigdala
è predisposto ad evocare risposte condizionate alle paure in conseguenza di
stimoli associati ad esperienze traumatiche. Una volta che il ricordo emotivo
è immagazzinato nell’amigdala, anche uno stimolo che ricorda vagamente il
trauma è in grado di innescare la reazione di paura. Il sistema dell’amigdala
fornisce un’immagine approssimativa del mondo esterno, mentre la corteccia
superiore fornisce rappresentazioni più accurate e dettagliate. È la corteccia
superiore che, in seguito a una valutazione cognitiva, può regolare la soppressione delle risposte emotive. L’amigdala evoca le risposte, non le inibisce.
Schema Therapy: il modello teorico
31
• L’evoluzione del sistema dell’amigdala è anteriore a quella delle cortecce superiori. Di
fronte a una minaccia, l’amigdala innesca una risposta d’ansia che si è modificata ben poco nel corso della storia e che accomuna l’uomo al regno animale
e, probabilmente, anche ad alcune specie inferiori. Anche l’ippocampo rientra
fra quelle aree del cervello più primitive da un punto di vista evolutivo; tuttavia, esso è collegato alla neocorteccia, che a sua volta contiene le cortecce
superiori, di più recente evoluzione.
Implicazioni per il modello degli schemi
Ma quali possono essere le implicazioni di tutto ciò sulla teoria degli schemi?
Proviamo ad individuarne alcune. Gli SMP, come abbiamo visto, possono essere
definiti come un complesso di ricordi, di emozioni, di sensazioni somatiche e di
pensieri legati ad esperienze dell’infanzia quali l’abbandono, il rifiuto, la scarsa
attenzione o l’abuso. A livello neurobiologico, quando il soggetto percepisce uno
stimolo che evoca l’esperienza traumatica infantile da cui ha avuto origine lo schema, le emozioni e le sensazioni somatiche associate a quella esperienza vengono
attivate, a livello inconscio, dal sistema dell’amigdala; anche nel caso in cui il soggetto sia in grado di dominare razionalmente le proprie reazioni, le emozioni e le
sensazioni somatiche vengono attivate più rapidamente rispetto ai pensieri che ne
consentono il padroneggiamento. L’attivazione delle emozioni e delle sensazioni
somatiche è automatica ed è probabile che si mantenga nel tempo, caratterizzando l’intera esistenza della persona, sebbene sia possibile attenuarne l’intensità
attraverso una graduale correzione dello schema. Diversamente dalle emozioni
e dalle sensazioni somatiche, i ricordi e le cognizioni associati al trauma vengono immagazzinati nell’ippocampo e nella corteccia. Questa diversa collocazione
anatomica degli aspetti emotivi e cognitivi del ricordo dell’esperienza traumatica,
potrebbe spiegare il motivo per cui non è possibile modificare gli schemi attraverso il solo utilizzo di tecniche cognitive. Inoltre, possiamo notare come le componenti cognitive di uno schema spesso si sviluppino in un momento successivo,
quando le emozioni e le sensazioni somatiche sono già state registrate dal sistema
dell’amigdala. Molti schemi si instaurano nella fase preverbale, ancora prima che
il bambino abbia imparato a parlare; gli schemi preverbali si sviluppano quando
il bambino è talmente piccolo da essere in grado di immagazzinare unicamente ricordi composti da emozioni e sensazioni somatiche. I pensieri si associano
soltanto dopo, quando nel bambino iniziano a svilupparsi la facoltà di pensare e
di esprimersi attraverso il linguaggio (uno dei compiti del terapeuta, infatti, sarà
proprio quello di aiutare il paziente ad associare la narrazione all’esperienza che
ha generato lo schema). Per questo motivo, nel trattamento psicoterapeutico centrato sugli schemi, il lavoro sulle emozioni ha un ruolo predominante rispetto a
quello sui pensieri.
Quando un SMP si attiva, il soggetto viene invaso da emozioni e sensazioni
somatiche che non sempre associa in modo consapevole al ricordo di ciò che è
32
Schema Therapy
avvenuto originariamente (e questo sarà un altro compito del terapeuta: aiutare il
paziente ad associare le emozioni e le sensazioni somatiche ai ricordi dell’infanzia). Questi ricordi costituiscono la parte centrale di uno schema, ma in genere
non si manifestano a livello cosciente, neppure sotto forma di immagini; sarà il
terapeuta ad aiutare il paziente a ricomporre queste immagini e a fornirgli un valido supporto emotivo durante il percorso di ricostruzione dei ricordi.
Implicazioni per la Schema Therapy
Il primo obiettivo della Schema Therapy è permettere al paziente il raggiungimento della consapevolezza: il terapeuta aiuta il paziente a identificare i propri
schemi e a diventare consapevole dei ricordi d’infanzia, delle emozioni, dei pensieri e degli stili di coping ad essi associati. Questo consente al paziente stesso di
esercitare un certo controllo sulle proprie risposte e di trovare la motivazione per
liberarsi dagli schemi patogeni.
LeDoux (1996) scriveva:
“La terapia è soltanto un metodo alternativo per raggiungere un potenziamento
sinaptico nei meccanismi cerebrali che controllano l’amigdala. I ricordi emotivi
contenuti nell’amigdala, come abbiamo visto, sono impressi indelebilmente nei
suoi circuiti. Pertanto possiamo al massimo sperare di riuscire a regolare l’espressione di questi ricordi; per farlo dobbiamo fare in modo che la corteccia assuma
una funzione di controllo sull’amigdala” (pag. 265).
In quest’ottica, il trattamento si pone l’obiettivo di incrementare il controllo
cosciente che il paziente può esercitare sugli schemi, attraverso l’acquisizione di
strategie mirate alla riduzione dell’intensità e della pervasività dei ricordi, delle
sensazioni somatiche e dei pensieri associati agli schemi e alla correzione dei comportamenti disfunzionali ad essi correlati.
Un’esperienza traumatica vissuta nelle prime fasi dell’infanzia ha anche altre
ripercussioni fisiologiche. I primati separati dalla madre presentano un’elevata
concentrazione di cortisolo nel plasma; se le separazioni avvengono ripetutamente questi cambiamenti diventano permanenti (Coe, Mendoza, Smotherman, e
Levine, 1978; Coe, Glass, Wiener, e Levine, 1983). Altri effetti neurobiologici duraturi imputabili alla separazione dalla madre comprendono un’alterazione degli
enzimi che sintetizzano la catecolamina nelle ghiandole surrenali (Coe et al., 1978,
1983) e della secrezione di serotonina nell’ipotalamo (Coe, Wiener, Rosenberg e
Levine, 1985). Le ricerche effettuate sui primati suggeriscono anche che il sistema
degli oppiacei endogeni sia coinvolto nella regolazione dell’ansia da separazione
e che l’isolamento sociale influenzi la sensibilità e il numero dei recettori cerebrali
per le endorfine (Van der Kolk, 1987). È evidente come le alterazioni fisiologiche
derivate dalla separazione nelle prime fasi della vita influenzino successivamente
i processi psicologici, probabilmente in modo irreversibile.
Schema Therapy: il modello teorico
33
I PROCESSI DEGLI SCHEMI
Gli schemi possono dar vita a due processi: il mantenimento e la correzione.
Qualsiasi pensiero, sentimento, esperienza e comportamento che abbia a che fare
con uno schema può concorrere al suo mantenimento (quando lo arricchisce e lo
rinforza) o alla sua correzione (quando lo indebolisce).
Il mantenimento dello schema
Tutte le azioni (volontarie o involontarie) che attivano lo schema costituiscono il processo di mantenimento; in esso sono coinvolti i pensieri, i sentimenti e
i comportamenti che finiscono per rinforzare piuttosto che ridimensionare lo
schema. Sono tre i principali meccanismi attraverso i quali si mantengono gli
schemi: le distorsioni cognitive, gli stili di vita autodistruttivi e gli stili di coping
(di cui parleremo più approfonditamente nel prossimo paragrafo). Le distorsioni
cognitive generano nella persona una percezione alterata delle situazioni, che vengono interpretate in modo da rinforzare lo schema; questo avviene selezionando
le informazioni che convalidano lo schema e sminuendo o negando quelle che,
al contrario, lo invaliderebbero. Il soggetto tende, inoltre, a bloccare le emozioni
associate allo schema, di conseguenza esso non raggiunge il livello di consapevolezza e la persona non riesce a modificarlo o a correggerlo. Il soggetto, infine,
instaura stili di vita autodistruttivi: senza rendersene conto, sceglie e promuove le
circostanze e le relazioni interpersonali che innescano e mantengono lo schema,
evitando, invece, quelle che potrebbero invalidarlo. Nel contesto dei rapporti interpersonali, le modalità di relazione che il soggetto utilizza sono tali da suscitare
negli altri reazioni negative che rinforzano lo schema.
Il caso di Martine
Il difficile rapporto che, da bambina, Martine ha avuto con la madre ha generato in lei lo schema Inadeguatezza. “A mia madre non piaceva niente di me”,
riferisce al terapeuta, “e non c’era niente che potevo fare per farle cambiare idea.
Non ero bella, non ero estroversa e non avevo molto successo con gli altri. Non
avevo una personalità spiccata e non sapevo vestirmi con stile. Ero intelligente,
ma a mia madre questo non importava”.
Attualmente Martine ha 31 anni e poche amicizie femminili. Di recente, il suo
ragazzo le ha presentato le fidanzate di alcuni suoi amici. Martine le trova simpatiche e disponibili eppure non si sente capace di stabilire con loro un rapporto
di amicizia. “Non credo di piacere a quelle ragazze”, spiega al terapeuta. “Mi
innervosisco tantissimo quando sono con loro. Non riesco a rilassarmi, non mi
comporto in maniera naturale”.
Le strategie cognitive, affettive, comportamentali e interpersonali che Martine
utilizza nelle nuove amicizie contribuiscono al mantenimento dello schema. A
livello cognitivo, Martine distorce le informazioni in modo da validare lo schema:
sminuisce le dimostrazioni di amicizia nei suoi confronti (“Sono gentili con me
34
Schema Therapy
solo perché esco con Johnny ma, in realtà, non mi trovano per niente simpatica”)
e interpreta i comportamenti delle ragazze in modo distorto, trasformandoli in
conferme della loro antipatia nei suoi confronti. Ad esempio, quando Robin si è
sposata e non le ha chiesto di farle da testimone, Martine è saltata subito alla conclusione che Robin la “detestasse”, invece di pensare che in realtà la conosceva da
troppo poco tempo per farle ricoprire un ruolo che in genere si riserva ad amiche
di vecchia data. Per quanto riguarda la sfera affettiva, Martine sperimenta risposte emotive molto intense anche in situazioni che le ricordano solo vagamente
le esperienze infantili responsabili dell’insorgere dello schema; ad esempio, ogni
volta che ritiene di essere minimamente rifiutata, la paziente vive un profondo
turbamento e sentimenti di inadeguatezza e di odio verso se stessa.
Nei rapporti interpersonali, Martine è attratta dalle relazioni che con più probabilità rispecchieranno il rapporto che aveva con la madre. Nel nuovo gruppo,
ad esempio, ha stretto amicizia in modo particolare con la persona più critica e
più esigente e si comporta con lei esattamente come si comportava con la madre,
assumendo un atteggiamento deferente e stando sempre sulla difensiva.
Quasi tutti i pazienti che presentano tratti patologici di personalità reiterano i
pattern negativi elaborati nell’infanzia, instaurando modalità autodistruttive; essi
diventano parte integrante della vita di queste persone, che, continuando ad emettere, in modo cronico e pervasivo, i pensieri, le emozioni, i comportamenti e le
modalità relazionali che rinforzano lo schema, favoriscono, senza rendersene conto, il ricostituirsi delle condizioni che più le hanno danneggiate durante l’infanzia.
La correzione dello schema
L’obiettivo ultimo della Schema Therapy è trasformare uno schema maladattivo in uno schema più funzionale, operando, in questo senso, una correzione
di esso. Poiché uno schema consiste in un insieme di ricordi, di emozioni, di
sensazioni somatiche e di pensieri, il processo di correzione consiste nel ridurre
la pervasività dei ricordi ad esso associati, l’intensità delle emozioni e delle sensazioni somatiche che ne derivano e la quantità dei pensieri disfunzionali. Ma non
solo. Perché il processo possa dirsi completo, è necessario anche un cambiamento
comportamentale, che avviene attraverso l’apprendimento, da parte del paziente,
di strategie adattive nuove e alternative agli stili di coping disfunzionali. Per questo motivo, il trattamento prevede un intervento su più livelli: cognitivo, emotivo e comportamentale. Attraverso questo processo di trasformazione lo schema
gradualmente si indebolisce e si attiva con una frequenza e un’intensità sempre
minori, procurando al soggetto esperienze molto più facili da gestire e superare.
Il processo di correzione è dunque molto complesso e, nella maggior parte dei
casi, il paziente incontra numerose difficoltà nel portarlo a termine. Gli schemi, infatti, sono convinzioni che il soggetto sviluppa riguardo a se stesso e al mondo nelle primissime fasi della vita e, pertanto, sono profondamente radicati; spesso, essi costituiscono l’unico metro di valutazione che l’individuo ha a disposizione e, a prescindere
Schema Therapy: il modello teorico
35
dal loro potenziale distruttivo, riescono a comunicare a chi li vive sicurezza e familiarità. Gli schemi sono perciò strutture centrali per il senso d’identità del paziente e,
per questa ragione, tende a rimanervi legato e a rinunciarvi con difficoltà. Abbandonare uno schema è un’esperienza destabilizzante, perché implica uno stravolgimento
della visione che si ha di sé, del mondo e degli altri. In quest’ottica, la resistenza alla
terapia può essere interpretata come una forma di autoconservazione, un tentativo
di mantenere un senso di controllo, di coerenza interiore e di equilibrio.
Dunque, per operare una correzione degli schemi, il paziente deve essere pronto ad affrontarli e contrastarli con la necessaria determinazione. Per correggere
uno schema occorre infatti molta costanza: il paziente deve osservare lo schema
in modo sistematico e lavorare quotidianamente per modificarlo, perché altrimenti
esso continuerà ad attivarsi. In quest’ottica, la terapia può essere considerata una
“dichiarazione di guerra” che il paziente e il terapeuta, alleati, muovono allo schema, con un unico obiettivo: “sconfiggerlo e annientarlo”. Tuttavia, questo obiettivo
rimane un ideale irrealizzabile nella maggior parte dei casi, dato che gli schemi non
scompaiono mai del tutto, essendo impossibile sradicare i ricordi ad essi associati.
Se non è possibile eliminare gli schemi completamente, è tuttavia possibile
correggerli e far sì che si attivino più sporadicamente e con effetti meno intensi
e meno duraturi per il paziente. Quando questo avviene, il paziente impara a rispondere all’attivazione degli schemi con modalità più funzionali, sceglie partner
e amici più premurosi e sviluppa una visione di sé più positiva. In uno dei prossimi paragrafi, forniremo un quadro generale delle principali strategie di correzione
degli schemi.
MODALITÀ E RISPOSTE DI COPING MALADATTIVE
Le modalità di coping si sviluppano nelle prime fasi della vita per consentire
al paziente di adattarsi agli schemi ed evitare le emozioni intense e violente che
questi generalmente procurano. Sebbene tali modalità siano talvolta di aiuto al
paziente per evitare l’attivazione di uno schema, è importante ricordare che non
sono affatto utili per correggerlo. Infatti, tutti gli stili di coping maladattivi sono
elementi attivi nel processo di mantenimento dello schema.
La Schema Therapy distingue lo schema dalle strategie che l’individuo utilizza per affrontarlo; questo è il motivo per cui, nel modello di Young, lo schema
contiene i ricordi, le emozioni, le sensazioni somatiche e i pensieri dell’individuo,
ma non le sue risposte comportamentali. Il comportamento non fa parte dello
schema, ma dello stile di coping. Sebbene la maggior parte delle risposte di coping
siano comportamentali, i pazienti utilizzano anche strategie cognitive ed emotive
che allo stesso modo vanno a far parte dello stile di coping e non dello schema.
Questa distinzione tra gli schemi e gli stili di coping è dovuta al fatto che ogni
persona reagisce allo stesso schema con stili di coping diversi a seconda delle situazioni e delle fasi di vita. Gli stili di coping utilizzati da un soggetto per fronteggiare
uno schema non rimangono necessariamente stabili nel tempo, come avviene invece
36
Schema Therapy
per lo schema in sé. Inoltre, pazienti diversi utilizzano per lo stesso schema strategie
comportamentali di coping totalmente differenti, talvolta perfino opposte.
Proviamo a considerare, ad esempio, tre diversi pazienti, ognuno dei quali
affronta lo schema Inadeguatezza con uno stile specifico. Sebbene tutti e tre si
sentano inadeguati, le risposte comportamentali non sono intrinseche allo schema: uno di loro ricerca partner o amici critici, un altro evita qualsiasi relazione
tenendosi a distanza da tutti e l’ultimo assume un atteggiamento di superiorità e
di critica nei confronti degli altri.
Tre modalità di coping maladattive
Tutti gli esseri viventi, di fronte a una minaccia, possono presentare tre principali
modalità di risposta: l’attacco, la fuga e l’immobilità. Ognuna di queste risposte, in linea
di massima, corrisponde rispettivamente ad uno dei tre stili di coping che il soggetto
può mettere in atto in risposta ad uno schema: ipercompensazione, evitamento e resa.
Uno SMP rappresenta, durante l’infanzia, una minaccia, che può consistere
nella frustrazione di uno dei bisogni emotivi primari del bambino (legami stabili,
autonomia, libertà di espressione, spontaneità e gioco o limiti realistici) o nella
paura delle emozioni intense che lo schema stesso può generare. Davanti alla minaccia, il bambino si può arrendere, può evitare oppure ipercompensare, ma tutti
e tre gli stili, generalmente, operano al di fuori della consapevolezza. Il bambino
tenderà a utilizzare soltanto uno dei tre stili per una determinata situazione, ma
potrà avvalersi di altri stili di coping per reagire a situazioni diverse o in presenza di
schemi diversi (di seguito forniremo alcuni esempi di questi tre stili).
L’attivazione di uno schema, dunque, equivale a una minaccia, alla quale l’individuo reagisce attraverso uno stile di coping. Gli stili di coping utilizzati risultano
generalmente adattivi durante l’infanzia e possono essere considerati meccanismi funzionali di sopravvivenza. Ma durante la crescita diventano maladattivi,
in quanto determinano il mantenimento dello schema anche quando la persona
si trova ormai in condizioni ambientali molto diverse e avrebbe la possibilità di
utilizzare modalità più funzionali. In sintesi, gli stili di coping maladattivi tengono
le persone intrappolate nei loro stessi schemi.
Resa
Arrendersi allo schema significa accettarlo incondizionatamente, non provare
ad evitarlo né a combatterlo, accettare il dolore che esso provoca e contribuire, con
questo atteggiamento, al rinforzarsi dello schema stesso. Senza rendersene conto, i
pazienti con uno SMP continuano a rivivere, in età adulta, le situazioni che nell’infanzia hanno provocato l’instaurarsi dello schema stesso. Quando un evento attiva
lo schema, queste persone hanno una risposta emotiva sproporzionata, che viene
vissuta in modo intenso e consapevole; in ambito relazionale, scelgono partner dai
quali possono aspettarsi un trattamento simile a quello ricevuto dal genitore con cui
hanno avuto difficoltà (come Natalie, ad esempio, – la paziente affetta da depres-
Schema Therapy: il modello teorico
37
sione che abbiamo incontrato prima – che aveva scelto come marito Paul, un uomo
emotivamente spento) e in questo rapporto assumono un atteggiamento passivo
e accomodante che reitera lo schema. Spesso questi pazienti che si arrendono allo
schema lo mettono in atto anche nella relazione terapeutica, interpretando il ruolo
del bambino e identificando il terapeuta con il genitore che li ha danneggiati.
Evitamento
Le persone che utilizzano l’evitamento come stile di coping organizzano la
loro vita in modo tale da evitare l’attivazione dello schema, tentando di ignorarlo e facendo finta che non esista. Evitano di pensarci e bloccano i pensieri
e le immagini che potrebbero attivarlo, cercano di distrarsi e fanno di tutto per
respingerlo quando questo si presenta. Evitano anche le sensazioni connesse allo
schema, soffocandole immediatamente quando affiorano. Possono essere persone che fanno uso di alcol o sostanze stupefacenti per evitare di entrare in contatto
con le proprie emozioni, che hanno incontri sessuali promiscui o che mangiano
più del dovuto, che effettuano le pulizie domestiche in maniera maniacale, che
sono continuamente alla ricerca di stimoli o che sono schiave del lavoro. Descrivono le proprie relazioni interpersonali come soddisfacenti, eppure tendono
ad evitare le situazioni che possono innescare lo schema, come, ad esempio, le
relazioni intime o le sfide in ambito lavorativo. È molto frequente che il soggetto
eviti interi ambiti esistenziali rispetto ai quali si sente vulnerabile e che non si
impegni a fondo nella terapia, “dimenticando”, ad esempio, di portare a termine i
“compiti a casa”, evitando di esprimere le proprie emozioni, parlando soltanto di
argomenti superficiali, arrivando tardi alle sedute o andando via in anticipo.
Ipercompensazione
Chi contrasta lo schema ipercompensandolo pensa, sente, si comporta e si
relaziona in modo tale da percepirsi, in età adulta, diversamente da come si è percepito durante l’infanzia, quando lo schema si è formato. Chi da piccolo si sentiva
indegno, da adulto cerca di essere perfetto; chi era sottomesso, prevarica gli altri;
chi era eccessivamente sorvegliato, controlla gli altri o rifiuta qualsiasi tentativo di
condizionamento; chi subiva violenza, diventa a sua volta violento. La strategia
di coping di queste persone è il contrattacco: dall’esterno, sembrano assertive e
sicure di sé, ma, in realtà, sono gravate dal peso dello schema che minaccia continuamente di emergere.
L’ipercompensazione è in effetti un tentativo di difendersi dallo schema e, in
quanto tale, potrebbe essere funzionale se da esso non scaturisse un atteggiamento che finisce per rinforzare lo schema, piuttosto che correggerlo. Molto spesso,
chi si avvale del meccanismo di ipercompensazione appare del tutto equilibrato;
non è un caso, infatti, che esso sia caratteristico di molte persone famose, che
rivestono ruoli di spicco nella società: star televisive, leader politici, noti uomini
d’affari e via dicendo. Combattere uno schema è funzionale solo nel caso in cui il
38
Schema Therapy
comportamento che si adotta sia adeguato alla situazione, prenda in considerazione i sentimenti degli altri e permetta il raggiungimento degli obbiettivi prefissati;
chi si avvale del meccanismo di ipercompensazione, invece, rimane generalmente
intrappolato nel circolo vizioso generato dal suo atteggiamento di contrattacco e
assume talvolta comportamenti eccessivi, poco rispettosi dei sentimenti degli altri
o controproducenti.
Ad esempio, se esercitare un maggior controllo, nella vita quotidiana, è senz’altro
funzionale per chi presenta lo schema Sottomissione, assumere un atteggiamento
troppo dispotico e autoritario (per ipercompensare lo schema) comporta invece un
allontanamento da parte degli altri; un paziente con lo schema Sottomissione che utilizza l’ipercompensazione finisce, inoltre, per non lasciare il controllo agli altri neppure quando sarebbe opportuno farlo. Un esempio simile si può fare per le persone
che presentano lo schema Deprivazione emotiva: per loro è funzionale chiedere un
sostegno emotivo agli altri, ma quando entra in gioco il meccanismo di ipercompensazione le loro richieste diventano eccessive, trasformandosi in pretese.
L’ipercompensazione rappresenta per il paziente un’alternativa al dolore causato
dallo schema, in quanto gli offre la possibilità di fuggire dal senso di impotenza e
vulnerabilità che ha caratterizzato la sua infanzia. Ad esempio, l’ipercompensazione
narcisista è il meccanismo tipico di chi si trova ad affrontare sensazioni primarie di
deprivazione emotiva e inadeguatezza e utilizza questa modalità di coping per sentirsi speciale e superiore, anziché ignorato e inferiore. Tuttavia, il paziente narcisista
non riesce mai a stare bene con se stesso, anche quando esteriormente raggiunge
una piena realizzazione. Il meccanismo di ipercompensazione porta all’isolamento
e, infine, all’infelicità. Le persone, infatti, continuano ad utilizzare l’ipercompensazione anche se il loro atteggiamento fa fuggire gli altri e così facendo perdono la
capacità di relazionarsi, se non superficialmente; sono così impegnate ad apparire
perfette da trascurare la vera intimità. Inoltre, per quanto questi pazienti tentino
di raggiungere la perfezione, prima o poi falliscono in qualcosa e, quando ciò avviene, difficilmente riescono a vivere in maniera costruttiva l’esperienza negativa.
Essendo incapaci di assumersi la responsabilità dei propri fallimenti o di accettare i
propri limiti non riescono a trarre insegnamento dai propri errori e, di conseguenza, quando vivono esperienze fallimentari decisive e dirompenti, la loro capacità di
ipercompensazione crolla e, il più delle volte, si verifica uno scompenso che sfocia
in una depressione clinica. Quando il meccanismo di ipercompensazione fallisce, gli
schemi sottostanti si riaffermano, generando un malessere intenso e devastante.
Ma quali sono i motivi per cui un paziente si avvale di certi stili di coping
piuttosto che di altri? Possiamo ipotizzare che uno dei fattori principali risieda
nel temperamento, che sembra avere un ruolo più importante nel determinare gli
stili di coping piuttosto che nel determinare gli schemi. L’individuo con un temperamento passivo, ad esempio, tenderà a sviluppare lo stile di coping di resa o di
evitamento, mentre quello con un temperamento aggressivo adotterà, con molta
probabilità, il meccanismo di ipercompensazione. Anche il modeling, costituisce
Schema Therapy: il modello teorico
39
un elemento utile per comprendere il motivo per cui alcuni pazienti assumono
un determinato stile: spesso i bambini prendono a modello il comportamento di
coping del genitore con il quale si sono identificati.
Nel capitolo 5, analizzeremo più dettagliatamente questi stili di coping.
Le risposte di coping
Le risposte di coping consistono in comportamenti o strategie specifiche attraverso i quali il soggetto può manifestare uno dei tre principali stili di coping;
tutte quelle specifiche modalità attraverso cui l’individuo sceglie l’ipercompensazione, l’evitamento o la resa in risposta alla percezione della minaccia di attivazione dello schema. L’utilizzo sistematico di alcune risposte di coping determina lo
“stile di coping” che può essere considerato una caratteristica di tratto, distintiva
e specifica della persona, a differenza della “risposta di coping” che può essere
considerata una caratteristica di stato, variabile a seconda della situazione. Uno
stile di coping è, dunque, l’insieme delle risposte di coping che l’individuo utilizza
abitualmente per evitare, ipercompensare o arrendersi allo schema; una risposta
di coping è, invece, la strategia o il comportamento specifico di cui l’individuo
si avvale in un determinato momento. Prendiamo ad esempio un paziente che
utilizza prevalentemente una forma di evitamento per fronteggiare lo schema
Abbandono; se in seguito ad un litigio in cui la sua ragazza minaccia di lasciarlo, il
paziente assume sostanze alcoliche per evitare il dolore provocato dall’attivazione
dello schema, l’evitamento costituisce lo stile di coping che il paziente adotta di
fronte all’abbandono, mentre la decisione di ricorrere all’alcol costituisce la sua
risposta di coping alla situazione specifica (approfondiremo questa distinzione
nel prossimi paragrafi, quando esamineremo il concetto di mode).
Nella tabella 1.2, per ogni schema sono elencati alcuni esempi di risposte di coping
maladattive. In genere, i pazienti utilizzano per lo più una combinazione di risposte e
stili di coping: a volte si arrendono, a volte evitano, a volte ipercompensano.
Gli schemi e le risposte di coping nelle diagnosi di Asse II
Lo scopo di questo paragrafo è evidenziare quelli che consideriamo i principali difetti concettuali del sistema di valutazione delle patologie di Asse II e, in
generale, del sistema diagnostico del DSM-IV, che riteniamo inadeguato rispetto
al nostro modello teorico. Altrove abbiamo già esaminato i suoi numerosi limiti
(Young e Gluhoski, 1996), compresa la scarsa affidabilità e validità per molte categorie e il livello inaccettabile di sovrapposizione tra le categorie stesse. Riteniamo
che, nel tentativo di formulare dei criteri basati sull’osservazione dei comportamenti, i colleghi che hanno sviluppato il DSM-IV abbiano perso di vista l’essenza
sia di ciò che distingue i disturbi di Asse I da quelli di Asse II, sia di ciò che rende
i disturbi cronici difficili da trattare.
Secondo il nostro modello concettuale, gli SMP sarebbero alla base dei disturbi
di personalità, ma se valutiamo i criteri diagnostici indicati dal DSM-IV vediamo
40
Schema Therapy
che a questi corrispondono esclusivamente pattern di risposte di coping; il DSMIV indicherebbe, dunque, come criteri di valutazione delle patologie di Asse II,
esclusivamente dei modelli comportamentali di risposta agli schemi primari da
noi individuati. In quasi tutte le categorie del DSM-IV i disturbi di personalità
coincidono con i comportamenti di coping. Ma come abbiamo già sottolineato,
l’obiettivo principale del trattamento di pazienti con disturbi di personalità dovrebbe essere la correzione degli schemi e non l’eliminazione delle risposte di coping maladattive, che nella nostra ottica è peraltro impossibile da attuare a livello
permanente senza modificare gli schemi sottostanti. È inoltre opportuno tenere
presente che le risposte di coping non sono stabili come gli schemi, ma cambiano,
in relazione allo schema che le innesca, alla situazione specifica, e alla fase di vita
del paziente. Perciò risulta alquanto difficoltoso formulare una diagnosi definitiva
avvalendosi del DSM-IV, in quanto i sintomi su cui si basa la diagnosi coincidono
con le risposte di coping che si vanno a modificare nel corso della terapia stessa.
Nel modello degli schemi, inoltre, i pattern cronici e pervasivi di personalità,
rappresentati sia come schemi che come risposte di coping, vengono messi in relazione alla loro origine nell’infanzia e considerati come specifici per ogni singolo
paziente, a seconda della specifica manifestazione e dell’intensità dell’attivazione.
I disturbi di personalità, dunque, vengono presi in considerazione in un’ottica
dimensionale e non categoriale, quale quella proposta dal DSM.
IL CONCETTO DI MODE
Il concetto di mode costituisce probabilmente l’aspetto più complesso del nostro modello teorico. I mode comprendono sia gli stati emotivi sia le risposte di
coping (adattive o maladattive) di cui, in determinati momenti, tutti noi facciamo
esperienza. A seconda delle situazioni, alcuni dei nostri schemi e le relative risposte di coping rimangono inattivi, o latenti, mentre altri si attivano, assumendo un
ruolo predominante sul nostro umore e sul nostro comportamento. Il “mode” è
l’insieme di schemi e relative operazioni (adattive o maladattive) attivi in un paziente in un determinato momento. La nostra teoria – a differenza di molte altre elaborate sugli schemi – prevede una costante analisi sia dei mode adattivi che di quelli
maladattivi; infatti, uno degli obiettivi del percorso terapeutico è proprio quello di
aiutare il paziente a “saltare” da un mode disfunzionale ad uno più funzionale.
Un mode disfunzionale entra in gioco quando determinati schemi o risposte
di coping maladattivi emergono sotto forma di emozioni negative, risposte di
evitamento o comportamenti autodistruttivi che influenzano la risposta dell’individuo e ne determinano il funzionamento emotivo e comportamentale. Una
persona può saltare da un mode disfunzionale all’altro attivando gli schemi o le
risposte di coping che prima erano latenti.
Il termine mode può essere tradotto in italiano con “modalità espressiva” o “modalità organizzativa”, ma entrambe
le traduzioni non ne rendono compiutamente il senso, per cui risulta conveniente mantenere il termine in inglese (come
già in Clark, Beck, Alford, 1999) [NdT].
Schema Therapy: il modello teorico
41
TABELLA 1.2. Esempi di risposte di coping maladattive
Esempi di evitamento
Esempi di
ipercompensazione
Abbandono/Instabilità
Selezionare partner
poco disposti ad
impegnarsi nella
relazione e ostinarsi a
portarla avanti.
Evitare le relazioni
intime; assumere alcol
per contrastare la
solitudine.
Stabilire un legame
morboso con il partner
e “soffocarlo” al punto
da farlo allontanare;
rimproverare
duramente il partner
ogni volta che si
allontana anche
minimamente.
Sfiducia/Abuso
Selezionare partner
abusanti e continuare a
subire gli abusi.
Evitare di mostrarsi
vulnerabili; non
fidarsi di nessuno;
non confidare i propri
segreti.
Prendersi gioco o
abusare degli altri (per
evitare che lo facciano
loro).
Deprivazione emotiva
Scegliere partner
poco affettuosi e
non chiedere loro di
soddisfare i propri
bisogni emotivi.
Evitare qualsiasi
relazione intima.
Pretendere in maniera
eccessiva che il partner
o gli amici più intimi
soddisfino i propri
bisogni emotivi.
Inadeguatezza/
Vergogna
Selezionare partner
critici e rifiutanti; essere
penalizzanti con se
stessi.
Evitare di esprimere
pensieri e sentimenti;
non permettere agli
altri di avvicinarsi.
Assumere un
atteggiamento critico e
rifiutante nei confronti
degli altri; cercare di
sembrare perfetti.
Esclusione sociale/
Alienazione
Tendenza a focalizzarsi,
nelle situazioni sociali,
più sugli elementi che
ci contraddistinguono
che su quelli che ci
accomunano agli altri.
Evitare le situazioni
sociali e di gruppo.
Divenire
eccessivamente versatili
per adattarsi alle varie
situazioni sociali.
Dipendenza/
Incompetenza
Delegare le persone
significative (genitori
o coniuge) ad
amministrare i propri
risparmi.
Evitare situazioni che
mettono alla prova le
proprie capacità, come
imparare a guidare.
Affidarsi
esclusivamente a se
stessi, al punto da
non dover chiedere
niente a nessuno
(“comportamento
controdipendente”).
Vunerabilità al pericolo
o alle malattie
Ricercare
ossessivamente
gli avvenimenti
drammatici riportati sui
quotidiani e aspettarsi
che qualcosa di simile
accada nella vita
quotidiana.
Evitare di frequentare
luoghi ritenuti non del
tutto “sicuri”.
Assumere
comportamenti
sconsiderati, essere
sprezzanti del pericolo
(“comportamento
controfobico”).
Schema maladattivo precoce
Esempi di resa
42
Schema Therapy
Schema maladattivo precoce
Esempi di resa
Esempi di evitamento
Esempi di
ipercompensazione
Invischiamento/Sé
poco sviluppato
Raccontare tutto di sé
ai genitori anche in età
adulta; immedesimarsi
troppo nel partner.
Evitare di stabilire
relazioni intime;
mantenere la propria
indipendenza.
Cercare di diventare
l’esatto contrario delle
persone significative.
Fallimento
Dedicarsi con poco
impegno o in maniera
disorganizzata alle
proprie attività.
Evitare di assumersi
responsabilità in
ambito lavorativo;
procrastinare
nell’adempiere ai propri
compiti.
Prefiggersi obiettivi
eccessivamente elevati
facendo di tutto per
raggiungerli.
Pretese/Grandiosità
Imporre agli altri
la propria volontà;
vantarsi dei propri
successi.
Evitare le situazioni
in cui non si ha la
possibilità di mostrare
la propria superiorità.
Soddisfare
eccessivamente i
bisogni degli altri.
Autocontrollo
o autodisciplina
insufficienti
Non riuscire ad
assolvere i compiti
quotidiani o di routine.
Non cercare un
impiego ed evitare le
responsabilità.
Sviluppare un
eccessivo autocontrollo
e un’eccessiva
autodisciplina.
Sottomissione
Lasciare che siano
gli altri a gestire le
situazioni e a prendere
decisioni al posto
proprio.
Evitare situazioni in cui
potrebbero insorgere
conflitti con gli altri.
Assumere un
atteggiamento di
ribellione.
Autosacrificio
Dare molto agli altri
senza pretendere niente
in cambio.
Evitare le situazioni in
cui è inevitabile dare o
ricevere qualcosa.
Dare agli altri il meno
possibile.
Ricerca di approvazione
o riconoscimento
Cercare di far colpo
sugli altri.
Evitare il confronto
con le persone di
cui si vorrebbe
l’approvazione.
Assumere
comportamenti
irragionevoli
per ottenere
disapprovazione;
rimanere in disparte.
Negatività/Pessimismo
Focalizzarsi sugli aspetti
negativi dell’esistenza e
trascurare quelli positivi;
essere costantemente
preoccupati; fare di
tutto per prevenire
eventuali esiti negativi.
Ricorrere all’alcol per
sentirsi più ottimisti e
contrastare la tristezza.
Essere troppo
ottimismi (ottimismo a
tutti i costi); negare le
realtà spiacevoli.
Inibizione emotiva
Mantenere un
atteggiamento compito
e poco espressivo.
Evitare situazioni in cui
le persone parlano dei
propri sentimenti o li
esprimono.
Cercare in tutti i
modi di essere vitali
e stimolanti pur
sentendosi poco
spontanei e a disagio.
Schema Therapy: il modello teorico
43
Esempi di resa
Esempi di evitamento
Esempi di
ipercompensazione
Standard severi/
Ipercriticismo
Fare di tutto per
raggiungere la
perfezione.
Evitare o procrastinare
situazioni e compiti che
mettono alla prova le
proprie capacità.
Non curarsi affatto
della qualità delle
proprie prestazioni;
svolgere i propri
compiti in maniera
sbrigativa e senza
impegno.
Punizione
Avere un atteggiamento
duro e punitivo nei
confronti di se stessi e
degli altri.
Evitare gli altri per
paura di essere puniti.
Essere troppo
comprensivi e
indulgenti.
Schema maladattivo precoce
I mode come stati mentali dissociati
Secondo una prospettiva diversa, un mode disfunzionale può essere considerato
come uno degli aspetti del sé nel quale sono coinvolti specifici schemi e le relative
risposte di coping, che non si è integrato completamente con gli altri e che presenta
determinate caratteristiche a seconda del grado in cui si è dissociato o è rimasto
escluso da altri mode dell’individuo. Un mode, in quest’ottica, potrebbe essere definito a seconda della posizione che occupa lungo uno spettro di dissociazione. Il
livello di dissociazione più basso si avrebbe quando il soggetto è in grado di attivare
o di esprimere più di un mode contemporaneamente, ad esempio durante i normali
cambiamenti di umore, provocati dalla malinconia o dalla rabbia. Al contrario, il livello di dissociazione più alto si avrebbe quando il soggetto utilizza un determinato
mode, senza avere, in quel momento, la consapevolezza dell’esistenza degli altri,
come ad esempio accade nei pazienti affetti da disturbo dissociativo dell’identità.
Allo stato attuale, sono stati identificati dieci mode, che si possono raggruppare in quattro categorie: i mode Bambino, i mode Coping disfunzionale, i mode
Genitore disfunzionale e il mode Adulto funzionale. Alcuni di essi sono funzionali per l’individuo, mentre altri non lo sono. Analizzeremo questi mode in
maggior dettaglio in seguito.
Uno degli obiettivi centrali della Schema Therapy è insegnare al paziente a rinforzare il mode Adulto funzionale, imparando ad esplorare quelli disfunzionali,
modificandoli o migliorando il loro funzionamento.
Lo sviluppo del concetto di mode
Il concetto di mode è nato dall’esperienza acquisita nel lavoro svolto con pazienti affetti da disturbo borderline di personalità, ma si è sviluppato nel tempo
attraverso lo studio e il trattamento di molte altre categorie diagnostiche. Tutti i
tentativi di applicare il modello degli schemi ai pazienti borderline si sono scontrati
con un problema essenziale: i pazienti presentavano un numero troppo elevato di
44
Schema Therapy
schemi e risposte di coping, per cui diventava difficile, sia per il paziente che per il
terapeuta, affrontarli tutti insieme contemporaneamente. Capitava, ad esempio, che
i pazienti con disturbo borderline ottenessero punteggi alti per tutti e 16 gli schemi
dello Young Schema Questionnaire: avevamo bisogno, quindi, di un sistema di
analisi diverso, che raggruppasse gli schemi e li rendesse più facili da gestire.
Inoltre, con questi pazienti, l’applicazione della Schema Therapy, nel suo modello originale, risultava difficile anche perché essi cambiavano continuamente
stato affettivo o risposta di coping: se in un momento erano arrabbiati, il momento dopo diventavano tristi, distaccati, introversi, innaturali, terrorizzati, impulsivi
o carichi di odio verso se stessi. Basandosi principalmente sui tratti caratteristici
della persona (schemi o stili di coping), il nostro modello originale non sembrava
essere esaustivo per spiegare il fenomeno del passaggio da uno stato all’altro.
Affermare che un individuo presenta un determinato schema non implica
ritenere che esso sia attivo in ogni momento della sua vita; lo schema è un tratto
caratteristico che può essere attivo in un determinato momento ma non in un altro, come avviene per i diversi stili di coping. Per questo motivo, il nostro modello
originale, riferendosi ai tratti caratteristici, ci permette di comprendere i meccanismi della persona in un ampio lasso di tempo, ma non ci aiuta a capire lo stato del
paziente in un determinato momento. Poiché i pazienti con disturbo borderline di
personalità sono estremamente incostanti, abbiamo deciso di utilizzare per il loro
trattamento un modello che prendesse in considerazione gli stati, piuttosto che i
tratti caratteristici, e che avesse come fondamento concettuale primario i mode.
Dall’osservazione dei singoli casi abbiamo valutato che gli schemi e le risposte
di coping tendono a raggrupparsi, formando le diverse parti del sé. Alcuni gruppi
di schemi o di risposte di coping si innescano contemporaneamente; ad esempio, nel mode Bambino vulnerabile le sensazioni del soggetto sono quelle di un
bambino indifeso che si sente fragile, spaventato e triste e, quando il paziente è in
questo mode, è possibile che si attivino contemporaneamente gli schemi Deprivazione emotiva, Abbandono e Vulnerabilità. Il mode Bambino arrabbiato si manifesta attraverso le emozioni di un bambino adirato in preda ad uno scatto d’ira,
mentre il mode Protettore distaccato è caratterizzato dall’assenza di emozioni e
da una forte tendenza all’evitamento. Alcuni mode sono, dunque, composti principalmente da schemi, mentre altri sono rappresentati soprattutto da risposte di
coping; ogni paziente mostra alcuni particolari mode, a partire dai quali è possibile risalire a particolari raggruppamenti di schemi o risposte di coping.
In modo analogo, anche alcune diagnosi di Asse II possono essere descritte in
base ai loro mode più tipici. Un paziente con disturbo borderline di personalità,
ad esempio, mostra solitamente quattro mode diversi, che si alternano con grande
rapidità: in un determinato momento egli si trova nel mode Bambino abbandonato e vive il dolore provocato dagli schemi, un attimo dopo può passare al mode
Bambino arrabbiato ed esprimere rabbia, per poi passare rapidamente al mode
Genitore punitivo, nel quale punisce il Bambino abbandonato e, infine, ritirarsi
Schema Therapy: il modello teorico
45
nel mode Protettore distaccato, nel quale frena tutte le emozioni e tiene gli altri a
distanza, nel tentativo di proteggersi.
I mode nell’esperienza dissociativa
Come abbiamo accennato in precedenza, il nostro concetto di mode va messo
in relazione con un continuum di gravità di dissociazione. Anche se siamo consapevoli che la diagnosi di disturbo dissociativo dell’identità è assai controversa,
noi consideriamo le diverse personalità che i pazienti affetti da questo disturbo assumono come forme estreme di mode disfunzionali. Diverse parti del sé si sono
scisse in personalità separate, tendenzialmente inconsapevoli l’una dell’altra, e che
possono avere nomi, età, sesso, ricordi, funzioni e tratti caratteriali differenti. Le
identità dissociate che assumono questi pazienti, in genere, sono: o quella di un
bambino che ha vissuto un trauma profondo, o quella di una figura genitoriale
interiorizzata che tormenta, criticando o punendo il bambino, o una modalità di
coping tipica dell’età adulta che in un modo o nell’altro protegge o frena i diversi
mode Bambino. Noi siamo convinti che la differenza sostanziale tra le identità
dissociate del disturbo dissociativo dell’identità e i mode dei pazienti con disturbo
borderline di personalità consista nell’intensità e nella gravità della dissociazione;
in entrambi i casi possiamo valutare l’esistenza di parti del sé che si sono scisse,
ma il livello di scissione nel disturbo borderline è decisamente inferiore. Inoltre,
i pazienti che presentano un disturbo dissociativo hanno, in genere, un numero
superiore di mode rispetto a quelli con personalità borderline.
Anche in un individuo psicologicamente sano sono presenti mode distinti, che
gli permettono, ad esempio, di essere distaccato, arrabbiato o triste in relazione
agli eventi; ma, a differenza di un soggetto borderline, in un individuo sano il
senso di identità rimane intatto, pur sperimentando più di un mode contemporaneamente; questo capita, ad esempio, quando un evento ci rende tristi e felici allo
stesso tempo, dandoci una sensazione di “dolce amarezza”. Al contrario, un soggetto borderline viene completamente sopraffatto dalla paura o dalla rabbia e una
parte del sé esclude le altre in maniera totale e profonda. I mode normali, inoltre,
sono meno rigidi; per dirla con Piaget, essi sono più disponibili ad accomodarsi
alla realtà (Piaget, 1962) e quindi più flessibili e aperti al cambiamento di quelli
che caratterizzano i pazienti con seri tratti patologici di personalità.
In sintesi, i mode possono variare da un individuo all’altro in relazione alle
seguenti caratteristiche:
•
•
•
•
•
•
Dissociati – Integrati;
Inconsapevoli – Consapevoli;
Maladattivi – Adattivi;
Estremi – Lievi;
Rigidi – Flessibili;
Puri – Eterogenei.
46
Schema Therapy
L’intensità e l’efficacia dei mode Adulto funzionale costituiscono un’altra importante differenza tra le persone sane e quelle che presentano tratti patologici di
personalità. Tutti abbiamo un mode Adulto funzionale che ha la capacità di mitigare
e correggere i mode disfunzionali; questo mode, però, risulta più intenso ed efficace
nelle persone psicologicamente sane. Ad esempio, quando una di queste si arrabbia,
assume un mode Adulto funzionale, che generalmente gli permette di tenere sotto
controllo le emozioni e i comportamenti che derivano dall’ira. Nei pazienti borderline, invece, questo mode generalmente è così debole che quando, ad esempio, si
attiva il mode Bambino arrabbiato, il mode Adulto funzionale non ha la capacità
per controbilanciarlo e la persona viene completamente sopraffatta dalla rabbia.
I dieci mode
Abbiamo individuato dieci mode che possono essere raggruppati in quattro
categorie generali: i mode Bambino; i mode Coping disfunzionale; i mode Genitore disfunzionale; il mode Adulto funzionale.
Riteniamo che i mode Bambino siano innati e universali e che tutti i bambini
abbiano, fin dalla nascita, la potenzialità di manifestarli. Ne abbiamo individuati
quattro: Bambino vulnerabile, Bambino arrabbiato, Bambino impulsivo/indisciplinato e Bambino felice (i termini che abbiamo utilizzato sono generici, ma di
norma, nel corso della terapia, scegliamo insieme al paziente il nome da dare ai
singoli mode; ad esempio, possiamo definire il Bambino vulnerabile “la piccola
Ann” o “Ann l’abbandonata”).
Il mode Bambino vulnerabile, generalmente, è l’espressione della maggior
parte degli schemi disfunzionali principali: esso rappresenta il Bambino abbandonato, abusato, deprivato o rifiutato. Il Bambino arrabbiato costituisce la parte
che prova rabbia a causa dei bisogni emotivi insoddisfatti e che reagisce con ira
a prescindere dalle conseguenze. Il Bambino impulsivo/indisciplinato esprime
emozioni, agisce in base ai desideri e segue i propri bisogni momento per momento, in maniera disordinata, senza considerare le possibili conseguenze per se
stesso e per gli altri. Il Bambino felice, invece, è pienamente soddisfatto, in quel
determinato momento, nei suoi principali bisogni emotivi.
Per quanto riguarda i mode di Coping disfunzionale, ne abbiamo identificati
tre: il Protettore distaccato, l’Ipercompensatore, e l’Arreso compiacente. Questi
tre mode corrispondono ai tre stili di coping: evitamento, ipercompensazione
e resa (anche in questo caso, nel corso della terapia, personalizzeremo il nome
dei mode disfunzionali in base alle sensazioni e ai comportamenti del paziente).
L’Arreso compiacente si sottomette agli schemi, diventando di nuovo il bambino
passivo e impotente che si arrende agli altri; il Protettore distaccato fugge psicologicamente dal dolore provocato dagli schemi attraverso il distacco dalle emozioni,
l’assunzione di sostanze stupefacenti, la continua ricerca di stimoli, l’isolamento
o altre forme di fuga. L’Ipercompensatore combatte gli schemi o maltrattando
gli altri o assumendo, nel tentativo di confutarli, comportamenti estremi destinati
Schema Therapy: il modello teorico
47
a rivelarsi disfunzionali. L’esito di tutti gli stili di coping maladattivi è il mantenimento degli SMP.
Abbiamo, finora, identificato due mode Genitore disfunzionale: il Genitore punitivo e il Genitore esigente. Quando si trova in uno di questi mode, il paziente
acquisisce l’atteggiamento del genitore che ha interiorizzato. Il Genitore punitivo
è colui che punisce uno dei mode Bambino, poiché lo considera “cattivo”, mentre
il Genitore esigente è colui che fa continuamente pressione affinché il bambino
raggiunga standard eccessivamente elevati.
Il decimo mode, di cui abbiamo parlato in precedenza, è il mode Adulto funzionale che è quello che si tenta di rafforzare attraverso la terapia, insegnando al
paziente a moderare, guidare o modificare i mode disfunzionali.
L’ASSESSMENT E LA MODIFICAZIONE
DEGLI SCHEMI
In questa breve rassegna del percorso terapeutico vengono presentati i passaggi necessari per valutare e modificare gli schemi. Descriveremo dettagliatamente
nei capitoli successivi le procedure a cui qui facciamo soltanto accenno.
Il trattamento è strutturato in due fasi: “Assessment e psicoeducazione”, e
“Cambiamento”.
Assessment e psicoeducazione
Nel corso di questa prima fase, il terapeuta aiuta il paziente ad identificare gli
schemi e a ricercarne le origini nell’infanzia e nell’adolescenza. Questa è la fase
in cui il paziente, con l’aiuto del terapeuta, impara a familiarizzare con il modello
degli schemi, comincia a riconoscere gli stili di coping maladattivi di cui si avvale e
a capire in che modo essi contribuiscano al mantenimento degli schemi. I pazienti
più gravi imparano a riconoscere i propri mode disfunzionali e vengono guidati
nella comprensione dei processi che compiono gli schemi, tramite spiegazioni
razionali, ma anche con sperimentazioni a livello emotivo.
In questa fase, si alternano molteplici tecniche: colloqui mirati a raccogliere informazioni sulla vita del paziente, somministrazione di questionari riguardanti gli
schemi, assegnazione di compiti di automonitoraggio e esercizi immaginativi, che,
innescando gli schemi, aiutano il paziente a collegare sul piano emotivo i problemi
che vive nel presente con le esperienze vissute nell’infanzia. Quando tutti i passaggi
di questa fase sono stati conclusi, il terapeuta e il paziente elaborano una concettualizzazione del caso basata sugli schemi e programmano una terapia centrata su di
essi, che includerà l’utilizzo di strategie cognitive, esperienziali e comportamentali e si
fonderà sulla relazione terapeuta-paziente, elemento attivo del processo terapeutico.
Modificazione degli schemi
In questa seconda fase il terapeuta utilizza con flessibilità le strategie cognitive, esperienziali, comportamentali e interpersonali previste, tenendo conto delle
48
Schema Therapy
esigenze che il paziente manifesta di settimana in settimana. La Schema Therapy
non prevede protocolli rigidi o predefinite sequenze procedurali.
Le tecniche cognitive
Gli schemi non possono essere modificati fino a quando il soggetto rimane
convinto che abbiano una validità; finché non viene scardinata quest’idea, continuerà ad avere una visione distorta di se stesso e degli altri. Per questo, nel corso
della terapia, i pazienti devono imparare a costruire situazioni che dimostrino loro la
mancanza di validità dello schema; inizialmente ne valutano l’infondatezza a livello
razionale, elencando, insieme al terapeuta, tutte le situazioni della vita che possano
costituire una prova a favore della validità dello schema o contraria ad essa.
Nella maggior parte dei casi, l’analisi di queste prove dimostrerà che lo schema
non è valido, che il paziente non è intrinsecamente inadeguato, incompetente o fallito. Talvolta, però, le prove non sono sufficienti ad invalidare lo schema. I pazienti,
ad esempio, potrebbero aver sperimentato dei reali fallimenti, a scuola o sul lavoro, probabilmente perché, procrastinando o evitando continuamente, non hanno
potuto sviluppare le adeguate capacità attitudinali. Se le prove per fronteggiare lo
schema non risultano sufficienti, è possibile utilizzare delle strategie per modificare gli aspetti della vita del paziente che non risultano soddisfacenti; ad esempio, il
terapeuta può aiutarlo a contrastare la convinzione che il fallimento sia inevitabile
e permettergli, così, di acquisire capacità concrete in ambito lavorativo.
Al termine di questi esercizi, il paziente e il terapeuta sintetizzano su un promemoria (flash card) le prove individuate a sfavore dello schema; il paziente lo porterà con
sé, con il compito di leggerlo di frequente, soprattutto nelle situazioni che possono
innescare lo schema.
Le tecniche esperienziali
Attraverso queste tecniche i pazienti affrontano lo schema su un piano emotivo; le procedure immaginative, ad esempio, consentono ai pazienti di esprimere
la rabbia o la tristezza che provano per ciò che hanno vissuto nell’infanzia. In
questo modo, possono confrontarsi con il genitore o le altre figure significative dell’infanzia e proteggere e confortare il bambino vulnerabile, riuscendo a
esprimere i bisogni che avevano da bambini e che non sono stati soddisfatti dai
genitori; possono associare immagini dell’infanzia a immagini di situazioni problematiche che affrontano nella vita attuale; hanno la possibilità di contrastare lo
schema in prima persona, attraverso un confronto diretto. Attraverso le tecniche
immaginative e i role-playing i pazienti si possono inoltre esercitare a dialogare
con le persone significative della loro vita, controbattendole e interrompendo il
circolo vizioso che lo schema crea a livello emotivo.
Il cambiamento di comportamenti disfunzionali
Vengono stabiliti, con l’aiuto del terapeuta, alcuni esercizi comportamentali che il
Schema Therapy: il modello teorico
49
paziente deve svolgere al di fuori delle sedute per imparare a sostituire le risposte
di coping maladattive con pattern comportamentali nuovi e più funzionali. Il
paziente impara a capire che importanti decisioni di vita, come ad esempio la
scelta del partner, favoriscono il mantenimento dello schema; comincia, così, ad
ipotizzare e sperimentare la possibilità di fare scelte più funzionali che si contrappongono ai vecchi modelli di vita autodistruttivi.
Durante le sedute, il terapeuta aiuta il paziente a programmare i compiti che
dovrà svolgere a casa e lo guida nella preparazione di questi, attraverso le procedure immaginative e i role-playing, aiutandolo a superare gli inevitabili ostacoli
che si presenteranno durante il processo di cambiamento del comportamento
disfunzionale. Quando il paziente ha portato a termine i compiti, ne analizza i risultati con il terapeuta, esaminando ciò che ha appreso; in questo modo modifica
gradualmente le modalità di coping maladattive acquisendo modelli sempre più
funzionali, che gli permetteranno a lungo termine la correzione dello schema.
Per poter cambiare, i pazienti devono essere disposti a rinunciare agli stili di
coping maladattivi che hanno sempre utilizzato. Ad esempio, coloro che continuano ad arrendersi allo schema (rimanendo intrappolati in relazioni distruttive
o non ponendosi dei limiti in ambito personale o lavorativo) lo mantengono e
non riescono ad ottenere risultati significativi con la terapia. I pazienti che ipercompensano, invece, tendono a non fare progressi poiché, piuttosto che prendere
atto dei propri schemi e responsabilizzarsi in tal senso, biasimano gli altri o sono
troppo concentrati a ipercompensare dedicandosi al lavoro o tentando di migliorare se stessi o di far colpo sugli altri; di conseguenza, non riescono a identificare
chiaramente gli schemi, né ad impegnarsi a sufficienza per modificarli.
I soggetti che utilizzano il meccanismo di evitamento, invece, tendono a ottenere pochi progressi in terapia poiché si ostinano a fuggire dal dolore provocato
dallo schema; non si concedono la possibilità di concentrarsi sui propri problemi,
sul passato, sulla famiglia d’origine o sugli stili di vita, perché frenano o attenuano
tutte le emozioni. Attraverso il meccanismo di evitamento si ottengono benefici
immediati e rinunciarvi significa essere disposti a sopportare molti disagi; per
questo motivo è fondamentale che il paziente sia veramente motivato a modificare lo schema e tenga continuamente presenti le conseguenze negative a lungo
termine che ne derivano.
La relazione terapeutica
Gli schemi, gli stili di coping e i mode che il terapeuta deve valutare ed esaminare emergono anche dalla sua relazione con il paziente. La relazione terapeutapaziente, infatti, costituisce un potenziale antidoto, sebbene parziale, agli schemi:
il paziente interiorizza il terapeuta come un adulto funzionale che contrasta gli
schemi e cerca di aiutarlo a raggiungere una vita affettiva soddisfacente.
Nella Schema Therapy, risultano particolarmente importanti due caratteristiche della relazione terapeutica: l’atteggiamento di confronto empatico del terapeuta
50
Schema Therapy
e l’utilizzo di una funzione di parziale reparenting. Nel confronto empatico il terapeuta si pone in atteggiamento di empatia nei confronti degli schemi che si attivano nel paziente durante le sedute e allo stesso tempo sottolinea come le reazioni
del paziente rispecchino gli schemi e i relativi stili di coping e, di conseguenza,
siano spesso distorte o disfunzionali. La funzione di reparenting prevede che il
terapeuta, nei limiti del rapporto terapeutico, fornisca al paziente ciò di cui aveva
bisogno ma che non ha ricevuto dai genitori durante l’infanzia. Approfondiremo
questi aspetti della relazione terapeutica in seguito.
UN CONFRONTO TRA LA SCHEMA THERAPY
E ALTRI MODELLI
L’approccio concettuale e terapeutico della Schema Therapy si sviluppa sulla
base di una filosofia di apertura e integrazione. Nella complessa rete di modelli
e protocolli terapeutici, praticare la Schema Therapy significa cercare di trovare
la soluzione più adatta al problema senza curarsi di etichette e definizioni; poco
importa se l’approccio sarà definito cognitivo-comportamentale, psicodinamico
o della Gestalt, ciò che conta è che sia efficace. L’aspetto centrale della Schema
Therapy, infatti, è l’attenzione costantemente puntata sui cambiamenti significativi che il paziente riesce o meno ad ottenere. Il senso di libertà che questo
atteggiamento genera nei pazienti e nei terapeuti ha contribuito ad allentare la
schematicità della seduta terapeutica, promuovendo una maggiore autonomia nei
contenuti del colloquio, nella scelta degli interventi e nelle modalità di attuazione
di essi. Inoltre, il modello lascia molto spazio allo stile personale del terapeuta.
La Schema Therapy, tuttavia, non è da considerarsi una terapia eclettica, se con
questo termine si vuole intendere un approccio che procede per tentativi e per errori; essa si basa, piuttosto, su una teoria combinata, i cui elementi concettuali e le
cui strategie si fondono armonicamente in un modello sistematico e strutturato.
La conseguenza di questo atteggiamento di totale apertura è che alcuni aspetti
del modello degli schemi coincidono con quelli di molti altri modelli di psicopatologia e psicoterapia, tra cui l’approccio cognitivo-comportamentale, costruttivista,
psicodinamico, delle relazioni oggettuali e della Gestalt. Tuttavia la Schema Therapy ha in comune con questi modelli soltanto determinati elementi e non coincide mai totalmente con nessuno di essi; anzi essa si differenzia da ognuno per altri
fattori fondamentali, che determinano la singolarità del suo sistema concettuale.
Nel prossimo paragrafo, verranno evidenziate alcune delle principali somiglianze e differenze riscontrate tra la Schema Therapy e la recente riformulazione
dell’approccio cognitivo-comportamentale operata da Beck e verrà fatto cenno
ad altri approcci terapeutici che hanno in comune con la Schema Therapy alcuni
aspetti rilevanti.
La riformulazione del modello di Beck
Beck e i suoi collaboratori (Beck et al., 1990; Alford e Beck, 1997) hanno for-
Schema Therapy: il modello teorico
51
mulato, a partire dalla terapia cognitiva, un approccio specifico per il trattamento
dei disturbi di personalità. Secondo questo modello la personalità è un “pattern
specifico di processi sociali, motivazionali e cognitivo-affettivi” (Alford e Beck,
1997, pag. 25); essa comprende il comportamento, i processi cognitivi, le risposte
emotive e i bisogni motivazionali.
La personalità è determinata da “strutture idiosincratiche” o schemi, che ne
costituiscono gli elementi base. Secondo Alford e Beck (1997), il concetto di
schema potrebbe “fornire un linguaggio condiviso, capace di facilitare l’integrazione di alcuni approcci psicoterapici” (pag. 25) mentre le “credenze di base”
rappresenterebbero il significato, o la parte cognitiva, di uno schema.
Beck ha elaborato, inoltre, un suo specifico concetto di mode (Beck, 1996),
che rappresenta una struttura integrata, composta da elementi cognitivi, affettivi,
motivazionali e comportamentali. I mode possono comprendere molti schemi
cognitivi, scatenano nel soggetto intense reazioni psicologiche e sono orientati al
raggiungimento di obiettivi specifici. Così come gli schemi, i mode sono sostanzialmente automatici e si manifestano in seguito ad un’attivazione. Un soggetto
vulnerabile dal punto di vista cognitivo esposto a stress intenso può sviluppare
una sintomatologia strettamente correlata ad un determinato mode.
Secondo Beck (Alford e Beck, 1997), i mode sono formati da schemi, che a
loro volta contengono ricordi, strategie di problem solving, immagini e linguaggio; essi attivano delle “strategie che permettono all’individuo di mettere in atto le
abilità elementari di sopravvivenza, come la capacità di difendersi dai predatori”
(pag. 27). Ogni individuo sviluppa specifici mode, in base alle proprie caratteristiche genetiche e agli influssi sociali e culturali che riceve.
Beck (1996, pag. 9) afferma inoltre che quando uno schema viene attivato non
si verifica necessariamente l’attivazione del mode corrispondente: nonostante siano attive le componenti cognitive di uno schema, potrebbero non riscontrarsi nel
paziente le corrispettive componenti affettive, motivazionali o comportamentali.
Attraverso la terapia, il paziente impara ad utilizzare il proprio pensiero cosciente per disattivare i mode; attribuendo agli eventi attivanti un significato diverso, il paziente ne dà un’interpretazione nuova che risulta del tutto incompatibile
con il mode.
Un’accurata revisione della letteratura ci permette di affermare che Beck non
chiarisce, se non in modo molto generico, quale sia la differenza sostanziale tra le
tecniche di modificazione degli schemi e dei mode e quelle proposte dalla terapia
cognitiva standard. Alford e Beck (1997) considerano la relazione terapeutica uno
strumento attivo della terapia, e affermano perfino che un lavoro strutturato con
le tecniche immaginative sia in grado di alterare le strutture cognitive mediante
la comunicazione “diretta con il livello esperienziale (il sistema automatico), attraverso il suo specifico mediatore: la fantasia” (pag. 70). Tuttavia, non indicano
delle strategie dettagliate o specifiche per modificare gli schemi e i mode.
In ultima analisi, Beck et al., nel 1990, hanno elaborato una definizione di
52
Schema Therapy
strategie cognitive e comportamentali che sembra combaciare con quella che la
Schema Therapy propone per gli stili di coping: un individuo psicologicamente
sano affronta le varie situazioni della vita quotidiana adottando strategie cognitive
e comportamentali adattive, mentre un soggetto con disturbi psicologici si avvale
di risposte rigide e disfunzionali per affrontare le situazioni nell’ambito delle quali
risulta più vulnerabile.
A livello concettuale, il modello cognitivo revisionato da Beck ha molti aspetti
in comune con l’attuale versione della Schema Therapy. Entrambi i modelli, per
definire e comprendere la personalità, si basano su due strutture principali alquanto complesse: gli schemi e i mode. Entrambi considerano fattori importanti
della personalità i processi cognitivi, motivazionali e affettivi, le caratteristiche
genetiche, i meccanismi di coping e gli influssi culturali. Infine, entrambe le teorie
sottolineano la necessità di focalizzare l’attenzione sia sugli aspetti consci che su
quelli inconsci della personalità.
Più difficile, invece, è individuare le differenze tra i due modelli: si tratta, infatti, di sottili discrepanze riscontrabili nella diversa importanza attribuita ad alcuni aspetti teorici, più che in reali contrapposizioni riguardanti settori specifici
dell’elaborazione concettuale. Nella definizione di schema maladattivo precoce è
possibile riscontrare chiaramente elementi caratteristici degli schemi e dei mode
di Beck (1996): la definizione youngiana di schema comprende sia la struttura che
il contenuto dello schema elaborato da Beck; inoltre, per entrambi i modelli, sono
coinvolte, durante l’attivazione degli schemi, componenti affettive, motivazionali
e comportamentali.
Nella teoria di Beck, il concetto di attivazione del mode è molto simile a quello
che Young propone riguardo all’attivazione dello schema. Non è chiaro il motivo
per il quale Beck (1996) avverta l’esigenza di differenziare gli schemi dai mode, attribuendo ai due termini definizioni diverse. Secondo la nostra opinione il concetto di mode di Beck potrebbe essere facilmente ampliato in modo da incorporare
gli elementi di uno schema (o viceversa). Forse Beck, nel suo modello revisionato,
ritiene opportuno distinguere lo schema dal mode per sottolineare che quest’ultimo rappresenta un meccanismo evoluzionistico di sopravvivenza, mentre il concetto di schema, rimanendo pressappoco quello proposto nel modello cognitivo
originale (Beck, 1976), è più strettamente connesso a costrutti cognitivi di altro
tipo, come i pensieri automatici e le credenze di base.
In realtà, il concetto di mode formulato da Young è sovrapponibile solo in
parte a quello elaborato da Beck. Infatti, mentre Beck ha sviluppato il suo concetto di mode (1996) per spiegare le intense reazioni psicologiche associate alla
sopravvivenza e al raggiungimento dei propri obiettivi, Young ha elaborato il modello centrato sul concetto di mode allo scopo di operare una distinzione tra gli
schemi e gli stili di coping intesi come tratti (modelli coerenti e stabili nel tempo)
e gli schemi e gli stili di coping intesi come stati (modelli variabili di attivazione
e disattivazione). In questo senso, il concetto di mode proposto da Young è più
Schema Therapy: il modello teorico
53
strettamente connesso ai concetti di dissociazione e di “stato mentale” che al
concetto di mode proposto da Beck.
I due modelli che stiamo considerando presentano, inoltre, a livello concettuale, un’altra sostanziale differenza: sebbene entrambi prendano in considerazione il
concetto di stili di coping, ben diversa è l’enfasi che l’uno e l’altro vi attribuiscono.
Infatti Beck elabora il concetto di strategie disadattive di coping (Beck et al., 1990)
ma non lo inserisce tra gli elementi fondamentali del suo modello revisionato
(Beck, 1996; Alford e Beck, 1997), mentre Young attribuisce agli stili di coping un
ruolo fondamentale nel mantenimento degli schemi. Appare evidente, dunque, il
netto contrasto tra la funzione centrale che Young attribuisce ai meccanismi di
resa, evitamento e ipercompensazione degli schemi e il ruolo marginale in cui essi
sono relegati da Beck.
La Schema Therapy e la terapia cognitiva, inoltre, conferiscono ai bisogni primari e alle fasi dello sviluppo un’importanza decisamente diversa: Beck e i suoi
colleghi, pur sostenendo in termini generali che i bisogni motivazionali e le influenze che un individuo subisce durante l’infanzia hanno un ruolo centrale nel
determinare la personalità, non si addentrano nella spiegazione di quali siano i
bisogni primari, né di come specifiche esperienze vissute nell’infanzia favoriscano
l’instaurarsi di uno schema o di un mode.
Dopo aver analizzato le convergenze/divergenze concettuali dei due modelli,
prendiamo ora in considerazione gli aspetti che riguardano l’approccio terapeutico elaborato dai due studiosi. Cominciamo dagli elementi comuni. Non sorprende, infatti, che il percorso di trattamento previsto dalla Schema Therapy presenti
diversi elementi che si possono sovrapporre a quello della terapia cognitiva; d’altra
parte, la principale influenza che Young ha ricevuto nell’elaborare la sua teoria deriva proprio dall’approccio cognitivo di Beck. Tanto per cominciare, l’importanza
di una stretta collaborazione tra il paziente e il terapeuta e la necessità che il terapeuta assuma un ruolo attivo nel gestire sia le singole sedute che l’iter terapeutico
sono elementi che assumono un ruolo centrale in entrambi i percorsi terapeutici.
Inoltre, sia Young che Beck considerano l’empirismo collaborativo fondamentale
per il cambiamento cognitivo; pertanto, in entrambi i trattamenti, i pazienti vengono incoraggiati a modificare i pensieri per renderli più rispondenti alla realtà,
sulla base delle prove empiriche che essi stessi sono invitati a trarre dalla vita quotidiana. Anche le tecniche utilizzate per favorire il cambiamento dei pensieri e dei
comportamenti risultano spesso comuni ad entrambi i trattamenti: un esempio
possono essere i diari di registrazione dei pensieri e le prove comportamentali. Lo
stesso possiamo dire per le strategie di cambiamento delle distorsioni cognitive e
delle convinzioni di base, dei pensieri automatici e dei loro assunti sottostanti, che
vengono insegnate ai pazienti in entrambi gli approcci terapeutici.
La Schema Therapy e la terapia cognitiva sottolineano entrambe l’importanza
di spiegare al paziente i rispettivi modelli terapeutici, per consentirgli di partecipare al processo terapeutico ad un livello paritario. In entrambi i trattamenti il
54
Schema Therapy
terapeuta condivide la concettualizzazione del caso con il paziente e lo incoraggia
a leggere materiale di auto-aiuto relativo all’approccio specifico; entrambi attribuiscono un ruolo centrale ai compiti a casa e a quelli di auto-aiuto per aiutare il
paziente ad applicare alla vita quotidiana ciò che ha imparato durante le sedute;
entrambi, per facilitare l’apprendimento, prevedono l’insegnamento di strategie
pratiche che consentano al paziente di gestire in maniera funzionale le situazioni
della vita reale, piuttosto che lasciargli il compito di capire da solo come applicare
i principi cognitivo-comportamentali.
Nonostante questo lungo elenco di elementi comuni, la terapia cognitiva e
la Schema Therapy presentano, nell’approccio terapeutico, anche sostanziali differenze. La maggior parte di esse scaturisce dalla diversità dell’intento con cui
le tecniche sono state concepite: il trattamento proposto dalla terapia cognitiva,
infatti, risponde allo scopo di ridurre i sintomi correlati ai disturbi di Asse I,
mentre le strategie della la Schema Therapy sono state orientate fin dall’inizio
verso i disturbi di personalità e le problematiche croniche. La nostra esperienza
ci insegna che esistono differenze sostanziali tra le tecniche di cambiamento che
operano efficacemente per la riduzione dei sintomi e quelle che agiscono sulla
modificazione della personalità.
Innanzitutto la Schema Therapy effettua un percorso che va dal basso verso
l’alto e non viceversa: il processo terapeutico, infatti, parte dall’analisi degli aspetti
più “profondi” per arrivare ai livelli più “superficiali”. In altre parole, il terapeuta
comincia ad analizzare il nucleo primario della psicopatologia, ovvero gli schemi, per creare poi, gradualmente, le associazioni con le cognizioni più accessibili
come i pensieri automatici e le distorsioni cognitive. Al contrario, i terapeuti cognitivisti partono dalle cognizioni più “superficiali”, quali i pensieri automatici, e
affrontano solo in un secondo momento le convinzioni primarie; ammesso, naturalmente, che il paziente sia disposto a continuare la terapia una volta ottenuta
la riduzione dei sintomi.
Questo approccio “capovolto” genera, nella Schema Therapy, un netto spostamento di attenzione: al centro del trattamento non vi sono più gli aspetti della
vita presente del paziente, ma i pattern storici e consolidati che hanno caratterizzato la sua esistenza. Le conseguenze di questo atteggiamento si avvertono anche a livello strutturale, in quanto l’approccio terapeutico assume caratteristiche
meno rigide e le sedute attenuano la loro formale schematicità. Il terapeuta avverte l’esigenza di spaziare liberamente e senza restrizioni dal presente al passato e
da uno schema all’altro, durante la singola seduta, come nelle dinamiche generali
del percorso terapeutico. Diametralmente opposto, invece, è il punto di partenza
della terapia cognitiva: i problemi attuali del paziente e la sua sintomatologia costituiscono, infatti, il cuore del trattamento almeno fino a quando non se ne sia
ottenuta una notevole riduzione. Inoltre, la terapia cognitiva attribuisce un ruolo
secondario agli schemi, agli stili di coping e ai mode, che nella Schema Therapy
sono, invece, considerati obiettivi primari.
Schema Therapy: il modello teorico
55
Proprio in considerazione della centralità che la Schema Therapy attribuisce
agli schemi e agli stili di coping, Young ha elaborato diciotto specifici schemi precoci e tre principali stili di coping che costituiscono le fondamenta su cui si basa
gran parte del trattamento. Gli schemi e gli stili di coping vengono inizialmente
stabiliti in modo generico e poi, durante la terapia, definiti in modo più specifico
per adattarli al singolo paziente. In questo modo, il terapeuta ha a disposizione
strumenti efficaci per identificare gli schemi e i comportamenti di coping del
paziente, che potrebbero sfuggire utilizzando le tradizionali tecniche cognitive di
valutazione. Un esempio lampante, a questo proposito, è lo schema Deprivazione
emotiva, che è relativamente facile da identificare con le tecniche immaginative,
ma molto difficile da riconoscere attraverso l’indagine dei pensieri automatici e
degli assunti di base.
Analizzando le differenze tra i due approcci terapeutici, non si può non tenere in considerazione la diversa importanza che essi attribuiscono alle origini
dei disturbi nell’infanzia e agli stili genitoriali. La terapia cognitiva non si occupa di individuare riferimenti specifici riguardo alle origini dei pensieri, incluse le
convinzioni di base; nell’ambito della Schema Therapy, al contrario, sono state
identificate le origini più comuni di ognuno dei 18 schemi ed è stato sviluppato
uno strumento per procedere alla loro valutazione. L’approccio terapeutico della
Schema Therapy prevede, infatti, che il terapeuta spieghi al paziente le origini
degli schemi, per fargli comprendere quali sono i bisogni primari di un bambino
e cosa accade se essi non vengono soddisfatti. Il terapeuta ha il compito di individuare i collegamenti fra gli schemi che, fra i diciotto della lista, risultano più rilevanti nel paziente e la loro origine nell’infanzia. Alla definizione e alla spiegazione
delle origini degli schemi, la Schema Therapy affianca un percorso di tecniche
esperienziali per il superamento delle esperienze traumatiche dell’infanzia: queste
tecniche aiutano il paziente a superare le emozioni, i pensieri e i comportamenti
di coping disadattivi. Nella terapia cognitiva standard, al contrario, tutto questo
non si verifica in quanto essa si occupa solo in modo marginale delle esperienze
legate all’infanzia.
Ancora un’altra, fondamentale differenza distingue i due approcci terapeutici di
cui ci stiamo occupando. Parliamo della diversa importanza che essi attribuiscono
alle procedure esperienziali, come le tecniche immaginative e i dialoghi associati. Un
ristretto numero di terapeuti ad indirizzo cognitivo ha iniziato ad avvalersi di questo
tipo di tecniche (Smucher e Dancu, 1999), ma la terapia cognitiva in genere non
le considera aspetti centrali del percorso terapeutico e se ne serve principalmente
per le prove comportamentali. Gran parte delle sedute di Schema Therapy, invece,
sono dedicate all’attuazione di queste tecniche, in quanto esse sono considerate
uno dei quattro elementi indispensabili per il trattamento. Il motivo della riluttanza
da parte dei terapeuti ad indirizzo cognitivo ad utilizzare in modo più diffuso le
tecniche esperienziali è di difficile comprensione, se si considera che nella letteratura cognitiva è ampiamente accettata l’idea per cui le “cognizioni calde” (che si
56
Schema Therapy
presentano quando il paziente prova uno stato affettivo di notevole intensità) sono
più facilmente modificabili delle “cognizioni fredde” (che si presentano quando lo
stato affettivo è neutro) e se si considera il fatto che le tecniche esperienziali, a volte,
si rivelano l’unico modo per stimolare le “cognizioni calde” durante la seduta.
Il ruolo della relazione terapeutica costituisce un’altra delle sostanziali differenze tra la Schema Therapy e la terapia cognitiva: entrambe ne riconoscono
l’importanza a fini terapeutici, ma ne fanno un utilizzo molto diverso. Il rapporto
terapeuta-paziente è considerato, nell’ambito della terapia cognitiva, quasi esclusivamente uno strumento per motivare il paziente a seguire la procedura terapeutica (ad esempio, per completare i compiti a casa); pertanto il terapeuta cognitivo
focalizza la sua attenzione sul rapporto con il paziente solo quando la relazione
terapeutica sembra costituire un ostacolo al progredire del trattamento. In questo
modo essa diventa un mero strumento di mediazione che ha lo scopo di favorire
la realizzazione del cambiamento, ma non le viene riconosciuto alcun ruolo come
strumento per il cambiamento stesso. Usando un’analogia medica, si potrebbero
considerare le tecniche cognitive come i “principi attivi” per il cambiamento e la
relazione terapeutica come il “veicolo” che consente ai principi attivi di agire.
Nella Schema Therapy, il rapporto terapeuta-paziente costituisce, invece, una
delle quattro componenti necessarie per il cambiamento. Come abbiamo già detto,
la Schema Therapy utilizza la relazione terapeutica in due modi: il primo consiste
nell’osservazione da parte del terapeuta degli schemi che si manifestano durante le
sedute e nell’utilizzo di un’ampia gamma di procedure per valutare e modificare gli
schemi nell’ambito della relazione terapeutica; il secondo coincide con l’assunzione di una funzione di parziale reparenting da parte del terapeuta. In questo modo
la relazione terapeutica si traduce in “un’esperienza emotiva correttiva” (Alexander
e French, 1946). Il terapeuta, nei limiti consentiti dal suo ruolo, fornisce al paziente
una parziale compensazione ai bisogni primari di cui è stato privato da bambino.
In termini di stile, il terapeuta che pratica la Schema Therapy utilizza il confronto empatico più che l’empirismo collaborativo; il terapeuta cognitivo, invece,
si serve della scoperta guidata per aiutare i pazienti ad individuare le distorsioni cognitive. Per esperienza sappiamo che i pazienti con tratti patologici di personalità
non riescono, di solito, a trovare delle alternative funzionali e realistiche agli schemi
senza la guida diretta del terapeuta. Gli schemi sono così radicati e profondi che
l’indagine empirica e le domande, da sole, non bastano per far comprendere ai
pazienti quali distorsioni cognitive presentano. Per questo, nella Schema Therapy,
il terapeuta assume un atteggiamento empatico nei confronti del punto di vista
dello schema, ma gli dimostra, contemporaneamente, che quel punto di vista non
è funzionale e non è in linea con la realtà oggettiva. Il terapeuta deve costantemente mettere il paziente di fronte a questa realtà, per evitare che torni ad assumere
la prospettiva disfunzionale dello schema. Come diciamo ai nostri pazienti: “lo
schema combatte per la sopravvivenza”. L’idea di ingaggiare la battaglia contro gli
schemi, invece, non è tra gli obiettivi primari della terapia cognitiva.
Schema Therapy: il modello teorico
57
Poiché gli schemi sono molto più resistenti al cambiamento rispetto agli altri
livelli di cognizione, il trattamento dei disturbi di Asse II con la Schema Therapy
richiede un tempo molto più lungo di quello necessario per il trattamento dei sintomi di Asse I con la terapia cognitiva. Tuttavia non è chiaro se questa differenza
di durata resti valida anche nel caso in cui il l’approccio cognitivo standard venga
utilizzato per il trattamento dei disturbi di Asse II.
Sia nella concettualizzazione del caso che nell’attuazione delle strategie,
l’obiettivo principale della Schema Therapy è modificare i pattern cronici disfunzionali, più che i singoli comportamenti disadattivi utilizzati dal paziente nel presente (sebbene sia necessario modificare entrambi). I terapeuti cognitivi, invece,
concentrandosi sulla rapida riduzione dei sintomi, tendono a focalizzarsi molto
meno sui problemi radicati, come la scelta disfunzionale del compagno, le delicate
problematiche dell’intimità e l’evitamento dei fondamentali cambiamenti di vita;
essi pongono in secondo piano anche l’analisi dei bisogni primari insoddisfatti,
come l’assenza di attenzioni e di conferme. In linea con questo atteggiamento, i
terapeuti cognitivi tendono ad attribuire un’importanza secondaria anche all’identificazione e al cambiamento degli stili di coping radicati, come i meccanismi di
evitamento, di resa e di ipercompensazione. Eppure, secondo la nostra esperienza, sono proprio questi meccanismi (e non soltanto le convinzioni primarie o
gli schemi) che spesso rendono così difficile il trattamento dei pazienti affetti da
disturbi di personalità.
Ulteriori differenze fra i due approcci terapeutici si possono rilevare nell’utilizzo del concetto di mode a cui abbiamo accennato in precedenza. Infatti, sebbene
esso si possa riscontrare in entrambi gli orientamenti, tuttavia la terapia cognitiva
non ha ancora proposto delle tecniche per intervenire sui mode disfunzionali,
mentre la Schema Therapy ha già identificato i dieci mode più comuni (secondo
la definizione di mode elaborata da Young, che abbiamo citato precedentemente)
e ha sviluppato una gamma completa di strategie terapeutiche, come i dialoghi
tra i mode, per il trattamento di ognuno di essi. Inoltre la Schema Therapy pone
il lavoro incentrato sui mode come base del percorso terapeutico per i pazienti
affetti da disturbi di personalità borderline e narcisista.
Gli approcci psicodinamici
La Schema Therapy presenta diverse caratteristiche simili ai modelli terapeutici psicodinamici: i due approcci condividono in particolare la ricerca nell’infanzia
delle origini delle problematiche presenti e la centralità della relazione terapeutica.
Per quanto riguarda quest’ultima, il modello psicodinamico moderno si è orientato verso un approccio empatico e verso l’instaurazione di una relazione terapeutica aperta e sincera (cfr., Kohut, 1984; Shane, Shane e Gales, 1997), avvicinandosi
in tal senso alla Schema Therapy e all’enfasi da essa posta sul confronto empatico
e sulla funzione di reparenting nel contesto della relazione terapeutica. Entrambi
gli approcci tengono in considerazione il concetto di insight e sottolineano la
58
Schema Therapy
necessità di un’elaborazione emotiva del materiale associato alle esperienze traumatiche, invitano il terapeuta a considerare con attenzione le problematiche associate al transfert e al controtransfert e affermano l’importanza della struttura
della personalità, sostenendo che proprio nel tipo di struttura che ogni paziente
presenta è possibile trovare la chiave per una terapia efficace.
Anche tra la Schema Therapy e gli approcci psicodinamici esistono, comunque, differenze rilevanti. Nonostante esistano orientamenti più moderni, a cui abbiamo accennato prima, è necessario sottolineare che gli psicoanalisti tradizionali
da sempre cercano di conservare, nella relazione terapeutica, un atteggiamento
neutrale che si discosta notevolmente dal ruolo attivo previsto dalla Schema Therapy, in cui il terapeuta si pone alla guida del percorso terapeutico. Inoltre, molti
approcci psicodinamici non prevedono la funzione di parziale reparenting che,
nella Schema Therapy, il terapeuta assume nei confronti del paziente, per soddisfare almeno in parte quei bisogni emotivi precedentemente trascurati e favorire
la correzione degli schemi.
Un’altra differenza non trascurabile consiste nel fatto che, contrariamente alle
teorie analitiche classiche, il modello degli schemi non è una teoria basata sulle
pulsioni. La teoria degli schemi non focalizza l’attenzione sugli impulsi istintuali
della sessualità e dell’aggressività, ma pone l’enfasi sui bisogni emotivi primari, basandosi sul principio di coerenza cognitiva, secondo il quale ogni persona
tende a mantenere una visione coerente di se stessa e degli altri e a interpretare
le varie situazioni in modo tale che confermino gli schemi. Da questo punto di
vista, la Schema Therapy si può definire più come un modello cognitivo che psicodinamico. Laddove la psicoanalisi individua meccanismi di difesa sviluppati per
contrastare i desideri istintuali, la Schema Therapy scorge stili di coping generati
come conseguenza degli schemi e dei bisogni emotivi insoddisfatti. Il modello
degli schemi proclama l’assoluta normalità e funzionalità dei bisogni emotivi che
il paziente tenta di soddisfare.
Per concludere, la terapia psicodinamica tende a essere meno flessibile rispetto
alla Schema Therapy: è raro che i terapeuti che seguono il modello psicodinamico
assegnino al paziente dei compiti da svolgere fuori dalle sedute, o che utilizzino le
tecniche immaginative o i role-playing.
La teoria dell’attaccamento di Bowlby
La teoria dell’attaccamento, basata sul lavoro di Bowlby e Ainsworth (Ainsworth e Bowlby, 1991), ha avuto un impatto notevole sulla Schema Therapy,
in particolare per lo sviluppo dello schema dell’Abbandono e del concetto di
disturbo borderline di personalità. Bowlby ha formulato la teoria dell’attaccamento basandosi sui modelli etologici e psicoanalitici. Questa teoria si basa su
un assunto di base: gli esseri umani (come altri animali) sono dotati di un istinto
di attaccamento che li porta a stabilire una relazione stabile con la madre (o con
altre figure di attaccamento). Nel 1969, Bowlby condusse degli studi empirici sui
Schema Therapy: il modello teorico
59
bambini separati dalla madre, grazie ai quali poté identificare dei pattern universali di risposte. Nel 1968, Ainsworth sviluppò l’idea secondo la quale la madre
costituisce la base sicura da cui il neonato inizia a esplorare il mondo e dimostrò
l’importanza della sensibilità materna verso i segnali del figlio. Questo concetto di madre come base sicura è stato utilizzato nella Schema
Therapy per definire la nozione di funzione di parziale reparenting. I pazienti
affetti da disturbo borderline (e da altri disturbi più gravi), traggono dalla funzione di reparenting che il terapeuta assume nei loro confronti un antidoto, seppur
parziale, allo schema dell’Abbandono. In questo modo, il terapeuta, senza mai
travalicare i limiti del suo ruolo, diventa quella base affettiva sicura che il paziente
non ha mai avuto. In un certo senso, si può dire che per quasi tutti i pazienti con
schemi nel dominio Distacco e rifiuto (escluso lo schema dell’Esclusione sociale)
è necessario che il terapeuta diventi una base sicura.
Il modello degli schemi, rifacendosi a Bowlby, sostiene che lo sviluppo emotivo del bambino si realizza attraverso il passaggio dall’attaccamento all’autonomia
e al raggiungimento della propria identità. Bowlby (1969, 1973, 1980) afferma che
la necessità di un legame sicuro con la madre (o altre figure di attaccamento) è
un bisogno emotivo di base che precede e promuove l’indipendenza del soggetto.
Secondo Bowlby, è prevedibile che un bambino amato dai genitori protesti vivamente se viene separato da loro ma che, nel corso del tempo, sviluppi una maggiore sicurezza in se stesso. Esperienze familiari estremamente dolorose, come la
perdita o la ripetuta minaccia di abbandono da parte di uno dei genitori possono
generare un’eccessiva ansia da separazione. In alcuni casi, sottolinea Bowlby, quest’ansia si manifesta in modo non accentuato, generando una falsa impressione di
maturità. La continua sostituzione delle figure di attaccamento può determinare
l’incapacità di costruire dei rapporti basati su una sincera intimità.
Nel 1973, Bowlby ipotizzò che negli esseri umani sia in atto una dinamica di
bilanciamento tra il mantenimento di ciò che è familiare e la ricerca di ciò che è
ignoto. Per dirla con Piaget (1962), l’individuo tende a mantenere l’equilibrio tra il
meccanismo di assimilazione (l’inserimento di nuovi dati nelle strutture cognitive
esistenti) e quello di accomodamento (l’adattamento delle strutture cognitive esistenti ai nuovi dati). Gli schemi maladattivi precoci interferiscono con questo equilibrio. Le persone intrappolate nei loro schemi interpretano erroneamente, distorcono e sminuiscono i dati e le prove acquisiti attraverso le nuove esperienze che
potrebbero correggere le distorsioni causate dagli schemi stessi; le nuove informazioni vengono così assimilate in modo da mantenere intatti gli schemi. L’assimilazione, dunque, coincide con il concetto di mantenimento dello schema sviluppato
dalla Schema Therapy. Pertanto l’obiettivo della terapia è di aiutare il paziente a far
sì che le nuove esperienze che contengono prove contrarie agli schemi provochino
un accomodamento di essi e ne favoriscano il processo di correzione.
Nel 1973, Bowlby elaborò il concetto di modelli operativi interni che coincide con la nostra definizione di schemi maladattivi precoci. I modelli operativi
60
Schema Therapy
interni di un soggetto si basano, come gli schemi, principalmente sui pattern di
interazione esistenti tra il bambino e la madre (o altre figure di attaccamento). Se
la madre risponde al bisogno di protezione del figlio e, allo stesso tempo, rispetta il suo bisogno d’indipendenza, il bambino svilupperà un modello operativo
interno di sé improntato sulla validità e l’efficienza. Se, al contrario, la madre
ignora frequentemente i tentativi del figlio di ottenere protezione e indipendenza,
il bambino costruirà un modello operativo interno di sé basato sull’inadeguatezza
e l’inefficienza.
È attraverso il modello operativo interno che il bambino prevede il comportamento delle figure di attaccamento e prepara le proprie risposte; per questo,
lo sviluppo di un determinato modello assume un’importanza fondamentale. In
quest’ottica, gli schemi maladattivi precoci possono essere definiti dei modelli
operativi interni disfunzionali e gli stili di coping possono essere considerati come
le risposte con le quali generalmente il bambino si relaziona alle figure di attaccamento. Sia gli schemi che i modelli operativi controllano l’attenzione e l’elaborazione delle informazioni. Le distorsioni difensive dei modelli operativi interni si
verificano quando il soggetto impedisce a se stesso di acquisire le informazioni a
livello cosciente, precludendosi la possibilità di ottenere un cambiamento come
conseguenza dei nuovi dati acquisiti. Col passare del tempo, attraverso un processo simile a quello di mantenimento degli schemi, i modelli operativi interni
tendono a diventare più rigidi; man mano che i pattern di interazione tra figlio e
genitore si instaurano in modo abituale e automatico, i modelli operativi diventano meno accessibili alla coscienza e più difficili da cambiare, in quanto si stabilizzano in modo sempre più radicato delle aspettative reciproche. Nel 1988, Bowlby
si occupò dell’applicazione della teoria dell’attaccamento alla psicoterapia. Lo studioso osservò che un elevato numero di pazienti presentava dei modelli di attaccamento insicuri o disorganizzati. Uno dei principali obiettivi della psicoterapia
consiste nella rielaborazione dei modelli operativi interni, inadeguati e obsoleti,
che il paziente utilizza nel relazionarsi con le figure di attaccamento e che spesso
vengono messi in atto anche nel rapporto con il terapeuta. Inizialmente la terapia
si incentra sulla comprensione dell’origine dei modelli operativi disfunzionali e,
successivamente, il terapeuta assume una funzione di base sicura da cui il paziente può esplorare la sua realtà e rielaborare i modelli disfunzionali. Nella Schema
Therapy, il trattamento dei pazienti si basa sullo stesso principio.
La terapia cognitivo-analitica di Ryle
Nel 1991, Anthony Ryle sviluppò “la terapia cognitivo-analitica”, una terapia
rapida e intensiva che concilia gli aspetti attivi ed educativi della terapia cognitivocomportamentale con i vari approcci psicoanalitici, in particolare quello delle relazioni oggettuali. Ryle propone una struttura concettuale che combina in modo
sistematico le teorie e le tecniche di questi approcci e che, pertanto, si avvicina
molto alla Schema Therapy.
Schema Therapy: il modello teorico
61
L’approccio concettuale di Ryle (1991) è definito “modello di sequenza procedurale”. In questa teoria non sono gli schemi a costituire l’idea centrale, ma
l’“attività diretta a uno scopo”. Secondo Ryle, le nevrosi si identificano con l’utilizzo costante di procedure inefficaci o disfunzionali e con l’incapacità di modificarle. Le procedure responsabili della maggior parte delle nevrosi sono catalogate
in tre categorie: le trappole, i dilemmi e gli ostacoli. Molti dei pattern che Ryle
descrive corrispondono agli schemi e ai relativi stili di coping.
Per quanto riguarda le strategie per il trattamento, Ryle promuove, esattamente come Young, una relazione terapeutica attiva e collaborativa nella quale venga elaborata una concettualizzazione completa e profonda dei problemi
del paziente. Il terapeuta e il paziente, in stretta collaborazione, elaborano la
concettualizzazione del caso, cercano di comprendere in che modo il passato
del paziente abbia portato all’instaurarsi dei problemi del presente e stilano un
elenco delle varie procedure disadattive che il paziente utilizza per affrontare tali
problemi. Nella terapia cognitivo-analitica, le strategie più utilizzate consistono
nel lavoro in seduta, finalizzato a comprendere i temi centrali per il paziente e
nella compilazione di un diario, allo scopo di monitorare le procedure disadattive. Anche la Schema Therapy si avvale di queste due tecniche, ma le associa a
numerose altre strategie.
Il metodo di cambiamento della terapia cognitivo-analitica coinvolge tre
aspetti: nuove comprensioni, nuove esperienze e nuovi comportamenti. Tuttavia,
al centro del trattamento viene collocato il primo aspetto, che è considerato lo
strumento di cambiamento più efficiente. Nel corso della terapia cognitivo-analitica è previsto che il paziente venga aiutato a sviluppare la consapevolezza dei
pattern negativi che utilizza nella vita quotidiana. Ryle, infatti, sottolinea la centralità dell’insight: “La terapia cognitivo-analitica (CAT) pone l’accento in modo
particolare sul potenziamento dei livelli più alti (quelli cognitivi), utilizzando soprattutto un processo di riformulazione che modifica le procedure di valutazione
e promuove l’auto-monitoraggio” (Ryle, 1991, pag. 200).
La Schema Therapy considera l’insight uno strumento necessario, ma non
sufficiente per determinare il cambiamento. Nel trattamento di patologie gravi
quali il disturbo borderline o narcisistico di personalità, l’insight si rivela meno
efficace delle nuove esperienze che il paziente affronta grazie agli approcci esperienziali e comportamentali. Le nuove comprensioni sono considerate da Ryle
(1991) il principale strumento di cambiamento nel trattamento di pazienti borderline. La terapia si basa sull’utilizzo di diagrammi scritti, definiti “riformulazioni
diagrammatiche sequenziali”, che sintetizzano la concettualizzazione del caso. Il
terapeuta dispone questi diagrammi sul pavimento davanti al paziente e, nel corso
del trattamento, fa frequentemente riferimento ad essi, allo scopo di aiutare il paziente affetto da disturbo borderline a sviluppare un “occhio auto-osservatore”.
Notevoli sono le differenze tra la Schema Therapy e la terapia cognitivo-analitica. La Schema Therapy, innanzitutto, è orientata in modo più deciso a favorire il
62
Schema Therapy
cambiamento a livello emotivo; essa, infatti, attribuisce un’importanza nettamente
maggiore all’evocazione dell’affettività e alla funzione di parziale reparenting del
terapeuta, in particolare nel trattamento di pazienti con gravi disturbi di personalità.
Ryle (1991) ammette che, in alcuni casi, le procedure in grado di stimolare l’affettività, come le tecniche della Gestalt o lo psicodramma, potrebbero essere utili per
aiutare il paziente a spostarsi da un piano puramente razionale ad un piano emotivo.
Young, invece, sostiene che le tecniche esperienziali, come quelle delle immagini e
del dialogo associato, siano efficaci per la quasi totalità dei pazienti.
Secondo l’approccio di Ryle, il terapeuta interagisce principalmente con la
parte adulta del paziente, cioè con il suo mode Adulto funzionale, e solo marginalmente con quella infantile, ovvero con il suo mode Bambino vulnerabile. Secondo la Schema Therapy, però, i pazienti borderline sono spesso come bambini
e, pertanto, hanno bisogno di stabilire un legame sicuro con il terapeuta prima di
poter diventare autonomi ed indipendenti.
La terapia degli schemi-persona di Horowitz
Horowitz ha elaborato una struttura nella quale sono integrati vari approcci:
psicodinamico, cognitivo-comportamentale, interpersonale e sistemico-familiare.
Il suo modello sottolinea l’importanza dei ruoli e delle convinzioni basandosi sulla “teoria degli schemi-persona” (Horowitz, 1991; Horowitz, Stinson e Milbrath,
1996). Uno schema-persona è un pattern, generalmente inconscio, costituto dalla
visione che il soggetto ha di se stesso e degli altri, e che scaturisce dalle reminiscenze legate alle esperienze dell’infanzia (Horowitz, 1997). Questa definizione,
dal punto di vista concettuale, è identica a quella di schema maladattivo precoce.
Horowitz, però, focalizza l’attenzione soprattutto sulla struttura generale degli
schemi, mentre Young delinea gli schemi specifici che sono alla base dei principali
stili di vita disfunzionali.
Horowitz (1997) elabora il suo concetto di “modelli di relazione”, associando
ogni singolo ruolo relazionale a: (1) un desiderio o bisogno che ne è alla base (“il
modello di relazione desiderato”); (2) una paura primaria (“il modello di relazione temuto”); (3) i modelli di relazione che il soggetto utilizza per difendersi dal
modello di relazione temuto. Facendo un confronto con la teoria degli schemi,
questi modelli si accostano vagamente ai bisogni emotivi primari, agli schemi maladattivi precoci e agli stili di coping. Horowitz spiega che nel ruolo relazionale del
soggetto sono compresi dei copioni per le interazioni, le intenzioni, l’espressione
delle emozioni e le azioni, e una valutazione critica delle azioni e delle intenzioni.
In questo senso, un ruolo relazionale contiene sia elementi degli schemi che degli
stili di coping. Nella Schema Therapy, invece, gli schemi e gli stili di coping hanno
un sistema concettuale separato, poiché gli schemi non sono associati in maniera
diretta a specifiche azioni. Ogni individuo gestisce uno schema con stili di coping
specifici, che dipendono dal temperamento e da altri fattori.
Nella sua teoria Horowitz (1997) definisce anche il concetto di “stati menta-
Schema Therapy: il modello teorico
63
li” che si avvicina molto al concetto di mode del modello di Young. Uno stato
mentale è “un pattern di esperienze coscienti e modalità relazionali. Espressioni
di idee ed emozioni, sia verbali che non verbali, sono gli elementi che concorrono alla formazione di un pattern, identificabile come stato” (Horowitz, 1997,
pag. 31). Ma Horowitz non colloca questi stati mentali lungo una graduale linea
di dissociazione. Secondo il modello degli schemi, invece, i pazienti più gravi,
come quelli affetti da disturbo borderline o narcisistico, entrano in stati mentali
che annientano totalmente il loro senso d’identità; più che entrare in uno stato
mentale, essi assumono una diversa “identità” o un diverso “mode”. Operare
questa distinzione è importante, in quanto il grado di dissociazione relativo a
un mode comporta necessariamente delle modifiche significative alla procedura
terapeutica.
Horowitz propone, inoltre, il concetto di “processi difensivi di controllo” che
si può associare a quello di stili di coping elaborato da Young. Horowitz identifica
tre categorie principali:
• i processi difensivi che mettono in atto l’evitamento degli argomenti dolorosi attraverso il controllo del contenuto di ciò che è espresso (ad esempio,
spostando l’attenzione o minimizzando l’importanza);
• quelli che mettono in atto l’evitamento attraverso il controllo della modalità di espressione (ad esempio, utilizzando la razionalizzazione verbale);
• quelli nei quali viene utilizzato come strumento di coping il passaggio da
un ruolo all’altro (ad esempio, operando un brusco spostamento da un
ruolo passivo ad uno di comando).
In questa classificazione, Horowitz (1997) include molti dei fenomeni tipici
degli stili di evitamento, resa e ipercompensazione.
Nel corso della terapia, il terapeuta ha il compito di fornire un supporto al
paziente, di combattere l’evitamento spostando l’attenzione della persona in altre
direzioni, di interpretare gli atteggiamenti disfunzionali e la resistenza, di pianificare insieme al paziente la sperimentazione di nuovi comportamenti. Come
nel lavoro di Ryle (1991), l’insight è la parte più importante del trattamento. Il
terapeuta indirizza i pensieri e i discorsi del paziente sui modelli di relazione e sui
processi difensivi, fornendo delle chiarificazioni e delle interpretazioni su di essi.
L’obiettivo consiste nel far sì che nuovi schemi “sopraordinati” acquistino un
ruolo prioritario rispetto a quelli immaturi e maladattivi del paziente.
Dal confronto con la Schema Therapy emerge che l’approccio di Horowitz
(1997) non fornisce delle strategie terapeutiche dettagliate o sistematiche e non
prevede l’utilizzo né di tecniche esperienziali, né di una funzione di parziale reparenting da parte del terapeuta. La Schema Therapy, inoltre, pone maggiore enfasi
sull’attivazione della sfera affettiva e tenta di accedere a quelli che Horowitz (1997)
definisce “stati regressivi” e che Young chiama mode Bambino vulnerabile.
64
Schema Therapy
La terapia centrata sulle emozioni
La terapia centrata sulle emozioni, elaborata da Leslie Greenberg e colleghi
(Greenberg, Rice e Elliott, 1993; Greenberg e Paivio, 1997) prende spunto dai
modelli esperienziali, costruttivisti e cognitivi; come la Schema Therapy, essa è
profondamente influenzata dalla teoria dell’attaccamento e dalla relativa ricerca
in ambito terapeutico.
L’integrazione della sfera emotiva con quella cognitiva, motivazionale e comportamentale rappresenta l’elemento centrale della terapia centrata sulle emozioni. Nel corso del trattamento, la sfera emotiva viene attivata con l’obiettivo di
correggerla; inoltre, gran parte della terapia è orientata ad identificare e ridefinire
gli schemi emotivi, che Leslie Greenberg (Greenberg e Paivio, 1997) definisce
come gruppi di principi organizzativi, dal contenuto idiosincratico, che uniscono
le emozioni, gli obiettivi, i ricordi, i pensieri e le inclinazioni comportamentali.
Gli schemi emotivi deriverebbero dall’interazione tra le primissime esperienze di
apprendimento di un individuo e il suo temperamento innato. Gli schemi costituiscono delle importanti strutture organizzative attraverso le quali il soggetto interpreta la realtà e risponde alle varie circostanze della vita quotidiana. Come per
la Schema Therapy, l’obiettivo centrale della terapia centrata sulle emozioni è la
modificazione degli schemi emotivi. La terapia consente al paziente di accedere a
livello cosciente a “esperienze interne inaccessibili […] per poter costruire nuovi
schemi” (Greenberg e Paivio, 1997, pag. 83).
Inoltre, come la Schema Therapy, anche la terapia centrata sulle emozioni
attribuisce molta importanza allo sviluppo di un’alleanza tra il terapeuta e il paziente; questa alleanza terapeutica viene utilizzata per sviluppare un “dialogo empatico” centrato sulle emozioni, che stimoli e prenda in considerazione le problematiche emotive del paziente. Per riuscire ad instaurare un dialogo di questo tipo,
il terapeuta deve, in primo luogo, creare un senso di sicurezza e fiducia; successivamente, egli ha il compito di impegnarsi a mantenere il delicato equilibrio fra i
due opposti aspetti del suo ruolo, nel quale deve assumere contemporaneamente
la funzione di “sostenitore” e di “guida”. Questo duplice atteggiamento da un
lato permette al terapeuta di favorire e sostenere il cambiamento, dall’altro gli dà
la possibilità di dirigerlo e guidarlo. In questo modo si instaura un processo del
tutto simile a quello che la Schema Therapy si propone di realizzare attraverso il
confronto empatico.
Sia la Schema Therapy che la terapia centrata sulle emozioni riconoscono che
l’attivazione delle emozioni da sola non è sufficiente per determinare dei cambiamenti significativi. La terapia di Leslie Greenberg, per realizzare il cambiamento,
prevede un graduale processo di attivazione emotiva che si realizza attraverso
l’utilizzo di tecniche esperienziali, l’abbandono dei meccanismi di evitamento,
l’interruzione dei comportamenti disfunzionali e la facilitazione di modificazioni
funzionali nella sfera emotiva. Il terapeuta aiuta i pazienti a riconoscere e ad esprimere i propri sentimenti primari, a verbalizzarli e, successivamente, ad accedere
Schema Therapy: il modello teorico
65
alle proprie risorse interiori (come, ad esempio, le risposte adattive di coping).
Inoltre, la terapia centrata sulle emozioni propone interventi diversificati e specifici per le diverse emozioni.
Nonostante le significative somiglianze, i due approcci presentano tuttavia
numerose differenze, sia negli aspetti pratici che in quelli teorici. Una delle principali divergenze si può riscontrare nel ruolo privilegiato che la terapia proposta da
Leslie Greenberg attribuisce all’affettività negli schemi emotivi, in contrasto con
la visione della Schema Therapy, nella quale i fattori cognitivi, comportamentali e
emotivi sono considerati sullo stesso piano. Inoltre Leslie Greenberg sostiene l’esistenza di un “numero infinito di schemi emotivi specifici” (Greenberg e Paivio,
1997, pag. 3), mentre Young ha individuato un numero ben definito di schemi e
stili di coping, associando ad ognuno di essi interventi specifici.
La terapia centrata sulle emozioni organizza gli schemi in una struttura complessa e gerarchica, in base alla quale le emozioni sono classificate in primarie,
secondarie e strumentali e ulteriormente suddivise in: adattive, disadattive, complesse o condizionate dalla società. La tipologia dello schema emotivo determina
obiettivi d’intervento specifici, che tengono conto dell’orientamento interno o
esterno dell’emozione (ad esempio la tristezza in opposizione alla rabbia) e del
livello eccessivo o insufficiente di controllo che il paziente esercita sull’emozione
nella vita presente. Paragonata al più moderato modello degli schemi, la terapia
elaborata da Leslie Greenberg fa gravare sul terapeuta l’impegnativo compito di
analizzare accuratamente le emozioni e di intervenire in maniera diversa e specifica a seconda delle emozioni identificate.
Nella terapia centrata sulle emozioni, il processo di assessment si basa soprattutto sulle informazioni che emergono momento per momento durante le sedute. Nel 1997, Greenberg e Paivio si discostano da questa tecnica affidandosi ad
approcci che si basano sulla concettualizzazione iniziale del caso o su valutazioni
comportamentali. La Schema Therapy propone tuttavia un approccio più articolato: pur avvalendosi delle informazioni raccolte direttamente in seduta, prevede
anche l’uso di procedure di assessment in immaginazione, la somministrazione di
questionari e la costruzione di un’alleanza terapeuta-paziente.
CONCLUSIONI
Nel 1990, Young ha sviluppato la Schema Therapy per il trattamento dei pazienti che non avevano tratto beneficio dalla terapia cognitivo-comportamentale
tradizionale e, in particolar modo, di coloro che presentavano disturbi di personalità o tratti patologici di personalità sottostanti ai disturbi di Asse I. In effetti,
questi pazienti tendono a violare molti degli assunti fondamentali su cui si basa la
terapia cognitivo-comportamentale e, quindi, difficilmente possono essere trattati
efficacemente con questo metodo. Anche se, in seguito alle revisioni apportate
da Beck e colleghi, la terapia cognitiva per il trattamento dei disturbi di personalità (Beck et. al., 1990; Alford e Beck, 1997) risulta più coerente con il modello
66
Schema Therapy
della Schema Therapy, tra i due approcci permangono differenze significative,
soprattutto riguardo all’enfasi attribuita ai vari aspetti concettuali e alla gamma di
strategie terapeutiche utilizzate.
La Schema Therapy presenta un sistema concettuale articolato e integrato;
proprio questa sua caratteristica di apertura agli stimoli provenienti da altre teorie
rende il modello degli schemi parzialmente sovrapponibile a molti altri modelli di
psicoterapia, compresi quelli psicodinamici. Tuttavia, la maggior parte di questi
approcci risulta limitata rispetto alla Schema Therapy, sia nel modello concettuale che nella molteplicità di strategie terapeutiche adoperate. Altre differenze si
riscontrano nella relazione terapeuta-paziente, nello stile e nell’impostazione del
terapeuta e nel diverso equilibrio tra funzione attiva e funzione direttiva che egli
assume nella terapia.
Gli schemi maladattivi precoci (SMP) sono modelli articolati e pervasivi, riguardanti la visione che l’individuo ha di se stesso e dei suoi rapporti con gli altri,
che si rivelano marcatamente disfunzionali; sono costituiti da ricordi, emozioni,
pensieri e sensazioni somatiche; si sviluppano durante l’infanzia o l’adolescenza
e vengono elaborati successivamente nel corso della vita. In origine, gli SMP
costituiscono una rappresentazione adattiva e relativamente accurata della realtà
con cui il bambino viene a contatto, ma diventano disadattivi e poco accurati
man mano che il bambino cresce. Il bisogno di coerenza, presente in ogni essere
umano, rende gli schemi difficili da modificare; essi, infatti, assumono un ruolo
centrale nella vita del paziente, condizionandone il modo di pensare, di sentire,
di agire e di relazionarsi agli altri. Gli SMP si innescano quando il paziente vive
delle situazioni che in qualche modo richiamano gli eventi dell’infanzia che hanno contribuito a farli nascere: quando ciò avviene, il soggetto viene sopraffatto
da intense emozioni negative. Le ricerche di LeDoux (1996) sui sistemi cerebrali
coinvolti nel trauma e nel condizionamento emozionale lasciano supporre che gli
schemi abbiano delle componenti biologiche.
Gli SMP scaturiscono da bisogni emotivi primari insoddisfatti e, generalmente, si instaurano in seguito ad esperienze dolorose vissute nell’infanzia. Anche
altri fattori, come il temperamento e le influenze culturali, rivestono un ruolo
fondamentale nello sviluppo degli schemi. Sono stati individuati 18 schemi maladattivi precoci che, a loro volta, sono stati suddivisi in cinque domini principali. I diciotto schemi e alcuni domini sono sostenuti da un cospicuo supporto
empirico.
Gli schemi si caratterizzano per due specifiche operazioni: il mantenimento e
la correzione. Quest’ultima è l’obiettivo primario della Schema Therapy. Gli stili
di coping maladattivi sono i meccanismi che il soggetto sviluppa nelle prime fasi
della vita per adattarsi agli schemi e che, nel tempo, contribuiscono al mantenimento degli schemi. Sono stati identificati tre stili di coping maladattivi: la resa,
l’evitamento e l’ipercompensazione. Le risposte di coping sono i comportamenti
specifici attraverso cui gli stili di coping si manifestano. Per ogni schema esistono
Schema Therapy: il modello teorico
67
tipiche risposte di coping. I mode sono gli stati, o aspetti del sé, che coinvolgono
schemi o operazioni specifici. I mode si distinguono in quattro categorie principali: i mode Bambino, i mode Coping disfunzionale, i mode Genitore disfunzionale e il mode Adulto funzionale.
La Schema Therapy si articola in due fasi: la fase di “Assessment e psicoeducazione” e la fase di “Cambiamento”. Nel corso della prima fase, il terapeuta
aiuta il paziente a identificare gli schemi o i mode, a comprenderne le origini,
ricercandole nell’infanzia o nell’adolescenza, e a creare delle associazioni fra essi
e i problemi della vita presente. La seconda fase prevede un utilizzo integrato
di strategie cognitive, esperienziali, comportamentali e interpersonali che hanno
l’obiettivo di correggere gli schemi e sostituire gli stili di coping disadattivi con
modelli di comportamento più funzionali.