Vaticano: le troppe incognite di un successore americano

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28 febbraio 2013
Vaticano: le troppe incognite di un successore americano
Luca Ozzano(*)
Il Conclave che eleggerà il successore di papa Benedetto XVI inizia, per la prima volta nella storia,
con la possibilità concreta di un papa nordamericano: il canadese Ouellet e lo statunitense Dolan
sono infatti indicati tra i principali papabili. La chiesa cattolica Usa affronta tuttavia questo evento in
uno stato di profonda crisi, dettata da diversi fattori.
In primo luogo, l’immagine del cattolicesimo americano è offuscata dagli scandali legati a episodi di
pedofilia che hanno coinvolto esponenti del clero: una problematica globale, che proprio negli Stati
Uniti ha avuto uno dei propri epicentri, con una particolare amplificazione da parte dei media.
Nell’ultimo decennio, periodo in cui è esploso questo scandalo, le cause avviate contro la chiesa
sono state nell’ordine delle migliaia. Questo ha comportato non solo un danno a livello d’immagine
– riparato solo in parte da una certa maggiore trasparenza voluta da Benedetto XVI – ma anche un
aggravio per le finanze del Vaticano, che ha dovuto pagare risarcimenti milionari alle vittime.
A creare ancora più indignazione sono state in molti casi le operazioni di copertura messe in atto
da alcuni esponenti delle gerarchie per impedire che gli scandali venissero alla luce. In particolare,
è stata contestata la partecipazione al Conclave del cardinale Roger Mahony, arcivescovo di Los
Angeles, che già a partire dagli anni ’80 avrebbe “protetto” dalle indagini alcuni sacerdoti.
Oltre che turbata dagli scandali, la chiesa statunitense è profondamente divisa a livello ideologico,
fra una gerarchia sempre più conservatrice – in conseguenza delle nomine cardinalizie di Wojtyla e
Ratzinger – che pone l’accento sulle questioni morali relative alla sessualità; e un clero di base in
buona parte ancora orientato in senso sociale. Così come, del resto, la maggioranza dell’elettorato
cattolico, che vota democratico ed è favorevole al matrimonio dei preti e all’ordinazione sacerdotale delle donne. Una divisione ben rappresentata anche a livello politico dai due candidati vicepresidenti del 2012, Biden e Ryan: entrambi cattolici, ma il primo orientato verso temi relativi a giustizia
sociale e diritti civili, il secondo verso le battaglie morali proprie della Christian Right. Una dinamica
che ha opposto duramente gli stessi vertici della chiesa Usa all’Amministrazione Obama all’inizio
del 2012, a causa di alcune norme incluse nella riforma sanitaria nota come Obamacare, che obbligherebbero anche gli enti affiliati a organizzazioni religiose a includere la contraccezione nelle
assicurazioni sanitarie dei loro dipendenti.
Nelle ultime elezioni presidenziali, sia come conseguenza di questa disputa, sia per alcune prese
di posizione laiche di Obama (in particolare sul matrimonio gay) le gerarchie della chiesa americana hanno mostrato in modo abbastanza palese la propria preferenza per il mormone (ma più conservatore) Romney: in particolare con la partecipazione del cardinale Dolan, presidente della Conferenza episcopale statunitense, alla Convention repubblicana. Al mondo cattolico erano del resto
Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI.
(*)Luca Ozzano, ricercatore di Scienza Politica, Università di Torino.
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ascrivibili anche i due candidati alle primarie repubblicane più vicini
alla destra cristiana – e dalle posizioni più controverse – Newt Gingrich e Rick Santorum.
Che cosa rappresenterebbe dunque per la chiesa, per gli Stati Uniti
(e, in ultima analisi, per il mondo) la scelta di un papa americano? In
primo luogo una precisa scelta di conservatorismo etico che proseguirebbe, in modo politicamente più esplicito e consapevole, la battaglia contro il “relativismo morale” intrapresa da papa Ratzinger.
Questo a meno che non venga eletta una figura “di mediazione”,
come l’arcivescovo di Boston O’Malley, più attento anche ai temi
della povertà e tradizionalmente vicino al mondo latino. Una scelta
che potrebbe attenuare le tensioni all’interno del cattolicesimo americano, ma che resterebbe comunque scomoda a livello geopolitico.
È infatti probabile che l’ascesa al papato di un qualunque cardinale
nordamericano porterebbe tensioni in alcune aree del mondo tradizionalmente caratterizzate da una retorica anti-americana, come il
mondo islamico e l’America Latina: quest’ultima, paradossalmente,
già terreno di crisi per la chiesa per le massicce conversioni al protestantesimo dovute proprio all’opera di missionari statunitensi.
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