Randagismo e tutela del patrimonio zootecnico

Contributi pratici
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Randagismo e tutela
del patrimonio zootecnico
Alfonso Piscopo
AUSL 1 Agrigento
Il Diritto Veterinario identifica la lotta al randagismo, nella legge 14 Agosto 1981 n. 281
“Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione dal randagismo”. Nel
tentativo di affrontare un particolare aspetto uniformato nella legge medesima “tutela
del patrimonio zootecnico”, è necessario
prima, avere fissato sia pure genericamente,
alcuni canoni regolamentari sulla materia:
• gli animali randagi e quelli accolti nei ricoveri non possono essere soppressi
(art. 2 punto 2);
• non possono essere destinati alla sperimentazione (art. 2 punto 3);
• gli animali randagi catturati devono essere
censiti ed identificati (controllo demografico della popolazione), se sprovvisti di
proprietario entro un periodo di tempo
sono ceduti a privati o ad associazioni
protezionistiche a condizione che essi
si impegnino a preservarli dalla rabbia,
che effettuino le vaccinazioni obbligatorie, dall’echinococcosi e dalle altre malattie zoonosiche trasmissibili (art.2 punto5);
• i cani catturati possono essere soppressi
in caso di infezione rabica conclamata,
e inoltre tramite eutanasia se gravemente
malati, incurabili o di comprovata pericolosità (art. 2 punto 6);
• è competenza delle Regioni l’Istituzione
dell’Anagrafe Canina presso i comuni o le
Aziende Unità Sanitarie Locali (art. 3 punto 1);
• i Servizi Veterinari delle Aziende Unità
Sanitarie Locali provvedono alla sterilizzazione degli animali;
• al fine di tutelare il patrimonio zootecnico le Regioni indennizzano gli imprenditori agricoli per le perdite di capi di bestiame causate da cani randagi o inselvatichiti, accertate dal Servizio Veterinario dell’Unità Sanitaria Locale (art. 3 punto 5).
La tutela del patrimonio zootecnico, non
può non prescindere dalla domesticazione della specie “cane”, che rappresenta in
un certo qual modo, una particolare razza
preservata nel tempo dall’uomo, o meglio
una prevaricazione della natura dell’animale, che vive allo stato libero, ma che viene
privato o corretto della propria libertà, attraverso un processo di familiarizzazione;
stabilendo in tal senso un reciproco rapporto di convivenza uomo-cane.
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Se la specie “cane” nasce libera e allo stato
selvatico, per legge di natura deve procurarsi del cibo per vivere, ma in tale stato, solo una ridotta percentuale di animali riesce
a sopravvivere (animali abbandonati a se
stessi, trauma psichico, gravi malattie trasmissibili, comprovata pericolosità, ecc.),
questo perchè sfugge al controllo dell’uomo la libertà della specie “cane” legata come anzi detto a quel processo di domesticazione (familiarizzazione).
La domesticazione coinvolge anche la specie “gatto” più per un processo di familiarizzazione stabilendo un rapporto di convivenza uomo-gatto e per le cure specifiche di particolari malattie, ma esula dal fenomeno randagismo e quindi dalla tutela
del patrimonio zootecnico.
Nel prosieguo dell’articolo, al fine di puntualizzare alcuni aspetti utili per la trattazione specifica, cercherò di mettere in atto
con qualche esempio delle azioni agevoli
o apatiche sui piccoli di cucciolate abbandonate e indesiderate, applicando “l’imprinting” cioè quella particolare forma di apprendimento precoce dei cani e dei gatti,
per la quale l’individuo nelle primissime
ore di vita riconosce e segue i suoi genito-
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ri, oppure un suo surrogato, fissandosi su
quel che cade per primo nel suo campo di
applicazione. Non a caso sono persistenti
nell’animale adulto molte delle caratteristiche infantili “neotenia”. Vedremo di seguito, nella stesura dell’articolo come il fattore “imprinting” e il fattore “neotenia” abbiano delle influenze nell’animale, interconnesse alla fase di vita dello stesso, trovandosi ora nella fase di domesticazione con
influenze in positivo dovute al processo di
familiarizzazione e interazione sociale uomo-animale uomo-uomo, e ora nella fase di
randagio con influenze in negativo legate
al fenomeno del randagismo e che definiremo successivamente come “aggressioni
da predatore”.
La sterilizzazione dei cani e dei gatti, nonostante possa sembrare una prevaricazione sulla natura dell’animale, poiché si tratta
di asportare o privare in toto il loro apparato genitale, costituisce un fattore importante per la prevenzione del randagismo.
Al contrario i cani e i gatti maltrattati e abbandonati, rifugiandosi nell’isolamento (trauma psichico, stress patologico, portatori di
malattie trasmissibili, comprovata pericolosità), sia pur vivendo in branco allo stato
libero di randagi e/o inselvatichiti, non riescono a condurre una vita agiata e di completo benessere (completa efficienza e prestanza), ma diventano aggressivi, cadono in
preda alla solitudine e all’abbandono, con
ripercussioni sul loro stato di salute e di riflesso sulla collettività (zoonosi, malattie infettive, moria di animali predati, ecc.).
Forti ripercussioni si possono avere sugli animali da reddito, sono maggiormente colpiti: i bovini, gli ovini-caprini, gli equini, i polli, i conigli, i tacchini, i piccioni e le quaglie
da allevamento, i suini, gli struzzi, gli allevamenti ad uso domestico in genere, ecc.;
e sull’uomo, sono particolarmente esposte
alcune categorie di sanitari: veterinari addetti al controllo e alle cure mediche, infermieri professionali, vigili sanitari, accalappiacani o accalappiagatti che svolgono la
delicata funzione di cattura degli animali,
ma anche bambini, anziani, donne incinte,
portatori di handicap, persone che lavorano da sole, in ambienti isolati o in strutture
non idoneamente attrezzate contro il rischio
di aggressioni, come ad esempio equipaggiamenti o accappamenti di allevamenti al-
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lo stato brado o semibrado, ricoveri fatiscenti, ecc. (cosiddette aggressioni da predatore). Le aggressioni da predatore, possono comportare a carico dell’operatore o
degli animali predati lesioni gravi come contusioni, fratture, ecc., che possono determinare dal punto di vista traumatico conseguenze psicologiche, o patologiche causate da stress, oppure lesioni di tipo irreversibile che non sono compatibili con la
vita. Nei casi meno gravi, da aggressioni da
predatore, è necessario soccorrere le vittime affette da sindrome post traumatica con
percorsi di aiuto o assistenza psicologica e
l’allontanamento momentaneo o permanente dalla struttura; gli animali feriti o malati
vanno allontanati dagli animali sani per le
cure mediche e messi al riparo in ambienti
sicuri, poiché la preda potrebbe ritornare
ad aggredire e uccidere ripetutamente nello stesso allevamento.
L’uomo a sua volta, dopo aver prevaricato
imprimendo all’animale una particolare razzia nel senso della correzione della propria libertà, attraverso il processo di domesticazione e/o familiarizzazione, stanco di
compiacersi dell’animale, a volte lo disgusta e lo rifiuta. La violazione del Diritto Veterinario, sul maltrattamento e l’abbandono
degli animali, per legge costituisce reato.
In una trattazione a parte sono state attribuite all’animale le 5 libertà (articolo Randagismo maltrattamento e abbandono degli animali, pubblicato su questa stessa rivista), queste libertà proprie dell’animale, sono determinanti nell’assumere un aspetto dimensionale, inteso come il grado di libertà
capace di recare o meno danno alla collettività, non solo ai fini della tutela e salvaguardia della salute e dell’incolumità pubblica, ma nel caso specifico, anche nell’assumere una dimensione rilevante per gli imprenditori agricoli, che allevano animali da
reddito, a causa delle ferite inferte dai predatori agli animali allevati (aggressioni da
predatore). Queste libertà sia che l’animale abbia subito un processo di domesticazione, sia che viva allo stato randagio o
conduca una vita selvatica, possono essere brevemente riassunte in:
1 libertà controllata;
2 libertà di branco vigilata;
3 libertà di accesso alle discariche;
4 libertà incontrollata;
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5 libertà di aggredire e di uccidere.
Le libertà 1 libertà controllata; le libertà 2
libertà di branco vigilata; le libertà 3 libertà
di accesso alle discariche; solo per i casi di
facile cattura dei cani, non destano nessun
nocumento per l’uomo e per gli animali.
Mentre le libertà 3 libertà di accesso alle
discariche; solo per i cani che non si sottraggono alla cattura. Le libertà 4 libertà incontrollata; solo per i cani che non si sottraggono alla cattura. Le libertà 5 libertà di
aggredire e di uccidere; costituiscono quelle libertà che contribuiscono ad esasperare il fenomeno del randagismo, e che in
qualche modo determinano le cosiddette
“aggressioni da predatore”, con tutti i rischi
che l’aggressione comporta (lesioni e traumi compatibili o meno con la vita).
Gli animali appartenenti alle 3 “L”, libertà 34-5, vanno esaminati e studiati sotto il profilo comportamentale, valutando la presenza di comportamenti aggressivi, nella dimensione pericolosa che accomuna le 3 “L”
nella libera facoltà di aggredire e di uccidere. Appartengono alle 3 “L” animali di indole, natura e temperamento agile, portati
all’aggressione per autodifesa (morsicatura
di persone), o per istinto innato degli stessi animali randagi o inselvatichiti, riuniti in
branco e indotti a periodi ciclici ad azzannare animali e/o persone (aggressione da
predatore). Queste libertà rappresentano
pertanto un pericolo reale e costante, in
quanto non sempre è facile la cattura e la
domesticazione dell’animale, lo stesso si
trova in una fase irreversibile di randagio,
subendo talvolta un trauma psicologico e
uno stress patologico (maltrattamento e abbandono), per autodifesa e istinto innato,
l’animale avezzo a procacciarsi qualsiasi cosa per sopravvivere, spesso orienta la propria volontà a predare animali da reddito
(aggressione da predatore).
Alle 5 libertà vanno associati infine i 5 processi di domesticazione dell’animale:
• animali (cani e gatti) appartenenti al nucleo familiare, che coabitano stabilmente con il proprietario senza allontanarsi
dalla loro fissa dimora (per analogia alle
libertà prima espresse potremmo paragonare questo processo di domesticazione alle libertà 1. libertà controllata);
• animali fedeli al proprietario, o senza proprietario, che pur avendo una fissa di-
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mora, conducono anche una vita notturna unendosi ad altri animali della stessa
specie e formando branchi o colonie (libertà 2. libertà di branco vigilata);
• animali fedeli al proprietario, o senza proprietario, che ricercano l’uomo e il loro
habitat come residenza abituale (allevamento-azienda, greggi di bovini e ovini
che vivono allo stato brado, ecc.), ma che
scompaiono e ricompaiono secondo le
loro necessità (libertà 3. libertà di accesso alle discariche);
• animali senza proprietario, ma che si appropriano della simpatia dell’uomo, anche se talvolta sfuggono divenendo loro
i padroni assoluti del domino del territorio (libertà 4. libertà incontrollata);
• animali randagi di comprovata pericolosità, per i quali non è possibile la cattura
e la domesticazione (libertà 5. libertà di
aggredire e di uccidere) cosiddette “aggressioni da predatore”.
Ciò premesso, la tutela del patrimonio zootecnico, a prescindere dalla domesticazione di razze canine e feline, non può essere risolta con la semplice indennizzazione
degli allevatori, per le perdite di capi di bestiame. L’unica soluzione possibile è quella di prevenire il randagismo, nelle diverse
forme di libertà e domesticazione; ritornano utili pertanto gli argomenti finora trattati
per la lotta al randagismo e precisamente:
• gli animali randagi sono serbatoi naturali
di malattie infettive e diffusive (zoonosi,
idatidosi, leismaniosi, rabbia ecc);
• gli animali randagi non conducono una vita agiata di benessere (completa efficienza e prestanza);
• una volta abbandonati e maltrattati cadono in depressione con traumi psichici
e stress patologici;
• diventano particolarmente aggressivi “aggressione da predatore”;
• gli animali selvatici non si adattano alla
vita selvatica, una notevole percentuale
muore prima di diventare adulta (carenza di difese immunitarie);
• l’adozione di cucciolate abbandonate,
aiuta gli animali a socializzare, in questo
caso “l’imprinting” e le “neotenie” sono
dei fattori positivi;
• i cuccioli randagi difficilmente socializzano, ma seguono i genitori nel processo di randagiazione; in questo caso “im-
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printing e neotenie” sono fattori negativi;
i ricoveri devono essere sufficienti e in
numero adeguato ad ospitare tutti gli animali, canile sanitario, canile rifugio, gattile;
la sterilizzazione è l’unico mezzo coercitivo di intervento, praticato all’animale, che
ne vieta la moltiplicazione incontrollata;
è necessario e urgente prevedere metodi sofisticati di cattura degli animali;
gli animali appartenenti alle libertà 3-4-5
meglio identificati nelle 3 “L” e definite come “libertà di aggredire e di uccidere” o
“aggressioni da predatore” devono essere abbattuti;
la domesticazione e/o familiarizzazione
dell’animale è l’unico mezzo di approccio che avvicina l’uomo all’animale, e evita l’evolversi del fenomeno randagismo e
le cosiddette“aggressioni da predatore”.
Indennizzo per le
perdite zootecniche da cani
randagi o inselvatichiti
Il fenomeno della predazione sul bestiame
domestico, comporta serie conseguenze
per l’allevamento. La legge nazionale, legge quadro n. 281/91 (art. 3 punto 5) delega alle Regioni la possibilità di indennizzo;
ogni Regione in riferimento alla legge nazionale, adotta una propria normativa, con
piani d’intervento programmati.
Gli animali domestici, in seguito alle ferite
inferte da branchi di cani randagi o inselvatichiti, spesso soccombono al momento
dell’aggressione se le lesioni provocate non
sono compatibili con la vita, o successivamente alle aggressioni. In quest’ultimo caso, onde evitare inutili sofferenze all’animale predato, se l’accertamento veterinario lo
riterrà opportuno, si procede all’abbattimento immediato.
Modalità d’intervento
Ogni Regione, con legge propria riserva dei
fondi per la “tutela del patrimonio zootecnico soggetto a predazione”.
Richiesta d’indennizzo:
1 si produce istanza in carta libera dell’interessato diretta all’Assessorato alla Sanità, per il tramite del Sindaco del Comune di competenza;
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2 attestazione del Veterinario Ufficiale della Azienda Unità Sanitaria Locale, dalla
quale si evince la causa di morte e le
eventuali disposizioni adottate;
3 attestazione del Servizio Veterinario della Azienda Sanitaria Locale in cui si dichiara l’allevamento in regola con i piani
di eradicazione delle malattie infettive e
relativa registrazione (D.p.r. 317/96 e succ.
mod.), comprensiva di attestato per le
vaccinazioni obbligatorie;
4 ordinanza del Sindaco con cui è stata disposta la distruzione dei capi morti, e/o
l’abbattimento e la distruzione degli animali che, a parere del Veterinario Ufficiale abbiano subito lesioni che non sono
compatibili con la vita; ordinanza di distruzione per animali predati che riportano ferite di lieve entità, sottoposti al periodo di osservazione previsto dall’art.
88 del regolamento di polizia veterinaria
che, a causa delle ferite inferte dai cani
randagi o inselvatichiti, vengono abbattuti o muoiono dopo il 5° giorno e che
devono essere interamente distrutti con
il divieto di scuoiamento;
5 attestato del Sindaco da cui risulta la
completa esecuzione dell’ordinanza emessa al punto precedente e che gli allevatori o detentori di animali morti o distrutti hanno rispettato le norme stabilite
dall’art. 264 del testo unico delle leggi
sanitarie approvato con Regio Decreto 27
Luglio 1934, n. 1265 dal regolamento di
polizia veterinaria approvato con D.p.r. 8
Febbraio 1954, n. 320, ecc.;
6 attestato rilasciato dall’associazione allevatori, se gli animali risultano iscritti ai libri genealogici;
7 provvedimento con cui il Sindaco fissa la
misura per l’indennità.
Legge Regionale per la Sicilia del 3 Luglio
2000 n. 15 art. 21 Circolare 16 Ottobre 2000,
n. 1003.
Piani d’intervento
I piani di aiuto di indennizzo, da soli servono ad alleviare in parte le perdite che
l’allevatore ha subito nel proprio allevamento, ma non potranno sostituire gli animali morti, con le susseguenti conseguenze:
trauma psicologico e stress patologico inferto all’allevamento, aborto di animali in fa-
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se di gestazione, perdite di animali selezionati con elevate performance produttive,
ecc. Appare opportuno attuare tecniche di
prevenzione e sperimentazione, che mettono quanto più possibile al riparo gli animali domestici dall’aggressione di cani randagi o inselvatichiti e da altri canidi. Si prendono a prestito dei modelli di tecniche di
prevenzione e di sperimentazione che devono servire come modello di attuazione
per ogni Regione. La normativa deve prevedere dei rimborsi per tutti i casi di predazione da parte di canidi a totale danno
delle specie domestiche, compresi i casi
di aborto indotto; nonché contributi per la
stipula di particolari polizze assicurative e
contributi per la realizzazione di opere di
prevenzione. Gli imprenditori agricoli, per
accedere ai contributi, devono avere messo in atto nella propria azienda le opere di
prevenzione previste dal regolamento.
Le aggressioni da predatore, si ripetono a
periodi ciclici negli allevamenti che presentano carenze strutturali, tali da permettere
agli aggressori di poter accedere nell’allevamento con una certa frequenza e regolarità; soprattutto se gli allevamenti si trovano
in prossimità di siti a rischio come ad esempio le discariche, poiché i cani riuniti in
branco fiutano e hanno capacità di organizzarsi per aggredire la preda presente nelle
vicinanze. Nella descrizione dell’articolo abbiamo evidenziato la pericolosità dei cani
con le 3 “L”, libertà 3. libertà di accesso alle
discariche; libertà 4. libertà incontrollata; libertà 5. libertà di aggredire e di uccidere,
nella trattazione presente definiti come libertà da “aggressioni da predatore”, queste libertà vanno limitate in prossimità dei siti a rischio, costituendo per legge le prescri-
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zioni limitative delle libertà degli animali.
Bisogna prevedere dei piani di lotta per la
cattura dei cani, con la preparazione di trappole e laccioli o box a chiusura ad incastro,
preventivamente precostituiti nelle aree abitualmente percorribili dai canidi.
Gli allevamenti costituiti da greggi sono particolarmente esposti alle aggressioni, non a
caso le statistiche confermano questo tipo
di predazione al primo posto, in quanto nella quasi totalità dei casi i greggi sono costituiti da ricoveri all’aperto, con recinzioni
a maglia sciolta (reti da pecore), non interrate e ad un’altezza inferiore a 2 metri: questo tipo di recinzione è di facile accesso
del predatore e di ostacolo per la preda; il
predatore salta la recinzione con facilità o
forma dei buchi nella rete o nel terreno e una
volta entrato nel recinto spauracchia il gregge che impossibilitato a fuggire, si ammassa
in gruppo e muore schiacciato o soffocato,
nella maggior parte dei casi abortisce.
È importante scegliere le recinzioni a prova
di predatore, la rete a maglia elettrosaldata
interrata a “L” e con rete antisalto, espongono in misura minore i greggi “all’aggressione da predatore”. Le recinzioni in muratura
ad altezza antisalto per i predatori, danno
maggiori garanzie di sicurezza per l’incolumità dei greggi. I cani da guardia rappresentano un ottimo strumento di prevenzione, i
cani particolarmente vocati addestrati e addomesticati a svolgere questo lavoro, riducono i fenomeni di “aggressione da predatore”. Infine è stata sperimentata con successo un tipo di recinzione elettrificata, definita ad alto conflitto allevatore-predatore,
utilizzata in Svezia e in Romania e in alcune
Regioni del nord d’Italia. Questo tipo di recinzione a prova anti-predatore riduce in
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parte i fenomeni di aggressione. Ogni Regione infine deve creare un ponte di collegamento con le altre Regioni, per mettere
in atto tutti gli atti preventivi al fine di colmare il vuoto varcato dalla legge, che si limita
alla semplice indennizzazione degli imprenditori agricoli, che allevano animali da reddito, occorre invece sperimentare tecniche di
prevenzione dirette in allevamento, che uniti agli altri mezzi di prevenzione nella lotta
al randagismo, riducono notevolmente i problemi connessi al fenomeno.
Diritto veterinario
La legge quadro n. 281/91 decreta che l’abbandono degli animali, costituisce reato punibile con sanzioni penali, concetto ampiamente ripreso con la legge n.189 sull’abbandono e maltrattamento animale, con le modifiche apportate al codice di procedura
penale dei cosiddetti “delitti contro il sentimento per gli animali”, costituisce reato punibile con il carcere. Dal punto di vista giuridico, notevoli passi avanti sono stati fatti,
nel rispetto della dignità degli animali, anche se molto resta ancora da fare.
Infine a riguardo si è fatto poco per la tutela del patrimonio zootecnico, sottostimando forse il fenomeno del randagismo che è
alla base di altri fenomeni ad esso connessi.
La responsabilità e la sensibilità morale in
campo zoofilo riguarda tutti, perciò è necessario che ognuno per la propria parte deve
avere il sentimento della propria responsabilità, della dignità umana e trattare gli animali con la stessa dimensione del sentimento umano. Per fare ciò occorre la crescita
sociale e l’erudità mentale.
Le note sono consultabili sul sito
www.ilprogressoveterinario.it