1198 ■ PARTE XVI ■ Malattie infettive Sezione 5 — Infezioni batteriche da Gram-negativi Capitolo 190 ■ Neisseria meningitidis (meningococco) Charles R. Woods La malattia meningococcica rappresenta un problema sanitario significativo in tutto il mondo. La maggior parte dei pazienti con infezioni meningococciche nelle nazioni industrializzate sopravvive alla malattia, ma individui precedentemente sani continuano a soccombere per malattia fulminante nonostante i progressi della medicina intensiva. Tali casi, specialmente nel contesto di epidemie di infezione meningococcica in comunità, creano allarme nell’opinione pubblica e non vengono facilmente dimenticati. EZIOLOGIA. La Neisseria meningitidis è un diplococco Gramnegativo. Nei campioni colorati con colorazione di Gram, i microrganismi appaiono come coppie reniformi con i lati adiacenti appiattiti. Gli esseri umani sono il solo serbatoio naturale e i meningococchi sono colonizzatori commensali del nasofaringe, anche se molti ceppi colonizzanti sono ceppi commensali non capsulati non virulenti o scarsamente virulenti. La N. meningitidis è esigente. La crescita è facilitata in ambiente umido a 35-37 °C in un’atmosfera contenente anidride carbonica al 5-10%. La crescita è rapidamente sostenuta da terreni di crescita contenenti cioccolato o sangue e dal terreno di Mueller-Hinton, usati di routine nei laboratori. Nei terreni solidi, le colonie sono trasparenti, non pigmentate e non emolitiche. La N. meningitidis si identifica in base alla capacità di fermentare il glucosio e il maltosio, ma non il saccarosio o il lattosio. Non si formano indolo e anidride solforosa. I meningococchi producono superossidodismutasi e sono ossidasi-positivi a causa di una citocromoossidasi contenuta nella parete cellulare. La parete cellulare presenta lipo-oligosaccaridi contenenti lipide A (LOS), tra cui l’endotossina che è rivestita da una capsula polisaccaridica. La variabilità antigenica della capsula ha portato al riconoscimento di 13 sierogruppi. La grande maggioranza dei casi di malattia meningococcica in tutto il mondo è causata dai sierogruppi A, B, C, W135 e Y. Le proteine poriniche PorB e PorA del complesso della membrana esterna e il LOS sono utilizzati per sottotipizzare i ceppi all’interno dei sierogruppi. I ceppi di meningococco sono definiti in base a uno schema di sierogruppo (polisaccaride capsulare):sierotipi (PorB):sottosierotipo (PorA):immunotipo (LOS). EPIDEMIOLOGIA. L’infezione meningococcica si presenta come malattia endemica inframmezzata da epidemie di casi che appaiono raggruppati sia temporalmente, sia geograficamente. Esiste una leggera predominanza maschile (55%). Il tasso di portatori varia con l’età ed è del 2% circa nei bambini più piccoli che non frequentano la comunità e nel 24-37% nel gruppo di età da 15 a 24 anni. Il tasso di portatori si avvicina al 100% nelle popolazioni chiuse durante le epidemie. Negli Stati Uniti, l’incidenza di malattia meningococcica riportata variava da 0,8 a 1,3/100 000 durante gli anni ’90, con 2100-3500 casi/anno. La malattia invasiva è più comune nei bambini più piccoli, con tassi di 9 casi/100 000 nel 1° anno di vita e 25 casi/100 000 durante i primi 4 mesi di vita. Si osservano occasionalmente casi neonatali. Quasi il 50% dei casi si verifica in bambini 2 anni di età, e un altro 25% in soggetti 30 anni di età. Si osserva un aumento dell’incidenza nei soggetti di 15-19 anni. Le matricole di college che vivono in studentati hanno un rischio 3,6 volte più elevato 180-206ANA.indd 1198 rispetto ai loro coetanei che non frequentano il college. I tassi di colonizzazione aumentano rapidamente durante il 1° anno accademico del college, probabilmente a causa dell’elevato mix sociale. Le persone che compiono pellegrinaggi religiosi, come lo Hajj alla Mecca, hanno un’aumentata prevalenza di colonizzazione a causa delle condizioni di affollamento e successivamente diffondono i meningococchi quando fanno ritorno a casa e nelle comunità locali. Le infezioni virali, in particolare l’influenza, il fumo e l’esposizione al fumo, le condizioni di vita in sovraffollamento, le malattie croniche sottostanti e un basso stato socioeconomico sono associati a un rischio più elevato di infezione da meningococco. A livello domestico, le madri sono le più comuni fonti colonizzate per i bambini infetti. La malattia meningococcica nel bambino può essere associata a una gravidanza materna corrente. Negli Stati Uniti, i casi provocati dai ceppi di sierogruppo Y sono aumentati negli anni ’90 in modo tale che attualmente i sierogruppi B, C e Y comprendono attualmente 1/3 dei casi ciascuno nei gruppi di età oltre l’infanzia. La malattia da sierogruppo B è ancora la più comune nei bambini più piccoli. I sierogruppi B e C restano predominanti in gran parte del resto del mondo. Il sierogruppo A rimane un problema maggiore in gran parte del mondo in via di sviluppo. Molte aree, come Cina e Africa, hanno tassi endemici di malattia di 10-25/100 000 persone con epidemie periodiche (100-500/100 000). La malattia endemica è più comune nei bambini più piccoli, negli adolescenti e nei giovani adulti. Le condizioni di sovraffollamento facilitano la diffusione epidemica. La malattia endemica è causata da ceppi meningococcici eterogenei. Le analisi con diversi metodi di genotipizzazione hanno dimostrato che le epidemie sono causate da ceppi singoli (cloni). La diffusione transcontinentale di cloni epidemici è ben documentata. Le epidemie si definiscono come 3 casi in un periodo di 3 mesi nella stessa comunità e un tasso di attacco che supera i 10 casi/100 000 persone. Negli Stati Uniti, nel periodo dal luglio 1994 al giugno 2002, sono state identificate 76 epidemie da meningococco, comprese 13 in college e 19 in scuole elementari e secondarie, rispetto a solo 6 epidemie dal 1980 al 1989. Campagne vaccinali sono state condotte soltanto in 34 epidemie. Lo scambio genetico tra ceppi meningococcici endemici ed epidemici come anche con le specie di Neisseria commensali ospitate contemporaneamente nel nasofaringe delle persone colonizzate può portare a variazioni del sierotipo e del sierosottotipo, e talvolta anche a switching capsulari, allorché la diffusione del nuovo clone progredisce in popolazioni suscettibili. Si può verificare anche una variazione di fase nell’espressione delle proteine di superficie del meningococco, comprese PorA e PorB, e i tipi LOS. La tipizzazione della sequenza di più loci di 7 geni housekeeping meningococcici è attualmente il metodo standard per la definizione di questi cloni. PATOGENESI. La N. meningitidis viene acquisita primariamente per via respiratoria. La colonizzazione nasofaringea di solito porta a colonizzazione asintomatica che può persistere per settimane e anche mesi. L’invasione è rara, tende a verificarsi subito dopo l’acquisizione di nuovi ceppi e talvolta sembra facilitata da infezioni concorrenti delle vie respiratorie. I meningococchi (e i gonococchi, ma non la Neisseria non patogena) producono un’immunoglobulina A (IgA) proteasi che può facilitare la colonizzazione delle mucose scindendo la regione cerniera ricca di prolina delle IgA secretorie. I meningococchi aderiscono selettivamente alle cellule epiteliali non ciliate mediante i loro pili di tipo IV. I pili si attaccano alle proteine CD46 che servono da recettori per C3b, C4b, morbillo e altri virus sulla superficie delle cellule epiteliali. Ciò induce un 23-09-2008 12:38:38 Capitolo 190 riarrangiamento del citoscheletro dell’ospite e una produzione di microvilli che porta a endocitosi. Le proteine associate a opacità (Opa) che si estendono dalla membrana batterica esterna interagiscono con la famiglia CD66 umana di recettori e facilitano aderenza ed endocitosi. I batteri quindi attraversano la cellula in vacuoli delimitati da membrana. Le proteine poriniche meningococciche hanno un ruolo nell’endocitosi, nella sopravvivenza intracellulare, nell’apoptosi delle cellule invase e nell’evitamento dell’attacco del complemento attraverso il legame con la proteina legante il C4b. Una volta attraversato l’epitelio, i meningococchi penetrano in circolo. Gli anticorpi sierici contro gli antigeni di superficie del meningococco, se presenti, possono bloccare tale disseminazione iniziando una lisi batterica complemento-mediata. L’assenza di anticorpi antimeningococcici è associata allo sviluppo di meningococcemia. Se la batteriemia non viene eliminata, continua l’interazione con i fagociti, i microrganismi aderiscono alle cellule endoteliali attraverso i pili, le Opa e le proteine poriniche, e il sistema del complemento viene ulteriormente attivato. L’espressione sulle cellule endoteliali delle molecole di adesione superficiale è influenzata dal LOS e dal polisaccaride capsulare facilitando l’attaccamento dei leucociti. La sopravvivenza dei meningococchi è migliorata dalla capsula polisaccaridica, che contribuisce alla resistenza al killing da parte dei fagociti, e da un sistema di recupero del ferro che può fare uso della transferrina e della lattoferrina dell’ospite. Il LOS della N. meningitidis è riconosciuto dai recettori toll-like (TLR) 2 e 4. Le sue sequenze di DNA ricche di CpG, che sono comuni nei batteri, interagiscono probabilmente con il TLR9. Queste interazioni con i TLR attivano i geni attraverso vie correlate con il fattore nucleare-K (NF-K), che regolano la risposta immunitaria di adattamento. Le interazioni tra microrganismo, fagocita, cellula endoteliale e complemento portano alla produzione di diverse citochine proinfiammatorie tra cui il fattore di necrosi tumorale urgente- (TNF-), l’interleuchina 1 (IL-), IL-6 e IL-8, e all’attivazione sia della via estrinseca (attraverso l’induzione dell’espressione di fattori tissutali sulle cellule endoteliali e sui monociti), sia della via intrinseca della coagulazione. Anche altri fattori relativi al microrganismo diversi dal LOS sono coinvolti nell’iniziazione dell’attivazione del complemento e nell’infiammazione. Il grado di attivazione del complemento e delle cascate della coagulazione, le concentrazioni delle citochine circolanti e il rischio di malattia fatale si correlano con la concentrazione del LOS meningococcico nel plasma al momento della presentazione. La progressione dello stravaso capillare e della coagulopatia intravascolare disseminata (CID) può portare a insufficienza multipla d’organo, shock settico e talvolta alla morte. I casi fatali tipicamente presentano più elevate concentrazioni di TNF- e di interleuchine rispetto ai sopravviventi, ma la relazione causale rimane da chiarire. I livelli di LOS e TNF- diminuiscono rapidamente una volta iniziata la terapia antibiotica, correlata all’eliminazione dei microrganismi attivi. L’attivazione del complemento e delle cascate della coagulazione può continuare ben oltre questo punto, specialmente nei casi fulminanti. Una vasculite diffusa e una CID sono comuni nella meningococcemia. Nei piccoli vasi, compresi arteriole e capillari si osservano coaguli ricchi di leucociti e fibrina. Ne conseguono emorragie e necrosi focali che inizialmente si manifestano come porpora cutanea e che possono quindi manifestarsi in qualunque sistema d’organo. Cuore, sistema nervoso centrale, cute, membrane mucose e sierose e ghiandole surrenali sono interessate nella maggior parte dei casi fatali e in queste lesioni sono spesso presenti microrganismi. Una miocardite è presente in 50% dei pazienti che decedono per malattia meningococcica. Nel corso di una meningococcemia fulminante è comune un’emorragia diffusa delle ghiandole surrenali senza vasculite, la sindrome di Waterhouse-Friderichsen. La meningite è caratterizzata dalla presenza di cellule infiammatorie acute nelle leptomeningi e negli spazi perivascolari. Un’encefalite focale è infrequente. Immunità. Gli antigeni non-LOS sembrano stimolare la maturazione della cellula dendritica necessaria per l’iniziazione della 180-206ANA.indd 1199 ■ Neisseria meningitidis (meningococco) ■ 1199 risposta immunitaria di adattamento. La produzione di Il-12, stimolata dal LOS meningococcico, induce una risposta di tipo Th1. Anticorpi battericidi vengono prodotti nei confronti dei polisaccaridici capsulari, delle proteine della membrana esterna e degli antigeni LOS. Le risposte IgM, IgG e IgA sono indotte entro poche settimane dopo la colonizzazione nasofaringea. L’immunità naturale contro un ampio range di ceppi di N. meningitidis sembra svilupparsi in molte persone dopo ripetuta colonizzazione da differenti sierogruppi o sierosottotipi e dopo colonizzazione gastrointestinale da batteri enterici che esprimono antigeni crossreagenti. Non sono chiari la durata di queste risposte anticorpali e il grado di memoria immunologica indotta anche dall’infezione. L’esposizione naturale continuativa può contribuire al mantenimento dell’immunità. L’immunità mucosale può essere più efficace della colonizzazione nel prevenire l’invasione delle cellule epiteliali. Elevati livelli di anticorpi anticapsulari dopo la vaccinazione sono associati a una riduzione dello stato di portatore dei ceppi dei sierogruppi vaccinali. I lattanti sono molto spesso portatori anche del microrganismo non patogeno e non capsulato N. lactamica, che contribuisce allo sviluppo di immunità contro il meningococco. Gli effetti protettivi delle IgG di origine materna scompaiono nei primi 1-3 mesi di vita, per cui durante il resto del periodo infantile sono presenti tassi elevati di malattia invasiva. Fattori relativi all’ospite. I soggetti con deficit primitivo di componenti del complemento hanno un rischio aumentato di sviluppare una malattia meningococcica e questo sottolinea il ruolo fondamentale del complemento nelle difese dell’ospite contro il meningococco. Il 50-60% degli individui con deficit di properdina, fattore D o della componente terminale, svilupperà infezioni batteriche severe, causate quasi soltanto dalla N. meningitidis. Alcuni studi suggeriscono che le manifestazioni della malattia in caso di deficit del complemento sono meno severe di quelle che si osservano nei casi in cui la funzione del complemento è intatta, ma questo non è certo. Le infezioni ricorrenti sono più comuni con il deficit della componente terminale che con il deficit di properdina. Un rischio similmente aumentato si osserva con i deficit acquisiti del complemento che si verificano nei pazienti con malattie come sindrome nefrosica, lupus eritematoso sistemico e insufficienza epatica. Nei soggetti con infezioni meningococciche, i deficit del complemento sono molto più prevalenti in quelli 5 anni di età che nei bambini più piccoli. La maggior parte dei casi nei soggetti con deficit del complemento si verifica durante la tarda infanzia e nell’adolescenza o nell’età adulta quando il tasso dei portatori tende a essere più elevato. Altri fattori dell’ospite che possono influire sulla severità e sull’esito della malattia meningococcica comprendono i polimorfismi di Il-1, l’antagonista del recettore di IL-1, la lectina legante il mannosio, i geni del recettore di Fc (specialmente il recettore di Fc IIA-R/R131), il TLR4, le regioni promotrici dei geni che codificano per il TNF-, l’inibitore-1 dell’attivatore del plasminogeno e forse le componenti di varie vie di attivazione di NF-K. La potenziale interazione di certi polimorfismi del recettore di Fc con specifici alleli di IL-10 suggerisce che le combinazioni di alleli in geni differenti possono essere responsabili di variazioni dell’espressione della malattia. La presenza del fattore V di Leyden esacerba la porpora fulminante da meningococco ma può non influire sulla mortalità. La capsula del gruppo B è un omopolimero di acido sialico scarsamente immunogeno negli esseri umani, in parte a causa della sua omologia strutturale con le molecole di adesione delle cellule nervose di mammifero. Anche l’antigene capsulare B non attiva la via alternativa del complemento negli esseri umani, che rappresenta una parte fondamentale della risposta immunitaria innata essenziale per la protezione dalle infezioni in assenza di anticorpi specifici. Ciò può in parte spiegare la maggiore prevalenza di malattia da meningococco di gruppo B nei bambini più piccoli. MANIFESTAZIONI CLINICHE. Lo spettro della malattia meningococcica può avere un’ampia variazione dalla febbre e dalla bat- 23-09-2008 12:38:38 1200 ■ PARTE XVI ■ Malattie infettive teriemia occulta (vedi Capitolo 175) fino alla sepsi, allo shock (vedi Capitolo 176) e alla morte. I pattern noti di malattia comprendono batteriemia senza sepsi, meningococcemia (sepsi) senza meningite e meningite con e senza meningococcemia. Almeno l’80% dei casi presenta anche altri segni clinici. Una batteriemia meningococcica occulta spesso si presenta come febbre con o senza sintomi associati che suggeriscono infezioni virali minori. La risoluzione può avvenire senza antibiotici, ma la meningite si sviluppa nel 58% dei casi di malattia. La N. meningitidis è isolata dal sangue nei 2/3 circa dei casi, dal liquido cerebrospinale in metà dei casi e dal liquido articolare nell’1% dei casi. La meningococcemia acuta può inizialmente simulare una malattia virale con faringite, febbre, mialgie, perdita di forza, vomito, diarrea e/o cefalea (Tab. 190-1). Un rash maculopapuloso è evidente nel 7% circa dei casi, tipicamente prima che compaiano sintomi più seri. Dolore degli arti, mialgie o il rifiuto di camminare si presentano in molti casi e rappresentano il disturbo primario nel 7% dei casi altrimenti non sospettati clinicamente. Anche le mani o i piedi freddi e un colorito anormale della cute costituiscono segni precoci. Nella meningococcemia fulminante, la malattia progredisce rapidamente in poche ore fino allo shock settico caratterizzato dalla presenza di petecchie e porpora (porpora fulminante), ipotensione, CID, acidosi, emorragia surrenalica, insufficienza renale, insufficienza miocardica e coma (Fig. 190-1). Può essere o meno presente una meningite. La manifestazione clinica più comune, la meningite meningococcica, è distinguibile da altre cause di meningite batterica (vedi Capitolo 602.1). Sono tipicamente presenti cefalea, fotofobia, letargia, vomito e rigidità nucale e altri segni di irritazione meningea. Convulsioni e segni neurologici focali si verificano meno frequentemente che nei pazienti con meningite causata da pneumococco o dall’Haemophilus influenzae di tipo b. Può verificarsi un quadro simil-meningoencefalitico eventualmente associato a edema cerebrale rapidamente progressivo, più frequente con l’infezione da sierogruppo A. Su 402 bambini 21 anni appartenenti a 3 casistiche di malattia meningococcica invasiva durante gli anni ’80 fino ai primi anni del 2000, circa l’81% si era presentato con febbre, il 41% aveva ipotensione o riduzione della perfusione periferica e il 50% aveva petecchie e/o porpora. Una porpora fulminante si era sviluppata nel 16%. Altri segni e sintomi di presentazione comprendevano vomito (34%), letargia (30%), irritabilità (21%), diarrea (6%), rinorrea (10%), convulsioni (6%) e artrite settica (8%). Un’evidenza radiografica di polmonite era presente inizialmente nell’8% dei casi in una casistica. La ventilazione meccanica era stata necessaria nel 26% e un supporto vasopressorio nel 35%. TABELLA 190-1. Frequenza specifica per l’età dei sintomi clinici della malattia meningococcica prima del ricovero in ospedale SINTOMI PRECOCI % Dolore degli arti inferiori Sete Diarrea Colore anormale della cute Difficoltà respiratoria Mani e piedi freddi SINTOMI CLASSICI % Rash emorragico Dolore o rigidità del collo Fotofobia Protrusione della fontanella SINTOMI TARDIVI % Confusione o delirio Convulsioni Perdita di coscienza 1 ANNO 1-4 ANNI 5-14 ANNI 5,1 3,4 9,9 20,6 16,2 44,0 30,6 6,4 7,8 16,8 9,7 46,7 62,4 11,4 3,1 18,5 7,1 34,9 53,3 12,6 5,5 19,0 12,1 44,4 42,3 15,5 24,5 11,5 64,2 28,1 24,1 nd 69,8 45,9 26,4 nd 65,9 52,9 35,5 nd nd 8,9 7,0 42,8 12,8 9,1 49,4 7,8 5,9 47,6 7,3 15,1 B Figura 190-1. Infezioni menigococciche. A, Menigococcemia con importante interessamento delle estremità con relativo risparmio della cute della restante superficie corporea del bambino. B, Questa immagine mostra le estremità inferiori del paziente dell’immagine in A (da the American Academy of Pediatrics: Red Book: 2006 Report of the Committee on Infectious Diseases, 27th ed. Elk Grove Village, IL, American Academy of Pediatrics, 2006, Atlas 7.) 15-16 ANNI Nd = Non disponibile Da Thompson MJ, Ninis N, Perera R, et al: Clinical recognition of meningococcal disease in children and adolescents. Lancet 2006;367:397–403. 180-206ANA.indd 1200 A Un’artrite non suppurativa si era sviluppata nel 4-6% dei casi. Manifestazioni infrequenti di malattia meningococcica comprendono endocardite, pericardite purulenta, polmonite, endoftalmite, linfoadenite mesenterica, osteomielite, sinusite, otite media e cellulite periorbitaria. Una congiuntivite purulenta primitiva può portare a malattia invasiva. Un versamento pleurico o un empiema si presentano nel 15% dei casi con polmonite meningococcica. Le infezioni da N. meningitidis del tratto genitourinario sono rare, ma sono possibili uretrite, cervicite, vulvovaginite e proctite. La meningococcemia cronica si verifica raramente ed è caratterizzata da febbre, aspetto non tossico, artralgie, cefalea e un rash simile a quello dell’infezione gonococcica disseminata. I sintomi sono intermittenti, con una durata media di malattia di 6-8 settimane. Le emocolture sono di solito positive ma possono inizialmente essere sterili; in casi isolati può svilupparsi la meningite. 23-09-2008 12:38:38 Capitolo 190 DIAGNOSI. La diagnosi definitiva di malattia meningococcica è stabilita mediante l’isolamento del microrganismo da un liquido corporeo normalmente sterile come sangue, liquido cerebrospinale o liquido sinoviale. L’isolamento dal nasofaringe non è diagnostico di malattia invasiva. Sangue e liquido cerebrospinale sono fonti usuali del microrganismo. Le colture sono spesso negative se il paziente è stato trattato con antibiotici prima della coltura. Talvolta i meningococchi possono essere identificati in coltura o con la colorazione di Gram delle petecchie o delle papule. Occasionalmente sono visibili con la colorazione di Gram sullo strato buffy coat di un campione di sangue centrifugato. Con la meningite, le caratteristiche morfologiche e cliniche del liquido cerebrospinale sono quelle della meningite batterica acuta (vedi Capitolo 602.1). Le colture di liquido cerebrospinale sono positive in pazienti con meningococcemia che non hanno una pleiocitosi del liquido cerebrospinale o evidenza clinica di meningite. I campioni di liquido cerebrospinale che dimostrano microrganismi Gram-negativi sono talvolta negativi alla coltura. Pneumococchi eccessivamente decolorati nella colorazione di Gram possono essere scambiati per meningococchi e quindi la terapia empirica non dovrebbe basarsi sulla sola colorazione di Gram. L’identificazione degli antigeni polisaccaridici capsulari mediante test rapidi di agglutinazione su lattice sul liquido cerebrospinale possono supportare la diagnosi nei casi clinicamente compatibili con la malattia meningococcica. Questi test si dimostrano particolarmente utili quando i risultati sono positivi nell’ambito di infezioni parzialmente trattate con colture negative. I test antigenici che fanno uso di siero o urine non sono utili. I test antigenici rapidi non sono affidabili per i ceppi di sierogruppo B per via delle cross-reazioni con altre specie batteriche (antigene dell’Escherichia coli K1). Sono stati sviluppati test basati sulla reazione a catena polimerasica per l’identificazione dei meningococchi nel sangue e nel liquido cerebrospinale e attualmente sono usati in ambito clinico nel Regno Unito ma non negli Stati Uniti. Nel prossimo futuro saranno probabilmente più diffusi. Altri aspetti di laboratorio comprendono leucocitopenia o leucocitosi, spesso con aumento della percentuale di neutrofili e di forme con bande, trombocitopenia, proteinuria ed ematuria. Sono comuni aumento di VES e proteina C-reattiva, ipoalbuminemia, ipocalcemia e acidosi metabolica spesso con aumento dei livelli di lattato. I pazienti con CID hanno ridotte concentrazioni sieriche di protrombina e fibrinogeno e allungamento dei tempi di coagulazione. DIAGNOSI DIFFERENZIALE. La malattia meningococcica può apparire simile alla sepsi o alla meningite causata da molti altri batteri Gram-negativi, Streptococcus pneumoniae, Staphylococcus aureus o streptococco di gruppo A, febbre maculosa delle Montagne Rocciose, ehrlichiosi o tifo epidemico ed endocardite batterica. In alcuni casi devono essere prese in considerazione le cause virali e le altre possibili cause di encefalite. Le vasculiti autoimmuni (specialmente la porpora di Henoch-Schönlein, la malattia da siero, la sindrome uremico emolitica, la malattia di Kawasaki, la porpora trombocitopenica idiopatica, le eruzioni da farmaci e l’ingestione di diversi veleni possono presentare aspetti che si sovrappongono a quelli dell’infezione meningococcica. Anche le infezioni da echovirus (particolarmente i tipi 6, 9 e 16), virus coxsackie (soprattutto i tipi A2, A4, A9 e A16) e altri virus possono avere presentazioni severe che inizialmente possono far pensare all’infezione meningococcica. I rash petecchiali benigni sono comuni nelle infezioni virali e nelle infezioni da streptococco di gruppo A. Il rash non petecchiale che sbiadisce alla pressione osservato in alcuni casi di malattia meningococcica può inizialmente essere confuso con un esantema virale. TRATTAMENTO. Nei pazienti ospedalizzati, la penicillina G (250 000-400 000 UI/kg/die suddivisi in 4-6 dosi ev) rimane il farmaco di scelta. La cefotaxima (200 mg/kg/die) o il ceftriaxone (100 mg/kg/die) sono alternative accettabili e fanno di solito parte 180-206ANA.indd 1201 ■ Neisseria meningitidis (meningococco) ■ 1201 dei trattamenti empirici iniziali. Nel bambino la terapia viene di solito continuata per 5-7 giorni. Il trattamento precoce delle infezioni meningococciche può prevenire le sequele severe, ma la diagnosi tempestiva di questi pazienti è spesso difficile in assenza di sintomi cutanei. Febbre elevata e leucocitosi con aumento dei neutrofili e delle forme con bande sono comuni nei bambini più grandi e negli adolescenti con infezione meningococcica altrimenti non sospettata. Può essere preso in considerazione il trattamento ambulatoriale empirico di pazienti selezionati durante le epidemie di malattia meningococcica e di bambini non in condizioni tossiche con rash petecchiale. Gran parte di questi ultimi non ha in definitiva un’infezione da meningococco. Prima del trattamento occorre eseguire un’emocoltura. Gli isolati della N. meningitidis con resistenza relativa alla penicillina (concentrazione inibitoria minima di penicillina di 0,1-1 g/mL) sono stati riportati in Europa, Africa, Canada e Stati Uniti. Una riduzione della sensibilità è causata, almeno in parte, da un’alterazione della proteina legante la penicillina 2. Nel 1991, questi ceppi rappresentavano 4% degli isolati negli Stati Uniti. Questo grado di resistenza alla penicillina non sembra influire sulla risposta alla terapia. I ceppi produttori di -lattamasi rimangono molto rari. L’antibiogramma di routine per gli isolati meningococcici non è attualmente indicato negli Stati Uniti, ma è necessaria una sorveglianza continuativa. È essenziale una terapia di supporto ottimale (vedi Capitolo 68). Sono state tentate molte terapie aggiuntive, ma nessuna finora ha dimostrato particolare utilità nei bambini. La proteina che aumenta la permeabilità/battericida ricombinante (BPI) può ridurre le complicanze nei casi severi, ma sono necessari ulteriori studi. La BPI è presente nei neutrofili, neutralizza l’endotossina e può attenuare le cascate infiammatorie e coagulative. La proteina C è un anticoagulante naturale che opera una downregulation della risposta infiammatoria ed è depleta nella CID. Un trial clinico della terapia con proteina C attivata per la sepsi severa nei bambini è terminato nel 2005 a causa di un aumento evidente del rischio di emorragia intracranica associato al suo utilizzo. Altri anticoagulanti o agenti fibrinolitici e vasodilatatori sono stati usati con successo variabile in segnalazioni aneddotiche. L’associazione di queste terapie può essere utile in casi selezionati in futuro, ma deve ancora essere valutata. La maggior parte dei bambini che non richiedono intubazione o supporto vasopressorio risponde rapidamente agli antibiotici più una terapia di supporto e dimostra un miglioramento clinico entro 24-72 ore. Quelli che richiedono la ventilazione meccanica e altri interventi intensivi spesso hanno un decorso più complicato e prolungato che può richiedere l’ospedalizzazione per settimane. I bambini con malattia severa che rispondono scarsamente alla terapia aggressiva con fluidi e agenti inotropi possono avere un’insufficienza surrenalica e trarre beneficio dalla supplementazione con idrocortisone. L’ossigenazione con membrana extracorporea è stata usata con successo limitato. COMPLICANZE. Le complicanze acute sono correlate alla vasculite, alla CID e all’ipotensione della malattia meningococcica severa. Gli infarti cutanei focali sono simili a ustioni e di solito guariscono, ma possono andare incontro a infezione secondaria, con cicatrizzazione significativa e necessità di innesti cutanei. La gangrena delle estremità spesso osservata nella porpora fulminante può richiedere l’amputazione. Emorragia surrenalica, endoftalmite, artrite, endocardite, pericardite, miocardite, polmonite, ascesso polmonare, peritonite e infarti renali possono verificarsi nel corso di un’infezione acuta. La necrosi avascolare delle epifisi e difetti epifisario-metafisari possono derivare dalla CID generalizzata e possono portare a un disturbo di crescita e a deformità scheletriche tardive. La sordità è la sequela neurologica più frequente e si verifica nel 5-10% dei bambini con meningite nella maggior parte delle casistiche. Nei casi severi può verificarsi una trombosi venosa o arteriosa cerebrale con risultante infarto cerebrale. La meningite è raramente complicata da versamento suturale o empiema subdurale o da ascesso cerebrale. Altre rare 23-09-2008 12:38:39 1202 ■ PARTE XVI ■ Malattie infettive sequele neurologiche comprendono atassia, convulsioni, cecità, paralisi dei nervi cranici, emiparesi o quadripartesi, e idrocefalo ostruttivo. Quest’ultimo si presenta spesso 3-4 settimane dopo l’esordio della malattia. Le complicanze non suppurative nella malattia meningococcica sembrano mediate da immunocomplessi e divengono evidenti 4-9 giorni dopo l’esordio della malattia. Artrite e vasculite cutanea (eritema nodoso) sono le più frequenti. L’artrite di solito è monoarticolare o oligoarticolare, interessa le grandi articolazioni e presenta versamenti sterili che rispondono ai FANS. Le sequele a lungo termine non sono comuni. Poiché la maggior parte dei pazienti con meningite meningococcica diviene afebbrile entro il 7° giorno di ricovero in ospedale, la persistenza o la recrudescenza della febbre dopo 5 giorni di antibiotici richiede una valutazione per le complicanze mediate da immunocomplessi. La riattivazione delle infezioni da virus herpes simplex latenti (primariamente herpes labiale) è comune nel corso dell’infezione meningococcica. PROGNOSI. Il tasso di mortalità dell’infezione meningococcica invasiva rimane intorno al 10% negli Stati Uniti nonostante i moderni interventi. La mortalità è più elevata nei pazienti di 15-24 anni di età. La maggior parte dei decessi si verifica entro 48 ore dall’ospedalizzazione. I fattori prognostici sfavorevoli comprendono ipotermia o iperpiressia estrema, ipotensione o shock, porpora fulminante, convulsioni, leucopenia, trombocitopenia (tra cui CID), acidosi ed elevati livelli circolanti di endotossina e TNF-. La presenza di petecchie per più di 12 ore prima del ricovero, l’assenza di meningite e una VES bassa o normale indicano una progressione rapida o fulminante e una prognosi più sfavorevole. Lo screening dei deficit di complemento dopo la risoluzione dell’infezione acuta può essere considerato per ogni individuo con infezione meningococcica e deve essere eseguito nei bambini più grandi e negli adolescenti. Anche le infezioni ricorrenti nei soggetti con deficit del complemento possono essere severe. PREVENZIONE. I contatti stretti dei pazienti con malattia meningococcica hanno un rischio aumentato di infezione e devono essere accuratamente monitorati e portati all’attenzione medica se compare febbre. La profilassi antibiotica è indicata non appena possibile per i contatti domestici, dell’asilo e delle scuole e per tutti i soggetti che hanno avuto un contatto con le secrezioni orali del paziente durante i 7 giorni prima dell’esordio della malattia. La profilassi non è raccomandata di routine per il personale medico eccetto che per quelli con esposizione intima, per esempio rianimazione bocca a bocca, intubazione o aspirazione prima dell’inizio della terapia antibiotica. I bambini possono ricevere rifamipicina (10 mg/kg per os ogni 12 ore per un totale di 4 dosi; dose massima 600 mg; 5 mg/kg/dose per lattanti 1 mese di età) o ceftriaxone (125 mg in dose singola im per i bambini 12 anni di età; 250 mg in dose singola im per quelli 12 anni di età). La ciprofloxacina (500 mg per os in dose singola) può essere somministrata agli individui 18 anni di età. La penicillina non eradica lo stato di portatore nasofaringeo; i pazienti trattati con penicillina devono ricevere la profilassi prima della dimissione dall’ospedale. Nei pazienti ospedalizzati si devono assumere misure precauzionali per le goccioline respiratorie per 24 ore dopo l’inizio di una terapia efficace. Tutti i casi probabili o confermati di infezione meningococcica devono essere segnalati alle autorità sanitarie. Vaccinazione. Un vaccino quadrivalente composto di polisaccaridi capsulari dei gruppi meningococcici A, C, Y e W135 (MPSV4) è stato il primo vaccino meningococcico disponibile negli Stati Uniti fino al gennaio 2005, con l’approvazione di un vaccino meningococcico coniugato proteico basato sul tossoide difterico (MCV4) per l’uso in soggetti di 11-55 anni di età. L’MPSV4 è immunogeno nell’adulto ma è inaffidabile nei bambini 2 anni di età. Resta l’unico vaccino approvato negli Stati Uniti per i bambini da 2 a 10 anni di età e per gli adulti 55 anni di età. Il 75% circa dei casi di malattia meningococcica in soggetti 180-206ANA.indd 1202 11 anni di età negli Stati Uniti è causato dai sierogruppi C, Y o W135 e quindi è potenzialmente prevenibile con il vaccino. MCV4 e MPVS4 producono titoli simili di anticorpi battericidi anticapsulari contro ciascuno dei 4 sierogruppi dei vaccini a un mese dopo la vaccinazione (in pazienti appropriati per età) con un aumento di 4 volte del titolo sia in più del 90% dei vaccinati contro i sierogruppi A, C e W135, sia in più del 80% di quelli vaccinati contro il sierogruppo Y. Titoli protettivi (1:128) sono indotti in 97% dei vaccinati con uno qualsiasi di questi 2 vaccini contro tutti i 4 sierogruppi in pazienti appropriati per l’età. MCV4 causa febbre transitoria ed eritema, dolore o edema locale leggermente più frequentemente di MPSV4, che è attribuito alla componente del tossoide difterico di MCV4. L’efficacia di MPS4 è 85% per i sierogruppi A e C e probabilmente simile per i sierogruppi W135 e Y. L’efficacia di MCV4 è ritenuta simile a quella di MPVS4 perché gli anticorpi battericidi conferiscono immunità e i titoli di quelli indotti da MCV4 non sono inferiori a quelli di MPVS4. L’uso di un vaccino coniugato con CRM197 difterite-sierogruppo C nel Regno Unito a partire dal 1999 ha ridotto la malattia da sierogruppo C del 95% circa nei bambini di quel Paese e risultati simili sono stati ottenuti con questo vaccino in Quebec. Sono stati dimostrati una riduzione dello stato di portatore nasofaringeo di ceppi di sierogruppo C nei vaccinati con CRM197 difterite-sierogruppo C e un’immunità di comunità (immunità di gregge) nei non vaccinati nel Regno Unito. La durata dell’immunità da MPVS4 è di almeno 3-5 anni per cui la rivaccinazione di persone con rischio continuativo di infezioni meningococciche può essere considerata in questo intervallo temporale per i soggetti in passato vaccinati con MPSV4. Si ritiene che la protezione da MCV4 sia più prolungata, ma la durata completa e la potenziale necessità di rivaccinazione non sono ancora note. Le risposte immunitarie ai vaccini meningococcici coniugati sono stimolabili (booster) (T-dipendenti), mentre quelle a MPVS4 non lo sono (T-indipendenti). I vaccini coniugati sembrano sicuri e immunogeni nei lattanti ma non sono ancora stati approvati o commercializzati in questo gruppo di età negli Stati Uniti. Vaccini per ceppi specifici possono essere prodotti se sono necessari per il controllo di epidemie da sierogruppo B, ma non sono efficaci contro altri ceppi di sierogruppo B a causa dell’elevata frequenza di trasformazione genetica e della risultante variazione antigenica nella N. gonorrhoeae. Gli approcci genomici e proteomici per identificare gli antigeni candidati sono promettenti ai fini dello sviluppo di vaccini efficaci contro un’ampia serie di ceppi di sierogruppo B. L’MCV4, in dose singola, è il vaccino preferito negli Stati Uniti per gli individui di 11-55 anni di età per cui è raccomandata la vaccinazione meningococcica. L’MPVS4 rimane un’alternativa accettabile per questo gruppo di età quando non è disponibile l’MCV4 ed è raccomandato per bambini di 2-10 anni e adulti 55 anni di età, in attesa di ulteriore valutazione e approvazione dell’MCV4 in questi gruppi di età. Il vaccino coniugato CRM197 difterite-sierogruppo C è usato attualmente in gran parte d’Europa, Canada, Australia e Brasile. Un ciclo di 3 dosi di questo vaccino può essere somministrato ai lattanti iniziando a 2 mesi di età, con una dose raccomandata per i soggetti 1 anno di età. L’MCV4 è raccomandato di routine per tutti gli adolescenti a 11-12 anni di età alla visita della preadolescenza, e per gli adolescenti all’età di 15 anni o all’entrata nella scuola superiore se non vaccinati in precedenza. L’obiettivo è la vaccinazione di routine di tutti gli adolescenti di 11 anni iniziando nel 2008. I vaccini MCV4 e Tdap (tossoide difterico e tetanico richiamo per la pertosse acellulare) devono essere somministrati agli adolescenti durante la stessa visita se sono indicati entrambi i vaccini. Se ciò non è possibile, MCV4 e Tdap possono essere somministrati in qualsiasi sequenza con un intervallo minimo di un mese tra i vaccini. L’MCV4 è inoltre raccomandato per tutte le matricole di college che vivono in studentati. Molti college e università e alcuni stati hanno reso obbligatoria la vaccinazione per il meningococco per tutte le matricole appena iscritte. L’MCV4 è inoltre indicato per altri adolescenti che vogliono ridurre il 23-09-2008 12:38:39 Capitolo 191 rischio di malattia meningococcica. I vaccini tetravalenti per il meningococco sono raccomandati anche per i bambini degli Stati Uniti 2 anni di età con asplenia anatomica o funzionale, deficit di componenti del complemento che impediscono la formazione del complesso dell’attacco terminale, o che devono compiere un viaggio in aree con tassi iperendemici o epidemici di infezione meningococcica come l’Africa subsahariana nel corso della stagione secca da dicembre a giugno. Informazioni specifiche per i viaggi sono disponibili sul sito dei CDC http://cdc.gov/travel. I vaccini meningococcici vengono anche usati di routine per le reclute militari americane e per controllare le epidemie locali continuative di malattia meningococcica causate da un sierogruppo vaccinico. È stata riportata un’associazione temporalmente correlata della sindrome di Guillain-Barré con la somministrazione di vaccino meningococcico, anche se il tasso nei soggetti vaccinati è simile a quello nella popolazione generale (vedi Capitolo 615). I soggetti con sindrome di Guillain-Barré diagnosticata in precedenza non devono ricevere un vaccino meningococcico coniugato. American Academy of Pediatrics Committee on Infectious Diseases: Prevention and control of meningococcal disease: Recommendations for use of meningococcal vaccines in pediatric patients. Pediatrics 2005;116:496– 505. Branco RG, Russell RR: Should steroids be used in children with meningococcal shock? Arch Dis Child 2005;90:1195–1196. Centers for Disease Control and Prevention: Update: Guillain-Barré syndrome among recipients of Menactra meningococcal conjugate vaccine–United States, June 2005–September 2006. Centers for Disease Control and Prevention: Prevention and control of meningococcal disease. Recommendations of the Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP). MMWR 2005;54(RR-7):1–17. De Wals P, Ceceuninck G, Boulianne N, et al: Effectiveness of a mass immunization campaign using serogroup C meningococcal conjugate vaccine. 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La gonorrea perinatale o trasmessa per contatto sessuale è seconda soltanto alle infezioni da clamidia per numero di casi riportati ai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) negli Stati Uniti. Questa elevata prevalenza e lo sviluppo di ceppi antibiotico-resistenti hanno prodotto una significativa morbilità negli adolescenti. EZIOLOGIA. La N. gonorrhoeae è un diplococco intracellulare Gram-negativo aerobio, non mobile e che non forma spore, con superfici adiacenti appiattite. La crescita ottimale avviene a 35-37 °C e a un pH di 7,2-7,6 in un’atmosfera al 3-5% di anidride carbonica. Il campione deve essere inoculato immediatamente su un terreno di Thyaer-Martin modificato, fresco e umido, oppure su un terreno specializzato di trasporto in quanto i gonococchi non tollerano l’essiccamento. Il terreno di Thayer-Martin contiene agenti antimicrobici che inibiscono la flora normale presente nei campioni clinici, che altrimenti potrebbe crescere in maggiore misura dei gonococchi. La diagnosi presuntiva si basa sull’aspetto delle colonie, sulla colorazione di Gram e sulla produzione di citocromo ossidasi. I gonococchi vengono distinti da altre specie di Neisseria in base alla fermentazione del glucosio ma non del maltosio, saccarosio o lattosio. I diplococchi Gram-negativi si osservano nel materiale infetto, spesso con leucociti polimorfonucleati. Come tutti i batteri Gram-negativi, la N. gonorrhoeae possiede un involucro cellulare composto di una membrana citoplasmatica interna, uno strato intermedio di peptidoglicano e una membrana esterna. La membrana esterna contiene lipo-oligosaccaridi (endotossine), fosfolipidi e diverse proteine che contribuiscono all’aderenza cellulare, all’invasione tissutale e alla resistenza alle difese dell’ospite. I 2 sistemi primariamente utilizzati per caratterizzare i ceppi gonococcici sono l’auxotipizzazione e la sierotipizzazione. L’auxotipizzazione si basa sulle necessità geneticamente stabili dei vari ceppi per specifici nutrienti o cofattori determinati in base alla capacità di un isolato di crescere su terreni chimicamente definiti. Il sistema di sierotipizzazione più utilizzato si basa sulla porina, una proteina trimerica della membrana esterna che costituisce una parte sostanziale della struttura dell’involucro del gonococco. Gli anticorpi generati nei confronti delle porine sono stati utilizzati per sierotipizzare i gonococchi (per es. PorIA-4 e PorIB-12) e si ritiene che i mutamenti delle porine presenti in una comunità avvengano, almeno in parte, in seguito a una pressione immunitaria selettiva. EPIDEMIOLOGIA. L’infezione da N. gonorrhoeae si verifica solamente negli esseri umani. Il microrganismo viene eliminato nell’essudato e nelle secrezioni delle mucose infette e viene trasmesso attraverso i contatti intimi, come i contatti sessuali o il parto e, raramente, da contatto con fomiti. Le infezioni gonococciche nel periodo neonatale generalmente vengono acquisite durante il parto. La gonorrea è l’infezione sessualmente trasmessa che si osserva più spesso nei bambini vittime di violenza sessuale. Raramente, la N. gonorrhoeae può diffondersi attraverso giochi sessuali tra bambini, ma è probabile che il paziente indice sia una vittima di violenza sessuale. Le infezioni gonococciche nel bambino raramente sono acquisite attraverso l’esposizione in ambito domestico a caretaker infetti. In questi casi, occorre considerare seriamente la possibilità che sia avvenuta una violenza sessuale. Il numero di casi riportati di gonorrea è aumentato stabilmente negli Stati Uniti dal 1964 al 1977, è fluttuato nei primi anni ’80 ed è aumentato fino al 1987, quando il tasso riportato era 323/100 000. I tassi sono diminuiti annualmente dal 1987 al 1996, quando il tasso riportato era 123/100 000, dopo di che 23-09-2008 12:38:39 1204 ■ PARTE XVI ■ Malattie infettive il tasso è fluttuato anno per anno con un tasso di 125/100 000 riportato nel 2002. Il declino della prevalenza della gonorrea può essere attribuito alla raccomandazione da parte dei CDC di usare solo antibiotici altamente efficaci. L’incidenza di gonorrea è più elevata nelle aree ad alta densità urbana in soggetti con meno di 24 anni di età che hanno diversi partner sessuali e hanno rapporti sessuali non protetti. Un aumento della prevalenza della gonorrea è stato notato recentemente in uomini che avevano rapporti sessuali con altri uomini (MSM). I fattori di rischio comprendono razza non bianca, omosessualità, aumento del numero di partner sessuali, prostituzione, presenza di altre infezioni sessualmente trasmesse, stato civile di non coniugato, povertà e mancato uso di profilattici. Tecniche di auxotipizzazione e sierotipizzazione e, più recentemente, di tipizzazione molecolare sono state utilizzate per analizzare la diffusione di ceppi individuali di N. gonorrhoeae all’interno di una comunità. Il mantenimento e la successiva diffusione delle infezioni gonococciche in una comunità richiedono un gruppo di base ad alto rischio con elevata endemia come le prostitute o gli adolescenti con partner sessuali multipli. Questo perché la maggior parte delle persone che hanno la gonorrea cessa di avere rapporti sessuali e cerca assistenza, a meno che le necessità economiche o altri fattori (per es. la dipendenza da sostanze) non le spingano a un’attività sessuale persistente. Pertanto, molti soggetti infettanti appartengono a un sottogruppo di persone infette che non hanno o ignorano i sintomi e continuano a essere sessualmente attive. Ciò sottolinea l’importanza di individuare e trattare i partner sessuali delle persone infette che si presentano per il trattamento. L’infezione gonococcica dei neonati di solito deriva dall’esposizione peripartum a essudato infetto dalla cervice uterina materna. Un’infezione acuta inizia 2-5 giorni dopo la nascita. L’incidenza di infezione neonatale dipende dalla prevalenza di infezione gonococcica nelle donne gravide, dallo screening prenatale per la gonorrea e dalla profilassi oftalmica neonatale. ANATOMIA PATOLOGICA E PATOGENESI. La N. gonorrhoeae infetta primariamente l’epitelio colonnare, mentre l’epitelio squamoso stratificato è relativamente resistente all’invasione. L’invasione delle mucose da parte dei gonococchi risulta in una risposta infiammatoria locale che produce un essudato purulento consistente in leucociti polimorfonucleati, siero ed epitelio desquamato. Il lipo-oligosaccaride gonococcico (endotossina) esibisce una citotossicità diretta, causando ciliostasi e caduta delle cellule epiteliali ciliate. Una volta che il gonococco attraversa la barriera mucosa, il lipo-oligosaccaride si lega all’immunoglobulina battericida M (IgM) e al complemento sierico, provocando una risposta infiammatoria acuta nello spazio subepiteliale. Si ritiene che il fattore di necrosi tumorale e altre citochine medino la citotossicità delle infezioni gonococciche. I gonococchi possono risalire il tratto urogenitale e nei maschi dopo la pubertà possono causare uretrite o epididimite, mentre nelle femmine dopo la pubertà possono causare endometrite, salpingite e peritonite, note con il termine collettivo di malattia infiammatoria pelvica acuta (PID). La disseminazione dalle tube di Falloppio attraverso il peritoneo alla capsula epatica risulta in periepatite (sindrome di Fitz-Hugh-Curtis). I gonococchi che invadono i vasi linfatici e sanguigni possono portare a linfoadenopatia inguinale, ascesso perineale, perianale, ischiorettale e periprostatico e a infezione gonococcica disseminata (DGI). Diversi fattori di virulenza gonococcici e diversi fattori immunitari dell’ospite sono coinvolti nella penetrazione della barriera mucosa e nelle successive manifestazioni di infezione locale e sistemica. La pressione selettiva di diversi ambienti mucosali causa probabilmente cambiamenti della membrana esterna del microrganismo, compresa l’espressione di varianti dei pili, delle proteine di opacità o Opa (in precedenza proteina II) e dei lipooligosaccaridi. Questi cambiamenti possono stimolare l’attaccamento dei gonococchi, l’invasione, la replicazione e l’evasione delle risposte immunitarie dell’ospite. Perché si verifichi l’infezione, il gonococco deve prima attaccarsi alle cellule dell’ospite. Una IgA proteasi gonococcica inattiva 180-206ANA.indd 1204 le IgA1 scindendo la molecola nella regione cerniera e può essere un fattore importante nella colonizzazione o nell’invasione delle superfici mucose dell’ospite. I gonococchi aderiscono ai microvilli delle cellule epiteliali non ciliate mediante strutture proteiche simili a peli (pili) che si estendono dalla parete cellulare. Si ritiene che i pili proteggano il gonococco dalla fagocitosi e dal killing mediato dal complemento. I pili vanno incontro a una variazione antigenica a frequenza elevata che può facilitare l’evitamento da parte del microrganismo delle difese immunitarie dell’ospite e può fornire ligandi specifici per differenti recettori cellulari. Si ritiene che anche le proteine di opacità, la maggior parte delle quali conferiscono un aspetto opaco alle colonie, funzionino da ligandi per facilitare il legame alle cellule umane. I gonococchi che esprimono certe proteine Opa aderiscono e sono fagocitati dai neutrofili umani in assenza di siero. Altre variazioni fenotipiche che si verificano in risposta agli stress ambientali permettono ai gonococchi di stabilire l’infezione. Esempi sono le proteine ferro-reprimibili per il legame della transferrina o della lattoferrina, le proteine espresse anaerobicamente e la sintesi di proteine mediata dal contatto con le cellule epiteliali. I gonococchi possono crescere in vivo in condizioni anaerobiche o in un ambiente con una carenza relativa di ferro. Circa 24 ore dopo l’attaccamento, la superficie della cellula epiteliale si invagina e circonda il gonococco in un vacuolo fagocitico. Si ritiene che questo fenomeno sia mediato dalla proteina I della membrana esterna del gonococco, che si inserisce nella cellula ospite e provoca alterazioni della permeabilità della membrana. Successivamente, i vacuoli fagocitici iniziano a rilasciare gonococchi nello spazio subepiteliale per mezzo dell’esocitosi. I microrganismi vitali possono quindi causare malattia locale (cioè salpingite) o disseminarsi attraverso il circolo o i linfatici. Le IgG e le IgM sieriche dirette contro le proteine gonococciche e i lipo-oligosaccaridi causano una lisi batterica mediata dal complemento. Una resistenza sierica stabile contro questi anticorpi battericidi probabilmente deriva da un tipo particolare di proteina porinica espressa nei gonococchi (la maggior parte contiene PorIA) e questi ceppi sono spesso causa di malattia disseminata. La N. gonorrhoeae altera in modo differenziato l’efficacia del complemento e altera le risposte infiammatorie elicitate nell’infezione umana. Gli isolati da casi di DGI tipicamente resistono al killing da parte del siero normale (sono cioè siero-resistenti), inattivano più C3b, generano meno C5a e causano meno infiammazione locale. Gli isolati nella PID sono siero-sensibili, inattivano meno C3b, generano più C5a e causano maggiore infiammazione locale. Gli anticorpi IgG diretti contro la proteina modificabile con riduzione gonococcica (Rmp) bloccano il killing mediato dal complemento della N. gonorrhoeae. Gli anticorpi bloccanti antiRmp possono avere una specificità per sequenze proteiche della membrana esterna condivise da altre specie di Neisseria o Enterobacteriaceae oppure possono essere diretti contro sequenze uniche specifiche con un anello cisteinico upstream di Rmp, o entrambe le cose. Anticorpi preesistenti diretti contro la Rmp facilitano la trasmissione dell’infezione gonococcica alle donne esposte; la Rmp è altamente conservata nella N. gonorrhoeae e il blocco delle difese mucose può costituire una delle sue funzioni. L’adattamento del gonococco sembra essere importante anche nell’evitamento del killing da parte dei neutrofili. Gli esempi comprendono la salificazione dei lipo-oligosaccaridi, l’aumento della produzione di catalasi e alcuni cambiamenti dell’espressione delle proteine di superficie. I fattori dell’ospite possono influenzare l’incidenza e le manifestazioni dell’infezione gonococcica. Le ragazze prepuberi sono suscettibili alla vulvovaginite e, raramente, presentano una salpingite. La N. gonorrhoeae infetta l’epitelio non corneificato, e il sottile epitelio vaginale non corneificato e il pH alcalino della mucina vaginale predispongono questo gruppo di età alle infezioni del tratto genitale inferiore. La corneificazione indotta dagli estrogeni dell’epitelio vaginale nelle neonate e nelle donne mature resiste all’infezione. Le femmine in età postpuberale sono più suscettibili alla salpingite, quando, durante le mestruazioni, la riduzione dell’attività battericida del muco cervicale e il reflusso 23-09-2008 12:38:39 Capitolo 191 di sangue dalla cavità uterina nelle tube di Falloppio facilitano il passaggio dei gonococchi nel tratto riproduttivo superiore. Le popolazioni a rischio di DGI comprendono i portatori asintomatici, i neonati, le donne mestruate, gravide o nel periodo postpartum, gli omosessuali e gli ospiti immunocompromessi. Lo stato di portatore asintomatico implica l’incapacità del sistema immunitario dell’ospite di riconoscere il gonococco come un patogeno, la capacità del gonococco di evitare l’eliminazione o entrambe le cose. La colonizzazione faringea è stata proposta come fattore di rischio per la DGI. L’elevato tasso di infezione asintomatica nella gonorrea faringea potrebbe spiegare questo fenomeno. Le donne hanno un rischio aumentato di sviluppare una DGI durante le mestruazioni e la gravidanza e il postpartum, forse a causa della massima disseminazione endocervicale e della ridotta attività battericida perossidasica del muco cervicale durante questi periodi. Si ritiene che la mancanza di anticorpi IgM battericidi neonatali possa spiegare l’aumento della suscettibilità del neonato alla DGI. I soggetti con deficit delle componenti terminali del complemento (C5-C9) hanno un rischio considerevole di sviluppare episodi ricorrenti di DGI. MANIFESTAZIONI CLINICHE. La gonorrea si manifesta con uno spettro di presentazioni cliniche che vanno dallo stato di portatore asintomatico alle caratteristiche infezioni urogenitali localizzate fino all’infezione sistemica disseminata (vedi Capitolo 119). Gonorrea asintomatica. L’incidenza di questa forma di gonorrea nel bambino non è stata accertata. I gonococchi sono stati isolati dall’orofaringe di bambini piccoli sottoposti a violenza sessuale da parte di uomini; i sintomi orofaringei sono di solito assenti. La maggior parte delle infezioni del tratto genitale produce sintomi nei bambini. Tuttavia, almeno l’80% delle donne sessualmente mature con infezioni urogenitali gonococciche è asintomatico in situazioni in cui la maggior parte delle infezioni è individuata per mezzo di screening o di altre iniziative per la ricerca dei casi, diversamente dagli uomini che sono asintomatici soltanto il 10% delle volte. Lo stato di portatore rettale asintomatico di N. gonorrhoeae è stato documentato nel 40-60% delle femmine con infezione urogenitale. La maggior parte delle persone con coltura rettale positiva è asintomatica. La maggior parte delle infezioni gonococciche faringee è asintomatica. L’importanza di documentare l’infezione faringea è controversa. La maggior parte dei casi si risolve spontaneamente, la trasmissione dalla faringe ad altri pazienti è infrequente e la faringe è solo raramente l’unico sito di infezione. Tuttavia, l’infezione faringea asintomatica può causare infezioni sistemiche ed è occasionalmente la fonte di trasmissione ai partner sessuali. Gonorrea non complicata. La gonorrea genitale ha un periodo di incubazione di 2-5 giorni nei maschi e di 5-10 giorni nelle femmine. L’infezione primitiva si sviluppa nell’uretra maschile, nella vulva e nella vagina delle femmine prepuberi e nella cervice delle femmine postpuberi. L’oftalmite neonatale si verifica in entrambi i sessi. L’uretrite di solito è caratterizzata da perdite purulente e da disuria senza urgenza o pollachiuria. Nei maschi l’uretrite non trattata si risolve spontaneamente in diverse settimane oppure può essere complicata da epididimite, edema del pene, linfangite, prostatite o infiammazione delle vescicole seminali. Diplococchi Gram-negativi intracellulari sono presenti nelle perdite. Nelle femmine prepuberi, la vulvovaginite è di solito caratterizzata da perdite purulente vaginali con una vulva edematosa, dolente, eritematosa ed escoriata. Può essere presente disuria. Nelle femmine postpuberi, la cervicite e l’uretrite gonococciche sintomatiche sono caratterizzate da perdite purulente, dolore soprapubico, disuria, sanguinamento intermestruale e dispareunia. La cervice può essere infiammata e dolente. Nella gonorrea urogenitale, limitatamente al tratto genitale inferiore, il dolore non è aumentato dalla mobilizzazione della cervice e gli annessi non sono dolenti alla palpazione. Materiale purulento può essere spremuto dall’uretra o dai dotti delle ghiandole di Bartolini. La gonorrea rettale, anche se spesso asintomatica, può causare proctite con sintomi comprendenti perdite, prurito, sanguinamento, 180-206ANA.indd 1205 ■ Neisseria gonorrhoeae (gonococco) ■ 1205 dolore a livello anale, oltre che tenesmo e stipsi. La gonorrea rettale asintomatica può non essere dovuta a rapporti anali ma può rappresentare la colonizzazione da parte di un’infezione vaginale. L’oftalmite gonococcica può essere unilaterale o bilaterale. Può verificarsi in qualsiasi gruppo di età dopo inoculo dell’occhio con secrezioni infette. L’ophtalmia neonatorum da N. gonorrhoeae di solito compare da 1 a 4 giorni dopo la nascita (vedi Capitolo 625). Nei pazienti più anziani, l’infezione oculare deriva da inoculo o autoinoculo da un sito genitale. L’infezione inizia con un’infiammazione lieve e perdite sieroematiche. Entro 24 ore, le perdite divengono dense e purulente, e compare un edema palpebrale teso con cremosi marcata. Se la malattia non è trattata prontamente possono fare seguito ulcere corneali, rottura corneale e cecità. Infezione gonococcica disseminata. La disseminazione ematogena si verifica nell’1-3% di tutte le infezioni gonococciche, più frequentemente in seguito a infezioni primitive asintomatiche più che a infezioni sintomatiche. Le donne sono interessate nella maggior parte dei casi, con sintomi che iniziano 7-30 giorni dopo l’infezione ed entro 7 giorni dalle mestruazioni. Le manifestazioni più comuni sono artralgie simmetriche, lesioni cutanee delle estremità di tipo petecchiale o pustoloso, tenosinovite, artrite suppurativa e, raramente, cardite, meningite e osteomielite. I sintomi iniziali più comuni sono l’esordio acuto di poliartralgia con febbre. Soltanto il 25% dei pazienti lamenta lesioni cutanee. La maggior parte nega sintomi di tipo genitourinario; tuttavia, un’infezione mucosale primitiva è documentata dalle colture genitourinarie. L’80-90% circa delle colture cervicali è positivo nelle donne con DGI. Nei maschi, le colture uretrali sono positive nel 50-60% dei casi, le colture faringee nel 10-20% dei casi e le colture rettali nel 15% dei casi. La DGI è stata classificata in 2 sindromi cliniche che sotto alcuni aspetti si sovrappongono. La prima e più comune è la sindrome della tenosinovite-dermatite, caratterizzata da febbre, brividi, lesioni cutanee e poliartralgia che interessa prevalentemente polsi, mani e dita. I risultati delle emocolture sono positivi nel 30-40% circa dei casi e le colture del liquido sinoviale sono quasi sempre negative. La seconda sindrome è la sindrome dell’artrite suppurativa, in cui i segni e sintomi sistemici sono meno evidenti e l’artrite monoarticolare, spesso interessante il ginocchio, è più comune. Una fase di poliartralgia può precedere l’infezione monoarticolare. Nei casi di interessamento monoarticolare, la coltura del liquido sinoviale è positiva nel 45-55% circa dei casi e gli aspetti del liquido sinoviale sono compatibili con un’artrite settica. I risultati dell’emocoltura sono di solito negativi. La DGI nei neonati di solito si verifica come un’artrite suppurativa poliarticolare. Le lesioni dermatologiche iniziano di solito come macule rosse o rosa discrete, dolenti, del diametro da 1 a 20 mm, che progrediscono fino a lesioni maculopapulose, vescicolari, bollose, pustolose o petecchiali. La tipica pustola necrotica su una base eritematosa è distribuita in modo irregolare sulle estremità, comprese le superfici palmari e plantari, risparmiando di solito il viso e il cuoio capelluto. Il numero delle lesioni è tra 5 e 40 e il 20-30% contiene gonococchi. Anche se nella DGI possono essere presenti immunocomplessi, i livelli di complemento sono normali e il ruolo dei complessi immuni nella patogenesi è incerto. L’endocardite acuta è un’infrequente (1-2%) ma spesso fatale manifestazione della DGI, che di solito porta a rapida distruzione della valvola aortica. La pericardite acuta è un’entità raramente descritta nei pazienti con gonorrea disseminata. È stata documentata una meningite da N. gonorrhoeae. Segni e sintomi sono simili a quelli di qualsiasi meningite batterica acuta. DIAGNOSI. Non è possibile distinguere l’uretrite gonococcica da quella non gonococcica sulla base dei soli segni e sintomi. L’uretrite e la vulvovaginite gonococciche devono essere distinte da altre infezioni che causano perdite purulente, tra cui streptococchi -emolitici, C. trachomatis, Mycoplasma hominis, Trichomonas vaginalis e Candida albicans. Raramente, l’infezione da virus 23-09-2008 12:38:40 1206 ■ PARTE XVI ■ Malattie infettive herpes simplex umano di tipo 2 produce sintomi simili a quelli della gonorrea. Nei maschi con uretrite sintomatica, una diagnosi presuntiva di gonorrea può essere posta con l’identificazione dei diplococchi intracellulari Gram-negativi (all’interno dei leucociti) nelle perdite uretrali. Un aspetto simile nelle femmine non è sufficiente in quanto la Mima polymorpha e la Moraxella, che fanno parte della normale flora vaginale, hanno un aspetto simile. Anche la sensibilità della colorazione di Gram per la diagnosi di cervicite gonococcica e delle infezioni asintomatiche è ridotta. La presenza di specie di Neisseria commensali nell’orofaringe impedisce l’uso della colorazione di Gram per la diagnosi di gonorrea faringea. I microrganismi delle specie non patogene di Neisseria non vengono ritrovati all’interno delle cellule. La diagnosi di malattia gonococcica dipende dall’isolamento della N. gonorrhoeae. I test di sensibilità agli antibiotici necessitano di isolamento in coltura. I campioni uretrali maschili sono ottenuti inserendo un piccolo tampone 2-3 cm all’interno dell’uretra. Il materiale per le colture cervicali viene ottenuto dopo pulizia dell’esocervice e dopo avere inserito un tampone nell’orifizio cervicale e averlo ruotato delicatamente per diversi secondi. I tamponi rettali vengono ottenuti nel modo migliore passando un tampone 2-4 cm nel canale anale; occorre scartare i campioni fortemente contaminati dalle feci. Per risultati colturali ottimali, i campioni devono essere prelevati con tamponi non in cotone (per es. un Calciswab uretrogenitale), inoculati direttamente sulle piastre di coltura e incubati immediatamente. La scelta dei siti anatomici per la coltura dipende dai siti esposti e dalle manifestazioni cliniche. Nei maschi eterosessuali devono essere prelevati campioni uretrali, mentre in tutte le femmine occorre prelevare campioni dall’endocervice e dal retto, indipendentemente da un’anamnesi di rapporti anali. Una coltura faringea deve essere eseguita sia nei maschi sia nelle femmine se sono presenti sintomi di faringite o in caso di esposizione orale a una persona che ha una gonorrea genitale. In un caso sospetto di violenza sessuale su un bambino, occorre eseguire un tampone rettale, un tampone faringeo e un tampone uretrale (maschi) o vaginale (femmine). La coltura dell’endocervice non deve essere tentata fino a dopo la pubertà. I campioni da siti (per es. cervice, retto, faringe) che normalmente sono colonizzati da altri microrganismi devono essere inoculati in un terreno selettivo, come un terreno di Thayer-Martin modificato (fortificato con vancomicina, colistina, nistatina e trimetoprim per inibire la crescita della flora indigena). I campioni da siti che sono normalmente sterili o minimamente contaminati (cioè liquido sinoviale, sangue, liquido cerebrospinale) devono essere inoculati in un terreno agar-cioccolato non selettivo. Se si sospetta una DGI, devono essere ottenute colture da sangue, faringe, retto, uretra, cervice e liquido sinoviale (se interessato). I campioni messi in coltura devono essere subito incubati a 35-37 °C in atmosfera al 3-5% di anidride carbonica. Quando occorre trasportare i campioni in un laboratorio centrale per la messa in coltura, un mezzo privo di nutrienti (terreno di Stuart modificato da Amies) conserva i campioni con una perdita minima di vitalità per più di 6 ore. Quando il trasporto può ritardare la messa in coltura per più di 6 ore, è preferibile inoculare il campione direttamente in un terreno di coltura e trasportarlo a temperatura ambiente in un candle jar. I sistemi Transgrow e JEMBEC con terreno di Thayer-Martin modificato sono sistemi di trasporto alternativi. Quando non è immediatamente disponibile un laboratorio o i pazienti non sono disponibili per un follow-up, possono essere efficaci le tecniche diagnostiche rapide. Occorre selezionare e interpretare con cura i risultati in quanto molti test rapidi sono specifici delle colture. I test non colturali comprendono test immunoenzimatici (EIA, anticorpi policlonali antigonococcici per la ricerca dell’antigene gonococcico), test di immunoassorbimento enzimatico (ELISA, anticorpi monoclonali), sonde DNA e test di amplificazione dell’acido nucleico (NAAT). Questi test sembrano essere meno affidabili della coltura nei pazienti asintomatici a basso rischio, per i campioni non genitali e per i campioni ottenuti da bambini. 180-206ANA.indd 1206 Le sonde DNA sono approvate dalla FDA per la diagnosi della gonorrea con tamponi endocervicali per cui si sono dimostrate paragonabili alla coltura per ciò che riguarda sensibilità e specificità. I test di amplificazione dell’acido nucleico sono più sensibili della coltura e più rapidi da eseguire, ma anche più costosi. I test non colturali non possono sostituire le colture batteriologiche per la diagnosi definitiva di N. gonorrhoeae o per l’esecuzione di un antibiogramma. Essi possono servire da utili strumenti diagnostici in popolazioni transitorie a elevata prevalenza (per es. negli ambulatori per le malattie sessualmente trasmesse degli adolescenti), in cui è necessaria una diagnosi rapida e accuratamente presuntiva per un rapido inizio della terapia. La capacità del NAAT di individuare i microrganismi in campioni di urine ha permesso lo screening non invasivo di grandi popolazioni. L’artrite gonococcica deve essere distinta da altre forme di artrite settica e anche da febbre reumatica, artrite reumatoide, malattia intestinale infiammatoria e artrite secondaria a rosolia o vaccinazione per la rosolia. La congiuntivite gonococcica nel periodo neonatale deve essere differenziata dalla congiuntivite chimica causata dalle gocce di nitrato d’argento come anche dalla congiuntivite da C. trachomatis, Staphylococcus aureus, streptococco di gruppo A o B, Pseudomonas aeruginosa, Streptococcus pneumoniae o virus herpes simplex umano di tipo 2. TRATTAMENTO. Tutti i pazienti con gonorrea presunta o accertata devono essere valutati per la presenza concomitante di sifilide, epatite B, HIV e infezione da C. trachomatis. L’incidenza di coinfezione da Chlamydia è del 15-25% nei maschi e del 35-50% nelle femmine. I pazienti oltre il periodo neonatale devono essere trattati in via presuntiva per infezione da C. trachomatis (vedi Capitolo 223.2). I partner sessuali esposti nei 60 giorni precedenti devono essere esaminati, devono essere eseguite le colture e deve essere iniziato un trattamento su basi presuntive. A causa della prevalenza della N. gonorrhoeae penicillinoresistente, come terapia iniziale per tutte le età è raccomandata una cefalosporina di 3a generazione. La resistenza agli antibiotici nella N. gonorrhoeae si verifica sotto forma di resistenza mediata da plasmidi a penicillina e tetraciclina e come resistenza mediata da cromosomi a penicillina, tetracicline, spectinomicina e recentemente ai fluorochinolonici. Infezioni degli adolescenti e degli adulti. Una singola dose di ceftriaxone (125 mg im) eradica le infezioni gonococciche faringee e urogenitali non complicate. Il ceftriaxone è sicuro ed efficace nelle donne gravide e probabilmente elimina la sifilide in incubazione. Schemi terapeutici alternativi comprendono cefixima (400 mg per os), ciprofloxacina (500 mg per os), ofloxacina (400 mg per os) o levofloxacina (250 mg per os) in dose singola. L’efficacia della cefixima nei confronti della sifilide in incubazione è incerta. I chinolonici non sono approvati nei soggetti 18 anni di età negli Stati Uniti e non eliminano la sifilide in incubazione. I chinolonici non devono essere usati per le infezioni acquisite in Asia o nel Pacifico, comprese le Hawaii. Inoltre, l’uso dei chinolonici è sconsigliabile per il trattamento delle infezioni acquisite in California e in altre aree con aumento della prevalenza della resistenza ai chinolonici. Inoltre, recenti dati nazionali suggeriscono che la prevalenza della resistenza ai chinolonici nei maschi che hanno rapporti sessuali con altri maschi (MSM) è marcata (probabilmente 5%), sostanziando così le raccomandazioni dei CDC contro l’uso dei chinolonici negli MSM con infezione gonococcica sospetta o provata. Oltre ai fluorochinolonici, la cefixima, la cui produzione è stata sospesa nel 2002, è l’unico antibiotico orale raccomandato dai CDC per il trattamento della gonorrea. La spectinomicina (40 mg/kg, dose massima 2 g) in dose singola im rimane altamente efficace per la gonorrea rettale e genitale negli Stati Uniti, ma è inefficace per l’infezione faringea e non inibisce il T. pallidum. Indipendentemente dallo schema terapeutico prescelto, il trattamento deve essere seguito da uno schema terapeutico attivo contro il T. trachomatis. I trattamenti raccomandati sono doxiciclina (100 mg per os 2 volte al giorno per 7 giorni) o azitromicina (1 g per os in dose singola). Per gli 23-09-2008 12:38:40 Capitolo 191 adolescenti e gli adulti asintomatici dopo il trattamento non occorre una coltura per confermare la guarigione. Le donne gravide non devono essere trattate con chinolonici o tetracicline. Le donne con infezione da N. gonorrhoeae devono essere trattate con una cefalosporina raccomandata o alternativa. Le donne che non tollerano una cefalosporina devono assumere spectinomicina (2 g im in dose singola). Sia l’eritromicina sia l’amoxicillina sono raccomandate per il trattamento dell’infezione presunta o accertata da C. trachomatis durante la gravidanza. Il trattamento iniziale della DGI comprende l’ospedalizzazione e la somministrazione parenterale di ceftriaxone (1 g/die). I pazienti devono essere esaminati per l’evidenza clinica di endocardite e meningite. Le alternative per gli adulti e per i ragazzi nell’età della tarda adolescenza comprendono cefotaxima (1 g ev ogni 8 ore) o ceftizoxima (1 g ev ogni 8 ore), o per i pazienti allergici ai -lattamici, ciprofloxacina (400 mg ev ogni 12 ore), ofloxacina (400 mg ev ogni 12 ore), levofloxacina (250 mg ev ogni 24 ore) o spectinomicina (2 g im ogni 12 ore). Il trattamento può passare agli antibiotici orali dopo 24-48 ore e quando è evidente un miglioramento clinico. Il trattamento orale comprende cefixima (400 mg per os 2 volte al giorno), ciprofloxacina (500 mg per os 2 volte al giorno) o oflaxacina (400 mg per os 2 volte al giorno) per completare 7 giorni di terapia. La congiuntivite gonococcica deve essere trattata con ceftriaxone (1 g im in dose singola) con lavaggio dell’occhio infetto con soluzione fisiologica. La meningite è trattata con ceftriaxone (1-2 g ev ogni 12 ore) per 10-14 giorni. L’endocardite è trattata per 4 settimane con ceftriaxone (1-2 g ev ogni 12 ore). È importante la terapia concomitante per il trattamento dell’infezione genitale da Chlamydia. Infezioni neonatali e pediatriche. Le infezioni gonococciche non complicate nei bambini devono essere trattate con ceftriaxone in dose singola (50 mg/kg im, senza superare i 125 mg). I bambini che non tollerano il ceftriaxone possono essere trattati con spectinomicina 40 mg/kg im in iniezione singola (dose massima, 2 g). I bambini con batteriemia o artrite devono essere trattati con ceftriaxone (50 mg/kg/die, dose massima 1 g/die) per non meno di 7 giorni se pesano 45 kg e per non meno di 10-14 giorni se pesano 45 kg). La meningite deve essere trattata per 10-14 giorni e l’endocardite per non meno di 28 giorni con cetriaxone (50 mg/kg/dose ogni 12 ore, dose massina di 1-2 g ev ogni 12 ore). L’oftalmia gonococcica neonatale è trattata efficacemente con una dose singola di ceftriaxone (50 mg/kg im, senza superare i 125 mg); una dose singola di cefotaxima (100 mg/kg im) è un’alternativa accettabile. Le congiuntive devono essere irrigate frequentemente con soluzione fisiologica. Anche i neonati di madri con infezione gonococcica devono ricevere una dose singola di ceftriaxone (50 mg/kg im, senza superare i 125 mg). La sepsi neonatale deve essere trattata per via parenterale per almeno 7 giorni e la meningite per almeno 10 giorni. La cefotaxima è raccomandata per i neonati con iperbilirubinemia in quanto il ceftriaxone compete per i siti di legame della bilirubina sull’albumina. I neonati con oftalmite gonococcica devono essere ricoverati e valutati per una DGI. Malattia infiammatoria pelvica. La PID comprende uno spettro di malattie infettive del tratto genitale superiore da N. gonorrhoeae, C. trachomatis e da flora endogena (streptococchi, anaerobi, bacilli Gram-negativi). La terapia deve coprire un ampio spettro e deve essere somministrata agli adolescenti come pazienti ambulatoriali. Uno schema terapeutico comunemente raccomandato consiste in cefoxitina (2 g ev ogni 6 ore) o cefotetano (2 g ev ogni 12 ore) più doxiciclina (100 mg per os o ev ogni 12 ore). Si continua la terapia per almeno 48 ore dopo che il paziente è migliorato. Successivamente, si somministra doxiciclina per os per un totale di 10-14 giorni. Uno schema alternativo raccomandato è la clindamicina (900 mg ev ogni 8 ore) più una dose di carico di gentamicina (2 mg/kg ev) seguita da mantenimento con gentamicina (1,5 mg/kg ogni 8 ore). la terapia viene quindi continuata per 48 ore dopo il miglioramento del paziente ed è seguita da clindamicina per os (450 mg per os per 4 volte al giorno) o doxiciclina per os (100 mg per os ogni 12 ore) per completare 180-206ANA.indd 1207 ■ Neisseria gonorrhoeae (gonococco) ■ 1207 10-14 giorni di terapia. Se è presente uno IUD, deve essere rimosso e occorre usare una forma alternativa di controllo delle nascite. I partner sessuali devono essere esaminati e trattati per una gonorrea non complicata. Non è raccomandata una coltura di follow-up (test di guarigione) per la terapia con cefalosporinadoxiciclina di una STD gonococcica a causa del ridotto tasso di fallimento del trattamento. Una visita e una coltura di followup sono raccomandati a 1-2 mesi per valutare la possibilità di reinfezione o, raramente, di fallimento del trattamento. COMPLICANZE. Le complicanze della gonorrea derivano dalla diffusione dei gonococchi da un sito locale d’infezione. L’intervallo tra infezione primaria e sviluppo di una complicanza è di solito compreso tra giorni e settimane. Nelle femmine postpuberi, può verificarsi endometrite, specialmente nel corso delle mestruazioni. Questa può progredire fino a salpingite e peritonie (PID). Le manifestazioni della PID comprendono segni di infezione del tratto genitale inferiore (per es. perdite vaginali, dolore sovrapubico e dolorabilità cervicale) e infezione del tratto genitale superiore (per es. febbre, leucocitosi, aumento della VES e dolorabilità o massa annessiale). La diagnosi differenziale comprende malattie ginecologiche (cisti ovarica, tumore ovarico, gravidanza ectopica) e intra-addominali (appendicite, infezione delle vie urinarie, malattia intestinale infiammatoria). Una volta all’interno del peritoneo, i gonococchi possono disseminarsi alla capsula epatica, causando una periepatite con dolore del quadrante superiore destro (sindrome di Fitz-HughCurtis), con o senza segni di salpingite. Una periepatite può inoltre essere causata da Chlamydia trachomatis. La progressione a PID si verifica nel 20% circa dei casi di cervicite gonococcica e la N. gonorrhoeae è isolata nel 40% circa dei casi di PID negli Stati Uniti. I casi non trattati possono portare a idrosalpinge, piosalpinge, ascesso tubo-ovarico e in ultimo a sterilità. Anche con un adeguato trattamento della PID, il rischio di sterilità causato da occlusione tubarica bilaterale si avvicina al 20% dopo un episodio di salpingite e supera il 60% con 3 o più episodi. Il rischio di gravidanza ectopica è aumentato di circa 7 volte dopo uno o più episodi di salpingite. Altre sequele di PID comprendono dolore cronico, dispareunia e aumento del rischio di PID ricorrente. L’infezione gonococcica urogenitale acquisita nel 1° trimestre di gravidanza comporta un rischio elevato di aborto settico. Dopo la 16a settimana, l’infezione provoca corioamnionite, una causa maggiore di rottura prematura delle membrane e di parto prematuro. PROGNOSI. Una diagnosi tempestiva e una terapia corretta assicurano una guarigione completa della malattia gonococcica non complicata. Complicanze e sequele permanenti possono essere associate a ritardo del trattamento, infezione ricorrente, siti infettivi metastatici (meningi, valvola aortica) e terapia ritardata o topica dell’oftalmite gonococcica. PREVENZIONE. Gli sforzi per sviluppare un vaccino per i pili del gonococco sono stati fino ad ora senza successo. Il grado elevato di variabilità antigenica inter- e intraceppo per i pili costituisce un formidabile deterrente per lo sviluppo di un singolo vaccino per i pili. Altre strutture di superficie dei gonococchi come le proteine poriniche, le proteine di stress e i lipo-oligosaccaridi possono dimostrarsi più promettenti come vaccini candidati. In assenza di un vaccino, la prevenzione della gonorrea può essere ottenuta con l’educazione, l’uso di contraccettivi barriera (specialmente profilattici e spermicidi), una sorveglianza epidemiologica e batteriologica intensiva (screening dei contatti sessuali) e l’identificazione e il trattamento precoci dei contatti infetti. L’ophtalmia neonatorum gonococcica può essere prevenuta con l’instillazione di gocce di una soluzione all’1% di nitrato d’argento in ciascun sacco congiuntivale subito dopo la nascita (vedi Capitolo 625). Possono essere utilizzati anche pomate oftalmiche all’eritromicina (0,5%) o alla tetraciclina (1%). 23-09-2008 12:38:40 1208 ■ PARTE XVI ■ Malattie infettive Centers for Disease Control and Prevention: 2002 sexually transmitted diseases treatment guidelines for treatment of sexually transmitted diseases. MMWR 2002;51(RR-6):1–80. Cohen MS, Sparling PF: Mucosal infection with Neisseria gonorrhoeae, bacterial adaptation and mucosal defenses. J Clin Invest 1992;89:1699–1705. Fox KK, Knapp JS, Holmes KK, et al: Antimicrobial resistance in Neisseria gonorrhoeae in the United States, 1988–1994: The emergence of decreased susceptibility to the fluoroquinolones. J Infect Dis 1997;175:1396–1403. Hook EW, Holmes KK: Gonococcal infections. Ann Intern Med 1985;102: 229–243. Mathews C, Coetzee D: Partner notification for the control of STIs. BMJ 2007;334:323. 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Tuttavia, mortalità e morbilità da infezione da H. influenzae di tipo b rimangono un problema in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Casi occasionali di malattia invasiva causata da microrganismi di tipo non b continuano a verificarsi, anche se infrequentemente. Membri non tipizzabili della specie sono importanti cause di otite media e sinusite. EZIOLOGIA. L’H. influenzae è un coccobacillo pleiomorfo Gramnegativo esigente che richiede per la crescita il fattore X (ematina) e il fattore V (fosfopiridina nucleotide). Alcuni isolati di H. influenzae sono circondati da una capsula polisaccaridica e possono essere sierotipizzati in 6 tipi antigenicamente e biochimicamente distinti designati con le lettere a-f. EPIDEMIOLOGIA. Prima dell’avvento di un vaccino coniugato efficace per il tipo b nel 1988, l’H. influenzae di tipo b era una causa maggiore di malattia severa nei bambini di tutti i Paesi. Vi era una marcata distribuzione per età dei casi, con 90% dei casi in bambini 5 anni di età e la maggior parte in bambini 2 anni di età. Il tasso annuale d’attacco della malattia invasiva era di 64-129 casi/100 000 5 anni di età per anno. La malattia invasiva causata da altri sierotipi capsulari è stata finora molto meno frequente ma continua a verificarsi. L’incidenza di malattia invasiva causata da sierotipi non di tipo b è stata stimata in circa 0,7 casi/100 000 bambini 5 anni di età per anno. Anche l’H. influenzae non capsulato (non tipizzabile) causa malattia invasiva, specialmente nei neonati, nei bambini immunocompromessi e nei bambini di alcuni Paesi in via di sviluppo. Gli isolati non tipizzabili sono comuni agenti eziologici di otite media, sinusite e bronchite cronica negli adulti. Gli esseri umani sono gli unici ospiti naturali per l’H. influenzae, che fa parte della normale flora respiratoria nel 60-90% dei bambini sani. La maggior parte degli isolati è tipizzabile. Prima dell’avvento del vaccino coniugato, l’H. influenzae di tipo b poteva essere isolato dalla faringe del 2-5% dei bambini sani in età prescolare e scolare, con tassi più 180-206ANA.indd 1208 bassi nei lattanti e negli adulti. La colonizzazione asintomatica con l’H. influenzae di tipo b si verifica a un tasso molto più basso nelle popolazioni vaccinate. La continuazione della circolazione del microrganismo di tipo b nonostante gli attuali livelli di copertura vaccinale suggerisce che l’eliminazione della malattia di tipo b può rappresentare un problema estremamente rilevante. I pochi casi di malattia invasiva di tipo b negli Stati Uniti attualmente si verificano sia in bambini non vaccinati sia in bambini che hanno completato il ciclo vaccinale; circa la metà si verifica in lattanti 6 mesi di età, troppo piccoli per avere ricevuto un ciclo vaccinale primario di 2 o 3 dosi. Nei pazienti che per l’età possono avere ricevuto un ciclo completo, circa 1/3 aveva ricevuto almeno un ciclo primario di 3 dosi e circa 1/2 di questi aveva ricevuto anche una dose booster. Saranno necessari sforzi continuativi per fornire i vaccini coniugati attualmente disponibili ai bambini dei Paesi in via di sviluppo dove le possibilità economiche restano un problema importante. Certi gruppi e individui hanno un’aumentata incidenza di malattia invasiva di tipo b, compresi gli Eschimesi dell’Alaska, gli Apaches, i Navajos e i neri. Anche le persone con certe malattie croniche hanno un aumento del rischio di malattia invasiva, comprese quelle con malattia a cellule falciformi, asplenia, immunodeficienze congenite e acquisite, e neoplasie maligne. I lattanti non vaccinati con infezione invasiva mantengono un aumento del rischio di recidiva. I fattori di rischio socioeconomici per la malattia invasiva da H. influenzae di tipo b comprendono la frequenza di una struttura di child-care al di fuori dell’ambito domestico, la presenza di fratelli o sorelle in età scolare (scuola elementare) o più piccoli, un allattamento di breve durata e fumo dei genitori. Un’anamnesi di otite media è associata a un aumento del rischio di malattia invasiva. È molto meno conosciuta l’epidemiologia delle infezioni da H. influenzae non di tipo b. Tra i contatti domestici suscettibili per età che sono stati esposti a un caso di malattia invasiva da H. influenzae di tipo b, esiste un aumento del rischio di casi secondari di malattia invasiva nei primi 30 giorni, specialmente nei bambini suscettibili 24 mesi di età. Non è noto se un simile aumento del rischio si verifichi per i contatti della malattia non b. La modalità di trasmissione è più comunemente il contatto diretto o l’inalazione di goccioline respiratorie contenenti l’H. influenzae. Il periodo di incubazione della malattia invasiva è variabile ed è sconosciuto il periodo esatto di infettività. La maggior parte dei bambini con malattia invasiva da H. influenzae di tipo b ha una colonizzazione del nasofaringe prima dell’inizio della terapia antibiotica; il 25-40% può restare colonizzato durante le prime 24 ore di terapia. Con il declino della malattia da microrganismi di tipo b, è stata riconosciuta con maggiore chiarezza la malattia causata da altri sierotipi (a, c, d, e, f) e da microrganismi non tipizzabili. Non vi sono evidenze che sia aumentata la frequenza di queste infezioni non di tipo b. Tuttavia, si sono verificati cluster di infezioni di tipo a e, meno spesso, di tipo f. La distribuzione per età e lo spettro clinico delle infezioni di tipo a sembrano essere simili a quelli del tipo b in era prevaccinale. PATOGENESI. I meccanismi che facilitano con successo una colonizzazione efficace dell’epitelio respiratorio non sono stati identificati. Successivamente all’adesione batterica alla mucosa respiratoria, gli eventi che portano all’entrata nel compartimento intravascolare dei microrganismi di tipo b non sono chiari. Tuttavia, una volta penetrato, l’H. influenzae e forse altri ceppi capsulati resistono ai meccanismi di clearance intravascolare. Non è certo se sia la stessa capsula di tipo b che conferisce il potenziale invasivo alla malattia o un altro fattore di virulenza strettamente collegato. Una volta stabilita, l’entità della batteriemia da H. influenzae di tipo b e la sua durata determinano la probabilità di disseminazione dei batteri in siti come le meningi o le articolazioni. Le infezioni non invasive da H. influenzae come otite media, sinusite e bronchite sono di solito causate da ceppi non tipizzabili. Questi microrganismi penetrano in siti come l’orecchio medio e 23-09-2008 12:38:40 Capitolo 192 i seni paranasali per estensione diretta dal nasofaringe. I fattori che facilitano la diffusione dalla faringe comprendono la disfunzione tubarica e le pregresse infezioni virali delle vie respiratorie superiori. Resistenza agli antibiotici. La maggior parte degli isolati di H. influenzae è sensibile ad ampicillina o amoxicillina, ma circa 1/3 produce una -lattamasi ed è quindi resistente. Un isolato resistente all’ampicillina -lattamasi-negativo (BLNAR) manifesta la resistenza producendo un enzima di sintesi della parete cellulare insensibile alla -lattamasi chiamato PBP3. È possibile che la frequenza di questi ceppi stia aumentando. L’amoxicillina-clavulanato era un tempo considerata uniformemente attiva contro gli isolati clinici di H. influenzae. Tuttavia, il 3% circa degli isolati -lattamasi-positivi è resistente all’amoxicillina-clavulanato. L’amoxicillina-clavulanato non offre alcuna sinergia apparente contro gli isolati BLNAR. Tra i macrolidi, il 99% degli isolati di H. influenzae è sensibile all’azitromicina, mentre l’attività di eritromicina e claritromicina contro gli isolati clinici di H. influenzae è scarsa. Il chetolide telitromicina è meno attivo dell’azitromicina e non è considerato utile per le infezioni da H. influenzae. La resistenza alle cefalosporine di 3a generazione non è stata documentata. La resistenza al trimetoprim-sulfametoxazolo è bassa (10%), mentre la resistenza ai chinolonici è considerata infrequente. Immunità. Il più importante elemento noto delle difese dell’ospite è rappresentato dagli anticorpi diretti contro il polisaccaride capsulare di tipo b poliribosilribitolo fosfato (PRP). Nell’era prevaccinale, gli anticorpi anti-PRP erano acquisiti in relazione all’età; il loro meccanismo d’azione consiste nel facilitare la clearance dell’H. influenzae di tipo b dal sangue. Ciò in parte è correlato alla loro attività opsonizzante; anche altri anticorpi diretti contro antigeni come le proteine o i lipopolisaccaridi della membrana esterna possono avere un ruolo nell’opsonizzazione. Sia la via classica del complemento, sia quella alternativa sono importanti nell’opsonizzazione dell’H. influenzae di tipo b. Prima dell’introduzione della vaccinazione e nei soggetti vaccinati con vaccini PRP non coniugati, si riteneva che la protezione dall’infezione da H. influenzae di tipo b fosse correlata con la concentrazione di anticorpi circolanti anti-PRP al momento dell’esposizione. Una concentrazione anticorpale sierica di 0,15-1 g/mL era considerata protettiva contro l’infezione invasiva; la concentrazione più elevata nei vaccini può predire il mantenimento di un livello 0,15 g/nL nel tempo. I bambini non vaccinati di solito mancano di una concentrazione anticorpale anti-PRP di questa entità e sono sensibili alla malattia dopo il contatto con l’H. influenzae di tipo b. Questa mancanza di anticorpi nei bambini più piccoli può riflettere un ritardo di maturazione nella risposta immunologica agli antigeni timo-indipendenti di tipo 2 (TI-2) come il PRP non coniugato, e si riteneva che ciò potesse spiegare l’elevata incidenza di infezioni di tipo b nei lattanti nell’era prevaccinale. A differenza del vaccino PRP non coniugato, i vaccini coniugati – con l’eccezione di PRP-OMP, che possiede anche proprietà TI-1 – agiscono da antigeni timo-dipendenti (Tab. 192-1). Essi stimolano una risposta anticorpale sierica nei bambini più piccoli, anche se può essere necessaria la ripetizione delle dosi, e si ritiene che esercitino un’azione di priming sulle risposte anticorpali di TABELLA 192-1. Vaccini coniugati per l’Haemophilus influenzae di tipo b disponibili negli Stati Uniti ABBREVIAZIONE PRP-OMP* PRP-T† CARRIER PROTEICO OMP (un complesso proteico esterno di membrana di Neisseria meningitidis) Tossoide tetanico *Il PRP-OMP è disponibile anche come vaccino combinato con il vaccino per l’epatite B. Questo non dovrebbe essere usato per la vaccinazione contro l’epatite B alla nascita. † Il PRP-T può essere ricostituito con il vaccino DtaP per produrre un’associazione accettabile solo per la 4a dose (richiamo) nei bambini 15 mesi di età. 180-206ANA.indd 1209 ■ Haemophilus influenzae ■ 1209 memoria nei successivi incontri con il PRP. La concentrazione degli anticorpi circolanti anti-PRP in un bambino sul quale un vaccino coniugato ha esercitato un’azione di priming può non essere esattamente correlata con la protezione, presumibilmente perché una risposta di memoria può avvenire rapidamente in seguito all’esposizione al pRP e fornire una protezione. Molto meno è noto sull’immunità per altri ceppi capsulati di H. influenzae o per gli isolati non tipizzabili. Per gli isolati non tipizzabili, le evidenze suggeriscono che gli anticorpi diretti contro una o più proteine esterne di membrana siano battericidi e proteggano contro i challenge sperimentali. Sono stati valutati diversi antigeni nel tentativo di identificare i vaccini candidati per l’H. influenzae non tipizzabile, comprese le proteine esterne di membrana (P1, P2, P4, P5, P6, D15 e Tbp A/B), il lipopolisaccaride, varie adesine e la lipoproteina D. DIAGNOSI. L’identificazione presuntiva dell’H. influenzae è stabilita mediante esame diretto dei campioni raccolti con colorazione di Gram. A causa delle piccole dimensioni, del pleiomorfismo, della scarsa colorabilità di alcuni isolati e dalla tendenza dei liquidi, particolarmente quando sono ricchi di proteine, ad assumere un colore di sfondo rosso, l’H. influenzae talvolta è difficile da visualizzare. Poiché l’identificazione dei microrganismi sullo striscio con entrambe le tecniche richiede almeno 105 batteri/mL, l’impossibilità di visualizzarli non ne esclude la presenza. La coltura di H. influenzae richiede un trasporto immediato e una rapida lavorazione dei campioni in quanto il microrganismo è esigente. I campioni non devono essere essiccati o esposti a temperature estreme. L’isolamento primario dell’H. influenzae può essere ottenuto su piastre di agar-cioccolato o di agar-sangue mediante la tecnica della streak stafilococcica. La sierotipizzazione dell’H. influenzae si ottiene con l’agglutinazione su vetrino con antisieri tipo-specifici. Un’accurata sierotipizzazione è essenziale per monitorare il progresso verso l’eliminazione della malattia invasiva di tipo b. I casi devono essere riportati immediatamente alle autorità sanitarie pubbliche. MANIFESTAZIONI CLINICHE E TRATTAMENTO. La terapia antibiotica iniziale delle infezioni invasive potenzialmente dovute all’H. influenzae deve essere un antibiotico somministrato per via parenterale efficace nella sterilizzazione di tutti i focolai infettivi ed efficace contro i ceppi ampicillino-resistenti, di solito una cefalosporina ad ampio spettro come la cefotaxima o il ceftriaxone. Questi farmaci sono diventati popolari a causa della loro relativa mancanza di effetti avversi severi e per la facilità di somministrazione. Dopo aver determinato la sensibilità dell’isolato, può essere selezionato un farmaco appropriato per completare la terapia. L’ampicillina resta l’antibiotico di scelta per la terapia delle infezioni causate da isolati sensibili. Se l’isolato è resistente all’ampicillina, il ceftriaxone può essere somministrato una volta al giorno in circostanze selezionate come terapia ambulatoriale. Gli antibiotici orali sono talvolta utilizzati per completare un ciclo terapeutico iniziato per via parenterale e come terapia iniziale per le infezioni non invasive come otite media e sinusite. Se il microrganismo è sensibile all’ampicillina, l’amoxicillina è il farmaco di scelta. Una cefalosporina orale di 3a generazione (cefixima, cefdinir) o amoxicillina-clavulanato può essere utilizzata quando l’isolato è resistente all’ampicillina. Meningite. Nell’era prevaccinale, la meningite comprendeva più di metà dei casi di malattia invasiva da H. influenzae. Clinicamente, la meningite causata dall’H. influenzae di tipo b non può essere differenziata da quella da Neisseria meningitidis o Streptococcus pneumoniae (vedi Capitolo 603.1). Essa può essere complicata da altri focolai infettivi come polmoni, articolazioni, ossa o pericardio. La terapia antibiotica deve essere somministrata per via ev per 7-14 giorni nei casi non complicati. Cefotaxima, ceftriaxone e ampicillina attraversano la barriera ematoencefalica durante l’infiammazione acuta in concentrazioni adeguate per il trattamento della meningite da H. influenzae. La terapia im con ceftriaxone è un’alternativa nei pazienti con perfusione d’organo normale. 23-09-2008 12:38:40 1210 ■ PARTE XVI ■ Malattie infettive La prognosi della meningite da H. influenzae di tipo b dipende dall’età di presentazione, dalla durata della malattia prima dell’istituzione di una terapia antibiotica appropriata, dalla concentrazione di lipopolisaccaride capsulare nel liquido cerebrospinale e dalla rapidità con la quale viene eliminato dal liquido cerebrospinale, dal sangue e dalle urine. Sono fattori prognostici sfavorevoli un’inappropriata secrezione di ormone antidiuretico clinicamente evidente e l’evidenza di deficit neurologici focali. Il 6% circa dei pazienti con meningite da H. influenzae di tipo b residua qualche grado di ipoacusia, probabilmente a causa dell’infiammazione di coclea e labirinto. Il desametasone (0,6 mg/ kg/die suddivisi in 4 dosi per 2 giorni), particolarmente se somministrato subito prima o contemporaneamente all’inizio della terapia antibiotica, riduce l’incidenza di ipoacusia. Le principali sequele neurologiche della meningite da H. influenzae di tipo b comprendono problemi comportamentali, disordini del linguaggio, ritardo dello sviluppo del linguaggio, deficit del visus, ritardo mentale, anomalie motorie, atassia, convulsioni e idrocefalo. Cellulite. I bambini con cellulite da H. influenzae presentano spesso una pregressa infezione delle vie respiratorie superiori. Essi di solito non hanno un’anamnesi di trauma e si ritiene che l’infezione rappresenti la disseminazione del microrganismo nei tessuti molli coinvolti durante la batteriemia. Testa e collo, particolarmente la guancia e la regione presettale, sono la sede di interessamento più comune. La regione interessata di solito presenta margini indistinti ed è dolente e indurita. La cellulite della bocca è classicamente eritematosa con una sfumatura violacea, anche se questo segno può essere assente. L’H. influenzae può spesso essere isolato direttamente da un aspirato del margine più esterno. Anche l’emocoltura può rivelare il microrganismo causale. Possono essere presenti contemporaneamente altri focolai d’infezione, particolarmente nei bambini 18 anni o in quelli con febbre. In questi bambini si deve prendere in considerazione una puntura lombare diagnostica al momento della diagnosi. È indicata la terapia antibiotica parenterale fino a quando il paziente diviene afebbrile, dopo di che la si può sostituire con una terapia antibiotica appropriata per via orale. Di solito si prosegue il ciclo terapeutico per os per 7-10 giorni. Cellulite presettale. Un’infezione che interessa gli strati tessutali superficiali anteriori rispetto al setto orbitario è denominata cellulite presettale, e può essere causata dall’H. influenzae. La cellulite presettale non complicata non implica un rischio di deficit del visus o di estensione diretta al sistema nervoso centrale. Tuttavia, una batteriemia concomitante può essere associata allo sviluppo di meningite. La cellulite presettale da H. influenzae è caratterizzata da febbre, edema, dolenzia e ipertermia palpebrale e, occasionalmente, da un colorito purpureo delle palpebre. Di solito non vi sono evidenze di interruzione tegumentaria. Può essere associata a scolo congiuntivale. Una cellulite presettale clinicamente indistinguibile è provocata da S. pneumoniae, Staphylococcus aureus e streptococco di gruppo A. Gli ultimi due patogeni sono più probabili in assenza di febbre e se vi è interruzione tegumentaria (per es. un morso di insetto). Nei bambini con cellulite presettale in cui una possibilità eziologica è rappresentata dall’H. influenzae o dallo S. pneumoniae (giovane età, febbre elevata, tegumento intatto) si deve eseguire un’emocoltura e deve essere presa in considerazione una puntura lombare diagnostica. Per la cellulite presettale sono indicati gli antibiotici parenterali. Dal momento che lo S. aureus, lo S. pneumoniae e gli streptococchi -emolitici di gruppo A sono altri possibili microrganismi causali, la terapia empirica dovrebbe comprendere antibiotici attivi contro questi patogeni. I pazienti con cellulite presettale senza meningite concomitante devono ricevere la terapia parenterale per circa 5 giorni fino alla scomparsa di febbre ed eritema. Nei casi non complicati, occorre somministrare la terapia antibiotica per un totale di 10 giorni. Cellulite orbitaria. Le infezioni orbitarie sono infrequenti e di solito complicano una sinusite etmoidale e sfenoidale acuta. La cellulite orbitaria può presentarsi con edema palpebrale, ma si distingue per la presenza di proptosi, cremosi, riduzione del vi- 180-206ANA.indd 1210 sus, limitazione dei movimenti extraoculari, ridotta mobilità del globo oculare o dolore ai movimenti del globo oculare. La distinzione tra cellulite presettale e orbitaria può essere difficile e in questo caso l’esame di scelta è la TC. Le infezioni orbitarie vengono trattate con terapia parenterale per almeno 14 giorni. Una sinusite o un ascesso soggiacenti possono richiedere il drenaggio chirurgico e una terapia antibiotica più prolungata. Epiglottite acuta. L’epiglottite è una cellulite dei tessuti comprendenti l’ingresso laringeo (vedi Capitolo 382). È divenuta estremamente rara dopo l’introduzione del vaccino. Il probabile evento fisiopatologico iniziale è l’invasione batterica diretta dei tessuti coinvolti. Questa condizione drammatica e potenzialmente letale si può presentare a qualsiasi età. A causa del rischio di un’ostruzione imprevedibile e improvvisa delle vie aeree, l’epiglottite rappresenta un’emergenza medica. Altri focolai di infezione, come la meningite, sono rari. La terapia antibiotica contro l’H. influenzae di tipo b e altri agenti eziologici deve essere somministrata per via parenterale, ma soltanto dopo avere assicurato le vie aeree, e la terapia deve continuare fino a quando il paziente è in grado di assumere liquidi per bocca. La durata della terapia antibiotica è tipicamente di 7 giorni. Polmonite. La reale incidenza di polmonite da H. influenzae nei bambini è sconosciuta in quanto sono necessarie procedure invasive per l’esecuzione delle colture che quindi vengono eseguite raramente (vedi Capitolo 397). In era prevaccinale, i batteri di tipo b erano la causa usuale. I segni e sintomi della polmonite da H. influenzae non possono essere distinti da quelli della polmonite causata da molti altri microrganismi. Altri focolai di infezione possono essere presenti nello stesso tempo. I bambini con 12 anni di età con sospetta polmonite da H. influenzae devono inizialmente essere trattati con una terapia antibiotica parenterale a causa del rischio aumentato di batteriemia e delle sue complicanze. I bambini più grandi che non appaiono severamente compromessi possono essere trattati con una terapia antibiotica per via orale. La terapia viene continuata per 7-10 giorni. Il versamento pleurico non complicato associato a polmonite da H. influenzae non richiede interventi particolari. In caso di empiema, è indicato il drenaggio chirurgico. Artrite suppurativa. Sono interessate più comunemente le grandi articolazioni, come ginocchio, anca, caviglia e gomito (vedi Capitolo 686). Altri focolai di infezione possono essere presenti nello stesso tempo. Anche se l’interessamento di una singola articolazione è la regola, si verifica un interessamento articolare multiplo nel 6% circa dei casi. I segni e sintomi dell’artrite settica causata dall’H. influenzae non sono distinguibili da quelli dell’artrite causata da altri batteri. L’artrite settica non complicata deve essere trattata con una terapia antibiotica appropriata somministrata per via parenterale per almeno 5-7 giorni. Se la risposta clinica è soddisfacente, la parte restante del ciclo di terapia antibiotica può essere somministrata per via orale. La terapia viene tipicamente effettuata per 3 settimane nell’artrite settica non complicata, ma può essere continuata oltre le 3 settimane fino a quando i livelli di proteina C-reattiva si normalizzano. Pericardite. L’H. influenzae è una rara causa di pericardite (vedi Capitolo 440). I bambini affetti hanno spesso avuto una pregressa infezione delle vie respiratorie superiori. Aspetti costanti sono febbre, stress respiratorio e tachicardia. Altri focolai di infezione possono essere presenti nello stesso tempo. La diagnosi può essere stabilita mediante l’isolamento del microrganismo nel sangue o nel liquido pericardico. La diagnosi può essere facilitata dalla colorazione di Gram o dalla ricerca del PRP nel liquido pericardico, nel sangue o nelle urine (quando sono in causa microrganismi di tipo b). La terapia antibiotica deve essere parenterale in modo simile a quella della meningite (vedi Capitolo 603.1). La pericardiectomia è utile per il drenaggio efficace del materiale purulento e per la prevenzione del tamponamento e della pericardite costrittiva. Batteriemia senza focolaio associato. Una batteriemia da H. influenzae di tipo b può essere associata a febbre senza un focolaio evidente di infezione (vedi Capitolo 175). In questa situazione, 23-09-2008 12:38:40 Capitolo 192 i fattori di rischio per una batteriemia “occulta” comprendono l’entità della febbre (39 °C) e la presenza di leucocitosi (15 000 cellule/L). Il 25% circa dei bambini in batteriemia occulta da H. influenzae sviluppa una meningite se non trattato. Nell’era vaccinale, questa infezione da H. influenzae è divenuta estremamente rara. Quando si verifica, il bambino deve essere rivalutato per la ricerca di un focolaio di infezione e deve essere eseguita una 2a emocoltura. In generale, il bambino deve essere ospedalizzato e trattato con una terapia antibiotica per via parenterale dopo una puntura lombare diagnostica e una radiografia del torace. Infezioni varie. Infezioni delle vie urinarie, orchiepididimite, adenite cervicale, glossite acuta, infezione di cisti del dotto tireoglosso, uvulite, endocardite, endoftalmite, peritonite primitiva, osteomielite e ascesso periappendicolare sono raramente causate dall’H. influenzae. Malattia invasiva neonatale. I neonati presentano raramente un’infezione invasiva da H. influenzae. Nella malattia che si presenta nelle prime 24 ore di vita, specialmente in associazione con una corioamnionite materna o una rottura prolungata delle membrane, la trasmissione del microrganismo al neonato è probabilmente avvenuta attraverso il tratto genitale materno, che può essere colonizzato (1%) dall’H. influenzae non tipizzabile. Le manifestazioni dell’infezione invasiva neonatale comprendono batteriemia con sepsi, polmonite, sindrome da distress respiratorio con shock, congiuntivite, ascesso o cellulite del cuoio capelluto, o meningite. Meno comunemente, possono verificarsi mastoidite, artrite settica o un’eruzione vescicolosa congenita. Otite media. L’otite media è una delle più comuni malattie infettive dell’infanzia (vedi Capitolo 641). Essa deriva dalla diffusione di batteri dal nasofaringe attraverso la tuba di Eustachio nell’orecchio medio. Di solito in seguito a una pregressa infezione virale delle vie aeree superiori, la mucosa di questa area diviene iperemica ed edematosa risultando in un’ostruzione e nell’opportunità di una moltiplicazione batterica nell’orecchio medio. I più comuni patogeni batterici sono lo S. pneumoniae, l’H. influenzae e la Moraxella catarrhalis. La maggior parte degli isolati di H. influenzae che causano otite media non è tipizzabile. Può essere presente anche una congiuntivite ipsilaterale. L’amoxicillina (80-90 mg/kg/die) è un antibiotico orale di prima scelta affidabile, in quanto la probabilità che l’isolato causale sia resistente all’amoxicillina e che vi sia rischio di infezione invasiva è sufficientemente bassa da giustificare questo approccio. In alternativa, una dose singola di ceftriaxone costituisce una terapia adeguata. In caso di fallimento terapeutico o se si recupera un isolato produttore di -lattamasi dalla timpanocentesi o dal liquido di drenaggio, amoxicillina-clavulanato ed eritromicina-sulfametoxazolo sono tra le probabili alternative. L’eritromicina-sulfametoxazolo è utile nei pazienti allergici ai -lattamici. Congiuntivite. L’infezione acuta della congiuntiva è una comune infezione nell’infanzia (vedi Capitolo 627). Nei neonati, l’H. influenzae è una causa infrequente. Tuttavia, è un patogeno importante nei bambini più grandi, come lo sono lo S. pneumoniae e lo S. aureus. La maggior parte degli isolati di H. influenzae associati a congiuntivite è non tipizzabile, anche se si riscontrano occasionalmente isolati di tipo b e altri sierotipi. Il trattamento empirico della congiuntivite oltre il periodo neonatale di solito consiste in una terapia antibiotica topica con sulfacetamide. I fluorochinolonici topici devono essere evitati a causa del loro ampio spettro, del costo elevato e degli alti tassi di resistenza emergenti per diverse specie batteriche. Può essere presente un’otite media ipsilaterale causata dallo stesso microrganismo; essa richiede una terapia antibiotica orale. Sinusite. L’H. influenzae è una causa importante di sinusite acuta nei bambini, 2a in frequenza soltanto allo S. pneumoniae (vedi Capitolo 377). Una sinusite cronica che dura 1 mese o una sinusite severa che richiede l’ospedalizzazione è spesso causata dallo S. aureus o da anaerobi come Peptococcus, Peptostreptococcus o Bacteroides. Si isolano frequentemente anche H. influenzae non tipizzabili e streptococchi del gruppo viridans. Per la sinusite non complicata è accettabile l’amoxicillina. Tut- 180-206ANA.indd 1211 ■ Haemophilus influenzae ■ 1211 tavia, se non si verifica un miglioramento clinico, può essere appropriato uno schema terapeutico ad ampio spettro come con amoxicillina-clavulanato. Un ciclo di 10 giorni è sufficiente per la sinusite non complicata. Raramente è necessaria l’ospedalizzazione per la terapia parenterale, di solito se si sospetta una progressione a cellulite orbitaria. PREVENZIONE. La vaccinazione universale con il vaccino coniugato per l’H. influenzae di tipo b è raccomandata per tutti i bambini. È indicata la profilassi se i contatti stretti di un paziente indice con malattia da H. influenzae di tipo b non sono vaccinati. La contagiosità delle infezioni da H. influenzae non di tipo b non è nota e la profilassi non è raccomandata. Vaccino. Esistono tre vaccini coniugati per l’H. influenzae di tipo b, che differiscono per ciò che riguarda la proteina carrier utilizzata e il metodo per coniugare il polisaccaride alla proteina (vedi Tab. 192-1 e Capitolo 170). Una combinazione disponibile è il PRP-OMP combinato con il vaccino per l’epatite B (Comvax). Inoltre, il PRPT può essere combinato con il vaccino DTaP (tossoidi di difterite e tetano e pertosse acellulare) soltanto per la 4a dose. Profilassi. I bambini non vaccinati 48 mesi di età in stretto contatto hanno un aumento del rischio di infezione invasiva se esposti a un caso indice di infezione invasiva da H. influenzae di tipo b. Il rischio di malattia secondaria per i bambini 3 mesi di età è inversamente correlato all’età. Circa metà dei casi secondari nei contatti domestici sensibili si verifica nella 1a settimana dopo l’ospedalizzazione del caso indice. Dal momento che molti bambini sono ora protetti contro l’H. influenzae di tipo b dalla vaccinazione pregressa, la necessità della profilassi è grandemente diminuita. Quando è necessario, la profilassi con rifampicina è indicata per tutti i membri della famiglia o del gruppo a stretto contatto, compresi il paziente indice, se il gruppo include 1 bambino 48 mesi di età che non è stato completamente vaccinato. I genitori dei bambini ospedalizzati per malattia invasiva da H. influenzae di tipo b devono essere informati dell’aumento del rischio d’infezione secondaria in altri bambini della stessa famiglia se non sono completamente vaccinati. I genitori dei bambini esposti a un singolo caso di malattia invasiva da H. influenzae di tipo b in un centro di child-care o in un asilo devono essere informati allo stesso modo, anche se la necessità della profilassi con rifampicina in questi bambini è controversa. Per la profilassi, i bambini devono essere trattati con rifampicina per os (0-1 mese di età, 10 mg/kg/dose; 1 mese di età, 20 mg/kg/dose, dose massima 600 mg/dose) una volta al giorno per 4 giorni consecutivi. La dose per adulti è di 600 mg una volta al giorno. La profilassi con rifampicina non è raccomandata nelle donne gravide. Adderson, EE, Byington CL, Spencer L, et al: Invasive serotype a Haemophilus influenzae infections with a virulence genotype resembling Haemophilus influenzae type b: Emerging pathogen in the vaccine era? Pediatrics 2001;108:18–24. Adegbola RA, Secka O, Lahai G, et al: Elimination of Haemophilus influenzae type b (BHb) disease from the Gambia after the introduction of routine immunization with a Hib conjugate vaccine: A prospective study. Lancet 2005;366:144–150. Centers for Disease Control and Prevention: Progress toward elimination of Haemophilus influenzae type b invasive disease among infants and children—United States, 1998–2000. MMWR 2002;51:234–236. Gessner BD, Sutanto A, Linehan M, et al: Incidences of vaccine-preventable Haemophilus influenzae type b pneumonia and meningitis in Indonesian children: Hamlet-randomised vaccine-probe trial. Lancet 2005;365:43–52. McIntyre PB, Berkey CS, King SM, et al: Dexamethasone as adjunctive therapy in bacterial meningitis. A meta-analysis of randomized clinical trials since 1988. JAMA 1997;278:925–931. Prymula P, Peeters P, Chrobok V, et al: Pneumococcal capsular polysaccharides conjugated to protein D for prevention of acute otitis media caused by both Streptococcus pneumoniae and non-typeable Haemophilus influenzae: A randomized double-blind efficacy study. Lancet 2006;367:740–748. 23-09-2008 12:38:40 1212 ■ PARTE XVI ■ Malattie infettive Saha SK, Baqui AH, Darmstadt GL, et al: Invasive Haemophilus influenzae type b diseases in Bangladesh, with increased resistance to antibiotics. J Pediatr 2005;146:227–233. Yaro S, Lourd M, Naccro B, et al: The epidemiology of Haemophilus influenzae type b meningitis in Burkina Faso. Pediatr Infect Dis J 2006;25: 415–419. Capitolo 193 ■ Cancroide (Haemophilus ducreyi) Parvin H. Azimi Il cancroide è una malattia sessualmente trasmessa caratterizzata da un’ulcera genitale dolorosa e da linfoadenopatia inguinale causata dall’Haemophilus ducreyi, un bacillo patogeno Gramnegativo. Il cancroide è prevalente in molti Paesi in via di sviluppo e si presenta sporadicamente nel mondo sviluppato, di solito in persone recentemente ritornate da aree endemiche oppure occasionalmente sotto forma di epidemie in aree urbane localizzate, associato al sesso a pagamento. È un fattore di rischio per la trasmissione dell’HIV. La diagnosi di cancroide nei bambini rappresenta una forte evidenza di violenza sessuale. La malattia inizia dopo un periodo di incubazione di 4-7 giorni con una piccola papula infiammatoria sull’orifizio prepuziale o sul frenulo nei maschi e sulle labbra, sulla forchetta o sulla regione perineale nelle femmine. La lesione diviene pustolosa, erosa e ulcerativa entro 2-3 giorni. I margini dell’ulcera sono classicamente frastagliati e sottominati. Senza trattamento, le ulcere possono persistere per settimane o mesi. In più del 50% dei casi si verifica una linfoadenite inguinale dolorosa e dolente al tatto, più spesso nei maschi. La linfoadenopatia può divenire fluttuante formando bubboni che possono andare incontro a rottura spontanea. La diagnosi viene di solito posta in base alla presentazione clinica e all’esclusione della sifilide (Treponema pallidum) e delle infezioni da virus herpes simplex. La colorazione di Gram delle secrezioni delle ulcere può dimostrare i coccobacilli Gram-negativi in cluster paralleli (branco di pesci). La coltura richiede un terreno speciale e costoso e ha una sensibilità soltanto dell’80%. La reazione a catena polimerasica o l’immunofluorescenza indiretta con anticorpi monoclonali rimangono strumenti di ricerca e possono divenire le metodiche diagnostiche migliori. L’ulcera del cancroide si accompagna a linfoadenopatia concomitante di solito unilaterale, a differenza del linfogranuloma venereo (vedi Capitolo 223.4). L’herpes genitale è caratterizzato da lesioni vescicolose con un’anamnesi di recidive (vedi Capitolo 249). La maggior parte dei microrganismi H. ducreyi è resistente a penicillina e ampicillina a causa della produzione di -lattamasi mediata dai plasmidi. La diffusione della resistenza mediata dai plasmidi tra i ceppi dell’H. ducreyi ha portato a una mancanza di efficacia di farmaci in precedenza efficaci come i sulfamidici e le tetracicline. Il trattamento raccomandato del cancroide consiste in azitromicina (1 g in dose singola) o ceftriaxone (250 mg in dose singola im). Terapie alternative comprendono eritromicina (500 mg 3 volte al giorno per os per 7 giorni), che è usata più spesso nei Paesi in via di sviluppo, e ciprofloxacina (500 mg per 2 volte al giorno per os per 3 giorni, per individui 18 anni di età). I linfonodi fluttuanti possono richiedere il drenaggio. I sintomi di solito si risolvono entro 3-7 giorni. Le recidive possono di solito essere trattate con successo con lo schema terapeutico originale. I pazienti con infezione da HIV possono richiedere un trattamento più prolungato. I pazienti con cancroide devono essere valutati per altre malattie sessualmente trasmesse; si stima che il 10% di essi abbia una sifilide o un herpes genitale concomitanti. Nei Paesi in via di sviluppo, i pazienti con un’ulcera genitale compatibile vengono trattati sia per il cancroide sia per la sifilide. Tutti i contatti sessuali dei pazienti con cancroide devono essere valutati e trat- 180-206ANA.indd 1212 tati. Le complicanze comprendono fimosi nei maschi e infezioni batteriche secondarie. L’ulcera genitale come sindrome aumenta il rischio di trasmissione dell’HIV. La circoncisione maschile sembra ridurre il rischio di cancroide. Centers for Disease Control and Prevention: Sexually transmitted diseases treatment guidelines, 2006. MMWR 2006;55:15. Lewis DA: Chancroid: Clinical manifestations, diagnosis, and management. Sex Transm Infect 2003;79:68–71. Mackay IM, Harnett G, Jeoffreys N, et al: Detection and discrimination of herpes simplex viruses, Haemophilus ducreyi, Treponema pallidum, and Calymmatobacterium (Klebsiella) granulomatis from genital ulcers. Clin Infect Dis 2006;42:1431–1438. Mertz KJ, Weiss JB, Webb RM, et al: An investigation of genital ulcers in Jackson, Mississippi, with use of a multiplex polymerase chain reaction assay: High prevalence of chancroid and human immunodeficiency virus infection. J Infect Dis 1998;178:1060–1066. Spinola SM, Bauer ME, Munson RS Jr: Immunopathogenesis of Haemophilus ducreyi infection (chancroid). Infect Immun 2002;70:1667–1676. Weiss HA, Thomas SL, Munagi SK, et al: Male circumcision and risk of syphilis, chancroid, and genital herpes: A systematic review and meta-analysis. Sex Transm Infect 2006;82:101–109. Capitolo 194 ■ Pertosse (Bordetella pertussis e Bordetella parapertussis) Sarah S. Long La pertosse è un’infezione acuta delle vie respiratorie che fu ben descritta già nel 1500. Fu Sydenham, nel 1670, a usare per primo il termine pertussis, che significa tosse intensa. EZIOLOGIA. La Bordetella pertussis è la sola causa di pertosse epidemica e la causa usuale di pertosse sporadica. La Bordetella parapertussis è una causa occasionale di pertosse sporadica che contribuisce significativamente ai casi totali di pertosse in Europa Occidentale e Orientale, ma comprende 5% degli isolati di Bordetella negli Stati Uniti. La B. pertussis e la B. parapertussis sono patogeni esclusivi degli esseri umani e di alcuni primati. La B. bronchiseptica è un comune patogeno animale. Occasionali casi riportati negli esseri umani possono interessare qualsiasi sito corporeo e si verificano tipicamente in pazienti immunocompromessi o in bambini piccoli con intensa esposizione ad animali. Una tosse protratta può essere causata dal Mycoplasma, dai virus influenzali e parainfluenzali, dagli enterovirus, dal virus respiratorio sinciziale o dagli adenovirus. Nessuno di questi è una causa importante di pertosse. EPIDEMIOLOGIA. Ogni anno si verificano in tutto il mondo 60 milioni di casi di pertosse, con 500 000 decessi. Prima della disponibilità del vaccino, la pertosse era la principale causa di morte da malattia trasmissibile nei bambini 14 anni di età negli Stati Uniti, con 10 000 decessi all’anno. L’uso diffuso del vaccino per la pertosse ha portato a un declino 99% dei casi. Il ruolo fondamentale della vaccinazione per il controllo della malattia è riflesso dalla persistente elevata incidenza della pertosse nei Paesi in via di sviluppo e dalla sua ripresa in altri Paesi dove la copertura vaccinale è bassa o dove potrebbe essere stato utilizzato un vaccino meno potente. Dopo il basso numero di 1010 casi negli Stati Uniti riportato nel 1976, vi è stato un aumento dell’incidenza annuale di pertosse a 1,2 casi/100 000 dal 1980 al 1989 con epidemie di pertosse in molti Stati nel 1989-90, nel 1993 e nel 1996. La pertosse è sempre di più endemica con minore stagionalità o andamento ciclico rispetto al passato. Nel 2004, l’incidenza della pertosse 23-09-2008 12:38:40 Capitolo 194 riportata negli Stati Uniti è aumentata per il 3° anno di seguito, a 8,9 casi/100 000, più di 2 volte il tasso riportato nel 2003 e un aumento rispetto a 1,8 nel 1994. Il numero di casi (25 827) è stato il più alto dal 1959. Di questi, il 10% si è verificato in lattanti 6 mesi di età che erano troppo piccoli per avere ricevuto le prime 3 delle 5 dosi di vaccino raccomandate entro i 6 anni di età. Questo gruppo di età aveva il tasso più alto riportato, 136,5/100 000. I lattanti hanno la maggiore morbilità associata alla pertosse, anche se gli adolescenti e gli adulti comprendono ora la maggior parte (67%) dei casi riportati in quanto l’immunità indotta dal vaccino scompare e questi gruppi di età divengono suscettibili all’infezione. Il 60% circa dei casi si verifica negli adolescenti e negli adulti. La pertosse è l’unica, tra le malattie prevenibili con il vaccino per le quali è raccomandata negli Stati Uniti la vaccinazione universale, che continua a mostrare un aumento dell’incidenza. Vi sono valide prove che la pertosse è sottovalutata, sottodiagnosticata e sottoriportata. La pertosse è estremamente contagiosa, con tassi di attacco anche del 100% negli individui suscettibili esposti alle goccioline aeree a distanza ravvicinata. La B. pertussis non sopravvive per periodi prolungati nell’ambiente. Lo stato di portatore da parte degli esseri umani non è documentato. Dopo un’intensa esposizione, come avviene negli ambienti domestici, il tasso di infezione subclinica giunge fino all’80% negli individui vaccinati o precedentemente infettati. Tuttavia, quando viene ricercata con attenzione, può essere identificata una fonte sintomatica per la maggior parte dei pazienti. Né la malattia naturale né la vaccinazione assicurano un’immunità completa o per tutta la vita contro la reinfezione o la malattia. La protezione contro la malattia tipica inizia a scomparire 3-5 anni dopo la vaccinazione e non è misurabile dopo 12 anni. La reinfezione subclinica indubbiamente ha contribuito in modo significativo all’immunità contro la malattia in precedenza attribuita sia al vaccino, sia all’infezione pregressa. Gli adolescenti e gli adulti negli Stati Uniti hanno titoli anticorpali inadeguati contro la B. pertussis. Nonostante un’anamnesi di malattia o di vaccinazione completa si sono avute epidemie di pertosse tra gli anziani, in case famiglia, in strutture residenziali con ridotta esposizione, in quartieri suburbani con elevati tassi di vaccinazione e in preadolescenti, adolescenti e adulti con termini vaccinali scaduti. Gli adolescenti e gli adulti con tosse (in cui di solito non viene riconosciuta la pertosse) costituiscono attualmente il principale serbatoio di B. pertussis e sono la fonte usuale dei “casi indice” nei lattanti e nei bambini. Nell’era prevaccinale e in Paesi come Germania, Svezia e Italia, in cui la vaccinazione era limitata, il picco di incidenza della pertosse nei bambini è da 1 a 5 anni di età; i lattanti comprendono il 15% dei casi. Negli Stati Uniti nel 2003, l’incidenza più elevata di pertosse si è riscontrata nei lattanti 6 mesi di età (circa 2000 casi; 80 casi/100 000), ma il numero maggiore di casi si è avuto nei bambini e negli adolescenti da 10 a 14 anni di età (2600 casi) e da 15 a 19 anni di età (1800 casi). Diversi studi hanno documentato la pertosse nel 13-32% degli adolescenti e degli adulti con tosse 7 giorni. Si stima che almeno 1 milione di individui abbia un’infezione da B. pertussis ogni anno negli Stati Uniti. Possibili spiegazioni di questo cambiamento epidemiologico comprendono la scomparsa dell’immunità dopo la vaccinazione, una coorte sempre più anziana che ha ricevuto un vaccino meno efficace, e un aumento della conoscenza e della diagnosi della malattia. Senza una naturale reinfezione da B. pertussis o ripetuti richiami vaccinali, adolescenti e adulti sono suscettibili alla malattia clinica se esposti e le madri forniscono ai bambini più piccoli una protezione scarsa o nulla. PATOGENESI. I microrganismi del genere Bordetella sono piccoli coccobacilli infettanti Gram-negativi che colonizzano unicamente l’epitelio ciliato. Non è noto l’esatto meccanismo della sintomatologia della malattia. Le specie di Bordetella condividono un’elevata omologia del DNA per i geni della virulenza. Solo la B. pertussis esprime la tossina della pertosse (PT), la principale proteina di virulenza. La PT possiede numerose attività biologiche dimostrate (per es. sensibilità all’istamina, secrezione di insu- 180-206ANA.indd 1213 ■ Pertosse (Bordetella pertussis e Bordetella parapertussis) ■ 1213 lina, disfunzione leucocitaria), alcune delle quali possono essere responsabili delle manifestazioni sistemiche della malattia. La PT causa immediatamente linfocitosi in modelli animali sperimentali, reindirizzando i linfociti in modo che essi rimangono nel pool ematico circolante. La PT sembra avere un ruolo centrale ma non singolo nella patogenesi della malattia. La B. pertussis produce svariate altre sostanze biologicamente attive, molte delle quali sono ritenute coinvolte nella malattia e nell’immunità. Dopo l’acquisizione mediante goccioline aerosoliche, l’emoagglutinina filamentosa (FHA), alcuni agglutinogeni (specialmente le fimbrie [Fym] di tipo 2 e 3) e una proteina di superficie non appartenente a una fimbria chiamata pertactina (Pn) sembrano importanti per l’aderenza alle cellule dell’epitelio respiratorio ciliato. La citotossina tracheale, l’adenilato ciclasi e la PT sembrano inibire l’eliminazione dei microrganismi. Si ritiene che la citotossina tracheale, il fattore dermonecrotico e l’adenilato ciclasi siano prevalentemente responsabili del danno epiteliale locale che causa i sintomi respiratori e facilita l’assorbimento della PT. MANIFESTAZIONI CLINICHE. Classicamente, la pertosse è una malattia prolungata, suddivisa negli stadi catarrale, parossistico e di convalescenza. Lo stadio catarrale (1-2 settimane) inizia insidiosamente dopo un periodo di incubazione che va da 3 a 12 giorni con sintomi non caratteristici di congestione e rinorrea accompagnati in modo variabile da febbre di bassa intensità, starnuti, lacrimazione e iniezione congiuntivale. Con la scomparsa dei sintomi iniziali, la tosse segna l’esordio dello stadio parossistico (2-6 settimane). La tosse inizia come una tosse secca, intermittente e irritativa e quindi evolve negli inesorabili accessi parossistici che sono caratteristici della pertosse. Un bambino intorno ai 2-3 anni, allegro e in buone condizioni, mostra improvvisamente alla minima provocazione un’aura ansiosa e può aggrapparsi a un genitore o a un adulto prima di dare inizio a un accesso “a mitraglia” di colpi di tosse ininterrotti, mento e torace che sporgono in avanti, la lingua protrusa al massimo, gli occhi sporgenti e lacrimanti, il viso di colore violaceo, fino a quando la tosse cessa e segue un grido di tonalità elevata allorché l’aria inspirata attraversa le vie aeree ancora parzialmente chiuse. È comune il vomito dopo la tosse e l’esaurimento fisico è costante. Il numero e la severità degli episodi parossistici tendono ad aumentare per alcuni giorni fino a una settimana e quindi rimangono in una fase di plateau per un periodo che può andare da diversi giorni a settimane. Nel picco dello stadio parossistico, i pazienti possono avere più di un episodio all’ora. Quando lo stadio parossistico si trasforma nello stadio della convalescenza (2 settimane), numero, severità e durata degli episodi diminuiscono. I lattanti 3 mesi di età non presentano gli stadi classici. Lo stadio catarrale dura solo pochi giorni oppure non viene notato quando in seguito allo stimolo più insignificante derivante da trazione, luce, rumore, suzione o stretching, un lattante in buone condizioni inizia a soffocare, respirare affannosamente, avere conati di vomito e agitare gli arti, con il viso arrossato. La tosse (grugnito espiratorio) può non essere marcata. Nei lattanti 3 mesi di età il caratteristico grido inspiratorio è infrequente in quanto al termine di un episodio parossistico mancano della statura o della forza muscolare per creare un’improvvisa pressione intratoracica negativa. Dopo un parossismo di tosse può far seguito la cianosi, oppure si può verificare apnea senza tosse. L’apnea può essere l’unico sintomo. Gli stadi parossistico e di convalescenza nei lattanti sono prolungati. Paradossalmente, nei lattanti, tosse e grido inspiratorio possono divenire più intensi e tipici nella convalescenza. La convalescenza comprende una tosse parossistica intermittente per tutto il 1° anno di vita, comprese “esacerbazioni” con le malattie respiratorie successive; queste non sono dovute a recidive o riattivazione della B. pertussis. Nei bambini vaccinati tutti gli stadi della pertosse sembrano più brevi. Negli adulti non vi sono stadi distinti. Classicamente, gli adulti descrivono un’improvvisa sensazione di strangolamento seguita da tosse ininterrotta, sensazione di soffocamento, cefalea intensa, riduzione della coscienza e quindi un respiro affannoso, di solito senza grido inspiratorio. Negli adulti e negli adolescenti 23-09-2008 12:38:40 1214 ■ PARTE XVI ■ Malattie infettive sono indizi diagnostici specifici il vomito dopo la tosse e l’intermittenza degli episodi parossistici separati da ore di benessere. Negli studi prospettici, almeno 1/3 degli individui più anziani con pertosse ha una tosse non specifica, che si distingue soltanto per la durata, che di solito è 21 giorni. L’esame obiettivo di solito non è informativo. Non sono previsti segni patologici a carico delle vie respiratorie inferiori a meno che non sia presente una polmonite batterica secondaria come complicanza. Sono comuni emorragie congiuntivali e petecchie sulla parte superiore del corpo. DIAGNOSI. La pertosse deve essere sospettata in qualsiasi individuo che lamenti soltanto o in modo predominante una tosse, specialmente in assenza dei seguenti segni e sintomi: febbre, malessere o mialgie, esantema o esantema, faringodinia, raucedine, tachipnea, respiro sibilante e rantoli. In casi sporadici, una definizione di caso di tosse di durata 14 giorni con almeno un sintomo associato di parossismo, grido inspiratorio o vomito successivo alla tosse, ha una sensibilità dell’81% e una specificità del 58% per la conferma in coltura. La pertosse deve essere sospettata nei bambini più grandi la cui tosse tende ad aumentare in 7-10 giorni e i cui episodi di tosse non sono continui. Occorre sospettare la tosse nei lattanti 3 mesi di età con apnea, cianosi o un evento acuto potenzialmente fatale (Acute Life-Threatening Event, ALTE). La B. pertussis è un’occasionale causa di morte improvvisa del lattante. Le infezioni adenovirali sono di solito distinguibili per le caratteristiche associate, come febbre, faringodinia e congiuntivite. Il Mycoplasma causa una tosse episodica protratta, ma i pazienti di solito hanno un’anamnesi di febbre, cefalea e sintomi sistemici all’esordio della malattia, nonché una tosse più continua e un frequente riscontro di rantoli all’auscultazione del torace. Le epidemie di Mycoplasma e B. pertussis nei giovani adulti possono essere difficili da distinguere su basi cliniche. Anche se la pertosse viene spesso inclusa nella valutazione di laboratorio dei bambini più piccoli con polmonite febbrile, la B. pertussis non è associata alla tosse staccata (un respiro a ogni colpo di tosse), alla congiuntivite purulenta, alla tachipnea, ai rantoli o ai sibili che caratterizzano l’infezione da Chlamydia trachomatis, o ai segni prevalentemente a carico delle vie respiratorie inferiori che caratterizzano l’infezione da virus respiratorio sinciziale. A meno che un lattante con pertosse non abbia una polmonite secondaria (e quindi appaia in condizioni generali scadute), l’esame obiettivo tra gli episodi parossistici è interamente normale, compresa la frequenza respiratoria. La leucocitosi (15 000-100 000 cellule/mm3) da linfocitosi assoluta è caratteristica dello stadio catarrale. I linfociti sono di origine T- e B-cellulare e sono normali cellule di piccole dimensioni piuttosto che i grandi linfociti atipici che si osservano nelle infezioni virali. Gli adulti, i bambini parzialmente immuni e occasionalmente i lattanti hanno una linfocitosi meno marcata. Un aumento assoluto dei neutrofili suggerisce una diagnosi diversa o un’infezione batterica secondaria. L’eosinofilia non è una manifestazione della pertosse. Un decorso severo e la mortalità sono correlate con una leucocitosi estrema (picco mediano della conta leucocitaria nei casi fatali rispetto ai casi non fatali, 94 vs 18 109 cellule/L) e con una trombocitosi altrettanto estrema, picco mediano della conta piastrinica nei casi fatali rispetto ai casi non fatali, 782 vs 556 109/L). Sono state dimostrate una lieve iperinsulinemia e una ridotta risposta glicemica all’adrenalina, anche se solo occasionalmente è riportata un’ipoglicemia. La radiografia del torace è solo lievemente anormale nella maggior parte dei lattanti ospedalizzati, con infiltrato o edema peri-ilare (talvolta con aspetto a farfalla) e atelettasia di grado variabile. La presenza di consolidamento parenchimale suggerisce un’infezione batterica secondaria. Occasionalmente possono essere osservati pneumotorace, pneumomediastino e aria nei tessuti molli. Tutte le metodiche attuali per la conferma dell’infezione da B. pertussis presentano limitazioni di sensibilità, specificità o praticità. L’isolamento della B. pertussis in coltura rimane il gold standard 180-206ANA.indd 1214 per la diagnosi. Molta attenzione deve essere posta nella raccolta e nel trasporto dei campioni, e nella tecnica di isolamento. I campioni si prelevano mediante aspirazione nasofaringea profonda o mediante un tampone flessibile, preferibilmente un tampone in dacron o al calcio arginato, premuto nel nasofaringe posteriore per 15-30 s (o fino alla comparsa di tosse). Un liquido con casamino acid 1% è accettabile per mantenere un campione fino a 2 ore; il brodo di coltura di Stainer-Scholte o il mezzo di trasporto semisolido di Regan-Lowe è utile per periodi più prolungati, fino a 4 giorni. L’agar-carbone di Regan-Scholte con il 10% di sangue equino e 5-40 g/mL di cefalexina o il terreno di Stainer-Scholte con resine di ciclodestrina sono i terreni preferibili per l’isolamento. Le colture vengono incubate a 2 °C in ambiente umido ed esaminate ogni giorno per 7 giorni per la ricerca delle piccole colonie lucenti a lenta crescita. Il test con anticorpi a fluorescenza diretta (DFA) su potenziali isolati utilizzando anticorpi specifici per la B. pertussis e la B. parapertussis massimizza l’isolamento. Il test diretto sulle secrezioni nasofaringee con il DFA è un test rapido, ma è affidabile soltanto in laboratori con esperienza continuativa. La reazione a catena della polimerasi (PCR) su campioni da lavaggio nasofaringeo ha una sensibilità simile a quella della coltura, evita le difficoltà dell’isolamento ma non è standardizzato o universalmente disponibile. Ci si attende la positività dei risultati della DFA, della coltura e della PCR nei bambini non vaccinati e non trattati nel corso dello stadio catarrale e dello stadio parossistico precoce della malattia. Meno del 10% di uno qualsiasi di questi risultati è positivo nel corso dello stadio parossistico nei negli individui parzialmente vaccinati o vaccinati da lungo tempo. I test sierologici per la ricerca degli anticorpi diretti contro antigeni di B. pertussis in campioni dello stadio acuto e dello stadio della convalescenza sono i test più sensibili nei soggetti vaccinati e sono utili da un punto di vista epidemiologico. Un singolo campione sierico che mostra un aumento delle immunoglobuline G antitossina della pertosse 2 deviazioni standard al di sopra della media della popolazione vaccinata indica un’infezione recente. La standardizzazione dei test e il cut point per la positività sono attualmente in corso di studio. I test per gli anticorpi IgM e IgA della pertosse non sono affidabili ai fini diagnostici. TRATTAMENTO. Gli obiettivi del trattamento sono di limitare il numero di parossismi, osservare la severità della tosse, fornire assistenza quando necessario e massimizzare l’alimentazione, il riposo e la guarigione senza sequele (Tab. 194-1). I lattanti 3 mesi di età devono essere ricoverati in ospedale quasi senza eccezione, come anche quelli di 3-6 mesi a meno che i parossismi (constatati de visu) siano non severi, e quelli di qualsiasi età se compaiono complicanze severe. I lattanti nati prematuri e i bambini con associate malattie cardiologiche, polmonari, muscolari o neurologiche hanno un rischio elevato di malattia severa. Gli obiettivi specifici e limitati dell’ospedalizzazione sono (1) valutare la progressione della malattia e la probabilità di eventi potenzialmente fatali nel corso del picco della malattia, (2) prevenire o trattare le complicanze e (3) informare i genitori sul decorso naturale della malattia e sull’assistenza che può essere fornita a casa. Devono essere monitorate costantemente frequenza cardiaca, frequenza respiratoria e ossimetria pulsata con una regolazione degli allarmi tale che gli accessi parossistici possano essere osservati e possano essere registrati dal personale di assistenza. La registrazione dettagliata degli accessi TABELLA 194-1. Fattori che richiedono attenzione nella valutazione e nell’assistenza dei lattanti con pertosse I lattanti con pertosse potenzialmente fatale possono apparire in buone condizioni tra gli episodi. Deve essere osservato un attacco parossistico prima di decidere tra ospedale e assistenza domiciliare. Soltanto l’analisi di una registrazione accurata della tosse permette la valutazione della severità e della progressione della malattia. L’aspirazione di naso, orofaringe o trachea non deve essere eseguita come assistenza “preventiva”. L’alimentazione nel periodo successivo a un attacco parossistico può avere un maggiore successo che dopo un sonnellino. 23-09-2008 12:38:41 Capitolo 194 di tosse e la documentazione dell’alimentazione, del vomito e delle variazioni di peso forniscono dati per la valutazione della severità. I tipici parossismi che non sono a rischio di mortalità hanno le seguenti caratteristiche: durata 45 s, arrossamento della cute ma non cianosi, tachicardia, bradicardia (non 60 battiti/min nei lattanti) o desaturazione di ossigeno che si risolve spontaneamente al termine del parossismo; grido inspiratorio o energia sufficiente per la ripresa autonoma al termine del parossismo, tappo mucoso autoespettorato ed esaurimento dopo la tosse ma senza non responsività. La valutazione della necessità di somministrare ossigeno, della stimolazione o della suzione richiede personale esperto che possa documentare la capacità del bambino di riprendersi autonomamente ma che sia anche capace di intervenire rapidamente e appropriatamente se necessario. I lattanti i cui parossismi portano ripetutamente a eventi potenzialmente fatali nonostante la somministrazione passiva di ossigeno o il cui esaurimento porta a ipercapnia richiedono l’intubazione, la paralisi e la ventilazione. Il trattamento successivo è complesso, con frequente necessità di aspirare le vie aeree e intervenire quando si presentano bradicardia e processi polmonari secondari. In alcuni lattanti con secrezioni dense e aderenti ed eccessiva irritabilità delle vie aeree può essere utile la nebbia aerosolica in tenda. L’utilità di un ambiente confortevole, silenzioso, poco illuminato e senza stimoli fastidiosi non può essere sovrastimata o al contrario trascurata nel desiderio di monitorare e intervenire. Alimentare i bambini con pertosse è un problema. Il rischio di precipitare la tosse con l’alimentazione al poppatoio non rende comunque necessaria l’alimentazione per via nasogastrica, nasodigiunale o parenterale nella maggior parte dei bambini. La composizione o la densità del latte formulato non influisce sulla qualità delle secrezioni, sulla tosse o sulla ritenzione. È preferibile evitare i pasti abbondanti. Entro 48-72 ore, l’evoluzione e la severità della malattia sono di solito evidenti con l’analisi delle informazioni registrate. Molti lattanti presentano un marcato miglioramento con l’ospedalizzazione e la terapia antibiotica, specialmente se si trovano in uno stadio precoce della malattia o sono stati allontanati da fattori ambientali aggravanti come fumo, stimolazioni eccessive o una fonte di calore secco o inquinante. La dimissione dall’ospedale è appropriata se in un periodo di 48 ore la severità della malattia è invariata o diminuita, non sono stati necessari interventi durante gli attacchi parossistici, l’alimentazione è adeguata, non si sono verificate complicanze e i genitori sono adeguatamente preparati per l’assistenza a domicilio. Apnea e convulsioni si possono verificare nella fase incrementale della malattia e nei soggetti con malattia complicata. Non dovrebbero essere necessari a domicilio ossigeno portatile, sistemi di monitoraggio o apparecchi per l’aspirazione. Antibiotici. In caso di pertosse sospetta o confermata si somministra sempre un antibiotico in primo luogo per limitare la diffusione dell’infezione e in secondo luogo per l’eventuale beneficio clinico. I farmaci preferibili sono i macrolidi, che hanno ■ Pertosse (Bordetella pertussis e Bordetella parapertussis) ■ 1215 un’efficacia simile in vitro (Tab. 194-2). Raramente sono state riportate resistenze. È stato riportato un rischio relativo di 7-10 volte di una stenosi pilorica ipertrofica infantile (IHPS) in neonati trattati con eritromicina per os. Nei neonati il farmaco preferibile è l’azitromicina. L’uso limitato nei neonati non ha indicato un aumento del rischio di IHPS). Tutti i lattanti 1 mese di età trattati con qualsiasi tipo di macrolide devono essere monitorati per i sintomi di stenosi pilorica. Terapie aggiuntive. Nessun trial clinico rigoroso ha dimostrato un effetto positivo degli stimolanti -adrenergici come salbutamolo o albuterolo. L’agitazione associata al trattamento aerosolico scatena gli attacchi parossistici. Non è stato eseguito alcun trial clinico randomizzato e in doppio cieco di dimensioni sufficienti per valutare l’utilità dei corticosteroidi nel trattamento della pertosse; il loro uso clinico non è garantito. Isolamento. I pazienti con sospetta pertosse devono essere posti in isolamento respiratorio con l’uso di mascherine da parte di tutto il personale sanitario che entra nella stanza. Occorre eseguire all’entrata lo screening della tosse in tutti i pazienti dei dipartimenti d’emergenza, degli ambulatori e dei centri clinici per iniziare l’isolamento immediatamente e per 5 giorni dopo l’inizio della terapia con i macrolidi. I bambini e il personale con la pertosse nelle scuole e nei centri di child-care devono essere esclusi fino a quando è stata effettuata la profilassi con i macrolidi per 5 giorni. Trattamento dei contatti domestici e degli altri contatti stretti. Occorre somministrare immediatamente un macrolide a tutti contatti familiari e agli altri contatti stretti, come quelli negli asili, indipendentemente da età, anamnesi vaccinale o sintomi (Tab. 194-2). Per il trattamento si usano gli stessi farmaci e le stesse dosi corrette per l’età che si usano per la profilassi. Le visite e i movimenti in ospedale dei familiari con tosse devono essere assiduamente controllati fino al completamento del ciclo di 5 giorni di eritromicina. I contatti stretti 7 anni di età che hanno ricevuto meno di 4 dosi di vaccino per la pertosse devono iniziare il ciclo vaccinale o continuarlo per completare il ciclo raccomandato. I bambini 7 anni di età che hanno ricevuto una 3a dose 6 mesi prima dell’esposizione devono ricevere una dose di richiamo. I soggetti 9 anni devono ricevere un richiamo di Tdap (vaccino per adolescenti/adulti con tossoidi tetanico e difterico e con pertosse acellulare) se non hanno ricevuto il Tdap in precedenza e se sono trascorsi 2 anni dalla somministrazione di un vaccino per la difterite. Gli operatori sanitari con tosse, con o senza esposizione nota alla pertosse, devono essere subito valutati per la pertosse (vedi Capitolo 171). COMPLICANZE. I lattanti 6 mesi di età presentano un eccesso di mortalità e morbilità e quelli 2 mesi di età hanno i più alti tassi riportati di ospedalizzazione associata a pertosse (82%), polmonite (25%), convulsioni (4%), encefalopatia (1%) e morte (1%). I lattanti 4 mesi di età comprendono il 90% dei casi di pertosse fatale. La nascita pretermine e una giovane età materna sono significativamente associati a pertosse fatale. TABELLA 194-2. Trattamento antibiotico e profilassi postoperatoria raccomandati per la pertosse, per gruppi di età GRUPPO DI ETA’ 1 mese 1-5 mesi Bambini (6 mesi) Adulti Azitromicina Farmaco raccomandato. 10 mg/kg/die in dose singola per 5 giorni (disponibili solo dati limitati sulla sicurezza) 10 mg/kg/die in dose singola per 5 giorni 10 mg/kg in dose singola in 1a giornata quindi 5 mg/kg/die (max 500 mg) in 2a-5a 500 mg in dose singola in 1a giornata quindi 250 mg/die in 2a -5a giornata AGENTI PRIMARI Eritromicina Non di prima scelta. L’eritromicina è associata a stenosi ipertrofica del piloro del lattante. 40-50 mg/kg/die suddivisi in 4 dosi per 14 giorni. 40-50 mg/kg/die (max 2 g/die) suddivisi in 4 dosi per 14 giorni 2 g/die suddivisi in 4 dosi per 1 giorni Claritromicina Non raccomandata (dati sulla sicurezza non disponibili) 15 mg/kg/die suddivisi in 2 dosi per 7 giorni 15 mg/kg/die suddivisi in 2 dosi (max 1 g/die) per 7 giorni 1 g/die suddiviso in 2 dosi per 7 giorni AGENTE ALTERNATIVO* TMP-SMZ Controindicato nei lattanti 2 mesi (rischio di kernittero) Controindicato nei lattanti 2 mesi. Per bambini 2 mesi TMP 8 mg/kg/die, SMZ 40 mg/kg/die suddivisi in 2 dosi per 14 giorni TMP 8 mg/kg/die, SMZ 40 mg/kg/die suddivisi in 2 dosi per 14 giorni TMP 320 mg/die, SMZ 1600 mg/die suddivisi in 2 dosi per 14 giorni *Il trimetoprim-sulfametoxazolo (TMP-SMZ) può essere usato come un’alternativa ai macrolidi nei bambini 2 mesi allergici ai macrolidi, che non tollerano i macrolidi o che hanno un’infezione da un raro ceppo di Bordetella pertussis resistente ai macrolidi. Da The Centers for Disease Control and Prevention: Recommended antimicrobial agents for treatment and postexposure prophylaxis of pertussis. 2005 CDC Guidelines.MMWR 2005; 54:1–16. 180-206ANA.indd 1215 23-09-2008 12:38:41 1216 ■ PARTE XVI ■ Malattie infettive Le principali complicanze della pertosse sono apnea, infezioni secondarie (come otite media e polmonite) e le sequele fisiche della tosse forzata. La necessità di terapia intensiva e di ventilazione artificiale è di solito limitata ai lattanti 3 mesi di età. L’insufficienza respiratoria da apnea o la polmonite batterica secondaria sono eventi che precipitano la necessità di intubazione e ventilazione. Le cause di morte sono un’ipertensione polmonare o emorragie polmonari progressive (specialmente nei lattanti più piccoli) e una polmonite batterica secondaria. Febbre, tachipnea o stress respiratorio tra gli attacchi parossistici, oltre che una neutrofilia assoluta, sono segni di polmonite. I patogeni prevedibili sono lo Staphylococcus aureus, lo Streptococcus pneumoniae e i batteri della flora orofaringea. Raramente sono state riportate bronchiectasie dopo la pertosse. I bambini con pertosse prima dei 2 anni possono avere una funzione polmonare anomala nell’età adulta. L’aumento della pressione intratoracica e intra-addominale durante la tosse può causare emorragie sclerali e congiuntivali, petecchie nella parte superiore del corpo, epistassi, emorragie del sistema nervoso centrale (SNC) e della retina, pneumotorace ed enfisema sottocutaneo, ed ernie ombelicali e inguinali. Non è infrequente la lacerazione del frenulo linguale. Le anomalie del SNC si verificano con frequenza relativamente elevata e sono quasi sempre un risultato dell’ipossia o delle emorragie associate alla tosse o all’apnea nei lattanti più piccoli. Apnea o bradicardia o entrambe le cose possono derivare da un laringospasmo o da una stimolazione vagale evidenti subito prima di un episodio di tosse, da un’ostruzione durante un episodio o da ipossia successivamente a un episodio. La mancanza di segni respiratori associati in alcuni piccoli lattanti con apnea pone la possibilità della PT sul SNC. Le convulsioni di solito derivano dall’ipossia, ma può verificarsi anche un’iponatremia da eccessiva secrezione di ormone antidiuretico durante una polmonite. Le uniche neuropatologie documentate negli esseri umani sono l’emorragia parenchimale e la necrosi ischemica. La particolare associazione tra ipertensione polmonare e pertosse non è stata spiegata. Nonostante l’ossigenazione con membrana extracorporea, questa complicanza sottende un tasso di mortalità 80%. PREVENZIONE. La vaccinazione universale dei bambini con vaccino per la pertosse, iniziando nell’infanzia con dosi di richiamo periodiche, è fondamentale per il controllo della pertosse (vedi Capitolo 170). Non vi sono correlati sierologici della protezione. Negli Stati Uniti sono attualmente autorizzati 3 vaccini con tossoidi difterico e tetanico combinati con pertosse acellulare (DTaP) per i bambini 7 anni di età. I vaccini DTaP hanno meno effetti avversi del vaccino contenente l’intera cellula di B. pertussis (vaccini cellulari) (DTP) che continua a essere somministrato a lattanti e bambini in molti altri Paesi. I vaccini acellulari per la pertosse contengono tutti cellule inattivate e contengono altre 2 o più componenti batteriche (FHA, Pn e Fim 2 e 3). L’efficacia clinica nei confronti della pertosse severa, definita come tosse parossistica di durata 21 giorni, è dell’80-85%. Eventi avversi locali e sistemici lievi come anche eventi più severi (compresi febbre elevata, pianto persistente di durata 3 ore, episodi ipotonici iporesponsivi e convulsioni) si verificano con frequenza significativamente minore nei bambini che ricevono DTaP rispetto a quelli che ricevono DTP. I vaccini DTaP possono essere somministrati simultaneamente a qualsiasi altro vaccino utilizzato nei calendari vaccinali standard per l’età pediatrica. Devono essere somministrate 3 dosi (primarie) di DTaP durante il 1° anno di vita, generalmente a 2, 4 e 6 mesi di età. Una 4a dose (1° richiamo) è raccomandata per i bambini a 15-18 mesi di età, almeno 6 mesi dopo la 3a dose, per mantenere un’immunità adeguata durante gli anni prescolari. La 4a dose può essere somministrata anche a 12 mesi di età, qualora siano trascorsi 6 mesi dalla 3a dose e il ritorno del bambino a 15-18 mesi di età sia improbabile. La 5a dose (2° richiamo) è raccomandata per i bambini a 4-6 mesi di età per conferire una protezione continuativa contro la malattia nei primi anni di scuola. Una 5a dose non è necessaria se la 4a dose del ciclo è somministrata al momento del 4° compleanno o dopo di esso. 180-206ANA.indd 1216 I vaccini per la pertosse e i vaccini combinati devono essere usati soltanto per il ciclo e per il gruppo di età per i quali ogni vaccino è autorizzato e quando sono indicate tutte le componenti. Quando possibile, si raccomanda lo stesso vaccino DTaP per le prime 3 dosi del ciclo vaccinale. Le reazioni locali aumentano come frequenza e severità con le dosi successive di DTaP, anche se non raggiungono mai l’entità delle reazioni che fanno seguito a dosi simili di DTP. Fino al 2% della 4a e 5a dose di DTaP è associato a gonfiore di tutto l’arto con dolore ed eritema concomitanti in circa la metà dei bambini interessati. Il gonfiore scompare spontaneamente senza sequele. L’esenzione dei bambini dal vaccino per la pertosse deve essere presa in considerazione soltanto nei casi limitati indicati dalle raccomandazioni. È stato dimostrato che i soggetti esentati hanno un aumento significativo del rischio di pertosse come anche un ruolo nelle epidemie di pertosse nelle popolazioni vaccinate. Se è accertata l’infezione da B. pertussis, il soggetto deve completare il ciclo vaccinale almeno con il vaccino contenente i tossoidi di difterite e tetano; alcuni esperti raccomandano di includere anche la componente della pertosse. Nel 2005, sono stati autorizzati due vaccini adsorbiti (Tdap) con tossoide tetanico, tossoide difterico ridotto e pertosse, per l’uso in bambini più grandi come vaccini di richiamo in dose singola per la protezione nei confronti di tetano, difterite e pertosse. L’età preferibile per la vaccinazione Tdap è 11-12 anni. Tutti gli adolescenti di 11-18 anni di età che hanno ricevuto Td ma non Tdap devono ricevere una singola dose di Tdap per la protezione contro la pertosse se hanno completato il ciclo vaccinale raccomandato DTP/DTaP per l’età pediatrica. È preferibile un intervallo di almeno 5 anni tra Td e Tdap nelle situazioni di routine per ridurre il rischio di reazioni locali e sistemiche dopo il vaccino Tdap. Tuttavia, può essere considerato un intervallo di 5 anni tra Td e Tdap. Sia il Tdap sia il vaccino coniugato meninogoccico tetravalente devono essere somministrati ad adolescenti di 11-18 anni di età durante la stessa visita se entrambi i vaccini sono indicati e sono disponibili. Gli adulti di 19-64 anni di età devono ricevere una singola dose di Tdap per sostituire la successiva dose di richiamo con Td. La priorità al vaccino Tdap deve essere data agli operatori sanitari che sono a contatto con i bambini e per i contatti familiari eleggibili dei neonati. Un importante obiettivo della somministrazione del richiamo per la pertosse agli adolescenti è quello di proteggere adolescenti e adulti dalla pertosse per controllare la diffusione endemica ed epidemica nei bambini più piccoli che non hanno completato la vaccinazione primaria e sono ad alto rischio per la pertosse e le sue complicanze. 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Tuttavia, le malattie cliniche causate dai 2 microrganismi differiscono considerevolmente. Ciò sembra essere correlato a diversi cluster unici di geni, noti come isole di patogenicità. La Salmonella causa 2 sindromi cliniche negli esseri umani: una gastroenterite, di solito autolimitata, e la febbre tifoide, una malattia sistemica relativamente severa classicamente causata dalla S. typhi. I ceppi non tifoidei di Salmonella possono anche provocare in alcune circostanze una malattia batteriemica severa. La nomenclatura della Salmonella riflette il nome di specie Salmonella enterica con diverse sierovarianti. La nomenclatura della Salmonella è andata incontro a considerevoli cambiamenti. La tassonomia originale si basava su sindromi cliniche (S. typhi, S. cholerae suis, S. paratyphi). Con l’adozione delle analisi sierologiche, una Salmonella spp. è stata successivamente definita come “un gruppo di tipi fagici di fermentazione correlati” con il risultato che ogni sierovariante di Salmonella è stata considerata come una specie in sé. Anche se semplicistico, l’uso di questa classificazione fino al 2004 ha portato all’identificazione di 2501 sierovarianti di Salmonella, il che a sua volta ha reso necessaria un’ulteriore classificazione per facilitare la comunicazione tra i ricercatori, gli ufficiali di salute pubblica e il pubblico. Tutte le sierovarianti di Salmonella formano un singolo gruppo di ibridazione del DNA: una singola specie composta da 17 sottospecie. La nomenclatura corrente con il nome di specie Salmonella enterica è stata adottata con diverse sottospecie, I-VI (Tab. 195-1). Ogni sottospecie contiene diversi sierotipi definiti in base agli antigeni O e H. Per semplificare ulteriormente la nomenclatura per i medici e gli epidemiologi, sono stati mantenuti i 180-206ANA.indd 1217 ■ Salmonella ■ 1217 TABELLA 195-1. Nomenclatura della Salmonella USO TRADIZIONALE S. typhi S. dublin S. typhimurium S. cholerae suis S. marina NOME FORMALE S. enterica* subsp. enterica sier.Typhi S. enterica subsp. enterica sier.Dublin S. enterica subsp. enterica sier.Typhimurium S. enterica subsp. enterica sier. Cholerae suis S. enterica subsp. houtenae sier. Marina DESIGNAZIONE CDC S. sier.Typhi S. sier.Dublin S. sier.Typhimurium S. sier. Cholerae suis S. sier. Marina CDC, Centers for Disease Control and Prevention; subsp., sottospecie; sier., sierovariante. *Alcuni Autori preferiscono S. choleraesuis o S. enteritidis più che enterica per descrivere la specie. comuni nomi delle sierovarianti per i ceppi della sottospecie I, che rappresenta 99,5% dei ceppi di Salmonella isolati dagli esseri umani e da altri animali a sangue caldo. 195.1 • SALMONELLOSI NON TIFOIDEA EZIOLOGIA. Le salmonelle sono bacilli Gram-negativi mobili, non sporigeni e non capsulati, che crescono aerobicamente e sono capaci di crescita anaerobica facoltativa. Essi resistono a molti agenti fisici ma possono essere uccisi con il riscaldamento a 54,4 °C per 1 ora o a 60 °C per 15 minuti. Essi rimangono vitali a temperatura ambiente o a temperatura ridotta per giorni e possono sopravvivere per settimane nelle acque nere, negli alimenti essiccati, negli agenti farmaceutici e nel materiale fecale. Come altri membri della famiglia delle Enterobacteriaceae, la Salmonella possiede antigeni O somatici e antigeni H flagellari. Con l’eccezione di pochi sierotipi che interessano solo una o poche specie animali, come la S. dublin del bestiame e la S. cholerae suis del maiale, la maggior parte dei sierotipi ha un spettro allargato di ospiti. Tipicamente, questi ceppi causano una gastroenterite che spesso non è complicata e che non necessita di trattamento, ma può essere severa nei bambini più piccoli, negli anziani e nei pazienti con compromissione immunitaria. Le cause sono tipicamente la S. enteritidis (S. enterica sierotipo enteritidis) e la S. typhimurium (S. enterica sierotipo typhimurium), i due più importanti sierotipi della salmonellosi trasmessa dagli animali agli esseri umani. EPIDEMIOLOGIA. La salmonellosi costituisce un carico rilevante per la salute pubblica e anche un costo significativo per la società in molti Paesi. Si stima che, nei soli Stati Uniti, gli 1,4 milioni di casi stimati di infezione da Salmonella non tifoidea costino 168 000 visite mediche, 15 000 ricoveri ospedalieri e 580 decessi ogni anno. I costi totali associati alle infezioni da Salmonella sono stimati in 3 miliardi di dollari ogni anno negli Stati Uniti. Mentre sono disponibili poche informazioni sull’epidemiologia e sul peso della gastroenterite da Salmonella nei Paesi in via di sviluppo, è ben noto il ruolo che le infezioni da Salmonella hanno come causa maggiore di diarrea in età pediatrica. Con il peso crescente delle infezioni da HIV e della malnutrizione in Africa, esiste un crescente interesse per l’importanza delle batteriemie da Salmonella non tifoidea nei bambini e negli adulti. Le infezioni da Salmonella non tifoidee sono distribuite in tutto il mondo con un’incidenza proporzionale agli standard di igiene, servizi igienici, disponibilità di acqua sicura e pratiche di preparazione degli alimenti. Nel mondo sviluppato, l’incidenza di infezioni e di epidemie da Salmonella è aumentata di diverse volte negli ultimi decenni, il che può essere correlato alle moderne pratiche di produzione di massa degli alimenti che aumentano i rischi di epidemie. La gastroenterite da Salmonella comprende più di metà di tutti gli episodi di diarrea batterica negli Stati Uniti, con picchi di incidenza nelle età estreme, nei lattanti e negli anziani. Mentre la maggior parte delle infezioni umane è stata causata dalla S. enterica sierovariante Enteritidis, la sua prevalenza si è ridotta nell’ultimo decennio, superata dalla S. enterica sierovariante Typhimurium in alcuni Paesi. 23-09-2008 12:38:41 1218 ■ PARTE XVI ■ Malattie infettive L’aumento delle infezioni da Salmonella in molte parti del mondo negli ultimi 3 decenni potrebbe anche essere correlato alle pratiche di allevamento intensivo degli animali, che promuovono selettivamente l’aumento di determinati ceppi, specialmente le varietà resistenti agli antibiotici che emergono in risposta all’uso di antibiotici negli animali da allevamento. Anche se questo può essere correlato alla pressione selettiva da parte degli antibiotici, vi possono essere altri fattori come l’insorgenza di ceppi con una propensità selettiva a sviluppare resistenza e virulenza. Sembra che i ceppi multiresistenti di Salmonella siano più virulenti dei ceppi suscettibili e che un esito più sfavorevole non sia correlato semplicemente alla scelta empirica di un antibiotico inefficace che ritarda la risposta al trattamento. Ceppi multiresistenti di Salmonella come la S. typhimurium tipo fagico DT104 possiedono un’isola genomica che contiene molti dei geni resistenti agli antibiotici. È possibile che questi integroni contengano anche geni che esprimono fattori di virulenza. La diffusione globale della S. typhimurium tipo fagico DT104 negli animali e negli esseri umani in anni recenti può essere correlata all’uso crescente di antibiotici è anche facilitata dal commercio internazionale e nazionale di animali infetti. Vi sono diversi fattori di rischio associati a epidemie di infezioni da Salmonella. Gli animali costituiscono la fonte principale di malattia da Salmonella non tifoidea, e si sono verificati casi in cui i pazienti avevano avuto contatti con animali infetti, compresi animali domestici come gatti, cani, rettili, roditori e anfibi. Specifici sierotipi sono associati a particolari ospiti animali; i bambini con la S. enterica sierovariante Marina tipicamente hanno un’esposizione a lucertole domestiche. Gli animali domestici probabilmente acquisiscono l’infezione nello stesso modo degli esseri umani attraverso il consumo di carne cruda, pollame o prodotti derivati dal pollame contaminati. Gli alimenti per animali contenenti pesce o polvere di ossa contaminati da Salmonella sono un’importante fonte di infezione per gli animali. Inoltre, concentrazioni subterapeutiche di antibiotici sono spesso aggiunte agli alimenti per animali per migliorare la crescita. Queste pratiche promuovono l’emergenza di batteri antibiotico-resistenti, tra cui la Salmonella, nella flora intestinale degli animali con conseguente contaminazione della loro carne. Vi sono forti evidenze che legano la resistenza della S. typhimurium ai fluorochinolonici al suo utilizzo negli alimenti per animali. Mentre è possibile la trasmissione da animale ad animale, la maggior parte degli animali infetti è asintomatica. Le infezioni da Salmonella nel pollo aumentano il rischio di contaminazione delle uova e sia il pollame sia le uova sono associate a quasi la metà delle epidemie da una fonte comune. Le epidemie associate a prodotti alimentari sono spesso causate da contaminazione degli impianti di lavorazione del cibo o da alimentaristi infetti. Mentre quasi l’80% delle infezioni da Salmonella sono sporadiche, le epidemie possono creare un carico eccessivo per i sistemi sanitari pubblici. Ciò può essere particolarmente rischioso nelle scuole. In una valutazione di 604 epidemie consecutive di infezioni trasmesse dagli alimenti nelle scuole, la Salmonella era il patogeno di più frequente identificazione, comprendendo il 36% delle epidemie riportate con eziologia nota. Nel 55% delle epidemie sono stati identificati epidemiologicamente specifici veicoli di trasmissione comprendendo alimenti contenenti pollame (18,6%), insalate (6%), cibo messicano (6%), manzo (5,7%) e prodotti lattiero-caseari esclusi i gelati (5%). Le pratiche di preparazione più frequentemente riportate che hanno contribuito alle epidemie scolastiche erano la conservazione e le temperature di conservazione non appropriate degli alimenti e l’infezione del personale addetto alla manipolazione degli alimenti. Oltre agli effetti dell’uso degli antibiotici negli alimenti animali, è ben nota la relazione tra infezione da Salmonella e pregresso uso di antibiotici nei bambini nel mese precedente all’infezione. Questo aumento del rischio d’infezione in soggetti che hanno ricevuto antibiotici per una causa non correlata può essere in relazione ad alterazioni della microecologia intestinale che li predispongono a colonizzazione e infezione da isolati antibiotico-resistenti di Salmonella. Questi ceppi resistenti di Salmonella sono anche più 180-206ANA.indd 1218 virulenti. Si stima che la resistenza antibiotica nella Salmonella possa essere alla base di circa 30 000 ulteriori infezioni da Salmonella con 300 ospedalizzazioni e 10 decessi. Data la natura ubiquitaria del microrganismo, le infezioni nosocomiali da ceppi non tifoidei di Salmonella possono avvenire anche attraverso attrezzature e preparazioni diagnostiche o farmacologiche contaminate, particolarmente quelle di origine animale (estratti pancreatici, estratti ipofisari, sali biliari). I bambini ospedalizzati hanno un rischio aumentato di infezioni severe e complicate da Salmonella, specialmente da microrganismi multiresistenti. PATOGENESI. Il numero stimato di batteri che deve essere ingerito per causare una malattia sintomatica in adulti sani è di 106-108 microrganismi. L’acidità gastrica inibisce la moltiplicazione delle salmonelle e la maggior parte dei microrganismi viene rapidamente eliminata a un pH gastrico 2. Acloridria, farmaci antiacidi, un rapido svuotamento gastrico dopo gastrectomia o gastroenterostomia e un inoculo di grande entità permettono a microrganismi vitali di raggiungere l’intestino tenue. I neonati e i lattanti hanno un’ipocloridria e un rapido svuotamento gastrico che contribuiscono alla loro aumentata vulnerabilità alla salmonellosi sintomatica. Nei lattanti, che tipicamente assumono liquidi, l’entità dell’inoculo che può produrre la malattia è anche comparativamente più piccolo a causa del transito più veloce attraverso lo stomaco. Una volta raggiunto l’intestino tenue e il colon, la capacità della Salmonella di moltiplicarsi e causare infezione dipende dalla dose infettante come anche dalla competizione con la flora normale. Una pregressa terapia antibiotica può alterare questa relazione, come anche fattori quali la cosomministrazione di farmaci antimotilità. La tipica risposta antimucosale all’infezione da Salmonella non tifoidea è un’enterocolite con infiammazione ed edema mucosali diffusi, talvolta con erosioni e microascessi. La Salmonella è in grado di penetrare la mucosa intestinale, anche se non si osservano distruzione delle cellule epiteliali e ulcere. L’infiammazione intestinale, con leucociti polimorfonucleati e macrofagi, di solito interessa la lamina propria. Il tessuto linfatico intestinale e i linfonodi mesenterici sottostanti aumentano di dimensioni e possono sviluppare piccole aree di necrosi. Tale ipertrofia linfatica può causare interferenza con l’apporto ematico della mucosa intestinale. Nel fegato e nella milza si osserva anche iperplasia del sistema reticoloendoteliale. Se si sviluppa una batteriemia, può portare a infezione e suppurazione localizzata in quasi tutti gli organi. La Salmonella spp. invade le cellule epiteliali in vitro con un processo di endocitosi batterio-mediata, con riarrangiamento del citoscheletro, obliterazione dell’orletto a spazzola cellulare e con successiva formazione di pliche della membrana. Un fenotipo adesivo e invasivo di S. enterica è attivo in condizioni simili a quelle che si osservano nell’intestino tenue umano (osmolarità elevata, ossigeno scarso). Il fenotipo invasivo è mediato, in parte, dall’isola di patogenicità 1 della Salmonella (SPI-1), una regione di 40 kb che codifica proteine regolatrici (HilA), un sistema di secrezione di tipo III (TTSS) che elimina proteine dal cytosol della Salmonella nella cellula ospite, e diverse proteine effettrici che inducono alterazioni all’interno della cellula ospite e favoriscono la captazione batterica. Anche se la S. typhimurium può causare una malattia sistemica negli esseri umani, l’infezione intestinale di solito risulta in un’enterite localizzata associata a una risposta secretiva dell’epitelio intestinale, nonché all’induzione della secrezione dell’interleuchina 8 (IL-8) dalla superficie basolaterale e di altri chemo-attraenti epiteliali stimolati dal patogeno verso la superficie apicale, che dirigono il reclutamento e la trasmigrazione dei neutrofili nel lume intestinale, prevenendo in questo modo la diffusione sistemica dei batteri (Fig. 195-1). Subito dopo l’invasione dell’epitelio intestinale, i microrganismi invasivi incontrano i macrofagi all’interno del tessuto linfatico associato all’intestino (GALT). L’interazione tra la Salmonella e i macrofagi risulta nell’alterazione dell’espressione di diversi geni dell’ospite, compresi quelli che codificano i mediatori proinfiam- 23-09-2008 12:38:41 Capitolo 195 Gastroenterite da Salmonella non tifoidea Salmonella non tifoidea Lisosoma Enterociti ■ Salmonella ■ 1219 TABELLA 195-2. Fattori dell’ospite e condizioni predisponenti allo sviluppo di malattia sistemica da ceppi di Salmonella non tifoidei Neonati e lattanti 3 mesi di età HIV/AIDS Altri deficit immunitari e malattia granulomatosa cronica Terapia immunosoppressiva e corticosteroidea Neoplasie maligne, specialmente leucemia e linfoma Anemia emolitica, tra cui anemia a cellule falciformi, malaria e bartonellosi Malattia vascolare del collagene Malattia infiammatoria intestinale Acloridria o uso di farmaci antiacidi Riduzione della motilità intestinale Schistosomiasi, malaria Malnutrizione IL-8 e altri mediatori Attrazione e migrazione dei neutrofili Figura 195-1. Patogenesi della gastroenterite da Salmonella. (Adattata da Santos RL, Tsolis RM, Bäumler AJ, et al: Pathogenesis of Salmonella-induced enteritis. Braz J Med Biol Res 2003;36[1]:3–12.) matori (ossido nitrico sintetasi inducibile [iNOS], chemochine, IL-1b), i recettori o molecole di adesione (recettore del fattore di necrosi tumorale [TNF-], il CD40, la molecola di adesione intercellulare 1 [ICAM-1]) e i mediatori antinfiammatori (fattore trasformante-1 e -2 [TGF-1 e -2]). Altri geni soggetti ad upregulation comprendono quelli coinvolti nella morte cellulare o apoptosi (proteasi della cellula epiteliale intestinale, TNF-R1, Fas) e fattori di trascrizione (Egr-1, IRF-1). La S. typhimurium può indurre una morte rapida dei macrofagi in vitro, dipendente dalla proteina caspasi-1 della cellula ospite e mediata dall’effetto SipB di SPI-1. La S. typhimurium si trova all’interno di vacuoli specializzati contenenti la Salmonella che si sono allontanati dalla normale via endocitica. Questa capacità di sopravvivere all’interno dei monociti/macrofagi è essenziale alla S. typhimurium per stabilire un’infezione sistemica nel topo. La risposta proinfiammatoria della mucosa nei confronti dell’infezione da S. typhimurium e il successivo reclutamento delle cellule fagocitiche nel sito di infezione può anche facilitare la diffusione sistemica dei batteri. Alcuni tratti di virulenza sono condivisi da tutte le salmonelle, ma altri sono ristretti a determinati sierotipi. Questi tratti di virulenza sono stati definiti in colture tessutali e in modelli di ratto, ed è probabile che le caratteristiche cliniche dell’infezione umana da Salmonella siano infine correlate a specifiche sequenze di DNA. Nella maggior parte delle salmonellosi non tifoidee associate a diarrea, l’infezione non si estende oltre la lamina propria e ai linfatici locali. Specifici geni di virulenza sono correlati alla capacità di causare batteriemia. Negli esseri umani, questi geni si trovano significativamente più spesso in ceppi di S. typhimurium isolati dal sangue piuttosto che dalle feci. Sia S. dublin sia S. cholerae suis hanno una maggiore propensità a invadere rapidamente il circolo con scarso interessamento intestinale o nessun interessamento del tutto. Lo sviluppo di malattia dopo infezione da Salmonella dipende dal numero di microrganismi infettanti, dai loro tratti di virulenza e da diversi fattori dell’ospite. Diversi fattori dell’ospite possono inoltre influire sullo sviluppo di complicanze specifiche o sindromi cliniche (Tab. 195-2). Tuttavia, è possibile una batteriemia con qualsiasi sierotipo di Salmonella, specialmente negli individui con ridotte difese dell’ospite e specialmente in quelli con alterazione della funzione reticoloendoteliale o immunocellulare. Pertanto, i bambini con infezione da HIV, malattia granulomatosa cronica e leucemia hanno una maggiore probabilità di sviluppare batteriemia dopo 180-206ANA.indd 1219 un’infezione da Salmonella, anche se la maggior parte dei bambini con batteriemia in Africa è HIV-negativa. Anche i bambini con infezione da Schistosoma mansoni e interessamento epatosplenico come anche con anemia malarica cronica hanno un aumento del rischio di sviluppare una salmonellosi cronica. I bambini con malattia a cellule falciformi hanno un aumento del rischio di setticemia e osteomielite da Salmonella. Ciò può essere correlato alla presenza di numerose aree infartuali nel tratto gastrointestinale, nelle ossa e nel sistema reticoloendoteliale, come anche una riduzione della capacità fagocitaria e opsonizzante dei pazienti, che per mette la proliferazione del microrganismo. Alcuni difetti ereditari, come il deficit di IL-12 (deficit della catena beta1 del recettore di IL-12, delezione della subunità p40 di IL-12) sono associati a un aumento del rischio di infezioni da Salmonella, suggerendo un ruolo chiave per IL-12 nella clearance della Salmonella. IL-12 è prodotto dai macrofagi attivati ed è un potente induttore di interferone da parte delle cellule natural killer e dai linfociti T. Considerato il ruolo protettivo putativo di IL-12 contro le infezioni malariche, l’infezione da Salmonella dei fagociti può interessare secondariamente la produzione di IL-12 e quindi produrre un circolo vizioso di malaria cronica e coinfezione da Salmonella. MANIFESTAZIONI CLINICHE Enterite acuta. La più comune presentazione clinica della salmonellosi è l’enterite acuta. Dopo un periodo di incubazione di 6-72 ore (media, 24 ore), compaiono improvvisamente nausea, vomito e dolori addominali crampiformi, soprattutto nell’area periombelicale e nel quadrante inferiore destro, seguiti da diarrea acquosa da lieve a severa e talvolta da diarrea mucoematica. Un’elevata percentuale di bambini è febbrile, anche se i lattanti possono avere una temperatura normale o subnormale. I sintomi di solito scompaiono entro 2-7 giorni nei bambini sani e i decessi sono rari. Tuttavia, alcuni bambini sviluppano una malattia severa con un quadro simil-setticemico (febbre elevata, cefalea, sonnolenza, confusione, meningismo, convulsioni, distensione addominale). Le feci tipicamente contengono un numero moderato di leucociti polimorfonucleati e sangue occulto. Può essere presente una lieve leucocitosi. Batteriemia. Anche se l’esatta incidenza di batteriemia dopo una gastroenterite da Salmonella non è chiara, una batteriemia transitoria può verificarsi nell’1-5% dei bambini con diarrea da Salmonella. Anche se nei neonati e nei lattanti una batteriemia può verificarsi con una sintomatologia minima associata, nei bambini più grandi tipicamente segue una gastroenterite e può essere associata a febbre, brividi e shock settico. Nei pazienti con AIDS, una setticemia ricorrente compare nonostante la terapia antibiotica, spesso con una coprocoltura negativa per la Salmonella e talvolta senza un focolaio identificabile di infezione. La gastroenterite da Salmonella non tifoidea causa comunemente batteriemia nei Paesi non sviluppati. Tassi elevati di malattia invasiva da S. thyphimurium e S. enteritidis riportati in Africa (38-70% degli isolati) suggeriscono un’associazione con l’infezione da HIV e con la malaria. 23-09-2008 12:38:41 1220 ■ PARTE XVI ■ Malattie infettive Infezioni focali extraintestinali. Successivamente a una batteriemia, le salmonelle hanno la tendenza a disseminare e causare infezioni suppurative di diversi organi. Le infezioni focali più comuni coinvolgono il sistema scheletrico, le meningi, siti intravascolari e siti di anomalie preesistenti, le aree di infarto osseo come nella malattia a cellule falciformi o le protesi ossee. Anche se l’infezione meningea è meno comune della batteriemia, le infezioni da Salmonella sono associate anche a infezioni intracraniche focali. Il picco di incidenza della meningite da Salmonella è nella prima infanzia e può essere associato a un decorso clinico florido, a un’elevata mortalità e a sequele neurologiche. COMPLICANZE. La gastroenterite da Salmonella può essere associata a disidratazione acuta e complicanze derivanti dalla ritardata presentazione e dal trattamento inadeguato. La batteriemia nei lattanti e negli individui immunocompromessi può avere serie conseguenze ed esiti potenzialmente fatali. La Salmonella può disseminarsi in diversi sistemi d’organo, con infezioni intracraniche (meningite, ascessi cerebrali focali) e anche osteomielite in bambini con anemia a cellule falciformi. Un’artrite reattiva può fare seguito a una gastroenterite da Salmonella, di solito in adolescenti con HLA-B27. In certi gruppi ad alto rischio, specialmente in quelli con deficit immunitari, il decorso della gastroenterite da Salmonella può essere più complicato. Neonati, lattanti 6 mesi di età e bambini con deficit immunitari primitivi o secondari possono avere sintomi persistenti per diverse settimane. Il decorso della malattia e le complicanze possono inoltre essere influenzati da patologie concomitanti. Nei bambini con AIDS, l’infezione si diffonde frequentemente e diviene estremamente invasiva, con interessamento multisistemico, shock settico e morte. Nei pazienti con malattia intestinale infiammatoria, specialmente colite ulcerosa attiva, la gastroenterite da Salmonella può essere potenzialmente fatale, con rapido sviluppo di megacolon tossico, traslocazione batterica e sepsi. Nei bambini con schistosomiasi, la Salmonella può persistere e moltiplicarsi con gli schistosomi, portando a infezione cronica a meno di un trattamento efficace della schistosomiasi. Una batteriemia prolungata o intermittente è associata a febbre di basso grado, anoressia, calo ponderale, diaforesi e mialgie, e può verificarsi nei bambini con malattie di base e disfunzione del sistema reticoloendoteliale come l’anemia emolitica o la malaria. DIAGNOSI. Esistono poche caratteristiche cliniche che sono specifiche della gastroenterite da Salmonella e che permettono la diagnosi differenziale con altre cause batteriche di diarrea. La diagnosi definitiva di infezione da Salmonella si basa sulla correlazione clinica della presentazione e della coltura e sulla conseguente identificazione delle salmonelle nelle feci o in altri fluidi corporei. Nei bambini con gastroenterite, la coprocoltura di materiale fecale garantisce risultati migliori del tampone rettale. Nei bambini con gastroenterite da Salmonella non tifoidea, una febbre che dura 5 o più giorni e un’età più giovane devono essere riconosciute come fattori di rischio strettamente associati allo sviluppo di batteriemia. Nei pazienti con siti di suppurazione locale, i campioni aspirati devono essere colorati con colorazione di Gram e messi in coltura. La Salmonella cresce bene in terreni non selettivi o arricchiti, come agar-sangue, agar-cioccolato o brodo nutritivo, ma i campioni fecali contenenti una flora batterica mista richiedono per l’isolamento terreni selettivi come gli agar di MacConkey, desossicolato-lisina-xilosio (XLD), solfito di bismuto (BBL) o Salmonella-Shigella (SS). Anche se altri metodi diagnostici rapidi, come l’agglutinazione su lattice e l’immunofluorescenza, sono stati sviluppati per la diagnosi rapida di Salmonella in coltura, esistono pochi test confrontabili per la diagnosi sierologica rapida. Le tecniche di reazione a catena della polimerasi (PCR) possono offrire una rapida alternativa alle colture classiche, ma non sono ancora molto diffuse in ambito clinico. TRATTAMENTO. Una terapia appropriata è correlata alla presentazione clinica specifica dell’infezione da Salmonella. Nei bambini 180-206ANA.indd 1220 con gastroenterite, una valutazione clinica rapida, la correzione della disidratazione e degli squilibri elettrolitici e la terapia di supporto sono fondamentali (vedi Capitoli 55 e 337). Gli antibiotici non sono generalmente raccomandati per il trattamento della gastroenterite da Salmonella in quanto possono sopprimere la normale flora intestinale e prolungare la secrezione della Salmonella, e a causa del rischio remoto di creare uno stato di portatore cronico (di solito negli adulti). Tuttavia, dato il rischio di batteriemia nei lattanti (3 mesi di età) e di infezione disseminata nei gruppi ad alto rischio con compromissione immunitaria (HIV, neoplasie maligne, terapia immunosoppressiva, stati di immunodeficienza), questi bambini devono ricevere un appropriato antibiotico empirico fino alla disponibilità dei risultati delle colture (Tab. 195-3). Il ceppo della S. typhimurium tipo fagico DT104 è di solito resistente a 5 farmaci: ampicillina, cloramfenicolo, streptomicina, sulfamidici e tetraciclina. Una crescente percentuale di isolati di S. typhimurium tipo fagico DT104 ha una ridotta sensibilità ai fluorochinolonici. Data l’elevata mortalità associata alle infezioni da Salmonella multiresistente, è necessario eseguire test di sensibilità su tutti gli isolati umani. Le infezioni da Salmonella con sospetta resistenza devono essere attentamente monitorate e trattate con un’appropriata antibioticoterapia. PROGNOSI. La maggior parte dei bambini sani con gastroenterite da Salmonella ha un recupero completo. Tuttavia, i bambini malnutriti e quelli che non ricevono un trattamento di supporto ottimale (vedi Capitoli 55 e 337) sono a rischio di sviluppare una diarrea prolungata e complicanze. I lattanti e i pazienti immunocompromessi spesso hanno un interessamento sistemico, un decorso prolungato e focolai extraintestinali. In particolare, i bambini con infezione da HIV e infezioni da Salmonella possono avere un decorso florido. Dopo l’infezione, le salmonelle non tifoidee sono eliminate nelle feci per una mediana di 5 settimane. Tuttavia, dopo il recupero clinico da una gastroenterite da Salmonella, l’eliminazione fecale asintomatica del microrganismo può avvenire per diversi mesi, particolarmente nei bambini più piccoli o in quelli trattati con antibiotici. Uno stato prolungato di portatore dopo una salmonellosi non tifoidea è raro (1%) ma si può osservare in bambini con malattie delle vie biliari e colelitiasi dopo un’emolisi cronica. Uno stato di portatore di Salmonella prolungato è raro nei bambini sani, ma è stato segnalato nei bambini con deficit immunitari. Durante il periodo di eliminazione della Salmonella, il soggetto può infettare altre persone, direttamente per via orofecale o indirettamente attraverso alimenti contaminati. PREVENZIONE. Il controllo della trasmissione delle infezioni da Salmonella negli esseri umani richiede il controllo dell’infezione nei serbatoi animali, un uso attento degli antibiotici nell’allevamento a scopo lattiero-caseario e alimentare (carne), la prevenzione della contaminazione di alimenti preparati con prodotti di origine animale e l’uso di standard appropriati nella preparazione dei cibi nelle cucine commerciali e private (Tab. 195-4). Poiché le epidemie maggiori sono spesso correlate alla preparazione di massa degli alimenti, occorre ricordare che la contaminazione di uno solo degli elementi meccanici utilizzati nella preparazione degli alimenti può causare un’epidemia; è fondamentale una pulizia meticolosa delle attrezzature. La disponibilità di acqua TABELLA 195-3. Trattamento della gastroenterite da Salmonella MICRORGANISMO E INDICAZIONE DOSE E DURATA DEL TRATTAMENTO Infezioni da Salmonella nei lattanti 3 mesi Cefotaxima 100-200 mg/kg/die ogni 6 ore per 5-14 giorni di età, soggetti immunocompromessi oppure Ceftriaxone 75 mg/kg/die una volta al giorno per 7 giorni oppure Ampicillina 100 mg/kg/die ogni 6 ore per 7 giorni oppure Cloramfenicolo 15 mg/kg/die suddivisi ogni 6 ore per os per 5-10 giorni 23-09-2008 12:38:41 Capitolo 195 TABELLA 195-4. Raccomandazioni per la prevenzione della trasmissione di Salmonella da rettili e anfibi agli esseri umani Proprietari di negozi di animali, operatori sanitari e veterinari devono fornire informazioni ai proprietari e ai potenziali acquirenti di rettili e anfibi sui rischi e sulla prevenzione della salmonellosi da questi animali domestici. Le persone con aumento del rischio d’infezione o di complicanze severe da salmonellosi (per es. bambini con meno di 5 anni e le persone immunocompromesse) devono evitare i contatti con rettili e anfibi e con qualsiasi oggetto che sia stato a contatto con rettili e anfibi. Rettili e anfibi devono essere evitati nelle case dove vi sono bambini con meno di 5 anni o persone immunocompromesse. Una famiglia che aspetta un bambino deve eliminare qualsiasi rettile o anfibio domestico dalla casa prima del suo arrivo. Rettili e anfibi non devono essere permessi nei centri di child-care. Le persone devono sempre lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone dopo aver maneggiato rettili e anfibi o le loro gabbie. Rettili e anfibi non devono potere muoversi liberamente in casa o in un’area di soggiorno. Rettili e anfibi domestici devono rimanere lontani dalle cucine e da altre aree di preparazione degli alimenti. I lavandini delle cucine non devono essere usati per immergervi rettili o anfibi o per lavarne piatti, gabbie o acquari. Se a questo scopo vengono usate le vasche da bagno, esse devono essere pulite e disinfettate a fondo con candeggina. Rettili e anfibi in aree pubbliche (per es. zoo e mostre) devono essere tenuti lontani dal contatto diretto o indiretto con i visitatori eccetto che per le aree previste per il contatto con gli animali e fornite della possibilità di lavarsi adeguatamente le mani. In queste aree di contatto con gli animali non devono essere permessi cibi e bevande. Da the Centers for Disease Control and Prevention: Reptile-associated salmonellosis – Selected states, 1998-2002.MMWR 2003;52:1206–1210. pura e l’educazione al lavaggio delle mani e alla preparazione e alla conservazione degli alimenti per ridurre la trasmissione da persona a persona sono essenziali. La Salmonella può restare vitale quando le modalità di cottura impediscono che un alimento raggiunga una temperatura superiore a 65,5 °C) per 12 min. I genitori devono conoscere i rischi relativi ai rettili e agli animali domestici nelle case in cui vi sono bambini molto piccoli. Al contrario dei Paesi sviluppati, si sa relativamente poco sulla trasmissione delle infezioni da Salmonella non tifoidee nei Paesi sviluppati, ed è probabile che la trasmissione da persona a persona possa essere relativamente più importante in alcune situazioni. Anche se alcuni vaccini sono stati usati negli animali, non è attualmente disponibile alcun vaccino contro le infezioni da Salmonella non tifoidee. Le infezioni devono essere segnalate alle autorità sanitarie pubbliche affinché le epidemie possano essere riconosciute e studiate. Considerato il rapido aumento della resistenza antibiotica tra gli isolati di Salmonella, è fondamentale una rigorosa regolazione dell’uso di antibiotici nei mangimi per animali. 195.2 • FEBBRE ENTERICA (FEBBRE TIFOIDE) La febbre enterica (più frequentemente denominata febbre tifoidea) rimane endemica in molti Paesi in via di sviluppo. Considerata la moderna facilità di viaggiare, sono segnalati regolarmente casi nella maggior parte dei Paesi sviluppati, di solito in viaggiatori di ritorno da un viaggio. EZIOLOGIA. La febbre tifoidea è causata dalla Salmonella enterica sierovariante typhi (S. typhi), un batterio Gram-negativo. Una malattia molto simile ma spesso meno severa è causata dalla S. paratyphi A e raramente dalla S. paratyphi B (schotmulleri) e dalla S. paratyphi C (hirschfeldii). Il rapporto tra la malattia causata dalla S. typhi con quello della malattia da S. paratyphi è di circa 10 a 1, anche se la percentuale di infezioni da S. paratyphi è in aumento in alcune parti del mondo. Anche se la S. typhi condivide molti geni con l’Escherichia coli e almeno il 95% dei geni con la S. typhimurium, esistono diversi cluster genici specifici noti come isole di patogenicità e altri che sono stati acquisiti nel corso dell’evoluzione. L’inattivazione di singoli geni, come anche l’acquisizione o la perdita di singoli geni o di ampie isole di DNA possono avere contribuito all’adattamento dell’ospite e alla restrizione della S. typhi. 180-206ANA.indd 1221 ■ Salmonella ■ 1221 Uno dei geni più specifici è quello del polisaccaride capsulare Vi. Questo è presente nel 90% circa di tutti gli isolati recenti di S. typhi e ha un effetto protettivo contro l’azione battericida del siero dei pazienti infetti. EPIDEMIOLOGIA. Si stima attualmente che ogni anno si verifichino più di 21,7 milioni di casi di febbre tifoide, con la grande maggioranza dei casi in Asia, con oltre 200 000 decessi. Inoltre, si stima che si verifichino 5,4 milioni di casi di febbre paratifoide. Considerata la scarsità di dotazioni microbiologiche nei Paesi in via di sviluppo, queste cifre possono essere più rappresentative della sindrome clinica che della malattia dimostrata da una coltura. Nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo, l’incidenza di febbre tifoide è 15 casi su 100 000, di cui la maggior parte si verifica nei viaggiatori oppure come casi isolati di esposizione a portatori. Al contrario, l’incidenza può variare considerevolmente nel mondo sviluppato, con valori stimati tra 100 e 1000 casi su 100 000. Vi possono inoltre essere differenze nella distribuzione per età e nella popolazione a rischio. Studi basati sulla popolazione dell’Asia Meridionale indicano anche che, contrariamente alle precedenti opinioni, l’incidenza età-specifica di febbre tifoide può essere più elevata nei bambini 5 anni di età, con tassi comparabilmente più elevati di complicanze e ospedalizzazione. La febbre tifoide è stata notevole per l’emergenza di antibiotico-resistenze. Dopo epidemie sporadiche di febbre tifoide resistente al cloramfenicolo, molti ceppi di S. typhi hanno sviluppato una multiresistenza mediata da plasmidi a tutti e 3 gli antibiotici primari: ampicillina, cloramfenicolo e trimetoprim-sulfametoxazolo. È stata descritta una resistenza acquisita cromosomica della S. typhi ai chinolonici in diverse parti dell’Asia, che potrebbe essere una conseguenza del diffuso e indiscriminato uso di questi antibiotici. La S. typhi è altamente adattata all’infezione di esseri umani al punto che ha perso la capacità di causare una malattia trasmissibile in altri animali. La scoperta di un gran numero di pseudogeni nella S. typhi suggerisce che il genoma di questo patogeno è andato incontro a degenerazione per facilitare un’associazione specializzata con gli esseri umani. Pertanto, il contatto diretto o indiretto con una persona infetta (ammalato o portatore cronico) è un prerequisito per l’infezione. L’ingestione di alimenti o acqua contaminata con S. typhi da feci umane è la modalità più comune di trasmissione, anche se nei Paesi in via di sviluppo possono aversi epidemie diffuse attraverso l’acqua a causa di cattivi sistemi di trattamento delle acque o per contaminazione. In altre parti del mondo, possono causare infezione anche ostriche e altri frutti di mare coltivati in acque contaminate da acque nere o dall’uso di rifiuti umani come fertilizzanti. PATOGENESI. La malattia si verifica in seguito a ingestione del microrganismo ed è stata segnalata un’ampia varietà di fonti di contaminazione, compresi i cibi di strada e la contaminazione dei bacini idrici. Esperimenti su volontari umani hanno stabilito una dose infettante di circa 105-109 microrganismi con un periodo di incubazione variabile da 4 a 14 giorni, a seconda della dose di inoculo di batteri vitali. Dopo l’ingestione, si ritiene che la S. typhi invada l’organismo attraverso la mucosa intestinale dell’ileo terminale, forse attraverso cellule specializzate nella processazione dell’antigene, note come cellule M, che si trovano al di sopra del tessuto linfatico associato all’intestino (GALT), attraverso gli enterociti, o attraverso una via parallela. La S. typhi attraversa la barriera mucosa intestinale dopo essersi attaccata ai microvilli mediante un intricato meccanismo comprendente la plicatura della membrana, il riarrangiamento dell’actina e l’internalizzazione in un vacuolo intracellulare. Dopo essere passata attraverso la mucosa intestinale, la S. typhi entra nel sistema linfatico mesenterico e quindi passa in circolo attraverso i linfatici. Questa batteriemia primaria è di solito asintomatica e l’emocoltura è frequentemente negativa in questa fase della malattia. I batteri in circolo si disseminano nell’organismo e si ritiene che colonizzino gli organi del sistema reticoloendoteliale, dove possono replicarsi all’interno 23-09-2008 12:38:42 1222 ■ PARTE XVI ■ Malattie infettive dei macrofagi. Dopo un periodo di replicazione batterica, la S. typhi si diffonde nuovamente in circolo causando una batteriemia secondaria, che coincide con l’esordio dei sintomi clinici e segna il termine del periodo di incubazione (Fig. 195-2). Gli studi in vitro con linee cellulari umane hanno dimostrato differenze qualitative e quantitative della risposta delle cellule epiteliali alla S. typhi e alla S. typhimurium rispetto alla secrezione di citochine e chemochine. Pertanto, evitando lo scatenamento di una risposta infiammatoria precoce nell’intestino, la S. typhi può invece colonizzare i tessuti e i sistemi d’organo più profondi. L’infezione da S. typhi produce una risposta infiammatoria negli strati mucosi profondi e nel tessuto linfatico sottostante, con iperplasia delle placche di Peyer e successiva necrosi e sfaldamento dell’epitelio sovrastante con ulcerazioni. Le ulcere possono sanguinare, ma di solito guariscono senza cicatrizzazione o formazione di stenosi. La lesione infiammatoria può occasionalmente penetrare la muscolare e la sierosa dell’intestino e causare perforazione. I linfonodi mesenterici, epatici e splenici sono iperemici e generalmente rivelano anche aree di necrosi focale. Una fase di risposta mononucleata può essere osservata nel midollo osseo in associazione con aree di necrosi focale. Le alterazioni morfologiche dell’infezione da S. typhi sono meno marcate nei lattanti rispetto ai bambini più grandi e agli adulti. In particolare, al contrario degli adulti con febbre tifoide, nonostante la moltiplicazione batterica nella parete della colecisti, l’infiammazione è sia focale che lieve. Si ritiene che diversi geni di virulenza, compreso lo SPI-2 TTSS, possano essere necessari per le proprietà di virulenza e la capacità di causare infezioni sistemiche. L’antigene polisaccaridico superficiale Vi (virulenza) che si trova nella S. typhi interferisce con la fagocitosi pervenendo il legame di C3 alla superficie del batterio. La capacità dei microrganismi di sopravvivere all’interno dei macrofagi dopo la fagocitosi è un importante tratto di virulenza codificato dal regulone phoP; può essere correlato agli effetti metabolici sulle cellule ospiti. La comparsa occasionale di diarrea può essere spiegata dalla presenza di una tossina correlata con la tossina colerica e dell’enterotossina termolabile dell’E. coli. La sindrome clinica di febbre e sintomi sistemici è prodotta dal rilascio di citochine proinfiammatorie (IL-6, IL-1 e TNF-) da parte delle cellule infette. Oltre alla virulenza dei microrganismi infettanti, anche i fattori e l’immunità dell’ospite possono avere un ruolo importante nella predisposizione all’infezione. Esiste un’associazione tra sensibilità alla febbre tifoide e geni umani dei loci di classe II e di classe III del complesso maggiore di istocompatibilità. I pazienti con infezione da HIV hanno un rischio significativamente aumentato di infezione clinica da S. typhi e S. paratyphi. Allo stesso modo, i pazienti con infezione da Helicobacter pylori hanno anche un aumento del rischio di acquisire la febbre tifoide. MANIFESTAZIONI CLINICHE. Il periodo di incubazione della febbre tifoide è di solito 7-14 giorni, ma dipende anche dalla dose infettante (range 3-30 giorni). La presentazione clinica varia da una malattia lieve con febbre di basso grado, malessere e lieve tosse secca fino a un quadro clinico severo con dolore addominale e complicanze multiple. Molti fattori influenzano la severità e l’esito clinico generale dell’infezione. Essi comprendono la durata della malattia prima dell’inizio di una terapia appropriata, la scelta del trattamento antibiotico, l’età, la pregressa esposizione o la storia vaccinale, la virulenza del ceppo batterico, l’entità dell’inoculo ingerito e vari fattori dell’ospite che influenzano lo stato immunitario. La presentazione della febbre tifoide può differire anche in rapporto all’età. Anche se i dati dell’America del Sud e di alcune parti dell’Africa suggeriscono che la febbre tifoide può presentarsi come malattia lieve nei bambini più piccoli, vi possono essere delle variazioni in altre parti del mondo. Vi sono crescenti evidenze dall’Asia Meridionale che la presentazione della febbre tifoide può essere più drammatica nei bambini 5 anni di età, con tassi comparabilmente più elevati di complicanze e ospedalizzazione. Anche la diarrea, la tossicità e complicanze come quelle intravascolari disseminate sono più comuni nei bambini più piccoli, con tassi di mortalità più elevati. Tuttavia, alcune delle altre caratteristiche e complicanze della febbre tifoide che si osservano negli adulti, come bradicardia relativa, manifestazioni neurologiche ed emorragie gastrointestinali, sono rare. La febbre tifoide di solito si presenta con febbre di grado elevato con un’ampia varietà di sintomi associati come mialgia generalizzata, dolore addominale, epatosplenomegalia e anores- Patogenesi della febbre tifoide Salmonella typhi Cellula M Disseminazione diffusa Placche di Peyer riesposte a S. typhi attraverso la bile Enterociti di rivestimento dell’ileo terminale Placca del Peyer e macrofago residente Linfonodi mesenterici Batteriemia primaria Batteriemia secondaria Disseminazione del sistema reticoloendoteliale: fegato, milza, colecisti, midollo osseo Figura 195-2. Patogenesi della febbre tifoide. (Adattata da Richens J: Typhoid fever. In Cohen J, Powderly WG, Opal SM [editors]: Infectious Diseases, 2nd ed. London, Mosby, 2004, pp 1561-1566.) 180-206ANA.indd 1222 23-09-2008 12:38:42 Capitolo 195 sia (Tab. 195-5). Nei bambini la diarrea può essere presente nelle fasi più precoci della malattia e può essere seguita da stipsi. In assenza di segni di localizzazione, la fase precoce della malattia può essere difficile da distinguere da altre malattie endemiche come malaria o Dengue. La febbre può aumentare gradualmente, ma il classico aumento per gradi è relativamente raro. Nel 25% circa dei casi può essere visibile un rash maculoso o maculopapuloso (macchie rosacee) intorno al 7°-10° giorno di malattia e le lesioni possono apparire a gruppi di 10-15 sulla parte inferiore del torace e sull’addome con la durata di 2-3 giorni (Fig. 195-3). Queste lesioni possono essere difficili da vedere nei bambini con pelle scura. I pazienti trattati ambulatorialmente si presentano con febbre (99%) ma hanno meno vomito, diarrea, epatomegalia, splenomegalia e mialgie di quelli ospedalizzati. La presentazione della febbre tifoide può essere temperata dalle morbilità coesistenti e dalla somministrazione precoce di antibiotici. Nelle aree di endemia malarica e nelle parti del mondo dove è diffusa la schistosomiasi, anche la presentazione della febbre tifoide può essere atipica. È noto anche che la S. typhi multiresistente è una malattia clinica più severa con elevati tassi di tossicità, complicanze e tassi di mortalità, che possono essere correlati all’aumento della virulenza e anche al numero più elevato di batteri circolanti. Questi aspetti possono avere implicazioni per gli algoritmi di trattamento, specialmente nelle aree endemiche con tassi elevati di febbre tifoide multiresistente. Se non si verificano complicanze, i segni e sintomi si risolvono gradualmente entro 2-4 settimane; tuttavia, la malattia può essere associata a malnutrizione in diversi bambini affetti. Anche se la febbre enterica causata dalla S. paratyphi è stata tipicamente considerata una malattia meno grave, recenti segnalazioni di infezioni da isolati antibiotico-resistenti indicano che anche la febbre paratifoidea può essere severa, con significative morbilità e complicanze. COMPLICANZE. Anche se si osserva un’alterazione della funzionalità epatica in molti pazienti con febbre enterica, un’epatite clinicamente significativa, ittero e colecistite sono relativamente rari e possono essere associati a tassi più elevati di esiti avversi. L’emorragia (1%) e la perforazione intestinale (0,5-1%) sono infrequenti nei bambini. La perforazione intestinale può essere preceduta da un marcato aumento del dolore addominale (di solito a livello del quadrante inferiore destro), dolenzia, vomito e sintomi di peritonite. La perforazione intestinale e la peritonite possono essere accompagnate da aumento improvviso della frequenza del polso, ipotensione, marcata dolenzia addominale e posizione antalgica e successivamente rigidità addominale. In alcuni casi si possono osservare un aumento della conta dei leucociti con uno shift a sinistra e aria libera alle radiografie dell’addome. TABELLA 195-5. Comuni caratteristiche cliniche della febbre tifoide nei bambini* Febbre di grado elevato Lingua patinata Anoressia Vomito Epatomegalia Diarrea Tossicità Dolore addominale Pallore Splenomegalia Stipsi Cefalea Ittero Obnubilamento Ileo paralitico Perforazione intestinale * Karachi, Pakistan, da 2000 bambini. 180-206ANA.indd 1223 95% 76% 70% 39% 37% 36% 29% 21% 20% 17% 7% 4% 2% 2% 1% 0,5% ■ Salmonella ■ 1223 A B Figura 195-3. A, Macchie rosacee in un volontario con febbre tifoide sperimentale. B, un piccolo gruppo di macchie rosacee è di solito localizzato sull’addome. Queste lesioni possono essere difficili da identificare, specialmente nelle persone con pelle scura. (Da Huang DB, DuPont HL: Problem pathogens: Extra-intestinal complications of Salmonella enterica serotype Typhi infection. Lancet Infect Dis 2005;5:341-348.) Complicanze rare sono la miocardite tossica, che può manifestarsi con aritmie, blocco senoatriale o shock cardiogeno (Tab. 195-6). Anche le complicanze neurologiche sono relativamente infrequenti nei bambini e possono comprendere delirio, psicosi, aumento della pressione intracranica, atassia cerebellare acuta, corea, sordità e sindrome di Guillain-Barré. Anche se i tassi di mortalità possono essere più elevati con le manifestazioni neurologiche, la guarigione di solito si verifica senza sequele. Altre complicanze riportate comprendono necrosi midollare fatale, coagulazione intravascolare disseminata (CID), sindrome uremico-emolitica, pielonefrite, sindrome nefrosica, meningite, endocardite, parotite, orchite e linfoadenite suppurativa. La tendenza a divenire portatore segue l’epidemiologia della malattia colecistica, aumenta con l’età e con la resistenza antibiotica dei ceppi prevalenti. Anche se sono disponibili dati limitati, in generale i tassi dello stato di portatore cronico sono più bassi nei bambini che negli adulti. DIAGNOSI. La pietra angolare della diagnosi di febbre tifoide è la positività dell’emocoltura o di altre colture di altre sedi anatomiche. I risultati dell’emocoltura sono positivi nel 40-60% dei pazienti osservati precocemente nel decorso della malattia e le colture di feci e urine si positivizzano dopo la 1a settimana. Anche la coprocoltura è occasionalmente positiva nel periodo di incubazione. Tuttavia, la sensibilità dell’emocoltura nella diagnosi di febbre tifoide in molti Paesi in via di sviluppo è limitata in quanto l’ampia diffusione della prescrizione di antibiotici può rendere difficile la conferma batteriologica. Anche se le colture midollari possono aumentare la probabilità di conferma batteriologica di febbre tifoide, sono di difficile esecuzione e relativamente invasive. Altri esami di laboratorio non sono specifici. Mentre la conta leucocitaria è frequentemente bassa in relazione alla febbre e alla tossicità, esiste un’ampia variazione della sua entità; nei bambini più piccoli, la leucocitosi è un’associazione comune e può raggiungere i 20 000-25 000/mm3. La trombocitopenia può essere un marker di malattia severa e accompagna la CID. Mentre i test di funzionalità epatica possono essere alterati, una disfunzione epatica significativa è rara. 23-09-2008 12:38:42 1224 ■ PARTE XVI ■ Malattie infettive TABELLA 195-6. Complicanze infettive extraintestinali della febbre tifoide causate da Salmonella enterica Sierotipo Typhi SISTEMA D’ORGANO INTERESSATO Sistema nervoso centrale PREVALENZA 3-35% Sistema cardiovascolare 1-5% Sistema polmonare 1-6% Ossa e articolazioni 1% Sistema epatobiliare 1-26% Sistema genito-urinario 1% Infezioni dei tessuti molli Ematologiche Almeno 17 casi riportati nella letteratura in inglese Almeno 5 casi riportati nella letteratura in inglese FATTORI DI RISCHIO Residenza in regioni endemiche, neoplasie maligne, endocardite, cardiopatie congenite, infezioni dei seni paranasali, infezioni polmonari, meningite, trauma, intervento chirurgico e osteomielite del cranio Anomalie cardiache – per es. anomalie vascolari esistenti, cardiopatia reumatica o difetti cardiaci congeniti Residenza in regioni endemiche, pregressa infezione polmonare, anemia a cellule falciformi, abuso di alcol, diabete, infezione da HIV Anemia a cellule falciformi, lupus eritematoso sistemico, linfoma, epatopatia, pregresso intervento chirurgico o trauma, pazienti agli estremi dell’età e uso di corticosteroidi Residenza in regioni endemiche, infezioni piogeniche, uso di droghe per via ev, trauma splenico, HIV, emoglobinopatia Anomalie del tratto urinario, patologie della pelvi e anomalie sistemiche Diabete COMPLICANZE Encefalopatia, edema cerebrale, empiema subdurale, ascesso cerebrale, meningite, ventriculite, parkinsonismo transitorio, disordini dei motoneuroni, atassia, convulsioni, sindrome di Guillain-Barré, psicosi Endocardite, miocardite, pericardite, arterite, insufficienza cardiaca congestizia Polmonite, empiema, fistola broncopleurica Osteomielite, artrite settica Colecistite, epatite, ascessi epatici, ascesso splenico, peritonite, ileo paralitico Infezione delle vie urinarie, ascesso renale, infezioni pelviche, ascesso testicolare, prostatite, epididimite Ascesso dello psoas, ascesso gluteo, vasculite cutanea Sindrome emofagocitica Da Huang DB, DuPont HL: Problem pathogens: Extra-intestinal complications of Salmonella enterica serotype Typhi infection.Lancet Infect Dis 2005;5:341-348. Il classico test di Widal misura gli anticorpi contro gli antigeni O e H della S. typhi, ma manca di sensibilità e specificità nelle aree endemiche. Poiché si hanno molti risultati falsi positivi e falsi negativi, la diagnosi di febbre tifoide con il solo test di Widal è esposta all’errore. Sono stati sviluppati altri test diagnostici relativamente più recenti che fanno uso degli anticorpi monoclonali per l’identificazione diretta degli antigeni specifici della S. typhi nel siero o dell’antigene Vi della S. typhi nelle urine. Tuttavia, pochi di questi test si sono dimostrati sufficientemente validi in valutazioni su larga scala. È stata utilizzata una PCR nested che fa uso di primer Hl-d per amplificare i geni specifici della S. typhi nel sangue dei pazienti e, considerato il basso livello di batteriemia nella febbre enterica, questo rappresenta un mezzo promettente per una diagnosi rapida. Nonostante questi nuovi sviluppi, in gran parte dei Paesi in via di sviluppo la pietra angolare della diagnosi rimane la clinica e nelle aree endemiche sono stati valutati diversi algoritmi diagnostici. DIAGNOSI DIFFERENZIALE. Nelle aree endemiche, la febbre tifoide può simulare diverse comuni malattie febbrili senza segni di localizzazione. Nei bambini con sintomi multisistemici, le fasi precoci della febbre enterica possono essere confuse con condizioni alternative come gastroenterite, bronchite o broncopolmonite acute. Successivamente, la diagnosi differenziale comprende malaria, sepsi da altri patogeni batterici, infezioni causate da microrganismi intracellulari come tubercolosi, brucellosi, tularemia, leptospirosi e malattie da rickettsie, e infezioni virali come febbre Dengue, epatite acuta e mononucleosi infettiva. TRATTAMENTO. Sono essenziali una diagnosi precoce di febbre tifoide e l’inizio di un trattamento efficace. La grande maggioranza dei bambini con febbre tifoide può essere trattata a domicilio con antibiotici orali e uno stretto follow-up medico per le complicanze o per la mancata risposta alla terapia. I pazienti con vomito persistente, diarrea severa e distensione addominale possono richiedere l’ospedalizzazione e una terapia antibiotica parenterale. Esistono principi generali di trattamento della febbre tifoide. Per la correzione degli squilibri idroelettrolitici sono importanti un riposo, idratazione e attenzione adeguati. Occorre una terapia antipiretica (paracetamolo 120-750 mg ogni 4-6 ore per os) secondo necessità. Occorre continuare con una dieta a base 180-206ANA.indd 1224 di cibi morbidi e facilmente digeribili a meno che il paziente abbia distensione addominale o un ileo. La terapia antibiotica è essenziale per minimizzare le complicanze (Tab. 195-7). È stato suggerito che la terapia tradizionale con cloramfenicolo o amoxicillina sia associata a tassi di ricadute rispettivamente del 5-15% e del 4-8%, mentre chinolonici e cefalosporine di 3a generazione sono associate a tassi di guarigione più elevati. Il trattamento antibiotico della febbre tifoide nei bambini è influenzato anche dalla prevalenza della resistenza antibiotica. Negli ultimi due decenni, l’emergenza di ceppi multiresistenti di S. typhi (cioè isolati completamente resistenti ad amoxicillina, trimetoprim-sulfametoxazolo e cloramfenicolo) ha reso necessario il trattamento con i fluorochinolonici, che sono gli antibiotici di scelta per la salmonellosi dell’adulto, o con le cefalosporine. L’emergenza di resistenza ai chinolonici ha posto una tremenda pressione sui sistemi sanitari pubblici, in quanto le opzioni terapeutiche sono limitate. Mentre è stato suggerito che, come gli adulti, anche i bambini con febbre tifoide devono essere trattati con i fluorochinolonici, altri hanno messo in discussione questo approccio sulla base dello sviluppo potenziale di ulteriori resistenze ai fluorochinolonici e del fatto che i chinolonici non sono ancora approvati per l’uso corrente nei bambini. Una revisione Cochrane del trattamento della febbre tifoide indica anche che sono disponibili poche evidenze per supportare la somministrazione incondizionata dei fluorochinolonici in tutti i casi di febbre tifoide. Una recidiva con tutti gli antibiotici può verificarsi nel 15% dei pazienti trattati in precedenza. Oltre agli antibiotici, deve essere sottolineata l’importanza del trattamento di supporto e il mantenimento di un adeguato equilibrio idroelettrolitico. Anche se è stato raccomandato un trattamento aggiuntivo con desametasone (3 mg/kg come dose iniziale, seguiti da 1 mg/kg ogni 6 ore per 48 ore) per i pazienti con malattia severa con shock, obnubilamento, stupore o coma, questo deve essere eseguito in condizioni strettamente controllate e sotto supervisione, e i segni di complicanze addominali possono essere mascherati. PROGNOSI. La prognosi di un paziente con febbre enterale dipende dalla rapidità della diagnosi e dall’istituzione di una terapia antibiotica appropriata. Altri fattori sono l’età del paziente, lo stato generale di salute e nutrizione, il sierotipo di Salmonella 23-09-2008 12:38:43 Capitolo 195 ■ Salmonella ■ 1225 TABELLA 195-7. Trattamento della febbre tifoide nei bambini TERAPIA OTTIMALE Dose giornaliera (mg/kg/die) Giorni Antibiotico 50-75 14-21 15 Fluorochinolonico, per es. ofloxacina o ciprofloxacina 5-7* Amoxicillina Fluorochinolonico o cefixima 75-100 15 15-20 14 5-7 7-14 Azitromicina o ceftriaxone 8-10 75 7 10-14 Azitromicina Cefixima Cefixima 7 7-14 7-14 FEBBRE TIFOIDE SEVERA Completamente sensibile Ampicillina 100 14 Multiresistente o ceftriaxone Fluorochinolonico 60-75 15 10-14 10-14 Resistente ai chinolonici Ceftriaxone 60-75 10-14 SENSIBILITÀ Antibiotico FEBBRE TIFOIDE NON COMPLICATA Completamente sensibile Cloramfenicolo Multiresistente Resistente ai chinolonici1 FARMACI ALTERNATIVI EFFICACI Dose giornaliera (mg/kg/die) 8-10 15-20 20 Giorni Fluorochinolonico, per es. 15 ofloxacina o ciprofloxacina 10-14 Ceftriaxone o cefotaxima Fluorochinolonico 10-14 60 80 20-30 14 *È efficace anche un ciclo di 3 giorni, particolarmente per il contenimento delle epidemie. 1 Il trattamento ottimale della febbre tifoide resistente ai chinolonici non è stato determinato. Azitromicina, cefalosporine di 3ª generazione o fluorochinolonici ad alte dosi per 10-14 giorni sono efficaci. Modificata da World Health Organization:Treatment of typhoid fever. Background document: the diagnosis, prevention and treatment of typhoid fever. Communicable Disease Surveillance and Response Vaccines and Biologicals:World Health Organization. Geneva, 2003. pp. 19-23 [disponibile in URL:www.who.int/entity/vaccine_research/documents/en/typhoid_diagnosis.pdf ]. in causa e la comparsa di complicanze. I lattanti e bambini con malnutrizione e quelli con infezione da isolati multiresistenti sono i soggetti a maggior rischio di esiti avversi. Nonostante una terapia appropriata, il 2-4% dei bambini infetti può avere una recidiva dopo una risposta clinica iniziale al trattamento. Gli individui che eliminano la S. typhi per 3 mesi sono considerati portatori cronici. Tuttavia, il rischio di diventare un portatore è basso nei bambini e aumenta con l’età, ma in generale è 2% per tutti i bambini infetti. I bambini con schistosomiasi possono sviluppare uno stato di portatore cronico a livello urinario. PREVENZIONE. Tra i maggiori fattori di rischio per epidemie di febbre tifoide, la contaminazione delle fonti idriche da parte di acque contaminate è il più importante. Pertanto, nel corso delle epidemie è importante l’associazione tra clorazione centrale dell’acqua e purificazione domestica dell’acqua. Nelle situazioni endemiche, il consumo di cibi di strada, specialmente gelati e frutta affettata, è stato riconosciuto come un importante fattore di rischio. Anche la diffusione interumana da parte di portatori cronici è importante e occorre tentare lo screening dello stato di portatore di S. typhi del personale addetto alla manipolazione degli alimenti e dei gruppi ad alto rischio. Una volta identificati, i portatori cronici devono essere istruiti circa il rischio di trasmissione di malattia, sul lavaggio delle mani e sulle strategie di prevenzione. Il classico vaccino a cellule intere inattivato con il calore è associato a un tasso inaccettabilmente elevato di effetti collaterali ed è stato in gran parte ritirato dall’uso. In generale, sono attualmente disponibili 2 vaccini per il possibile uso nei bambini. È stato dimostrato che un vaccino orale vivo attenuato preparato con il ceppo Ty21a della S. typhi ha una buona efficacia (67-82%) fino a 5 anni. Gli effetti collaterali significativi sono rari. Il polisaccaride capsulare Vi può essere utilizzato nei soggetti 2 anni di età. Viene somministrato come dose intramuscolare singola, con un richiamo ogni 2 anni, e ha un’efficacia protettiva del 70-80%. I vaccini sono attualmente raccomandati per chi viaggia in zone endemiche, ma alcuni Paesi hanno introdotto strategie vaccinali su larga scala. Considerato lo spettro d’età e la distribuzione dei casi nell’Asia Meridionale, è importante che siano studiate strategie di vaccinazione dei bambini in età prescolare. Il recente vaccino Vi coniugato si è dimostrato protettivo in più del 90% dei bambini più piccoli e può offrire protezione nelle parti del 180-206ANA.indd 1225 mondo in cui un’ampia percentuale di bambini in età prescolare è a rischio della malattia. Gastroenterite da Salmonella Centers for Disease Control and Prevention: Human salmonellosis associated with animal-derived pet treats–United States and Canada, 2005. MMWR 2006;55:702–705. Centers for Disease Control and Prevention: Outbreak of multidrug-resistant Salmonella typhimurium associated with rodents purchased at retail pet stores–United States, December 2003–October 2004. MMWR 2005;54: 429–434. Centers for Disease Control and Prevention: Multistate outbreak of Salmonella typhimurium infections associated with eating ground beef, United States, 2004. 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Pediatr Infect Dis J 2000;19: 312–318. 23-09-2008 12:38:43 1226 ■ PARTE XVI ■ Malattie infettive Eebbre enterica Bhutta ZA: Current concepts in the diagnosis and treatment of typhoid fever. Br Med J 2006;333:78–82. Chandel DS, Chaudhry R:. Enteric fever treatment failures: A global concern. Emerg Infect Dis 2001;7:762–763. Crump JA, Luby SP, Mintz ED: The global burden of typhoid fever. Bull WHO 2004;82:346–353. Gasem MH, Keuter M, Dolmans WM, et al: Persistence of salmonellae in blood and bone marrow: Randomized controlled trial comparing ciprofloxacin and chloramphenicol treatments against enteric fever. Antimicrob Agents Chemother 2003;47:1727–1731. House D, Bishop A, Parry C, et al: Typhoid fever: pathogenesis and disease. Curr Opin Infect Dis 2001;14:573–578. Huang DB, DuPont HL: Problem pathogens: Extra-intestinal complications of Salmonella enterica serotype Typhi infection. Lancet Infect Dis 2005;5: 341–348. 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Available from www.who.int/entity/vaccine_research/ documents/en/typhoid_diagnosis.pdf Capitolo 196 ■ Shigella Theresa J. Ochoa e Thomas G. Cleary Benché le sindromi dissenteriche siano note da tempo come flagelli per l’umanità, solo nel secolo scorso è stata messa a fuoco la batteriologia della più comune forma di dissenteria epidemica, la shigellosi. EZIOLOGIA. Quattro specie di Shigella sono responsabili di dissenteria bacillare: la S. dysenteriae (sierogruppo A), la S. flexneri (sierogruppo B), la S. boydii (sierogruppo C) e la S. sonnei (sierogruppo D). Vi sono 13 sierotipi nel gruppo A, 6 sierotipi e 15 subsierotipi nel gruppo B, 18 sierotipi nel gruppo C e 1 sierotipo nel gruppo D. La classificazione di specie ha importanti implicazioni terapeutiche in quanto le specie differiscono sia per distribuzione geografica sia per sensibilità agli antibiotici. EPIDEMIOLOGIA. L’infezione da Shigella si verifica più spesso durante i mesi caldi nei climi temperati e durante la stagione delle piogge nei climi tropicali. Entrambi i sessi sono interessati in misura uguale. Anche se l’infezione può verificarsi a qualsiasi età, è più frequente nel 2° e nel 3° anno di vita. Il 70% circa di tutti gli episodi e il 60% di tutti i decessi correlati a infezione da Shigella si verificano in bambini con meno di 5 anni. L’infezione nei primi 6 mesi di vita è rara, per ragioni ancora sconosciute. Il latte materno, che nelle aree endemiche contiene anticorpi anti-antigeni di virulenza codificati da plasmidi e anti-lipopolisaccaride, può parzialmente spiegare l’incidenza correlata all’età. Nelle aree endemiche si verifica comunemente l’infezione asintomatica di bambini e adulti. Nelle società industrializzate, la S. sonnei è la causa più comune di dissenteria bacillare, con la S. flexneri seconda in frequenza; 180-206ANA.indd 1226 nei Paesi in via di sviluppo è più comune la S. flexneri, con la S. sonnei seconda in frequenza. Il sierotipo 1 della S. dysenteriae tende a manifestarsi in epidemie massive, anche se è endemico in Asia e Africa. TRASMISSIONE. Importanti vettori sono gli alimenti contaminati (spesso un’insalata o altri alimenti che richiedono un’importante manipolazione degli ingredienti) e l’acqua contaminata. La trasmissione da persona a persona è probabilmente il meccanismo maggiore di infezione nella maggior parte delle aree del mondo. La rapida diffusione nelle famiglie, nelle istituzioni di custodia e nei centri di child-care dimostra la capacità di bassi numeri di microrganismi di passare da un individuo all’altro. Le shigelle richiedono un inoculo molto basso per causare malattia. L’ingestione anche di soli 10 microrganismi di S. dysenteriae può causare dissenteria in alcuni individui suscettibili, a differenza di microrganismi come il Vibrio cholerae che richiedono l’ingestione di 108-1010 microrganismi per causare malattia. L’effetto inoculo spiega la facilità della trasmissione delle shigelle da persona a persona rispetto al V. cholerae. PATOGENESI. Il tratto basale di virulenza condiviso da tutte le shigelle è la capacità di invadere le cellule epiteliali intestinali. Questa caratteristica è codificata da un plasmide di grandi dimensioni (220 kb) responsabile della sintesi di un gruppo di polipeptidi coinvolti nell’invasione e nel killing cellulare. Le shigelle che perdono il plasmide di virulenza non sono più patogene. I microrganismi dell’Escherichia coli che contengono questo plasmide, le E. coli enteroinvasive (vedi Capitolo 197), si comportano clinicamente come shigelle. Il plasmide di virulenza codifica circa 25 proteine secrete dal sistema di secrezione di tipo III. Tale sistema di secrezione trasloca le molecole effettrici dal citoplasma batterico alla membrana e al citoplasma della cellula ospite. Tra queste proteine secrete, gli antigeni plasmidici di invasione Ipa A, B, C e D sono necessari per l’invasione. Altre proteine (codificate dai geni icsA e sopA) hanno un ruolo nella capacità della Shigella di spostarsi all’interno del citoplasma delle cellule infette e di diffondersi ad altre cellule. Oltre ai principali tratti di virulenza codificati da un plasmide, sono necessari anche fattori codificati da cromosomi per una virulenza piena. Alcune shigelle producono tossine: la tossina Shiga o le enterotossine ShET-1 e ShET-2. La tossina Shiga, una potente esotossina inibente la sintesi proteica, viene prodotta in quantità significative dalla S. dysenteriae sierotipo 1, da certe E. coli produttrici di tossina Shiga (vedi Capitolo 197) e occasionalmente da altri microrganismi. Questa tossina provoca la severa complicanza della sindrome uremico-emolitica. Non è chiaro se la fase della diarrea acquosa è causata da una delle enterotossine; paradossalmente, la delezione di entrambi i geni delle enterotossine (ShET 1 e ShET 2) ha ridotto la frequenza della febbre e della dissenteria nei volontari nel corso degli studi per lo sviluppo del vaccino. I lipopolisaccaridi sono fattori di virulenza per tutte le shigelle; altri tratti sono importanti solo per pochi sierotipi (sintesi della tossina Shiga da parte della S. dysenteriae sierotipo 1 e di ShET-1 da parte della S. flexneri 2a). Le alterazioni patologiche della shigellosi si verificano primariamente nel colon, l’organo bersaglio delle shigelle. Le alterazioni sono più intense nel colon distale, anche se si può verificare una pancolite. Le shigelle attraversano l’epitelio colico attraverso le cellule M dell’epitelio associato ai follicoli al di sopra delle placche di Peyer. Da un punto di vista macroscopico si possono osservare edema localizzato o diffuso della mucosa, ulcerazioni, friabilità della mucosa, emorragie ed essudato. Da un punto di vista microscopico si osservano ulcere, pseudomembrane, morte delle cellule epiteliali, un’infiltrazione estesa dalla mucosa alla muscularis mucosae da parte di cellule polimorfonucleate e mononucleate, ed edema sottomucoso. IMMUNITÀ. IgA secretorie e anticorpi sierici si sviluppano da giorni a settimane dopo l’infezione da Shigella. Sono stati descritti sia anticorpi anti-lipopolisaccaride e anticorpi anti-peptide di virulenza plasmidico; la protezione è specifica per il sierotipo. L’indu- 23-09-2008 12:38:43 Capitolo 196 zione di diverse citochine e di una brusca risposta infiammatoria è seguita dalla guarigione. L’interferone - prodotto dalle cellule natural killer è di importanza essenziale per la resistenza. MANIFESTAZIONI CLINICHE. La dissenteria bacillare è clinicamente simile indipendentemente dal sierotipo infettante; tuttavia esistono alcune differenze cliniche, particolarmente in relazione alla maggiore severità e al maggior rischio di complicanze con l’infezione da S. dysenteriae sierotipo 1. L’ingestione delle shigelle è seguita da un periodo di incubazione che può andare da 12 ore a diversi giorni prima della comparsa dei sintomi. Si verificano caratteristicamente dolore addominale severo, febbre elevata, vomito, anoressia, tossicità generalizzata, urgenza e defecazione dolorosa. A questo punto l’esame obiettivo può mostrare distensione e dolenzia addominale, borborigmi da iperattività intestinale e dolenzia rettale all’esplorazione digitale. La diarrea può essere acquosa e inizialmente di grande volume, evolvendo in frequenti scariche mucoematiche di piccolo volume; la maggior parte dei bambini (50%) non evolve nello stadio della diarrea ematica, mentre in altri le prime feci sono ematiche. Può verificarsi una significativa disidratazione correlata alle perdite idroelettrolitiche causate sia dalle feci sia dal vomito. La diarrea non trattata può durare 1-2 settimane; solo il 10% circa dei pazienti presenta una diarrea che persiste per più di 10 giorni. Una diarrea persistente si verifica nei neonati malnutriti, in quelli con AIDS e occasionalmente in bambini normali. Anche la forma non dissenterica può essere complicata da malattia persistente. I sintomi neurologici sono tra le più comuni manifestazioni extraintestinali della dissenteria bacillare e si verificano anche nel 40% dei bambini infetti ospedalizzati. L’E. coli enteroinvasiva può causare una tossicità neurologica simile. Convulsioni, cefalea, letargia, confusione, rigidità nucale o allucinazioni possono essere presenti prima o dopo l’esordio della diarrea. La causa di questi sintomi neurologici non è nota. In passato, questi sintomi erano attribuiti alla neurotossicità della tossina Shiga, ma è chiaro che questa spiegazione è errata in quanto i microrganismi isolati in bambini con convulsioni correlate alla Shigella non sono di solito produttori di tossina Shiga. Le convulsioni si verificano occasionalmente in presenza di poca febbre, il che suggerisce che la loro comparsa non sia correlata a semplici convulsioni febbrili. Ipocalcemia o iponatremia possono essere associate a convulsioni in un piccolo numero di pazienti. Anche se i sintomi spesso suggeriscono un’infezione del sistema nervoso centrale e può essere presente pleiocitosi del liquido cerebrospinale con minimo aumento della proteinorrachia, la meningite da Shigella è rara. COMPLICANZE. La più comune complicanza della shigellosi è la disidratazione. Un’inappropriata secrezione di ormone antidiuretico associata a iponatremia severa può complicare la dissenteria, particolarmente quando l’agente eziologico è la S. dysenteriae. Possono verificarsi ipoglicemia e un’enteropatia proteino-disperdente. Altre complicanze rilevanti, particolarmente nei bambini malnutriti molto piccoli, comprendono sepsi e coagulazione intravascolare disseminata. Poiché le shigelle penetrano la barriera mucosa intestinale, questi eventi sono sorprendentemente infrequenti. Le shigelle e talvolta altri bacilli enterici Gram-negativi vengono ritrovati nell’emocoltura dell’1-5% dei pazienti in cui si esegue un’emocoltura; dal momento che i pazienti selezionati per l’emocoltura rappresentano un campione influenzato da bias, il rischio di batteriemia in casi non selezionati di shigellosi è probabilmente più basso. La batteriemia è più comune con il sierotipo 1 della S. dysenteriae rispetto ad altre shigelle; in caso di sepsi, il tasso di mortalità è elevato (~20%). La shigellosi neonatale è rara. I neonati possono presentare soltanto una febbre di basso grado con diarrea lieve e non ematica. Tuttavia, le complicanze sono più frequenti che nei bambini più grandi e comprendono setticemia, meningite, disidratazione, perforazione del colon e megacolon tossico. Il sierotipo 1 della S. dysenteriae è comunemente complicato da emolisi, anemia e sindrome uremico-emolitica. Questa sindrome è causata da una lesione endoteliale mediata dalla tossina Shiga; 180-206ANA.indd 1227 ■ Shigella ■ 1227 la sindrome uremico-emolitica è causata anche dall’E. coli produttrice di tossina Shiga (E. coli 0157 : H7, E. coli 0111 : NM, E. coli 026 : H11) (vedi Capitolo 518). Eventi infrequenti sono prolasso rettale, megacolon tossico o colite pseudomembranosa (di solito associata alla S. dysenteriae), epatite colostatica, congiuntivite, irite, ulcere corneali, polmonite, artrite (di solito 2-5 settimane dopo l’enterite), artrite reattiva con uveite, uretrite e rash, cistite, miocardite e vaginite (di solito con perdite vaginali ematiche associate alla S. flexneri). Anche se rare, le complicanze chirurgiche della shigellosi possono essere severe; le più comuni sono l’ostruzione intestinale, l’appendicite e la perforazione. La morte è un esito raro nei bambini più grandi in buone condizioni di nutrizione; malnutrizione, malattia nel primo anno di vita, ipotermia, disidratazione severa, trombocitopenia, iponatremia, insufficienza renale e batteriemia sono comuni nei bambini che muoiono nel corso di una dissenteria bacillare. La rara sindrome caratterizzata da tossicità severa, convulsioni, iperpiressia estrema e cefalea associata a edema cerebrale e a un esito raramente fatale senza sepsi o disidratazione significativa (sindrome di Ekiri o “encefalopatia tossica letale”) non è ancora stata chiarita. DIAGNOSI. Anche se le caratteristiche cliniche suggeriscono una shigellosi, possono non essere sufficientemente specifiche da permettere una diagnosi affidabile. L’infezione da Campylobacter jejuni, Salmonella, E. coli enteroinvasiva, E. coli produttrice di tossina Shiga come E. coli 0157 : H7, Yersinia enterocolitica, Clostridium difficile ed Entamoeba histolytica, come anche la malattia intestinale infiammatoria, possono essere causa di confusione diagnostica. I dati presuntivi che supportano una diagnosi di dissenteria bacillare comprendono il riscontro di leucociti fecali (conferma della presenza di colite), sangue nelle feci e la dimostrazione di leucocitosi nel sangue periferico con un marcato spostamento a sinistra (spesso con più neutrofili a bande che segmentati). La conta leucocitaria totale è solitamente di 5000-15 000 cellule/mm3, anche se si possono osservare leucopenia e reazioni leucemoidi. La coprocoltura e la coltura del tampone rettale ottimizzano la diagnosi delle infezioni da Shigella. I terreni di coltura devono comprendere l’agar di MacConkey come anche terreni selettivi come il desossicolato xilosio-lisina (XLD) e l’agar SS. Occorre utilizzare terreni di trasporto se i campioni non possono essere messi immediatamente in coltura. Per escludere il Campylobacter e altri microrganismi occorre utilizzare terreni appropriati. Lo studio delle epidemie e della malattia in volontari evidenziano come il laboratorio spesso non sia in grado di confermare il sospetto clinico di shigellosi anche quando è presente il patogeno. Anche se sono in corso di sviluppo altri strumenti per migliorare la diagnosi (sonde genetiche), l’inadeguatezza diagnostica delle colture rende necessario che il medico usi il proprio giudizio nel trattamento delle sindromi cliniche compatibili con la shigellosi. Nei bambini con aspetto tossico occorre eseguire un’emocoltura; ciò è particolarmente importante nei bambini più piccoli o nei lattanti malnutriti a causa dell’aumento del rischio di batteriemia in questi casi. TRATTAMENTO. Come nella gastroenterite da altre cause, la prima preoccupazione per un bambino con sospetta shigellosi deve riguardare la terapia sostitutiva di liquidi ed elettroliti e il loro mantenimento (vedi Capitoli 55 e 337). L’alimentazione è un problema chiave nelle aree in cui è comune la malnutrizione. Una dieta iperproteica nel corso della convalescenza migliora la crescita nei successivi 6 mesi. Una singola dose elevata di vitamina A (200 000 UI) riduce la severità della shigellosi nelle aree in cui è comune il deficit di vitamina A. I farmaci che ritardano la motilità intestinale (difenossilato idrocloruro con atropina o la loperamide) non devono essere utilizzati a causa del rischio di prolungare la malattia. Anche se alcuni Autori raccomandano di evitare la terapia antibiotica a causa della natura autolimitata dell’infezione, del costo dei farmaci e del rischio di emergenza di microrganismi 23-09-2008 12:38:43 1228 ■ PARTE XVI ■ Malattie infettive resistenti, esiste una logica persuasiva a favore del trattamento empirico di tutti i bambini in cui vi è un forte sospetto di shigellosi. Anche se non fatale, la malattia non trattata può rendere il bambino severamente compromesso per diverse settimane con diarrea cronica o ricorrente. Durante una malattia prolungata può svilupparsi o aggravarsi una malnutrizione, particolarmente nei bambini nei Paesi in via di sviluppo. Il rischio di un’eliminazione continuativa e della successiva infezione dei contatti familiari è un ulteriore argomento contro la strategia di non effettuare una terapia antibiotica. Esistono molte variazioni geografiche della sensibilità agli antibiotici delle shigelle. Negli Stati Uniti, le shigelle sono così frequentemente resistenti all’ampicillina che questo antibiotico non è appropriato per la terapia empirica. Tuttavia, l’ampicillina per os (100 mg/kg/die suddivisi in 4 dosi giornaliere per os) può essere utilizzata se è noto che il ceppo in questione è sensibile. L’amoxicillina, a causa del migliore assorbimento gastrointestinale, è meno efficace dell’ampicillina per il trattamento dei ceppi sensibili all’ampicillina. Negli Stati Uniti, i ceppi sono comunemente resistenti al trimetoprim-sulfametoxazolo, rendendo questo farmaco una scelta empirica inadeguata. Per la terapia empirica può essere utilizzato il ceftriaxone (50 mg/kg/die in dose singola giornaliera ev o im). Le cefalosporine orali di 1a e 2a generazione sono inadeguate come farmaci alternativi nonostante la sensibilità in vitro. Anche l’acido nalidixico (55 mg/kg/die suddivisi in 4 dosi giornaliere per os), dove disponibile, è un farmaco alternativo accettabile. L’azitromicina (12 mg/kg/die per os per il 1° giorno seguiti da 6 mg/kg/die per i successivi 4 giorni) si è dimostrata un’alternativa efficace per la shigellosi. I chinolonici come ciprofloxacina, norfloxacina o ofloxacina, che sono stati raccomandati nei soggetti con 18 anni di età, non sono usati routinariamente nei bambini a causa del possibile rischio di artropatia. L’uso di questi farmaci è riservato ai bambini con malattia severa con dissenteria bacillare causata da un microrganismo di cui si sospetta o è nota la resistenza ad altri antibiotici. Il trattamento consiste caratteristicamente in un ciclo di 5 giorni. Lo zinco (20 mg/die per 14 giorni) migliora la risposta immunitaria all’infezione da Shigella, almeno nelle situazioni in cui è comune la malnutrizione. Deve probabilmente essere compreso nella terapia dei pazienti dissenterici che si trovano in queste situazioni. Il trattamento dei pazienti in cui si sospetta su base clinica un’infezione da Shigella deve essere iniziato alla prima valutazione. Si esegue una coprocoltura per escludere altri patogeni e come ausilio alla variazione della terapia antibiotica se un bambino non risponde alla terapia empirica. Un bambino con dissenteria tipica e che risponde al trattamento antibiotico empirico iniziale deve continuare con quel determinato antibiotico per un ciclo completo di 5 giorni, anche se la coprocoltura è negativa. La logica di questa raccomandazione si basa sulla difficoltà di coltivare la Shigella dalle feci. In un bambino che non risponde alla terapia di una sindrome dissenterica in presenza di una coprocoltura iniziale negativa, occorre eseguire nuove coprocolture e rivalutare il bambino per altre possibili diagnosi. PREVENZIONE. Due semplici misure riducono il rischio di shigellosi nel bambino. La prima è quella di incoraggiare un allattamento al seno prolungato nei lattanti. L’allattamento al seno riduce il rischio di shigellosi sintomatica e ne riduce la severità nei lattanti che contraggono l’infezione nonostante l’allattamento al seno. La 2a misura è quella di educare le famiglie e il personale delle scuole materne alle tecniche di lavaggio delle mani, specialmente dopo la defecazione e prima della preparazione e del consumo degli alimenti. Ashkenazi S: Shigella infections in children: New insights. Semin Pediatr Infect Dis 2004;5:246–252. Kotloff KL, Pasetti MF, Barry EM, et al: Deletion in the Shigella enterotoxin genes further attenuates Shigella flexneri 2a bearing guanine auxotrophy in a phase I trial of CVD 1204 and CVD 1208. J Infect Dis 2004;190: 1745–1754. 180-206ANA.indd 1228 Miron D, Torem M, Merom R, Colodner R: Azithromycin as an alternative to nalidixic acid in the therapy of childhood shigellosis. Pediatr Infect Dis J 2004;23:367–368. Munoz C, Baqar S, van de Verg L, et al: Characteristics of Shigella sonnei infection of volunteers: Signs, symptoms, immune responses, changes in selected cytokines and acute-phase substances. Am J Trop Med Hyg 1995;53:47–54. Rahman MJ, Sarker P, Roy SK, et al: Effect of zinc supplementation as adjunct therapy on the systemic immune response in shigellosis. Am J Clin Nutr 2005;81:495–502. Replogle ML, Fleming DW, Cieslak PR: Emergence of antimicrobial-resistant shigellosis in Oregon. Clin Infect Dis 2000;30:515–519. Capitolo 197 ■ Escherichia coli Theresa J. Ochoa e Thomas G. Cleary I microrganismi dell’Escherichia coli rappresentano una causa importante di infezioni enteriche, come anche di infezioni delle vie urinarie (vedi Capitolo 538), sepsi e meningite del neonato (vedi Capitolo 109) e di batteriemia e sepsi in pazienti immunocompromessi (vedi Capitolo 177) e in pazienti con dispositivi intravascolari (vedi Capitolo 178). Le specie dell’E. coli appartengono alla famiglia delle Enterobacteriaceae e sono bacilli Gram-negativi aerobi facoltativi che di solito fermentano il lattosio. La maggior parte delle E. coli fecali sono non patogene. Tuttavia, sono stati caratterizzati 5 gruppi principali di E. coli diarrogeni sulla base di criteri clinici, biochimici e genetico-molecolari: (1) E. coli enterotossigena (ETEC), (2) E. coli enteroinvasiva (EIEC); (3) E. coli enteropatogena (EPEC); (4) E. coli produttrice di tossina Shiga (STEC), nota anche come E. coli enteroemorragica (EHEC) o E. coli produttrice di verotossina (VTEC); e (5) E. coli enteroaggregante (EAEC). Esistono altri gruppi di E. coli che probabilmente causano diarrea ma con combinazioni di geni di virulenza che non si adattano facilmente al sistema classificativo delineato in precedenza. Sono necessarie altre evidenze di patogenicità prima di essere accettati come davvero patogeni. Un altro gruppo che probabilmente riceverà lo status di patogeno riconosciuto è l’E. coli diffusamente aderente (DAEC) che viene definito in base all’aderenza alle cellule HEp2 e alla presenza di geni specifici. Dal momento che i microrganismi dell’E. coli fanno parte della flora fecale normale, la dimostrazione delle caratteristiche di virulenza è il modo usuale con cui si definiscono i microrganismi di E. coli diarrogeni. Il meccanismo attraverso il quale l’E. coli produce diarrea implica tipicamente l’aderenza dei microrganismi a un recettore glicoproteico o glicolipidico, seguita dalla produzione di una sostanza tossica che danneggia le cellule intestinali o ne altera la funzione. I geni delle proprietà di virulenza e della resistenza antibiotica sono spesso trasportati da plasmidi trasferibili, isole di patogenicità o batteriofagi. Nei Paesi in via di sviluppo, i vari sierogruppi diarrogeni di E. coli provocano frequenti infezioni nei primi anni di vita. Essi si presentano con aumentata frequenza nei mesi caldi nei climi temperati e nella stagione delle piogge nei climi tropicali. La maggior parte dei ceppi di E. coli (eccetto gli STEC e forse alcuni EPEC) richiede un grosso inoculo per indurre la malattia. L’infezione è più probabile quando le pratiche di manipolazione degli alimenti o di eliminazione delle acque nere non sono ottimali. I microrganismi di E. coli diarrogeni sono importanti anche in Nord America e in Europa, anche se la loro epidemiologia è meno ben definita che nei Paesi in via di sviluppo. Dati recenti del Nord America suggeriscono che i vari microrganismi di E. coli diarrogeni possono essere la causa anche del 30% dei casi di diarrea infettiva nei bambini 5 anni di età. EPIDEMIOLOGIA, PATOGENESI E MANIFESTAZIONI CLINICHE. I 5 gruppi principali di E. coli diarrogena si distinguono in base a differenti meccanismi fisiopatologici di diarrea (Tab. 197-1). 23-09-2008 12:38:43 Capitolo 197 ■ Escherichia coli ■ 1229 TABELLA 197-1. Caratteristiche cliniche, patogenesi e diagnosi dell’Escherichia coli diarrogena ETEC POPOLAZIONI A RISCHIO 1 anno e viaggiatori Acquosa +++ CARATTERISTICHE DELLA DIARREA Ematica Durata Acuta EIEC 1 anno + ++Dissenteria con febbre Acuta EPEC 2 anni, specialmente lattanti 6 +++ - Acuta o persistente STEC mesi Da 6 mesi a 10 anni e negli anziani + +++ Acuta +++ Colite emorragica afebbrile, sindrome uremico-emolitica - Acuta o persistente EAEC 1 anno e viaggiatori PRINCIPALI FATTORI DI VIRULENZA Fattori di aderenza Tossine Antigeni del fattore di Enterotossina termolabile (LT) colonizzazione (CFA I, II, IV) Enterotossina termostabile Antigene plasmidico di Enterotossine di Shigella invasività (IpaABCD) Lesione A/E, intimina/Tir, EspF EspABD BFP Lesione A/E Tossine Shiga (Stx1, Stx2 e varianti di Stx2) DIAGNOSI Geni target per la PCR LT, ST Fimbria di aderenza aggregante (AAF) AggR o plasmide AA ShET1, EAST1, Pet IpaH o IAL Eae, BfpA Eae, Stx1, Stx2 EAEC, E. coli enteroaggregante; EIEC, E. coli enteroinvasiva; EPEC, E. coli enteropatogena; ETEC, E. coli enterotossigena; PCR, reazione a catena della polimerasi; STEC, E. coli produttrice di tossina Shiga. E. coli enterotossigena. I microrganismi ETEC sono una causa maggiore di diarrea disidratante infantile nei Paesi in via di sviluppo e anche importanti agenti della diarrea del viaggiatore. I segni e sintomi tipici comprendono una diarrea acquosa esplosiva, non mucosa e non ematica, dolore addominale, nausea, vomito e una febbre assente o minima. La malattia di solito si autolimita a 3-5 giorni, ma occasionalmente può durare 1 settimana. I microrganismi ETEC comprendono almeno il 20-30% degli episodi di diarrea nei Paesi in via di sviluppo. I microrganismi ETEC non provocano o provocano in misura minima alterazioni strutturali della mucosa intestinale. La diarrea è causata dalla colonizzazione dell’intestino tenue e dalla successiva elaborazione di enterotossine. I ceppi ETEC secernono un’enterotossina termolabile (LT) o un’enterotossina termostabile (ST); alcuni ceppi secernono sia una ST sia una LT. La LT, una grossa molecola consistente in 5 subunità che si legano a recettori (B) e in 1 unità enzimaticamente attiva (A), è strutturalmente, funzionalmente e immunologicamente correlata alla tossina colerica prodotta dal Vibrio cholerae. La LT stimola l’adenilato ciclasi con un aumento dell’adenosina monofosfato ciclico. La ST è una piccola molecola non correlata alla LT o alla tossina del colera. La ST stimola la guanilato ciclasi con un aumento della guanosina monofosfato ciclico. Un’elevata percentuale di ceppi ETEC produce anche la EAST1, una tossina termostabile simile alla ST, che è stata in origine identificata nei ceppi EAEC. La colonizzazione dell’intestino richiede i fattori antigenici di colonizzazione (CFA), o fimbrie, che favoriscono l’aderenza all’epitelio intestinale. I principali fattori di colonizzazione sono CFA/1, CFA/II e CFA/IV. I CFA sono composti da distinti antigeni di superficie di E. coli (CS), espressi in combinazioni differenti. Un’elevata percentuale di ceppi ETEC produce una fimbria di tipo IV denominata longa, che funziona come fattore di colonizzazione e si trova in diversi patogeni batterici Gram-negativi. Il legame della proteina d’invasione enterotossigena A (Tia), una proteina di membrana esterna da 25 kd, alle cellule epiteliali ospiti è mediato almeno in parte dai proteoglicani a base di eparansolfato; i microrganismi ETEC fanno parte della crescente lista di patogeni che usano i glicoconiugati della superficie cellulare come recettori. Dei 180 sierogruppi di E. coli, tipicamente soltanto un numero relativamente piccolo è costituito da ETEC. Questi sierogruppi (06, 08, 015, 020, 025, 027, 063, 078, 080, 085, 0115, 0128ac [ma non i sottogruppi 0128ab o 0128ad], 0139, 0148, 0153, 0159 e 0167) sono generalmente diversi da quelli osservati in altre E. coli associate a diarrea. E. coli enteroinvasiva. Le infezioni da EIEC si presentano clinicamente con diarrea acquosa o sotto forma di sindrome dissenterica, che si manifesta con sangue, muco e leucociti nelle feci, con febbre, tossicità sistemica, dolori addominali crampiformi, tenesmo e urgenza. Queste infezioni sono simili alla dissenteria 180-206ANA.indd 1229 bacillare in quanto condividono geni di virulenza con la Shigella. I microrganismi EIEC sono stati descritti per lo più in ambito epidemico; tuttavia, la malattia endemica si verifica in Paesi in via di sviluppo dove questi batteri possono essere isolati con frequenza relativamente elevata. Nei Paesi in via di sviluppo, almeno il 5% degli episodi diarroici sporadici e il 20% dei casi di diarrea ematica possono essere causati da ceppi EIEC. I microrganismi EIEC causano lesioni del colon con ulcerazioni, emorragie, edema mucoso e sottomucoso e infiltrato polimorfonucleato. I ceppi EIEC si comportano come shigelle per la loro capacità di invadere l’epitelio intestinale e produrre una malattia simil-dissenterica. Il processo invasivo comprende (1) entrata iniziale nelle cellule, (2) moltiplicazione intracellulare, (3) diffusione intra- e intercellulare e (4) morte della cellula ospite. Tutti i geni batterici necessari per l’entrata nella cellula ospite sono raggruppati in una regione da 30 kb di un plasmide di virulenza di grandi dimensioni, che si trova anche nella Shigella. Questa regione contiene geni che codificano proteine che formano un apparato di secrezione di tipo III necessario per la secrezione delle invasine (IpaA-D e IpgD). L’IpaB e l’IpaC sono state identificate come le principali proteine effettrici dell’invasione della cellula epiteliale. L’apparato di secrezione di tipo III si trova in molti altri batteri Gram-negativi patogeni. Si tratta di un sistema attivato dal contatto con le cellule ospiti che i batteri utilizzano per trasportare le proteine dal loro citoplasma nella membrana plasmatica e nel citoplasma della cellula ospite. I microrganismi EIEC comprendono un piccolo numero di sierogruppi (028ac, 029, 0124, 0136, 0143, 0144, 0152, 0164, 0167 e certi ceppi non tipizzabili). Questi sierogruppi possiedono antigeni lipopolisaccaridici (LPS) correlati al LPS della Shigella e, come le shigelle, sono immobili (mancano degli antigeni H o flagellari) e di solito non fermentano il lattosio. E. coli enteropatogena. I microrganismi EPEC sono una causa maggiore di diarrea acuta e persistente dei bambini nei Paesi in via di sviluppo, soprattutto nei bambini con meno di 2 anni di età. Nei Paesi sviluppati, i microrganismi EPEC sono responsabili di epidemie occasionali negli asili e nei reparti pediatrici. I microrganismi EPEC causano generalmente una malattia acuta o protratta. Oltre a diarrea acquosa e non ematica con muco, sono sintomi comuni vomito e febbre di basso grado. Una diarrea persistente (14 giorni) può causare malnutrizione; si tratta di un esito importante dell’infezione da EPEC nei bambini dei Paesi in via di sviluppo. Diversi studi hanno dimostrato che l’allattamento al seno è protettivo per la diarrea da EPEC. La colonizzazione da EPEC causa accorciamento dei villi, alterazioni infiammatorie e sfaldamento delle cellule superficiali della mucosa; queste lesioni si trovano dal duodeno fino al colon. I microrganismi EPEC inducono una caratteristica lesione da adesione e obliterazione (Attaching and Effacing, A/E) che è definita dall’adesione intima dei batteri alla superficie epiteliale 23-09-2008 12:38:43 1230 ■ PARTE XVI ■ Malattie infettive e dall’obliterazione dei microvilli della cellula ospite. I fattori responsabili della formazione della lesione A/E sono codificati dal locus della cancellazione degli enterociti (LEE), un’isola di patogenicità che contiene i geni (1) del sistema di secrezione di tipo III, (2) del recettore traslocato dell’intimina (Tir) e dell’intimina e (3) di proteine effettrici come le proteine secrete dall’E. coli (EspA-B-D). La patogenesi degli EPEC comprende diversi stadi. L’aderenza iniziale dei batteri all’epitelio intestinale dell’ospite in un pattern noto come aderenza localizzata è mediata in parte dal pilus bundle-forming di tipo IV (BFP) codificato su un plasmide (plasmide EAF). Successivamente, le proteine batteriche vengono traslocate attraverso un sistema di secrezione di tipo III needle complex. Le appendici filamentose composte di EspA formano un ponte fisico tra i batteri e la cellula ospite per la traslocazione di effettori batterici (EspB, EspD, Tir). EspB e EspD formano pori nella membrana cellulare dell’ospite. Attraverso questo condotto il Tir viene iniettato nelle cellule ospiti. Il Tir si sposta quindi sulla superficie delle cellule ospiti dove è legato dalla proteina intimina della membrana batterica esterna codificata dal gene eae. Il legame intimina-Tir attiva la polimerizzazione dell’actina e di altre componenti del citoscheletro a livello del sito di adesione. Il risultato di queste alterazioni citoscheletriche è una stretta adesione batterica alla cellula ospite, l’obliterazione degli enterociti e la formazione di un piedistallo. Altri effettori batterici comprendono una proteina associata ai mitocondri (Map) con potenziale attività di rottura di membrana e dell’EspF, una proteina che altera la funzione della barriera intestinale e induce la morte della cellula ospite. Alcuni sierogruppi sono associati a un’adesione localizzata e sono positivi alla sonda EAF (055, 086, 0111, 0119, 0125, 0126, 0127, 0128ab e 0142), mentre altri (EPEC atipici) sono non adesivi o diffusamente adesivi alle cellule Hep-2 e sono di solito negativi alla sonda EAF (018, 044, 0112 e 0114). Vi sono ulteriori evidenze che i microrganismi EPEC con adesività localizzata sono veri enteropatogeni, anche se, come notato in precedenza, è sempre più provato che almeno alcuni dei microrganismi EPEC atipici sono anche patogeni. E. coli produttrice di tossina Shiga. È stato dimostrato che i microrganismi STEC sono causa di un ampio spettro di patologie. Le infezioni da STEC possono essere asintomatiche. I pazienti sviluppano sintomi intestinali che variano da una diarrea lieve a una colite emorragica severa. La malattia gastrointestinale è caratterizzata da dolore addominale con diarrea inizialmente acquosa ma che entro pochi giorni diviene mista a sangue o grossolanamente ematica. Anche se questo pattern somiglia a quello della shigellosi o della malattia da EIEC, esso ne differisce in quanto la febbre è una manifestazione non comune. La maggior parte degli individui con infezione da STEC guarisce senza ulteriori complicanze. Tuttavia, il 5-10% dei bambini entro pochi giorni progredisce sviluppando complicanze sistemiche come la sindrome uremico-emolitica (HUS), caratterizzata da insufficienza renale acuta, trombocitopenia e anemia emolitica (vedi Capitolo 518). I bambini molto piccoli non sono un gruppo bersaglio delle infezioni da STEC; piuttosto, una malattia severa e con complicanze si verifica più spesso nei bambini da 6 mesi a 10 anni di età. I bambini più grandi possono sviluppare anche una HUS o una porpora trombocitopenica trombotica. I microrganismi STEC sono trasmessi da persona a persona come anche da acqua e alimenti; l’ingestione di un piccolo numero di questi microrganismi è sufficiente per causare la malattia. Gli hamburger poco cotti sono una causa comune di epidemie trasmesse dagli alimenti, anche se sono stati incriminati molti altri alimenti (sidro di mele, lattuga, maionese, salame, salsicce secche fermentate, prodotti lattiero-caseari non pastorizzati). La maggior parte delle epidemie di diarrea da STEC nell’emisfero settentrionale è stata attribuita a ceppi del sierotipo 0157 : H7, e molti altri sierotipi sono stati associati a epidemie e casi sporadici di malattia severa. I microrganismi STEC interessano in modo più severo il colon. Essi aderiscono alle cellule intestinali e la maggior parte dei ceppi che infetta gli esseri umani produce lesioni da adesione-oblitera- 180-206ANA.indd 1230 zione simili a quelle che si osservano con gli EPEC. La maggior parte dei ceppi EPEC è inoltre portatrice di un plasmide di grosse dimensioni che codifica proteine come l’enteroemolisina (EhyA), una serina proteasi extracellulare (EspP) e un’adesina autoagglutinante degli STEC (Saa), che possono essere fattori di virulenza accessori. Questi microrganismi provocano edema, depositi di fibrina, emorragie a livello sottomucoso, ulcerazioni mucose, infiltrazioni neutrofile e trombi microvascolari. Può essere osservata una colite pseudomembranosa. Le tossine Shiga sono considerate il fattore chiave di virulenza degli STEC. Esistono 2 tipi principali di tossina: Stx1 e Atx2. Alcuni microrganismi STEC producono soltanto Stx1 e altri soltanto Stx2, ma la maggior parte dei microrganismi STEC produce entrambe le tossine. Esistono ceppi che producono diverse varianti della tossina. Stx1 è essenzialmente identica alla tossina Shiga, l’esotossina che inibisce la sintesi proteica del sierotipo 1 della Shigella dysenteriae, mentre Stx2 e le varianti di Stx2 sono correlate in modo più distante. Ogni tossina è composta di una singola subunità A associata in modo non covalente con un pentamero composto da subunità B identiche. Le subunità B si legano alla globotriaosilceramide (GB3), un recettore glicosfingolipidico delle cellule ospiti. La subunità A viene captata per endocitosi. Il bersaglio della tossina è l’RNA ricombinante 28S, che viene depurinato dalla tossina a livello di uno specifico residuo adeninico, causando l’interruzione della sintesi proteica e la morte delle cellule interessate. Queste tossine sono trasportate su batteriofagi normalmente inattivi quando vengono inseriti nel cromosoma batterico; quando i fagi sono indotti alla replicazione (per es. dallo stress indotto da molti antibiotici), essi causano lisi dei batteri e rilascio di grandi quantità di tossina. La tossina entra nella circolazione sistemica dopo traslocazione attraverso l’epitelio intestinale e danneggia le cellule endoteliali vascolari. Ciò provoca l’attivazione della cascata della coagulazione, la formazione di microtrombi, emolisi intravascolare e ischemia. I microrganismi STEC inducono le citochine proinfiammatorie. L’esito clinico dell’infezione da STEC dipende dal genotipo stx del ceppo infettante. Il genotipo Stx2 è associato a un rischio più elevato di causare la sindrome uremico-emolitica. I più comuni sierotipi STEC sono E. coli O157 : H7, E. coli 0111 : NM ed E. coli 026 : H11, anche se sono stati descritte diverse centinaia di altri sierotipi STEC. E. coli enteroaggregante. I microrganismi EAEC sono associati a diarrea pediatrica acuta e persistente nei Paesi in via di sviluppo, soprattutto nei bambini 12 mesi di età. I microrganismi EAEC sono agenti eziologici nella diarrea cronica associata all’AIDS e della diarrea del viaggiatore. La tipica malattia da EAEC si manifesta con diarrea secretiva mucosa e acquosa con febbre di basso grado e vomito assente o minimo. Un terzo dei pazienti presenta feci grossolanamente ematiche. La diarrea acquosa può persistere per settimane. I microrganismi EAEC sono stati associati a ritardo di crescita dei lattanti e a malnutrizione nei Paesi in via di sviluppo. I microrganismi EAEC formano un caratteristico biofilm mucoso sulla mucosa intestinale e inducono accorciamento dei villi, necrosi emorragica e risposte infiammatorie. Il modello proposto della patogenesi delle infezioni da EAEC comprende 3 fasi: adesione alla mucosa intestinale per mezzo di fimbrie di adesione aggreganti (AAF), aumento della produzione di muco e produzione di tossine e infiammazione che provocano un danno della mucosa e secrezione intestinale. La diarrea causata dagli EAEC è soprattutto secretiva. La risposta infiammatoria intestinale (aumento della lattoferrina fecale, dell’interleuchina 8 [IL-8] e IL-1) può essere correlata a deficit di accrescimento e malnutrizione. I fattori di virulenza putativi degli EAEC comprendono le fimbrie di adesione aggreganti (AAF-I, AAF-II e AAF-III), le emolisine, diverse proteine di membrana esterne e proteine secretorie (dispersina) e diverse tossine: una tossina oligomerica nota come enterotossina di Shigella 1 (ShET1); una tossina termostabile 1 dell’E. coli enteroaggregante (EAST1), omologa rispetto alla tossina termostabile 1 dell’E. coli enterotossigena, e una tossina autotrasportante nota come Pet. Un attivatore trascrizionale noto come AggR controlla l’espressione dei fattori di virulenza traspor- 23-09-2008 12:38:43 Capitolo 198 tati da plasmidi e cromosomi. L’identificazione di AggR o dei membri del regulone AggR può identificare i tipici ceppi patogeni EAEC. I ceppi di E. coli classificati come EAEC appartengono a un diverso range e a una diversa combinazione di sierotipi O e H. La definizione di questi patogeni è in corso. I criteri diagnostici originali (pattern di adesione cellulare HEp2) identificano molti ceppi che probabilmente non sono veri patogeni; i criteri genetici sembrano definire in modo più affidabile i veri patogeni. DIAGNOSI. È raro che le caratteristiche cliniche della malattia siano sufficientemente distintive da permettere una diagnosi affidabile e gli esami di laboratorio di routine sono di valore molto limitato. La diagnosi dipende attualmente in primo luogo da esami di laboratorio che non sono facilmente disponibili. Soprattutto per gli STEC sono stati sviluppati metodi pratici non dipendenti dal DNA per la diagnosi di routine dell’E. coli non diarrogena. La presenza del sierotipo O157 : H7 è suggerita dall’isolamento di un’E. coli che non fermenta il sorbitolo nel terreno al sorbitolo di McConkey; l’agglutinazione su lattice conferma che il microrganismo contiene LPS O157. Altri microrganismi STEC possono essere identificati routinariamente nei laboratori ospedalieri per mezzo di test immunoenzimatici commerciali o agglutinazione su lattice per l’identificazione delle tossine Shiga. La diagnosi di altre infezioni da E. coli diarrogena si basa tipicamente sulla coltura tissutale (per es. test su cellule HEp2 per EPEC e EAEC) o sull’identificazione di specifici fattori di virulenza dei batteri in base al fenotipo (tossina) o al genotipo. I migliori esami diagnostici sono quelli che fanno uso di sonde DNA per i geni che codificano i diversi tratti di virulenza, ma sono disponibili attualmente solo a scopo di ricerca. Pertanto, occorre inviare i campioni sospetti a laboratori di riferimento o di ricerca per la valutazione definitiva. Raramente è necessario un procedimento di questo tipo, ma può essere utile per la diagnosi corretta quando un bambino presenta complicanze severe o potenzialmente fatali, una diarrea persistente o per lo studio di un’epidemia. La reazione a catena polimerasica e le sonde DNA per i geni che codificano i vari fattori di virulenza sono ora disponibili per la maggior parte dei ceppi di E. coli diarrogena. I target tipici comprendono la LT e la ST degli ETEC, IpaH o IaL per l’EIEC, Eae e BfpA per l’EPEC, Eae, Stx1 e Stx2 per lo STEC e AggR o il plasmide AA per l’EAEC. Altri dati di laboratorio sono al massimo indicatori non specifici dell’eziologia. L’esame dei leucociti fecali nelle feci è frequentemente positivo con l’EIEC ma negativo con altre E. coli non diarrogene. Con i ceppi EIEC e STEC vi può essere un aumento della conta leucocitaria polimorfonucleata con spostamento a sinistra. Lattoferrina fecale, IL-8 e IL-1 possono essere utilizzate come marker infiammatori. Le alterazioni elettrolitiche sono non specifiche e riflettono soltanto la perdita di liquidi. TRATTAMENTO. La pietra angolare del trattamento è un’appropriata terapia sostitutiva di liquidi ed elettroliti (vedi Capitoli 55 e 337). In generale, questa terapia deve comprendere la sostituzione di liquidi ed elettroliti per via orale e il loro mantenimento con soluzioni reidratanti come quelle specificate dall’OMS. Sono alternative accettabili anche altre soluzioni per la reidratazione orale facilmente disponibili. Dopo la rialimentazione, è appropriata la supplementazione continua con liquidi per la reidratazione orale per prevenire le recidive della disidratazione. Deve essere incoraggiata la rialimentazione precoce (entro 8-12 ore dall’inizio della reidratazione) con latte materno o latte formulato. Una prolungata sospensione dell’alimentazione causa frequentemente diarrea cronica e malnutrizione. Una terapia antibiotica specifica per l’E. coli diarrogena è problematica a causa della difficoltà di una diagnosi accurata di questi patogeni e dell’imprevedibilità della sensibilità agli antibiotici. I microrganismi ETEC rispondono ad agenti antimicrobici come trimetoprim-sulfametoxazolo (TMP-SMZ) quando sono presenti ceppi di E. coli sensibili. Tuttavia, ad eccezione dei bambini di ritorno da un viaggio recente in un Paese in via di sviluppo, il trattamento antibiotico empirico della diarrea acquosa severa è raramente appropriato. Le infezioni da EIEC possono essere trat- 180-206ANA.indd 1231 ■ Colera (Vibrio cholerae) ■ 1231 tate prima della disponibilità dei risultati della coltura, in quanto il medico potrebbe sospettare una shigellosi e iniziare una terapia empirica. Se i microrganismi sono sensibili, una scelta appropriata è il TMP-SMZ. Anche se il trattamento delle infezioni da EPEC con TMP-SMZ IV o per via orale per 5 giorni è efficace nell’accelerare la risoluzione, la mancanza di un test diagnostico rapido rende difficili le decisioni rispetto al trattamento. Ciprofloxacina o rifaximina sono utili nella diarrea del viaggiatore da EAEC; i dati pediatrici sono scarsi. I microrganismi STEC rappresentano un dilemma terapeutico particolarmente difficile; il trattamento antibiotico può indurre la produzione di tossine e una lisi batterica mediata da fagi con rilascio di tossine. I dati attualmente disponibili suggeriscono che non si devono usare antibiotici nelle infezioni da STEC in quanto essi possono aumentare il rischio di sindrome uremico-emolitica (vedi Capitolo 518). PREVENZIONE. Nei Paesi in via di sviluppo, la migliore prevenzione della malattia causata da E. coli diarrogena è probabilmente il mantenimento di un allattamento al seno prolungato, con particolare attenzione all’igiene personale e seguendo procedure appropriate per la manipolazione di alimenti e acqua. Le persone che viaggiano in questi Paesi possono proteggersi nel modo migliore consumando solo acqua trattata, bevande in bottiglia, pane, succhi di frutta, frutta che può essere sbucciata o alimenti che vengono serviti caldi e “fumanti”. La profilassi antibiotica, anche se efficace per i viaggiatori adulti, non è stata studiata nei bambini e non è raccomandata. Le misure di salute pubblica, compresi lo smaltimento delle acque nere e le pratiche corrette di manipolazione degli alimenti, hanno reso relativamente infrequenti i patogeni che richiedono un grosso inoculo per causare la malattia. Epidemie da STEC attraverso gli alimenti sono un problema per il quale non è stata trovata una soluzione adeguata. Durante un’occasionale epidemia ospedaliera di malattia da EPEC, può rivelarsi essenziale una particolare attenzione all’isolamento dei pazienti interessati e alle precauzioni di isolamento enterale. La natura dell’immunità protettiva non è del tutto chiara e non sono disponibili vaccini per uso clinico. Esistono diversi vaccini in corso di studio basati su tossine batteriche o fattori di colonizzazione. Chen HD, Frankel G: Enteropathogenic Escherichia coli: Unraveling pathogenesis. FEMS Microbiol Rev 2005;29:83–98. Cohen MB, Nataro JP, Bernstein DI, et al: Prevalence of diarrheagenic E. coli in acute childhood enteritis; a prospective controlled study. J Pediatr 2005;146:54–61. Donnenberg MS, Whittam TS: Pathogenesis and evolution of virulence in enteropathogenic and enterohemorrhagic Escherichia coli. J Clin Invest 2001;107:539–548. Knutton S, Shaw R, Phillips Ad, et al: Phenotypic and genetic analysis of diarrhea-associated E. coli isolated from children in the United Kingdom. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2001;33:32–46. Nataro JP: Enteroaggregative Escherichia coli pathogenesis. Curr Opin Gastroenterol 2005;21:4–8. Nataro JP, Kaper JB: Diarrheagenic Escherichia coli. Clin Microbiol Rev 1998;11:142–201. Robins-Browne RM, Hartland EL: Escherichia coli as a cause of diarrhea. J Gastroenterol Hepatol 2002;17:467–475. Capitolo 198 ■ Colera (Vibrio cholerae) Jacqueline L. Deen Il colera è una malattia diarroica temibile a causa della sua severità e della potenzialità epidemica. La malattia rimane un problema rilevante in molti Paesi sottosviluppati che non posso- 23-09-2008 12:38:44 1232 ■ PARTE XVI ■ Malattie infettive no permettersi di stabilire o mantenere infrastrutture essenziali per la fornitura di acqua purificata e lo smaltimento delle acque nere. La malattia stagionale si verifica nelle situazioni di endemia caratterizzate da scarsità di risorse, mentre le epidemie si verificano nel corso dei disastri naturali e delle emergenze complesse con mortalità e danni economici significativi. EZIOLOGIA. Il Vibrio cholerae è un bacillo aerobico Gram-negativo dalla forma leggermente ricurva (1,5-3 0,5 m) con un flagello polare. La sua struttura antigenica consiste in un antigene H flagellare e un antigene somatico. La differenziazione dell’antigene O consente l’identificazione dei sierogruppi noti come causa del colera, i V. cholerae O1 e O139. Sulla base delle caratteristiche fenotipiche, il V. cholerae O1 è suddiviso in 2 biotipi, classico ed El Tor. Il V. cholerae O1 El Tor è attualmente il ceppo dominante. Il biotipo classico è considerato estinto, anche se ibridi genetici dei biotipi di V. cholerae O1 classico ed El Tor sono stati riportati in isolati dal Bangladesh e dal Mozambico. I microrganismi di entrambi i biotipi sono ulteriormente classificati in base alla presenza di antigeni somatici in 2 sierotipi principali, Inaba e Ogawa, e in un tipo intermedio instabile, Hikojima. Ceppi di V. cholerae appartenenti a sierogruppi diversi da O1 e O139 sono stati imputati come agenti causali di gastroenterite non colerica, talvolta con manifestazioni extraintestinali ma senza potenzialità epidemiche. EPIDEMIOLOGIA. Il colera è una malattia nota da lungo tempo, con casi osservati nei delta dei fiumi Brahmaputra e Gange almeno 1000 anni fa. Le prime 6 pandemie coleriche dal 1817 al 1923, quasi tutte causate dal biotipo classico, ebbero origine in quest’area e si diffusero in Europa e nelle Americhe. Il microrganismo causale della 7a pandemia è il V. cholerae O1 El Tor, così denominato dalla località egiziana dove questo ceppo è stato isolato per la prima volta nel 1905. Questo biotipo è stato associato soltanto a casi sporadici fino al 1961, allorché è iniziata l’attuale pandemia a Celebes (Sulawesi) in Indonesia. La malattia si è diffusa rapidamente in altri Paesi asiatici e nel 1970 ha invaso l’Africa Occidentale, che non aveva visto casi di colera per 100 anni. Epidemie si sono avute in diversi Paesi africani e infine la malattia è divenuta endemica nella maggior parte del continente. L’ultima estensione di questa pandemia è comparsa in America Latina nel 1991, dove il colera era stato assente per più di un secolo. Nel corso dell’anno si è diffuso in 11 Paesi e quindi in tutto il continente. La 7a pandemia è stata la più prolungata e ha interessato un numero di Paesi e continenti più elevato che le altre 6 pandemie. Nel 2002, 13 Paesi asiatici, 27 Paesi africani e 2 latinoamericani hanno riportato casi di colera all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). In precedenza, soltanto il sierogruppo O1 di V. cholerae aveva causato epidemie di colera. Nell’ultima parte del 1992 si sono avute importanti epidemie della malattia in India e Bangladesh, causate da un sierogruppo di V. cholerae precedentemente non noto, denominato O139, sinonimo Bengala. Il microrganismo è stato attualmente isolato e riportato in 11 Paesi dell’Asia Sudorientale. Per motivi sconosciuti, il ceppo O139 non ha continuato la sua diffusione epidemica. Il colera esiste in forma sporadica, endemica, epidemica e pandemica. Il passaggio dalla malattia epidemica alla malattia endemica, di solito stagionale, può essere dovuto all’acquisizione della resistenza immunitaria da parte della popolazione. Si ritiene che l’immunità sia primariamente correlata agli anticorpi secretori delle mucose diretti contro il lipopolisaccaride del microrganismo. Sembra esistere almeno una protezione crociata parziale tra i biotipi (El Tor e classico) e i sierotipi (Ogawa e Inaba) del sierogruppo O1, ma non esiste tra i sierogruppi O1 e O139. Tuttavia, la malattia naturale non sembra conferire un’immunità che perdura per tutta la vita, per cui sono possibili attacchi ricorrenti. Il V. cholerae è presente nell’ambiente acquatico e fa parte della flora normale delle acque salmastre e degli estuari. È spesso associato a fioriture algali che sono 180-206ANA.indd 1232 influenzate dalla temperatura dell’acqua. Il colera contamina gli esseri umani attraverso acqua e alimenti contaminati, con tassi d’attacco molto elevati nelle popolazioni non immuni e frequente trasmissione domestica. Gli esseri umani infetti diffondono successivamente il microrganismo nell’ambiente. PATOGENESI. È necessario un grosso inoculo batterico (~108 unità vitali) per causare la malattia clinica, in parte perché i microrganismi sono uccisi dalla normale acidità gastrica. Pertanto, l’uso degli antiacidi, dei bloccanti i recettori dell’istamina e gli inibitori di pompa protonica aumenta il rischio di infezione colerica e predispone a una malattia più severa. In seguito alla colonizzazione dell’intestino tenue superiore, i V. cholerae O1 e O139 producono un’enterotossina che favorisce la secrezione di liquidi ed elettroliti nel lume dell’intestino tenue. L’enterotossina consiste in 5 subunità di legame (B) e 1 subunità attiva (A). Le subunità B si legano ai recettori del ganglioside GM1 nella mucosa dell’intestino tenue, permettendo alla subunità A di entrare nella cellula dove attiva l’adenilato ciclasi, portando a un aumento dell’adenosina monofosfato ciclico (AMP). L’AMP ciclico blocca l’assorbimento del cloruro di sodio da parte dei microvilli e promuove la secrezione di acqua e cloro da parte delle cellule delle cripte. Il risultato è un passaggio massivo di liquido isotonico ricco di elettroliti nell’intestino tenue. L’elevato volume di liquido prodotto nella parte superiore dell’intestino sovrasta la capacità di assorbimento della parte inferiore dell’organo, causando una diarrea severa. Il liquido diarroico contiene grandi quantità di sodio, cloro, bicarbonato e potassio. Dal momento che l’enterotossina agisce localmente e non invade la parete intestinale, nelle feci si ritrovano pochi eritrociti e neutrofili. La perdita di liquido isotonico ricco di elettroliti causa una deplezione del volume ematico con riduzione della pressione arteriosa e shock. La perdita di bicarbonato e potassio porta ad acidosi metabolica e ipokaliemia. MANIFESTAZIONI CLINICHE. Il colera è caratterizzato dall’esordio acuto di un’abbondante diarrea acquosa e da vomito senza febbre o crampi addominali. Le feci sono incolori con piccoli fiocchi mucosi (“acqua di riso”) e sono talvolta descritte come odorose di pesce. Nelle prime fasi, i bambini possono essere irrequieti o estremamente assetati, ma se le perdite di liquidi ed elettroliti non vengono sostituite, possono divenire letargici o addirittura perdere conoscenza. Altri segni di disidratazione possono rapidamente manifestarsi, compresi uno scarso turgore della cute, infossamento oculare, secchezza del cavo orale, assenza di diuresi, ritardo del riempimento capillare, polso rapido o debole e ipotensione (Fig. 198-1). In 4-12 ore possono verificarsi disidratazione severa, acidosi metabolica e ipokaliemia. Le perdi- Figura 198-1. Bambino, sdraiato su un lettino da colera, che evidenzia i tipici segni della disidratazione severa da colera. Il paziente presenta occhi infossati, aspetto letargico e uno scarso turgore cutaneo; tuttavia, entro 2 ore era in grado di stare seduto, era vigile e si alimentava normalmente. (Da Sack DA, Sack RB, Nair GB, Siddique AK: Cholera. Lancet 2004;363:223-233.) 23-09-2008 12:38:44 Capitolo 198 te di liquidi possono essere così rapide che il bambino sviluppa rapidamente shock ipovolemico, ipoglicemia, coma e convulsioni ed è a rischio di morte entro poche ore dall’esordio. Il periodo di incubazione tra l’ingestione del microrganismo e l’esordio dei sintomi varia tra 18 ore e 5 giorni. Anche se il quadro clinico tipico è caratterizzato da diarrea severa, la maggior parte degli individui affetti non presenta sintomi o ha solo una diarrea lieve, indistinguibile da altre malattie diarroiche. Il rapporto tra casi clinici e infezioni varia da 1 : 3 a 1 : 100, a seconda dell’immunità intestinale locale, delle dimensioni dell’inoculo, dell’adeguatezza della barriera acida gastrica e di altri fattori. INDAGINI DI LABORATORIO. I dati di laboratorio di emoconcentrazione e aumento del peso specifico sierico riflettono il grado di disidratazione isotonica. Le anomalie elettrolitiche e dell’equilibrio acido-base tipiche della disidratazione severa comprendono livelli normali o ridotti di potassio sierico, livelli normali o leggermente ridotti di sodio e cloro e acidosi metabolica. DIAGNOSI. La diagnosi di casi individuali di colera si basa primariamente su basi cliniche. La conferma di laboratorio è necessaria per la sorveglianza e per gli studi epidemiologici. Nelle aree endemiche, un bambino con diarrea acquosa severa deve essere considerato un possibile caso di colera in attesa della conferma di laboratorio (se disponibile) e occorre iniziare immediatamente il trattamento. Nei Paesi industrializzati, la diagnosi deve essere sospettata in qualsiasi bambino con diarrea acquosa severa e un’anamnesi di un viaggio recente in un’area endemica. Altre malattie enteriche caratterizzate da diarrea acuta acquosa come quelle causate da rotavirus o Escherichia coli enterotossigena possono essere difficili da distinguere dal colera. I test rapidi comprendono la microscopia in campo oscuro, in cui una preparazione a fresco di feci liquide viene esaminata per la ricerca in tutte le direzioni di microrganismi mobili che vengono bloccati dall’aggiunta di antisiero O1 o O139. Sono disponibili anche test immunologici. La diagnosi viene confermata mediante isolamento del microrganismo con la coprocoltura. Il mezzo di trasporto di Cary-Blair può essere usato per il trasporto in laboratorio di un campione fecale o di un tampone rettale. Le feci, fresche o nel mezzo di trasporto, devono essere seminate su un terreno tiosolfato-citrato-bile-saccarosio (TCBS). Il V. cholerae appare dopo 18-24 ore di incubazione sotto forma di colonie gialle lisce con il centro leggermente sollevato. L’identificazione presuntiva del V. cholerae O1 o O139 può essere stabilita sulla base delle tipiche colonie, che sono ossidasi-positive e agglutinano con l’antisiero O1 o O139. COMPLICANZE. Letargia, convulsioni, alterazioni dello stato di coscienza, febbre, ipoglicemia e morte si verificano più frequentemente nei bambini rispetto agli adulti. Un’inadeguata terapia sostitutiva di liquidi ed elettroliti può portare a necrosi tubulare acuta. I bambini con ridotti livelli di potassio possono sviluppare un ileo paralitico e una distensione addominale che possono rendere impossibile la reidratazione orale. Nei bambini con malattia severa con deplezione di potassio e acidosi, l’aritmia ipokaliemica può provocare morte improvvisa. Nel 10% almeno dei bambini più piccoli, si verificano sonnolenza prolungata, coma o convulsioni. Quando le convulsioni sono associate a ipoglicemia, esse sono spesso seguite da coma e morte; in uno studio, il 14,3% dei bambini affetti da colera complicato da ipoglicemia è deceduto, rispetto allo 0,7% dei bambini senza ipoglicemia. Dopo la disidratazione, l’ipoglicemia è la più comune conseguenza potenzialmente fatale del colera nei bambini. Si può avere anche iperglicemia a causa della secrezione di adrenalina, noradrenalina, cortisolo e glucagone in risposta allo stress ipovolemico. In alcuni bambini si osserva edema polmonare, probabilmente a causa del sovraccarico idrico nel corso della reidratazione. Nel corso della correzione degli squilibri elettrolitici si può verificare tetania transitoria. Nei bambini trattati con un eccesso di zucchero e sale si può osservare ipernatremia. 180-206ANA.indd 1233 ■ Colera (Vibrio cholerae) ■ 1233 TABELLA 198-1. Trattamento dei pazienti con sospetto colera Valutare la disidratazione. Reidratare rapidamente il paziente con soluzione di Ringer ev per pazienti con disidratazione severa o soluzione per la reidratazione orale (ORS) per i pazienti con disidratazione meno severa; utilizzare ORS a base di riso se possibile. I pazienti con disidratazione severa richiedono una terapia sostitutiva pari al 10% del loro peso corporeo entro 2-4 ore. Utilizzare un lettino da colera (se possibile) per il monitoraggio delle evacuazioni; monitorare l’idratazione e la severità delle evacuazioni frequenti. Mantenere l’idratazione sostituendo le perdite continue fino all’arresto della diarrea. Somministrare un antibiotico per os (per es. doxiciclina) ai pazienti disidratati non appena il vomito si arresta. Somministrare cibo non appena il paziente è in grado di mangiare (entro poche ore). Da Sack DA, Sack RB, Nair GB, Siddique AK: Cholera. Lancet 2004;363:223-233. TRATTAMENTO. La pietra angolare del trattamento del colera è la terapia sostitutiva con liquidi ed elettroliti (Tab. 198-1). La terapia reidratante dovrebbe essere iniziata al primo sospetto diagnostico (vedi Capitoli 55.1 e 337). Per diversi decenni, la formulazione maggiormente raccomandata di sali per la reidratazione orale (ORS) contenevano 90 mmol di sodio, 20 mmol di potassio, 80 mmol di cloruro, 111 mmol di glucosio e 10 mmol di citrato per litro, con un’osmolarità totale di 311 mOsm/L. Nel 2002 è stata proposta dall’OMS una nuova formula per la reidratazione orale con sodio e glucosio ridotti a 5 mmol/L e un’osmolarità totale ridotta a 245 mOsm/L. la formula per la reidratazione orale a osmolarità ridotta sembra essere sicura e almeno altrettanto efficace della formula standard per l’uso nei bambini con colera. Negli adulti affetti da colera, il suo uso è stato associato a un aumento dell’incidenza di iponatremia asintomatica transitoria. La reidratazione orale somministrata ad libitum è il trattamento di scelta a meno che il bambino presenti un ottundimento del sensorio, un ileo o sia in stato di shock; in questi casi, è appropriata la somministrazione endovenosa di soluzione fisiologica o di lattato di Ringer piuttosto che la reidratazione orale. Il vomito non è una controindicazione alla reidratazione orale. Anche se tutti i pazienti con colera devono essere accuratamente monitorati, una particolare attenzione all’introduzione di alimenti e alla diuresi è specialmente importante per i lattanti. L’alimentazione deve essere ripresa non appena ripianati i deficit idroelettrolitici allo scopo di ridurre l’impatto nutrizionale della malattia; la rialimentazione non influisce sulla frequenza delle evacuazioni o sulla durata della diarrea. La reidratazione è il trattamento più importante. Tuttavia, gli antibiotici sono utili ad abbreviare la durata della malattia, riducendo il periodo di eliminazione dei microrganismi e la necessità di terapia sostitutiva dei liquidi. La terapia antibiotica deve essere presa in considerazione nei pazienti con malattia da severa a moderata. La tetraciclina per os (50 mg/kg/die suddivisi in 4 somministrazioni al giorno per os per 3 giorni; dose massima 2 g/die) o la doxiciclina (5 mg/kg per os in dose singola, dose massima 200 mg/die) sono i farmaci di scelta per il colera da V. cholerae O1 e O139. Nei bambini 9 anni di età, l’uso della tetraciclina non è raccomandato. Nei ceppi resistenti o nei bambini 9 anni di età, possono essere utilizzati il trimetoprim-sulfametoxazolo (8-10 mg/kg/die di trimetoprim e 40 mg/kg/die di sulfametoxazolo, suddivisi in 2 somministrazioni per os), l’eritromicina (40 mg/kg/die, dose massima 2 g/die) o il furazolidone (5-8 mg/kg/die, dose massima 400 mg). La resistenza alla tetraciclina e ad altri antibiotici è in aumento. La valutazione della resistenza antibiotica deve essere eseguita su isolati da casi sporadici e su casi rappresentativi in corso di epidemia. PREVENZIONE. La fornitura di acqua e alimenti sicuri, un adeguato smaltimento delle acque nere e l’igiene personale e comunitaria costituiscono le strategie principali contro il colera. Nelle aree endemiche, questi interventi non possono essere del tutto implementati nel futuro prossimo. Nelle situazioni di emergenza 23-09-2008 12:38:44 1234 ■ PARTE XVI ■ Malattie infettive TABELLA 198-2. Compendio dei dati sui vaccini anticolerici approvati a livello internazionale Vaccino parenterale inattivato con fenolo DISPONIBILITÀ ETÀ Non più raccomandato 6 mesi Vaccino orale con subunità B ricombinante e Europa V. cholerae O1 intero ucciso Vaccino orale con V. cholerae CVD 103 HgR Canada, America Latina, vivo attenuato Europa 2 anni 2 anni SCHEMA DI SOMMINISTRAZIONE 2 dosi a distanza di 1-4 settimane 2 dosi a distanza di 1-6 settimane Dose singola acuta, qualsiasi struttura di sanità pubblica esistente peggiora o addirittura giunge al collasso. Pertanto, un vaccino sicuro, efficace ed economico potrebbe essere uno strumento potenzialmente utile per la prevenzione e il controllo del colera. Al momento, la produzione e la vendita dell’unico vaccino anticolerico approvato negli Stati Uniti, che era la preparazione parenterale a base di microrganismi uccisi con fenolo, è stata interrotta (Tab. 198-2). Poiché il vaccino offriva una protezione limitata solo per un breve periodo di tempo ed era altamente reattogeno (dolore, eritema, infiltrazione locale, febbre e cefalea), non è più raccomandato. Non esistono indicazioni sulla vaccinazione anticolerica per entrare o uscire da qualsiasi Paese. I viaggiatori in aree endemiche per il colera devono assumere adeguate precauzioni riguardo all’acqua e agli alimenti. I visitatori di Paesi in cui è stato segnalato il colera, che seguono i comuni itinerari turistici e che fanno uso di sistemazioni standard, hanno un basso rischio d’infezione. Notevoli progressi sono stati fatti nell’ultimo decennio nello sviluppo di vaccini anticolerici orali di ultima generazione. Questi nuovi vaccini permettono una sostanziale protezione contro il colera O1 senza effetti collaterali. Tuttavia, nessuno di questi 2 vaccini è disponibile negli Stati Uniti. Uno è un vaccino a base di cellule di V. cholerae O1 intere uccise e di subunità B ricombinante (rBs-WC); l’altro è un vaccino a base di V. cholerae CVD 103 HgR vivo attenuato. Sia il vaccino vivo sia quello vivo attenuato sono autorizzati in alcuni Paesi e attualmente vi è la previsione di una loro maggiore applicazione in sanità pubblica. Nel 2002 l’OMS ha cambiato la sua politica e ha raccomandato che l’uso della vaccinazione anticolerica orale sia preso in considerazione in certe situazioni endemiche ed epidemiche, in combinazione con altre strategie di controllo. Ali M, Emch M, von Seidlein L, et al: Herd immunity conferred by killed oral cholera vaccines in Bangladesh: A reanalysis. Lancet 2005;366:44–49. Colwell RR: Infectious disease and environment: Cholera as a paradigm for waterborne disease. Int Microbiol 2004;7:285–289. Heidelberg JF, Eisen JA, Nelson WC, et al: DNA sequence of both chromosomes of the cholera pathogen Vibrio cholerae. Nature 2000;406:477–483. Lucas M, Deen JL, von Seidlein L, et al: High-level effectiveness of a mass oral cholera vaccination in Beira, Mozambique. N Engl J Med 2005;352: 757–767. Reidl J, Klose KE: Vibrio cholerae and cholera: Out of the water and into the host. FEMS Microbiol Rev 2002;26:125–139. Ryan ET, Calderwood S: Cholera vaccines. Clin Infect Dis 2000;31: 561–565. Sack DA, Sack RB, Nair GB, Siddique AK: Cholera. Lancet 2004;363: 223–233. Saha D, Karim MM, Khan WA, et al: Single–dose azithromycin for treatment of cholera in adults. N Engl J Med 2006;354:2452–2462. Sur D, Deen JL, Manna B, et al: The burden of cholera in the slums of Kolkata, India: Data from a prospective, community based study. Arch Dis Child 2005;90:1175–1181. World Health Organization: Cholera 2002. Wkly Epidemiol Rec 2003;78: 269–276. World Health Organization: Cholera Vaccines: A New Public Health Tool? Geneva, Switzerland, World Health Organization, 2002. 180-206ANA.indd 1234 VIA DI SOMMINISTRAZIONE im EFFICACIA PROTETTIVA Orale 85% nei primi 6 mesi, quindi 50% per almeno 3 anni 80% per almeno 6 mesi Orale 30-50% per 3-6 mesi PROFILO DEGLI EVENTI AVVERSI Elevato Basso Basso Capitolo 199 ■ Campylobacter Gloria P. Heresi, Shaida Baqar e James R. Murphy Le infezioni da Campylobacter jejuni e Campylobacter coli sono zoonosi globali e costituiscono una delle cause più frequenti di infezione intestinale umana. L’infezione può essere seguita da malattie immunoreattive severe e forse da disordini immunoproliferativi. EZIOLOGIA. La famiglia delle Campylobacteriaceae comprende 20 specie. Quelle note o considerate patogene per gli esseri umani comprendono C. jejuni, C. fetus, C. coli, C. hyointestinalis, C. lari, C. upsaliensis, C. concisus, C. sputorum, C. rectus, C. mucosalis, C. jejuni subspecies doylei, C. curvus, C. gracilis e C. cryaerophila. Altre specie di Campylobacter sono state isolate da campioni clinici, ma il loro ruolo come patogeni non è stato dimostrato. Il C. jeiuni e il C. coli sono i più importanti patogeni del genere. Sono stati identificati più di 100 sierotipi di C. jejuni. I microrganismi del genere Campylobacter sono bacilli sottili e ricurvi (larghezza 0,2-0,4 m), di solito con estremità rastremate, Gram-negativi; non formano spore. La morfologia è varia e comprende microrganismi corti a forma di virgola o di S oppure a forma di “gabbiano”, multispiraliformi e filamentosi. I microrganismi sono di solito mobili, con un flagello a uno o a entrambi i poli. I microrganismi di Campylobacter formano piccole (0,5-1 mm) colonie lisce e leggermente sollevate in terreni di coltura solidi. Nelle colture più vecchie possono essere osservate forme di tipo cocco. Una crescita visibile in emocoltura spesso non è evidente fino a 5-14 giorni dopo l’inoculo. La maggior parte dei microrganismi di Campylobacter è microaerofila e non ossida, né fermenta i carboidrati. I terreni di coltura selettivi sviluppati per favorire l’isolamento del C. jejuni possono non supportare ed eventualmente anche inibire la crescita di altre specie di Campylobacter. Il C. jejiuni ha un cromosoma circolare di 1,64 milioni di coppie di basi (30,6% G + C) da cui ci si attende la codificazione di 1654 proteine e di 54 specie stabili di DNA. Il genoma appare insolito, in quanto virtualmente sono assenti sequenze di inserzione o sequenze associate a fagi e vi sono pochissime sequenze ripetitive. La presentazione clinica differisce in parte in base alla specie (Tab. 199-1). La malattia intestinale di solito è associata al C. jejuni e al C. coli, mentre le infezioni extraintestinali e sistemiche sono più spesso associate al C. fetus. Tuttavia, la setticemia da C. jejuni è diagnosticata sempre più spesso e può verificarsi senza segni o sintomi gastrointestinali. Meno frequentemente, si osserva un’enterite in associazione all’isolamento di C. lari, C. fetus e di altre specie di Campylobacter. EPIDEMIOLOGIA. Le campilobatteriosi umane derivano più comunemente dall’ingestione di acqua potabile o alimenti contaminati come pollame (pollo, tacchino) e latte crudo, o dalla trasmissione da parte di animali domestici (gatti, cani, criceti) e animali di fattoria. Le infezioni sono più frequenti nei contesti con risorse limitate e si verificano prevalentemente tutto l’anno nei Paesi 23-09-2008 12:38:44