I farmaci biosimilari entrano in oncologia

TERAPIE
I generici del biologico
I farmaci biosimilari
entrano in oncologia
Saranno presto disponibili sul mercato
le versioni “senza marca” di alcuni farmaci
biologici molto utilizzati in oncologia.
Ecco di cosa si tratta, quali sono i benefici
e i possibili rischi per chi li utilizza
a cura di
CRISTINA FERRARIO
l cancro è una malattia
costosa: costa molto innanzitutto in termini fisici e psicologici a chi ne
soffre e in termini emotivi a chi dei malati si prende
cura, ma costa molto anche dal
punto di vista
economico.
Ciascun chemioterapico, e
ancor di più i
cosiddetti “farmaci mirati”,
come per esempio gli anticorpi monoclonali, costa centinaia o migliaia di euro per dose. Il fattore prezzo può creare
problemi di utilizzo in alcuni
contesti sanitari. Come si legge dalle pagine della rivista
Lancet Oncology, una soluzione
possibile è l’arrivo sul mercato
dei biosimilari che potrebbero
essere considerati la versione
generica (senza marca) del far-
I
maco biologico. Costano meno
rispetto all’originale e per questa ragione potrebbero consentire un notevole risparmio di
risorse economiche da investire in altre aree della sanità. Ma
se per i farmaci “classici”, creati sulla base di semplici sintesi
chimiche, le differenze tra prodotto di marca
e generico non
influenzano
l’efficacia della
cura, con i biosimilari le cose
potrebbero andare diversamente.
I metodi
di produzione
non sono
identici
SIMILI MA NON UGUALI
Il termine “biosimilare” fu
introdotto per la prima volta
nel 2006 nell’Unione Europea
per indicare i farmaci nati come copie di terapie biologiche (i cosiddetti “prodotti di
riferimento”) dopo la scadenza dei loro brevetti (in Italia
validi 20 anni).
24 | FONDAMENTALE | APRILE 2017
I farmaci biologici presentano differenze importanti
rispetto a quelli più tradizionali, definiti anche “sintetici”: innanzitutto sono molecole più grosse e complesse,
ma soprattutto vengono prodotti sfruttando particolari cellule che diventano veri
e propri laboratori viventi.
Una molecola così generata,
però, non potrà mai essere replicata in modo identico nelle diverse occasioni, complici le differenze nelle cellule
che servono da “laboratorio
di produzione” e nelle carat-
teristiche dei processi produttivi stessi. Anche il confezionamento e il trasporto influiscono sul prodotto. E così
capita che persino tra due diversi lotti dello stesso farmaco biologico (inclusi quelli di
marca) ci possano essere differenze, seppur non sostanziali, ai fini dell’efficacia terapeutica o della sicurezza per
il paziente.
Per poter essere utilizzato dai pazienti, però, un farmaco generico deve risultare uguale dal punto di vista
chimico al farmaco di marca
IN FARMACIA
GLI APRIPISTA
I
n commercio esistono già le versioni generiche
di alcuni anticorpi monoclonali che, in certi casi,
hanno avuto un impatto molto significativo sul mercato. Il primo a essere approvato dall’EMA, l’Agenzia
europea per i medicinali, è stato CT-P13, versione
biosimilare di infliximab, un farmaco che blocca la
molecola TNFalfa e trova impiego in diverse patologie tra le quali l’artrite reumatoide, la psoriasi e il
In questo articolo:
farmaci generici
biosimilari
spesa sanitaria
e deve essere equivalente in
termini di farmacocinetica,
ovvero deve essere assorbito,
distribuito ed eliminato dal
corpo nello stesso modo. Le
aziende devono quindi dimostrare, anche con studi clinici
appositi e con dati di laboratorio sulle caratteristiche chimico-fisiche della molecola,
che il nuovo farmaco è sicuro
ed efficace.
“Esistono due tipi di biosimilari” spiega il farmacologo Silvio Garattini, direttore
dell’Istituto Mario Negri di
Milano. “Per quelli con una
struttura chimica ben definita, come l’insulina o l’ormone
della crescita, possono bastare le stesse regole dei generici. Per quelli più complessi
sono necessari studi clinici
di confronto con i farmaci di
marca, che richiedono molto
tempo”.
NUOVE SFIDE
E OPPORTUNITÀ
A partire dal 2006 sono
stati immessi sul mercato europeo oltre 20 farmaci biosimilari, inclusi alcuni utilizzati come supporto in tera-
pie per il cancro, come l’immunostimolante filgrastim o
l’antianemico epoetina alfa.
Rispetto ai veri e propri
farmaci antitumorali, come
ad esempio gli anticorpi monoclonali, si tratta comunque
di molecole piccole e piuttosto semplici, che sono copie
di un prodotto di riferimento che a sua volta è la copia di una molecola presente nell’organismo. I brevetti
hanno cominciato a scadere
nel 2014 ed entro il 2018 i cinque biologici più venduti saranno liberi da diritti e quindi “copiabili” da chiunque voglia produrli e venderli a minor costo.
Per gli anticorpi monoclonali le cose
si complicano
e dimostrare
che il nuovo
prodotto è efficace e sicuro
come quello originale può diventare un’ardua impresa. Le
ragioni sono molte e includono, per esempio, il fatto che
spesso queste molecole sono
utilizzate in combinazione
con la chemioterapia, complicando ulteriormente il già
complesso studio delle proprietà.
Ma oltre all’efficacia,
quando si pensa a un biosimilare di un anticorpo monoclonale è fondamentale
fare i conti con la sicurezza e
in particolare con le reazioni
locali, in prossimità del punto in cui viene inserito l’ago
per la somministrazione, e
con l’immunogenicità, ovvero la capacità del farmaco di
generare reazioni immunitarie sotto forma di anticorpi
che, in alcuni casi, possono
neutralizzare l’effetto della
terapia o addirittura rivelarsi
dannosi per il paziente.
“È utile sottolineare che,
partendo dall’esperienza accumulata in passato e con
l’aiuto di tecniche di analisi
sempre più sofisticate, oggi
la sicurezza dei biosimilari è
molto elevata” spiega ancora
Garattini. “Sono i test effettuati a tagliare la testa al
toro: una volta superati i
controlli, non
c’è motivo per preferire un
farmaco di marca al suo corrispettivo senza marca”.
E in effetti in Europa sono già 400 milioni i pazienti
trattati ogni giorno con tali
prodotti in settori diversi dalla cura del cancro. Con il loro
arrivo anche in oncologia, si
aprono potenzialità di risparmio notevoli per i sistemi sanitari, già in crisi da anni e
con l’acqua alla gola, col vantaggio di aumentare la disponibilità di terapie mirate per
i pazienti.
I primi
brevetti
sono scaduti
nel 2014
morbo di Crohn. L’autorizzazione è arrivata nel 2014 e
in alcuni Paesi il risparmio economico ha raggiunto il
70 per cento rispetto al prodotto di riferimento, che è
stato praticamente eliminato dal mercato. Nell’aprile
2016 l’EMA ha approvato un altro biosimilare di infliximab con il nome di SB2 e con le stesse indicazioni già
definite per il farmaco di riferimento. Per quanto riguarda l’oncologia, sono attualmente in corso studi per
la valutazione delle versioni biosimilari di trastuzumab
e di rituximab usati rispettivamente in alcuni tumori
mammari, linfomi e leucemie.