Biosimilari: aspetti regolatori, medico-legali, di farmacovigilanza e di
efficacia e sicurezza clinica
Francesco Locatelli e Lucia Del Vecchio
Dipartimento di Nefrologia, Dialisi e Trapianto di Rene, Ospedale Alessandro
Manzoni, Lecco
Via Dell'Eremo 9, 23900 Lecco
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Introduzione
I farmaci biologici sono molecole proteiche, per lo più derivate dalla tecnica
del DNA ricombinante e dalle recentissime tecniche di produzione ibrida. La
loro disponibilità ha notevolmente migliorato il trattamento di molte malattie,
compresa la malattia renale. L’uso dell’eritropoietina umana ricombinante ha
rivoluzionato il trattamento dell’anemia da insufficienza renale cronica,
riducendo tra l’altro drasticamente il rischio trasfusionale. Da qui l’importanza
dell’argomento biosimilari per il nefrologo.
La disponibilità dei biosimilari in seguito alla scadenza di numerosi brevetti ha
stimolato notevoli discussioni negli ultimi anni, particolarmente per quanto
riguarda gli aspetti regolatori e legali, i costi, la farmacovigilanza e
l’immunogenicità.
Secondo la definizione dell’agenzia europea del farmaco (“European
Medicines Agency”, EMA), i biosimilari non sono assimilabili ai prodotti
medicinali generici poiché, dato il loro complicato processo di sintesi e la
complessità delle molecole, è impossibile farne una copia esatta. Mentre i
generici chimici sono quindi equivalenti in termini di meccanismo d’ azione,
efficacia, sicurezza, via di somministrazione e qualità, questo non è
applicabile ai biosimilari.
I farmaci a base di proteine, a differenza dei farmaci a base di piccole
molecole, non sono prodotti per sintesi chimica, ma da cellule in coltura. Di
conseguenza, per via della loro taglia e complessità, sono più variabili. Inoltre
sono notevolmente influenzati dal processo di produzione; qualsiasi
variazione di questo processo può alterare il prodotto finale. Ne consegue che
ci sono sempre differenze, anche se spesso lievi, tra prodotti medicinali
1
biologici simili provenienti da diverse industrie produttrici o rispetto al biologico
di riferimento (originator). Tali differenze possono anche non essere
completamente evidenti, almeno fino a quando non vi sarà una larga
esperienza nell’uso dei biosimilari (farmacovigilanza) (1).
Il paradigma: “il processo è il prodotto” è al centro del dibattito sui biosimilari.
E’ da sottolineare che, sebbene la composizione della molecola finale sia
conosciuta, il processo di produzione rimane proprietà intellettuale del
produttore. Risulta quindi impossibile riprodurre il protocollo di produzione e
prevedere come variazioni del processo (clonazione, selezione di una linea
cellulare utile, fermentazione, purificazione e formulazione) possano influire
sul prodotto finale. Il biosimilare è quindi il prodotto di un diverso processo e
come tale differirà sicuramente dal prodotto “originator”.
La bioequivalenza é definita come “ assenza di una significativa differenza
nella velocità ed entità alla quale l’ingrediente attivo diventa disponibile nel
sito d’azione del farmaco, quando somministrato alla medesima dose molare,
in condizioni simili e con un appropriato disegno dello studio” (2).
Regolamentare la valutazione della “bioequivalenza” di una proteina prodotta
da due produttori differenti, comporta quindi enormi difficoltà per l’autorità
regolatoria.
Aspetti regolatori
Nel Dicembre 2004 il Parlamento Europeo è stato il primo ente legislativo ad
adottare nuove regole per l’autorizzazione all’uso dei biosimilari. Esso ha
chiaramente separato i biosimilari dai tradizionali generici, riconoscendo che
anche piccole differenze nei componenti e nel processo di produzione
2
possono alterare le proprietà delle proteine (3). Di conseguenza, la procedura
regolatoria per provare la sicurezza ed efficacia di un biosimilare é molto più
rigorosa che per il convenzionale farmaco generico; tuttavia l’insieme del
programma di sviluppo non è così lungo come quello dell’ originator (prodotto
di riferimento). Questo al fine di evitare la replica di studi e test, riducendo lo
sforzo economico legato alle procedure di approvazione dei biosimilari, con il
fine ultimo di aumentare le possibilità di ottenere un reale risparmio con la
loro introduzione in commercio, pur salvaguardando la necessità di garantire
la sicurezza e un’efficacia quantomeno paragonabile.
La terminologia é di vitale importanza per evitare confusioni. Per quanto
riguarda i biosimilari, i termini “comparabilità” e “similarità” sono spesso usati
in modo intercambiabile. Tuttavia vi sono chiare differenze nel loro significato:
la comparabilità si riferisce al livello di consistenza tra le fiale di un prodotto
biosimilare prodotto da una stessa industria, mentre la similarità si riferisce al
grado di somiglianza di un biosimilare rispetto al suo prodotto di riferimento.
Queste
differenze
sono
importanti
quando
si
devono
prendere
in
considerazione i test appropriati per dimostrare le rispettive caratteristiche.
Le industrie produttrici devono dimostrare la consistenza e forza del loro
processo di produzione (4,5). E’ quindi di fondamentale importanza che negli
studi sui biosimilari essi siano paragonati al prodotto originator, considerando i
parametri di farmacocinetica e farmacodinamica, la valutazione dell’impurità,
gli studi di efficacia clinica e i test di immunogenicità, utilizzando strumenti
validati. Inoltre, come per tutti i farmaci, i biosimilari debbono essere sottoposti
ad un programma di farmacovigilanza ben tracciabile post autorizzazione alla
commercializzazione.
3
Anche tra i diversi biosimilari esistono differenze. Alcuni biofarmaceutici sono
relativamente ben caratterizzati e richiedono un processo di produzione poco
problematico. Ad esempio l’insulina, ormone peptidico, non ha una struttura
molecolare complicata, ed è relativamente facile da produrre, isolare e
caratterizzare. Al contrarie le molecole più grandi e più complesse, come
l’eritropoietina, richiedono sofisticati processi di produzione e sono difficili da
isolare e caratterizzare.
Le linee guida dell’EMA per l’approvazione dei biosimilari prevedono, per ogni
via di somministrazione, almeno due studi di adeguata potenza, randomizzati,
in doppio cieco, a gruppi paralleli e dati sulla sicurezza per un periodo minimo
di 12 mesi su almeno 300 pazienti trattati con il biosimilare in studi di efficacia.
Poiché gli studi per l’approvazione all’EMA dei primi biosimilari dell’epoetina
alfa sono stati effettuati quando non era ammessa la somministrazione
sottocutanea dell’epoetina alfa (l’originator di confronto), essi sono stati
inizialmente approvati solo per l’utilizzo per via endovenosa, data l’assenza di
studi di confronto utilizzando la via sottocutanea. In seguito l’epoetina zeta ha
ottenuto l’approvazione anche per la via sottocutanea dopo l’esecuzione di
uno studio di efficacia usando questa via di somministrazione (6).
Farmacovigilanza
Gli studi clinici e la farmacovigilanza post-autorizzazione sono essenziali per
garantire la sicurezza ed efficacia di un prodotto nel tempo e cogliere,
valutare, capire e possibilmente prevenire eventi avversi, dopo che il prodotto
è prescrivibile. Pertanto è interesse di tutti, pazienti, medici, autorità sanitarie
4
ed industria, che i biosimilari siano attentamente monitorati riguardo alla
sicurezza, efficacia e qualità, anche dopo l’autorizzazione alla distribuzione.
Tuttavia la regolamentazione della farmacovigilanza rappresenta un possibile
punto
debole
della
regolamentazione
dell’EMA
sull’approvazione
dei
biosimilari, poiché tale programma non è chiarito sufficientemente nei dettagli,
nonostante le procedure di registrazione siano abbreviate rispetto agli
originators.
La maggior preoccupazione relativa all’uso dei biosimilari é infatti la loro
potenziale immunogenicità, cioè la potenziale capacità di provocare una
risposta immune, che può avere anche conseguenze molto serie. Questo è
particolarmente vero nel caso dei biosimilari dell’epoetina alfa. Alcuni anni
fa,infatti le strategie di farmacovigilanza, allora in atto, non si sono dimostrate
abbastanza rapide nel cogliere un numero di casi di aplasia midollare pura
della serie rossa (pure red cell aplasia, PRCA) conseguenti a cambiamenti
minimi nella formulazione dell’Eprex®, l’originator dei biosimilari dell’epoetina
alfa. Questo perché la PRCA è un evento avverso raro e, ai tempi ,inatteso.
L’attribuzione dell’evento avverso al singolo agente stimolante l’eritropoiesi
(ESA) è stata ulteriormente complicata dal fatto che molti pazienti erano stati
trattati nel tempo con diversi ESA. Da qui la raccomandazione emersa dopo
l’esperienza dei casi di PRCA secondari all’Eprex® di evitare, per quanto
possibile, il passaggio da una molecola all’altra di ESA nel singolo paziente
(7). La farmacovigilanza è certamente un fattore chiave nella prevenzione che
un serio effetto collaterale si possa sviluppare in modo significativo dopo la
distribuzione post-autorizzativa, e richiede grande collaborazione tra medici e
farmacisti, evidenziando e facendo conoscere agli utilizzatori i potenziali fattori
5
immunogenici. Di conseguenza è stata suggerita la necessità d’implementare
un modello predittivo più accurato per prevenire l’insorgere di altri problemi di
questo tipo (19).
Problemi clinici
L’epoetina alfa, disponibile nella pratica clinica ormai da 30 anni, è da
considerarsi, dopo la dialisi ed il trapianto con i relativi farmaci antirigetto, il
più grande progresso per il trattamento dei pazienti con insufficienza renale
cronica. Questo farmaco ha rivoluzionato il trattamento dell’anemia,
cambiando radicalmente la qualità della vita dei pazienti e forse la loro
prognosi. Da allora i clinici sono stati abituati a guardare ad ogni nuovo
prodotto disponibile per il trattamento dell’anemia, come ad un ulteriore
possibile progresso, avvicinandosi al loro uso con la sana curiosità clinica di
utilizzare qualcosa di innovativo, che potesse ulteriormente migliorare la
situazione clinica dei propri pazienti. Con l’arrivo dei biosimilari, per la prima
volta i nuovi farmaci messi a disposizione ci rimandano allo stato dell’arte del
trattamento dell’anemia dell’insufficienza renale cronica di 30 anni fa. I
biosimilari non ci offrono alcun vantaggio rispetto ai farmaci già disponibili a
suo tempo, se non un possibile risparmio, e non dispongono dei potenziali
vantaggi delle nuove molecole che sono state sviluppate in seguito.
Intendiamoci, un grande merito va attribuito ai biosimilari: l’aver calmierato il
prezzo degli ESA, creando una forte concorrenza, che ha prodotto
l’abbattimento dei costi. Tuttavia anche questo aspetto ha i suoi lati negativi:
in un paese come l’Italia, che non investe in aggiornamento ed investe
pochissimo in ricerca, l’industria farmaceutica ha supplito a questi compiti, che
6
dovrebbero essere istituzionali. Un eccessivo taglio dei loro utili si
accompagnerebbe inevitabilmente al taglio delle attività di supporto
all’aggiornamento ed alla ricerca (difficilmente finanziate dal settore pubblico
con i risparmi realizzati, come invece dovrebbe essere), con il rischio di creare
medici ed infermieri demotivati, con conseguente inevitabile scadimento della
qualità dell’assistenza stessa.
Inoltre è necessario garantire che investire in innovazione sia sempre
remunerativo. Va garantita un’ adeguata e sicura protezione dei brevetti dei
farmaci, per tutta la loro durata legale, che deve essere congrua agli
investimenti fatti. Questo è un aspetto molto delicato, che dobbiamo tener ben
presente, se non vogliamo affossare la ricerca farmacologia innovativa.
Tornando ad una valutazione strettamente clinica e medico-legale del
problema, occorre ricordare che l’epoetina alfa è stata introdotta in clinica per
uso endovenoso tre volte alla settimana. Questo nasceva non solo sulla base
dell’emivita relativamente breve della molecola, ma anche perché la sua
prima indicazione era solo per i pazienti in dialisi, che si recavano al centro
per la seduta mediamente tre volte alla settimana. La somministrazione del
farmaco endovena, attraverso le linee di dialisi, risultava quindi la modalità più
semplice. Successivamente, soprattutto con l’idea di evitare i picchi ematici
del farmaco e potenzialmente ridurre il rischio di crisi ipertensive (allora molto
frequenti, considerando che si partiva da livelli di emoglobina molto bassi e si
saliva abbastanza rapidamente), si è passati alla via sottocutanea, che ha
anche consentito un risparmio nell’uso del farmaco, allora quantificato
nell’ordine del 30% (8), e ha aperto la strada ad un più agevole trattamento
dell’anemia in fase conservativa e in dialisi peritoneale e, a seguire, del
7
paziente trapiantato. Tuttavia è ben noto che la via sottocutanea è più
immunogenica rispetto a quella endovenosa. In seguito alle modifiche dello
stabilizzante dell’epoetina alfa prodotta al di fuori degli Stati Uniti (Eprex®),
richiesto dall’allora EMEA (sostituzione dell’albumina con il polisorbato 80),
per evitare il rischio di trasmissione dell’encefalopatia bovina spongiforme, si
è avuto un aumento dell’incidenza di casi PRCA che ha interessato
prevalentemente l’epoetina alfa ed apparentemente, solo quando vi era una
somministrazione
sottocutanea,
o
se
questa
era
associata
alla
somministrazione endovena (9). Ciò ha portato in un primo momento alla
sospensione della possibilità di somministrare l’epoetina alfa per via
sottocutanea. In seguito a una serie di provvedimenti messi in atto dalla casa
produttrice (rinforzo della catena del freddo, eliminazione delle siringhe preriempite con tappo di silicone) e al quasi azzeramento dei casi di PRCA, la
somministrazione endovena dell’Eprex® è stata successivamente riammessa,
qualora non vi fosse la possibilità di un accesso vascolare per la
somministrazione endovena e con la raccomandazione (come peraltro per
tutti gli ESA attualmente disponibili) di usare preferibilmente la via di
somministrazione endovena.
Dato che per definizione la produzione dei biosimilari comporta una variazione
del processo produttivo rispetto all’originator (vedi sopra), l’utilizzo dei
biosimilari
può
comportare
l’esposizione
ad
un
aumentato
rischio
immunogeno, quantificabile solo dopo adeguata esperienza clinica e
farmacovigilanza. A testimonianza di questo, uno studio clinico di confronto
tra HX575 e l’originator epoetina alfa somministrati per via sottocutanea è
stato interrotto anticipatamente in seguito all’insorgenza di un caso di PRCA e
8
uno di positività agli anticorpi neutralizzanti anti eritropoietina nel gruppo di
trattamento con il biosimilare (10).
Considerando che, come sopra riportato, la via sottocutanea dell’epoetina alfa
comporta un risparmio in termini di necessità di dose, quantificabile intorno al
30% (8), si deve dedurre che l’Autorità Regolatoria ha privilegiato e privilegia
la sicurezza rispetto al risparmio economico, dandone, con queste indicazioni,
una chiara dimostrazione. Questo è un messaggio forte e chiaro, di cui
dobbiamo tener conto, soprattutto tenendo presente che, in caso di
complicanze, saremmo chiamati a rispondere personalmente del nostro
operato. Il medico infatti è il solo responsabile della prescrizione terapeutica:
nessun Direttore Generale, Direttore Sanitario o Farmacista ci può dare
ordine di prescrivere un determinato farmaco e anche qualora lo facesse, la
responsabilità finale sarebbe sempre nostra. E’ ben noto che l’Autorità
Giudiziaria non è propensa ad accettare giustificazioni economiche per un
eventuale nostro comportamento che abbia causato un danno ad un paziente,
anzi lo ha considerato un comportamento colpevole, eventualmente dettato
dal desiderio di compiacere la struttura ed il Direttore Generale, ai fini di
possibili riconoscimenti personali ed avanzamenti professionali.
L’Autorità Giudiziaria potrebbe proprio portare ad esempio il fatto che la
stessa Autorità Regolatoria, con il provvedimento di cui sopra, ha dettato i
canoni di comportamento. Ne consegue che è decisamente sconsigliabile
cambiare una terapia ad un paziente che risponde bene a quel trattamento,
soprattutto se ben tollerato. Ciò a maggior ragione se dal cambio di terapia
non è nemmeno previsto un potenziale miglioramento per il paziente, ma tale
cambio viene fatto esclusivamente per motivi di risparmio economico.
9
Nell’ iniziare una terapia con ESA, in un paziente non precedentemente
trattato, va, a nostro avviso, chiaramente differenziata la situazione del
paziente in terapia conservativa, in dialisi peritoneale o trapiantato dal
paziente in emodialisi. Mentre per i primi, essendo pressoché obbligatoria la
via di somministrazione sottocutanea, sarà quanto mai opportuno scegliere gli
ESA
meno
immunogenici
e
possibilmente
a
ridotta
frequenza
di
somministrazione, per ridurre ulteriormente lo stimolo immunogenico, nei
pazienti in emodialisi si può scegliere la via endovenosa (anche se comporta
un maggior dosaggio del farmaco per l’epoetina alfa, i suoi biosimilari e
l’epoetina beta). Essa infatti riduce drasticamente o addirittura azzera il rischio
immunogenico, rendendo quindi meno pressante la scelta degli ESA meno
immunogenici. Di recente segnalazione comunque un caso di PRCA in
Giappone in un paziente emodializzato trattato con epoetina ricombinante
umana per via endovenosa (11).
Conclusioni
L’ introduzione dei biosimilari in Europa ha indotto le Autorità Regolatorie ad
assumere nuovi approcci riguardo la qualità, l’efficacia e la sicurezza. In
considerazione della loro complessità molecolare, i biosimilari richiedono una
più rigorosa valutazione e farmacovigilanza rispetto ai generici chimici.
Persino piccole differenze nel loro processo di produzione, possono avere un
significativo impatto nella loro sicurezza ed efficacia. Va loro riconosciuto il
grande merito di aver calmierato il prezzo degli originators.
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