Viaggio nella Mente

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Viaggio nella Mente
Pubblicato on-line 27/01/2010
Come si sviluppa un trauma psicologico?
di Antonio Sammartino
Storia di una bambina di nome oho
Questa è la storia di una donna che ha dedicato poco tempo alla sua figlia di nome oho , forse è meglio dire che ha
quasi sempre ignorato i bisogni di affetto e accudimento della figlia. Successivamente divorzia o forse resta vedova e
decide di affidare la figlia, che ha due o tre anni a qualcuno, per un periodo di circa due anni. Durante questo periodo le
persone che accudiscono oho cambiano di frequente, per cui viene negata alla bambina la possibilità di crearsi un
legame affettivo stabile.
oho risponde a questa assenza di affettività, con un comportamento irrequieto, il cui fine inconsapevole è probabilmente
quello di attirare l’attenzione, ma subisce rimproveri o botte, che lei interpreta come una forma di vile violenza (è come
se dicesse: ma come è possibile che non comprendete i miei bisogni affettivi?), tuttavia a volte qualcuno le mostra
un'affettività che disorienta emotivamente oho, in quanto la sua mente non è ancora in grado di comprendere il senso
di quell’ambiguità.
oho non solo non ha vissuto quell’importante fase di condivisione delle emozioni con la figura affettiva di riferimento, ma
nel perdere entrambi i genitori che l’avevano grossolanamente accudita, vive un profondo senso dell’abbandono. Questi
eventi imprimono, in un cervello immaturo che sta formandosi, convinzioni che successivamente, se rafforzate dalle
esperienze si trasformeranno in abitudini, determinando così il temperamento dell’individuo.
I bambini, per giudicare il mondo delle relazioni affettive e riconoscere le emozioni, utilizzano prevalentemente il sistema
emotivo, in cui l'Amigdala svolge un ruolo importante. Progressivamente, con la maturazione del cervello, le modalità
istintive di elaborazione delle situazioni emotive, si integrano con quelle razionali controllata dalla Corteccia Frontale.
L’adulto può quindi produrre una risposta riflessiva che tiene conto anche del contesto relazionale e sociale, se non è
condizionato da esperienze traumatiche infantili.
Trascorso il periodo di separazione oho ritorna dalla madre, ma ormai ha smesso di cercare di creare un legame
affettivo, per cui mostra un evidente distacco nei confronti della madre. Con il trascorrere del tempo, questo distacco si
accentua ulteriormente, in quanto la madre non mostra comprensione nei suoi confronti, perché esasperata, interpreta
nel modo sbagliato gli atteggiamenti della figlia. Le esperienze emotive di entrambe, hanno compromesso il loro
rapporto e la possibilità di oho di vivere un futuro sereno e felice.
Infatti, le esperienze della bambina, hanno contribuito a renderla emotivamente distaccata, depressa, facilmente
irritabile, più propensa a manifestare (in forme diverse e in modo più o meno mascherato) odio o malvagità, piuttosto
che ad amare.
La bambina (e successivamente la donna) teme l’eventualità di un legame affettivo, per il timore di rivivere ancora
l’angoscia e la rabbia, per cui attiva un meccanismo di difesa che le impedisce di esprimere quel naturale desiderio di
intimità, associato al bisogno di affetto. Ciò significa che il suo temperamento potrebbe anche consentirle di innamorarsi,
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ma le impedisce di poter amare nel tempo, per cui le sue relazioni sentimentali inevitabilmente naufragano, per la sua
acquisita incapacità ad entrare in sintonia emotiva con il suo partner. Questa incapacità si manifesta con comportamenti
che inducono gli altri ad abbandonarla, in questo modo si ha una replica del copione inscritto nel suo cervello, che le
impedisce di riconoscere i suoi errori e favorisce la convinzione che gli altri non la comprendono o che gli uomini sono
tutti uguali.
La prima reazione a questa storia è di dire: poveretta, che sfigata? Purtroppo, questa storia immaginaria
apparentemente al limite del reale, è abbastanza diffusa, anche se spesso le situazioni non sono così evidenti.
Ovviamente quanto detto per la donna è valido anche per l’uomo, tuttavia occorre considerare le opportune differenze,
dovute alla diversa identità di genere.
Come si spiega tutto ciò.
In generale nei rapporti, una delle caratteristiche più importante alla base di una relazione è l’intensità dell’emozione;
mentre il tipo delle emozioni dipende dallo stato della relazione. Se la relazione è buona, prevale il senso di sicurezza e
di gioia; mentre se è presente una minaccia, prevale la gelosia, la rabbia, l’angoscia; infine se la relazione è stata
interrotta, prevale il dolore e l’angoscia, cioè ansia, apprensione, paura incomprensibile la cui origine e causa è
apparente; per questo appare essere minacciosa, ma non catastrofica.
Ciò significa che la qualità dell’affetto che i genitori trasmettono ai figli è la base su cui si svilupperà l’amore che la
bambina (o il bambino) potrà provare nella vita adulta. Le memorie che si creano durante i primi anni di vita, non sono
ricordati come episodi della propria esistenza, ma assumono la forma di convinzioni e di abitudini di come funziona la
vita.
Inoltre, gli eventi che accadono sono interpretati dall’individuo in base a ciò che teme, crede o conosce. Infatti esiste
sempre una relazione fra eventi, convinzioni, pensieri, emozioni e comportamenti. Quindi, il modo in cui l’individuo
interpreta gli eventi, influenza la sua percezione della realtà e dell’ambiente che lo circonda. Ciò significa che le
esperienze degli eventi che accadono a livello psichico, non corrispondono esattamente agli eventi, ma al modo con cui
sono stati interpretati dall’individuo.
Non è ciò che accade che rende tristi o felici, ma il modo in cui gli eventi sono interpretati.
Gli individui quindi, affrontano la loro esistenza, attraverso l’interpretazione di ciò che gli è accaduto. In diversi casi,
queste interpretazioni sono il risultato di abitudini automatiche, mentre in altri sono influenzate dall’umore o dalle
emozioni. Gli eventi o le esperienze, vissute in modo traumatico, generalmente non vengono elaborate e quindi risolte
dall’individuo. La conseguenza di ciò è che il trauma non risolto, si traduce nella necessità a ripeterlo, quasi sempre
sotto forma mascherata, in modo da non poter essere riconosciuto dal sistema razionale dell’individuo, che non
ricevendo le opportune informazioni non è in grado di esercitare la sua azione correttiva. Il sistema emotivo che
interpreta la realtà in modo approsimativo, non moderato dal sistema razionale, obbliga l’individuo a rispondere in modo
irrazionale.
Nell’esempio ipotizzato il bisogno di amore è stato associato, per l’effetto dell’abbandono, al dolore e all’angoscia, per
cui uno stimolo benevole (il bisogno d’amore), viene interpretato dalla mente come se fosse pericoloso o ad alto rischio
di trasformarsi in pericoloso. Ciò obbliga il sistema emotivo a reagire, segnalando all’organismo la necessità di attuare
una difesa ad una possibile minaccia, per cui per esempio, una semplice ed inoffessiva parola, potrebbe tradursi in una
ingiustificata ed inopportuna reazione di rabbia, oppure in atteggiamenti che possono rendere più probabile l’attuazione
di comportamenti che tendono a dividere la coppia, piuttosto che unire, in quanto si ha difficolta a saper ascoltare le
ragioni degli altri.
Come è possibile che un evento spiacevole possa trasformarsi in un ricordo difficile da cancellare?
Come già detto, un trauma non risolto, si traduce nella necessità per la mente a ripeterlo. E’ noto che la ripetizione è un
efficace modo per memorizzare, anche se si apprende qualcosa di errato, in quanto intensifica i segnali, che favoriscono
l’aggregazione dei neuroni e la trasformazione di ricordi a breve termine in memorie a lungo termine.
Per comprendere questo meccanismo occorre riferirsi alla Legge di Hebb, secondo la quale: quando due neuroni si
attivano insieme ripetutamente o quando se ne attiva uno inducendo l’attivazione dell’altro, in entrambi si verificano delle
reazioni chimiche, che tendono a rendere più forte il legame fra i due neuroni. In altri termini, due neuroni che si attivano
simultaneamente si legano fra loro.
Quindi la trasformazione di una memoria a breve termine (in questo caso il trauma non risolto) in una memoria a lungo
termine (tratto della personalità) avviene in quanto, un composto chimico nel cervello, la Protein-Chinasi A, si sposta dal
corpo cellulare dei neuroni verso il nucleo, dove sono immagazzinati i geni (ovviamente ciò accade solo nei neuroni
sollecitati ad aggregarsi, per formare il ricordo). La protein-chinasi A attiva uno specifico gene, che a sua volta produce
una proteina, la quale altera la struttura della terminazione nervosa, facendo crescere nuove connessioni tra i neuroni
indotti ad associarsi. In questi casi in genere si raddoppiano il numero di connessioni sinaptiche (grosso modo si passa
da 1300 a 2700 connessioni). Inoltre, i neuroni presinaptici rilasciano nella sinapsi, una quantità maggiore di
neurotrasmettitori, per cui il neurone è ora in grado di inviare un segnale più potente, anche a seguito di stimoli
insignificanti.
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Ciò significa che il trauma psicologico ha modificato la struttura anatomica del cervello, attraverso l'innesco di un
processo neurobiologico, che ha prodotto un consolidamento neuroplastico delle connessioni tra i neuroni.
Un aspetto straordinario della plasticità neuronale è il seguente: se il medesimo neurone dovesse concorrere a formare
un ricordo a lungo termine, sulla base di un’abitudine, il numero di connessioni si riduce, passa da 1300 a 850, di cui
solo 100 generalmente sono attive. Questo può far comprendere la differenza di intensità che esiste, fra uno stimolo di
un ricordo associato ad un trauma, rispetto a quello creato da un’abitudine. Il trauma stressa il cervello, l’abitudine passa
quasi inosservata.
Come è possibile recuperare un trauma
Un individuo può risolvere un trauma se riesce a recuperare l’esistenza emotiva smarrita durante l’infanzia, in modo da
poter recuperare il senso del suo Sé reale. Il recupero può avvenire solo attraverso un processo di apprendimento, in
quanto il cervello è una struttura dinamica. Non a caso la psicoterapia può essere paragonata ad un processo di
apprendimento che, sollecitando l’espressività genica dei neuroni, sblocca i ricordi penosi, slegandoli dalle emozioni a
cui si erano associati, consentendo così all’individuo di riconoscere lo stimo come inoffensivo; in altri termini modifica la
memoria procedurale dell’individuo. Ciò significa che quando impariamo qualcosa, la mente influenza la trascrizione
genetica dei neuroni. Il pensiero può quindi modellare i geni presenti nei neuroni e quindi incidere sull’anatomia
cerebrale.
La Psicoanalisi è quindi una terapia neuroplastica.
Lo straordinario è che Freud sviluppa una tecnica neuroplastica, molti anni prima della scoperta dei neuroni e della
plasticità neuronale. Infatti, durante una conferenza affermò: quando il cervello apprende, costruisce nuovi sistemi
funzionali, connettendo le cellule del cervello secondo nuove modalità; inoltre fornì una descrizione di come ciò he lui
chiamava Barriere di Contatto (le sinapsi), potevano essere modificate mediante apprendimento. Freud aveva intuito
anche la legge secondo cui i neuroni che si attivano insieme si legano tra loro. Nessuno e nuppure lui colse il vero
senso di quella straordinaria intuizione. Solo diversi anni dopo, Sir Charles Sherrington, scoprì il neurone.
Ritorniamo per un attimo alla nostra bambina, ormai donna.
Dopo alcune esperienze sentimentali disastrose, si accentua il suo stato di ansia e comprende che da sola non è in
grado di superare i suoi problemi, per cui decide di rivolgersi ad uno Psicoterapeuta.
L’obiettivo del prossimo articolo è di descrivere come la terapia e l’interazione della donna con l’analista, modificano la
struttura cerebrale, consentendo lo sblocco della mente,e donando alla nostra amica, una migliore qualità della sua
esistenza.
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