Sezione 5 — Infezioni batteriche da Gram-negativi

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PARTE XVI
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Malattie infettive
Sezione 5 — Infezioni batteriche da Gram-negativi
Capitolo 190 ■ Neisseria meningitidis
(meningococco) Charles R. Woods
La malattia meningococcica rappresenta un problema sanitario
significativo in tutto il mondo. La maggior parte dei pazienti con
infezioni meningococciche nelle nazioni industrializzate sopravvive alla malattia, ma individui precedentemente sani continuano a
soccombere per malattia fulminante nonostante i progressi della
medicina intensiva. Tali casi, specialmente nel contesto di epidemie di infezione meningococcica in comunità, creano allarme
nell’opinione pubblica e non vengono facilmente dimenticati.
EZIOLOGIA. La Neisseria meningitidis è un diplococco Gramnegativo. Nei campioni colorati con colorazione di Gram, i microrganismi appaiono come coppie reniformi con i lati adiacenti
appiattiti. Gli esseri umani sono il solo serbatoio naturale e i
meningococchi sono colonizzatori commensali del nasofaringe,
anche se molti ceppi colonizzanti sono ceppi commensali non
capsulati non virulenti o scarsamente virulenti. La N. meningitidis è esigente. La crescita è facilitata in ambiente umido a 35-37
°C in un’atmosfera contenente anidride carbonica al 5-10%. La
crescita è rapidamente sostenuta da terreni di crescita contenenti
cioccolato o sangue e dal terreno di Mueller-Hinton, usati di routine nei laboratori. Nei terreni solidi, le colonie sono trasparenti,
non pigmentate e non emolitiche. La N. meningitidis si identifica
in base alla capacità di fermentare il glucosio e il maltosio, ma
non il saccarosio o il lattosio. Non si formano indolo e anidride
solforosa. I meningococchi producono superossidodismutasi e
sono ossidasi-positivi a causa di una citocromoossidasi contenuta
nella parete cellulare.
La parete cellulare presenta lipo-oligosaccaridi contenenti lipide A (LOS), tra cui l’endotossina che è rivestita da una capsula
polisaccaridica. La variabilità antigenica della capsula ha portato
al riconoscimento di 13 sierogruppi. La grande maggioranza
dei casi di malattia meningococcica in tutto il mondo è causata
dai sierogruppi A, B, C, W135 e Y. Le proteine poriniche PorB
e PorA del complesso della membrana esterna e il LOS sono
utilizzati per sottotipizzare i ceppi all’interno dei sierogruppi. I
ceppi di meningococco sono definiti in base a uno schema di sierogruppo (polisaccaride capsulare):sierotipi (PorB):sottosierotipo
(PorA):immunotipo (LOS).
EPIDEMIOLOGIA. L’infezione meningococcica si presenta come malattia endemica inframmezzata da epidemie di casi che appaiono
raggruppati sia temporalmente, sia geograficamente. Esiste una
leggera predominanza maschile (55%). Il tasso di portatori varia
con l’età ed è del 2% circa nei bambini più piccoli che non frequentano la comunità e nel 24-37% nel gruppo di età da 15 a 24
anni. Il tasso di portatori si avvicina al 100% nelle popolazioni
chiuse durante le epidemie.
Negli Stati Uniti, l’incidenza di malattia meningococcica riportata variava da 0,8 a 1,3/100 000 durante gli anni ’90, con
2100-3500 casi/anno. La malattia invasiva è più comune nei
bambini più piccoli, con tassi di 9 casi/100 000 nel 1° anno di vita
e 25 casi/100 000 durante i primi 4 mesi di vita. Si osservano
occasionalmente casi neonatali.
Quasi il 50% dei casi si verifica in bambini 2 anni di età, e
un altro 25% in soggetti 30 anni di età. Si osserva un aumento
dell’incidenza nei soggetti di 15-19 anni. Le matricole di college
che vivono in studentati hanno un rischio 3,6 volte più elevato
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rispetto ai loro coetanei che non frequentano il college. I tassi
di colonizzazione aumentano rapidamente durante il 1° anno
accademico del college, probabilmente a causa dell’elevato mix
sociale. Le persone che compiono pellegrinaggi religiosi, come lo
Hajj alla Mecca, hanno un’aumentata prevalenza di colonizzazione a causa delle condizioni di affollamento e successivamente
diffondono i meningococchi quando fanno ritorno a casa e nelle
comunità locali.
Le infezioni virali, in particolare l’influenza, il fumo e l’esposizione al fumo, le condizioni di vita in sovraffollamento, le malattie
croniche sottostanti e un basso stato socioeconomico sono associati a un rischio più elevato di infezione da meningococco. A livello domestico, le madri sono le più comuni fonti colonizzate per
i bambini infetti. La malattia meningococcica nel bambino può
essere associata a una gravidanza materna corrente. Negli Stati
Uniti, i casi provocati dai ceppi di sierogruppo Y sono aumentati
negli anni ’90 in modo tale che attualmente i sierogruppi B, C
e Y comprendono attualmente 1/3 dei casi ciascuno nei gruppi
di età oltre l’infanzia. La malattia da sierogruppo B è ancora la
più comune nei bambini più piccoli. I sierogruppi B e C restano
predominanti in gran parte del resto del mondo. Il sierogruppo A
rimane un problema maggiore in gran parte del mondo in via di
sviluppo. Molte aree, come Cina e Africa, hanno tassi endemici
di malattia di 10-25/100 000 persone con epidemie periodiche
(100-500/100 000). La malattia endemica è più comune nei bambini più piccoli, negli adolescenti e nei giovani adulti. Le condizioni di sovraffollamento facilitano la diffusione epidemica.
La malattia endemica è causata da ceppi meningococcici eterogenei. Le analisi con diversi metodi di genotipizzazione hanno
dimostrato che le epidemie sono causate da ceppi singoli (cloni).
La diffusione transcontinentale di cloni epidemici è ben documentata. Le epidemie si definiscono come 3 casi in un periodo
di 3 mesi nella stessa comunità e un tasso di attacco che supera
i 10 casi/100 000 persone. Negli Stati Uniti, nel periodo dal luglio 1994 al giugno 2002, sono state identificate 76 epidemie da
meningococco, comprese 13 in college e 19 in scuole elementari
e secondarie, rispetto a solo 6 epidemie dal 1980 al 1989. Campagne vaccinali sono state condotte soltanto in 34 epidemie.
Lo scambio genetico tra ceppi meningococcici endemici ed epidemici come anche con le specie di Neisseria commensali ospitate
contemporaneamente nel nasofaringe delle persone colonizzate
può portare a variazioni del sierotipo e del sierosottotipo, e talvolta anche a switching capsulari, allorché la diffusione del nuovo
clone progredisce in popolazioni suscettibili. Si può verificare
anche una variazione di fase nell’espressione delle proteine di
superficie del meningococco, comprese PorA e PorB, e i tipi LOS.
La tipizzazione della sequenza di più loci di 7 geni housekeeping
meningococcici è attualmente il metodo standard per la definizione di questi cloni.
PATOGENESI. La N. meningitidis viene acquisita primariamente
per via respiratoria. La colonizzazione nasofaringea di solito
porta a colonizzazione asintomatica che può persistere per settimane e anche mesi. L’invasione è rara, tende a verificarsi subito
dopo l’acquisizione di nuovi ceppi e talvolta sembra facilitata
da infezioni concorrenti delle vie respiratorie. I meningococchi
(e i gonococchi, ma non la Neisseria non patogena) producono
un’immunoglobulina A (IgA) proteasi che può facilitare la colonizzazione delle mucose scindendo la regione cerniera ricca di
prolina delle IgA secretorie.
I meningococchi aderiscono selettivamente alle cellule epiteliali
non ciliate mediante i loro pili di tipo IV. I pili si attaccano alle
proteine CD46 che servono da recettori per C3b, C4b, morbillo
e altri virus sulla superficie delle cellule epiteliali. Ciò induce un
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Capitolo 190
riarrangiamento del citoscheletro dell’ospite e una produzione di
microvilli che porta a endocitosi. Le proteine associate a opacità
(Opa) che si estendono dalla membrana batterica esterna interagiscono con la famiglia CD66 umana di recettori e facilitano
aderenza ed endocitosi. I batteri quindi attraversano la cellula in
vacuoli delimitati da membrana. Le proteine poriniche meningococciche hanno un ruolo nell’endocitosi, nella sopravvivenza
intracellulare, nell’apoptosi delle cellule invase e nell’evitamento
dell’attacco del complemento attraverso il legame con la proteina
legante il C4b.
Una volta attraversato l’epitelio, i meningococchi penetrano in
circolo. Gli anticorpi sierici contro gli antigeni di superficie del
meningococco, se presenti, possono bloccare tale disseminazione
iniziando una lisi batterica complemento-mediata. L’assenza di
anticorpi antimeningococcici è associata allo sviluppo di meningococcemia. Se la batteriemia non viene eliminata, continua
l’interazione con i fagociti, i microrganismi aderiscono alle cellule
endoteliali attraverso i pili, le Opa e le proteine poriniche, e il sistema del complemento viene ulteriormente attivato. L’espressione sulle cellule endoteliali delle molecole di adesione superficiale
è influenzata dal LOS e dal polisaccaride capsulare facilitando
l’attaccamento dei leucociti. La sopravvivenza dei meningococchi è migliorata dalla capsula polisaccaridica, che contribuisce
alla resistenza al killing da parte dei fagociti, e da un sistema di
recupero del ferro che può fare uso della transferrina e della lattoferrina dell’ospite. Il LOS della N. meningitidis è riconosciuto
dai recettori toll-like (TLR) 2 e 4. Le sue sequenze di DNA ricche
di CpG, che sono comuni nei batteri, interagiscono probabilmente con il TLR9. Queste interazioni con i TLR attivano i geni
attraverso vie correlate con il fattore nucleare-K (NF-K), che
regolano la risposta immunitaria di adattamento.
Le interazioni tra microrganismo, fagocita, cellula endoteliale e complemento portano alla produzione di diverse citochine
proinfiammatorie tra cui il fattore di necrosi tumorale urgente-
(TNF-), l’interleuchina 1 (IL-), IL-6 e IL-8, e all’attivazione
sia della via estrinseca (attraverso l’induzione dell’espressione di
fattori tissutali sulle cellule endoteliali e sui monociti), sia della via intrinseca della coagulazione. Anche altri fattori relativi
al microrganismo diversi dal LOS sono coinvolti nell’iniziazione
dell’attivazione del complemento e nell’infiammazione. Il grado
di attivazione del complemento e delle cascate della coagulazione,
le concentrazioni delle citochine circolanti e il rischio di malattia
fatale si correlano con la concentrazione del LOS meningococcico
nel plasma al momento della presentazione. La progressione dello
stravaso capillare e della coagulopatia intravascolare disseminata (CID) può portare a insufficienza multipla d’organo, shock
settico e talvolta alla morte. I casi fatali tipicamente presentano
più elevate concentrazioni di TNF- e di interleuchine rispetto ai
sopravviventi, ma la relazione causale rimane da chiarire. I livelli
di LOS e TNF- diminuiscono rapidamente una volta iniziata la
terapia antibiotica, correlata all’eliminazione dei microrganismi
attivi. L’attivazione del complemento e delle cascate della coagulazione può continuare ben oltre questo punto, specialmente nei
casi fulminanti.
Una vasculite diffusa e una CID sono comuni nella meningococcemia. Nei piccoli vasi, compresi arteriole e capillari si
osservano coaguli ricchi di leucociti e fibrina. Ne conseguono
emorragie e necrosi focali che inizialmente si manifestano come
porpora cutanea e che possono quindi manifestarsi in qualunque
sistema d’organo. Cuore, sistema nervoso centrale, cute, membrane mucose e sierose e ghiandole surrenali sono interessate
nella maggior parte dei casi fatali e in queste lesioni sono spesso
presenti microrganismi. Una miocardite è presente in 50% dei
pazienti che decedono per malattia meningococcica. Nel corso
di una meningococcemia fulminante è comune un’emorragia
diffusa delle ghiandole surrenali senza vasculite, la sindrome
di Waterhouse-Friderichsen. La meningite è caratterizzata dalla
presenza di cellule infiammatorie acute nelle leptomeningi e negli
spazi perivascolari. Un’encefalite focale è infrequente.
Immunità. Gli antigeni non-LOS sembrano stimolare la maturazione della cellula dendritica necessaria per l’iniziazione della
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Neisseria meningitidis (meningococco)
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risposta immunitaria di adattamento. La produzione di Il-12,
stimolata dal LOS meningococcico, induce una risposta di tipo
Th1. Anticorpi battericidi vengono prodotti nei confronti dei
polisaccaridici capsulari, delle proteine della membrana esterna e
degli antigeni LOS. Le risposte IgM, IgG e IgA sono indotte entro
poche settimane dopo la colonizzazione nasofaringea. L’immunità naturale contro un ampio range di ceppi di N. meningitidis
sembra svilupparsi in molte persone dopo ripetuta colonizzazione
da differenti sierogruppi o sierosottotipi e dopo colonizzazione
gastrointestinale da batteri enterici che esprimono antigeni crossreagenti. Non sono chiari la durata di queste risposte anticorpali
e il grado di memoria immunologica indotta anche dall’infezione.
L’esposizione naturale continuativa può contribuire al mantenimento dell’immunità. L’immunità mucosale può essere più efficace della colonizzazione nel prevenire l’invasione delle cellule
epiteliali. Elevati livelli di anticorpi anticapsulari dopo la vaccinazione sono associati a una riduzione dello stato di portatore
dei ceppi dei sierogruppi vaccinali.
I lattanti sono molto spesso portatori anche del microrganismo
non patogeno e non capsulato N. lactamica, che contribuisce allo
sviluppo di immunità contro il meningococco. Gli effetti protettivi delle IgG di origine materna scompaiono nei primi 1-3 mesi
di vita, per cui durante il resto del periodo infantile sono presenti
tassi elevati di malattia invasiva.
Fattori relativi all’ospite. I soggetti con deficit primitivo di componenti del complemento hanno un rischio aumentato di sviluppare una malattia meningococcica e questo sottolinea il ruolo
fondamentale del complemento nelle difese dell’ospite contro il
meningococco. Il 50-60% degli individui con deficit di properdina, fattore D o della componente terminale, svilupperà infezioni
batteriche severe, causate quasi soltanto dalla N. meningitidis.
Alcuni studi suggeriscono che le manifestazioni della malattia
in caso di deficit del complemento sono meno severe di quelle
che si osservano nei casi in cui la funzione del complemento è
intatta, ma questo non è certo. Le infezioni ricorrenti sono più
comuni con il deficit della componente terminale che con il deficit
di properdina. Un rischio similmente aumentato si osserva con i
deficit acquisiti del complemento che si verificano nei pazienti con
malattie come sindrome nefrosica, lupus eritematoso sistemico e
insufficienza epatica. Nei soggetti con infezioni meningococciche,
i deficit del complemento sono molto più prevalenti in quelli 5
anni di età che nei bambini più piccoli. La maggior parte dei
casi nei soggetti con deficit del complemento si verifica durante
la tarda infanzia e nell’adolescenza o nell’età adulta quando il
tasso dei portatori tende a essere più elevato.
Altri fattori dell’ospite che possono influire sulla severità e
sull’esito della malattia meningococcica comprendono i polimorfismi di Il-1, l’antagonista del recettore di IL-1, la lectina legante
il mannosio, i geni del recettore di Fc (specialmente il recettore
di Fc IIA-R/R131), il TLR4, le regioni promotrici dei geni che
codificano per il TNF-, l’inibitore-1 dell’attivatore del plasminogeno e forse le componenti di varie vie di attivazione di NF-K.
La potenziale interazione di certi polimorfismi del recettore di
Fc con specifici alleli di IL-10 suggerisce che le combinazioni di
alleli in geni differenti possono essere responsabili di variazioni dell’espressione della malattia. La presenza del fattore V di
Leyden esacerba la porpora fulminante da meningococco ma può
non influire sulla mortalità.
La capsula del gruppo B è un omopolimero di acido sialico
scarsamente immunogeno negli esseri umani, in parte a causa
della sua omologia strutturale con le molecole di adesione delle
cellule nervose di mammifero. Anche l’antigene capsulare B non
attiva la via alternativa del complemento negli esseri umani, che
rappresenta una parte fondamentale della risposta immunitaria
innata essenziale per la protezione dalle infezioni in assenza di
anticorpi specifici. Ciò può in parte spiegare la maggiore prevalenza di malattia da meningococco di gruppo B nei bambini più
piccoli.
MANIFESTAZIONI CLINICHE. Lo spettro della malattia meningococcica può avere un’ampia variazione dalla febbre e dalla bat-
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Malattie infettive
teriemia occulta (vedi Capitolo 175) fino alla sepsi, allo shock
(vedi Capitolo 176) e alla morte. I pattern noti di malattia comprendono batteriemia senza sepsi, meningococcemia (sepsi) senza
meningite e meningite con e senza meningococcemia. Almeno
l’80% dei casi presenta anche altri segni clinici. Una batteriemia
meningococcica occulta spesso si presenta come febbre con o
senza sintomi associati che suggeriscono infezioni virali minori.
La risoluzione può avvenire senza antibiotici, ma la meningite si
sviluppa nel 58% dei casi di malattia. La N. meningitidis è isolata
dal sangue nei 2/3 circa dei casi, dal liquido cerebrospinale in
metà dei casi e dal liquido articolare nell’1% dei casi.
La meningococcemia acuta può inizialmente simulare una malattia virale con faringite, febbre, mialgie, perdita di forza, vomito, diarrea e/o cefalea (Tab. 190-1). Un rash maculopapuloso è
evidente nel 7% circa dei casi, tipicamente prima che compaiano
sintomi più seri. Dolore degli arti, mialgie o il rifiuto di camminare si presentano in molti casi e rappresentano il disturbo
primario nel 7% dei casi altrimenti non sospettati clinicamente.
Anche le mani o i piedi freddi e un colorito anormale della cute
costituiscono segni precoci. Nella meningococcemia fulminante,
la malattia progredisce rapidamente in poche ore fino allo shock
settico caratterizzato dalla presenza di petecchie e porpora (porpora fulminante), ipotensione, CID, acidosi, emorragia surrenalica, insufficienza renale, insufficienza miocardica e coma (Fig.
190-1). Può essere o meno presente una meningite.
La manifestazione clinica più comune, la meningite meningococcica, è distinguibile da altre cause di meningite batterica (vedi
Capitolo 602.1). Sono tipicamente presenti cefalea, fotofobia,
letargia, vomito e rigidità nucale e altri segni di irritazione meningea. Convulsioni e segni neurologici focali si verificano meno
frequentemente che nei pazienti con meningite causata da pneumococco o dall’Haemophilus influenzae di tipo b. Può verificarsi
un quadro simil-meningoencefalitico eventualmente associato a
edema cerebrale rapidamente progressivo, più frequente con l’infezione da sierogruppo A.
Su 402 bambini 21 anni appartenenti a 3 casistiche di malattia meningococcica invasiva durante gli anni ’80 fino ai primi
anni del 2000, circa l’81% si era presentato con febbre, il 41%
aveva ipotensione o riduzione della perfusione periferica e il 50%
aveva petecchie e/o porpora. Una porpora fulminante si era sviluppata nel 16%. Altri segni e sintomi di presentazione comprendevano vomito (34%), letargia (30%), irritabilità (21%), diarrea
(6%), rinorrea (10%), convulsioni (6%) e artrite settica (8%).
Un’evidenza radiografica di polmonite era presente inizialmente
nell’8% dei casi in una casistica. La ventilazione meccanica era
stata necessaria nel 26% e un supporto vasopressorio nel 35%.
TABELLA 190-1. Frequenza specifica per l’età dei sintomi clinici della
malattia meningococcica prima del ricovero in ospedale
SINTOMI PRECOCI %
Dolore degli arti inferiori
Sete
Diarrea
Colore anormale della cute
Difficoltà respiratoria
Mani e piedi freddi
SINTOMI CLASSICI %
Rash emorragico
Dolore o rigidità del collo
Fotofobia
Protrusione della fontanella
SINTOMI TARDIVI %
Confusione o delirio
Convulsioni
Perdita di coscienza
1 ANNO
1-4 ANNI
5-14 ANNI
5,1
3,4
9,9
20,6
16,2
44,0
30,6
6,4
7,8
16,8
9,7
46,7
62,4
11,4
3,1
18,5
7,1
34,9
53,3
12,6
5,5
19,0
12,1
44,4
42,3
15,5
24,5
11,5
64,2
28,1
24,1
nd
69,8
45,9
26,4
nd
65,9
52,9
35,5
nd
nd
8,9
7,0
42,8
12,8
9,1
49,4
7,8
5,9
47,6
7,3
15,1
B
Figura 190-1. Infezioni menigococciche. A, Menigococcemia con importante
interessamento delle estremità con relativo risparmio della cute della restante
superficie corporea del bambino. B, Questa immagine mostra le estremità inferiori del paziente dell’immagine in A (da the American Academy of Pediatrics:
Red Book: 2006 Report of the Committee on Infectious Diseases, 27th ed. Elk
Grove Village, IL, American Academy of Pediatrics, 2006, Atlas 7.)
15-16 ANNI
Nd = Non disponibile
Da Thompson MJ, Ninis N, Perera R, et al: Clinical recognition of meningococcal disease in children and adolescents. Lancet
2006;367:397–403.
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A
Un’artrite non suppurativa si era sviluppata nel 4-6% dei casi.
Manifestazioni infrequenti di malattia meningococcica comprendono endocardite, pericardite purulenta, polmonite, endoftalmite, linfoadenite mesenterica, osteomielite, sinusite, otite media
e cellulite periorbitaria. Una congiuntivite purulenta primitiva
può portare a malattia invasiva. Un versamento pleurico o un
empiema si presentano nel 15% dei casi con polmonite meningococcica. Le infezioni da N. meningitidis del tratto genitourinario
sono rare, ma sono possibili uretrite, cervicite, vulvovaginite e
proctite.
La meningococcemia cronica si verifica raramente ed è caratterizzata da febbre, aspetto non tossico, artralgie, cefalea e
un rash simile a quello dell’infezione gonococcica disseminata.
I sintomi sono intermittenti, con una durata media di malattia
di 6-8 settimane. Le emocolture sono di solito positive ma possono inizialmente essere sterili; in casi isolati può svilupparsi la
meningite.
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Capitolo 190
DIAGNOSI. La diagnosi definitiva di malattia meningococcica è
stabilita mediante l’isolamento del microrganismo da un liquido
corporeo normalmente sterile come sangue, liquido cerebrospinale o liquido sinoviale. L’isolamento dal nasofaringe non è diagnostico di malattia invasiva. Sangue e liquido cerebrospinale sono
fonti usuali del microrganismo. Le colture sono spesso negative
se il paziente è stato trattato con antibiotici prima della coltura.
Talvolta i meningococchi possono essere identificati in coltura o
con la colorazione di Gram delle petecchie o delle papule. Occasionalmente sono visibili con la colorazione di Gram sullo strato
buffy coat di un campione di sangue centrifugato.
Con la meningite, le caratteristiche morfologiche e cliniche
del liquido cerebrospinale sono quelle della meningite batterica
acuta (vedi Capitolo 602.1). Le colture di liquido cerebrospinale
sono positive in pazienti con meningococcemia che non hanno
una pleiocitosi del liquido cerebrospinale o evidenza clinica di
meningite. I campioni di liquido cerebrospinale che dimostrano
microrganismi Gram-negativi sono talvolta negativi alla coltura. Pneumococchi eccessivamente decolorati nella colorazione
di Gram possono essere scambiati per meningococchi e quindi
la terapia empirica non dovrebbe basarsi sulla sola colorazione
di Gram.
L’identificazione degli antigeni polisaccaridici capsulari mediante test rapidi di agglutinazione su lattice sul liquido cerebrospinale possono supportare la diagnosi nei casi clinicamente
compatibili con la malattia meningococcica. Questi test si dimostrano particolarmente utili quando i risultati sono positivi
nell’ambito di infezioni parzialmente trattate con colture negative. I test antigenici che fanno uso di siero o urine non sono
utili. I test antigenici rapidi non sono affidabili per i ceppi di
sierogruppo B per via delle cross-reazioni con altre specie batteriche (antigene dell’Escherichia coli K1). Sono stati sviluppati test
basati sulla reazione a catena polimerasica per l’identificazione
dei meningococchi nel sangue e nel liquido cerebrospinale e attualmente sono usati in ambito clinico nel Regno Unito ma non
negli Stati Uniti. Nel prossimo futuro saranno probabilmente più
diffusi. Altri aspetti di laboratorio comprendono leucocitopenia
o leucocitosi, spesso con aumento della percentuale di neutrofili
e di forme con bande, trombocitopenia, proteinuria ed ematuria.
Sono comuni aumento di VES e proteina C-reattiva, ipoalbuminemia, ipocalcemia e acidosi metabolica spesso con aumento dei
livelli di lattato. I pazienti con CID hanno ridotte concentrazioni
sieriche di protrombina e fibrinogeno e allungamento dei tempi
di coagulazione.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE. La malattia meningococcica può apparire simile alla sepsi o alla meningite causata da molti altri
batteri Gram-negativi, Streptococcus pneumoniae, Staphylococcus aureus o streptococco di gruppo A, febbre maculosa delle
Montagne Rocciose, ehrlichiosi o tifo epidemico ed endocardite
batterica. In alcuni casi devono essere prese in considerazione
le cause virali e le altre possibili cause di encefalite. Le vasculiti
autoimmuni (specialmente la porpora di Henoch-Schönlein, la
malattia da siero, la sindrome uremico emolitica, la malattia di
Kawasaki, la porpora trombocitopenica idiopatica, le eruzioni da
farmaci e l’ingestione di diversi veleni possono presentare aspetti che si sovrappongono a quelli dell’infezione meningococcica.
Anche le infezioni da echovirus (particolarmente i tipi 6, 9 e 16),
virus coxsackie (soprattutto i tipi A2, A4, A9 e A16) e altri virus
possono avere presentazioni severe che inizialmente possono far
pensare all’infezione meningococcica.
I rash petecchiali benigni sono comuni nelle infezioni virali
e nelle infezioni da streptococco di gruppo A. Il rash non petecchiale che sbiadisce alla pressione osservato in alcuni casi di
malattia meningococcica può inizialmente essere confuso con un
esantema virale.
TRATTAMENTO. Nei pazienti ospedalizzati, la penicillina G
(250 000-400 000 UI/kg/die suddivisi in 4-6 dosi ev) rimane il
farmaco di scelta. La cefotaxima (200 mg/kg/die) o il ceftriaxone
(100 mg/kg/die) sono alternative accettabili e fanno di solito parte
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Neisseria meningitidis (meningococco)
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dei trattamenti empirici iniziali. Nel bambino la terapia viene di
solito continuata per 5-7 giorni.
Il trattamento precoce delle infezioni meningococciche può
prevenire le sequele severe, ma la diagnosi tempestiva di questi
pazienti è spesso difficile in assenza di sintomi cutanei. Febbre
elevata e leucocitosi con aumento dei neutrofili e delle forme
con bande sono comuni nei bambini più grandi e negli adolescenti con infezione meningococcica altrimenti non sospettata.
Può essere preso in considerazione il trattamento ambulatoriale
empirico di pazienti selezionati durante le epidemie di malattia
meningococcica e di bambini non in condizioni tossiche con
rash petecchiale. Gran parte di questi ultimi non ha in definitiva
un’infezione da meningococco. Prima del trattamento occorre
eseguire un’emocoltura.
Gli isolati della N. meningitidis con resistenza relativa alla penicillina (concentrazione inibitoria minima di penicillina di 0,1-1
g/mL) sono stati riportati in Europa, Africa, Canada e Stati
Uniti. Una riduzione della sensibilità è causata, almeno in parte, da un’alterazione della proteina legante la penicillina 2. Nel
1991, questi ceppi rappresentavano 4% degli isolati negli Stati
Uniti. Questo grado di resistenza alla penicillina non sembra influire sulla risposta alla terapia. I ceppi produttori di -lattamasi
rimangono molto rari. L’antibiogramma di routine per gli isolati
meningococcici non è attualmente indicato negli Stati Uniti, ma
è necessaria una sorveglianza continuativa.
È essenziale una terapia di supporto ottimale (vedi Capitolo
68). Sono state tentate molte terapie aggiuntive, ma nessuna
finora ha dimostrato particolare utilità nei bambini. La proteina
che aumenta la permeabilità/battericida ricombinante (BPI) può
ridurre le complicanze nei casi severi, ma sono necessari ulteriori
studi. La BPI è presente nei neutrofili, neutralizza l’endotossina e
può attenuare le cascate infiammatorie e coagulative. La proteina
C è un anticoagulante naturale che opera una downregulation
della risposta infiammatoria ed è depleta nella CID. Un trial clinico della terapia con proteina C attivata per la sepsi severa nei
bambini è terminato nel 2005 a causa di un aumento evidente
del rischio di emorragia intracranica associato al suo utilizzo.
Altri anticoagulanti o agenti fibrinolitici e vasodilatatori sono
stati usati con successo variabile in segnalazioni aneddotiche.
L’associazione di queste terapie può essere utile in casi selezionati
in futuro, ma deve ancora essere valutata.
La maggior parte dei bambini che non richiedono intubazione
o supporto vasopressorio risponde rapidamente agli antibiotici
più una terapia di supporto e dimostra un miglioramento clinico
entro 24-72 ore. Quelli che richiedono la ventilazione meccanica
e altri interventi intensivi spesso hanno un decorso più complicato e prolungato che può richiedere l’ospedalizzazione per settimane. I bambini con malattia severa che rispondono scarsamente
alla terapia aggressiva con fluidi e agenti inotropi possono avere
un’insufficienza surrenalica e trarre beneficio dalla supplementazione con idrocortisone. L’ossigenazione con membrana extracorporea è stata usata con successo limitato.
COMPLICANZE. Le complicanze acute sono correlate alla vasculite, alla CID e all’ipotensione della malattia meningococcica
severa. Gli infarti cutanei focali sono simili a ustioni e di solito
guariscono, ma possono andare incontro a infezione secondaria,
con cicatrizzazione significativa e necessità di innesti cutanei.
La gangrena delle estremità spesso osservata nella porpora fulminante può richiedere l’amputazione. Emorragia surrenalica,
endoftalmite, artrite, endocardite, pericardite, miocardite, polmonite, ascesso polmonare, peritonite e infarti renali possono
verificarsi nel corso di un’infezione acuta. La necrosi avascolare
delle epifisi e difetti epifisario-metafisari possono derivare dalla
CID generalizzata e possono portare a un disturbo di crescita e a
deformità scheletriche tardive. La sordità è la sequela neurologica
più frequente e si verifica nel 5-10% dei bambini con meningite
nella maggior parte delle casistiche. Nei casi severi può verificarsi
una trombosi venosa o arteriosa cerebrale con risultante infarto
cerebrale. La meningite è raramente complicata da versamento
suturale o empiema subdurale o da ascesso cerebrale. Altre rare
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PARTE XVI
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Malattie infettive
sequele neurologiche comprendono atassia, convulsioni, cecità,
paralisi dei nervi cranici, emiparesi o quadripartesi, e idrocefalo
ostruttivo. Quest’ultimo si presenta spesso 3-4 settimane dopo
l’esordio della malattia. Le complicanze non suppurative nella
malattia meningococcica sembrano mediate da immunocomplessi
e divengono evidenti 4-9 giorni dopo l’esordio della malattia.
Artrite e vasculite cutanea (eritema nodoso) sono le più frequenti.
L’artrite di solito è monoarticolare o oligoarticolare, interessa le
grandi articolazioni e presenta versamenti sterili che rispondono
ai FANS. Le sequele a lungo termine non sono comuni. Poiché la
maggior parte dei pazienti con meningite meningococcica diviene
afebbrile entro il 7° giorno di ricovero in ospedale, la persistenza o la recrudescenza della febbre dopo 5 giorni di antibiotici
richiede una valutazione per le complicanze mediate da immunocomplessi.
La riattivazione delle infezioni da virus herpes simplex latenti
(primariamente herpes labiale) è comune nel corso dell’infezione
meningococcica.
PROGNOSI. Il tasso di mortalità dell’infezione meningococcica
invasiva rimane intorno al 10% negli Stati Uniti nonostante i
moderni interventi. La mortalità è più elevata nei pazienti di
15-24 anni di età. La maggior parte dei decessi si verifica entro 48
ore dall’ospedalizzazione. I fattori prognostici sfavorevoli comprendono ipotermia o iperpiressia estrema, ipotensione o shock,
porpora fulminante, convulsioni, leucopenia, trombocitopenia
(tra cui CID), acidosi ed elevati livelli circolanti di endotossina
e TNF-. La presenza di petecchie per più di 12 ore prima del
ricovero, l’assenza di meningite e una VES bassa o normale indicano una progressione rapida o fulminante e una prognosi più
sfavorevole.
Lo screening dei deficit di complemento dopo la risoluzione
dell’infezione acuta può essere considerato per ogni individuo
con infezione meningococcica e deve essere eseguito nei bambini
più grandi e negli adolescenti. Anche le infezioni ricorrenti nei
soggetti con deficit del complemento possono essere severe.
PREVENZIONE. I contatti stretti dei pazienti con malattia meningococcica hanno un rischio aumentato di infezione e devono
essere accuratamente monitorati e portati all’attenzione medica
se compare febbre. La profilassi antibiotica è indicata non appena possibile per i contatti domestici, dell’asilo e delle scuole e
per tutti i soggetti che hanno avuto un contatto con le secrezioni
orali del paziente durante i 7 giorni prima dell’esordio della
malattia. La profilassi non è raccomandata di routine per il personale medico eccetto che per quelli con esposizione intima, per
esempio rianimazione bocca a bocca, intubazione o aspirazione
prima dell’inizio della terapia antibiotica. I bambini possono ricevere rifamipicina (10 mg/kg per os ogni 12 ore per un totale di
4 dosi; dose massima 600 mg; 5 mg/kg/dose per lattanti 1 mese
di età) o ceftriaxone (125 mg in dose singola im per i bambini
12 anni di età; 250 mg in dose singola im per quelli 12 anni
di età). La ciprofloxacina (500 mg per os in dose singola) può
essere somministrata agli individui 18 anni di età. La penicillina non eradica lo stato di portatore nasofaringeo; i pazienti
trattati con penicillina devono ricevere la profilassi prima della
dimissione dall’ospedale. Nei pazienti ospedalizzati si devono assumere misure precauzionali per le goccioline respiratorie per 24
ore dopo l’inizio di una terapia efficace. Tutti i casi probabili o
confermati di infezione meningococcica devono essere segnalati
alle autorità sanitarie.
Vaccinazione. Un vaccino quadrivalente composto di polisaccaridi capsulari dei gruppi meningococcici A, C, Y e W135
(MPSV4) è stato il primo vaccino meningococcico disponibile
negli Stati Uniti fino al gennaio 2005, con l’approvazione di un
vaccino meningococcico coniugato proteico basato sul tossoide
difterico (MCV4) per l’uso in soggetti di 11-55 anni di età.
L’MPSV4 è immunogeno nell’adulto ma è inaffidabile nei bambini 2 anni di età. Resta l’unico vaccino approvato negli Stati
Uniti per i bambini da 2 a 10 anni di età e per gli adulti 55 anni
di età. Il 75% circa dei casi di malattia meningococcica in soggetti
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11 anni di età negli Stati Uniti è causato dai sierogruppi C, Y
o W135 e quindi è potenzialmente prevenibile con il vaccino.
MCV4 e MPVS4 producono titoli simili di anticorpi battericidi
anticapsulari contro ciascuno dei 4 sierogruppi dei vaccini a un
mese dopo la vaccinazione (in pazienti appropriati per età) con
un aumento di 4 volte del titolo sia in più del 90% dei vaccinati
contro i sierogruppi A, C e W135, sia in più del 80% di quelli
vaccinati contro il sierogruppo Y. Titoli protettivi (1:128) sono
indotti in 97% dei vaccinati con uno qualsiasi di questi 2 vaccini contro tutti i 4 sierogruppi in pazienti appropriati per l’età.
MCV4 causa febbre transitoria ed eritema, dolore o edema locale
leggermente più frequentemente di MPSV4, che è attribuito alla
componente del tossoide difterico di MCV4.
L’efficacia di MPS4 è 85% per i sierogruppi A e C e probabilmente simile per i sierogruppi W135 e Y. L’efficacia di MCV4 è
ritenuta simile a quella di MPVS4 perché gli anticorpi battericidi
conferiscono immunità e i titoli di quelli indotti da MCV4 non
sono inferiori a quelli di MPVS4. L’uso di un vaccino coniugato
con CRM197 difterite-sierogruppo C nel Regno Unito a partire
dal 1999 ha ridotto la malattia da sierogruppo C del 95% circa
nei bambini di quel Paese e risultati simili sono stati ottenuti con
questo vaccino in Quebec. Sono stati dimostrati una riduzione
dello stato di portatore nasofaringeo di ceppi di sierogruppo C
nei vaccinati con CRM197 difterite-sierogruppo C e un’immunità
di comunità (immunità di gregge) nei non vaccinati nel Regno
Unito.
La durata dell’immunità da MPVS4 è di almeno 3-5 anni
per cui la rivaccinazione di persone con rischio continuativo di
infezioni meningococciche può essere considerata in questo intervallo temporale per i soggetti in passato vaccinati con MPSV4.
Si ritiene che la protezione da MCV4 sia più prolungata, ma la
durata completa e la potenziale necessità di rivaccinazione non
sono ancora note. Le risposte immunitarie ai vaccini meningococcici coniugati sono stimolabili (booster) (T-dipendenti), mentre
quelle a MPVS4 non lo sono (T-indipendenti). I vaccini coniugati
sembrano sicuri e immunogeni nei lattanti ma non sono ancora
stati approvati o commercializzati in questo gruppo di età negli
Stati Uniti. Vaccini per ceppi specifici possono essere prodotti
se sono necessari per il controllo di epidemie da sierogruppo B,
ma non sono efficaci contro altri ceppi di sierogruppo B a causa
dell’elevata frequenza di trasformazione genetica e della risultante variazione antigenica nella N. gonorrhoeae. Gli approcci
genomici e proteomici per identificare gli antigeni candidati sono
promettenti ai fini dello sviluppo di vaccini efficaci contro un’ampia serie di ceppi di sierogruppo B.
L’MCV4, in dose singola, è il vaccino preferito negli Stati Uniti
per gli individui di 11-55 anni di età per cui è raccomandata
la vaccinazione meningococcica. L’MPVS4 rimane un’alternativa
accettabile per questo gruppo di età quando non è disponibile
l’MCV4 ed è raccomandato per bambini di 2-10 anni e adulti
55 anni di età, in attesa di ulteriore valutazione e approvazione dell’MCV4 in questi gruppi di età. Il vaccino coniugato
CRM197 difterite-sierogruppo C è usato attualmente in gran
parte d’Europa, Canada, Australia e Brasile. Un ciclo di 3 dosi
di questo vaccino può essere somministrato ai lattanti iniziando
a 2 mesi di età, con una dose raccomandata per i soggetti 1
anno di età. L’MCV4 è raccomandato di routine per tutti gli
adolescenti a 11-12 anni di età alla visita della preadolescenza,
e per gli adolescenti all’età di 15 anni o all’entrata nella scuola
superiore se non vaccinati in precedenza. L’obiettivo è la vaccinazione di routine di tutti gli adolescenti di 11 anni iniziando
nel 2008. I vaccini MCV4 e Tdap (tossoide difterico e tetanico
richiamo per la pertosse acellulare) devono essere somministrati
agli adolescenti durante la stessa visita se sono indicati entrambi
i vaccini. Se ciò non è possibile, MCV4 e Tdap possono essere
somministrati in qualsiasi sequenza con un intervallo minimo di
un mese tra i vaccini. L’MCV4 è inoltre raccomandato per tutte le
matricole di college che vivono in studentati. Molti college e università e alcuni stati hanno reso obbligatoria la vaccinazione per
il meningococco per tutte le matricole appena iscritte. L’MCV4
è inoltre indicato per altri adolescenti che vogliono ridurre il
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Capitolo 191
rischio di malattia meningococcica. I vaccini tetravalenti per il
meningococco sono raccomandati anche per i bambini degli Stati
Uniti 2 anni di età con asplenia anatomica o funzionale, deficit
di componenti del complemento che impediscono la formazione
del complesso dell’attacco terminale, o che devono compiere un
viaggio in aree con tassi iperendemici o epidemici di infezione meningococcica come l’Africa subsahariana nel corso della stagione
secca da dicembre a giugno. Informazioni specifiche per i viaggi
sono disponibili sul sito dei CDC http://cdc.gov/travel.
I vaccini meningococcici vengono anche usati di routine per
le reclute militari americane e per controllare le epidemie locali
continuative di malattia meningococcica causate da un sierogruppo vaccinico.
È stata riportata un’associazione temporalmente correlata della
sindrome di Guillain-Barré con la somministrazione di vaccino
meningococcico, anche se il tasso nei soggetti vaccinati è simile a
quello nella popolazione generale (vedi Capitolo 615). I soggetti
con sindrome di Guillain-Barré diagnosticata in precedenza non
devono ricevere un vaccino meningococcico coniugato.
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Neisseria gonorrhoeae (gonococco)
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Capitolo 191 ■ Neisseria gonorrhoeae
(gonococco) Toni Darville
La Neisseria gonorrhoeae causa varie forme di gonorrea, un’infezione delle mucose delle vie urinarie e raramente della mucosa di retto, orofaringe e congiuntiva. La gonorrea perinatale o
trasmessa per contatto sessuale è seconda soltanto alle infezioni
da clamidia per numero di casi riportati ai Centers for Disease
Control and Prevention (CDC) negli Stati Uniti. Questa elevata
prevalenza e lo sviluppo di ceppi antibiotico-resistenti hanno
prodotto una significativa morbilità negli adolescenti.
EZIOLOGIA. La N. gonorrhoeae è un diplococco intracellulare
Gram-negativo aerobio, non mobile e che non forma spore, con
superfici adiacenti appiattite. La crescita ottimale avviene a 35-37
°C e a un pH di 7,2-7,6 in un’atmosfera al 3-5% di anidride
carbonica. Il campione deve essere inoculato immediatamente su
un terreno di Thyaer-Martin modificato, fresco e umido, oppure
su un terreno specializzato di trasporto in quanto i gonococchi
non tollerano l’essiccamento. Il terreno di Thayer-Martin contiene agenti antimicrobici che inibiscono la flora normale presente
nei campioni clinici, che altrimenti potrebbe crescere in maggiore
misura dei gonococchi. La diagnosi presuntiva si basa sull’aspetto
delle colonie, sulla colorazione di Gram e sulla produzione di
citocromo ossidasi. I gonococchi vengono distinti da altre specie
di Neisseria in base alla fermentazione del glucosio ma non del
maltosio, saccarosio o lattosio. I diplococchi Gram-negativi si
osservano nel materiale infetto, spesso con leucociti polimorfonucleati.
Come tutti i batteri Gram-negativi, la N. gonorrhoeae possiede
un involucro cellulare composto di una membrana citoplasmatica
interna, uno strato intermedio di peptidoglicano e una membrana
esterna. La membrana esterna contiene lipo-oligosaccaridi (endotossine), fosfolipidi e diverse proteine che contribuiscono all’aderenza cellulare, all’invasione tissutale e alla resistenza alle difese
dell’ospite. I 2 sistemi primariamente utilizzati per caratterizzare
i ceppi gonococcici sono l’auxotipizzazione e la sierotipizzazione.
L’auxotipizzazione si basa sulle necessità geneticamente stabili dei
vari ceppi per specifici nutrienti o cofattori determinati in base
alla capacità di un isolato di crescere su terreni chimicamente
definiti. Il sistema di sierotipizzazione più utilizzato si basa sulla
porina, una proteina trimerica della membrana esterna che costituisce una parte sostanziale della struttura dell’involucro del
gonococco. Gli anticorpi generati nei confronti delle porine sono
stati utilizzati per sierotipizzare i gonococchi (per es. PorIA-4 e
PorIB-12) e si ritiene che i mutamenti delle porine presenti in una
comunità avvengano, almeno in parte, in seguito a una pressione
immunitaria selettiva.
EPIDEMIOLOGIA. L’infezione da N. gonorrhoeae si verifica solamente negli esseri umani. Il microrganismo viene eliminato
nell’essudato e nelle secrezioni delle mucose infette e viene trasmesso attraverso i contatti intimi, come i contatti sessuali o il
parto e, raramente, da contatto con fomiti. Le infezioni gonococciche nel periodo neonatale generalmente vengono acquisite
durante il parto. La gonorrea è l’infezione sessualmente trasmessa
che si osserva più spesso nei bambini vittime di violenza sessuale.
Raramente, la N. gonorrhoeae può diffondersi attraverso giochi
sessuali tra bambini, ma è probabile che il paziente indice sia una
vittima di violenza sessuale. Le infezioni gonococciche nel bambino raramente sono acquisite attraverso l’esposizione in ambito
domestico a caretaker infetti. In questi casi, occorre considerare
seriamente la possibilità che sia avvenuta una violenza sessuale.
Il numero di casi riportati di gonorrea è aumentato stabilmente negli Stati Uniti dal 1964 al 1977, è fluttuato nei primi anni
’80 ed è aumentato fino al 1987, quando il tasso riportato era
323/100 000. I tassi sono diminuiti annualmente dal 1987 al
1996, quando il tasso riportato era 123/100 000, dopo di che
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PARTE XVI
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Malattie infettive
il tasso è fluttuato anno per anno con un tasso di 125/100 000
riportato nel 2002. Il declino della prevalenza della gonorrea può
essere attribuito alla raccomandazione da parte dei CDC di usare
solo antibiotici altamente efficaci. L’incidenza di gonorrea è più
elevata nelle aree ad alta densità urbana in soggetti con meno di
24 anni di età che hanno diversi partner sessuali e hanno rapporti
sessuali non protetti. Un aumento della prevalenza della gonorrea
è stato notato recentemente in uomini che avevano rapporti sessuali con altri uomini (MSM). I fattori di rischio comprendono
razza non bianca, omosessualità, aumento del numero di partner
sessuali, prostituzione, presenza di altre infezioni sessualmente
trasmesse, stato civile di non coniugato, povertà e mancato uso
di profilattici. Tecniche di auxotipizzazione e sierotipizzazione e,
più recentemente, di tipizzazione molecolare sono state utilizzate
per analizzare la diffusione di ceppi individuali di N. gonorrhoeae
all’interno di una comunità.
Il mantenimento e la successiva diffusione delle infezioni gonococciche in una comunità richiedono un gruppo di base ad alto
rischio con elevata endemia come le prostitute o gli adolescenti
con partner sessuali multipli. Questo perché la maggior parte
delle persone che hanno la gonorrea cessa di avere rapporti
sessuali e cerca assistenza, a meno che le necessità economiche o
altri fattori (per es. la dipendenza da sostanze) non le spingano a
un’attività sessuale persistente. Pertanto, molti soggetti infettanti
appartengono a un sottogruppo di persone infette che non hanno
o ignorano i sintomi e continuano a essere sessualmente attive.
Ciò sottolinea l’importanza di individuare e trattare i partner sessuali delle persone infette che si presentano per il trattamento.
L’infezione gonococcica dei neonati di solito deriva dall’esposizione peripartum a essudato infetto dalla cervice uterina materna.
Un’infezione acuta inizia 2-5 giorni dopo la nascita. L’incidenza
di infezione neonatale dipende dalla prevalenza di infezione gonococcica nelle donne gravide, dallo screening prenatale per la
gonorrea e dalla profilassi oftalmica neonatale.
ANATOMIA PATOLOGICA E PATOGENESI. La N. gonorrhoeae infetta primariamente l’epitelio colonnare, mentre l’epitelio squamoso stratificato è relativamente resistente all’invasione. L’invasione
delle mucose da parte dei gonococchi risulta in una risposta
infiammatoria locale che produce un essudato purulento consistente in leucociti polimorfonucleati, siero ed epitelio desquamato. Il lipo-oligosaccaride gonococcico (endotossina) esibisce
una citotossicità diretta, causando ciliostasi e caduta delle cellule
epiteliali ciliate. Una volta che il gonococco attraversa la barriera mucosa, il lipo-oligosaccaride si lega all’immunoglobulina
battericida M (IgM) e al complemento sierico, provocando una
risposta infiammatoria acuta nello spazio subepiteliale. Si ritiene
che il fattore di necrosi tumorale e altre citochine medino la
citotossicità delle infezioni gonococciche. I gonococchi possono
risalire il tratto urogenitale e nei maschi dopo la pubertà possono causare uretrite o epididimite, mentre nelle femmine dopo
la pubertà possono causare endometrite, salpingite e peritonite,
note con il termine collettivo di malattia infiammatoria pelvica
acuta (PID). La disseminazione dalle tube di Falloppio attraverso
il peritoneo alla capsula epatica risulta in periepatite (sindrome
di Fitz-Hugh-Curtis). I gonococchi che invadono i vasi linfatici
e sanguigni possono portare a linfoadenopatia inguinale, ascesso
perineale, perianale, ischiorettale e periprostatico e a infezione
gonococcica disseminata (DGI).
Diversi fattori di virulenza gonococcici e diversi fattori immunitari dell’ospite sono coinvolti nella penetrazione della barriera mucosa e nelle successive manifestazioni di infezione locale
e sistemica. La pressione selettiva di diversi ambienti mucosali
causa probabilmente cambiamenti della membrana esterna del
microrganismo, compresa l’espressione di varianti dei pili, delle
proteine di opacità o Opa (in precedenza proteina II) e dei lipooligosaccaridi. Questi cambiamenti possono stimolare l’attaccamento dei gonococchi, l’invasione, la replicazione e l’evasione
delle risposte immunitarie dell’ospite.
Perché si verifichi l’infezione, il gonococco deve prima attaccarsi alle cellule dell’ospite. Una IgA proteasi gonococcica inattiva
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le IgA1 scindendo la molecola nella regione cerniera e può essere
un fattore importante nella colonizzazione o nell’invasione delle
superfici mucose dell’ospite. I gonococchi aderiscono ai microvilli
delle cellule epiteliali non ciliate mediante strutture proteiche simili a peli (pili) che si estendono dalla parete cellulare. Si ritiene
che i pili proteggano il gonococco dalla fagocitosi e dal killing
mediato dal complemento. I pili vanno incontro a una variazione
antigenica a frequenza elevata che può facilitare l’evitamento da
parte del microrganismo delle difese immunitarie dell’ospite e
può fornire ligandi specifici per differenti recettori cellulari. Si
ritiene che anche le proteine di opacità, la maggior parte delle
quali conferiscono un aspetto opaco alle colonie, funzionino da
ligandi per facilitare il legame alle cellule umane. I gonococchi
che esprimono certe proteine Opa aderiscono e sono fagocitati
dai neutrofili umani in assenza di siero.
Altre variazioni fenotipiche che si verificano in risposta agli
stress ambientali permettono ai gonococchi di stabilire l’infezione. Esempi sono le proteine ferro-reprimibili per il legame della
transferrina o della lattoferrina, le proteine espresse anaerobicamente e la sintesi di proteine mediata dal contatto con le cellule
epiteliali. I gonococchi possono crescere in vivo in condizioni
anaerobiche o in un ambiente con una carenza relativa di ferro.
Circa 24 ore dopo l’attaccamento, la superficie della cellula
epiteliale si invagina e circonda il gonococco in un vacuolo fagocitico. Si ritiene che questo fenomeno sia mediato dalla proteina
I della membrana esterna del gonococco, che si inserisce nella
cellula ospite e provoca alterazioni della permeabilità della membrana. Successivamente, i vacuoli fagocitici iniziano a rilasciare
gonococchi nello spazio subepiteliale per mezzo dell’esocitosi. I
microrganismi vitali possono quindi causare malattia locale (cioè
salpingite) o disseminarsi attraverso il circolo o i linfatici.
Le IgG e le IgM sieriche dirette contro le proteine gonococciche
e i lipo-oligosaccaridi causano una lisi batterica mediata dal complemento. Una resistenza sierica stabile contro questi anticorpi
battericidi probabilmente deriva da un tipo particolare di proteina
porinica espressa nei gonococchi (la maggior parte contiene PorIA) e questi ceppi sono spesso causa di malattia disseminata. La
N. gonorrhoeae altera in modo differenziato l’efficacia del complemento e altera le risposte infiammatorie elicitate nell’infezione
umana. Gli isolati da casi di DGI tipicamente resistono al killing
da parte del siero normale (sono cioè siero-resistenti), inattivano
più C3b, generano meno C5a e causano meno infiammazione
locale. Gli isolati nella PID sono siero-sensibili, inattivano meno C3b, generano più C5a e causano maggiore infiammazione
locale. Gli anticorpi IgG diretti contro la proteina modificabile
con riduzione gonococcica (Rmp) bloccano il killing mediato dal
complemento della N. gonorrhoeae. Gli anticorpi bloccanti antiRmp possono avere una specificità per sequenze proteiche della
membrana esterna condivise da altre specie di Neisseria o Enterobacteriaceae oppure possono essere diretti contro sequenze uniche
specifiche con un anello cisteinico upstream di Rmp, o entrambe
le cose. Anticorpi preesistenti diretti contro la Rmp facilitano
la trasmissione dell’infezione gonococcica alle donne esposte; la
Rmp è altamente conservata nella N. gonorrhoeae e il blocco delle
difese mucose può costituire una delle sue funzioni. L’adattamento
del gonococco sembra essere importante anche nell’evitamento
del killing da parte dei neutrofili. Gli esempi comprendono la
salificazione dei lipo-oligosaccaridi, l’aumento della produzione
di catalasi e alcuni cambiamenti dell’espressione delle proteine
di superficie.
I fattori dell’ospite possono influenzare l’incidenza e le manifestazioni dell’infezione gonococcica. Le ragazze prepuberi sono
suscettibili alla vulvovaginite e, raramente, presentano una salpingite. La N. gonorrhoeae infetta l’epitelio non corneificato,
e il sottile epitelio vaginale non corneificato e il pH alcalino
della mucina vaginale predispongono questo gruppo di età alle
infezioni del tratto genitale inferiore. La corneificazione indotta
dagli estrogeni dell’epitelio vaginale nelle neonate e nelle donne
mature resiste all’infezione. Le femmine in età postpuberale sono
più suscettibili alla salpingite, quando, durante le mestruazioni, la
riduzione dell’attività battericida del muco cervicale e il reflusso
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Capitolo 191
di sangue dalla cavità uterina nelle tube di Falloppio facilitano il
passaggio dei gonococchi nel tratto riproduttivo superiore.
Le popolazioni a rischio di DGI comprendono i portatori asintomatici, i neonati, le donne mestruate, gravide o nel periodo
postpartum, gli omosessuali e gli ospiti immunocompromessi.
Lo stato di portatore asintomatico implica l’incapacità del sistema immunitario dell’ospite di riconoscere il gonococco come
un patogeno, la capacità del gonococco di evitare l’eliminazione
o entrambe le cose. La colonizzazione faringea è stata proposta
come fattore di rischio per la DGI. L’elevato tasso di infezione
asintomatica nella gonorrea faringea potrebbe spiegare questo
fenomeno. Le donne hanno un rischio aumentato di sviluppare
una DGI durante le mestruazioni e la gravidanza e il postpartum,
forse a causa della massima disseminazione endocervicale e della
ridotta attività battericida perossidasica del muco cervicale durante questi periodi. Si ritiene che la mancanza di anticorpi IgM
battericidi neonatali possa spiegare l’aumento della suscettibilità
del neonato alla DGI. I soggetti con deficit delle componenti terminali del complemento (C5-C9) hanno un rischio considerevole
di sviluppare episodi ricorrenti di DGI.
MANIFESTAZIONI CLINICHE. La gonorrea si manifesta con uno
spettro di presentazioni cliniche che vanno dallo stato di portatore asintomatico alle caratteristiche infezioni urogenitali localizzate fino all’infezione sistemica disseminata (vedi Capitolo 119).
Gonorrea asintomatica. L’incidenza di questa forma di gonorrea
nel bambino non è stata accertata. I gonococchi sono stati isolati
dall’orofaringe di bambini piccoli sottoposti a violenza sessuale
da parte di uomini; i sintomi orofaringei sono di solito assenti. La
maggior parte delle infezioni del tratto genitale produce sintomi
nei bambini. Tuttavia, almeno l’80% delle donne sessualmente
mature con infezioni urogenitali gonococciche è asintomatico in
situazioni in cui la maggior parte delle infezioni è individuata
per mezzo di screening o di altre iniziative per la ricerca dei
casi, diversamente dagli uomini che sono asintomatici soltanto il
10% delle volte. Lo stato di portatore rettale asintomatico di N.
gonorrhoeae è stato documentato nel 40-60% delle femmine con
infezione urogenitale. La maggior parte delle persone con coltura
rettale positiva è asintomatica. La maggior parte delle infezioni
gonococciche faringee è asintomatica. L’importanza di documentare l’infezione faringea è controversa. La maggior parte dei casi
si risolve spontaneamente, la trasmissione dalla faringe ad altri
pazienti è infrequente e la faringe è solo raramente l’unico sito di
infezione. Tuttavia, l’infezione faringea asintomatica può causare
infezioni sistemiche ed è occasionalmente la fonte di trasmissione
ai partner sessuali.
Gonorrea non complicata. La gonorrea genitale ha un periodo
di incubazione di 2-5 giorni nei maschi e di 5-10 giorni nelle
femmine. L’infezione primitiva si sviluppa nell’uretra maschile,
nella vulva e nella vagina delle femmine prepuberi e nella cervice delle femmine postpuberi. L’oftalmite neonatale si verifica in
entrambi i sessi.
L’uretrite di solito è caratterizzata da perdite purulente e da
disuria senza urgenza o pollachiuria. Nei maschi l’uretrite non
trattata si risolve spontaneamente in diverse settimane oppure
può essere complicata da epididimite, edema del pene, linfangite,
prostatite o infiammazione delle vescicole seminali. Diplococchi
Gram-negativi intracellulari sono presenti nelle perdite.
Nelle femmine prepuberi, la vulvovaginite è di solito caratterizzata da perdite purulente vaginali con una vulva edematosa,
dolente, eritematosa ed escoriata. Può essere presente disuria.
Nelle femmine postpuberi, la cervicite e l’uretrite gonococciche
sintomatiche sono caratterizzate da perdite purulente, dolore soprapubico, disuria, sanguinamento intermestruale e dispareunia.
La cervice può essere infiammata e dolente. Nella gonorrea urogenitale, limitatamente al tratto genitale inferiore, il dolore non
è aumentato dalla mobilizzazione della cervice e gli annessi non
sono dolenti alla palpazione. Materiale purulento può essere
spremuto dall’uretra o dai dotti delle ghiandole di Bartolini. La
gonorrea rettale, anche se spesso asintomatica, può causare proctite con sintomi comprendenti perdite, prurito, sanguinamento,
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Neisseria gonorrhoeae (gonococco)
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dolore a livello anale, oltre che tenesmo e stipsi. La gonorrea
rettale asintomatica può non essere dovuta a rapporti anali ma
può rappresentare la colonizzazione da parte di un’infezione vaginale.
L’oftalmite gonococcica può essere unilaterale o bilaterale. Può
verificarsi in qualsiasi gruppo di età dopo inoculo dell’occhio con
secrezioni infette. L’ophtalmia neonatorum da N. gonorrhoeae
di solito compare da 1 a 4 giorni dopo la nascita (vedi Capitolo 625). Nei pazienti più anziani, l’infezione oculare deriva da
inoculo o autoinoculo da un sito genitale. L’infezione inizia con
un’infiammazione lieve e perdite sieroematiche. Entro 24 ore,
le perdite divengono dense e purulente, e compare un edema
palpebrale teso con cremosi marcata. Se la malattia non è trattata prontamente possono fare seguito ulcere corneali, rottura
corneale e cecità.
Infezione gonococcica disseminata. La disseminazione ematogena si verifica nell’1-3% di tutte le infezioni gonococciche, più
frequentemente in seguito a infezioni primitive asintomatiche più
che a infezioni sintomatiche. Le donne sono interessate nella
maggior parte dei casi, con sintomi che iniziano 7-30 giorni dopo
l’infezione ed entro 7 giorni dalle mestruazioni. Le manifestazioni più comuni sono artralgie simmetriche, lesioni cutanee delle
estremità di tipo petecchiale o pustoloso, tenosinovite, artrite
suppurativa e, raramente, cardite, meningite e osteomielite. I
sintomi iniziali più comuni sono l’esordio acuto di poliartralgia
con febbre. Soltanto il 25% dei pazienti lamenta lesioni cutanee.
La maggior parte nega sintomi di tipo genitourinario; tuttavia,
un’infezione mucosale primitiva è documentata dalle colture genitourinarie. L’80-90% circa delle colture cervicali è positivo nelle
donne con DGI. Nei maschi, le colture uretrali sono positive nel
50-60% dei casi, le colture faringee nel 10-20% dei casi e le
colture rettali nel 15% dei casi.
La DGI è stata classificata in 2 sindromi cliniche che sotto
alcuni aspetti si sovrappongono. La prima e più comune è la
sindrome della tenosinovite-dermatite, caratterizzata da febbre,
brividi, lesioni cutanee e poliartralgia che interessa prevalentemente polsi, mani e dita. I risultati delle emocolture sono positivi nel 30-40% circa dei casi e le colture del liquido sinoviale
sono quasi sempre negative. La seconda sindrome è la sindrome
dell’artrite suppurativa, in cui i segni e sintomi sistemici sono
meno evidenti e l’artrite monoarticolare, spesso interessante il
ginocchio, è più comune. Una fase di poliartralgia può precedere
l’infezione monoarticolare. Nei casi di interessamento monoarticolare, la coltura del liquido sinoviale è positiva nel 45-55%
circa dei casi e gli aspetti del liquido sinoviale sono compatibili
con un’artrite settica. I risultati dell’emocoltura sono di solito
negativi. La DGI nei neonati di solito si verifica come un’artrite
suppurativa poliarticolare.
Le lesioni dermatologiche iniziano di solito come macule rosse
o rosa discrete, dolenti, del diametro da 1 a 20 mm, che progrediscono fino a lesioni maculopapulose, vescicolari, bollose,
pustolose o petecchiali. La tipica pustola necrotica su una base
eritematosa è distribuita in modo irregolare sulle estremità, comprese le superfici palmari e plantari, risparmiando di solito il
viso e il cuoio capelluto. Il numero delle lesioni è tra 5 e 40 e il
20-30% contiene gonococchi. Anche se nella DGI possono essere
presenti immunocomplessi, i livelli di complemento sono normali
e il ruolo dei complessi immuni nella patogenesi è incerto.
L’endocardite acuta è un’infrequente (1-2%) ma spesso fatale
manifestazione della DGI, che di solito porta a rapida distruzione
della valvola aortica. La pericardite acuta è un’entità raramente
descritta nei pazienti con gonorrea disseminata. È stata documentata una meningite da N. gonorrhoeae. Segni e sintomi sono simili
a quelli di qualsiasi meningite batterica acuta.
DIAGNOSI. Non è possibile distinguere l’uretrite gonococcica da
quella non gonococcica sulla base dei soli segni e sintomi. L’uretrite e la vulvovaginite gonococciche devono essere distinte da altre infezioni che causano perdite purulente, tra cui streptococchi
-emolitici, C. trachomatis, Mycoplasma hominis, Trichomonas
vaginalis e Candida albicans. Raramente, l’infezione da virus
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PARTE XVI
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Malattie infettive
herpes simplex umano di tipo 2 produce sintomi simili a quelli
della gonorrea.
Nei maschi con uretrite sintomatica, una diagnosi presuntiva
di gonorrea può essere posta con l’identificazione dei diplococchi
intracellulari Gram-negativi (all’interno dei leucociti) nelle perdite uretrali. Un aspetto simile nelle femmine non è sufficiente
in quanto la Mima polymorpha e la Moraxella, che fanno parte
della normale flora vaginale, hanno un aspetto simile. Anche la
sensibilità della colorazione di Gram per la diagnosi di cervicite
gonococcica e delle infezioni asintomatiche è ridotta. La presenza
di specie di Neisseria commensali nell’orofaringe impedisce l’uso
della colorazione di Gram per la diagnosi di gonorrea faringea.
I microrganismi delle specie non patogene di Neisseria non vengono ritrovati all’interno delle cellule.
La diagnosi di malattia gonococcica dipende dall’isolamento
della N. gonorrhoeae. I test di sensibilità agli antibiotici necessitano di isolamento in coltura. I campioni uretrali maschili
sono ottenuti inserendo un piccolo tampone 2-3 cm all’interno
dell’uretra. Il materiale per le colture cervicali viene ottenuto
dopo pulizia dell’esocervice e dopo avere inserito un tampone
nell’orifizio cervicale e averlo ruotato delicatamente per diversi
secondi. I tamponi rettali vengono ottenuti nel modo migliore
passando un tampone 2-4 cm nel canale anale; occorre scartare
i campioni fortemente contaminati dalle feci. Per risultati colturali ottimali, i campioni devono essere prelevati con tamponi
non in cotone (per es. un Calciswab uretrogenitale), inoculati
direttamente sulle piastre di coltura e incubati immediatamente.
La scelta dei siti anatomici per la coltura dipende dai siti esposti
e dalle manifestazioni cliniche. Nei maschi eterosessuali devono
essere prelevati campioni uretrali, mentre in tutte le femmine
occorre prelevare campioni dall’endocervice e dal retto, indipendentemente da un’anamnesi di rapporti anali. Una coltura
faringea deve essere eseguita sia nei maschi sia nelle femmine se
sono presenti sintomi di faringite o in caso di esposizione orale
a una persona che ha una gonorrea genitale. In un caso sospetto
di violenza sessuale su un bambino, occorre eseguire un tampone
rettale, un tampone faringeo e un tampone uretrale (maschi) o
vaginale (femmine). La coltura dell’endocervice non deve essere
tentata fino a dopo la pubertà.
I campioni da siti (per es. cervice, retto, faringe) che normalmente sono colonizzati da altri microrganismi devono essere inoculati in un terreno selettivo, come un terreno di Thayer-Martin
modificato (fortificato con vancomicina, colistina, nistatina e trimetoprim per inibire la crescita della flora indigena). I campioni
da siti che sono normalmente sterili o minimamente contaminati
(cioè liquido sinoviale, sangue, liquido cerebrospinale) devono
essere inoculati in un terreno agar-cioccolato non selettivo. Se
si sospetta una DGI, devono essere ottenute colture da sangue,
faringe, retto, uretra, cervice e liquido sinoviale (se interessato). I
campioni messi in coltura devono essere subito incubati a 35-37
°C in atmosfera al 3-5% di anidride carbonica. Quando occorre
trasportare i campioni in un laboratorio centrale per la messa in
coltura, un mezzo privo di nutrienti (terreno di Stuart modificato
da Amies) conserva i campioni con una perdita minima di vitalità
per più di 6 ore. Quando il trasporto può ritardare la messa in
coltura per più di 6 ore, è preferibile inoculare il campione direttamente in un terreno di coltura e trasportarlo a temperatura
ambiente in un candle jar. I sistemi Transgrow e JEMBEC con
terreno di Thayer-Martin modificato sono sistemi di trasporto alternativi. Quando non è immediatamente disponibile un laboratorio o i pazienti non sono disponibili per un follow-up, possono
essere efficaci le tecniche diagnostiche rapide. Occorre selezionare
e interpretare con cura i risultati in quanto molti test rapidi sono
specifici delle colture. I test non colturali comprendono test immunoenzimatici (EIA, anticorpi policlonali antigonococcici per la
ricerca dell’antigene gonococcico), test di immunoassorbimento
enzimatico (ELISA, anticorpi monoclonali), sonde DNA e test di
amplificazione dell’acido nucleico (NAAT). Questi test sembrano
essere meno affidabili della coltura nei pazienti asintomatici a
basso rischio, per i campioni non genitali e per i campioni ottenuti da bambini.
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Le sonde DNA sono approvate dalla FDA per la diagnosi
della gonorrea con tamponi endocervicali per cui si sono dimostrate paragonabili alla coltura per ciò che riguarda sensibilità
e specificità. I test di amplificazione dell’acido nucleico sono
più sensibili della coltura e più rapidi da eseguire, ma anche
più costosi. I test non colturali non possono sostituire le colture
batteriologiche per la diagnosi definitiva di N. gonorrhoeae o
per l’esecuzione di un antibiogramma. Essi possono servire da
utili strumenti diagnostici in popolazioni transitorie a elevata
prevalenza (per es. negli ambulatori per le malattie sessualmente
trasmesse degli adolescenti), in cui è necessaria una diagnosi
rapida e accuratamente presuntiva per un rapido inizio della
terapia. La capacità del NAAT di individuare i microrganismi
in campioni di urine ha permesso lo screening non invasivo di
grandi popolazioni.
L’artrite gonococcica deve essere distinta da altre forme di
artrite settica e anche da febbre reumatica, artrite reumatoide,
malattia intestinale infiammatoria e artrite secondaria a rosolia
o vaccinazione per la rosolia. La congiuntivite gonococcica nel
periodo neonatale deve essere differenziata dalla congiuntivite
chimica causata dalle gocce di nitrato d’argento come anche dalla
congiuntivite da C. trachomatis, Staphylococcus aureus, streptococco di gruppo A o B, Pseudomonas aeruginosa, Streptococcus
pneumoniae o virus herpes simplex umano di tipo 2.
TRATTAMENTO. Tutti i pazienti con gonorrea presunta o accertata
devono essere valutati per la presenza concomitante di sifilide,
epatite B, HIV e infezione da C. trachomatis. L’incidenza di coinfezione da Chlamydia è del 15-25% nei maschi e del 35-50%
nelle femmine. I pazienti oltre il periodo neonatale devono essere
trattati in via presuntiva per infezione da C. trachomatis (vedi
Capitolo 223.2). I partner sessuali esposti nei 60 giorni precedenti devono essere esaminati, devono essere eseguite le colture
e deve essere iniziato un trattamento su basi presuntive.
A causa della prevalenza della N. gonorrhoeae penicillinoresistente, come terapia iniziale per tutte le età è raccomandata
una cefalosporina di 3a generazione. La resistenza agli antibiotici
nella N. gonorrhoeae si verifica sotto forma di resistenza mediata
da plasmidi a penicillina e tetraciclina e come resistenza mediata
da cromosomi a penicillina, tetracicline, spectinomicina e recentemente ai fluorochinolonici.
Infezioni degli adolescenti e degli adulti. Una singola dose di ceftriaxone (125 mg im) eradica le infezioni gonococciche faringee
e urogenitali non complicate. Il ceftriaxone è sicuro ed efficace
nelle donne gravide e probabilmente elimina la sifilide in incubazione. Schemi terapeutici alternativi comprendono cefixima (400
mg per os), ciprofloxacina (500 mg per os), ofloxacina (400 mg
per os) o levofloxacina (250 mg per os) in dose singola. L’efficacia della cefixima nei confronti della sifilide in incubazione è
incerta. I chinolonici non sono approvati nei soggetti 18 anni
di età negli Stati Uniti e non eliminano la sifilide in incubazione.
I chinolonici non devono essere usati per le infezioni acquisite in
Asia o nel Pacifico, comprese le Hawaii. Inoltre, l’uso dei chinolonici è sconsigliabile per il trattamento delle infezioni acquisite
in California e in altre aree con aumento della prevalenza della
resistenza ai chinolonici. Inoltre, recenti dati nazionali suggeriscono che la prevalenza della resistenza ai chinolonici nei maschi
che hanno rapporti sessuali con altri maschi (MSM) è marcata
(probabilmente 5%), sostanziando così le raccomandazioni
dei CDC contro l’uso dei chinolonici negli MSM con infezione
gonococcica sospetta o provata. Oltre ai fluorochinolonici, la
cefixima, la cui produzione è stata sospesa nel 2002, è l’unico
antibiotico orale raccomandato dai CDC per il trattamento della
gonorrea. La spectinomicina (40 mg/kg, dose massima 2 g) in
dose singola im rimane altamente efficace per la gonorrea rettale
e genitale negli Stati Uniti, ma è inefficace per l’infezione faringea
e non inibisce il T. pallidum. Indipendentemente dallo schema
terapeutico prescelto, il trattamento deve essere seguito da uno
schema terapeutico attivo contro il T. trachomatis. I trattamenti
raccomandati sono doxiciclina (100 mg per os 2 volte al giorno
per 7 giorni) o azitromicina (1 g per os in dose singola). Per gli
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Capitolo 191
adolescenti e gli adulti asintomatici dopo il trattamento non
occorre una coltura per confermare la guarigione. Le donne
gravide non devono essere trattate con chinolonici o tetracicline.
Le donne con infezione da N. gonorrhoeae devono essere trattate
con una cefalosporina raccomandata o alternativa. Le donne che
non tollerano una cefalosporina devono assumere spectinomicina (2 g im in dose singola). Sia l’eritromicina sia l’amoxicillina
sono raccomandate per il trattamento dell’infezione presunta o
accertata da C. trachomatis durante la gravidanza.
Il trattamento iniziale della DGI comprende l’ospedalizzazione e la somministrazione parenterale di ceftriaxone (1 g/die). I
pazienti devono essere esaminati per l’evidenza clinica di endocardite e meningite. Le alternative per gli adulti e per i ragazzi
nell’età della tarda adolescenza comprendono cefotaxima (1 g
ev ogni 8 ore) o ceftizoxima (1 g ev ogni 8 ore), o per i pazienti
allergici ai -lattamici, ciprofloxacina (400 mg ev ogni 12 ore),
ofloxacina (400 mg ev ogni 12 ore), levofloxacina (250 mg ev
ogni 24 ore) o spectinomicina (2 g im ogni 12 ore). Il trattamento
può passare agli antibiotici orali dopo 24-48 ore e quando è evidente un miglioramento clinico. Il trattamento orale comprende
cefixima (400 mg per os 2 volte al giorno), ciprofloxacina (500
mg per os 2 volte al giorno) o oflaxacina (400 mg per os 2
volte al giorno) per completare 7 giorni di terapia. La congiuntivite gonococcica deve essere trattata con ceftriaxone (1 g im
in dose singola) con lavaggio dell’occhio infetto con soluzione
fisiologica. La meningite è trattata con ceftriaxone (1-2 g ev
ogni 12 ore) per 10-14 giorni. L’endocardite è trattata per 4
settimane con ceftriaxone (1-2 g ev ogni 12 ore). È importante
la terapia concomitante per il trattamento dell’infezione genitale
da Chlamydia.
Infezioni neonatali e pediatriche. Le infezioni gonococciche non
complicate nei bambini devono essere trattate con ceftriaxone
in dose singola (50 mg/kg im, senza superare i 125 mg). I bambini che non tollerano il ceftriaxone possono essere trattati con
spectinomicina 40 mg/kg im in iniezione singola (dose massima,
2 g). I bambini con batteriemia o artrite devono essere trattati
con ceftriaxone (50 mg/kg/die, dose massima 1 g/die) per non
meno di 7 giorni se pesano 45 kg e per non meno di 10-14
giorni se pesano 45 kg). La meningite deve essere trattata per
10-14 giorni e l’endocardite per non meno di 28 giorni con
cetriaxone (50 mg/kg/dose ogni 12 ore, dose massina di 1-2
g ev ogni 12 ore). L’oftalmia gonococcica neonatale è trattata
efficacemente con una dose singola di ceftriaxone (50 mg/kg im,
senza superare i 125 mg); una dose singola di cefotaxima (100
mg/kg im) è un’alternativa accettabile. Le congiuntive devono
essere irrigate frequentemente con soluzione fisiologica. Anche i
neonati di madri con infezione gonococcica devono ricevere una
dose singola di ceftriaxone (50 mg/kg im, senza superare i 125
mg). La sepsi neonatale deve essere trattata per via parenterale
per almeno 7 giorni e la meningite per almeno 10 giorni. La cefotaxima è raccomandata per i neonati con iperbilirubinemia in
quanto il ceftriaxone compete per i siti di legame della bilirubina
sull’albumina. I neonati con oftalmite gonococcica devono essere
ricoverati e valutati per una DGI.
Malattia infiammatoria pelvica. La PID comprende uno spettro
di malattie infettive del tratto genitale superiore da N. gonorrhoeae, C. trachomatis e da flora endogena (streptococchi, anaerobi,
bacilli Gram-negativi). La terapia deve coprire un ampio spettro
e deve essere somministrata agli adolescenti come pazienti ambulatoriali. Uno schema terapeutico comunemente raccomandato
consiste in cefoxitina (2 g ev ogni 6 ore) o cefotetano (2 g ev
ogni 12 ore) più doxiciclina (100 mg per os o ev ogni 12 ore).
Si continua la terapia per almeno 48 ore dopo che il paziente è
migliorato. Successivamente, si somministra doxiciclina per os
per un totale di 10-14 giorni. Uno schema alternativo raccomandato è la clindamicina (900 mg ev ogni 8 ore) più una dose di
carico di gentamicina (2 mg/kg ev) seguita da mantenimento con
gentamicina (1,5 mg/kg ogni 8 ore). la terapia viene quindi continuata per 48 ore dopo il miglioramento del paziente ed è seguita
da clindamicina per os (450 mg per os per 4 volte al giorno) o
doxiciclina per os (100 mg per os ogni 12 ore) per completare
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Neisseria gonorrhoeae (gonococco)
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10-14 giorni di terapia. Se è presente uno IUD, deve essere rimosso e occorre usare una forma alternativa di controllo delle
nascite. I partner sessuali devono essere esaminati e trattati per
una gonorrea non complicata. Non è raccomandata una coltura
di follow-up (test di guarigione) per la terapia con cefalosporinadoxiciclina di una STD gonococcica a causa del ridotto tasso di
fallimento del trattamento. Una visita e una coltura di followup sono raccomandati a 1-2 mesi per valutare la possibilità di
reinfezione o, raramente, di fallimento del trattamento.
COMPLICANZE. Le complicanze della gonorrea derivano dalla
diffusione dei gonococchi da un sito locale d’infezione. L’intervallo tra infezione primaria e sviluppo di una complicanza è di
solito compreso tra giorni e settimane. Nelle femmine postpuberi, può verificarsi endometrite, specialmente nel corso delle
mestruazioni. Questa può progredire fino a salpingite e peritonie (PID). Le manifestazioni della PID comprendono segni di
infezione del tratto genitale inferiore (per es. perdite vaginali,
dolore sovrapubico e dolorabilità cervicale) e infezione del tratto genitale superiore (per es. febbre, leucocitosi, aumento della
VES e dolorabilità o massa annessiale). La diagnosi differenziale
comprende malattie ginecologiche (cisti ovarica, tumore ovarico,
gravidanza ectopica) e intra-addominali (appendicite, infezione
delle vie urinarie, malattia intestinale infiammatoria).
Una volta all’interno del peritoneo, i gonococchi possono disseminarsi alla capsula epatica, causando una periepatite con
dolore del quadrante superiore destro (sindrome di Fitz-HughCurtis), con o senza segni di salpingite. Una periepatite può inoltre essere causata da Chlamydia trachomatis. La progressione a
PID si verifica nel 20% circa dei casi di cervicite gonococcica e
la N. gonorrhoeae è isolata nel 40% circa dei casi di PID negli
Stati Uniti. I casi non trattati possono portare a idrosalpinge,
piosalpinge, ascesso tubo-ovarico e in ultimo a sterilità. Anche
con un adeguato trattamento della PID, il rischio di sterilità
causato da occlusione tubarica bilaterale si avvicina al 20%
dopo un episodio di salpingite e supera il 60% con 3 o più
episodi. Il rischio di gravidanza ectopica è aumentato di circa 7
volte dopo uno o più episodi di salpingite. Altre sequele di PID
comprendono dolore cronico, dispareunia e aumento del rischio
di PID ricorrente.
L’infezione gonococcica urogenitale acquisita nel 1° trimestre
di gravidanza comporta un rischio elevato di aborto settico.
Dopo la 16a settimana, l’infezione provoca corioamnionite, una
causa maggiore di rottura prematura delle membrane e di parto
prematuro.
PROGNOSI. Una diagnosi tempestiva e una terapia corretta assicurano una guarigione completa della malattia gonococcica non
complicata. Complicanze e sequele permanenti possono essere
associate a ritardo del trattamento, infezione ricorrente, siti infettivi metastatici (meningi, valvola aortica) e terapia ritardata
o topica dell’oftalmite gonococcica.
PREVENZIONE. Gli sforzi per sviluppare un vaccino per i pili del
gonococco sono stati fino ad ora senza successo. Il grado elevato
di variabilità antigenica inter- e intraceppo per i pili costituisce
un formidabile deterrente per lo sviluppo di un singolo vaccino
per i pili. Altre strutture di superficie dei gonococchi come le
proteine poriniche, le proteine di stress e i lipo-oligosaccaridi
possono dimostrarsi più promettenti come vaccini candidati. In
assenza di un vaccino, la prevenzione della gonorrea può essere
ottenuta con l’educazione, l’uso di contraccettivi barriera (specialmente profilattici e spermicidi), una sorveglianza epidemiologica e batteriologica intensiva (screening dei contatti sessuali) e
l’identificazione e il trattamento precoci dei contatti infetti.
L’ophtalmia neonatorum gonococcica può essere prevenuta
con l’instillazione di gocce di una soluzione all’1% di nitrato
d’argento in ciascun sacco congiuntivale subito dopo la nascita
(vedi Capitolo 625). Possono essere utilizzati anche pomate oftalmiche all’eritromicina (0,5%) o alla tetraciclina (1%).
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PARTE XVI
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Malattie infettive
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Capitolo 192 ■ Haemophilus influenzae
Susan E. Crawford e Robert S. Daum
Un vaccino efficace contro la malattia da Haemophilus influenzae di tipo b introdotto negli Stati Uniti e in molti altri Paesi ha
provocato una significativa riduzione dell’incidenza di infezioni
causate da questo microrganismo. Tuttavia, mortalità e morbilità
da infezione da H. influenzae di tipo b rimangono un problema
in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Casi occasionali di malattia invasiva causata da microrganismi di
tipo non b continuano a verificarsi, anche se infrequentemente.
Membri non tipizzabili della specie sono importanti cause di otite
media e sinusite.
EZIOLOGIA. L’H. influenzae è un coccobacillo pleiomorfo Gramnegativo esigente che richiede per la crescita il fattore X (ematina)
e il fattore V (fosfopiridina nucleotide). Alcuni isolati di H. influenzae sono circondati da una capsula polisaccaridica e possono
essere sierotipizzati in 6 tipi antigenicamente e biochimicamente
distinti designati con le lettere a-f.
EPIDEMIOLOGIA. Prima dell’avvento di un vaccino coniugato efficace per il tipo b nel 1988, l’H. influenzae di tipo b era una
causa maggiore di malattia severa nei bambini di tutti i Paesi.
Vi era una marcata distribuzione per età dei casi, con 90% dei
casi in bambini 5 anni di età e la maggior parte in bambini
2 anni di età. Il tasso annuale d’attacco della malattia invasiva
era di 64-129 casi/100 000 5 anni di età per anno. La malattia
invasiva causata da altri sierotipi capsulari è stata finora molto
meno frequente ma continua a verificarsi. L’incidenza di malattia
invasiva causata da sierotipi non di tipo b è stata stimata in circa
0,7 casi/100 000 bambini 5 anni di età per anno. Anche l’H.
influenzae non capsulato (non tipizzabile) causa malattia invasiva, specialmente nei neonati, nei bambini immunocompromessi
e nei bambini di alcuni Paesi in via di sviluppo. Gli isolati non
tipizzabili sono comuni agenti eziologici di otite media, sinusite
e bronchite cronica negli adulti. Gli esseri umani sono gli unici
ospiti naturali per l’H. influenzae, che fa parte della normale flora
respiratoria nel 60-90% dei bambini sani. La maggior parte degli
isolati è tipizzabile. Prima dell’avvento del vaccino coniugato,
l’H. influenzae di tipo b poteva essere isolato dalla faringe del
2-5% dei bambini sani in età prescolare e scolare, con tassi più
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bassi nei lattanti e negli adulti. La colonizzazione asintomatica
con l’H. influenzae di tipo b si verifica a un tasso molto più basso
nelle popolazioni vaccinate. La continuazione della circolazione
del microrganismo di tipo b nonostante gli attuali livelli di copertura vaccinale suggerisce che l’eliminazione della malattia di tipo
b può rappresentare un problema estremamente rilevante. I pochi
casi di malattia invasiva di tipo b negli Stati Uniti attualmente si
verificano sia in bambini non vaccinati sia in bambini che hanno
completato il ciclo vaccinale; circa la metà si verifica in lattanti
6 mesi di età, troppo piccoli per avere ricevuto un ciclo vaccinale primario di 2 o 3 dosi. Nei pazienti che per l’età possono
avere ricevuto un ciclo completo, circa 1/3 aveva ricevuto almeno
un ciclo primario di 3 dosi e circa 1/2 di questi aveva ricevuto
anche una dose booster. Saranno necessari sforzi continuativi per
fornire i vaccini coniugati attualmente disponibili ai bambini dei
Paesi in via di sviluppo dove le possibilità economiche restano
un problema importante.
Certi gruppi e individui hanno un’aumentata incidenza di malattia invasiva di tipo b, compresi gli Eschimesi dell’Alaska, gli
Apaches, i Navajos e i neri. Anche le persone con certe malattie
croniche hanno un aumento del rischio di malattia invasiva,
comprese quelle con malattia a cellule falciformi, asplenia, immunodeficienze congenite e acquisite, e neoplasie maligne. I lattanti
non vaccinati con infezione invasiva mantengono un aumento
del rischio di recidiva.
I fattori di rischio socioeconomici per la malattia invasiva da
H. influenzae di tipo b comprendono la frequenza di una struttura di child-care al di fuori dell’ambito domestico, la presenza di
fratelli o sorelle in età scolare (scuola elementare) o più piccoli,
un allattamento di breve durata e fumo dei genitori. Un’anamnesi
di otite media è associata a un aumento del rischio di malattia
invasiva. È molto meno conosciuta l’epidemiologia delle infezioni
da H. influenzae non di tipo b.
Tra i contatti domestici suscettibili per età che sono stati esposti
a un caso di malattia invasiva da H. influenzae di tipo b, esiste
un aumento del rischio di casi secondari di malattia invasiva nei
primi 30 giorni, specialmente nei bambini suscettibili 24 mesi
di età. Non è noto se un simile aumento del rischio si verifichi
per i contatti della malattia non b.
La modalità di trasmissione è più comunemente il contatto
diretto o l’inalazione di goccioline respiratorie contenenti l’H.
influenzae. Il periodo di incubazione della malattia invasiva è variabile ed è sconosciuto il periodo esatto di infettività. La maggior
parte dei bambini con malattia invasiva da H. influenzae di tipo
b ha una colonizzazione del nasofaringe prima dell’inizio della
terapia antibiotica; il 25-40% può restare colonizzato durante le
prime 24 ore di terapia.
Con il declino della malattia da microrganismi di tipo b, è stata
riconosciuta con maggiore chiarezza la malattia causata da altri
sierotipi (a, c, d, e, f) e da microrganismi non tipizzabili. Non vi
sono evidenze che sia aumentata la frequenza di queste infezioni
non di tipo b. Tuttavia, si sono verificati cluster di infezioni di tipo
a e, meno spesso, di tipo f. La distribuzione per età e lo spettro
clinico delle infezioni di tipo a sembrano essere simili a quelli del
tipo b in era prevaccinale.
PATOGENESI. I meccanismi che facilitano con successo una colonizzazione efficace dell’epitelio respiratorio non sono stati identificati. Successivamente all’adesione batterica alla mucosa respiratoria,
gli eventi che portano all’entrata nel compartimento intravascolare dei microrganismi di tipo b non sono chiari. Tuttavia, una volta
penetrato, l’H. influenzae e forse altri ceppi capsulati resistono
ai meccanismi di clearance intravascolare. Non è certo se sia la
stessa capsula di tipo b che conferisce il potenziale invasivo alla
malattia o un altro fattore di virulenza strettamente collegato. Una
volta stabilita, l’entità della batteriemia da H. influenzae di tipo b
e la sua durata determinano la probabilità di disseminazione dei
batteri in siti come le meningi o le articolazioni.
Le infezioni non invasive da H. influenzae come otite media,
sinusite e bronchite sono di solito causate da ceppi non tipizzabili.
Questi microrganismi penetrano in siti come l’orecchio medio e
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Capitolo 192
i seni paranasali per estensione diretta dal nasofaringe. I fattori
che facilitano la diffusione dalla faringe comprendono la disfunzione tubarica e le pregresse infezioni virali delle vie respiratorie
superiori.
Resistenza agli antibiotici. La maggior parte degli isolati di H.
influenzae è sensibile ad ampicillina o amoxicillina, ma circa 1/3
produce una -lattamasi ed è quindi resistente. Un isolato resistente all’ampicillina ␤-lattamasi-negativo (BLNAR) manifesta la
resistenza producendo un enzima di sintesi della parete cellulare
insensibile alla -lattamasi chiamato PBP3. È possibile che la frequenza di questi ceppi stia aumentando. L’amoxicillina-clavulanato
era un tempo considerata uniformemente attiva contro gli isolati
clinici di H. influenzae. Tuttavia, il 3% circa degli isolati -lattamasi-positivi è resistente all’amoxicillina-clavulanato. L’amoxicillina-clavulanato non offre alcuna sinergia apparente contro gli
isolati BLNAR. Tra i macrolidi, il 99% degli isolati di H. influenzae è sensibile all’azitromicina, mentre l’attività di eritromicina e
claritromicina contro gli isolati clinici di H. influenzae è scarsa.
Il chetolide telitromicina è meno attivo dell’azitromicina e non è
considerato utile per le infezioni da H. influenzae. La resistenza
alle cefalosporine di 3a generazione non è stata documentata.
La resistenza al trimetoprim-sulfametoxazolo è bassa (10%),
mentre la resistenza ai chinolonici è considerata infrequente.
Immunità. Il più importante elemento noto delle difese dell’ospite è rappresentato dagli anticorpi diretti contro il polisaccaride capsulare di tipo b poliribosilribitolo fosfato (PRP). Nell’era
prevaccinale, gli anticorpi anti-PRP erano acquisiti in relazione
all’età; il loro meccanismo d’azione consiste nel facilitare la clearance dell’H. influenzae di tipo b dal sangue. Ciò in parte è correlato
alla loro attività opsonizzante; anche altri anticorpi diretti contro
antigeni come le proteine o i lipopolisaccaridi della membrana
esterna possono avere un ruolo nell’opsonizzazione. Sia la via
classica del complemento, sia quella alternativa sono importanti
nell’opsonizzazione dell’H. influenzae di tipo b.
Prima dell’introduzione della vaccinazione e nei soggetti vaccinati con vaccini PRP non coniugati, si riteneva che la protezione dall’infezione da H. influenzae di tipo b fosse correlata con
la concentrazione di anticorpi circolanti anti-PRP al momento
dell’esposizione. Una concentrazione anticorpale sierica di 0,15-1
g/mL era considerata protettiva contro l’infezione invasiva; la
concentrazione più elevata nei vaccini può predire il mantenimento di un livello 0,15 g/nL nel tempo. I bambini non vaccinati
di solito mancano di una concentrazione anticorpale anti-PRP
di questa entità e sono sensibili alla malattia dopo il contatto
con l’H. influenzae di tipo b. Questa mancanza di anticorpi nei
bambini più piccoli può riflettere un ritardo di maturazione nella
risposta immunologica agli antigeni timo-indipendenti di tipo 2
(TI-2) come il PRP non coniugato, e si riteneva che ciò potesse
spiegare l’elevata incidenza di infezioni di tipo b nei lattanti
nell’era prevaccinale.
A differenza del vaccino PRP non coniugato, i vaccini coniugati – con l’eccezione di PRP-OMP, che possiede anche proprietà
TI-1 – agiscono da antigeni timo-dipendenti (Tab. 192-1). Essi
stimolano una risposta anticorpale sierica nei bambini più piccoli,
anche se può essere necessaria la ripetizione delle dosi, e si ritiene
che esercitino un’azione di priming sulle risposte anticorpali di
TABELLA 192-1. Vaccini coniugati per l’Haemophilus influenzae di tipo b
disponibili negli Stati Uniti
ABBREVIAZIONE
PRP-OMP*
PRP-T†
CARRIER PROTEICO
OMP (un complesso proteico esterno di membrana
di Neisseria meningitidis)
Tossoide tetanico
*Il PRP-OMP è disponibile anche come vaccino combinato con il vaccino per l’epatite B. Questo non dovrebbe essere usato
per la vaccinazione contro l’epatite B alla nascita.
† Il PRP-T può essere ricostituito con il vaccino DtaP per produrre un’associazione accettabile solo per la 4a dose (richiamo)
nei bambini 15 mesi di età.
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Haemophilus influenzae
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memoria nei successivi incontri con il PRP. La concentrazione
degli anticorpi circolanti anti-PRP in un bambino sul quale un
vaccino coniugato ha esercitato un’azione di priming può non
essere esattamente correlata con la protezione, presumibilmente
perché una risposta di memoria può avvenire rapidamente in
seguito all’esposizione al pRP e fornire una protezione.
Molto meno è noto sull’immunità per altri ceppi capsulati
di H. influenzae o per gli isolati non tipizzabili. Per gli isolati
non tipizzabili, le evidenze suggeriscono che gli anticorpi diretti
contro una o più proteine esterne di membrana siano battericidi
e proteggano contro i challenge sperimentali. Sono stati valutati
diversi antigeni nel tentativo di identificare i vaccini candidati
per l’H. influenzae non tipizzabile, comprese le proteine esterne
di membrana (P1, P2, P4, P5, P6, D15 e Tbp A/B), il lipopolisaccaride, varie adesine e la lipoproteina D.
DIAGNOSI. L’identificazione presuntiva dell’H. influenzae è stabilita mediante esame diretto dei campioni raccolti con colorazione
di Gram. A causa delle piccole dimensioni, del pleiomorfismo,
della scarsa colorabilità di alcuni isolati e dalla tendenza dei
liquidi, particolarmente quando sono ricchi di proteine, ad assumere un colore di sfondo rosso, l’H. influenzae talvolta è difficile
da visualizzare. Poiché l’identificazione dei microrganismi sullo
striscio con entrambe le tecniche richiede almeno 105 batteri/mL,
l’impossibilità di visualizzarli non ne esclude la presenza.
La coltura di H. influenzae richiede un trasporto immediato e
una rapida lavorazione dei campioni in quanto il microrganismo
è esigente. I campioni non devono essere essiccati o esposti a
temperature estreme. L’isolamento primario dell’H. influenzae
può essere ottenuto su piastre di agar-cioccolato o di agar-sangue
mediante la tecnica della streak stafilococcica.
La sierotipizzazione dell’H. influenzae si ottiene con l’agglutinazione su vetrino con antisieri tipo-specifici. Un’accurata sierotipizzazione è essenziale per monitorare il progresso verso l’eliminazione della malattia invasiva di tipo b. I casi devono essere
riportati immediatamente alle autorità sanitarie pubbliche.
MANIFESTAZIONI CLINICHE E TRATTAMENTO. La terapia antibiotica iniziale delle infezioni invasive potenzialmente dovute all’H.
influenzae deve essere un antibiotico somministrato per via parenterale efficace nella sterilizzazione di tutti i focolai infettivi
ed efficace contro i ceppi ampicillino-resistenti, di solito una
cefalosporina ad ampio spettro come la cefotaxima o il ceftriaxone. Questi farmaci sono diventati popolari a causa della loro
relativa mancanza di effetti avversi severi e per la facilità di somministrazione. Dopo aver determinato la sensibilità dell’isolato,
può essere selezionato un farmaco appropriato per completare
la terapia. L’ampicillina resta l’antibiotico di scelta per la terapia
delle infezioni causate da isolati sensibili. Se l’isolato è resistente
all’ampicillina, il ceftriaxone può essere somministrato una volta
al giorno in circostanze selezionate come terapia ambulatoriale.
Gli antibiotici orali sono talvolta utilizzati per completare un
ciclo terapeutico iniziato per via parenterale e come terapia iniziale per le infezioni non invasive come otite media e sinusite.
Se il microrganismo è sensibile all’ampicillina, l’amoxicillina
è il farmaco di scelta. Una cefalosporina orale di 3a generazione
(cefixima, cefdinir) o amoxicillina-clavulanato può essere utilizzata quando l’isolato è resistente all’ampicillina.
Meningite. Nell’era prevaccinale, la meningite comprendeva
più di metà dei casi di malattia invasiva da H. influenzae. Clinicamente, la meningite causata dall’H. influenzae di tipo b non
può essere differenziata da quella da Neisseria meningitidis o
Streptococcus pneumoniae (vedi Capitolo 603.1). Essa può essere
complicata da altri focolai infettivi come polmoni, articolazioni,
ossa o pericardio.
La terapia antibiotica deve essere somministrata per via ev per
7-14 giorni nei casi non complicati. Cefotaxima, ceftriaxone e
ampicillina attraversano la barriera ematoencefalica durante l’infiammazione acuta in concentrazioni adeguate per il trattamento
della meningite da H. influenzae. La terapia im con ceftriaxone è
un’alternativa nei pazienti con perfusione d’organo normale.
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■
PARTE XVI
■
Malattie infettive
La prognosi della meningite da H. influenzae di tipo b dipende dall’età di presentazione, dalla durata della malattia prima
dell’istituzione di una terapia antibiotica appropriata, dalla concentrazione di lipopolisaccaride capsulare nel liquido cerebrospinale e dalla rapidità con la quale viene eliminato dal liquido
cerebrospinale, dal sangue e dalle urine. Sono fattori prognostici
sfavorevoli un’inappropriata secrezione di ormone antidiuretico
clinicamente evidente e l’evidenza di deficit neurologici focali.
Il 6% circa dei pazienti con meningite da H. influenzae di tipo
b residua qualche grado di ipoacusia, probabilmente a causa
dell’infiammazione di coclea e labirinto. Il desametasone (0,6 mg/
kg/die suddivisi in 4 dosi per 2 giorni), particolarmente se somministrato subito prima o contemporaneamente all’inizio della
terapia antibiotica, riduce l’incidenza di ipoacusia. Le principali
sequele neurologiche della meningite da H. influenzae di tipo b
comprendono problemi comportamentali, disordini del linguaggio, ritardo dello sviluppo del linguaggio, deficit del visus, ritardo
mentale, anomalie motorie, atassia, convulsioni e idrocefalo.
Cellulite. I bambini con cellulite da H. influenzae presentano
spesso una pregressa infezione delle vie respiratorie superiori.
Essi di solito non hanno un’anamnesi di trauma e si ritiene che
l’infezione rappresenti la disseminazione del microrganismo nei
tessuti molli coinvolti durante la batteriemia. Testa e collo, particolarmente la guancia e la regione presettale, sono la sede di
interessamento più comune. La regione interessata di solito presenta margini indistinti ed è dolente e indurita. La cellulite della
bocca è classicamente eritematosa con una sfumatura violacea,
anche se questo segno può essere assente. L’H. influenzae può
spesso essere isolato direttamente da un aspirato del margine più
esterno. Anche l’emocoltura può rivelare il microrganismo causale. Possono essere presenti contemporaneamente altri focolai
d’infezione, particolarmente nei bambini 18 anni o in quelli con
febbre. In questi bambini si deve prendere in considerazione una
puntura lombare diagnostica al momento della diagnosi.
È indicata la terapia antibiotica parenterale fino a quando il
paziente diviene afebbrile, dopo di che la si può sostituire con una
terapia antibiotica appropriata per via orale. Di solito si prosegue
il ciclo terapeutico per os per 7-10 giorni.
Cellulite presettale. Un’infezione che interessa gli strati tessutali superficiali anteriori rispetto al setto orbitario è denominata
cellulite presettale, e può essere causata dall’H. influenzae. La
cellulite presettale non complicata non implica un rischio di deficit del visus o di estensione diretta al sistema nervoso centrale.
Tuttavia, una batteriemia concomitante può essere associata allo
sviluppo di meningite. La cellulite presettale da H. influenzae è
caratterizzata da febbre, edema, dolenzia e ipertermia palpebrale
e, occasionalmente, da un colorito purpureo delle palpebre. Di
solito non vi sono evidenze di interruzione tegumentaria. Può
essere associata a scolo congiuntivale. Una cellulite presettale
clinicamente indistinguibile è provocata da S. pneumoniae, Staphylococcus aureus e streptococco di gruppo A. Gli ultimi due
patogeni sono più probabili in assenza di febbre e se vi è interruzione tegumentaria (per es. un morso di insetto).
Nei bambini con cellulite presettale in cui una possibilità eziologica è rappresentata dall’H. influenzae o dallo S. pneumoniae
(giovane età, febbre elevata, tegumento intatto) si deve eseguire
un’emocoltura e deve essere presa in considerazione una puntura
lombare diagnostica.
Per la cellulite presettale sono indicati gli antibiotici parenterali. Dal momento che lo S. aureus, lo S. pneumoniae e gli streptococchi -emolitici di gruppo A sono altri possibili microrganismi
causali, la terapia empirica dovrebbe comprendere antibiotici attivi contro questi patogeni. I pazienti con cellulite presettale senza
meningite concomitante devono ricevere la terapia parenterale
per circa 5 giorni fino alla scomparsa di febbre ed eritema. Nei
casi non complicati, occorre somministrare la terapia antibiotica
per un totale di 10 giorni.
Cellulite orbitaria. Le infezioni orbitarie sono infrequenti e di
solito complicano una sinusite etmoidale e sfenoidale acuta. La
cellulite orbitaria può presentarsi con edema palpebrale, ma si
distingue per la presenza di proptosi, cremosi, riduzione del vi-
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sus, limitazione dei movimenti extraoculari, ridotta mobilità del
globo oculare o dolore ai movimenti del globo oculare. La distinzione tra cellulite presettale e orbitaria può essere difficile e in
questo caso l’esame di scelta è la TC. Le infezioni orbitarie vengono trattate con terapia parenterale per almeno 14 giorni. Una
sinusite o un ascesso soggiacenti possono richiedere il drenaggio
chirurgico e una terapia antibiotica più prolungata.
Epiglottite acuta. L’epiglottite è una cellulite dei tessuti comprendenti l’ingresso laringeo (vedi Capitolo 382). È divenuta estremamente rara dopo l’introduzione del vaccino. Il probabile evento
fisiopatologico iniziale è l’invasione batterica diretta dei tessuti
coinvolti. Questa condizione drammatica e potenzialmente letale
si può presentare a qualsiasi età. A causa del rischio di un’ostruzione imprevedibile e improvvisa delle vie aeree, l’epiglottite rappresenta un’emergenza medica. Altri focolai di infezione, come la
meningite, sono rari. La terapia antibiotica contro l’H. influenzae
di tipo b e altri agenti eziologici deve essere somministrata per
via parenterale, ma soltanto dopo avere assicurato le vie aeree, e
la terapia deve continuare fino a quando il paziente è in grado di
assumere liquidi per bocca. La durata della terapia antibiotica è
tipicamente di 7 giorni.
Polmonite. La reale incidenza di polmonite da H. influenzae
nei bambini è sconosciuta in quanto sono necessarie procedure
invasive per l’esecuzione delle colture che quindi vengono eseguite
raramente (vedi Capitolo 397). In era prevaccinale, i batteri di tipo
b erano la causa usuale. I segni e sintomi della polmonite da H.
influenzae non possono essere distinti da quelli della polmonite
causata da molti altri microrganismi. Altri focolai di infezione
possono essere presenti nello stesso tempo. I bambini con 12
anni di età con sospetta polmonite da H. influenzae devono inizialmente essere trattati con una terapia antibiotica parenterale a causa del rischio aumentato di batteriemia e delle sue complicanze. I
bambini più grandi che non appaiono severamente compromessi
possono essere trattati con una terapia antibiotica per via orale.
La terapia viene continuata per 7-10 giorni.
Il versamento pleurico non complicato associato a polmonite
da H. influenzae non richiede interventi particolari. In caso di
empiema, è indicato il drenaggio chirurgico.
Artrite suppurativa. Sono interessate più comunemente le grandi
articolazioni, come ginocchio, anca, caviglia e gomito (vedi Capitolo 686). Altri focolai di infezione possono essere presenti nello
stesso tempo. Anche se l’interessamento di una singola articolazione è la regola, si verifica un interessamento articolare multiplo
nel 6% circa dei casi. I segni e sintomi dell’artrite settica causata
dall’H. influenzae non sono distinguibili da quelli dell’artrite causata da altri batteri.
L’artrite settica non complicata deve essere trattata con una
terapia antibiotica appropriata somministrata per via parenterale
per almeno 5-7 giorni. Se la risposta clinica è soddisfacente, la
parte restante del ciclo di terapia antibiotica può essere somministrata per via orale. La terapia viene tipicamente effettuata per
3 settimane nell’artrite settica non complicata, ma può essere
continuata oltre le 3 settimane fino a quando i livelli di proteina
C-reattiva si normalizzano.
Pericardite. L’H. influenzae è una rara causa di pericardite (vedi
Capitolo 440). I bambini affetti hanno spesso avuto una pregressa
infezione delle vie respiratorie superiori. Aspetti costanti sono
febbre, stress respiratorio e tachicardia. Altri focolai di infezione
possono essere presenti nello stesso tempo.
La diagnosi può essere stabilita mediante l’isolamento del microrganismo nel sangue o nel liquido pericardico. La diagnosi può
essere facilitata dalla colorazione di Gram o dalla ricerca del PRP
nel liquido pericardico, nel sangue o nelle urine (quando sono in
causa microrganismi di tipo b). La terapia antibiotica deve essere
parenterale in modo simile a quella della meningite (vedi Capitolo
603.1). La pericardiectomia è utile per il drenaggio efficace del
materiale purulento e per la prevenzione del tamponamento e
della pericardite costrittiva.
Batteriemia senza focolaio associato. Una batteriemia da H. influenzae di tipo b può essere associata a febbre senza un focolaio
evidente di infezione (vedi Capitolo 175). In questa situazione,
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Capitolo 192
i fattori di rischio per una batteriemia “occulta” comprendono
l’entità della febbre (39 °C) e la presenza di leucocitosi (15 000
cellule/L). Il 25% circa dei bambini in batteriemia occulta da H.
influenzae sviluppa una meningite se non trattato. Nell’era vaccinale, questa infezione da H. influenzae è divenuta estremamente
rara. Quando si verifica, il bambino deve essere rivalutato per la
ricerca di un focolaio di infezione e deve essere eseguita una 2a
emocoltura. In generale, il bambino deve essere ospedalizzato e
trattato con una terapia antibiotica per via parenterale dopo una
puntura lombare diagnostica e una radiografia del torace.
Infezioni varie. Infezioni delle vie urinarie, orchiepididimite,
adenite cervicale, glossite acuta, infezione di cisti del dotto tireoglosso, uvulite, endocardite, endoftalmite, peritonite primitiva,
osteomielite e ascesso periappendicolare sono raramente causate
dall’H. influenzae.
Malattia invasiva neonatale. I neonati presentano raramente
un’infezione invasiva da H. influenzae. Nella malattia che si
presenta nelle prime 24 ore di vita, specialmente in associazione con una corioamnionite materna o una rottura prolungata
delle membrane, la trasmissione del microrganismo al neonato
è probabilmente avvenuta attraverso il tratto genitale materno,
che può essere colonizzato (1%) dall’H. influenzae non tipizzabile. Le manifestazioni dell’infezione invasiva neonatale comprendono batteriemia con sepsi, polmonite, sindrome da distress
respiratorio con shock, congiuntivite, ascesso o cellulite del cuoio
capelluto, o meningite. Meno comunemente, possono verificarsi
mastoidite, artrite settica o un’eruzione vescicolosa congenita.
Otite media. L’otite media è una delle più comuni malattie
infettive dell’infanzia (vedi Capitolo 641). Essa deriva dalla diffusione di batteri dal nasofaringe attraverso la tuba di Eustachio
nell’orecchio medio. Di solito in seguito a una pregressa infezione virale delle vie aeree superiori, la mucosa di questa area
diviene iperemica ed edematosa risultando in un’ostruzione e
nell’opportunità di una moltiplicazione batterica nell’orecchio
medio. I più comuni patogeni batterici sono lo S. pneumoniae,
l’H. influenzae e la Moraxella catarrhalis. La maggior parte degli
isolati di H. influenzae che causano otite media non è tipizzabile. Può essere presente anche una congiuntivite ipsilaterale.
L’amoxicillina (80-90 mg/kg/die) è un antibiotico orale di prima
scelta affidabile, in quanto la probabilità che l’isolato causale
sia resistente all’amoxicillina e che vi sia rischio di infezione invasiva è sufficientemente bassa da giustificare questo approccio.
In alternativa, una dose singola di ceftriaxone costituisce una
terapia adeguata.
In caso di fallimento terapeutico o se si recupera un isolato
produttore di -lattamasi dalla timpanocentesi o dal liquido di
drenaggio, amoxicillina-clavulanato ed eritromicina-sulfametoxazolo sono tra le probabili alternative. L’eritromicina-sulfametoxazolo è utile nei pazienti allergici ai -lattamici.
Congiuntivite. L’infezione acuta della congiuntiva è una comune infezione nell’infanzia (vedi Capitolo 627). Nei neonati, l’H.
influenzae è una causa infrequente. Tuttavia, è un patogeno importante nei bambini più grandi, come lo sono lo S. pneumoniae
e lo S. aureus. La maggior parte degli isolati di H. influenzae
associati a congiuntivite è non tipizzabile, anche se si riscontrano
occasionalmente isolati di tipo b e altri sierotipi. Il trattamento
empirico della congiuntivite oltre il periodo neonatale di solito
consiste in una terapia antibiotica topica con sulfacetamide. I
fluorochinolonici topici devono essere evitati a causa del loro
ampio spettro, del costo elevato e degli alti tassi di resistenza emergenti per diverse specie batteriche. Può essere presente
un’otite media ipsilaterale causata dallo stesso microrganismo;
essa richiede una terapia antibiotica orale.
Sinusite. L’H. influenzae è una causa importante di sinusite
acuta nei bambini, 2a in frequenza soltanto allo S. pneumoniae
(vedi Capitolo 377). Una sinusite cronica che dura 1 mese
o una sinusite severa che richiede l’ospedalizzazione è spesso
causata dallo S. aureus o da anaerobi come Peptococcus, Peptostreptococcus o Bacteroides. Si isolano frequentemente anche
H. influenzae non tipizzabili e streptococchi del gruppo viridans.
Per la sinusite non complicata è accettabile l’amoxicillina. Tut-
180-206ANA.indd 1211
■
Haemophilus influenzae
■
1211
tavia, se non si verifica un miglioramento clinico, può essere
appropriato uno schema terapeutico ad ampio spettro come con
amoxicillina-clavulanato. Un ciclo di 10 giorni è sufficiente per
la sinusite non complicata. Raramente è necessaria l’ospedalizzazione per la terapia parenterale, di solito se si sospetta una
progressione a cellulite orbitaria.
PREVENZIONE. La vaccinazione universale con il vaccino coniugato per l’H. influenzae di tipo b è raccomandata per tutti i
bambini. È indicata la profilassi se i contatti stretti di un paziente
indice con malattia da H. influenzae di tipo b non sono vaccinati.
La contagiosità delle infezioni da H. influenzae non di tipo b non
è nota e la profilassi non è raccomandata.
Vaccino. Esistono tre vaccini coniugati per l’H. influenzae di
tipo b, che differiscono per ciò che riguarda la proteina carrier
utilizzata e il metodo per coniugare il polisaccaride alla proteina
(vedi Tab. 192-1 e Capitolo 170). Una combinazione disponibile
è il PRP-OMP combinato con il vaccino per l’epatite B (Comvax). Inoltre, il PRPT può essere combinato con il vaccino DTaP
(tossoidi di difterite e tetano e pertosse acellulare) soltanto per
la 4a dose.
Profilassi. I bambini non vaccinati 48 mesi di età in stretto
contatto hanno un aumento del rischio di infezione invasiva se
esposti a un caso indice di infezione invasiva da H. influenzae
di tipo b. Il rischio di malattia secondaria per i bambini 3
mesi di età è inversamente correlato all’età. Circa metà dei casi
secondari nei contatti domestici sensibili si verifica nella 1a settimana dopo l’ospedalizzazione del caso indice. Dal momento
che molti bambini sono ora protetti contro l’H. influenzae di
tipo b dalla vaccinazione pregressa, la necessità della profilassi è grandemente diminuita. Quando è necessario, la profilassi
con rifampicina è indicata per tutti i membri della famiglia o
del gruppo a stretto contatto, compresi il paziente indice, se il
gruppo include 1 bambino 48 mesi di età che non è stato
completamente vaccinato.
I genitori dei bambini ospedalizzati per malattia invasiva da
H. influenzae di tipo b devono essere informati dell’aumento del
rischio d’infezione secondaria in altri bambini della stessa famiglia se non sono completamente vaccinati. I genitori dei bambini
esposti a un singolo caso di malattia invasiva da H. influenzae
di tipo b in un centro di child-care o in un asilo devono essere
informati allo stesso modo, anche se la necessità della profilassi
con rifampicina in questi bambini è controversa.
Per la profilassi, i bambini devono essere trattati con rifampicina per os (0-1 mese di età, 10 mg/kg/dose; 1 mese di età, 20
mg/kg/dose, dose massima 600 mg/dose) una volta al giorno per
4 giorni consecutivi. La dose per adulti è di 600 mg una volta al
giorno. La profilassi con rifampicina non è raccomandata nelle
donne gravide.
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Capitolo 193 ■ Cancroide (Haemophilus
ducreyi) Parvin H. Azimi
Il cancroide è una malattia sessualmente trasmessa caratterizzata
da un’ulcera genitale dolorosa e da linfoadenopatia inguinale
causata dall’Haemophilus ducreyi, un bacillo patogeno Gramnegativo. Il cancroide è prevalente in molti Paesi in via di sviluppo
e si presenta sporadicamente nel mondo sviluppato, di solito in
persone recentemente ritornate da aree endemiche oppure occasionalmente sotto forma di epidemie in aree urbane localizzate,
associato al sesso a pagamento. È un fattore di rischio per la
trasmissione dell’HIV. La diagnosi di cancroide nei bambini rappresenta una forte evidenza di violenza sessuale.
La malattia inizia dopo un periodo di incubazione di 4-7 giorni con una piccola papula infiammatoria sull’orifizio prepuziale
o sul frenulo nei maschi e sulle labbra, sulla forchetta o sulla
regione perineale nelle femmine. La lesione diviene pustolosa,
erosa e ulcerativa entro 2-3 giorni. I margini dell’ulcera sono
classicamente frastagliati e sottominati. Senza trattamento, le
ulcere possono persistere per settimane o mesi. In più del 50%
dei casi si verifica una linfoadenite inguinale dolorosa e dolente
al tatto, più spesso nei maschi. La linfoadenopatia può divenire
fluttuante formando bubboni che possono andare incontro a
rottura spontanea.
La diagnosi viene di solito posta in base alla presentazione
clinica e all’esclusione della sifilide (Treponema pallidum) e delle
infezioni da virus herpes simplex. La colorazione di Gram delle
secrezioni delle ulcere può dimostrare i coccobacilli Gram-negativi in cluster paralleli (branco di pesci). La coltura richiede un
terreno speciale e costoso e ha una sensibilità soltanto dell’80%.
La reazione a catena polimerasica o l’immunofluorescenza indiretta con anticorpi monoclonali rimangono strumenti di ricerca
e possono divenire le metodiche diagnostiche migliori. L’ulcera
del cancroide si accompagna a linfoadenopatia concomitante di
solito unilaterale, a differenza del linfogranuloma venereo (vedi
Capitolo 223.4). L’herpes genitale è caratterizzato da lesioni vescicolose con un’anamnesi di recidive (vedi Capitolo 249).
La maggior parte dei microrganismi H. ducreyi è resistente a
penicillina e ampicillina a causa della produzione di -lattamasi
mediata dai plasmidi. La diffusione della resistenza mediata dai
plasmidi tra i ceppi dell’H. ducreyi ha portato a una mancanza
di efficacia di farmaci in precedenza efficaci come i sulfamidici e
le tetracicline. Il trattamento raccomandato del cancroide consiste
in azitromicina (1 g in dose singola) o ceftriaxone (250 mg in dose
singola im). Terapie alternative comprendono eritromicina (500
mg 3 volte al giorno per os per 7 giorni), che è usata più spesso
nei Paesi in via di sviluppo, e ciprofloxacina (500 mg per 2 volte
al giorno per os per 3 giorni, per individui 18 anni di età). I
linfonodi fluttuanti possono richiedere il drenaggio. I sintomi di
solito si risolvono entro 3-7 giorni. Le recidive possono di solito
essere trattate con successo con lo schema terapeutico originale. I
pazienti con infezione da HIV possono richiedere un trattamento
più prolungato.
I pazienti con cancroide devono essere valutati per altre malattie sessualmente trasmesse; si stima che il 10% di essi abbia
una sifilide o un herpes genitale concomitanti. Nei Paesi in via
di sviluppo, i pazienti con un’ulcera genitale compatibile vengono trattati sia per il cancroide sia per la sifilide. Tutti i contatti
sessuali dei pazienti con cancroide devono essere valutati e trat-
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tati. Le complicanze comprendono fimosi nei maschi e infezioni
batteriche secondarie. L’ulcera genitale come sindrome aumenta
il rischio di trasmissione dell’HIV. La circoncisione maschile sembra ridurre il rischio di cancroide.
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Capitolo 194 ■ Pertosse (Bordetella
pertussis e Bordetella parapertussis)
Sarah S. Long
La pertosse è un’infezione acuta delle vie respiratorie che fu ben
descritta già nel 1500. Fu Sydenham, nel 1670, a usare per primo
il termine pertussis, che significa tosse intensa.
EZIOLOGIA. La Bordetella pertussis è la sola causa di pertosse
epidemica e la causa usuale di pertosse sporadica. La Bordetella
parapertussis è una causa occasionale di pertosse sporadica che
contribuisce significativamente ai casi totali di pertosse in Europa
Occidentale e Orientale, ma comprende 5% degli isolati di Bordetella negli Stati Uniti. La B. pertussis e la B. parapertussis sono
patogeni esclusivi degli esseri umani e di alcuni primati.
La B. bronchiseptica è un comune patogeno animale. Occasionali casi riportati negli esseri umani possono interessare qualsiasi
sito corporeo e si verificano tipicamente in pazienti immunocompromessi o in bambini piccoli con intensa esposizione ad animali.
Una tosse protratta può essere causata dal Mycoplasma, dai virus
influenzali e parainfluenzali, dagli enterovirus, dal virus respiratorio sinciziale o dagli adenovirus. Nessuno di questi è una causa
importante di pertosse.
EPIDEMIOLOGIA. Ogni anno si verificano in tutto il mondo 60
milioni di casi di pertosse, con 500 000 decessi. Prima della
disponibilità del vaccino, la pertosse era la principale causa di
morte da malattia trasmissibile nei bambini 14 anni di età negli
Stati Uniti, con 10 000 decessi all’anno. L’uso diffuso del vaccino
per la pertosse ha portato a un declino 99% dei casi. Il ruolo
fondamentale della vaccinazione per il controllo della malattia
è riflesso dalla persistente elevata incidenza della pertosse nei
Paesi in via di sviluppo e dalla sua ripresa in altri Paesi dove la
copertura vaccinale è bassa o dove potrebbe essere stato utilizzato
un vaccino meno potente.
Dopo il basso numero di 1010 casi negli Stati Uniti riportato
nel 1976, vi è stato un aumento dell’incidenza annuale di pertosse
a 1,2 casi/100 000 dal 1980 al 1989 con epidemie di pertosse
in molti Stati nel 1989-90, nel 1993 e nel 1996. La pertosse è
sempre di più endemica con minore stagionalità o andamento
ciclico rispetto al passato. Nel 2004, l’incidenza della pertosse
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Capitolo 194
riportata negli Stati Uniti è aumentata per il 3° anno di seguito,
a 8,9 casi/100 000, più di 2 volte il tasso riportato nel 2003 e
un aumento rispetto a 1,8 nel 1994. Il numero di casi (25 827)
è stato il più alto dal 1959. Di questi, il 10% si è verificato in
lattanti 6 mesi di età che erano troppo piccoli per avere ricevuto
le prime 3 delle 5 dosi di vaccino raccomandate entro i 6 anni
di età. Questo gruppo di età aveva il tasso più alto riportato,
136,5/100 000. I lattanti hanno la maggiore morbilità associata
alla pertosse, anche se gli adolescenti e gli adulti comprendono
ora la maggior parte (67%) dei casi riportati in quanto l’immunità indotta dal vaccino scompare e questi gruppi di età divengono
suscettibili all’infezione. Il 60% circa dei casi si verifica negli
adolescenti e negli adulti. La pertosse è l’unica, tra le malattie
prevenibili con il vaccino per le quali è raccomandata negli Stati
Uniti la vaccinazione universale, che continua a mostrare un
aumento dell’incidenza. Vi sono valide prove che la pertosse è
sottovalutata, sottodiagnosticata e sottoriportata.
La pertosse è estremamente contagiosa, con tassi di attacco
anche del 100% negli individui suscettibili esposti alle goccioline aeree a distanza ravvicinata. La B. pertussis non sopravvive
per periodi prolungati nell’ambiente. Lo stato di portatore da
parte degli esseri umani non è documentato. Dopo un’intensa
esposizione, come avviene negli ambienti domestici, il tasso di
infezione subclinica giunge fino all’80% negli individui vaccinati
o precedentemente infettati. Tuttavia, quando viene ricercata con
attenzione, può essere identificata una fonte sintomatica per la
maggior parte dei pazienti. Né la malattia naturale né la vaccinazione assicurano un’immunità completa o per tutta la vita contro
la reinfezione o la malattia. La protezione contro la malattia
tipica inizia a scomparire 3-5 anni dopo la vaccinazione e non
è misurabile dopo 12 anni. La reinfezione subclinica indubbiamente ha contribuito in modo significativo all’immunità contro la
malattia in precedenza attribuita sia al vaccino, sia all’infezione
pregressa. Gli adolescenti e gli adulti negli Stati Uniti hanno
titoli anticorpali inadeguati contro la B. pertussis. Nonostante
un’anamnesi di malattia o di vaccinazione completa si sono avute
epidemie di pertosse tra gli anziani, in case famiglia, in strutture
residenziali con ridotta esposizione, in quartieri suburbani con
elevati tassi di vaccinazione e in preadolescenti, adolescenti e
adulti con termini vaccinali scaduti. Gli adolescenti e gli adulti
con tosse (in cui di solito non viene riconosciuta la pertosse) costituiscono attualmente il principale serbatoio di B. pertussis e sono
la fonte usuale dei “casi indice” nei lattanti e nei bambini.
Nell’era prevaccinale e in Paesi come Germania, Svezia e Italia,
in cui la vaccinazione era limitata, il picco di incidenza della pertosse nei bambini è da 1 a 5 anni di età; i lattanti comprendono
il 15% dei casi. Negli Stati Uniti nel 2003, l’incidenza più elevata
di pertosse si è riscontrata nei lattanti 6 mesi di età (circa 2000
casi; 80 casi/100 000), ma il numero maggiore di casi si è avuto
nei bambini e negli adolescenti da 10 a 14 anni di età (2600 casi)
e da 15 a 19 anni di età (1800 casi). Diversi studi hanno documentato la pertosse nel 13-32% degli adolescenti e degli adulti
con tosse 7 giorni. Si stima che almeno 1 milione di individui
abbia un’infezione da B. pertussis ogni anno negli Stati Uniti.
Possibili spiegazioni di questo cambiamento epidemiologico
comprendono la scomparsa dell’immunità dopo la vaccinazione,
una coorte sempre più anziana che ha ricevuto un vaccino meno
efficace, e un aumento della conoscenza e della diagnosi della
malattia. Senza una naturale reinfezione da B. pertussis o ripetuti richiami vaccinali, adolescenti e adulti sono suscettibili alla
malattia clinica se esposti e le madri forniscono ai bambini più
piccoli una protezione scarsa o nulla.
PATOGENESI. I microrganismi del genere Bordetella sono piccoli
coccobacilli infettanti Gram-negativi che colonizzano unicamente
l’epitelio ciliato. Non è noto l’esatto meccanismo della sintomatologia della malattia. Le specie di Bordetella condividono
un’elevata omologia del DNA per i geni della virulenza. Solo la
B. pertussis esprime la tossina della pertosse (PT), la principale
proteina di virulenza. La PT possiede numerose attività biologiche dimostrate (per es. sensibilità all’istamina, secrezione di insu-
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■
Pertosse (Bordetella pertussis e Bordetella parapertussis)
■
1213
lina, disfunzione leucocitaria), alcune delle quali possono essere
responsabili delle manifestazioni sistemiche della malattia. La PT
causa immediatamente linfocitosi in modelli animali sperimentali,
reindirizzando i linfociti in modo che essi rimangono nel pool
ematico circolante. La PT sembra avere un ruolo centrale ma non
singolo nella patogenesi della malattia. La B. pertussis produce
svariate altre sostanze biologicamente attive, molte delle quali
sono ritenute coinvolte nella malattia e nell’immunità. Dopo
l’acquisizione mediante goccioline aerosoliche, l’emoagglutinina
filamentosa (FHA), alcuni agglutinogeni (specialmente le fimbrie
[Fym] di tipo 2 e 3) e una proteina di superficie non appartenente a una fimbria chiamata pertactina (Pn) sembrano importanti
per l’aderenza alle cellule dell’epitelio respiratorio ciliato. La
citotossina tracheale, l’adenilato ciclasi e la PT sembrano inibire
l’eliminazione dei microrganismi. Si ritiene che la citotossina
tracheale, il fattore dermonecrotico e l’adenilato ciclasi siano
prevalentemente responsabili del danno epiteliale locale che causa
i sintomi respiratori e facilita l’assorbimento della PT.
MANIFESTAZIONI CLINICHE. Classicamente, la pertosse è una malattia prolungata, suddivisa negli stadi catarrale, parossistico e di
convalescenza. Lo stadio catarrale (1-2 settimane) inizia insidiosamente dopo un periodo di incubazione che va da 3 a 12 giorni
con sintomi non caratteristici di congestione e rinorrea accompagnati in modo variabile da febbre di bassa intensità, starnuti,
lacrimazione e iniezione congiuntivale. Con la scomparsa dei sintomi iniziali, la tosse segna l’esordio dello stadio parossistico (2-6
settimane). La tosse inizia come una tosse secca, intermittente e
irritativa e quindi evolve negli inesorabili accessi parossistici che
sono caratteristici della pertosse. Un bambino intorno ai 2-3 anni,
allegro e in buone condizioni, mostra improvvisamente alla minima provocazione un’aura ansiosa e può aggrapparsi a un genitore
o a un adulto prima di dare inizio a un accesso “a mitraglia” di
colpi di tosse ininterrotti, mento e torace che sporgono in avanti,
la lingua protrusa al massimo, gli occhi sporgenti e lacrimanti,
il viso di colore violaceo, fino a quando la tosse cessa e segue
un grido di tonalità elevata allorché l’aria inspirata attraversa le
vie aeree ancora parzialmente chiuse. È comune il vomito dopo
la tosse e l’esaurimento fisico è costante. Il numero e la severità
degli episodi parossistici tendono ad aumentare per alcuni giorni
fino a una settimana e quindi rimangono in una fase di plateau
per un periodo che può andare da diversi giorni a settimane. Nel
picco dello stadio parossistico, i pazienti possono avere più di
un episodio all’ora. Quando lo stadio parossistico si trasforma
nello stadio della convalescenza (2 settimane), numero, severità
e durata degli episodi diminuiscono.
I lattanti 3 mesi di età non presentano gli stadi classici. Lo
stadio catarrale dura solo pochi giorni oppure non viene notato quando in seguito allo stimolo più insignificante derivante
da trazione, luce, rumore, suzione o stretching, un lattante in
buone condizioni inizia a soffocare, respirare affannosamente,
avere conati di vomito e agitare gli arti, con il viso arrossato. La
tosse (grugnito espiratorio) può non essere marcata. Nei lattanti
3 mesi di età il caratteristico grido inspiratorio è infrequente
in quanto al termine di un episodio parossistico mancano della
statura o della forza muscolare per creare un’improvvisa pressione intratoracica negativa. Dopo un parossismo di tosse può
far seguito la cianosi, oppure si può verificare apnea senza tosse.
L’apnea può essere l’unico sintomo. Gli stadi parossistico e di
convalescenza nei lattanti sono prolungati. Paradossalmente, nei
lattanti, tosse e grido inspiratorio possono divenire più intensi e
tipici nella convalescenza. La convalescenza comprende una tosse
parossistica intermittente per tutto il 1° anno di vita, comprese
“esacerbazioni” con le malattie respiratorie successive; queste
non sono dovute a recidive o riattivazione della B. pertussis.
Nei bambini vaccinati tutti gli stadi della pertosse sembrano
più brevi. Negli adulti non vi sono stadi distinti. Classicamente,
gli adulti descrivono un’improvvisa sensazione di strangolamento
seguita da tosse ininterrotta, sensazione di soffocamento, cefalea
intensa, riduzione della coscienza e quindi un respiro affannoso,
di solito senza grido inspiratorio. Negli adulti e negli adolescenti
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PARTE XVI
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Malattie infettive
sono indizi diagnostici specifici il vomito dopo la tosse e l’intermittenza degli episodi parossistici separati da ore di benessere.
Negli studi prospettici, almeno 1/3 degli individui più anziani con
pertosse ha una tosse non specifica, che si distingue soltanto per
la durata, che di solito è 21 giorni.
L’esame obiettivo di solito non è informativo. Non sono previsti segni patologici a carico delle vie respiratorie inferiori a meno
che non sia presente una polmonite batterica secondaria come
complicanza. Sono comuni emorragie congiuntivali e petecchie
sulla parte superiore del corpo.
DIAGNOSI. La pertosse deve essere sospettata in qualsiasi individuo che lamenti soltanto o in modo predominante una tosse,
specialmente in assenza dei seguenti segni e sintomi: febbre, malessere o mialgie, esantema o esantema, faringodinia, raucedine,
tachipnea, respiro sibilante e rantoli. In casi sporadici, una definizione di caso di tosse di durata 14 giorni con almeno un
sintomo associato di parossismo, grido inspiratorio o vomito
successivo alla tosse, ha una sensibilità dell’81% e una specificità
del 58% per la conferma in coltura. La pertosse deve essere sospettata nei bambini più grandi la cui tosse tende ad aumentare
in 7-10 giorni e i cui episodi di tosse non sono continui. Occorre
sospettare la tosse nei lattanti 3 mesi di età con apnea, cianosi
o un evento acuto potenzialmente fatale (Acute Life-Threatening
Event, ALTE). La B. pertussis è un’occasionale causa di morte
improvvisa del lattante.
Le infezioni adenovirali sono di solito distinguibili per le caratteristiche associate, come febbre, faringodinia e congiuntivite.
Il Mycoplasma causa una tosse episodica protratta, ma i pazienti di solito hanno un’anamnesi di febbre, cefalea e sintomi
sistemici all’esordio della malattia, nonché una tosse più continua
e un frequente riscontro di rantoli all’auscultazione del torace.
Le epidemie di Mycoplasma e B. pertussis nei giovani adulti possono essere difficili da distinguere su basi cliniche. Anche se la
pertosse viene spesso inclusa nella valutazione di laboratorio dei
bambini più piccoli con polmonite febbrile, la B. pertussis non
è associata alla tosse staccata (un respiro a ogni colpo di tosse),
alla congiuntivite purulenta, alla tachipnea, ai rantoli o ai sibili
che caratterizzano l’infezione da Chlamydia trachomatis, o ai
segni prevalentemente a carico delle vie respiratorie inferiori che
caratterizzano l’infezione da virus respiratorio sinciziale. A meno
che un lattante con pertosse non abbia una polmonite secondaria
(e quindi appaia in condizioni generali scadute), l’esame obiettivo
tra gli episodi parossistici è interamente normale, compresa la
frequenza respiratoria.
La leucocitosi (15 000-100 000 cellule/mm3) da linfocitosi assoluta è caratteristica dello stadio catarrale. I linfociti sono di
origine T- e B-cellulare e sono normali cellule di piccole dimensioni piuttosto che i grandi linfociti atipici che si osservano nelle
infezioni virali. Gli adulti, i bambini parzialmente immuni e occasionalmente i lattanti hanno una linfocitosi meno marcata. Un
aumento assoluto dei neutrofili suggerisce una diagnosi diversa
o un’infezione batterica secondaria.
L’eosinofilia non è una manifestazione della pertosse. Un decorso severo e la mortalità sono correlate con una leucocitosi estrema (picco mediano della conta leucocitaria nei casi fatali rispetto
ai casi non fatali, 94 vs 18 109 cellule/L) e con una trombocitosi
altrettanto estrema, picco mediano della conta piastrinica nei casi
fatali rispetto ai casi non fatali, 782 vs 556 109/L). Sono state
dimostrate una lieve iperinsulinemia e una ridotta risposta glicemica all’adrenalina, anche se solo occasionalmente è riportata
un’ipoglicemia. La radiografia del torace è solo lievemente anormale nella maggior parte dei lattanti ospedalizzati, con infiltrato
o edema peri-ilare (talvolta con aspetto a farfalla) e atelettasia
di grado variabile. La presenza di consolidamento parenchimale
suggerisce un’infezione batterica secondaria. Occasionalmente
possono essere osservati pneumotorace, pneumomediastino e
aria nei tessuti molli.
Tutte le metodiche attuali per la conferma dell’infezione da B.
pertussis presentano limitazioni di sensibilità, specificità o praticità.
L’isolamento della B. pertussis in coltura rimane il gold standard
180-206ANA.indd 1214
per la diagnosi. Molta attenzione deve essere posta nella raccolta
e nel trasporto dei campioni, e nella tecnica di isolamento. I campioni si prelevano mediante aspirazione nasofaringea profonda o
mediante un tampone flessibile, preferibilmente un tampone in
dacron o al calcio arginato, premuto nel nasofaringe posteriore
per 15-30 s (o fino alla comparsa di tosse). Un liquido con casamino acid 1% è accettabile per mantenere un campione fino a 2
ore; il brodo di coltura di Stainer-Scholte o il mezzo di trasporto
semisolido di Regan-Lowe è utile per periodi più prolungati, fino
a 4 giorni. L’agar-carbone di Regan-Scholte con il 10% di sangue
equino e 5-40 g/mL di cefalexina o il terreno di Stainer-Scholte
con resine di ciclodestrina sono i terreni preferibili per l’isolamento.
Le colture vengono incubate a 2 °C in ambiente umido ed esaminate ogni giorno per 7 giorni per la ricerca delle piccole colonie
lucenti a lenta crescita. Il test con anticorpi a fluorescenza diretta
(DFA) su potenziali isolati utilizzando anticorpi specifici per la B.
pertussis e la B. parapertussis massimizza l’isolamento. Il test diretto sulle secrezioni nasofaringee con il DFA è un test rapido, ma
è affidabile soltanto in laboratori con esperienza continuativa. La
reazione a catena della polimerasi (PCR) su campioni da lavaggio
nasofaringeo ha una sensibilità simile a quella della coltura, evita
le difficoltà dell’isolamento ma non è standardizzato o universalmente disponibile. Ci si attende la positività dei risultati della DFA,
della coltura e della PCR nei bambini non vaccinati e non trattati
nel corso dello stadio catarrale e dello stadio parossistico precoce
della malattia. Meno del 10% di uno qualsiasi di questi risultati
è positivo nel corso dello stadio parossistico nei negli individui
parzialmente vaccinati o vaccinati da lungo tempo. I test sierologici
per la ricerca degli anticorpi diretti contro antigeni di B. pertussis in
campioni dello stadio acuto e dello stadio della convalescenza sono
i test più sensibili nei soggetti vaccinati e sono utili da un punto
di vista epidemiologico. Un singolo campione sierico che mostra
un aumento delle immunoglobuline G antitossina della pertosse
2 deviazioni standard al di sopra della media della popolazione
vaccinata indica un’infezione recente. La standardizzazione dei test
e il cut point per la positività sono attualmente in corso di studio.
I test per gli anticorpi IgM e IgA della pertosse non sono affidabili
ai fini diagnostici.
TRATTAMENTO. Gli obiettivi del trattamento sono di limitare il
numero di parossismi, osservare la severità della tosse, fornire
assistenza quando necessario e massimizzare l’alimentazione, il
riposo e la guarigione senza sequele (Tab. 194-1). I lattanti 3
mesi di età devono essere ricoverati in ospedale quasi senza
eccezione, come anche quelli di 3-6 mesi a meno che i parossismi (constatati de visu) siano non severi, e quelli di qualsiasi
età se compaiono complicanze severe. I lattanti nati prematuri
e i bambini con associate malattie cardiologiche, polmonari,
muscolari o neurologiche hanno un rischio elevato di malattia
severa. Gli obiettivi specifici e limitati dell’ospedalizzazione sono
(1) valutare la progressione della malattia e la probabilità di
eventi potenzialmente fatali nel corso del picco della malattia,
(2) prevenire o trattare le complicanze e (3) informare i genitori
sul decorso naturale della malattia e sull’assistenza che può
essere fornita a casa. Devono essere monitorate costantemente
frequenza cardiaca, frequenza respiratoria e ossimetria pulsata
con una regolazione degli allarmi tale che gli accessi parossistici possano essere osservati e possano essere registrati dal
personale di assistenza. La registrazione dettagliata degli accessi
TABELLA 194-1. Fattori che richiedono attenzione nella valutazione
e nell’assistenza dei lattanti con pertosse
I lattanti con pertosse potenzialmente fatale possono apparire in buone condizioni tra gli episodi.
Deve essere osservato un attacco parossistico prima di decidere tra ospedale e assistenza domiciliare.
Soltanto l’analisi di una registrazione accurata della tosse permette la valutazione della severità
e della progressione della malattia.
L’aspirazione di naso, orofaringe o trachea non deve essere eseguita come assistenza “preventiva”.
L’alimentazione nel periodo successivo a un attacco parossistico può avere un maggiore successo
che dopo un sonnellino.
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Capitolo 194
di tosse e la documentazione dell’alimentazione, del vomito e
delle variazioni di peso forniscono dati per la valutazione della
severità. I tipici parossismi che non sono a rischio di mortalità
hanno le seguenti caratteristiche: durata 45 s, arrossamento
della cute ma non cianosi, tachicardia, bradicardia (non 60
battiti/min nei lattanti) o desaturazione di ossigeno che si risolve
spontaneamente al termine del parossismo; grido inspiratorio o
energia sufficiente per la ripresa autonoma al termine del parossismo, tappo mucoso autoespettorato ed esaurimento dopo la
tosse ma senza non responsività. La valutazione della necessità
di somministrare ossigeno, della stimolazione o della suzione
richiede personale esperto che possa documentare la capacità
del bambino di riprendersi autonomamente ma che sia anche
capace di intervenire rapidamente e appropriatamente se necessario. I lattanti i cui parossismi portano ripetutamente a eventi
potenzialmente fatali nonostante la somministrazione passiva
di ossigeno o il cui esaurimento porta a ipercapnia richiedono
l’intubazione, la paralisi e la ventilazione. Il trattamento successivo è complesso, con frequente necessità di aspirare le vie
aeree e intervenire quando si presentano bradicardia e processi
polmonari secondari. In alcuni lattanti con secrezioni dense e
aderenti ed eccessiva irritabilità delle vie aeree può essere utile
la nebbia aerosolica in tenda. L’utilità di un ambiente confortevole, silenzioso, poco illuminato e senza stimoli fastidiosi non
può essere sovrastimata o al contrario trascurata nel desiderio di
monitorare e intervenire. Alimentare i bambini con pertosse è un
problema. Il rischio di precipitare la tosse con l’alimentazione al
poppatoio non rende comunque necessaria l’alimentazione per
via nasogastrica, nasodigiunale o parenterale nella maggior parte
dei bambini. La composizione o la densità del latte formulato
non influisce sulla qualità delle secrezioni, sulla tosse o sulla
ritenzione. È preferibile evitare i pasti abbondanti.
Entro 48-72 ore, l’evoluzione e la severità della malattia sono
di solito evidenti con l’analisi delle informazioni registrate. Molti
lattanti presentano un marcato miglioramento con l’ospedalizzazione e la terapia antibiotica, specialmente se si trovano in uno
stadio precoce della malattia o sono stati allontanati da fattori
ambientali aggravanti come fumo, stimolazioni eccessive o una
fonte di calore secco o inquinante. La dimissione dall’ospedale è
appropriata se in un periodo di 48 ore la severità della malattia è
invariata o diminuita, non sono stati necessari interventi durante
gli attacchi parossistici, l’alimentazione è adeguata, non si sono
verificate complicanze e i genitori sono adeguatamente preparati
per l’assistenza a domicilio. Apnea e convulsioni si possono verificare nella fase incrementale della malattia e nei soggetti con
malattia complicata. Non dovrebbero essere necessari a domicilio ossigeno portatile, sistemi di monitoraggio o apparecchi per
l’aspirazione.
Antibiotici. In caso di pertosse sospetta o confermata si somministra sempre un antibiotico in primo luogo per limitare la
diffusione dell’infezione e in secondo luogo per l’eventuale beneficio clinico. I farmaci preferibili sono i macrolidi, che hanno
■
Pertosse (Bordetella pertussis e Bordetella parapertussis)
■
1215
un’efficacia simile in vitro (Tab. 194-2). Raramente sono state
riportate resistenze. È stato riportato un rischio relativo di 7-10
volte di una stenosi pilorica ipertrofica infantile (IHPS) in neonati
trattati con eritromicina per os. Nei neonati il farmaco preferibile è l’azitromicina. L’uso limitato nei neonati non ha indicato
un aumento del rischio di IHPS). Tutti i lattanti 1 mese di età
trattati con qualsiasi tipo di macrolide devono essere monitorati
per i sintomi di stenosi pilorica.
Terapie aggiuntive. Nessun trial clinico rigoroso ha dimostrato
un effetto positivo degli stimolanti -adrenergici come salbutamolo o albuterolo. L’agitazione associata al trattamento aerosolico scatena gli attacchi parossistici. Non è stato eseguito
alcun trial clinico randomizzato e in doppio cieco di dimensioni
sufficienti per valutare l’utilità dei corticosteroidi nel trattamento
della pertosse; il loro uso clinico non è garantito.
Isolamento. I pazienti con sospetta pertosse devono essere posti in isolamento respiratorio con l’uso di mascherine da parte
di tutto il personale sanitario che entra nella stanza. Occorre
eseguire all’entrata lo screening della tosse in tutti i pazienti dei
dipartimenti d’emergenza, degli ambulatori e dei centri clinici
per iniziare l’isolamento immediatamente e per 5 giorni dopo
l’inizio della terapia con i macrolidi. I bambini e il personale con
la pertosse nelle scuole e nei centri di child-care devono essere
esclusi fino a quando è stata effettuata la profilassi con i macrolidi
per 5 giorni.
Trattamento dei contatti domestici e degli altri contatti stretti. Occorre somministrare immediatamente un macrolide a tutti contatti
familiari e agli altri contatti stretti, come quelli negli asili, indipendentemente da età, anamnesi vaccinale o sintomi (Tab. 194-2). Per
il trattamento si usano gli stessi farmaci e le stesse dosi corrette
per l’età che si usano per la profilassi. Le visite e i movimenti in
ospedale dei familiari con tosse devono essere assiduamente controllati fino al completamento del ciclo di 5 giorni di eritromicina.
I contatti stretti 7 anni di età che hanno ricevuto meno di 4 dosi
di vaccino per la pertosse devono iniziare il ciclo vaccinale o continuarlo per completare il ciclo raccomandato. I bambini 7 anni di
età che hanno ricevuto una 3a dose 6 mesi prima dell’esposizione
devono ricevere una dose di richiamo. I soggetti 9 anni devono
ricevere un richiamo di Tdap (vaccino per adolescenti/adulti con
tossoidi tetanico e difterico e con pertosse acellulare) se non hanno
ricevuto il Tdap in precedenza e se sono trascorsi 2 anni dalla
somministrazione di un vaccino per la difterite. Gli operatori sanitari con tosse, con o senza esposizione nota alla pertosse, devono
essere subito valutati per la pertosse (vedi Capitolo 171).
COMPLICANZE. I lattanti 6 mesi di età presentano un eccesso
di mortalità e morbilità e quelli 2 mesi di età hanno i più alti
tassi riportati di ospedalizzazione associata a pertosse (82%),
polmonite (25%), convulsioni (4%), encefalopatia (1%) e morte
(1%). I lattanti 4 mesi di età comprendono il 90% dei casi di
pertosse fatale. La nascita pretermine e una giovane età materna
sono significativamente associati a pertosse fatale.
TABELLA 194-2. Trattamento antibiotico e profilassi postoperatoria raccomandati per la pertosse, per gruppi di età
GRUPPO DI ETA’
1 mese
1-5 mesi
Bambini (6 mesi)
Adulti
Azitromicina
Farmaco raccomandato. 10 mg/kg/die in dose
singola per 5 giorni (disponibili solo dati
limitati sulla sicurezza)
10 mg/kg/die in dose singola per 5 giorni
10 mg/kg in dose singola in 1a giornata quindi
5 mg/kg/die (max 500 mg) in 2a-5a
500 mg in dose singola in 1a giornata quindi
250 mg/die in 2a -5a giornata
AGENTI PRIMARI
Eritromicina
Non di prima scelta. L’eritromicina
è associata a stenosi ipertrofica
del piloro del lattante.
40-50 mg/kg/die suddivisi in 4 dosi
per 14 giorni.
40-50 mg/kg/die (max 2 g/die)
suddivisi in 4 dosi per 14 giorni
2 g/die suddivisi in 4 dosi per 1 giorni
Claritromicina
Non raccomandata (dati sulla sicurezza
non disponibili)
15 mg/kg/die suddivisi in 2 dosi
per 7 giorni
15 mg/kg/die suddivisi in 2 dosi (max
1 g/die) per 7 giorni
1 g/die suddiviso in 2 dosi per 7 giorni
AGENTE ALTERNATIVO*
TMP-SMZ
Controindicato nei lattanti 2 mesi (rischio
di kernittero)
Controindicato nei lattanti 2 mesi. Per bambini
2 mesi
TMP 8 mg/kg/die, SMZ 40 mg/kg/die suddivisi
in 2 dosi per 14 giorni
TMP 8 mg/kg/die, SMZ 40 mg/kg/die suddivisi
in 2 dosi per 14 giorni
TMP 320 mg/die, SMZ 1600 mg/die suddivisi
in 2 dosi per 14 giorni
*Il trimetoprim-sulfametoxazolo (TMP-SMZ) può essere usato come un’alternativa ai macrolidi nei bambini 2 mesi allergici ai macrolidi, che non tollerano i macrolidi o che hanno un’infezione da un raro ceppo di Bordetella pertussis resistente ai macrolidi.
Da The Centers for Disease Control and Prevention: Recommended antimicrobial agents for treatment and postexposure prophylaxis of pertussis. 2005 CDC Guidelines.MMWR 2005; 54:1–16.
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■
PARTE XVI
■
Malattie infettive
Le principali complicanze della pertosse sono apnea, infezioni
secondarie (come otite media e polmonite) e le sequele fisiche
della tosse forzata. La necessità di terapia intensiva e di ventilazione artificiale è di solito limitata ai lattanti 3 mesi di età.
L’insufficienza respiratoria da apnea o la polmonite batterica
secondaria sono eventi che precipitano la necessità di intubazione
e ventilazione. Le cause di morte sono un’ipertensione polmonare
o emorragie polmonari progressive (specialmente nei lattanti più
piccoli) e una polmonite batterica secondaria. Febbre, tachipnea
o stress respiratorio tra gli attacchi parossistici, oltre che una neutrofilia assoluta, sono segni di polmonite. I patogeni prevedibili
sono lo Staphylococcus aureus, lo Streptococcus pneumoniae e
i batteri della flora orofaringea. Raramente sono state riportate
bronchiectasie dopo la pertosse. I bambini con pertosse prima dei
2 anni possono avere una funzione polmonare anomala nell’età
adulta. L’aumento della pressione intratoracica e intra-addominale durante la tosse può causare emorragie sclerali e congiuntivali,
petecchie nella parte superiore del corpo, epistassi, emorragie
del sistema nervoso centrale (SNC) e della retina, pneumotorace
ed enfisema sottocutaneo, ed ernie ombelicali e inguinali. Non è
infrequente la lacerazione del frenulo linguale.
Le anomalie del SNC si verificano con frequenza relativamente elevata e sono quasi sempre un risultato dell’ipossia o delle
emorragie associate alla tosse o all’apnea nei lattanti più piccoli.
Apnea o bradicardia o entrambe le cose possono derivare da un
laringospasmo o da una stimolazione vagale evidenti subito prima di un episodio di tosse, da un’ostruzione durante un episodio
o da ipossia successivamente a un episodio. La mancanza di segni
respiratori associati in alcuni piccoli lattanti con apnea pone la
possibilità della PT sul SNC. Le convulsioni di solito derivano
dall’ipossia, ma può verificarsi anche un’iponatremia da eccessiva secrezione di ormone antidiuretico durante una polmonite.
Le uniche neuropatologie documentate negli esseri umani sono
l’emorragia parenchimale e la necrosi ischemica. La particolare
associazione tra ipertensione polmonare e pertosse non è stata
spiegata. Nonostante l’ossigenazione con membrana extracorporea, questa complicanza sottende un tasso di mortalità 80%.
PREVENZIONE. La vaccinazione universale dei bambini con vaccino per la pertosse, iniziando nell’infanzia con dosi di richiamo
periodiche, è fondamentale per il controllo della pertosse (vedi
Capitolo 170). Non vi sono correlati sierologici della protezione.
Negli Stati Uniti sono attualmente autorizzati 3 vaccini con tossoidi difterico e tetanico combinati con pertosse acellulare (DTaP)
per i bambini 7 anni di età. I vaccini DTaP hanno meno effetti
avversi del vaccino contenente l’intera cellula di B. pertussis
(vaccini cellulari) (DTP) che continua a essere somministrato a
lattanti e bambini in molti altri Paesi. I vaccini acellulari per la
pertosse contengono tutti cellule inattivate e contengono altre 2
o più componenti batteriche (FHA, Pn e Fim 2 e 3). L’efficacia
clinica nei confronti della pertosse severa, definita come tosse
parossistica di durata 21 giorni, è dell’80-85%. Eventi avversi
locali e sistemici lievi come anche eventi più severi (compresi febbre elevata, pianto persistente di durata 3 ore, episodi ipotonici
iporesponsivi e convulsioni) si verificano con frequenza significativamente minore nei bambini che ricevono DTaP rispetto a
quelli che ricevono DTP.
I vaccini DTaP possono essere somministrati simultaneamente
a qualsiasi altro vaccino utilizzato nei calendari vaccinali standard per l’età pediatrica. Devono essere somministrate 3 dosi
(primarie) di DTaP durante il 1° anno di vita, generalmente a 2,
4 e 6 mesi di età. Una 4a dose (1° richiamo) è raccomandata per
i bambini a 15-18 mesi di età, almeno 6 mesi dopo la 3a dose,
per mantenere un’immunità adeguata durante gli anni prescolari.
La 4a dose può essere somministrata anche a 12 mesi di età, qualora siano trascorsi 6 mesi dalla 3a dose e il ritorno del bambino
a 15-18 mesi di età sia improbabile. La 5a dose (2° richiamo)
è raccomandata per i bambini a 4-6 mesi di età per conferire
una protezione continuativa contro la malattia nei primi anni
di scuola. Una 5a dose non è necessaria se la 4a dose del ciclo
è somministrata al momento del 4° compleanno o dopo di esso.
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I vaccini per la pertosse e i vaccini combinati devono essere
usati soltanto per il ciclo e per il gruppo di età per i quali ogni
vaccino è autorizzato e quando sono indicate tutte le componenti.
Quando possibile, si raccomanda lo stesso vaccino DTaP per le
prime 3 dosi del ciclo vaccinale. Le reazioni locali aumentano
come frequenza e severità con le dosi successive di DTaP, anche
se non raggiungono mai l’entità delle reazioni che fanno seguito
a dosi simili di DTP. Fino al 2% della 4a e 5a dose di DTaP è
associato a gonfiore di tutto l’arto con dolore ed eritema concomitanti in circa la metà dei bambini interessati. Il gonfiore
scompare spontaneamente senza sequele.
L’esenzione dei bambini dal vaccino per la pertosse deve essere
presa in considerazione soltanto nei casi limitati indicati dalle
raccomandazioni. È stato dimostrato che i soggetti esentati hanno
un aumento significativo del rischio di pertosse come anche un
ruolo nelle epidemie di pertosse nelle popolazioni vaccinate. Se è
accertata l’infezione da B. pertussis, il soggetto deve completare
il ciclo vaccinale almeno con il vaccino contenente i tossoidi di
difterite e tetano; alcuni esperti raccomandano di includere anche
la componente della pertosse.
Nel 2005, sono stati autorizzati due vaccini adsorbiti (Tdap)
con tossoide tetanico, tossoide difterico ridotto e pertosse, per
l’uso in bambini più grandi come vaccini di richiamo in dose singola per la protezione nei confronti di tetano, difterite e pertosse.
L’età preferibile per la vaccinazione Tdap è 11-12 anni. Tutti gli
adolescenti di 11-18 anni di età che hanno ricevuto Td ma non
Tdap devono ricevere una singola dose di Tdap per la protezione
contro la pertosse se hanno completato il ciclo vaccinale raccomandato DTP/DTaP per l’età pediatrica. È preferibile un intervallo
di almeno 5 anni tra Td e Tdap nelle situazioni di routine per
ridurre il rischio di reazioni locali e sistemiche dopo il vaccino
Tdap. Tuttavia, può essere considerato un intervallo di 5 anni
tra Td e Tdap. Sia il Tdap sia il vaccino coniugato meninogoccico
tetravalente devono essere somministrati ad adolescenti di 11-18
anni di età durante la stessa visita se entrambi i vaccini sono indicati e sono disponibili. Gli adulti di 19-64 anni di età devono
ricevere una singola dose di Tdap per sostituire la successiva dose
di richiamo con Td. La priorità al vaccino Tdap deve essere data
agli operatori sanitari che sono a contatto con i bambini e per i
contatti familiari eleggibili dei neonati. Un importante obiettivo
della somministrazione del richiamo per la pertosse agli adolescenti è quello di proteggere adolescenti e adulti dalla pertosse per
controllare la diffusione endemica ed epidemica nei bambini più
piccoli che non hanno completato la vaccinazione primaria e sono
ad alto rischio per la pertosse e le sue complicanze.
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Capitolo 195 ■ Salmonella Zulfiqar
Ahmed Bhutta
La salmonellosi è una malattia trasmessa per via alimentare,
comune e ampiamente distribuita, che rappresenta un problema
globale di salute pubblica interessando milioni di individui con
una mortalità significativa. Le salmonelle vivono nel tratto intestinale degli animali a sangue freddo e a sangue caldo. Alcune
specie sono ubiquitarie, mentre altre sono specificamente adattate
a un ospite particolare.
La recente sequenziazione del genoma della Salmonella enterica
sierovar. typhi (precedentemente nota come Salmonella typhi) e
della Salmonella typhimurium ha indicato il 95% almeno di omologia genetica tra i microrganismi. Tuttavia, le malattie cliniche
causate dai 2 microrganismi differiscono considerevolmente. Ciò
sembra essere correlato a diversi cluster unici di geni, noti come
isole di patogenicità. La Salmonella causa 2 sindromi cliniche
negli esseri umani: una gastroenterite, di solito autolimitata, e la
febbre tifoide, una malattia sistemica relativamente severa classicamente causata dalla S. typhi. I ceppi non tifoidei di Salmonella possono anche provocare in alcune circostanze una malattia
batteriemica severa.
La nomenclatura della Salmonella riflette il nome di specie
Salmonella enterica con diverse sierovarianti. La nomenclatura
della Salmonella è andata incontro a considerevoli cambiamenti. La tassonomia originale si basava su sindromi cliniche
(S. typhi, S. cholerae suis, S. paratyphi). Con l’adozione delle
analisi sierologiche, una Salmonella spp. è stata successivamente
definita come “un gruppo di tipi fagici di fermentazione correlati” con il risultato che ogni sierovariante di Salmonella è
stata considerata come una specie in sé. Anche se semplicistico,
l’uso di questa classificazione fino al 2004 ha portato all’identificazione di 2501 sierovarianti di Salmonella, il che a sua volta
ha reso necessaria un’ulteriore classificazione per facilitare la
comunicazione tra i ricercatori, gli ufficiali di salute pubblica
e il pubblico.
Tutte le sierovarianti di Salmonella formano un singolo gruppo di ibridazione del DNA: una singola specie composta da
17 sottospecie. La nomenclatura corrente con il nome di specie
Salmonella enterica è stata adottata con diverse sottospecie, I-VI
(Tab. 195-1). Ogni sottospecie contiene diversi sierotipi definiti
in base agli antigeni O e H. Per semplificare ulteriormente la nomenclatura per i medici e gli epidemiologi, sono stati mantenuti i
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■
Salmonella
■
1217
TABELLA 195-1. Nomenclatura della Salmonella
USO TRADIZIONALE
S. typhi
S. dublin
S. typhimurium
S. cholerae suis
S. marina
NOME FORMALE
S. enterica* subsp. enterica sier.Typhi
S. enterica subsp. enterica sier.Dublin
S. enterica subsp. enterica sier.Typhimurium
S. enterica subsp. enterica sier. Cholerae suis
S. enterica subsp. houtenae sier. Marina
DESIGNAZIONE CDC
S. sier.Typhi
S. sier.Dublin
S. sier.Typhimurium
S. sier. Cholerae suis
S. sier. Marina
CDC, Centers for Disease Control and Prevention; subsp., sottospecie; sier., sierovariante.
*Alcuni Autori preferiscono S. choleraesuis o S. enteritidis più che enterica per descrivere la specie.
comuni nomi delle sierovarianti per i ceppi della sottospecie I, che
rappresenta 99,5% dei ceppi di Salmonella isolati dagli esseri
umani e da altri animali a sangue caldo.
195.1 • SALMONELLOSI NON TIFOIDEA
EZIOLOGIA. Le salmonelle sono bacilli Gram-negativi mobili, non
sporigeni e non capsulati, che crescono aerobicamente e sono
capaci di crescita anaerobica facoltativa. Essi resistono a molti
agenti fisici ma possono essere uccisi con il riscaldamento a 54,4
°C per 1 ora o a 60 °C per 15 minuti. Essi rimangono vitali a
temperatura ambiente o a temperatura ridotta per giorni e possono sopravvivere per settimane nelle acque nere, negli alimenti
essiccati, negli agenti farmaceutici e nel materiale fecale. Come
altri membri della famiglia delle Enterobacteriaceae, la Salmonella possiede antigeni O somatici e antigeni H flagellari. Con
l’eccezione di pochi sierotipi che interessano solo una o poche
specie animali, come la S. dublin del bestiame e la S. cholerae suis
del maiale, la maggior parte dei sierotipi ha un spettro allargato
di ospiti. Tipicamente, questi ceppi causano una gastroenterite
che spesso non è complicata e che non necessita di trattamento,
ma può essere severa nei bambini più piccoli, negli anziani e
nei pazienti con compromissione immunitaria. Le cause sono
tipicamente la S. enteritidis (S. enterica sierotipo enteritidis) e
la S. typhimurium (S. enterica sierotipo typhimurium), i due più
importanti sierotipi della salmonellosi trasmessa dagli animali
agli esseri umani.
EPIDEMIOLOGIA. La salmonellosi costituisce un carico rilevante
per la salute pubblica e anche un costo significativo per la società
in molti Paesi. Si stima che, nei soli Stati Uniti, gli 1,4 milioni
di casi stimati di infezione da Salmonella non tifoidea costino
168 000 visite mediche, 15 000 ricoveri ospedalieri e 580 decessi
ogni anno. I costi totali associati alle infezioni da Salmonella
sono stimati in 3 miliardi di dollari ogni anno negli Stati Uniti.
Mentre sono disponibili poche informazioni sull’epidemiologia
e sul peso della gastroenterite da Salmonella nei Paesi in via di
sviluppo, è ben noto il ruolo che le infezioni da Salmonella hanno
come causa maggiore di diarrea in età pediatrica. Con il peso
crescente delle infezioni da HIV e della malnutrizione in Africa,
esiste un crescente interesse per l’importanza delle batteriemie da
Salmonella non tifoidea nei bambini e negli adulti.
Le infezioni da Salmonella non tifoidee sono distribuite in
tutto il mondo con un’incidenza proporzionale agli standard di
igiene, servizi igienici, disponibilità di acqua sicura e pratiche di
preparazione degli alimenti. Nel mondo sviluppato, l’incidenza
di infezioni e di epidemie da Salmonella è aumentata di diverse
volte negli ultimi decenni, il che può essere correlato alle moderne
pratiche di produzione di massa degli alimenti che aumentano i
rischi di epidemie. La gastroenterite da Salmonella comprende
più di metà di tutti gli episodi di diarrea batterica negli Stati
Uniti, con picchi di incidenza nelle età estreme, nei lattanti e negli
anziani. Mentre la maggior parte delle infezioni umane è stata
causata dalla S. enterica sierovariante Enteritidis, la sua prevalenza si è ridotta nell’ultimo decennio, superata dalla S. enterica
sierovariante Typhimurium in alcuni Paesi.
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PARTE XVI
■
Malattie infettive
L’aumento delle infezioni da Salmonella in molte parti del
mondo negli ultimi 3 decenni potrebbe anche essere correlato alle
pratiche di allevamento intensivo degli animali, che promuovono
selettivamente l’aumento di determinati ceppi, specialmente le
varietà resistenti agli antibiotici che emergono in risposta all’uso
di antibiotici negli animali da allevamento. Anche se questo può
essere correlato alla pressione selettiva da parte degli antibiotici,
vi possono essere altri fattori come l’insorgenza di ceppi con una
propensità selettiva a sviluppare resistenza e virulenza. Sembra
che i ceppi multiresistenti di Salmonella siano più virulenti dei
ceppi suscettibili e che un esito più sfavorevole non sia correlato
semplicemente alla scelta empirica di un antibiotico inefficace
che ritarda la risposta al trattamento. Ceppi multiresistenti di
Salmonella come la S. typhimurium tipo fagico DT104 possiedono un’isola genomica che contiene molti dei geni resistenti agli
antibiotici. È possibile che questi integroni contengano anche geni
che esprimono fattori di virulenza. La diffusione globale della S.
typhimurium tipo fagico DT104 negli animali e negli esseri umani
in anni recenti può essere correlata all’uso crescente di antibiotici
è anche facilitata dal commercio internazionale e nazionale di
animali infetti.
Vi sono diversi fattori di rischio associati a epidemie di infezioni da Salmonella. Gli animali costituiscono la fonte principale
di malattia da Salmonella non tifoidea, e si sono verificati casi in
cui i pazienti avevano avuto contatti con animali infetti, compresi
animali domestici come gatti, cani, rettili, roditori e anfibi. Specifici sierotipi sono associati a particolari ospiti animali; i bambini con la S. enterica sierovariante Marina tipicamente hanno
un’esposizione a lucertole domestiche. Gli animali domestici probabilmente acquisiscono l’infezione nello stesso modo degli esseri
umani attraverso il consumo di carne cruda, pollame o prodotti
derivati dal pollame contaminati. Gli alimenti per animali contenenti pesce o polvere di ossa contaminati da Salmonella sono
un’importante fonte di infezione per gli animali. Inoltre, concentrazioni subterapeutiche di antibiotici sono spesso aggiunte agli
alimenti per animali per migliorare la crescita. Queste pratiche
promuovono l’emergenza di batteri antibiotico-resistenti, tra cui
la Salmonella, nella flora intestinale degli animali con conseguente contaminazione della loro carne. Vi sono forti evidenze che
legano la resistenza della S. typhimurium ai fluorochinolonici al
suo utilizzo negli alimenti per animali. Mentre è possibile la trasmissione da animale ad animale, la maggior parte degli animali
infetti è asintomatica.
Le infezioni da Salmonella nel pollo aumentano il rischio di contaminazione delle uova e sia il pollame sia le uova sono associate
a quasi la metà delle epidemie da una fonte comune. Le epidemie
associate a prodotti alimentari sono spesso causate da contaminazione degli impianti di lavorazione del cibo o da alimentaristi
infetti. Mentre quasi l’80% delle infezioni da Salmonella sono
sporadiche, le epidemie possono creare un carico eccessivo per i
sistemi sanitari pubblici. Ciò può essere particolarmente rischioso
nelle scuole. In una valutazione di 604 epidemie consecutive di
infezioni trasmesse dagli alimenti nelle scuole, la Salmonella era
il patogeno di più frequente identificazione, comprendendo il
36% delle epidemie riportate con eziologia nota. Nel 55% delle
epidemie sono stati identificati epidemiologicamente specifici veicoli di trasmissione comprendendo alimenti contenenti pollame
(18,6%), insalate (6%), cibo messicano (6%), manzo (5,7%) e
prodotti lattiero-caseari esclusi i gelati (5%). Le pratiche di preparazione più frequentemente riportate che hanno contribuito
alle epidemie scolastiche erano la conservazione e le temperature
di conservazione non appropriate degli alimenti e l’infezione del
personale addetto alla manipolazione degli alimenti.
Oltre agli effetti dell’uso degli antibiotici negli alimenti animali,
è ben nota la relazione tra infezione da Salmonella e pregresso uso
di antibiotici nei bambini nel mese precedente all’infezione. Questo aumento del rischio d’infezione in soggetti che hanno ricevuto
antibiotici per una causa non correlata può essere in relazione ad
alterazioni della microecologia intestinale che li predispongono
a colonizzazione e infezione da isolati antibiotico-resistenti di
Salmonella. Questi ceppi resistenti di Salmonella sono anche più
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virulenti. Si stima che la resistenza antibiotica nella Salmonella
possa essere alla base di circa 30 000 ulteriori infezioni da Salmonella con 300 ospedalizzazioni e 10 decessi.
Data la natura ubiquitaria del microrganismo, le infezioni nosocomiali da ceppi non tifoidei di Salmonella possono avvenire
anche attraverso attrezzature e preparazioni diagnostiche o farmacologiche contaminate, particolarmente quelle di origine animale (estratti pancreatici, estratti ipofisari, sali biliari). I bambini
ospedalizzati hanno un rischio aumentato di infezioni severe e
complicate da Salmonella, specialmente da microrganismi multiresistenti.
PATOGENESI. Il numero stimato di batteri che deve essere ingerito per causare una malattia sintomatica in adulti sani è di
106-108 microrganismi. L’acidità gastrica inibisce la moltiplicazione delle salmonelle e la maggior parte dei microrganismi viene
rapidamente eliminata a un pH gastrico 2. Acloridria, farmaci
antiacidi, un rapido svuotamento gastrico dopo gastrectomia o
gastroenterostomia e un inoculo di grande entità permettono a
microrganismi vitali di raggiungere l’intestino tenue. I neonati
e i lattanti hanno un’ipocloridria e un rapido svuotamento gastrico che contribuiscono alla loro aumentata vulnerabilità alla
salmonellosi sintomatica. Nei lattanti, che tipicamente assumono
liquidi, l’entità dell’inoculo che può produrre la malattia è anche
comparativamente più piccolo a causa del transito più veloce
attraverso lo stomaco.
Una volta raggiunto l’intestino tenue e il colon, la capacità
della Salmonella di moltiplicarsi e causare infezione dipende dalla dose infettante come anche dalla competizione con la flora
normale. Una pregressa terapia antibiotica può alterare questa
relazione, come anche fattori quali la cosomministrazione di farmaci antimotilità. La tipica risposta antimucosale all’infezione da
Salmonella non tifoidea è un’enterocolite con infiammazione ed
edema mucosali diffusi, talvolta con erosioni e microascessi. La
Salmonella è in grado di penetrare la mucosa intestinale, anche
se non si osservano distruzione delle cellule epiteliali e ulcere.
L’infiammazione intestinale, con leucociti polimorfonucleati e
macrofagi, di solito interessa la lamina propria. Il tessuto linfatico intestinale e i linfonodi mesenterici sottostanti aumentano
di dimensioni e possono sviluppare piccole aree di necrosi. Tale
ipertrofia linfatica può causare interferenza con l’apporto ematico della mucosa intestinale. Nel fegato e nella milza si osserva
anche iperplasia del sistema reticoloendoteliale. Se si sviluppa una
batteriemia, può portare a infezione e suppurazione localizzata
in quasi tutti gli organi.
La Salmonella spp. invade le cellule epiteliali in vitro con un
processo di endocitosi batterio-mediata, con riarrangiamento del
citoscheletro, obliterazione dell’orletto a spazzola cellulare e con
successiva formazione di pliche della membrana. Un fenotipo
adesivo e invasivo di S. enterica è attivo in condizioni simili a
quelle che si osservano nell’intestino tenue umano (osmolarità
elevata, ossigeno scarso). Il fenotipo invasivo è mediato, in parte,
dall’isola di patogenicità 1 della Salmonella (SPI-1), una regione
di 40 kb che codifica proteine regolatrici (HilA), un sistema di
secrezione di tipo III (TTSS) che elimina proteine dal cytosol della
Salmonella nella cellula ospite, e diverse proteine effettrici che
inducono alterazioni all’interno della cellula ospite e favoriscono
la captazione batterica. Anche se la S. typhimurium può causare
una malattia sistemica negli esseri umani, l’infezione intestinale
di solito risulta in un’enterite localizzata associata a una risposta
secretiva dell’epitelio intestinale, nonché all’induzione della secrezione dell’interleuchina 8 (IL-8) dalla superficie basolaterale e
di altri chemo-attraenti epiteliali stimolati dal patogeno verso la
superficie apicale, che dirigono il reclutamento e la trasmigrazione dei neutrofili nel lume intestinale, prevenendo in questo modo
la diffusione sistemica dei batteri (Fig. 195-1).
Subito dopo l’invasione dell’epitelio intestinale, i microrganismi
invasivi incontrano i macrofagi all’interno del tessuto linfatico
associato all’intestino (GALT). L’interazione tra la Salmonella e i
macrofagi risulta nell’alterazione dell’espressione di diversi geni
dell’ospite, compresi quelli che codificano i mediatori proinfiam-
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Capitolo 195
Gastroenterite da Salmonella non tifoidea
Salmonella
non tifoidea
Lisosoma
Enterociti
■
Salmonella
■
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TABELLA 195-2. Fattori dell’ospite e condizioni predisponenti allo
sviluppo di malattia sistemica da ceppi di Salmonella non tifoidei
Neonati e lattanti 3 mesi di età
HIV/AIDS
Altri deficit immunitari e malattia granulomatosa cronica
Terapia immunosoppressiva e corticosteroidea
Neoplasie maligne, specialmente leucemia e linfoma
Anemia emolitica, tra cui anemia a cellule falciformi, malaria e bartonellosi
Malattia vascolare del collagene
Malattia infiammatoria intestinale
Acloridria o uso di farmaci antiacidi
Riduzione della motilità intestinale
Schistosomiasi, malaria
Malnutrizione
IL-8 e altri
mediatori
Attrazione
e migrazione
dei neutrofili
Figura 195-1. Patogenesi della gastroenterite da Salmonella. (Adattata da
Santos RL, Tsolis RM, Bäumler AJ, et al: Pathogenesis of Salmonella-induced
enteritis. Braz J Med Biol Res 2003;36[1]:3–12.)
matori (ossido nitrico sintetasi inducibile [iNOS], chemochine,
IL-1b), i recettori o molecole di adesione (recettore del fattore
di necrosi tumorale [TNF-], il CD40, la molecola di adesione
intercellulare 1 [ICAM-1]) e i mediatori antinfiammatori (fattore
trasformante-1 e -2 [TGF-1 e -2]). Altri geni soggetti ad
upregulation comprendono quelli coinvolti nella morte cellulare
o apoptosi (proteasi della cellula epiteliale intestinale, TNF-R1,
Fas) e fattori di trascrizione (Egr-1, IRF-1). La S. typhimurium
può indurre una morte rapida dei macrofagi in vitro, dipendente
dalla proteina caspasi-1 della cellula ospite e mediata dall’effetto
SipB di SPI-1. La S. typhimurium si trova all’interno di vacuoli specializzati contenenti la Salmonella che si sono allontanati
dalla normale via endocitica. Questa capacità di sopravvivere
all’interno dei monociti/macrofagi è essenziale alla S. typhimurium per stabilire un’infezione sistemica nel topo. La risposta
proinfiammatoria della mucosa nei confronti dell’infezione da S.
typhimurium e il successivo reclutamento delle cellule fagocitiche
nel sito di infezione può anche facilitare la diffusione sistemica dei
batteri. Alcuni tratti di virulenza sono condivisi da tutte le salmonelle, ma altri sono ristretti a determinati sierotipi. Questi tratti
di virulenza sono stati definiti in colture tessutali e in modelli di
ratto, ed è probabile che le caratteristiche cliniche dell’infezione
umana da Salmonella siano infine correlate a specifiche sequenze
di DNA. Nella maggior parte delle salmonellosi non tifoidee associate a diarrea, l’infezione non si estende oltre la lamina propria
e ai linfatici locali. Specifici geni di virulenza sono correlati alla
capacità di causare batteriemia. Negli esseri umani, questi geni si
trovano significativamente più spesso in ceppi di S. typhimurium
isolati dal sangue piuttosto che dalle feci. Sia S. dublin sia S.
cholerae suis hanno una maggiore propensità a invadere rapidamente il circolo con scarso interessamento intestinale o nessun
interessamento del tutto. Lo sviluppo di malattia dopo infezione
da Salmonella dipende dal numero di microrganismi infettanti,
dai loro tratti di virulenza e da diversi fattori dell’ospite. Diversi
fattori dell’ospite possono inoltre influire sullo sviluppo di complicanze specifiche o sindromi cliniche (Tab. 195-2).
Tuttavia, è possibile una batteriemia con qualsiasi sierotipo
di Salmonella, specialmente negli individui con ridotte difese
dell’ospite e specialmente in quelli con alterazione della funzione
reticoloendoteliale o immunocellulare. Pertanto, i bambini con
infezione da HIV, malattia granulomatosa cronica e leucemia
hanno una maggiore probabilità di sviluppare batteriemia dopo
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un’infezione da Salmonella, anche se la maggior parte dei bambini con batteriemia in Africa è HIV-negativa. Anche i bambini con
infezione da Schistosoma mansoni e interessamento epatosplenico come anche con anemia malarica cronica hanno un aumento
del rischio di sviluppare una salmonellosi cronica. I bambini con
malattia a cellule falciformi hanno un aumento del rischio di
setticemia e osteomielite da Salmonella. Ciò può essere correlato
alla presenza di numerose aree infartuali nel tratto gastrointestinale, nelle ossa e nel sistema reticoloendoteliale, come anche una
riduzione della capacità fagocitaria e opsonizzante dei pazienti,
che per mette la proliferazione del microrganismo.
Alcuni difetti ereditari, come il deficit di IL-12 (deficit della
catena beta1 del recettore di IL-12, delezione della subunità p40
di IL-12) sono associati a un aumento del rischio di infezioni da
Salmonella, suggerendo un ruolo chiave per IL-12 nella clearance
della Salmonella. IL-12 è prodotto dai macrofagi attivati ed è un
potente induttore di interferone da parte delle cellule natural
killer e dai linfociti T. Considerato il ruolo protettivo putativo
di IL-12 contro le infezioni malariche, l’infezione da Salmonella
dei fagociti può interessare secondariamente la produzione di
IL-12 e quindi produrre un circolo vizioso di malaria cronica e
coinfezione da Salmonella.
MANIFESTAZIONI CLINICHE
Enterite acuta. La più comune presentazione clinica della salmonellosi è l’enterite acuta. Dopo un periodo di incubazione di 6-72
ore (media, 24 ore), compaiono improvvisamente nausea, vomito
e dolori addominali crampiformi, soprattutto nell’area periombelicale e nel quadrante inferiore destro, seguiti da diarrea acquosa
da lieve a severa e talvolta da diarrea mucoematica. Un’elevata
percentuale di bambini è febbrile, anche se i lattanti possono
avere una temperatura normale o subnormale. I sintomi di solito
scompaiono entro 2-7 giorni nei bambini sani e i decessi sono
rari. Tuttavia, alcuni bambini sviluppano una malattia severa con
un quadro simil-setticemico (febbre elevata, cefalea, sonnolenza,
confusione, meningismo, convulsioni, distensione addominale).
Le feci tipicamente contengono un numero moderato di leucociti
polimorfonucleati e sangue occulto. Può essere presente una lieve
leucocitosi.
Batteriemia. Anche se l’esatta incidenza di batteriemia dopo
una gastroenterite da Salmonella non è chiara, una batteriemia
transitoria può verificarsi nell’1-5% dei bambini con diarrea da
Salmonella. Anche se nei neonati e nei lattanti una batteriemia
può verificarsi con una sintomatologia minima associata, nei
bambini più grandi tipicamente segue una gastroenterite e può
essere associata a febbre, brividi e shock settico. Nei pazienti con
AIDS, una setticemia ricorrente compare nonostante la terapia
antibiotica, spesso con una coprocoltura negativa per la Salmonella e talvolta senza un focolaio identificabile di infezione. La
gastroenterite da Salmonella non tifoidea causa comunemente
batteriemia nei Paesi non sviluppati. Tassi elevati di malattia
invasiva da S. thyphimurium e S. enteritidis riportati in Africa
(38-70% degli isolati) suggeriscono un’associazione con l’infezione da HIV e con la malaria.
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■
PARTE XVI
■
Malattie infettive
Infezioni focali extraintestinali. Successivamente a una batteriemia, le salmonelle hanno la tendenza a disseminare e causare
infezioni suppurative di diversi organi. Le infezioni focali più
comuni coinvolgono il sistema scheletrico, le meningi, siti intravascolari e siti di anomalie preesistenti, le aree di infarto osseo
come nella malattia a cellule falciformi o le protesi ossee. Anche
se l’infezione meningea è meno comune della batteriemia, le infezioni da Salmonella sono associate anche a infezioni intracraniche
focali. Il picco di incidenza della meningite da Salmonella è nella
prima infanzia e può essere associato a un decorso clinico florido,
a un’elevata mortalità e a sequele neurologiche.
COMPLICANZE. La gastroenterite da Salmonella può essere associata a disidratazione acuta e complicanze derivanti dalla ritardata presentazione e dal trattamento inadeguato. La batteriemia
nei lattanti e negli individui immunocompromessi può avere serie
conseguenze ed esiti potenzialmente fatali. La Salmonella può
disseminarsi in diversi sistemi d’organo, con infezioni intracraniche (meningite, ascessi cerebrali focali) e anche osteomielite
in bambini con anemia a cellule falciformi. Un’artrite reattiva
può fare seguito a una gastroenterite da Salmonella, di solito in
adolescenti con HLA-B27.
In certi gruppi ad alto rischio, specialmente in quelli con deficit immunitari, il decorso della gastroenterite da Salmonella
può essere più complicato. Neonati, lattanti 6 mesi di età e
bambini con deficit immunitari primitivi o secondari possono
avere sintomi persistenti per diverse settimane. Il decorso della
malattia e le complicanze possono inoltre essere influenzati da
patologie concomitanti. Nei bambini con AIDS, l’infezione si
diffonde frequentemente e diviene estremamente invasiva, con
interessamento multisistemico, shock settico e morte. Nei pazienti con malattia intestinale infiammatoria, specialmente colite
ulcerosa attiva, la gastroenterite da Salmonella può essere potenzialmente fatale, con rapido sviluppo di megacolon tossico,
traslocazione batterica e sepsi. Nei bambini con schistosomiasi,
la Salmonella può persistere e moltiplicarsi con gli schistosomi,
portando a infezione cronica a meno di un trattamento efficace
della schistosomiasi. Una batteriemia prolungata o intermittente
è associata a febbre di basso grado, anoressia, calo ponderale,
diaforesi e mialgie, e può verificarsi nei bambini con malattie di
base e disfunzione del sistema reticoloendoteliale come l’anemia
emolitica o la malaria.
DIAGNOSI. Esistono poche caratteristiche cliniche che sono specifiche della gastroenterite da Salmonella e che permettono la
diagnosi differenziale con altre cause batteriche di diarrea. La
diagnosi definitiva di infezione da Salmonella si basa sulla correlazione clinica della presentazione e della coltura e sulla conseguente
identificazione delle salmonelle nelle feci o in altri fluidi corporei.
Nei bambini con gastroenterite, la coprocoltura di materiale fecale
garantisce risultati migliori del tampone rettale. Nei bambini con
gastroenterite da Salmonella non tifoidea, una febbre che dura
5 o più giorni e un’età più giovane devono essere riconosciute
come fattori di rischio strettamente associati allo sviluppo di batteriemia. Nei pazienti con siti di suppurazione locale, i campioni
aspirati devono essere colorati con colorazione di Gram e messi
in coltura. La Salmonella cresce bene in terreni non selettivi o
arricchiti, come agar-sangue, agar-cioccolato o brodo nutritivo,
ma i campioni fecali contenenti una flora batterica mista richiedono per l’isolamento terreni selettivi come gli agar di MacConkey, desossicolato-lisina-xilosio (XLD), solfito di bismuto (BBL) o
Salmonella-Shigella (SS). Anche se altri metodi diagnostici rapidi,
come l’agglutinazione su lattice e l’immunofluorescenza, sono stati
sviluppati per la diagnosi rapida di Salmonella in coltura, esistono
pochi test confrontabili per la diagnosi sierologica rapida. Le tecniche di reazione a catena della polimerasi (PCR) possono offrire
una rapida alternativa alle colture classiche, ma non sono ancora
molto diffuse in ambito clinico.
TRATTAMENTO. Una terapia appropriata è correlata alla presentazione clinica specifica dell’infezione da Salmonella. Nei bambini
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con gastroenterite, una valutazione clinica rapida, la correzione
della disidratazione e degli squilibri elettrolitici e la terapia di
supporto sono fondamentali (vedi Capitoli 55 e 337). Gli antibiotici non sono generalmente raccomandati per il trattamento
della gastroenterite da Salmonella in quanto possono sopprimere
la normale flora intestinale e prolungare la secrezione della Salmonella, e a causa del rischio remoto di creare uno stato di portatore cronico (di solito negli adulti). Tuttavia, dato il rischio di
batteriemia nei lattanti (3 mesi di età) e di infezione disseminata
nei gruppi ad alto rischio con compromissione immunitaria (HIV,
neoplasie maligne, terapia immunosoppressiva, stati di immunodeficienza), questi bambini devono ricevere un appropriato antibiotico empirico fino alla disponibilità dei risultati delle colture
(Tab. 195-3). Il ceppo della S. typhimurium tipo fagico DT104 è
di solito resistente a 5 farmaci: ampicillina, cloramfenicolo, streptomicina, sulfamidici e tetraciclina. Una crescente percentuale di
isolati di S. typhimurium tipo fagico DT104 ha una ridotta sensibilità ai fluorochinolonici. Data l’elevata mortalità associata alle
infezioni da Salmonella multiresistente, è necessario eseguire test
di sensibilità su tutti gli isolati umani. Le infezioni da Salmonella
con sospetta resistenza devono essere attentamente monitorate e
trattate con un’appropriata antibioticoterapia.
PROGNOSI. La maggior parte dei bambini sani con gastroenterite
da Salmonella ha un recupero completo. Tuttavia, i bambini
malnutriti e quelli che non ricevono un trattamento di supporto
ottimale (vedi Capitoli 55 e 337) sono a rischio di sviluppare
una diarrea prolungata e complicanze. I lattanti e i pazienti
immunocompromessi spesso hanno un interessamento sistemico,
un decorso prolungato e focolai extraintestinali. In particolare, i
bambini con infezione da HIV e infezioni da Salmonella possono
avere un decorso florido.
Dopo l’infezione, le salmonelle non tifoidee sono eliminate
nelle feci per una mediana di 5 settimane. Tuttavia, dopo il recupero clinico da una gastroenterite da Salmonella, l’eliminazione
fecale asintomatica del microrganismo può avvenire per diversi
mesi, particolarmente nei bambini più piccoli o in quelli trattati
con antibiotici. Uno stato prolungato di portatore dopo una
salmonellosi non tifoidea è raro (1%) ma si può osservare in
bambini con malattie delle vie biliari e colelitiasi dopo un’emolisi
cronica. Uno stato di portatore di Salmonella prolungato è raro
nei bambini sani, ma è stato segnalato nei bambini con deficit
immunitari. Durante il periodo di eliminazione della Salmonella,
il soggetto può infettare altre persone, direttamente per via orofecale o indirettamente attraverso alimenti contaminati.
PREVENZIONE. Il controllo della trasmissione delle infezioni da
Salmonella negli esseri umani richiede il controllo dell’infezione
nei serbatoi animali, un uso attento degli antibiotici nell’allevamento a scopo lattiero-caseario e alimentare (carne), la prevenzione della contaminazione di alimenti preparati con prodotti di
origine animale e l’uso di standard appropriati nella preparazione
dei cibi nelle cucine commerciali e private (Tab. 195-4). Poiché
le epidemie maggiori sono spesso correlate alla preparazione di
massa degli alimenti, occorre ricordare che la contaminazione
di uno solo degli elementi meccanici utilizzati nella preparazione degli alimenti può causare un’epidemia; è fondamentale una
pulizia meticolosa delle attrezzature. La disponibilità di acqua
TABELLA 195-3. Trattamento della gastroenterite da Salmonella
MICRORGANISMO E INDICAZIONE
DOSE E DURATA DEL TRATTAMENTO
Infezioni da Salmonella nei lattanti 3 mesi Cefotaxima 100-200 mg/kg/die ogni 6 ore per 5-14 giorni
di età, soggetti immunocompromessi
oppure
Ceftriaxone 75 mg/kg/die una volta al giorno per 7 giorni
oppure
Ampicillina 100 mg/kg/die ogni 6 ore per 7 giorni
oppure
Cloramfenicolo 15 mg/kg/die suddivisi ogni 6 ore per os
per 5-10 giorni
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Capitolo 195
TABELLA 195-4. Raccomandazioni per la prevenzione della trasmissione
di Salmonella da rettili e anfibi agli esseri umani
Proprietari di negozi di animali, operatori sanitari e veterinari devono fornire informazioni ai proprietari
e ai potenziali acquirenti di rettili e anfibi sui rischi e sulla prevenzione della salmonellosi da questi
animali domestici.
Le persone con aumento del rischio d’infezione o di complicanze severe da salmonellosi (per es. bambini
con meno di 5 anni e le persone immunocompromesse) devono evitare i contatti con rettili e anfibi
e con qualsiasi oggetto che sia stato a contatto con rettili e anfibi.
Rettili e anfibi devono essere evitati nelle case dove vi sono bambini con meno di 5 anni o persone
immunocompromesse. Una famiglia che aspetta un bambino deve eliminare qualsiasi rettile o anfibio
domestico dalla casa prima del suo arrivo.
Rettili e anfibi non devono essere permessi nei centri di child-care.
Le persone devono sempre lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone dopo aver maneggiato rettili
e anfibi o le loro gabbie.
Rettili e anfibi non devono potere muoversi liberamente in casa o in un’area di soggiorno.
Rettili e anfibi domestici devono rimanere lontani dalle cucine e da altre aree di preparazione degli alimenti.
I lavandini delle cucine non devono essere usati per immergervi rettili o anfibi o per lavarne piatti, gabbie
o acquari. Se a questo scopo vengono usate le vasche da bagno, esse devono essere pulite e disinfettate
a fondo con candeggina.
Rettili e anfibi in aree pubbliche (per es. zoo e mostre) devono essere tenuti lontani dal contatto diretto
o indiretto con i visitatori eccetto che per le aree previste per il contatto con gli animali e fornite della
possibilità di lavarsi adeguatamente le mani. In queste aree di contatto con gli animali non devono essere
permessi cibi e bevande.
Da the Centers for Disease Control and Prevention: Reptile-associated salmonellosis – Selected states, 1998-2002.MMWR
2003;52:1206–1210.
pura e l’educazione al lavaggio delle mani e alla preparazione e
alla conservazione degli alimenti per ridurre la trasmissione da
persona a persona sono essenziali. La Salmonella può restare vitale quando le modalità di cottura impediscono che un alimento
raggiunga una temperatura superiore a 65,5 °C) per 12 min. I
genitori devono conoscere i rischi relativi ai rettili e agli animali
domestici nelle case in cui vi sono bambini molto piccoli.
Al contrario dei Paesi sviluppati, si sa relativamente poco sulla trasmissione delle infezioni da Salmonella non tifoidee nei
Paesi sviluppati, ed è probabile che la trasmissione da persona
a persona possa essere relativamente più importante in alcune
situazioni.
Anche se alcuni vaccini sono stati usati negli animali, non è
attualmente disponibile alcun vaccino contro le infezioni da Salmonella non tifoidee. Le infezioni devono essere segnalate alle
autorità sanitarie pubbliche affinché le epidemie possano essere
riconosciute e studiate. Considerato il rapido aumento della resistenza antibiotica tra gli isolati di Salmonella, è fondamentale
una rigorosa regolazione dell’uso di antibiotici nei mangimi per
animali.
195.2 • FEBBRE ENTERICA (FEBBRE TIFOIDE)
La febbre enterica (più frequentemente denominata febbre tifoidea) rimane endemica in molti Paesi in via di sviluppo. Considerata la moderna facilità di viaggiare, sono segnalati regolarmente
casi nella maggior parte dei Paesi sviluppati, di solito in viaggiatori di ritorno da un viaggio.
EZIOLOGIA. La febbre tifoidea è causata dalla Salmonella enterica
sierovariante typhi (S. typhi), un batterio Gram-negativo. Una
malattia molto simile ma spesso meno severa è causata dalla
S. paratyphi A e raramente dalla S. paratyphi B (schotmulleri)
e dalla S. paratyphi C (hirschfeldii). Il rapporto tra la malattia
causata dalla S. typhi con quello della malattia da S. paratyphi è
di circa 10 a 1, anche se la percentuale di infezioni da S. paratyphi è in aumento in alcune parti del mondo. Anche se la S. typhi
condivide molti geni con l’Escherichia coli e almeno il 95% dei
geni con la S. typhimurium, esistono diversi cluster genici specifici noti come isole di patogenicità e altri che sono stati acquisiti
nel corso dell’evoluzione. L’inattivazione di singoli geni, come
anche l’acquisizione o la perdita di singoli geni o di ampie isole
di DNA possono avere contribuito all’adattamento dell’ospite e
alla restrizione della S. typhi.
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■
Salmonella
■
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Uno dei geni più specifici è quello del polisaccaride capsulare
Vi. Questo è presente nel 90% circa di tutti gli isolati recenti di
S. typhi e ha un effetto protettivo contro l’azione battericida del
siero dei pazienti infetti.
EPIDEMIOLOGIA. Si stima attualmente che ogni anno si verifichino
più di 21,7 milioni di casi di febbre tifoide, con la grande maggioranza dei casi in Asia, con oltre 200 000 decessi. Inoltre, si
stima che si verifichino 5,4 milioni di casi di febbre paratifoide.
Considerata la scarsità di dotazioni microbiologiche nei Paesi in
via di sviluppo, queste cifre possono essere più rappresentative
della sindrome clinica che della malattia dimostrata da una coltura. Nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo, l’incidenza
di febbre tifoide è 15 casi su 100 000, di cui la maggior parte si
verifica nei viaggiatori oppure come casi isolati di esposizione a
portatori. Al contrario, l’incidenza può variare considerevolmente nel mondo sviluppato, con valori stimati tra 100 e 1000 casi su
100 000. Vi possono inoltre essere differenze nella distribuzione
per età e nella popolazione a rischio. Studi basati sulla popolazione dell’Asia Meridionale indicano anche che, contrariamente alle
precedenti opinioni, l’incidenza età-specifica di febbre tifoide può
essere più elevata nei bambini 5 anni di età, con tassi comparabilmente più elevati di complicanze e ospedalizzazione.
La febbre tifoide è stata notevole per l’emergenza di antibiotico-resistenze. Dopo epidemie sporadiche di febbre tifoide resistente al cloramfenicolo, molti ceppi di S. typhi hanno sviluppato
una multiresistenza mediata da plasmidi a tutti e 3 gli antibiotici
primari: ampicillina, cloramfenicolo e trimetoprim-sulfametoxazolo. È stata descritta una resistenza acquisita cromosomica della
S. typhi ai chinolonici in diverse parti dell’Asia, che potrebbe
essere una conseguenza del diffuso e indiscriminato uso di questi
antibiotici.
La S. typhi è altamente adattata all’infezione di esseri umani al
punto che ha perso la capacità di causare una malattia trasmissibile in altri animali. La scoperta di un gran numero di pseudogeni nella S. typhi suggerisce che il genoma di questo patogeno
è andato incontro a degenerazione per facilitare un’associazione
specializzata con gli esseri umani. Pertanto, il contatto diretto o
indiretto con una persona infetta (ammalato o portatore cronico)
è un prerequisito per l’infezione. L’ingestione di alimenti o acqua
contaminata con S. typhi da feci umane è la modalità più comune
di trasmissione, anche se nei Paesi in via di sviluppo possono
aversi epidemie diffuse attraverso l’acqua a causa di cattivi sistemi
di trattamento delle acque o per contaminazione. In altre parti del
mondo, possono causare infezione anche ostriche e altri frutti di
mare coltivati in acque contaminate da acque nere o dall’uso di
rifiuti umani come fertilizzanti.
PATOGENESI. La malattia si verifica in seguito a ingestione del
microrganismo ed è stata segnalata un’ampia varietà di fonti di
contaminazione, compresi i cibi di strada e la contaminazione
dei bacini idrici.
Esperimenti su volontari umani hanno stabilito una dose infettante di circa 105-109 microrganismi con un periodo di incubazione variabile da 4 a 14 giorni, a seconda della dose di inoculo di
batteri vitali. Dopo l’ingestione, si ritiene che la S. typhi invada
l’organismo attraverso la mucosa intestinale dell’ileo terminale,
forse attraverso cellule specializzate nella processazione dell’antigene, note come cellule M, che si trovano al di sopra del tessuto
linfatico associato all’intestino (GALT), attraverso gli enterociti,
o attraverso una via parallela. La S. typhi attraversa la barriera
mucosa intestinale dopo essersi attaccata ai microvilli mediante
un intricato meccanismo comprendente la plicatura della membrana, il riarrangiamento dell’actina e l’internalizzazione in un
vacuolo intracellulare. Dopo essere passata attraverso la mucosa
intestinale, la S. typhi entra nel sistema linfatico mesenterico e
quindi passa in circolo attraverso i linfatici. Questa batteriemia
primaria è di solito asintomatica e l’emocoltura è frequentemente
negativa in questa fase della malattia. I batteri in circolo si disseminano nell’organismo e si ritiene che colonizzino gli organi del
sistema reticoloendoteliale, dove possono replicarsi all’interno
23-09-2008 12:38:42
1222
■
PARTE XVI
■
Malattie infettive
dei macrofagi. Dopo un periodo di replicazione batterica, la S.
typhi si diffonde nuovamente in circolo causando una batteriemia
secondaria, che coincide con l’esordio dei sintomi clinici e segna il
termine del periodo di incubazione (Fig. 195-2). Gli studi in vitro
con linee cellulari umane hanno dimostrato differenze qualitative
e quantitative della risposta delle cellule epiteliali alla S. typhi e
alla S. typhimurium rispetto alla secrezione di citochine e chemochine. Pertanto, evitando lo scatenamento di una risposta infiammatoria precoce nell’intestino, la S. typhi può invece colonizzare
i tessuti e i sistemi d’organo più profondi. L’infezione da S. typhi
produce una risposta infiammatoria negli strati mucosi profondi
e nel tessuto linfatico sottostante, con iperplasia delle placche di
Peyer e successiva necrosi e sfaldamento dell’epitelio sovrastante
con ulcerazioni. Le ulcere possono sanguinare, ma di solito guariscono senza cicatrizzazione o formazione di stenosi. La lesione
infiammatoria può occasionalmente penetrare la muscolare e la
sierosa dell’intestino e causare perforazione. I linfonodi mesenterici, epatici e splenici sono iperemici e generalmente rivelano
anche aree di necrosi focale. Una fase di risposta mononucleata
può essere osservata nel midollo osseo in associazione con aree di
necrosi focale. Le alterazioni morfologiche dell’infezione da S. typhi sono meno marcate nei lattanti rispetto ai bambini più grandi
e agli adulti. In particolare, al contrario degli adulti con febbre
tifoide, nonostante la moltiplicazione batterica nella parete della
colecisti, l’infiammazione è sia focale che lieve.
Si ritiene che diversi geni di virulenza, compreso lo SPI-2 TTSS,
possano essere necessari per le proprietà di virulenza e la capacità di causare infezioni sistemiche. L’antigene polisaccaridico
superficiale Vi (virulenza) che si trova nella S. typhi interferisce
con la fagocitosi pervenendo il legame di C3 alla superficie del
batterio. La capacità dei microrganismi di sopravvivere all’interno dei macrofagi dopo la fagocitosi è un importante tratto di
virulenza codificato dal regulone phoP; può essere correlato agli
effetti metabolici sulle cellule ospiti. La comparsa occasionale di
diarrea può essere spiegata dalla presenza di una tossina correlata
con la tossina colerica e dell’enterotossina termolabile dell’E. coli.
La sindrome clinica di febbre e sintomi sistemici è prodotta dal
rilascio di citochine proinfiammatorie (IL-6, IL-1 e TNF-) da
parte delle cellule infette.
Oltre alla virulenza dei microrganismi infettanti, anche i fattori
e l’immunità dell’ospite possono avere un ruolo importante nella
predisposizione all’infezione. Esiste un’associazione tra sensibilità
alla febbre tifoide e geni umani dei loci di classe II e di classe
III del complesso maggiore di istocompatibilità. I pazienti con
infezione da HIV hanno un rischio significativamente aumentato
di infezione clinica da S. typhi e S. paratyphi. Allo stesso modo,
i pazienti con infezione da Helicobacter pylori hanno anche un
aumento del rischio di acquisire la febbre tifoide.
MANIFESTAZIONI CLINICHE. Il periodo di incubazione della febbre
tifoide è di solito 7-14 giorni, ma dipende anche dalla dose infettante (range 3-30 giorni). La presentazione clinica varia da una
malattia lieve con febbre di basso grado, malessere e lieve tosse
secca fino a un quadro clinico severo con dolore addominale e
complicanze multiple.
Molti fattori influenzano la severità e l’esito clinico generale
dell’infezione. Essi comprendono la durata della malattia prima
dell’inizio di una terapia appropriata, la scelta del trattamento
antibiotico, l’età, la pregressa esposizione o la storia vaccinale, la
virulenza del ceppo batterico, l’entità dell’inoculo ingerito e vari
fattori dell’ospite che influenzano lo stato immunitario.
La presentazione della febbre tifoide può differire anche in
rapporto all’età. Anche se i dati dell’America del Sud e di alcune
parti dell’Africa suggeriscono che la febbre tifoide può presentarsi come malattia lieve nei bambini più piccoli, vi possono
essere delle variazioni in altre parti del mondo. Vi sono crescenti
evidenze dall’Asia Meridionale che la presentazione della febbre
tifoide può essere più drammatica nei bambini 5 anni di età,
con tassi comparabilmente più elevati di complicanze e ospedalizzazione. Anche la diarrea, la tossicità e complicanze come
quelle intravascolari disseminate sono più comuni nei bambini
più piccoli, con tassi di mortalità più elevati. Tuttavia, alcune
delle altre caratteristiche e complicanze della febbre tifoide che si
osservano negli adulti, come bradicardia relativa, manifestazioni
neurologiche ed emorragie gastrointestinali, sono rare.
La febbre tifoide di solito si presenta con febbre di grado
elevato con un’ampia varietà di sintomi associati come mialgia
generalizzata, dolore addominale, epatosplenomegalia e anores-
Patogenesi della febbre tifoide
Salmonella
typhi
Cellula M
Disseminazione
diffusa
Placche di Peyer
riesposte a S. typhi
attraverso la bile
Enterociti
di rivestimento
dell’ileo terminale
Placca del Peyer
e macrofago
residente
Linfonodi
mesenterici
Batteriemia
primaria
Batteriemia
secondaria
Disseminazione del sistema
reticoloendoteliale:
fegato, milza, colecisti,
midollo osseo
Figura 195-2. Patogenesi della febbre tifoide. (Adattata da Richens J: Typhoid fever. In Cohen J, Powderly WG, Opal SM [editors]: Infectious Diseases, 2nd ed.
London, Mosby, 2004, pp 1561-1566.)
180-206ANA.indd 1222
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Capitolo 195
sia (Tab. 195-5). Nei bambini la diarrea può essere presente nelle
fasi più precoci della malattia e può essere seguita da stipsi. In
assenza di segni di localizzazione, la fase precoce della malattia
può essere difficile da distinguere da altre malattie endemiche
come malaria o Dengue. La febbre può aumentare gradualmente,
ma il classico aumento per gradi è relativamente raro. Nel 25%
circa dei casi può essere visibile un rash maculoso o maculopapuloso (macchie rosacee) intorno al 7°-10° giorno di malattia e
le lesioni possono apparire a gruppi di 10-15 sulla parte inferiore
del torace e sull’addome con la durata di 2-3 giorni (Fig. 195-3).
Queste lesioni possono essere difficili da vedere nei bambini con
pelle scura. I pazienti trattati ambulatorialmente si presentano
con febbre (99%) ma hanno meno vomito, diarrea, epatomegalia, splenomegalia e mialgie di quelli ospedalizzati. La presentazione della febbre tifoide può essere temperata dalle morbilità
coesistenti e dalla somministrazione precoce di antibiotici. Nelle
aree di endemia malarica e nelle parti del mondo dove è diffusa
la schistosomiasi, anche la presentazione della febbre tifoide
può essere atipica. È noto anche che la S. typhi multiresistente
è una malattia clinica più severa con elevati tassi di tossicità,
complicanze e tassi di mortalità, che possono essere correlati
all’aumento della virulenza e anche al numero più elevato di
batteri circolanti. Questi aspetti possono avere implicazioni per
gli algoritmi di trattamento, specialmente nelle aree endemiche
con tassi elevati di febbre tifoide multiresistente.
Se non si verificano complicanze, i segni e sintomi si risolvono
gradualmente entro 2-4 settimane; tuttavia, la malattia può essere associata a malnutrizione in diversi bambini affetti. Anche se
la febbre enterica causata dalla S. paratyphi è stata tipicamente
considerata una malattia meno grave, recenti segnalazioni di
infezioni da isolati antibiotico-resistenti indicano che anche la
febbre paratifoidea può essere severa, con significative morbilità
e complicanze.
COMPLICANZE. Anche se si osserva un’alterazione della funzionalità epatica in molti pazienti con febbre enterica, un’epatite
clinicamente significativa, ittero e colecistite sono relativamente
rari e possono essere associati a tassi più elevati di esiti avversi.
L’emorragia (1%) e la perforazione intestinale (0,5-1%) sono
infrequenti nei bambini. La perforazione intestinale può essere
preceduta da un marcato aumento del dolore addominale (di
solito a livello del quadrante inferiore destro), dolenzia, vomito
e sintomi di peritonite. La perforazione intestinale e la peritonite possono essere accompagnate da aumento improvviso della
frequenza del polso, ipotensione, marcata dolenzia addominale
e posizione antalgica e successivamente rigidità addominale. In
alcuni casi si possono osservare un aumento della conta dei
leucociti con uno shift a sinistra e aria libera alle radiografie
dell’addome.
TABELLA 195-5. Comuni caratteristiche cliniche della febbre tifoide
nei bambini*
Febbre di grado elevato
Lingua patinata
Anoressia
Vomito
Epatomegalia
Diarrea
Tossicità
Dolore addominale
Pallore
Splenomegalia
Stipsi
Cefalea
Ittero
Obnubilamento
Ileo paralitico
Perforazione intestinale
* Karachi, Pakistan, da 2000 bambini.
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95%
76%
70%
39%
37%
36%
29%
21%
20%
17%
7%
4%
2%
2%
1%
0,5%
■
Salmonella
■
1223
A
B
Figura 195-3. A, Macchie rosacee in un volontario con febbre tifoide sperimentale. B, un piccolo gruppo di macchie rosacee è di solito localizzato
sull’addome. Queste lesioni possono essere difficili da identificare, specialmente
nelle persone con pelle scura. (Da Huang DB, DuPont HL: Problem pathogens:
Extra-intestinal complications of Salmonella enterica serotype Typhi infection.
Lancet Infect Dis 2005;5:341-348.)
Complicanze rare sono la miocardite tossica, che può manifestarsi con aritmie, blocco senoatriale o shock cardiogeno (Tab.
195-6). Anche le complicanze neurologiche sono relativamente
infrequenti nei bambini e possono comprendere delirio, psicosi,
aumento della pressione intracranica, atassia cerebellare acuta,
corea, sordità e sindrome di Guillain-Barré. Anche se i tassi
di mortalità possono essere più elevati con le manifestazioni
neurologiche, la guarigione di solito si verifica senza sequele.
Altre complicanze riportate comprendono necrosi midollare fatale, coagulazione intravascolare disseminata (CID), sindrome
uremico-emolitica, pielonefrite, sindrome nefrosica, meningite,
endocardite, parotite, orchite e linfoadenite suppurativa.
La tendenza a divenire portatore segue l’epidemiologia della
malattia colecistica, aumenta con l’età e con la resistenza antibiotica dei ceppi prevalenti. Anche se sono disponibili dati limitati,
in generale i tassi dello stato di portatore cronico sono più bassi
nei bambini che negli adulti.
DIAGNOSI. La pietra angolare della diagnosi di febbre tifoide
è la positività dell’emocoltura o di altre colture di altre sedi
anatomiche. I risultati dell’emocoltura sono positivi nel 40-60%
dei pazienti osservati precocemente nel decorso della malattia e
le colture di feci e urine si positivizzano dopo la 1a settimana.
Anche la coprocoltura è occasionalmente positiva nel periodo
di incubazione. Tuttavia, la sensibilità dell’emocoltura nella diagnosi di febbre tifoide in molti Paesi in via di sviluppo è limitata
in quanto l’ampia diffusione della prescrizione di antibiotici può
rendere difficile la conferma batteriologica. Anche se le colture
midollari possono aumentare la probabilità di conferma batteriologica di febbre tifoide, sono di difficile esecuzione e relativamente invasive.
Altri esami di laboratorio non sono specifici. Mentre la conta
leucocitaria è frequentemente bassa in relazione alla febbre e alla
tossicità, esiste un’ampia variazione della sua entità; nei bambini
più piccoli, la leucocitosi è un’associazione comune e può raggiungere i 20 000-25 000/mm3. La trombocitopenia può essere un
marker di malattia severa e accompagna la CID. Mentre i test
di funzionalità epatica possono essere alterati, una disfunzione
epatica significativa è rara.
23-09-2008 12:38:42
1224
■
PARTE XVI
■
Malattie infettive
TABELLA 195-6. Complicanze infettive extraintestinali della febbre tifoide causate da Salmonella enterica Sierotipo Typhi
SISTEMA D’ORGANO INTERESSATO
Sistema nervoso centrale
PREVALENZA
3-35%
Sistema cardiovascolare
1-5%
Sistema polmonare
1-6%
Ossa e articolazioni
1%
Sistema epatobiliare
1-26%
Sistema genito-urinario
1%
Infezioni dei tessuti molli
Ematologiche
Almeno 17 casi riportati nella letteratura in inglese
Almeno 5 casi riportati nella letteratura in inglese
FATTORI DI RISCHIO
Residenza in regioni endemiche, neoplasie maligne,
endocardite, cardiopatie congenite, infezioni dei seni
paranasali, infezioni polmonari, meningite, trauma,
intervento chirurgico e osteomielite del cranio
Anomalie cardiache – per es. anomalie vascolari
esistenti, cardiopatia reumatica o difetti cardiaci
congeniti
Residenza in regioni endemiche, pregressa infezione
polmonare, anemia a cellule falciformi, abuso di alcol,
diabete, infezione da HIV
Anemia a cellule falciformi, lupus eritematoso
sistemico, linfoma, epatopatia, pregresso intervento
chirurgico o trauma, pazienti agli estremi dell’età e uso
di corticosteroidi
Residenza in regioni endemiche, infezioni piogeniche,
uso di droghe per via ev, trauma splenico, HIV,
emoglobinopatia
Anomalie del tratto urinario, patologie della pelvi
e anomalie sistemiche
Diabete
COMPLICANZE
Encefalopatia, edema cerebrale, empiema
subdurale, ascesso cerebrale, meningite, ventriculite,
parkinsonismo transitorio, disordini dei motoneuroni,
atassia, convulsioni, sindrome di Guillain-Barré, psicosi
Endocardite, miocardite, pericardite, arterite,
insufficienza cardiaca congestizia
Polmonite, empiema, fistola broncopleurica
Osteomielite, artrite settica
Colecistite, epatite, ascessi epatici, ascesso splenico,
peritonite, ileo paralitico
Infezione delle vie urinarie, ascesso renale, infezioni
pelviche, ascesso testicolare, prostatite, epididimite
Ascesso dello psoas, ascesso gluteo, vasculite cutanea
Sindrome emofagocitica
Da Huang DB, DuPont HL: Problem pathogens: Extra-intestinal complications of Salmonella enterica serotype Typhi infection.Lancet Infect Dis 2005;5:341-348.
Il classico test di Widal misura gli anticorpi contro gli antigeni
O e H della S. typhi, ma manca di sensibilità e specificità nelle
aree endemiche. Poiché si hanno molti risultati falsi positivi e falsi
negativi, la diagnosi di febbre tifoide con il solo test di Widal è
esposta all’errore. Sono stati sviluppati altri test diagnostici relativamente più recenti che fanno uso degli anticorpi monoclonali
per l’identificazione diretta degli antigeni specifici della S. typhi
nel siero o dell’antigene Vi della S. typhi nelle urine. Tuttavia,
pochi di questi test si sono dimostrati sufficientemente validi
in valutazioni su larga scala. È stata utilizzata una PCR nested
che fa uso di primer Hl-d per amplificare i geni specifici della
S. typhi nel sangue dei pazienti e, considerato il basso livello di
batteriemia nella febbre enterica, questo rappresenta un mezzo
promettente per una diagnosi rapida. Nonostante questi nuovi
sviluppi, in gran parte dei Paesi in via di sviluppo la pietra angolare della diagnosi rimane la clinica e nelle aree endemiche sono
stati valutati diversi algoritmi diagnostici.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE. Nelle aree endemiche, la febbre tifoide
può simulare diverse comuni malattie febbrili senza segni di localizzazione. Nei bambini con sintomi multisistemici, le fasi precoci
della febbre enterica possono essere confuse con condizioni alternative come gastroenterite, bronchite o broncopolmonite acute.
Successivamente, la diagnosi differenziale comprende malaria,
sepsi da altri patogeni batterici, infezioni causate da microrganismi intracellulari come tubercolosi, brucellosi, tularemia, leptospirosi e malattie da rickettsie, e infezioni virali come febbre
Dengue, epatite acuta e mononucleosi infettiva.
TRATTAMENTO. Sono essenziali una diagnosi precoce di febbre
tifoide e l’inizio di un trattamento efficace. La grande maggioranza dei bambini con febbre tifoide può essere trattata a domicilio con antibiotici orali e uno stretto follow-up medico per
le complicanze o per la mancata risposta alla terapia. I pazienti
con vomito persistente, diarrea severa e distensione addominale
possono richiedere l’ospedalizzazione e una terapia antibiotica
parenterale.
Esistono principi generali di trattamento della febbre tifoide.
Per la correzione degli squilibri idroelettrolitici sono importanti
un riposo, idratazione e attenzione adeguati. Occorre una terapia antipiretica (paracetamolo 120-750 mg ogni 4-6 ore per
os) secondo necessità. Occorre continuare con una dieta a base
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di cibi morbidi e facilmente digeribili a meno che il paziente
abbia distensione addominale o un ileo. La terapia antibiotica è
essenziale per minimizzare le complicanze (Tab. 195-7). È stato
suggerito che la terapia tradizionale con cloramfenicolo o amoxicillina sia associata a tassi di ricadute rispettivamente del 5-15%
e del 4-8%, mentre chinolonici e cefalosporine di 3a generazione
sono associate a tassi di guarigione più elevati. Il trattamento
antibiotico della febbre tifoide nei bambini è influenzato anche
dalla prevalenza della resistenza antibiotica. Negli ultimi due
decenni, l’emergenza di ceppi multiresistenti di S. typhi (cioè
isolati completamente resistenti ad amoxicillina, trimetoprim-sulfametoxazolo e cloramfenicolo) ha reso necessario il trattamento
con i fluorochinolonici, che sono gli antibiotici di scelta per la
salmonellosi dell’adulto, o con le cefalosporine. L’emergenza di
resistenza ai chinolonici ha posto una tremenda pressione sui
sistemi sanitari pubblici, in quanto le opzioni terapeutiche sono
limitate.
Mentre è stato suggerito che, come gli adulti, anche i bambini
con febbre tifoide devono essere trattati con i fluorochinolonici,
altri hanno messo in discussione questo approccio sulla base dello
sviluppo potenziale di ulteriori resistenze ai fluorochinolonici e
del fatto che i chinolonici non sono ancora approvati per l’uso
corrente nei bambini. Una revisione Cochrane del trattamento della febbre tifoide indica anche che sono disponibili poche
evidenze per supportare la somministrazione incondizionata dei
fluorochinolonici in tutti i casi di febbre tifoide. Una recidiva con
tutti gli antibiotici può verificarsi nel 15% dei pazienti trattati
in precedenza.
Oltre agli antibiotici, deve essere sottolineata l’importanza
del trattamento di supporto e il mantenimento di un adeguato
equilibrio idroelettrolitico. Anche se è stato raccomandato un
trattamento aggiuntivo con desametasone (3 mg/kg come dose
iniziale, seguiti da 1 mg/kg ogni 6 ore per 48 ore) per i pazienti
con malattia severa con shock, obnubilamento, stupore o coma,
questo deve essere eseguito in condizioni strettamente controllate
e sotto supervisione, e i segni di complicanze addominali possono
essere mascherati.
PROGNOSI. La prognosi di un paziente con febbre enterale dipende dalla rapidità della diagnosi e dall’istituzione di una terapia
antibiotica appropriata. Altri fattori sono l’età del paziente, lo
stato generale di salute e nutrizione, il sierotipo di Salmonella
23-09-2008 12:38:43
Capitolo 195
■
Salmonella
■
1225
TABELLA 195-7. Trattamento della febbre tifoide nei bambini
TERAPIA OTTIMALE
Dose giornaliera (mg/kg/die)
Giorni
Antibiotico
50-75
14-21
15
Fluorochinolonico, per es.
ofloxacina o ciprofloxacina
5-7*
Amoxicillina
Fluorochinolonico
o cefixima
75-100
15
15-20
14
5-7
7-14
Azitromicina
o ceftriaxone
8-10
75
7
10-14
Azitromicina
Cefixima
Cefixima
7
7-14
7-14
FEBBRE TIFOIDE SEVERA
Completamente sensibile
Ampicillina
100
14
Multiresistente
o ceftriaxone
Fluorochinolonico
60-75
15
10-14
10-14
Resistente ai chinolonici
Ceftriaxone
60-75
10-14
SENSIBILITÀ
Antibiotico
FEBBRE TIFOIDE NON COMPLICATA
Completamente sensibile
Cloramfenicolo
Multiresistente
Resistente ai chinolonici1
FARMACI ALTERNATIVI EFFICACI
Dose giornaliera (mg/kg/die)
8-10
15-20
20
Giorni
Fluorochinolonico, per es.
15
ofloxacina o ciprofloxacina
10-14
Ceftriaxone
o cefotaxima
Fluorochinolonico
10-14
60
80
20-30
14
*È efficace anche un ciclo di 3 giorni, particolarmente per il contenimento delle epidemie.
1
Il trattamento ottimale della febbre tifoide resistente ai chinolonici non è stato determinato. Azitromicina, cefalosporine di 3ª generazione o fluorochinolonici ad alte dosi per 10-14 giorni sono efficaci.
Modificata da World Health Organization:Treatment of typhoid fever. Background document: the diagnosis, prevention and treatment of typhoid fever. Communicable Disease Surveillance and Response Vaccines and Biologicals:World Health Organization.
Geneva, 2003. pp. 19-23 [disponibile in URL:www.who.int/entity/vaccine_research/documents/en/typhoid_diagnosis.pdf ].
in causa e la comparsa di complicanze. I lattanti e bambini con
malnutrizione e quelli con infezione da isolati multiresistenti sono
i soggetti a maggior rischio di esiti avversi.
Nonostante una terapia appropriata, il 2-4% dei bambini infetti può avere una recidiva dopo una risposta clinica iniziale
al trattamento. Gli individui che eliminano la S. typhi per 3
mesi sono considerati portatori cronici. Tuttavia, il rischio di
diventare un portatore è basso nei bambini e aumenta con l’età,
ma in generale è 2% per tutti i bambini infetti. I bambini con
schistosomiasi possono sviluppare uno stato di portatore cronico
a livello urinario.
PREVENZIONE. Tra i maggiori fattori di rischio per epidemie di
febbre tifoide, la contaminazione delle fonti idriche da parte di
acque contaminate è il più importante. Pertanto, nel corso delle epidemie è importante l’associazione tra clorazione centrale
dell’acqua e purificazione domestica dell’acqua. Nelle situazioni
endemiche, il consumo di cibi di strada, specialmente gelati e
frutta affettata, è stato riconosciuto come un importante fattore
di rischio. Anche la diffusione interumana da parte di portatori
cronici è importante e occorre tentare lo screening dello stato di
portatore di S. typhi del personale addetto alla manipolazione
degli alimenti e dei gruppi ad alto rischio. Una volta identificati, i portatori cronici devono essere istruiti circa il rischio di
trasmissione di malattia, sul lavaggio delle mani e sulle strategie
di prevenzione.
Il classico vaccino a cellule intere inattivato con il calore è associato a un tasso inaccettabilmente elevato di effetti collaterali ed è
stato in gran parte ritirato dall’uso. In generale, sono attualmente
disponibili 2 vaccini per il possibile uso nei bambini. È stato
dimostrato che un vaccino orale vivo attenuato preparato con il
ceppo Ty21a della S. typhi ha una buona efficacia (67-82%) fino
a 5 anni. Gli effetti collaterali significativi sono rari. Il polisaccaride capsulare Vi può essere utilizzato nei soggetti 2 anni di
età. Viene somministrato come dose intramuscolare singola, con
un richiamo ogni 2 anni, e ha un’efficacia protettiva del 70-80%.
I vaccini sono attualmente raccomandati per chi viaggia in zone
endemiche, ma alcuni Paesi hanno introdotto strategie vaccinali
su larga scala. Considerato lo spettro d’età e la distribuzione
dei casi nell’Asia Meridionale, è importante che siano studiate
strategie di vaccinazione dei bambini in età prescolare. Il recente
vaccino Vi coniugato si è dimostrato protettivo in più del 90%
dei bambini più piccoli e può offrire protezione nelle parti del
180-206ANA.indd 1225
mondo in cui un’ampia percentuale di bambini in età prescolare
è a rischio della malattia.
Gastroenterite da Salmonella
Centers for Disease Control and Prevention: Human salmonellosis associated
with animal-derived pet treats–United States and Canada, 2005. MMWR
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Centers for Disease Control and Prevention: Outbreak of multidrug-resistant
Salmonella typhimurium associated with rodents purchased at retail pet
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Centers for Disease Control and Prevention: Multistate outbreak of Salmonella typhimurium infections associated with eating ground beef, United
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Capitolo 196 ■ Shigella Theresa J. Ochoa
e Thomas G. Cleary
Benché le sindromi dissenteriche siano note da tempo come flagelli per l’umanità, solo nel secolo scorso è stata messa a fuoco
la batteriologia della più comune forma di dissenteria epidemica,
la shigellosi.
EZIOLOGIA. Quattro specie di Shigella sono responsabili di dissenteria bacillare: la S. dysenteriae (sierogruppo A), la S. flexneri (sierogruppo B), la S. boydii (sierogruppo C) e la S. sonnei
(sierogruppo D). Vi sono 13 sierotipi nel gruppo A, 6 sierotipi
e 15 subsierotipi nel gruppo B, 18 sierotipi nel gruppo C e 1
sierotipo nel gruppo D. La classificazione di specie ha importanti
implicazioni terapeutiche in quanto le specie differiscono sia per
distribuzione geografica sia per sensibilità agli antibiotici.
EPIDEMIOLOGIA. L’infezione da Shigella si verifica più spesso durante i mesi caldi nei climi temperati e durante la stagione delle
piogge nei climi tropicali. Entrambi i sessi sono interessati in misura uguale. Anche se l’infezione può verificarsi a qualsiasi età, è
più frequente nel 2° e nel 3° anno di vita. Il 70% circa di tutti gli
episodi e il 60% di tutti i decessi correlati a infezione da Shigella
si verificano in bambini con meno di 5 anni. L’infezione nei primi
6 mesi di vita è rara, per ragioni ancora sconosciute. Il latte materno, che nelle aree endemiche contiene anticorpi anti-antigeni
di virulenza codificati da plasmidi e anti-lipopolisaccaride, può
parzialmente spiegare l’incidenza correlata all’età.
Nelle aree endemiche si verifica comunemente l’infezione asintomatica di bambini e adulti.
Nelle società industrializzate, la S. sonnei è la causa più comune di dissenteria bacillare, con la S. flexneri seconda in frequenza;
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nei Paesi in via di sviluppo è più comune la S. flexneri, con la S.
sonnei seconda in frequenza. Il sierotipo 1 della S. dysenteriae
tende a manifestarsi in epidemie massive, anche se è endemico
in Asia e Africa.
TRASMISSIONE. Importanti vettori sono gli alimenti contaminati
(spesso un’insalata o altri alimenti che richiedono un’importante
manipolazione degli ingredienti) e l’acqua contaminata. La trasmissione da persona a persona è probabilmente il meccanismo
maggiore di infezione nella maggior parte delle aree del mondo.
La rapida diffusione nelle famiglie, nelle istituzioni di custodia
e nei centri di child-care dimostra la capacità di bassi numeri di
microrganismi di passare da un individuo all’altro.
Le shigelle richiedono un inoculo molto basso per causare
malattia. L’ingestione anche di soli 10 microrganismi di S. dysenteriae può causare dissenteria in alcuni individui suscettibili,
a differenza di microrganismi come il Vibrio cholerae che richiedono l’ingestione di 108-1010 microrganismi per causare malattia.
L’effetto inoculo spiega la facilità della trasmissione delle shigelle
da persona a persona rispetto al V. cholerae.
PATOGENESI. Il tratto basale di virulenza condiviso da tutte le
shigelle è la capacità di invadere le cellule epiteliali intestinali.
Questa caratteristica è codificata da un plasmide di grandi dimensioni (220 kb) responsabile della sintesi di un gruppo di polipeptidi coinvolti nell’invasione e nel killing cellulare. Le shigelle
che perdono il plasmide di virulenza non sono più patogene. I
microrganismi dell’Escherichia coli che contengono questo plasmide, le E. coli enteroinvasive (vedi Capitolo 197), si comportano clinicamente come shigelle. Il plasmide di virulenza codifica
circa 25 proteine secrete dal sistema di secrezione di tipo III. Tale
sistema di secrezione trasloca le molecole effettrici dal citoplasma
batterico alla membrana e al citoplasma della cellula ospite. Tra
queste proteine secrete, gli antigeni plasmidici di invasione Ipa A,
B, C e D sono necessari per l’invasione. Altre proteine (codificate
dai geni icsA e sopA) hanno un ruolo nella capacità della Shigella
di spostarsi all’interno del citoplasma delle cellule infette e di
diffondersi ad altre cellule. Oltre ai principali tratti di virulenza
codificati da un plasmide, sono necessari anche fattori codificati
da cromosomi per una virulenza piena.
Alcune shigelle producono tossine: la tossina Shiga o le enterotossine ShET-1 e ShET-2. La tossina Shiga, una potente esotossina
inibente la sintesi proteica, viene prodotta in quantità significative
dalla S. dysenteriae sierotipo 1, da certe E. coli produttrici di
tossina Shiga (vedi Capitolo 197) e occasionalmente da altri microrganismi. Questa tossina provoca la severa complicanza della
sindrome uremico-emolitica. Non è chiaro se la fase della diarrea
acquosa è causata da una delle enterotossine; paradossalmente,
la delezione di entrambi i geni delle enterotossine (ShET 1 e
ShET 2) ha ridotto la frequenza della febbre e della dissenteria
nei volontari nel corso degli studi per lo sviluppo del vaccino.
I lipopolisaccaridi sono fattori di virulenza per tutte le shigelle;
altri tratti sono importanti solo per pochi sierotipi (sintesi della
tossina Shiga da parte della S. dysenteriae sierotipo 1 e di ShET-1
da parte della S. flexneri 2a). Le alterazioni patologiche della shigellosi si verificano primariamente nel colon, l’organo bersaglio
delle shigelle. Le alterazioni sono più intense nel colon distale,
anche se si può verificare una pancolite. Le shigelle attraversano
l’epitelio colico attraverso le cellule M dell’epitelio associato ai
follicoli al di sopra delle placche di Peyer. Da un punto di vista
macroscopico si possono osservare edema localizzato o diffuso
della mucosa, ulcerazioni, friabilità della mucosa, emorragie ed
essudato. Da un punto di vista microscopico si osservano ulcere,
pseudomembrane, morte delle cellule epiteliali, un’infiltrazione
estesa dalla mucosa alla muscularis mucosae da parte di cellule
polimorfonucleate e mononucleate, ed edema sottomucoso.
IMMUNITÀ. IgA secretorie e anticorpi sierici si sviluppano da giorni a settimane dopo l’infezione da Shigella. Sono stati descritti sia
anticorpi anti-lipopolisaccaride e anticorpi anti-peptide di virulenza plasmidico; la protezione è specifica per il sierotipo. L’indu-
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Capitolo 196
zione di diverse citochine e di una brusca risposta infiammatoria
è seguita dalla guarigione. L’interferone - prodotto dalle cellule
natural killer è di importanza essenziale per la resistenza.
MANIFESTAZIONI CLINICHE. La dissenteria bacillare è clinicamente
simile indipendentemente dal sierotipo infettante; tuttavia esistono alcune differenze cliniche, particolarmente in relazione alla
maggiore severità e al maggior rischio di complicanze con l’infezione da S. dysenteriae sierotipo 1.
L’ingestione delle shigelle è seguita da un periodo di incubazione che può andare da 12 ore a diversi giorni prima della comparsa
dei sintomi. Si verificano caratteristicamente dolore addominale
severo, febbre elevata, vomito, anoressia, tossicità generalizzata,
urgenza e defecazione dolorosa. A questo punto l’esame obiettivo
può mostrare distensione e dolenzia addominale, borborigmi da
iperattività intestinale e dolenzia rettale all’esplorazione digitale.
La diarrea può essere acquosa e inizialmente di grande volume,
evolvendo in frequenti scariche mucoematiche di piccolo volume;
la maggior parte dei bambini (50%) non evolve nello stadio
della diarrea ematica, mentre in altri le prime feci sono ematiche. Può verificarsi una significativa disidratazione correlata alle
perdite idroelettrolitiche causate sia dalle feci sia dal vomito. La
diarrea non trattata può durare 1-2 settimane; solo il 10% circa
dei pazienti presenta una diarrea che persiste per più di 10 giorni.
Una diarrea persistente si verifica nei neonati malnutriti, in quelli
con AIDS e occasionalmente in bambini normali. Anche la forma
non dissenterica può essere complicata da malattia persistente.
I sintomi neurologici sono tra le più comuni manifestazioni
extraintestinali della dissenteria bacillare e si verificano anche nel
40% dei bambini infetti ospedalizzati. L’E. coli enteroinvasiva
può causare una tossicità neurologica simile. Convulsioni, cefalea, letargia, confusione, rigidità nucale o allucinazioni possono
essere presenti prima o dopo l’esordio della diarrea. La causa di
questi sintomi neurologici non è nota. In passato, questi sintomi erano attribuiti alla neurotossicità della tossina Shiga, ma è
chiaro che questa spiegazione è errata in quanto i microrganismi
isolati in bambini con convulsioni correlate alla Shigella non sono
di solito produttori di tossina Shiga. Le convulsioni si verificano
occasionalmente in presenza di poca febbre, il che suggerisce che
la loro comparsa non sia correlata a semplici convulsioni febbrili.
Ipocalcemia o iponatremia possono essere associate a convulsioni in un piccolo numero di pazienti. Anche se i sintomi spesso
suggeriscono un’infezione del sistema nervoso centrale e può
essere presente pleiocitosi del liquido cerebrospinale con minimo
aumento della proteinorrachia, la meningite da Shigella è rara.
COMPLICANZE. La più comune complicanza della shigellosi è la
disidratazione. Un’inappropriata secrezione di ormone antidiuretico associata a iponatremia severa può complicare la dissenteria,
particolarmente quando l’agente eziologico è la S. dysenteriae.
Possono verificarsi ipoglicemia e un’enteropatia proteino-disperdente. Altre complicanze rilevanti, particolarmente nei bambini
malnutriti molto piccoli, comprendono sepsi e coagulazione intravascolare disseminata. Poiché le shigelle penetrano la barriera
mucosa intestinale, questi eventi sono sorprendentemente infrequenti. Le shigelle e talvolta altri bacilli enterici Gram-negativi
vengono ritrovati nell’emocoltura dell’1-5% dei pazienti in cui si
esegue un’emocoltura; dal momento che i pazienti selezionati per
l’emocoltura rappresentano un campione influenzato da bias, il
rischio di batteriemia in casi non selezionati di shigellosi è probabilmente più basso. La batteriemia è più comune con il sierotipo
1 della S. dysenteriae rispetto ad altre shigelle; in caso di sepsi, il
tasso di mortalità è elevato (~20%).
La shigellosi neonatale è rara. I neonati possono presentare
soltanto una febbre di basso grado con diarrea lieve e non ematica. Tuttavia, le complicanze sono più frequenti che nei bambini
più grandi e comprendono setticemia, meningite, disidratazione,
perforazione del colon e megacolon tossico.
Il sierotipo 1 della S. dysenteriae è comunemente complicato da
emolisi, anemia e sindrome uremico-emolitica. Questa sindrome
è causata da una lesione endoteliale mediata dalla tossina Shiga;
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Shigella
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la sindrome uremico-emolitica è causata anche dall’E. coli produttrice di tossina Shiga (E. coli 0157 : H7, E. coli 0111 : NM,
E. coli 026 : H11) (vedi Capitolo 518).
Eventi infrequenti sono prolasso rettale, megacolon tossico o
colite pseudomembranosa (di solito associata alla S. dysenteriae),
epatite colostatica, congiuntivite, irite, ulcere corneali, polmonite,
artrite (di solito 2-5 settimane dopo l’enterite), artrite reattiva con
uveite, uretrite e rash, cistite, miocardite e vaginite (di solito con
perdite vaginali ematiche associate alla S. flexneri). Anche se rare,
le complicanze chirurgiche della shigellosi possono essere severe;
le più comuni sono l’ostruzione intestinale, l’appendicite e la
perforazione. La morte è un esito raro nei bambini più grandi in
buone condizioni di nutrizione; malnutrizione, malattia nel primo anno di vita, ipotermia, disidratazione severa, trombocitopenia, iponatremia, insufficienza renale e batteriemia sono comuni
nei bambini che muoiono nel corso di una dissenteria bacillare.
La rara sindrome caratterizzata da tossicità severa, convulsioni,
iperpiressia estrema e cefalea associata a edema cerebrale e a un
esito raramente fatale senza sepsi o disidratazione significativa
(sindrome di Ekiri o “encefalopatia tossica letale”) non è ancora
stata chiarita.
DIAGNOSI. Anche se le caratteristiche cliniche suggeriscono una
shigellosi, possono non essere sufficientemente specifiche da permettere una diagnosi affidabile. L’infezione da Campylobacter
jejuni, Salmonella, E. coli enteroinvasiva, E. coli produttrice di
tossina Shiga come E. coli 0157 : H7, Yersinia enterocolitica,
Clostridium difficile ed Entamoeba histolytica, come anche la
malattia intestinale infiammatoria, possono essere causa di confusione diagnostica. I dati presuntivi che supportano una diagnosi di dissenteria bacillare comprendono il riscontro di leucociti
fecali (conferma della presenza di colite), sangue nelle feci e la
dimostrazione di leucocitosi nel sangue periferico con un marcato spostamento a sinistra (spesso con più neutrofili a bande
che segmentati). La conta leucocitaria totale è solitamente di
5000-15 000 cellule/mm3, anche se si possono osservare leucopenia e reazioni leucemoidi.
La coprocoltura e la coltura del tampone rettale ottimizzano
la diagnosi delle infezioni da Shigella. I terreni di coltura devono
comprendere l’agar di MacConkey come anche terreni selettivi
come il desossicolato xilosio-lisina (XLD) e l’agar SS. Occorre
utilizzare terreni di trasporto se i campioni non possono essere
messi immediatamente in coltura. Per escludere il Campylobacter
e altri microrganismi occorre utilizzare terreni appropriati. Lo
studio delle epidemie e della malattia in volontari evidenziano
come il laboratorio spesso non sia in grado di confermare il sospetto clinico di shigellosi anche quando è presente il patogeno.
Anche se sono in corso di sviluppo altri strumenti per migliorare
la diagnosi (sonde genetiche), l’inadeguatezza diagnostica delle
colture rende necessario che il medico usi il proprio giudizio nel
trattamento delle sindromi cliniche compatibili con la shigellosi.
Nei bambini con aspetto tossico occorre eseguire un’emocoltura;
ciò è particolarmente importante nei bambini più piccoli o nei
lattanti malnutriti a causa dell’aumento del rischio di batteriemia
in questi casi.
TRATTAMENTO. Come nella gastroenterite da altre cause, la prima preoccupazione per un bambino con sospetta shigellosi deve
riguardare la terapia sostitutiva di liquidi ed elettroliti e il loro
mantenimento (vedi Capitoli 55 e 337). L’alimentazione è un
problema chiave nelle aree in cui è comune la malnutrizione.
Una dieta iperproteica nel corso della convalescenza migliora la
crescita nei successivi 6 mesi. Una singola dose elevata di vitamina A (200 000 UI) riduce la severità della shigellosi nelle aree
in cui è comune il deficit di vitamina A. I farmaci che ritardano
la motilità intestinale (difenossilato idrocloruro con atropina o
la loperamide) non devono essere utilizzati a causa del rischio di
prolungare la malattia.
Anche se alcuni Autori raccomandano di evitare la terapia
antibiotica a causa della natura autolimitata dell’infezione, del
costo dei farmaci e del rischio di emergenza di microrganismi
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■
PARTE XVI
■
Malattie infettive
resistenti, esiste una logica persuasiva a favore del trattamento
empirico di tutti i bambini in cui vi è un forte sospetto di shigellosi. Anche se non fatale, la malattia non trattata può rendere
il bambino severamente compromesso per diverse settimane con
diarrea cronica o ricorrente. Durante una malattia prolungata
può svilupparsi o aggravarsi una malnutrizione, particolarmente
nei bambini nei Paesi in via di sviluppo. Il rischio di un’eliminazione continuativa e della successiva infezione dei contatti familiari è un ulteriore argomento contro la strategia di non effettuare
una terapia antibiotica.
Esistono molte variazioni geografiche della sensibilità agli antibiotici delle shigelle. Negli Stati Uniti, le shigelle sono così frequentemente resistenti all’ampicillina che questo antibiotico non
è appropriato per la terapia empirica. Tuttavia, l’ampicillina per
os (100 mg/kg/die suddivisi in 4 dosi giornaliere per os) può essere utilizzata se è noto che il ceppo in questione è sensibile. L’amoxicillina, a causa del migliore assorbimento gastrointestinale, è
meno efficace dell’ampicillina per il trattamento dei ceppi sensibili
all’ampicillina. Negli Stati Uniti, i ceppi sono comunemente resistenti al trimetoprim-sulfametoxazolo, rendendo questo farmaco
una scelta empirica inadeguata. Per la terapia empirica può essere
utilizzato il ceftriaxone (50 mg/kg/die in dose singola giornaliera ev o im). Le cefalosporine orali di 1a e 2a generazione sono
inadeguate come farmaci alternativi nonostante la sensibilità in
vitro. Anche l’acido nalidixico (55 mg/kg/die suddivisi in 4 dosi
giornaliere per os), dove disponibile, è un farmaco alternativo
accettabile. L’azitromicina (12 mg/kg/die per os per il 1° giorno
seguiti da 6 mg/kg/die per i successivi 4 giorni) si è dimostrata
un’alternativa efficace per la shigellosi. I chinolonici come ciprofloxacina, norfloxacina o ofloxacina, che sono stati raccomandati
nei soggetti con 18 anni di età, non sono usati routinariamente
nei bambini a causa del possibile rischio di artropatia. L’uso di
questi farmaci è riservato ai bambini con malattia severa con dissenteria bacillare causata da un microrganismo di cui si sospetta
o è nota la resistenza ad altri antibiotici. Il trattamento consiste
caratteristicamente in un ciclo di 5 giorni. Lo zinco (20 mg/die
per 14 giorni) migliora la risposta immunitaria all’infezione da
Shigella, almeno nelle situazioni in cui è comune la malnutrizione.
Deve probabilmente essere compreso nella terapia dei pazienti
dissenterici che si trovano in queste situazioni. Il trattamento dei
pazienti in cui si sospetta su base clinica un’infezione da Shigella
deve essere iniziato alla prima valutazione. Si esegue una coprocoltura per escludere altri patogeni e come ausilio alla variazione
della terapia antibiotica se un bambino non risponde alla terapia
empirica. Un bambino con dissenteria tipica e che risponde al
trattamento antibiotico empirico iniziale deve continuare con
quel determinato antibiotico per un ciclo completo di 5 giorni,
anche se la coprocoltura è negativa. La logica di questa raccomandazione si basa sulla difficoltà di coltivare la Shigella dalle
feci. In un bambino che non risponde alla terapia di una sindrome
dissenterica in presenza di una coprocoltura iniziale negativa,
occorre eseguire nuove coprocolture e rivalutare il bambino per
altre possibili diagnosi.
PREVENZIONE. Due semplici misure riducono il rischio di shigellosi nel bambino. La prima è quella di incoraggiare un allattamento
al seno prolungato nei lattanti. L’allattamento al seno riduce il
rischio di shigellosi sintomatica e ne riduce la severità nei lattanti
che contraggono l’infezione nonostante l’allattamento al seno.
La 2a misura è quella di educare le famiglie e il personale delle
scuole materne alle tecniche di lavaggio delle mani, specialmente
dopo la defecazione e prima della preparazione e del consumo
degli alimenti.
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Capitolo 197 ■ Escherichia coli
Theresa J. Ochoa e Thomas G. Cleary
I microrganismi dell’Escherichia coli rappresentano una causa
importante di infezioni enteriche, come anche di infezioni delle vie
urinarie (vedi Capitolo 538), sepsi e meningite del neonato (vedi
Capitolo 109) e di batteriemia e sepsi in pazienti immunocompromessi (vedi Capitolo 177) e in pazienti con dispositivi intravascolari (vedi Capitolo 178). Le specie dell’E. coli appartengono
alla famiglia delle Enterobacteriaceae e sono bacilli Gram-negativi
aerobi facoltativi che di solito fermentano il lattosio. La maggior
parte delle E. coli fecali sono non patogene. Tuttavia, sono stati
caratterizzati 5 gruppi principali di E. coli diarrogeni sulla base
di criteri clinici, biochimici e genetico-molecolari: (1) E. coli enterotossigena (ETEC), (2) E. coli enteroinvasiva (EIEC); (3) E. coli
enteropatogena (EPEC); (4) E. coli produttrice di tossina Shiga
(STEC), nota anche come E. coli enteroemorragica (EHEC) o E.
coli produttrice di verotossina (VTEC); e (5) E. coli enteroaggregante (EAEC). Esistono altri gruppi di E. coli che probabilmente
causano diarrea ma con combinazioni di geni di virulenza che
non si adattano facilmente al sistema classificativo delineato in
precedenza. Sono necessarie altre evidenze di patogenicità prima
di essere accettati come davvero patogeni. Un altro gruppo che
probabilmente riceverà lo status di patogeno riconosciuto è l’E.
coli diffusamente aderente (DAEC) che viene definito in base
all’aderenza alle cellule HEp2 e alla presenza di geni specifici.
Dal momento che i microrganismi dell’E. coli fanno parte della
flora fecale normale, la dimostrazione delle caratteristiche di virulenza è il modo usuale con cui si definiscono i microrganismi di E.
coli diarrogeni. Il meccanismo attraverso il quale l’E. coli produce
diarrea implica tipicamente l’aderenza dei microrganismi a un
recettore glicoproteico o glicolipidico, seguita dalla produzione di
una sostanza tossica che danneggia le cellule intestinali o ne altera
la funzione. I geni delle proprietà di virulenza e della resistenza
antibiotica sono spesso trasportati da plasmidi trasferibili, isole
di patogenicità o batteriofagi. Nei Paesi in via di sviluppo, i vari
sierogruppi diarrogeni di E. coli provocano frequenti infezioni nei
primi anni di vita. Essi si presentano con aumentata frequenza
nei mesi caldi nei climi temperati e nella stagione delle piogge nei
climi tropicali. La maggior parte dei ceppi di E. coli (eccetto gli
STEC e forse alcuni EPEC) richiede un grosso inoculo per indurre la malattia. L’infezione è più probabile quando le pratiche di
manipolazione degli alimenti o di eliminazione delle acque nere
non sono ottimali. I microrganismi di E. coli diarrogeni sono
importanti anche in Nord America e in Europa, anche se la loro
epidemiologia è meno ben definita che nei Paesi in via di sviluppo.
Dati recenti del Nord America suggeriscono che i vari microrganismi di E. coli diarrogeni possono essere la causa anche del 30%
dei casi di diarrea infettiva nei bambini 5 anni di età.
EPIDEMIOLOGIA, PATOGENESI E MANIFESTAZIONI CLINICHE. I 5
gruppi principali di E. coli diarrogena si distinguono in base a
differenti meccanismi fisiopatologici di diarrea (Tab. 197-1).
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Capitolo 197
■
Escherichia coli
■
1229
TABELLA 197-1. Caratteristiche cliniche, patogenesi e diagnosi dell’Escherichia coli diarrogena
ETEC
POPOLAZIONI A RISCHIO
1 anno e viaggiatori
Acquosa
+++
CARATTERISTICHE DELLA DIARREA
Ematica
Durata
Acuta
EIEC
1 anno
+
++Dissenteria con febbre
Acuta
EPEC
2 anni, specialmente lattanti 6
+++
-
Acuta o persistente
STEC
mesi
Da 6 mesi a 10 anni e negli anziani
+
+++
Acuta
+++
Colite emorragica afebbrile,
sindrome uremico-emolitica
-
Acuta o persistente
EAEC
1 anno e viaggiatori
PRINCIPALI FATTORI DI VIRULENZA
Fattori di aderenza
Tossine
Antigeni del fattore di
Enterotossina termolabile (LT)
colonizzazione (CFA I, II, IV)
Enterotossina termostabile
Antigene plasmidico di
Enterotossine di Shigella
invasività (IpaABCD)
Lesione A/E, intimina/Tir,
EspF
EspABD BFP
Lesione A/E
Tossine Shiga (Stx1, Stx2 e
varianti di Stx2)
DIAGNOSI
Geni target per la PCR
LT, ST
Fimbria di aderenza
aggregante (AAF)
AggR o plasmide AA
ShET1, EAST1, Pet
IpaH o IAL
Eae, BfpA
Eae, Stx1, Stx2
EAEC, E. coli enteroaggregante; EIEC, E. coli enteroinvasiva; EPEC, E. coli enteropatogena; ETEC, E. coli enterotossigena; PCR, reazione a catena della polimerasi; STEC, E. coli produttrice di tossina Shiga.
E. coli enterotossigena. I microrganismi ETEC sono una causa
maggiore di diarrea disidratante infantile nei Paesi in via di sviluppo e anche importanti agenti della diarrea del viaggiatore. I segni e sintomi tipici comprendono una diarrea acquosa esplosiva,
non mucosa e non ematica, dolore addominale, nausea, vomito
e una febbre assente o minima. La malattia di solito si autolimita
a 3-5 giorni, ma occasionalmente può durare 1 settimana. I microrganismi ETEC comprendono almeno il 20-30% degli episodi
di diarrea nei Paesi in via di sviluppo.
I microrganismi ETEC non provocano o provocano in misura
minima alterazioni strutturali della mucosa intestinale. La diarrea
è causata dalla colonizzazione dell’intestino tenue e dalla successiva elaborazione di enterotossine. I ceppi ETEC secernono
un’enterotossina termolabile (LT) o un’enterotossina termostabile (ST); alcuni ceppi secernono sia una ST sia una LT. La LT, una
grossa molecola consistente in 5 subunità che si legano a recettori
(B) e in 1 unità enzimaticamente attiva (A), è strutturalmente,
funzionalmente e immunologicamente correlata alla tossina colerica prodotta dal Vibrio cholerae. La LT stimola l’adenilato
ciclasi con un aumento dell’adenosina monofosfato ciclico. La ST
è una piccola molecola non correlata alla LT o alla tossina del
colera. La ST stimola la guanilato ciclasi con un aumento della
guanosina monofosfato ciclico. Un’elevata percentuale di ceppi
ETEC produce anche la EAST1, una tossina termostabile simile
alla ST, che è stata in origine identificata nei ceppi EAEC.
La colonizzazione dell’intestino richiede i fattori antigenici
di colonizzazione (CFA), o fimbrie, che favoriscono l’aderenza
all’epitelio intestinale. I principali fattori di colonizzazione sono
CFA/1, CFA/II e CFA/IV. I CFA sono composti da distinti antigeni
di superficie di E. coli (CS), espressi in combinazioni differenti.
Un’elevata percentuale di ceppi ETEC produce una fimbria di
tipo IV denominata longa, che funziona come fattore di colonizzazione e si trova in diversi patogeni batterici Gram-negativi. Il
legame della proteina d’invasione enterotossigena A (Tia), una
proteina di membrana esterna da 25 kd, alle cellule epiteliali
ospiti è mediato almeno in parte dai proteoglicani a base di eparansolfato; i microrganismi ETEC fanno parte della crescente lista
di patogeni che usano i glicoconiugati della superficie cellulare
come recettori.
Dei 180 sierogruppi di E. coli, tipicamente soltanto un numero relativamente piccolo è costituito da ETEC. Questi sierogruppi
(06, 08, 015, 020, 025, 027, 063, 078, 080, 085, 0115, 0128ac
[ma non i sottogruppi 0128ab o 0128ad], 0139, 0148, 0153,
0159 e 0167) sono generalmente diversi da quelli osservati in
altre E. coli associate a diarrea.
E. coli enteroinvasiva. Le infezioni da EIEC si presentano clinicamente con diarrea acquosa o sotto forma di sindrome dissenterica, che si manifesta con sangue, muco e leucociti nelle feci,
con febbre, tossicità sistemica, dolori addominali crampiformi,
tenesmo e urgenza. Queste infezioni sono simili alla dissenteria
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bacillare in quanto condividono geni di virulenza con la Shigella.
I microrganismi EIEC sono stati descritti per lo più in ambito
epidemico; tuttavia, la malattia endemica si verifica in Paesi in via
di sviluppo dove questi batteri possono essere isolati con frequenza relativamente elevata. Nei Paesi in via di sviluppo, almeno il
5% degli episodi diarroici sporadici e il 20% dei casi di diarrea
ematica possono essere causati da ceppi EIEC.
I microrganismi EIEC causano lesioni del colon con ulcerazioni, emorragie, edema mucoso e sottomucoso e infiltrato polimorfonucleato. I ceppi EIEC si comportano come shigelle per la loro
capacità di invadere l’epitelio intestinale e produrre una malattia
simil-dissenterica. Il processo invasivo comprende (1) entrata iniziale nelle cellule, (2) moltiplicazione intracellulare, (3) diffusione
intra- e intercellulare e (4) morte della cellula ospite. Tutti i geni
batterici necessari per l’entrata nella cellula ospite sono raggruppati in una regione da 30 kb di un plasmide di virulenza di grandi
dimensioni, che si trova anche nella Shigella. Questa regione
contiene geni che codificano proteine che formano un apparato
di secrezione di tipo III necessario per la secrezione delle invasine
(IpaA-D e IpgD). L’IpaB e l’IpaC sono state identificate come le
principali proteine effettrici dell’invasione della cellula epiteliale.
L’apparato di secrezione di tipo III si trova in molti altri batteri
Gram-negativi patogeni. Si tratta di un sistema attivato dal contatto con le cellule ospiti che i batteri utilizzano per trasportare
le proteine dal loro citoplasma nella membrana plasmatica e nel
citoplasma della cellula ospite.
I microrganismi EIEC comprendono un piccolo numero di
sierogruppi (028ac, 029, 0124, 0136, 0143, 0144, 0152, 0164,
0167 e certi ceppi non tipizzabili). Questi sierogruppi possiedono
antigeni lipopolisaccaridici (LPS) correlati al LPS della Shigella
e, come le shigelle, sono immobili (mancano degli antigeni H o
flagellari) e di solito non fermentano il lattosio.
E. coli enteropatogena. I microrganismi EPEC sono una causa
maggiore di diarrea acuta e persistente dei bambini nei Paesi in
via di sviluppo, soprattutto nei bambini con meno di 2 anni di
età. Nei Paesi sviluppati, i microrganismi EPEC sono responsabili di epidemie occasionali negli asili e nei reparti pediatrici. I
microrganismi EPEC causano generalmente una malattia acuta
o protratta. Oltre a diarrea acquosa e non ematica con muco,
sono sintomi comuni vomito e febbre di basso grado. Una diarrea
persistente (14 giorni) può causare malnutrizione; si tratta di un
esito importante dell’infezione da EPEC nei bambini dei Paesi in
via di sviluppo. Diversi studi hanno dimostrato che l’allattamento
al seno è protettivo per la diarrea da EPEC.
La colonizzazione da EPEC causa accorciamento dei villi, alterazioni infiammatorie e sfaldamento delle cellule superficiali
della mucosa; queste lesioni si trovano dal duodeno fino al colon. I microrganismi EPEC inducono una caratteristica lesione
da adesione e obliterazione (Attaching and Effacing, A/E) che è
definita dall’adesione intima dei batteri alla superficie epiteliale
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PARTE XVI
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Malattie infettive
e dall’obliterazione dei microvilli della cellula ospite. I fattori
responsabili della formazione della lesione A/E sono codificati
dal locus della cancellazione degli enterociti (LEE), un’isola di
patogenicità che contiene i geni (1) del sistema di secrezione di
tipo III, (2) del recettore traslocato dell’intimina (Tir) e dell’intimina e (3) di proteine effettrici come le proteine secrete dall’E.
coli (EspA-B-D).
La patogenesi degli EPEC comprende diversi stadi. L’aderenza
iniziale dei batteri all’epitelio intestinale dell’ospite in un pattern
noto come aderenza localizzata è mediata in parte dal pilus bundle-forming di tipo IV (BFP) codificato su un plasmide (plasmide
EAF). Successivamente, le proteine batteriche vengono traslocate
attraverso un sistema di secrezione di tipo III needle complex. Le
appendici filamentose composte di EspA formano un ponte fisico
tra i batteri e la cellula ospite per la traslocazione di effettori batterici (EspB, EspD, Tir). EspB e EspD formano pori nella membrana
cellulare dell’ospite. Attraverso questo condotto il Tir viene iniettato nelle cellule ospiti. Il Tir si sposta quindi sulla superficie delle
cellule ospiti dove è legato dalla proteina intimina della membrana
batterica esterna codificata dal gene eae. Il legame intimina-Tir
attiva la polimerizzazione dell’actina e di altre componenti del
citoscheletro a livello del sito di adesione. Il risultato di queste
alterazioni citoscheletriche è una stretta adesione batterica alla
cellula ospite, l’obliterazione degli enterociti e la formazione di
un piedistallo. Altri effettori batterici comprendono una proteina
associata ai mitocondri (Map) con potenziale attività di rottura di
membrana e dell’EspF, una proteina che altera la funzione della
barriera intestinale e induce la morte della cellula ospite.
Alcuni sierogruppi sono associati a un’adesione localizzata e
sono positivi alla sonda EAF (055, 086, 0111, 0119, 0125, 0126,
0127, 0128ab e 0142), mentre altri (EPEC atipici) sono non
adesivi o diffusamente adesivi alle cellule Hep-2 e sono di solito
negativi alla sonda EAF (018, 044, 0112 e 0114). Vi sono ulteriori evidenze che i microrganismi EPEC con adesività localizzata
sono veri enteropatogeni, anche se, come notato in precedenza, è
sempre più provato che almeno alcuni dei microrganismi EPEC
atipici sono anche patogeni.
E. coli produttrice di tossina Shiga. È stato dimostrato che i microrganismi STEC sono causa di un ampio spettro di patologie.
Le infezioni da STEC possono essere asintomatiche. I pazienti
sviluppano sintomi intestinali che variano da una diarrea lieve a
una colite emorragica severa. La malattia gastrointestinale è caratterizzata da dolore addominale con diarrea inizialmente acquosa
ma che entro pochi giorni diviene mista a sangue o grossolanamente ematica. Anche se questo pattern somiglia a quello della
shigellosi o della malattia da EIEC, esso ne differisce in quanto
la febbre è una manifestazione non comune. La maggior parte
degli individui con infezione da STEC guarisce senza ulteriori
complicanze. Tuttavia, il 5-10% dei bambini entro pochi giorni
progredisce sviluppando complicanze sistemiche come la sindrome uremico-emolitica (HUS), caratterizzata da insufficienza renale
acuta, trombocitopenia e anemia emolitica (vedi Capitolo 518).
I bambini molto piccoli non sono un gruppo bersaglio delle infezioni da STEC; piuttosto, una malattia severa e con complicanze
si verifica più spesso nei bambini da 6 mesi a 10 anni di età. I
bambini più grandi possono sviluppare anche una HUS o una
porpora trombocitopenica trombotica.
I microrganismi STEC sono trasmessi da persona a persona
come anche da acqua e alimenti; l’ingestione di un piccolo numero di questi microrganismi è sufficiente per causare la malattia.
Gli hamburger poco cotti sono una causa comune di epidemie
trasmesse dagli alimenti, anche se sono stati incriminati molti
altri alimenti (sidro di mele, lattuga, maionese, salame, salsicce
secche fermentate, prodotti lattiero-caseari non pastorizzati). La
maggior parte delle epidemie di diarrea da STEC nell’emisfero
settentrionale è stata attribuita a ceppi del sierotipo 0157 : H7, e
molti altri sierotipi sono stati associati a epidemie e casi sporadici
di malattia severa.
I microrganismi STEC interessano in modo più severo il colon.
Essi aderiscono alle cellule intestinali e la maggior parte dei ceppi
che infetta gli esseri umani produce lesioni da adesione-oblitera-
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zione simili a quelle che si osservano con gli EPEC. La maggior
parte dei ceppi EPEC è inoltre portatrice di un plasmide di grosse
dimensioni che codifica proteine come l’enteroemolisina (EhyA),
una serina proteasi extracellulare (EspP) e un’adesina autoagglutinante degli STEC (Saa), che possono essere fattori di virulenza
accessori. Questi microrganismi provocano edema, depositi di
fibrina, emorragie a livello sottomucoso, ulcerazioni mucose, infiltrazioni neutrofile e trombi microvascolari. Può essere osservata
una colite pseudomembranosa.
Le tossine Shiga sono considerate il fattore chiave di virulenza
degli STEC. Esistono 2 tipi principali di tossina: Stx1 e Atx2.
Alcuni microrganismi STEC producono soltanto Stx1 e altri soltanto Stx2, ma la maggior parte dei microrganismi STEC produce
entrambe le tossine. Esistono ceppi che producono diverse varianti
della tossina. Stx1 è essenzialmente identica alla tossina Shiga,
l’esotossina che inibisce la sintesi proteica del sierotipo 1 della
Shigella dysenteriae, mentre Stx2 e le varianti di Stx2 sono correlate in modo più distante. Ogni tossina è composta di una singola
subunità A associata in modo non covalente con un pentamero
composto da subunità B identiche. Le subunità B si legano alla
globotriaosilceramide (GB3), un recettore glicosfingolipidico delle
cellule ospiti. La subunità A viene captata per endocitosi. Il bersaglio della tossina è l’RNA ricombinante 28S, che viene depurinato
dalla tossina a livello di uno specifico residuo adeninico, causando
l’interruzione della sintesi proteica e la morte delle cellule interessate. Queste tossine sono trasportate su batteriofagi normalmente
inattivi quando vengono inseriti nel cromosoma batterico; quando
i fagi sono indotti alla replicazione (per es. dallo stress indotto da
molti antibiotici), essi causano lisi dei batteri e rilascio di grandi
quantità di tossina. La tossina entra nella circolazione sistemica
dopo traslocazione attraverso l’epitelio intestinale e danneggia le
cellule endoteliali vascolari. Ciò provoca l’attivazione della cascata della coagulazione, la formazione di microtrombi, emolisi intravascolare e ischemia. I microrganismi STEC inducono le citochine
proinfiammatorie. L’esito clinico dell’infezione da STEC dipende
dal genotipo stx del ceppo infettante. Il genotipo Stx2 è associato a
un rischio più elevato di causare la sindrome uremico-emolitica.
I più comuni sierotipi STEC sono E. coli O157 : H7, E. coli
0111 : NM ed E. coli 026 : H11, anche se sono stati descritte
diverse centinaia di altri sierotipi STEC.
E. coli enteroaggregante. I microrganismi EAEC sono associati a
diarrea pediatrica acuta e persistente nei Paesi in via di sviluppo,
soprattutto nei bambini 12 mesi di età. I microrganismi EAEC
sono agenti eziologici nella diarrea cronica associata all’AIDS
e della diarrea del viaggiatore. La tipica malattia da EAEC si
manifesta con diarrea secretiva mucosa e acquosa con febbre di
basso grado e vomito assente o minimo. Un terzo dei pazienti
presenta feci grossolanamente ematiche. La diarrea acquosa può
persistere per settimane. I microrganismi EAEC sono stati associati a ritardo di crescita dei lattanti e a malnutrizione nei Paesi
in via di sviluppo.
I microrganismi EAEC formano un caratteristico biofilm mucoso sulla mucosa intestinale e inducono accorciamento dei villi,
necrosi emorragica e risposte infiammatorie. Il modello proposto
della patogenesi delle infezioni da EAEC comprende 3 fasi: adesione alla mucosa intestinale per mezzo di fimbrie di adesione aggreganti (AAF), aumento della produzione di muco e produzione di
tossine e infiammazione che provocano un danno della mucosa e
secrezione intestinale. La diarrea causata dagli EAEC è soprattutto
secretiva. La risposta infiammatoria intestinale (aumento della
lattoferrina fecale, dell’interleuchina 8 [IL-8] e IL-1) può essere
correlata a deficit di accrescimento e malnutrizione.
I fattori di virulenza putativi degli EAEC comprendono le fimbrie di adesione aggreganti (AAF-I, AAF-II e AAF-III), le emolisine, diverse proteine di membrana esterne e proteine secretorie
(dispersina) e diverse tossine: una tossina oligomerica nota come
enterotossina di Shigella 1 (ShET1); una tossina termostabile 1
dell’E. coli enteroaggregante (EAST1), omologa rispetto alla tossina termostabile 1 dell’E. coli enterotossigena, e una tossina
autotrasportante nota come Pet. Un attivatore trascrizionale noto
come AggR controlla l’espressione dei fattori di virulenza traspor-
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Capitolo 198
tati da plasmidi e cromosomi. L’identificazione di AggR o dei
membri del regulone AggR può identificare i tipici ceppi patogeni
EAEC. I ceppi di E. coli classificati come EAEC appartengono a
un diverso range e a una diversa combinazione di sierotipi O e H.
La definizione di questi patogeni è in corso. I criteri diagnostici
originali (pattern di adesione cellulare HEp2) identificano molti
ceppi che probabilmente non sono veri patogeni; i criteri genetici
sembrano definire in modo più affidabile i veri patogeni.
DIAGNOSI. È raro che le caratteristiche cliniche della malattia
siano sufficientemente distintive da permettere una diagnosi affidabile e gli esami di laboratorio di routine sono di valore molto limitato. La diagnosi dipende attualmente in primo luogo da esami
di laboratorio che non sono facilmente disponibili. Soprattutto
per gli STEC sono stati sviluppati metodi pratici non dipendenti
dal DNA per la diagnosi di routine dell’E. coli non diarrogena.
La presenza del sierotipo O157 : H7 è suggerita dall’isolamento
di un’E. coli che non fermenta il sorbitolo nel terreno al sorbitolo
di McConkey; l’agglutinazione su lattice conferma che il microrganismo contiene LPS O157. Altri microrganismi STEC possono
essere identificati routinariamente nei laboratori ospedalieri per
mezzo di test immunoenzimatici commerciali o agglutinazione
su lattice per l’identificazione delle tossine Shiga. La diagnosi
di altre infezioni da E. coli diarrogena si basa tipicamente sulla
coltura tissutale (per es. test su cellule HEp2 per EPEC e EAEC)
o sull’identificazione di specifici fattori di virulenza dei batteri in base al fenotipo (tossina) o al genotipo. I migliori esami
diagnostici sono quelli che fanno uso di sonde DNA per i geni
che codificano i diversi tratti di virulenza, ma sono disponibili
attualmente solo a scopo di ricerca. Pertanto, occorre inviare i
campioni sospetti a laboratori di riferimento o di ricerca per la
valutazione definitiva. Raramente è necessario un procedimento
di questo tipo, ma può essere utile per la diagnosi corretta quando
un bambino presenta complicanze severe o potenzialmente fatali,
una diarrea persistente o per lo studio di un’epidemia. La reazione a catena polimerasica e le sonde DNA per i geni che codificano
i vari fattori di virulenza sono ora disponibili per la maggior parte
dei ceppi di E. coli diarrogena. I target tipici comprendono la
LT e la ST degli ETEC, IpaH o IaL per l’EIEC, Eae e BfpA per
l’EPEC, Eae, Stx1 e Stx2 per lo STEC e AggR o il plasmide AA
per l’EAEC. Altri dati di laboratorio sono al massimo indicatori
non specifici dell’eziologia. L’esame dei leucociti fecali nelle feci
è frequentemente positivo con l’EIEC ma negativo con altre E.
coli non diarrogene. Con i ceppi EIEC e STEC vi può essere un
aumento della conta leucocitaria polimorfonucleata con spostamento a sinistra. Lattoferrina fecale, IL-8 e IL-1 possono essere
utilizzate come marker infiammatori. Le alterazioni elettrolitiche
sono non specifiche e riflettono soltanto la perdita di liquidi.
TRATTAMENTO. La pietra angolare del trattamento è un’appropriata terapia sostitutiva di liquidi ed elettroliti (vedi Capitoli 55
e 337). In generale, questa terapia deve comprendere la sostituzione di liquidi ed elettroliti per via orale e il loro mantenimento
con soluzioni reidratanti come quelle specificate dall’OMS. Sono
alternative accettabili anche altre soluzioni per la reidratazione
orale facilmente disponibili. Dopo la rialimentazione, è appropriata la supplementazione continua con liquidi per la reidratazione
orale per prevenire le recidive della disidratazione. Deve essere
incoraggiata la rialimentazione precoce (entro 8-12 ore dall’inizio della reidratazione) con latte materno o latte formulato. Una
prolungata sospensione dell’alimentazione causa frequentemente
diarrea cronica e malnutrizione.
Una terapia antibiotica specifica per l’E. coli diarrogena è problematica a causa della difficoltà di una diagnosi accurata di questi
patogeni e dell’imprevedibilità della sensibilità agli antibiotici. I
microrganismi ETEC rispondono ad agenti antimicrobici come
trimetoprim-sulfametoxazolo (TMP-SMZ) quando sono presenti
ceppi di E. coli sensibili. Tuttavia, ad eccezione dei bambini di
ritorno da un viaggio recente in un Paese in via di sviluppo, il
trattamento antibiotico empirico della diarrea acquosa severa è
raramente appropriato. Le infezioni da EIEC possono essere trat-
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Colera (Vibrio cholerae)
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tate prima della disponibilità dei risultati della coltura, in quanto
il medico potrebbe sospettare una shigellosi e iniziare una terapia
empirica. Se i microrganismi sono sensibili, una scelta appropriata
è il TMP-SMZ. Anche se il trattamento delle infezioni da EPEC
con TMP-SMZ IV o per via orale per 5 giorni è efficace nell’accelerare la risoluzione, la mancanza di un test diagnostico rapido
rende difficili le decisioni rispetto al trattamento. Ciprofloxacina
o rifaximina sono utili nella diarrea del viaggiatore da EAEC; i
dati pediatrici sono scarsi. I microrganismi STEC rappresentano
un dilemma terapeutico particolarmente difficile; il trattamento
antibiotico può indurre la produzione di tossine e una lisi batterica mediata da fagi con rilascio di tossine. I dati attualmente
disponibili suggeriscono che non si devono usare antibiotici nelle
infezioni da STEC in quanto essi possono aumentare il rischio di
sindrome uremico-emolitica (vedi Capitolo 518).
PREVENZIONE. Nei Paesi in via di sviluppo, la migliore prevenzione della malattia causata da E. coli diarrogena è probabilmente il mantenimento di un allattamento al seno prolungato, con
particolare attenzione all’igiene personale e seguendo procedure
appropriate per la manipolazione di alimenti e acqua. Le persone che viaggiano in questi Paesi possono proteggersi nel modo
migliore consumando solo acqua trattata, bevande in bottiglia,
pane, succhi di frutta, frutta che può essere sbucciata o alimenti
che vengono serviti caldi e “fumanti”.
La profilassi antibiotica, anche se efficace per i viaggiatori adulti, non è stata studiata nei bambini e non è raccomandata. Le
misure di salute pubblica, compresi lo smaltimento delle acque
nere e le pratiche corrette di manipolazione degli alimenti, hanno
reso relativamente infrequenti i patogeni che richiedono un grosso
inoculo per causare la malattia. Epidemie da STEC attraverso gli
alimenti sono un problema per il quale non è stata trovata una
soluzione adeguata. Durante un’occasionale epidemia ospedaliera
di malattia da EPEC, può rivelarsi essenziale una particolare attenzione all’isolamento dei pazienti interessati e alle precauzioni
di isolamento enterale.
La natura dell’immunità protettiva non è del tutto chiara e non
sono disponibili vaccini per uso clinico. Esistono diversi vaccini
in corso di studio basati su tossine batteriche o fattori di colonizzazione.
Chen HD, Frankel G: Enteropathogenic Escherichia coli: Unraveling pathogenesis. FEMS Microbiol Rev 2005;29:83–98.
Cohen MB, Nataro JP, Bernstein DI, et al: Prevalence of diarrheagenic E.
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2005;146:54–61.
Donnenberg MS, Whittam TS: Pathogenesis and evolution of virulence in
enteropathogenic and enterohemorrhagic Escherichia coli. J Clin Invest
2001;107:539–548.
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diarrhea-associated E. coli isolated from children in the United Kingdom. J
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Robins-Browne RM, Hartland EL: Escherichia coli as a cause of diarrhea. J
Gastroenterol Hepatol 2002;17:467–475.
Capitolo 198 ■ Colera (Vibrio cholerae)
Jacqueline L. Deen
Il colera è una malattia diarroica temibile a causa della sua
severità e della potenzialità epidemica. La malattia rimane un
problema rilevante in molti Paesi sottosviluppati che non posso-
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PARTE XVI
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Malattie infettive
no permettersi di stabilire o mantenere infrastrutture essenziali
per la fornitura di acqua purificata e lo smaltimento delle acque
nere. La malattia stagionale si verifica nelle situazioni di endemia
caratterizzate da scarsità di risorse, mentre le epidemie si verificano nel corso dei disastri naturali e delle emergenze complesse
con mortalità e danni economici significativi.
EZIOLOGIA. Il Vibrio cholerae è un bacillo aerobico Gram-negativo
dalla forma leggermente ricurva (1,5-3 0,5 m) con un flagello
polare. La sua struttura antigenica consiste in un antigene H flagellare e un antigene somatico. La differenziazione dell’antigene
O consente l’identificazione dei sierogruppi noti come causa del
colera, i V. cholerae O1 e O139. Sulla base delle caratteristiche
fenotipiche, il V. cholerae O1 è suddiviso in 2 biotipi, classico ed
El Tor. Il V. cholerae O1 El Tor è attualmente il ceppo dominante.
Il biotipo classico è considerato estinto, anche se ibridi genetici
dei biotipi di V. cholerae O1 classico ed El Tor sono stati riportati in isolati dal Bangladesh e dal Mozambico. I microrganismi
di entrambi i biotipi sono ulteriormente classificati in base alla
presenza di antigeni somatici in 2 sierotipi principali, Inaba e
Ogawa, e in un tipo intermedio instabile, Hikojima. Ceppi di V.
cholerae appartenenti a sierogruppi diversi da O1 e O139 sono
stati imputati come agenti causali di gastroenterite non colerica,
talvolta con manifestazioni extraintestinali ma senza potenzialità
epidemiche.
EPIDEMIOLOGIA. Il colera è una malattia nota da lungo tempo,
con casi osservati nei delta dei fiumi Brahmaputra e Gange almeno 1000 anni fa. Le prime 6 pandemie coleriche dal 1817 al
1923, quasi tutte causate dal biotipo classico, ebbero origine
in quest’area e si diffusero in Europa e nelle Americhe. Il microrganismo causale della 7a pandemia è il V. cholerae O1 El
Tor, così denominato dalla località egiziana dove questo ceppo
è stato isolato per la prima volta nel 1905. Questo biotipo è
stato associato soltanto a casi sporadici fino al 1961, allorché
è iniziata l’attuale pandemia a Celebes (Sulawesi) in Indonesia.
La malattia si è diffusa rapidamente in altri Paesi asiatici e nel
1970 ha invaso l’Africa Occidentale, che non aveva visto casi di
colera per 100 anni.
Epidemie si sono avute in diversi Paesi africani e infine la
malattia è divenuta endemica nella maggior parte del continente.
L’ultima estensione di questa pandemia è comparsa in America
Latina nel 1991, dove il colera era stato assente per più di un
secolo. Nel corso dell’anno si è diffuso in 11 Paesi e quindi in
tutto il continente. La 7a pandemia è stata la più prolungata e
ha interessato un numero di Paesi e continenti più elevato che le
altre 6 pandemie. Nel 2002, 13 Paesi asiatici, 27 Paesi africani e 2
latinoamericani hanno riportato casi di colera all’Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS).
In precedenza, soltanto il sierogruppo O1 di V. cholerae aveva
causato epidemie di colera. Nell’ultima parte del 1992 si sono
avute importanti epidemie della malattia in India e Bangladesh,
causate da un sierogruppo di V. cholerae precedentemente non
noto, denominato O139, sinonimo Bengala. Il microrganismo è
stato attualmente isolato e riportato in 11 Paesi dell’Asia Sudorientale. Per motivi sconosciuti, il ceppo O139 non ha continuato la sua diffusione epidemica.
Il colera esiste in forma sporadica, endemica, epidemica e
pandemica. Il passaggio dalla malattia epidemica alla malattia
endemica, di solito stagionale, può essere dovuto all’acquisizione della resistenza immunitaria da parte della popolazione. Si
ritiene che l’immunità sia primariamente correlata agli anticorpi secretori delle mucose diretti contro il lipopolisaccaride del
microrganismo. Sembra esistere almeno una protezione crociata
parziale tra i biotipi (El Tor e classico) e i sierotipi (Ogawa e
Inaba) del sierogruppo O1, ma non esiste tra i sierogruppi O1
e O139. Tuttavia, la malattia naturale non sembra conferire
un’immunità che perdura per tutta la vita, per cui sono possibili attacchi ricorrenti. Il V. cholerae è presente nell’ambiente
acquatico e fa parte della flora normale delle acque salmastre
e degli estuari. È spesso associato a fioriture algali che sono
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influenzate dalla temperatura dell’acqua. Il colera contamina gli
esseri umani attraverso acqua e alimenti contaminati, con tassi
d’attacco molto elevati nelle popolazioni non immuni e frequente
trasmissione domestica. Gli esseri umani infetti diffondono successivamente il microrganismo nell’ambiente.
PATOGENESI. È necessario un grosso inoculo batterico (~108
unità vitali) per causare la malattia clinica, in parte perché i
microrganismi sono uccisi dalla normale acidità gastrica. Pertanto, l’uso degli antiacidi, dei bloccanti i recettori dell’istamina e
gli inibitori di pompa protonica aumenta il rischio di infezione
colerica e predispone a una malattia più severa. In seguito alla
colonizzazione dell’intestino tenue superiore, i V. cholerae O1
e O139 producono un’enterotossina che favorisce la secrezione
di liquidi ed elettroliti nel lume dell’intestino tenue. L’enterotossina consiste in 5 subunità di legame (B) e 1 subunità attiva
(A). Le subunità B si legano ai recettori del ganglioside GM1
nella mucosa dell’intestino tenue, permettendo alla subunità A
di entrare nella cellula dove attiva l’adenilato ciclasi, portando a
un aumento dell’adenosina monofosfato ciclico (AMP). L’AMP
ciclico blocca l’assorbimento del cloruro di sodio da parte dei
microvilli e promuove la secrezione di acqua e cloro da parte
delle cellule delle cripte. Il risultato è un passaggio massivo di
liquido isotonico ricco di elettroliti nell’intestino tenue. L’elevato
volume di liquido prodotto nella parte superiore dell’intestino
sovrasta la capacità di assorbimento della parte inferiore dell’organo, causando una diarrea severa. Il liquido diarroico contiene
grandi quantità di sodio, cloro, bicarbonato e potassio. Dal
momento che l’enterotossina agisce localmente e non invade la
parete intestinale, nelle feci si ritrovano pochi eritrociti e neutrofili. La perdita di liquido isotonico ricco di elettroliti causa
una deplezione del volume ematico con riduzione della pressione
arteriosa e shock. La perdita di bicarbonato e potassio porta ad
acidosi metabolica e ipokaliemia.
MANIFESTAZIONI CLINICHE. Il colera è caratterizzato dall’esordio acuto di un’abbondante diarrea acquosa e da vomito senza
febbre o crampi addominali. Le feci sono incolori con piccoli
fiocchi mucosi (“acqua di riso”) e sono talvolta descritte come
odorose di pesce. Nelle prime fasi, i bambini possono essere
irrequieti o estremamente assetati, ma se le perdite di liquidi
ed elettroliti non vengono sostituite, possono divenire letargici
o addirittura perdere conoscenza. Altri segni di disidratazione
possono rapidamente manifestarsi, compresi uno scarso turgore
della cute, infossamento oculare, secchezza del cavo orale, assenza di diuresi, ritardo del riempimento capillare, polso rapido o
debole e ipotensione (Fig. 198-1). In 4-12 ore possono verificarsi
disidratazione severa, acidosi metabolica e ipokaliemia. Le perdi-
Figura 198-1. Bambino, sdraiato su un lettino da colera, che evidenzia i tipici
segni della disidratazione severa da colera. Il paziente presenta occhi infossati,
aspetto letargico e uno scarso turgore cutaneo; tuttavia, entro 2 ore era in
grado di stare seduto, era vigile e si alimentava normalmente. (Da Sack DA,
Sack RB, Nair GB, Siddique AK: Cholera. Lancet 2004;363:223-233.)
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Capitolo 198
te di liquidi possono essere così rapide che il bambino sviluppa
rapidamente shock ipovolemico, ipoglicemia, coma e convulsioni ed è a rischio di morte entro poche ore dall’esordio.
Il periodo di incubazione tra l’ingestione del microrganismo
e l’esordio dei sintomi varia tra 18 ore e 5 giorni. Anche se
il quadro clinico tipico è caratterizzato da diarrea severa, la
maggior parte degli individui affetti non presenta sintomi o ha
solo una diarrea lieve, indistinguibile da altre malattie diarroiche. Il rapporto tra casi clinici e infezioni varia da 1 : 3 a 1 :
100, a seconda dell’immunità intestinale locale, delle dimensioni
dell’inoculo, dell’adeguatezza della barriera acida gastrica e di
altri fattori.
INDAGINI DI LABORATORIO. I dati di laboratorio di emoconcentrazione e aumento del peso specifico sierico riflettono il grado di disidratazione isotonica. Le anomalie elettrolitiche e dell’equilibrio
acido-base tipiche della disidratazione severa comprendono livelli
normali o ridotti di potassio sierico, livelli normali o leggermente
ridotti di sodio e cloro e acidosi metabolica.
DIAGNOSI. La diagnosi di casi individuali di colera si basa primariamente su basi cliniche. La conferma di laboratorio è necessaria
per la sorveglianza e per gli studi epidemiologici. Nelle aree
endemiche, un bambino con diarrea acquosa severa deve essere
considerato un possibile caso di colera in attesa della conferma
di laboratorio (se disponibile) e occorre iniziare immediatamente
il trattamento. Nei Paesi industrializzati, la diagnosi deve essere
sospettata in qualsiasi bambino con diarrea acquosa severa e
un’anamnesi di un viaggio recente in un’area endemica. Altre
malattie enteriche caratterizzate da diarrea acuta acquosa come
quelle causate da rotavirus o Escherichia coli enterotossigena
possono essere difficili da distinguere dal colera.
I test rapidi comprendono la microscopia in campo oscuro,
in cui una preparazione a fresco di feci liquide viene esaminata
per la ricerca in tutte le direzioni di microrganismi mobili che
vengono bloccati dall’aggiunta di antisiero O1 o O139. Sono disponibili anche test immunologici. La diagnosi viene confermata
mediante isolamento del microrganismo con la coprocoltura. Il
mezzo di trasporto di Cary-Blair può essere usato per il trasporto
in laboratorio di un campione fecale o di un tampone rettale. Le
feci, fresche o nel mezzo di trasporto, devono essere seminate su
un terreno tiosolfato-citrato-bile-saccarosio (TCBS). Il V. cholerae appare dopo 18-24 ore di incubazione sotto forma di colonie
gialle lisce con il centro leggermente sollevato. L’identificazione
presuntiva del V. cholerae O1 o O139 può essere stabilita sulla
base delle tipiche colonie, che sono ossidasi-positive e agglutinano con l’antisiero O1 o O139.
COMPLICANZE. Letargia, convulsioni, alterazioni dello stato di
coscienza, febbre, ipoglicemia e morte si verificano più frequentemente nei bambini rispetto agli adulti. Un’inadeguata terapia
sostitutiva di liquidi ed elettroliti può portare a necrosi tubulare
acuta. I bambini con ridotti livelli di potassio possono sviluppare
un ileo paralitico e una distensione addominale che possono rendere impossibile la reidratazione orale. Nei bambini con malattia
severa con deplezione di potassio e acidosi, l’aritmia ipokaliemica
può provocare morte improvvisa. Nel 10% almeno dei bambini
più piccoli, si verificano sonnolenza prolungata, coma o convulsioni. Quando le convulsioni sono associate a ipoglicemia, esse
sono spesso seguite da coma e morte; in uno studio, il 14,3%
dei bambini affetti da colera complicato da ipoglicemia è deceduto, rispetto allo 0,7% dei bambini senza ipoglicemia. Dopo la
disidratazione, l’ipoglicemia è la più comune conseguenza potenzialmente fatale del colera nei bambini. Si può avere anche iperglicemia a causa della secrezione di adrenalina, noradrenalina,
cortisolo e glucagone in risposta allo stress ipovolemico. In alcuni
bambini si osserva edema polmonare, probabilmente a causa del
sovraccarico idrico nel corso della reidratazione. Nel corso della
correzione degli squilibri elettrolitici si può verificare tetania transitoria. Nei bambini trattati con un eccesso di zucchero e sale si
può osservare ipernatremia.
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Colera (Vibrio cholerae)
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TABELLA 198-1. Trattamento dei pazienti con sospetto colera
Valutare la disidratazione.
Reidratare rapidamente il paziente con soluzione di Ringer ev per pazienti con disidratazione severa o
soluzione per la reidratazione orale (ORS) per i pazienti con disidratazione meno severa; utilizzare ORS a base
di riso se possibile.
I pazienti con disidratazione severa richiedono una terapia sostitutiva pari al 10% del loro peso corporeo
entro 2-4 ore.
Utilizzare un lettino da colera (se possibile) per il monitoraggio delle evacuazioni; monitorare l’idratazione
e la severità delle evacuazioni frequenti.
Mantenere l’idratazione sostituendo le perdite continue fino all’arresto della diarrea.
Somministrare un antibiotico per os (per es. doxiciclina) ai pazienti disidratati non appena il vomito si arresta.
Somministrare cibo non appena il paziente è in grado di mangiare (entro poche ore).
Da Sack DA, Sack RB, Nair GB, Siddique AK: Cholera. Lancet 2004;363:223-233.
TRATTAMENTO. La pietra angolare del trattamento del colera è
la terapia sostitutiva con liquidi ed elettroliti (Tab. 198-1). La
terapia reidratante dovrebbe essere iniziata al primo sospetto
diagnostico (vedi Capitoli 55.1 e 337). Per diversi decenni, la
formulazione maggiormente raccomandata di sali per la reidratazione orale (ORS) contenevano 90 mmol di sodio, 20 mmol di
potassio, 80 mmol di cloruro, 111 mmol di glucosio e 10 mmol
di citrato per litro, con un’osmolarità totale di 311 mOsm/L.
Nel 2002 è stata proposta dall’OMS una nuova formula per la
reidratazione orale con sodio e glucosio ridotti a 5 mmol/L e
un’osmolarità totale ridotta a 245 mOsm/L. la formula per la
reidratazione orale a osmolarità ridotta sembra essere sicura e
almeno altrettanto efficace della formula standard per l’uso nei
bambini con colera. Negli adulti affetti da colera, il suo uso
è stato associato a un aumento dell’incidenza di iponatremia
asintomatica transitoria.
La reidratazione orale somministrata ad libitum è il trattamento di scelta a meno che il bambino presenti un ottundimento del
sensorio, un ileo o sia in stato di shock; in questi casi, è appropriata la somministrazione endovenosa di soluzione fisiologica o
di lattato di Ringer piuttosto che la reidratazione orale. Il vomito
non è una controindicazione alla reidratazione orale. Anche se
tutti i pazienti con colera devono essere accuratamente monitorati, una particolare attenzione all’introduzione di alimenti e alla
diuresi è specialmente importante per i lattanti. L’alimentazione
deve essere ripresa non appena ripianati i deficit idroelettrolitici
allo scopo di ridurre l’impatto nutrizionale della malattia; la
rialimentazione non influisce sulla frequenza delle evacuazioni
o sulla durata della diarrea.
La reidratazione è il trattamento più importante. Tuttavia,
gli antibiotici sono utili ad abbreviare la durata della malattia,
riducendo il periodo di eliminazione dei microrganismi e la
necessità di terapia sostitutiva dei liquidi. La terapia antibiotica
deve essere presa in considerazione nei pazienti con malattia
da severa a moderata. La tetraciclina per os (50 mg/kg/die
suddivisi in 4 somministrazioni al giorno per os per 3 giorni;
dose massima 2 g/die) o la doxiciclina (5 mg/kg per os in dose
singola, dose massima 200 mg/die) sono i farmaci di scelta per
il colera da V. cholerae O1 e O139. Nei bambini 9 anni di
età, l’uso della tetraciclina non è raccomandato. Nei ceppi resistenti o nei bambini 9 anni di età, possono essere utilizzati
il trimetoprim-sulfametoxazolo (8-10 mg/kg/die di trimetoprim
e 40 mg/kg/die di sulfametoxazolo, suddivisi in 2 somministrazioni per os), l’eritromicina (40 mg/kg/die, dose massima 2
g/die) o il furazolidone (5-8 mg/kg/die, dose massima 400 mg).
La resistenza alla tetraciclina e ad altri antibiotici è in aumento.
La valutazione della resistenza antibiotica deve essere eseguita
su isolati da casi sporadici e su casi rappresentativi in corso di
epidemia.
PREVENZIONE. La fornitura di acqua e alimenti sicuri, un adeguato smaltimento delle acque nere e l’igiene personale e comunitaria costituiscono le strategie principali contro il colera. Nelle
aree endemiche, questi interventi non possono essere del tutto
implementati nel futuro prossimo. Nelle situazioni di emergenza
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PARTE XVI
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Malattie infettive
TABELLA 198-2. Compendio dei dati sui vaccini anticolerici approvati a livello internazionale
Vaccino parenterale inattivato con fenolo
DISPONIBILITÀ
ETÀ
Non più raccomandato
6 mesi
Vaccino orale con subunità B ricombinante e Europa
V. cholerae O1 intero ucciso
Vaccino orale con V. cholerae CVD 103 HgR Canada, America Latina,
vivo attenuato
Europa
2 anni
2 anni
SCHEMA DI
SOMMINISTRAZIONE
2 dosi a distanza di 1-4
settimane
2 dosi a distanza di 1-6
settimane
Dose singola
acuta, qualsiasi struttura di sanità pubblica esistente peggiora o
addirittura giunge al collasso. Pertanto, un vaccino sicuro, efficace ed economico potrebbe essere uno strumento potenzialmente
utile per la prevenzione e il controllo del colera.
Al momento, la produzione e la vendita dell’unico vaccino
anticolerico approvato negli Stati Uniti, che era la preparazione
parenterale a base di microrganismi uccisi con fenolo, è stata
interrotta (Tab. 198-2). Poiché il vaccino offriva una protezione
limitata solo per un breve periodo di tempo ed era altamente reattogeno (dolore, eritema, infiltrazione locale, febbre e cefalea),
non è più raccomandato. Non esistono indicazioni sulla vaccinazione anticolerica per entrare o uscire da qualsiasi Paese. I
viaggiatori in aree endemiche per il colera devono assumere adeguate precauzioni riguardo all’acqua e agli alimenti. I visitatori
di Paesi in cui è stato segnalato il colera, che seguono i comuni
itinerari turistici e che fanno uso di sistemazioni standard, hanno
un basso rischio d’infezione.
Notevoli progressi sono stati fatti nell’ultimo decennio nello
sviluppo di vaccini anticolerici orali di ultima generazione. Questi nuovi vaccini permettono una sostanziale protezione contro
il colera O1 senza effetti collaterali. Tuttavia, nessuno di questi
2 vaccini è disponibile negli Stati Uniti. Uno è un vaccino a
base di cellule di V. cholerae O1 intere uccise e di subunità B
ricombinante (rBs-WC); l’altro è un vaccino a base di V. cholerae
CVD 103 HgR vivo attenuato. Sia il vaccino vivo sia quello vivo
attenuato sono autorizzati in alcuni Paesi e attualmente vi è la
previsione di una loro maggiore applicazione in sanità pubblica.
Nel 2002 l’OMS ha cambiato la sua politica e ha raccomandato che l’uso della vaccinazione anticolerica orale sia preso in
considerazione in certe situazioni endemiche ed epidemiche, in
combinazione con altre strategie di controllo.
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cholera vaccines in Bangladesh: A reanalysis. Lancet 2005;366:44–49.
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269–276.
World Health Organization: Cholera Vaccines: A New Public Health Tool?
Geneva, Switzerland, World Health Organization, 2002.
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VIA DI
SOMMINISTRAZIONE
im
EFFICACIA PROTETTIVA
Orale
85% nei primi 6 mesi, quindi
50% per almeno 3 anni
80% per almeno 6 mesi
Orale
30-50% per 3-6 mesi
PROFILO DEGLI EVENTI
AVVERSI
Elevato
Basso
Basso
Capitolo 199 ■ Campylobacter Gloria P.
Heresi, Shaida Baqar e James R. Murphy
Le infezioni da Campylobacter jejuni e Campylobacter coli sono
zoonosi globali e costituiscono una delle cause più frequenti di
infezione intestinale umana. L’infezione può essere seguita da
malattie immunoreattive severe e forse da disordini immunoproliferativi.
EZIOLOGIA. La famiglia delle Campylobacteriaceae comprende
20 specie. Quelle note o considerate patogene per gli esseri
umani comprendono C. jejuni, C. fetus, C. coli, C. hyointestinalis, C. lari, C. upsaliensis, C. concisus, C. sputorum, C. rectus,
C. mucosalis, C. jejuni subspecies doylei, C. curvus, C. gracilis e
C. cryaerophila. Altre specie di Campylobacter sono state isolate
da campioni clinici, ma il loro ruolo come patogeni non è stato
dimostrato. Il C. jeiuni e il C. coli sono i più importanti patogeni
del genere. Sono stati identificati più di 100 sierotipi di C. jejuni.
I microrganismi del genere Campylobacter sono bacilli sottili e
ricurvi (larghezza 0,2-0,4 m), di solito con estremità rastremate, Gram-negativi; non formano spore. La morfologia è varia e
comprende microrganismi corti a forma di virgola o di S oppure
a forma di “gabbiano”, multispiraliformi e filamentosi. I microrganismi sono di solito mobili, con un flagello a uno o a entrambi
i poli. I microrganismi di Campylobacter formano piccole (0,5-1
mm) colonie lisce e leggermente sollevate in terreni di coltura
solidi. Nelle colture più vecchie possono essere osservate forme
di tipo cocco. Una crescita visibile in emocoltura spesso non è
evidente fino a 5-14 giorni dopo l’inoculo. La maggior parte dei
microrganismi di Campylobacter è microaerofila e non ossida,
né fermenta i carboidrati. I terreni di coltura selettivi sviluppati
per favorire l’isolamento del C. jejuni possono non supportare ed
eventualmente anche inibire la crescita di altre specie di Campylobacter. Il C. jejiuni ha un cromosoma circolare di 1,64 milioni
di coppie di basi (30,6% G + C) da cui ci si attende la codificazione di 1654 proteine e di 54 specie stabili di DNA. Il genoma
appare insolito, in quanto virtualmente sono assenti sequenze
di inserzione o sequenze associate a fagi e vi sono pochissime
sequenze ripetitive.
La presentazione clinica differisce in parte in base alla specie
(Tab. 199-1). La malattia intestinale di solito è associata al C.
jejuni e al C. coli, mentre le infezioni extraintestinali e sistemiche sono più spesso associate al C. fetus. Tuttavia, la setticemia
da C. jejuni è diagnosticata sempre più spesso e può verificarsi
senza segni o sintomi gastrointestinali. Meno frequentemente, si
osserva un’enterite in associazione all’isolamento di C. lari, C.
fetus e di altre specie di Campylobacter.
EPIDEMIOLOGIA. Le campilobatteriosi umane derivano più comunemente dall’ingestione di acqua potabile o alimenti contaminati
come pollame (pollo, tacchino) e latte crudo, o dalla trasmissione
da parte di animali domestici (gatti, cani, criceti) e animali di
fattoria. Le infezioni sono più frequenti nei contesti con risorse
limitate e si verificano prevalentemente tutto l’anno nei Paesi
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