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I vincitori dei Premi Balzan 2006
Incontro di annuncio ufficiale
Interventi
ISPI, Via Clerici 7 – Milan
4 Settembre 2006
Interventi:
I vincitori dei Premi Balzan 2006: Incontro di annuncio ufficiale
ISPI, Via Clerici 7, Milan
4 Settembre 2006
Presentazione del vincitore per
Pensiero Politico: Storia e Filosofia
Giovanni Busino e Salvatore Veca
Quentin Skinner (1940, Regno Unito) – Regius Professor di Storia moderna all’Università
di Cambridge, Quentin Skinner è uno dei più eminenti e influenti studiosi contemporanei del
pensiero politico. Skinner ha elaborato, fra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, una
prospettiva teorica e filosofica incentrata sulla natura del discorso politico, inteso come insieme di
atti linguistici, e sui compiti dell’interpretazione contestualistica da parte dello storico.
Grazie agli strumenti metodologici resi disponibili dall’approccio in termini di teoria degli atti
linguistici, Skinner ha sviluppato a partire dalla seconda metà degli anni Settanta
un’impressionante gamma di ricerche storiche, dedicate a una nuova e originale interpretazione
della genesi delle categorie e delle prospettive politiche fra tardo medioevo e prima modernità
europea; in primo luogo, della genesi dell’idea moderna di stato. Il suo primo contributo
fondamentale resta, in quest’ambito, il monumentale studio in due volumi dal titolo The
Foundations of Modern Political Thought, uscito nel 1978. I due volumi dedicati al Rinascimento
e all’età della Riforma sono ormai divenuti un classico nell’ambito degli studi di storia del
pensiero politico moderno.
Nel 2002 Skinner ha pubblicato la sua summa, Visions of Politics. Il primo volume, Regarding
Method, raccoglie i contributi alla teoria dell’interpretazione del pensiero politico. Il secondo,
Renaissance Virtues, è dedicato alla ricostruzione storica della vicenda del repubblicanesimo come
teoria della libertà e del buon governo fra tredicesimo e sedicesimo secolo. Il terzo, Hobbes and
Civil Science, consiste in un’accurata e innovativa interpretazione del pensiero politico del
maggior filosofo politico inglese, cui Skinner aveva dedicato un fondamentale studio nel 1996,
Reason and Rethoric in the Philosophy of Hobbes.
Negli ultimi anni, a partire dal saggio Liberty before Liberalism (1998) che riproduce la lezione
inaugurale quale Regius Professor del 1997, Quentin Skinner è impegnato nella difesa di una
prospettiva teorica incentrata sull’idea “neo-romana” di libertà, intesa in senso repubblicano come
libertà delle persone dal dominio arbitrario di altri. Sullo sfondo del revival contemporaneo del
repubblicanesimo, Skinner riapre la classica querelle sulla libertà negativa e positiva, inaugurata
dal celebre saggio di Isaiah Berlin, introducendo una terza concezione della libertà come
indipendenza, capace di orientarci quali eredi nei dilemmi politici e sociali contemporanei.
L’impegno instancabile di Quentin Skinner nella ricerca e nella formazione di studiosi nel campo
della teoria e della storia del pensiero politico è stato costantemente accompagnato, negli ultimi
decenni, da un assiduo lavoro di direzione editoriale, di cui sono fra gli esempi più significativi le
collane Ideas in Context e Cambridge Texts in the History of Political Thought, pubblicate da
Cambridge University Press.
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Il lavoro intellettuale di Quentin Skinner ha consolidato un vero e proprio nuovo paradigma
nell’ambito della teoria e della storia del pensiero politico.
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Presentazione del vincitore per
Storia della Musica Occidentale dal 1600
Gottfried Scholz
Ludwig Finscher (1930, Germania) - Ludwig Finscher viene annoverato a livello mondiale
tra i più importanti studiosi di musicologia Egli è infatti un esperto di primo piano nel campo della
storia della musica moderna.
Finscher è nato nel 1930 a Kassel e ha studiato dal 1949 al 1954 all’Università di Göttingen, dove
ha conseguito il dottorato con una tesi su Die Messen und Motetten Loyset Compères (Le Messe e i
Mottetti di Loyset Compères). Nel 1967 ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento presso
l’Università di Saarbrücken con uno scritto sull’origine del quartetto d’archi classico, con il titolo
originale: Das klassische Streichquartett und seine Grundlegung durch Joseph Haydn. Ha
insegnato all’Università di Francoforte sul Meno e successivamente all’Università di Heidelberg,
della quale è ora professore emerito.
Le sue opere scientifiche si concentrano su quattro campi di studio che riguardano il periodo storico
che va dal tardo Medioevo fino al XX secolo. I suoi studi approfonditi sul quartetto d’archi, sulla
musica da camera e su Joseph Haydn sono fondamentali opere di riferimento, come anche la sua
edizione in due volumi della Musik des 15. und 16. Jahrhunderts (Musica del XV e XVI secolo).
L’ampiezza storica della sua ricerca è testimoniata dagli oltre 130 saggi apparsi in pubblicazioni
scientifiche. Ha contribuito inoltre alla pubblicazione completa delle opere di Chr. W. Gluck, W. A.
Mozart, nonché all’edizione delle composizioni di Paul Hindemith. Tra le più importanti iniziative
di Finscher possiamo ricordare la nuova edizione in 26 volumi dell’enciclopedia Musik in
Geschichte und Gegenwart (Musica nella Storia e nel Presente), in cui figura non solo in qualità di
curatore generale, ma anche come autore di circa 40 articoli. Ha lavorato inoltre come co-curatore
di Capellae Apostolicae Sixtinaeque Collectanea Acta Monumenta.
Tutte le opere di Finscher sono di una qualità eccezionale: egli risale sempre alle fonti primarie e
ogni volta commenta la bibliografia critica a disposizione. In questo modo si resta colpiti dal suo
carattere estremamente discreto, che evita le contrapposizioni emotive pubbliche e lascia emergere
anche le opinioni altrui. Al centro della sua opera sta sempre e solo la musica, che Finscher
considera parte dell’ambiente culturale, sociale e storico ed egli illustra, sempre con chiarezza e
profonda capacità di comprensione, le opere attraverso la loro dipendenza spirituale dagli sviluppi
filosofici del pensiero europeo. Proprio il suo stile comprensibile e pregnante si discosta
positivamente dall’uso inveterato di creare continuamente nuove parole e espressioni vaghe. Come
esempio del suo stile valga il saggio intitolato Zum Begriff der Klassik in der Musik (Sul Concetto
del Classico in Musica), che rappresenta probabilmente la migliore trattazione di questa tematica
così complessa.
La grande reputazione di cui gode Finscher nel mondo accademico internazionale si riflette nei
prestigiosi incarichi che ricopre (Presidente della Società tedesca di Musicologia e della Società
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internazionale di Musicologia) oltre a essere membro onorario di varie accademie in Germania e
all’estero, e dell’Ordre pour le mérite.
(traduzione)
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Presentazione del vincitore per
Astronomia e Astrofisica Oservative
Per Olof Lindblad
Paolo de Bernardis (1959, Italia) e Andrew Lange (1957, U.S.A.) - Il Premio Balzan
2006 in astronomia e astrofisica osservative è stato assegnato a Paolo de Bernardis dell’Università
di Roma “La Sapienza”, Italia, e a Andrew E. Lange del California Institute of Technology, USA,
per i loro contributi alla cosmologia, specialmente con l’esperimento Boomerang del pallone
aerostatico Antartico.
Tutte le galassie dell’Universo, a parte alcune vicine, si allontanano da noi a una velocità che
aumenta con le loro distanze. Questo indica che l’Universo, in passato, era molto più piccolo e
denso, il che ha dato vita alla teoria secondo la quale l’Universo è stato creato dal Big Bang circa
dieci o ventimila milioni di anni fa. Questa teoria ha ricevuto un enorme seguito quando, negli anni
‘60, si scoprì che l’Universo è inondato da un tipo di radiazioni molto uniformi con una lunghezza
d’onda media di pochi millimetri, il cosiddetto “Cosmic Microwave Background” (= CMB, fondo
cosmico a microonde). La spiegazione più naturale di queste radiazioni è che si tratta di un residuo
dello stadio primordiale della storia dell’Universo.
Quando scrutiamo in lontananza l’Universo, guardiamo anche nel passato, perché la luce impiega
molto tempo a raggiungerci da fonti luminose distanti. Quando l’Universo aveva meno di qualche
centinaio di migliaia di anni ed era molto caldo, tutti gli atomi erano ionizzati e l’Universo era pieno
di una nebbia di elettroni liberi che ci impediscono di vedere le prime origini. Quando l’Universo
aveva 380.000 anni, i nuclei atomici e gli elettroni si combinarono in atomi, la nebbia si dissipò e le
radiazioni, allora ancora calde, poterono penetrare liberamente l’Universo. A causa dell’espansione
dell’Universo, la lunghezza d’onda delle radiazioni si è estesa ed è quindi più facile ora misurarla
nelle regioni radio a onde corte. Questa radiazione è estremamente uniforme, quando arriva da
diverse regioni del cielo la sua intensità varia solamente di 1 parte su 100.000. Eppure, sono proprio
quelle fluttuazioni all’origine di ciò che poi diventano sciami di galassie che contengono stelle
circondate dai pianeti, ecc. Uno dei progressi più spettacolari a livello scientifico negli ultimi
decenni si è avuto con l’utilizzo della misurazione di queste fluttuazioni nello sfondo cosmico di
microonde per testare in maniera precisa la nostra comprensione della storia e della composizione
dell’Universo.
Il telescopio a microonde Boomerang, utilizzato dai team di Lange e de Bernardis, fu lanciato il 29
dicembre 1998 dalla McMurdo Station in Antartide e portato da un pallone aerostatico all’altitudine
di 38 km, dove la bassa temperatura e il basso contenuto di acqua dell’atmosfera sono favorevoli a
questo tipo di misurazioni. Le misurazioni continuarono ininterrottamente per 10 giorni. In un
secondo lancio del 2003, fu utilizzata una versione dello strumento sensibile alla polarizzazione.
L’esperimento ha misurato e analizzato le deboli fluttuazioni del cielo a microonde con un’alta
risoluzione angolare (o, più tecnicamente, determinato il loro spettro di potenza multipolare) e ha
così definito la dimensione dei punti caldi e freddi. La distribuzione di queste dimensioni, infatti,
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rivela molto della natura dell’Universo. Questo esperimento fu il primo a dimostrare chiaramente
che la forma dell’Universo è spazialmente “piatta”, ovvero l’espansione è andata avanti, sinora, in
modo tale che la curvatura è molto bassa e la geometria prossima a quella Euclidea. Si tratta di un
valido test alla teoria dell’“inflazione”, secondo la quale una frazione molto piccola di un secondo
dopo il Big Bang, l’Universo ha attraversato un breve periodo di ampia espansione esponenziale più
veloce della luce. Grazie ai dati di Boomerang, si è arrivati alla conclusione che l’Universo ha circa
13.500 milioni di anni. I dati ci hanno inoltre fornito prove che il contenuto di energia e di materia
dell’Universo consiste solo per il 4 % di materia come la conosciamo noi, mentre per il resto si
tratta di tipi di materia sconosciuta e forme di energia “oscura”, della cui natura sappiamo ben poco.
(traduzione)
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Presentazione del vincitore per
Genetica Molecolare delle Piante
Marc Van Montagu
Elliot M. Meyerowitz (1951, U.S.A.) e Chris R. Somerville (1947, U.S.A, nato in
Canada) - Il Premio Balzan 2006 viene assegnato a Elliot Meyerowitz e Christopher Somerville
per i risultati ottenuti nel promuovere Arabidopsis come organismo modello per la genetica
molecolare delle piante. L’uso di Arabidopsis ha avuto implicazioni di amplissima portata, sia nella
di ricerca di base che nelle potenziali applicazioni, per la scienza dei vegetali.
Elliot Meyerowitz ha dimostrato che Arabidopsis ha un genoma molto piccolo, solo il doppio del
genoma di un lievito già ben conosciuto. Il genoma dell’Arabidopsis è ancora oggi uno dei genomi
più piccoli tra le piante con una fioritura. Grazie a questo approccio, migliaia di ricercatori con una
formazione in biologia molecolare, si sono riuniti nel campo della ricerca sulle piante. Egli stesso
ha apportato molti contributi di notevole importanza e rilievo che ci hanno aiutati a comprendere la
base molecolare della crescita e dello sviluppo delle piante.
Ha dimostrato che l’identità degli organi dei fiori è definita dalla combinazione di geni regolatori
all’interno del fiore in crescita. Il suo modello di interazione ha resistito alle controprove anche di
altre piante da fiore. Egli ha inoltre scoperto il modo in cui i geni segnalanti mantengono una serie
di cellule staminali nel germoglio e nel fiore in crescita e come gli organi si evolvono dal germoglio
in poi. Ha identificato il modo in cui le piante percepiscono l’etilene, un regolatore gassoso della
crescita delle piante.
I suoi contributi fondamentali e concettuali nel campo della genetica molecolare e della
morfogenesi delle piante hanno aperto gli orizzonti delle scienze vegetali moderne.
Chris Somerville stato uno dei primi a perorare la causa dell’importanza di Arabidopsis, una pianta
facile da coltivare e con un’alta produzione di semi. Ha iniziato le sue ricerche sulle piante
realizzando fin da subito dei contributi fondamentali alla regolazione della fissazione fotosintetica
della CO2, utilizzando l’Arabidopsis.
I suoi scritti su come isolare e identificare i mutanti dell’Arabidopsis hanno dimostrato in modo del
tutto convincente il potenziale di questo sistema modello sperimentale.
Un altro importante contributo di Chris Somerville è stata l’analisi genetica del metabolismo
lipidico delle piante. Sviluppando dei nuovi test di screening, ha identificato i mutanti appropriati e
svelato i percorsi lipidici biosintetici delle piante. Ha clonato i geni e realizzato dei cambi ad hoc
nei siti attivi degli enzimi codificati.
In questo modo è stato in grado di alterare la composizione lipidica delle piante e di modificare le
piante da raccolto per migliorare la salute umana.
Le sue ricerche pionieristiche sul modo in cui le pareti cellulari vengono sintetizzate hanno portato
alla luce il concetto di biosintesi sia della lignina, che della cellulosa. Esse hanno inoltre dato il via
alla costruzione di piante con una maggiore quantità di biomassa e di cellulosa, il materiale alla
base della produzione di biocombustibili rinnovabili.
Chris Somerville è stato il primo a ordinare a sequenziare le EST dell’Arabidopsis. Questo ha dato
il via alla fondazione di un consorzio a livello mondiale, l’ “Arabidopsis Genome Initiative”, che ha
prodotto la prima sequenza di un genoma superiore delle piante. Egli ha partecipato attivamente a
questo lavoro come membro di un gruppo esecutivo al Craig Venter’s Institute, che ha dato il
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contributo maggiore alla sequenza. Nei dieci anni successivi, Somerville ha elaborato il “The
Arabidopsis Information Resource” (TAIR), la banca dati biologica più utilizzata nel mondo.
Insieme hanno dato vita al “Multinational Coordinated Arabidopsis thaliana Genome Project”, che
durante un lasso di tempo di oltre dieci anni ha promosso la fondazione di centri di raccolta, banche
dati, mutanti con insezzioni, vaste biblioteche sul DNA, e sulle sequenze EST (expressed sequence
tags), rendendo i dati e il materiale immediatamente disponibili all’intera comunità scientifica.
Le iniziative di Elliot Meyerowitz e Christopher Somerville, e i loro risultati, sono della massima
importanza per il nostro pianeta e per in genere umano.
Elliot Meyerowitz ha studiato da genetista molecolare di Drosophila a Yale e Stanford. Attualmente
è Professore e docente cattedratico alla Divisione di Biologia del California Institute of Technology.
Christopher Somerville è Professore alla Stanford University e Direttore del Carnegie Institution of
Washington Department of Plant Biology.
(traduzione)
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Lezione Magistrale:
La repubblica delle lettere e l’identità europea
di Marc Fumaroli
Vincitore del Premio Balzan 2001 per
Storia e critica letteraria dal XVI secolo a oggi
Gentili Signore, egregi Signori,
In una recente opera intitolata America’s Inadvertent Empire, i due autori, entrambi
dell’Hudson Institute, Odom et Dujarric, mettono in evidenza tutta una serie di distacchi che ai loro
occhi garantiscono agli Stati Uniti, oggi e in una prospettiva a lunghissimo termine, la supremazia
sui loro alleati più stretti e più «sviluppati», vale a dire l’Unione Europea e il Giappone, con i quali
intrattengono relazioni di onorevole reciprocità. Secondo i due autori, questi distacchi, in particolare
- naturalmente - il distacco militare, ma non solamente quello, daranno all’alleanza con Europa e
Giappone un carattere di relativa subordinazione di fatto, dando luogo agli attuali discorsi di certi
Europei sull’«impero» e sullo «strapotere».
I capitoli più interessanti di questo libro sono quelli che trattano del «distacco universitario»,
del «distacco scientifico» e collateralmente del «distacco mediatico» tra gli Stati Uniti e i suoi
principali alleati «sviluppati». Per riprendere la distinzione medioevale tra imperium e studium, che
si basa sull’antitesi tra azione interessata e contemplazione disinteressata, l’imperium di fatto che,
secondo questo studio, gli Stati Uniti esercitano senza averlo cercato, ha come contraltare, uno
studium ormai senza rivali. Nondimeno il disinteresse che è postulato dall’antitesi medievale non è
più all’ordine del giorno. Va da sé che per i nostri due autori studium è un contrafforte
indispensabile dell’imperium, la qualità dell’educazione e l’organizzazione della ricerca scientifica
sono percepiti come elementi indispensabili alla logistica dell’imperium economico, mediatico e
militare.
Ernest Renan, nel suo celebre saggio La Réforme intellectuelle et morale, è stato il primo in
Francia a far rilevare questa moderna subordinazione dello studium all’imperium : se la Prussia di
Bismarck ha potuto schiacciare militarmente nel 1870 la Francia di Napoleone III e costituirsi nel
Secondo Impero tedesco, è anche perché l’Università humboldtiana e la qualità della sua ricerca
scientifica avevano permesso alla Prussia di coniugare alla forza militare una intelligenza, una
scienza e una tecnica superiori. Se la Francia avesse voluto, nell’avvenire, tener testa alla nuova
Germania avrebbe dovuto, avverte Renan, riformare il suo sistema educativo e coordinare il suo
accresciuto potenziale scientifico al suo potenziale economico e militare. La politica educativa e la
politica imperiale della Terza Repubblica tennero in gran conto l’analisi del segreto della vittoria
tedesca del 1870 proposta da Renan.
Quantunque Odom et Dujarric escludano ogni rivalità di questo tipo tra gli Stati Uniti e i loro
alleati europei e giapponesi, nondimeno essi sottolineano che la relativa subordinazione della Gran
Bretagna, del Giappone e dell’Europa continentale agli Stati Uniti riposa su un distacco tanto di
studium quanto di imperium. Secondo questi autori, cifre alla mano, l’università americana,
produttrice di pubblicazioni di ricerca e di erudizione che fanno testo in quantità come in qualità, è
divenuta il polo magnetico di un sistema mondiale di scienza e di sapere di cui essa è arbitro e che
drena ad essa un numero cospicuo di ricercatori europei, e non i meno dotati.
Per quanto riguarda le scienze cosiddette primarie, due terzi dei Premi Nobel dal 1945 sono
andati a scienziati americani o che hanno compiuto le loro ricerche negli Stati Uniti. La preminenza
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americana nelle scienze è assicurata da una solida logistica della ricerca di base e dell’innovazione
industriale e tecnologica, civile e militare, privata e federale. Tra le spiegazioni che i due autori
propongono dell’efficienza delle università private, degli istituti di ricerca, dei musei e degli altri
centri di alta cultura americani, essi evidenziano quello che chiamano «l’etica del bene pubblico»
adatta alla copiosa ricchezza privata americana. Evitando di essere integrato dalla burocrazia di stato
o di partito, vampiro fatale ai regimi totalitari di destra o di sinistra, un evergetismo diffuso
garantisce al sistema dell’alta cultura statunitense la sua flessibilità, la sua vitalità e una vera
indipendenza finanziaria, pur prospettando il pericolo diagnosticato da Tocqueville nel 1840, e poi
da Thorsten Veblen all’inizio del XX secolo: la formazione di una egoista aristocrazia del denaro
che addormenta, tramite il conformismo, la libertà critica e l’iniziativa personale degli individui.
La sobria apologetica degli Stati Uniti alla quale si abbandonano Odom et Dujarric va
incontro a una convinzione più o meno consapevole presso molti Europei di oggi, dettata loro dal
mito medioevale, nascosto nel fondo della loro memoria, di una translatio imperii et studii che,
epoca dopo epoca, sposta il suo centro di gravità da est a ovest, dalla Mesopotamia alla Grecia, dalla
Grecia a Roma, da Roma all’Europa settentrionale e che ora è stata trasportata oltre Atlantico. Il
mito medioevale opponeva imperium et studium, come opponeva potere temporale imperiale e
potere spirituale papale. Lo studium si trovava sul versante della Chiesa e nella Chiesa, mettendo in
luce la sua vocazione escatologica alla salvezza delle anime. L’imperium non aveva altro fine,
terrestre e carnale, che la sicurezza concreta del corpo politico.
Lo studium era nella sfera della contemplazione, l’imperium dell’azione. In continuità con la
filosofia greca platonica e aristotelica che lo subordinava alla teologia, lo studium monastico e
teologico della Respublica christiana medioevale era una theoria, che si disinteressava della pratica,
interamente consacrata in via nel tempo di questo mondo a tracciare le linee guida del ritorno delle
anime in patria, nel faccia a faccia con Dio, nell’altro mondo e nell’altro tempo, promesso da San
Paolo e da Sant’Agostino al posto del «luogo della dissimulazione» mondana. Come si è passati da
questa concezione classica e contemplativa, greca e cristiana, dello studium, alla concezione
moderna che lo ha fatto diventare, oltre ad essere ausiliario del solo potere temporale e dei suoi fini
pratici, un progresso ininterrotto del conoscere e dell’agire in un cammino nel quale i ritardatari sono
condannati alla stessa sorte degli sconfitti e gli inseguitori a quella dei subordinati? Tale questione è
alla base della storia europea della Repubblica delle Lettere, questa comunità sovranazionale di
sapienti apparsa durante il XV secolo in Italia, richiamandosi sempre più apertamente a una libertas
philosophandi in confronto diretto con la teologia e cercando sempre più frequentemente, per
liberarsi dalla sua autorità, l’appoggio dei nascenti stati-nazione, anch’essi preoccupati di
emanciparsi dal potere spirituale ecclesiale. Paradossalmente, la libertas philosophandi scientifica e
critica, nel cui nome operava la Repubblica delle Lettere per liberarsi dal giogo teologico e della
verità rivelata, proiettava la filosofia moderna al servizio pratico dell’azione degli Stati,
svincolandola da quella vocazione contemplativa dalla quale non si era mai staccata la filosofia
antica, vocazione che le aveva permesso di essere ripresa dalla teologia medievale.
Comparsi sulla scena degli stati-nazione nel corso del XVIII secolo, vale a dire in un
momento vittorioso della Repubblica delle Lettere, Gli Stati Uniti e la loro costituzione tre volte
secolare sono di sicuro gli eredi e i conservatori del progetto principale dell’Illuminismo, il
progresso del sapere scientifico e critico al servizio del benessere materiale terreno degli individui e
delle nazioni. Con la consueta perspicacia, Tocqueville ha rimarcato, in un punto della sua seconda
Démocratie en Amérique, che gli Americani sono cartesiani senza avere avuto il bisogno di leggere
Descartes. Pensava alla perorazione del Discours de la méthode, dove Descartes, uscendo dalla
solitudine dell’ «io» filosofico moderno che ha osato pensare da sé sé, fa appello a tutti i «buoni
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spiriti» e li invita a trar partito insieme, con lui e dopo di lui, del metodo critico della ricerca della
verità nella scienza i cui effetti tecnici benefici si faranno sempre più sentire a vantaggio immediato
di tutti:
«Io pensavo che non esistesse punto miglior rimedio [contro l’isolamento del ricercatore, i
suoi mezzi materiali limitati, la brevità della vita] che di trasmettere fedelmente al pubblico tutto il
poco che io avessi trovato, di invitare gli spiriti buoni a cercare di andare oltre, ciascuno
contribuendo secondo la propria inclinazione e il proprio potere alle esperienze che occorresse fare e
trasmettendo perciò al pubblico tutte le cose che essi avessero appreso affinché, i secondi
cominciando nel punto raggiunto dai primi, e quindi congiungendo il percorso e il lavoro di molti,
noi possiamo andare, tutti insieme, molto più lontano che ciascuno singolarmente.»
Nella traduzione latina pubblicata sette anni più tardi sotto il controllo si Descartes, la parola
«pubblico» usata due volte nel testo originale francese è tradotto due volte con Respublica literaria.
Il programma cartesiano di progresso scientifico e tecnico cumulativo, tramite la
collaborazione delle intelligenze che si sottomettano a un unico metodo di inchiesta sugli stessi
obiettivi, si offriva con il fine di rendere coloro che vi collaboravano «padroni e possessori» di una
Natura finalmente asservita ai bisogni materiali dell’uomo, in particolare al prolungamento della sua
vita e alla guarigione delle sue malattie.
Come ha fatto osservare Leo Strauss, questo programma di efficacia pratica attribuito alla
filosofia moderna dal cancelliere Bacone, poi da Descartes, era stato preceduto nel XVI secolo dal
programma di efficacia pratica attribuito alla filosofia politica moderna da Machiavelli. Nella stessa
linea utilitaristica di Machiavelli, la filosofia politica di Hobbes, contemporaneo di Descartes, fa
dello Stato lo strumento del benessere sociale e il titolare effettivo del programma scientifico
baconiano e cartesiano.
Di tali programmi, che effettuano una rottura radicale tanto con la vocazione contemplativa
della filosofia greca quanto con quella della teologia medievale, e che prelude alla filosofia
illuministica di un progresso su scala terrena, erano inconcepibili senza l’esistenza preliminare in
Europa di una «Repubblica letteraria» volutamente protetta dagli stati-nazione sorti sulle rovine della
Repubblica cristiana medievale e relativamente solidale nella preoccupazione di giocare d’astuzia
con la censura della Chiesa. A buon diritto Descartes vi fa appello nel 1637, per persuaderla che il
suo metodo per stabilire delle verità inconfutabili è lo strumento più efficace per la collaborazione
scientifica internazionale. In precedenza egli aveva fatto appello invano ai suoi vecchi maestri
gesuiti, certamente presenti, allora, su tutto il fronte del sapere e che formavano da soli una
Repubblica delle Lettere ‘bis ‘, ma la cui «libertà di filosofare» era contenuta dai loro voti di fedeltà
all’ortodossia aristotelico-tomista della Chiesa romana.
Cos’è questa «Repubblica letteraria» di cui la ricerca storica non si è occupata che qui e là da
uno o due decenni solamente, evitando troppo spesso di intuire le implicazioni teologiche e politiche
del suo lavoro da ape? Né le cancellerie, né i geografi, né i cosmografi dell’epoca hanno fatto il
minimo cenno a questa repubblica fittizia né alle sue frontiere. Prima che la sua denominazione
francese « République des Lettres », ne avesse rivelato l’esistenza e l’autorità alla fine del XVII
secolo a un ampio pubblico europeo tramite i titoli dei periodici pubblicati in Olanda da Pierre Bayle
e Jean Leclerc, non se ne trova menzione che nelle prefazioni e nelle corrispondenze epistolari in
latino, da sapiente a sapiente, da erudito a erudito, e sotto la forma adusata nella traduzione latina del
Discours de la Méthode : Respublica literaria. Respublica è il bene comune in costante aumento di
tutti gli Europei eruditi. Literaria è il patrimonio ritrovato dei testi e dei monumenti dell’antichità
classica divenuta la matrice dell’enciclopedismo moderno e in espansione nelle discipline di ricerca.
Lo sviluppo di questo nuovo studium a margine delle facoltà di teologia passa necessariamente dalla
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comunicazione letteraria da un capo all’altro d’Europa, in veste manoscritta o stampata, sotto forma
di libri o di lettere, con il tramite delle poste reali o imperiali che hanno preso il testimone della rete
sovranazionale degli ordini monastici direttamente collegati a Roma. L’aggettivo « letterario »
esclude ogni divisione tra ciò che C.P. Snow, in un troppo celebre discorso di Oxford, ha chiamato
“le due culture”. Il magistrato tolosano Fermat apparteneva alla Respublica literaria in forza delle
sue attività a margine della sua professione : l’alta matematica e la composizione di poesie latine.
Dove e quando questa espressione è comparsa? In Italia, all’inizio del XV secolo,
nell’ambiente fiorentino della seconda generazione dei discepoli di Petrarca, di cui in tutta Europa è
stato recentemente festeggiato il quinto centenario. La prima occorrenza conosciuta del sintagma
Respublica literaria avviene nel 1417, duecentovent’anni prima del Discours de la méthode. La si
trova in una lettera inviata da Firenze dal giovane veneziano Francesco Barbaro a un segretario della
Curia in missione al concilio di Costanza, Poggio Bracciolini, felicitandosi con lui per i ritrovamenti
fatti, a margine delle sue attività professionali, frugando nelle biblioteche dei conventi svizzeri; egli
ha ritrovato i manoscritti dei testi integrali di opere antiche che si credevano perdute o almeno
mutilate, in particolare quello dell’Institutio Oratoria di Quintiliano, di cui ogni storico della
pedagogia conosce il ruolo fondamentale che andrà a giocare nella storia moderna dell’insegnamento
secondario europeo.
Nella lettera di Francesco Barbaro si trovano già i tratti essenziali dell’etica civica che va a
cementare la Repubblica delle Lettere italiana, e poi - a partire dall’inizio del XVI secolo - europea,
e renderla capace di rapidi e incontestabili progressi: l’omaggio a Poggio è reso a nome di una
comunità di cui questo filologo è emanazione e orgoglio; egli dà l’esempio del senso elevato dei
doveri che ciascuno dei membri di questa comunità si sente tenuto a compiere, al di là della sua
carriera professionale e dei suoi interessi personali, verso un bene comune universale che va oltre
quello della città o della nazione alle quali ciascuno di essi appartiene. Questo bene comune è la
riscoperta, pezzo dopo pezzo, del fondo greco-romano disperso, danneggiato o sepolto dalle
invasioni barbariche o dall’ignoranza dei monaci: il legame sociale di questa comunità di interesse
altamente pubblico, ma di statuto privato, è l’amicizia disinteressata tra pari come l’hanno celebrata
Cicerone e Seneca, altro presupposto morale, con il senso del dovere civico nei confronti del bene
comune, di una cooperazione generosa e fattiva in vista del suo accrescimento.
Siamo, allora, nella prima fase della Renovatio literarum, quella che va a culminare nel 14201450 con il ritorno in Italia del capitale greco trasportato da Bisanzio periclitante: cacciatori di
manoscritti, antiquari, filologi, ricostituiscono come un puzzle l’insieme dei testi depositari
dell’enciclopedismo greco-latino : essi ne compongono e pubblicano edizioni manoscritte, poi
stampate; tramite gli scavi e i rilievi topografici essi estraggono dalle grotte e dalle rovine gli
elementi di una visione sintetica dell’arte statuaria, dell’architettura civile e militare, delle
comunicazioni, della monetazione, in pratica la civiltà greco-latina.
La seconda fase comincia alla fine del XV secolo nel momento in cui in cui altri Europei
vengono ad aggiungersi agli Italiani per mettersi alla loro scuola e collaborare con loro: gli editori
dei manoscritti antichi, scientifici o letterari e gli studiosi delle opere d’arte antica non si limitano
più a portare alla luce e a restaurare «testimonianze» corrette; essi le prendono come punto di
partenza di nuove ricerche, dando luogo a discipline distinte, ma spesso praticate dallo stesso
«cittadino» della Repubblica letteraria, in corrispondenza o in cooperazione con loro pari, altrettanto
enciclopedici, multidisciplinari e pantagruelici di lui.
Ho già accennato ai tratti etici di questa collaborazione, che la diffusione della stampa e la
circolazione delle epistole permettono di svolgere a distanza; questa etica civica abbracciata di buon
grado e a titolo privato da filologi, antiquari, poeti, sapienti di svariate materie, consente
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l’aggiramento delle solite istituzioni, ostili o inquisitoriali. La maggior parte dei membri cooptati
dalla Respublica literaria consacrano in effetti alla loro opera il tempo dell’otium studiosum, del loro
«tempo libero sapiente», a margine delle loro attività professionali di magistrati, medici, segretari,
beneficiando di un mecenate principesco o cardinalizio, oppure di ecclesiastici trasformando, con il
consenso dei loro superiori e il sostegno materiale delle loro comunità, il loro otium religiosum in
otium studiosum, oppure ancora mercanti o figli di mercanti, librai e clienti di librai, che si
sovvenzionano per conto proprio.
Lo statuto essenzialmente privato, volontario, spesso autofinanziato, come fu nel caso di
Descartes, di questa cittadinanza, trasversale a tutti i tipi di società dell’Ancien Régime, ha conferito
alle opere, alla cooperazione interna e ai dibattiti della Repubblica delle Lettere una vitalità, un
potere d’attrazione, una capacità di adattamento alle circostanze, una indipendenza e resistenza alle
censure che non potevano offrire le antiche università. L’etica dei suoi membri, intrisa del De
Officiis e del De Amicitia di Cicerone, del De Otio di Seneca, spesso ha permesso loro non solo di
passare al di là dell’ostilità tra nazioni e caratteri nazionali, ma di elevarsi talvolta, sul terreno extrateologico o scritturale, sopra le differenze e le persecuzioni confessionali violente, prima come dopo
lo scisma del XVI secolo.
L’espressione Respublica literaria è stata coniata certamente sulla medievale Respublica
christiana. La sua gestazione è in effetti coincisa con il primo Grande Scisma, quello del XIV
secolo, che ha fatto vacillare il Soglio romano e rinforzato l’identità degli Stati laici. Essa fornisce a
un’Europa politicamente spezzettata un moderno studium insieme collegiale e locale, che tenta di
conciliare l’unità del disegno filosofico e la molteplicità delle appartenenze nazionali. La sua area
geografica, dapprima limitata all’Italia, avendo come centri pulsanti Bologna, Firenze, Napoli,
Padova, Roma e Venezia, si estende dal principio del XVI secolo alla Francia, all’Inghilterra, alla
Svizzera, ai Paesi Bassi, alla Spagna, al Sacro Impero germanico, alla Scandinavia, alla Boemia,
all’Ungheria, alla Polonia. È press’a poco l’Europa come noi la conosciamo attualmente, per poco
che essa si ingrandisca. È a questa area geografica che pensava il grande editore dei classici della
scienza, della filosofia e della letteratura greche Aldo Manuzio, scrivendo le prefazioni-editoriali che
pubblica a Venezia tra il 1499 e il 1517, in testa al suo Platone o al suo Aristotele, che sa figureranno
in tutte le biblioteche dei letterati europei. Disseminando in Italia e fuori d’Italia, mettendo al sicuro
nei quattro angoli d’Europa il frutto del lavoro di diverse generazioni di filologi italiani, collazionato
e perfezionato da un gruppo internazionale di filologi riuniti intorno a lui, egli rende ormai certo che
le peggiori catastrofi non potranno più accadere, cosa che era successa in occidente nel secolo VI o a
Bisanzio nel secolo precedente : grazie alla stampa il filo riannodato del sapere antico non potrà più
essere interrotto. Non potrà più smettere di prolungarsi in un senso non previsto dagli Antichi.
Il saggio di Leo Strauss, La persecuzione e l’arte di scrivere, aiuta a comprendere come la
Repubblica delle Lettere, dove abbondavano inoffensivi e pii eruditi, potè offrire un ambiente
fecondo e relativamente protettivo anche a filosofi tanto prudenti quanto arditi come Machiavelli,
Descartes o Spinoza, ma persino a sapienti imprudenti come Galileo. L’etica civica e la solidarietà
filosofica praticata dai cittadini cooptati della Repubblica delle Lettere, spesso richiamata dai suoi
prìncipi, Erasmo, Peiresc o Voltaire nelle loro corrispondenze epistolari, presupponevano nelle sue
file la tolleranza malgrado i disaccordi dottrinali. L’amicizia filosofica, legame sociale della
Repubblica delle Lettere, non sopprimeva la dimensione agonistica. « Si fa la guerra a chicchessia »,
scrive Pierre Bayle.
Successe anche che questo diritto alla critica si esercitò a spese di ciò che poteva sembrare la
ragion d’essere della Repubblica delle Lettere, il progresso ininterrotto dell’Illuminismo critico,
scientifico e tecnico sopra le tenebre della superstizione e dell’ortodossia teologica. Voltaire, in Le
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siècle de Louis XIV, ha esaltato l’alleanza sotto il gran Re tra il principe assoluto e la costellazione di
accademie reali che ufficializzava la Repubblica delle Lettere, facendo di Parigi e di Versailles i
rivali vittoriosi del «profeta disarmato», il papa di Roma, e i precursori del trionfo della filosofia
moderna. Voltaire dimentica di ricordare la Querelle des Anciens et des Modernes che esplose nel
1687 in seno alle accademie di Luigi XIV. Per la prima volta sorse all’interno della Repubblica delle
Lettere, e non in seno alla Chiesa, una critica di principio della filosofia moderna del progresso dei
Lumi. Lo stesso re Voltaire dovrà presto combattere, con l’estrema virulenza, la critica infinitamente
più radicale del Lumi sviluppatasi in nome della ragione filosofica e nelle file stesse dei filosofi, da
parte di Jean Jacques Rousseau.
L’Europa non può cercarsi un’identità unitaria nelle sue nazioni, delle quali nessuna,
fortunatamente, è riuscita a imporre un impero. La sua memoria non le consegna che due principi di
identità nella molteplicità: la Repubblica cristiana medioevale e la Repubblica delle Lettere apparsa
nel Rinascimento, la seconda in funzione critica della prima, ma in più riprese anche di sé stessa.
Rousseau non è una voce isolata. L’alleanza antifilosofica preconizzata dai filosofi tra il progresso
dei Lumi e il dispotismo illuminato di Caterina II e Federico II culminò nel terrore giacobino. Essa
resta al centro dell’hegelismo. Coniugando l’ironia di Voltaire all’entusiasmo di Rousseau, la critica
nietzschiana della modernità ha aperto alla fine del XIX secolo una crisi dell’idea di progresso
tramite il braccio secolare dello stato che è lontana dall’essere disvelata.
Questa storia teologico-politica e filosofico-politica, lunga e contrastata, che gli Stati Uniti
non hanno conosciuto direttamente, essendo saliti sul treno dei Lumi nel momento di maggiore
successo, deve restare presente alla memoria europea come il suo patrimonio comune più sicuro. La
religione negli Stati Uniti, Tocqueville l’ha chiaramente osservato, non si è mai presentata come un
potere spirituale teologico, essa è, al contrario, una forza di integrazione politica e civica, un
coadiuvante, come lo studium scientifico e tecnico, ancorché per altre vie, dell’imperium nazionale.
Anche il cattolicesimo romano non vi prospera che a titolo di setta privata. Pertanto l’assenza di un
potere spirituale religioso o filosofico autonomo non impedisce agli Stati Uniti di preservarsi dal
totalitarismo nel quale l’Europa è troppo spesso caduta. Lo stato è tanto più vigoroso quanto meno è
“tutto” e quanto meno cerca di esserlo. Il self government locale, il culto del self made man, la
moltitudine crescente di iniziative private e un profondo senso civico intorno alla Costituzione
sentita come una creazione perfettibile e continua, impediscono il raffreddamento degli spiriti e
incoraggiano la libera espressione del dissenso. Gli Europei sono tentati di trovare ingenua la fede
americana nel progresso universale e univoco dei Lumi, che legittima a lungo termine il loro
imperium economico e militare, il loro studium scientifico e tecnico e anche il loro buon utilizzo
utilitaristico della religione. Eppure è negli Stati Uniti e non in Europa che l’ecologia, questa critica
del progresso, cerca di diventare una vera filosofia, una scienza e persino un programma di
educazione, al posto dell’assurda ideologia pseudorivoluzionaria di cui noi dobbiamo accontentarci.
Eppure la storia greca ed europea della filosofia della natura è ricca di semi per questa moderna
dottrina moderatrice del progresso.
Un vantaggio incontestabile degli Stati Uniti è certamente l’aver conquistato l’indipendenza
nazionale e l’aver preso il treno dei Lumi nel momento giusto e sotto la migliore prospettiva liberale.
Tutt’altra piega sarebbe stata presa molto tempo dopo dagli stati-nazione europei e dai loro
cortigiani-filosofi. La Rivoluzione francese, dando il la alle numerose rivoluzioni nazionali che
l’hanno seguita dentro e fuori dall’Europa, non ha fatto che aggravare questa piega antiliberale.
Senza dubbio Voltaire era troppo infervorato nel celebrare il sistema enciclopedico delle Accademie
perfezionato da Luigi XIV e da Colbert a partire dal 1633, che associava lo studium, (e non
solamente francese, Huyghens e Cassini lo testimoniano) all’esercizio intelligente e all’autorità
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spirituale dell’imperium; ma è altrettanto vero che le Accademie reali dell’assolutismo non furono
che la parte emersa e ufficiale di una Repubblica Europea delle Lettere la cui parte sommersa restava
essenzialmente privata. Gli ecclesiastici, raramente cooptati dalle Accademie reali, frati Minimi,
Gesuiti, Signori di Port-Royal, Benedettini di Saint-Maur vi giocano un ruolo determinante, nello
stesso modo dei nobili, dei magistrati, dei non nobili indipendenti materialmente e moralmente. A
Londra i primi adepti del programma di Advancement of Learning di Francis Bacon cooperarono
inizialmente in privato sotto il nome di «Accademia invisibile», prima di entrare nella ufficiale
Royal Academy. La « rivoluzione scientifica» del XVII secolo ha avuto terreno fertile e protettivo in
una Repubblica liberale dei filosofi della natura che si erano organizzati per non ricevere leggi se
non da loro stessi e che non hanno rinnegato questo spirito, neanche nelle Accademie reali dove
alcuni di loro sono entrati.
Infatti, in Francia, e anche nell’Italia dell’Ancien Régime, l’evergetismo privato non ha
cessato di offrire ai sapienti e agli studiosi un margine di movimento e di indipendenza che suppliva
al mecenatismo degli Stati illuminati dell’Europa dell’Ovest, tra i quali bisogna contare, a seconda
dei pontefici, il governo dello Stato ecclesiastico. In Inghilterra la stessa funzione era assicurata dalla
ricca aristocrazia terriera e commerciale. In Olanda potenti famiglie di librai, la cui clientela è
europea, permettono a un Pierre Bayle, a un Jean Leclerc, a un Pierre Costes, traduttore di John
Locke, di giocare il ruolo che era di Erasmo a Basilea, sostenuto dagli Amerbach.
L’etica privata del servizio pubblico della scienza, delle lettere e delle arti, che il libro di
Odom e Dujarric ci mostra opportunamente all’opera nelle classi ricche degli Stati Uniti di oggi, era
dunque estremamente viva nell’Europa dell’Ancien Régime, e sosteneva in tutta naturalezza l’etica
dell’amicizia sapiente e del servizio disinteressato del sapere, che legava e faceva collaborare
l’Internazionale dei cittadini della Repubblica delle Lettere. Non solo trovavano dei mecenati che
procuravano loro i mezzi per proseguire la loro opera, ma beneficiavano, presso gli stessi mecenati,
di biblioteche, gabinetti di storia naturale, laboratori di fisica, collezioni di antichità e di opere d’arte,
e altrettanto spesso di relazioni sociali cosmopolite, sapienti e letterate. Gli stessi mecenati,
magistrati come Montesquieu o Malesherbes, appaltatori generali come Helvétius e Lavoisier,
persino, più raramente, grandi signori come il conte di Caylus, consacravano una parte importante
del loro tempo libero -come avevano fatto prima di loro Budé, Henri de Mesmes o Peiresc all’otium studiosum, agli studi sapienti e alla cooperazione tra «buoni spiriti». Voltaire stesso non si
diede tregua finché non si costituì una fortuna personale considerevole per assicurarsi l’indipendenza
economica ed esercitare al di laà della frontiera franco-svizzera, nel suo feudo di Ferney, la
presidenza europea della Repubblica delle Lettere, che fece di lui l’Erasmo del XVIII secolo.
La Rivoluzione francese e l’impero napoleonico diedero l’esempio funesto alle future
rivoluzioni nazionali europee, di destra e di sinistra, di stati-nazione gelosi di controllare tutto in
nome del popolo sovrano più di quanto non lo avessero fatto i regni dell’Ancien Régime,
imprudentemente incoraggiati dai filosofi a esercitare in nome della ragione un «dispotismo
illuminato ». Invano Benjamin Constant, screditato dalla sua adesione a Napoleone durante i Cento
giorni, oppose in una conferenza illuminante, nel 1818, la «libertà degli antichi» alla «libertà dei
moderni», pregando lo Stato «di restare nei suoi confini, di limitarsi a essere giusto» e concludendo:
«noi ci incaricheremo di essere felici». Una sorta di unanimità hegeliana di destra e di sinistra, in
nome di principi apparentemente incompatibili, e questo nei ranghi più elevati dello studium, non ha
più smesso in Europa continentale di screditare questo liberalismo economico e politico, di
scoraggiare il self government e l’iniziativa privata, spingendo il geloso Stato-Provvidenza a
introdurre in tutti gli ambiti il suo controllo burocratico e un conformismo ideologico rigido, in
confronto al quale l’ «infamia» del XVIII secolo vituperata da Voltaire fa una modesta figura.
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Si è arrivati, in nazioni europee che si richiamano tuttavia al secolo dei Lumi e che vogliono
affrancarsi dalle tirannidi e dalle ideologie totalitarie, a sostituire allo studium una «cultura» tagliata
pomposamente in tronconi da un’ingegneria di Stato appropriata, piatto insipido preconfezionato e
senza gusto che fa abboccare all’amo un pubblico passivo e ozioso, la cui educazione e la cui
memoria, pure esse riportate alla dimensione adatta, troppo spesso non sono in grado fare confronti
con più sapidi e forti nutrimenti. Si arriva qui a un punto estremo dello svilimento dello studium da
parte dello Stato, che non dà più luce, come si auguravano i filosofi voltairiani del XVIII secolo e
come lo concepiscono sempre gli Americani di oggi, ma che è consunto e volgarizzato da esso per
fini immediati di popolarità elettorale e mediatica.
L’Europa della guerra fredda, quindi pre-caduta del muro di Berlino, godette, dopo mezzo
secolo, di una pace e di una prosperità garantita, che lo si voglia o no, dall’imperium benevolo degli
Stati Uniti. Che cosa ha fatto di questa straordinaria tregua, unica nei suoi annali? Essa non è andata
granché al di là di una zona di libero scambio dove si vive meglio che altrove, del fatto del vecchio
humus di cui è erede, ma dove né il coraggio della riflessione sul suo lungo passato né l’audacia
della visione del proprio avvenire hanno mai prevalso sull’uso e la gestione alla giornata di un
momento così favorevole per favorire l’una e l’altra.
L’ora dei grandi pericoli si avvicina, pertanto, di nuovo. Il protettorato americano si
allontana. Dobbiamo sapere finalmente chi siamo e cosa vogliamo diventare. La pace dorme, il
pericolo veglia. Se solo potessimo, questa volta, svegliarci nel tempo e all’altezza voluta! Questo
presuppone non solamente una commemorazione, ma una restaurazione dello studium europeo, dove
si trovano il cuore della nostra identità e il principio della nostra unità Questo presuppone altresì il
ritorno degli Stati e delle burocrazie a una concezione a un tempo più modesta e più ambiziosa,
concentrata sugli unici scopi vitali per tutti coloro che sono soli a poterli assumere. All’orizzonte
deprimente di una società di assistiti, che si dispensano dall’agire come cittadini, deve essere
sostituito il più possibile il libero gioco delle vocazioni e delle iniziative personali.
(Traduzione)
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