La Flora
Esotica
Lombarda
E. Banfi, G. Galasso
LA FLORA ESOTICA LOMBARDA
Nell’anno internazionale della biodiversità, Regione Lombardia presenta i risultati di un progetto avviato
in collaborazione con il Museo di Storia Naturale di Milano e finalizzato ad aumentare conoscenza e
consapevolezza sul tema delle specie vegetali esotiche in Lombardia.
I dati di base sulla diffusione delle specie, che nel testo e nel CD ROM sono arricchiti da una importante
documentazione fotografica, risultano infatti indispensabili per l’impostazione di una strategia di
contenimento delle specie invasive che possono costituire una seria minaccia alla biodiversità ed in
alcuni casi produrre impatti economici, come nel caso delle infestanti, o sanitari, principalmente a causa
della produzione di polline allergenico.
Si ritiene dunque, dopo la recente realizzazione della check-list nazionale sulla flora alloctona, che
individua la Lombardia come la regione con la più alta percentuale di specie alloctone, di offrire un
importante contributo sia di approfondimento scientifico per gli addetti ai lavori sia per gli enti gestori
delle aree protette, deputati al controllo ed alle azioni di contenimento delle specie invasive negli
ecosistemi delle aree a maggiore naturalità.
Un altro obiettivo del lavoro riguarda la sensibilizzazione del grande pubblico, rispetto ad una dinamica
in atto che oggi è particolarmente attiva a causa del forte incremento delle reti di trasporto e degli
scambi, oltre che agli effetti associati ai cambiamenti climatici. L’archivio fotografico favorisce l’approccio
e l’interesse ad un fenomeno facilmente rilevabile sul territorio.
Infine, questo primo censimento della flora esotica regionale, si affianca e va ad integrare il più generale
progetto della Carta Floristica Regionale, in continuo aggiornamento, nell’ambito del sistema di
conoscenze sul patrimonio di biodiversità in Lombardia.
L’Assessore regionale ai Sistemi verdi e Paesaggio
Alessandro Colucci
“
Tant’è la forza e la certezza che quell’albero mette
a essere albero, l’ostinazione a essere pesante e duro,
che gli s’esprime persino nelle foglie.
”
Italo Calvino, Il barone rampante
Il rapporto fra natura e cultura è da sempre incarnato nelle opere d’arte e, in particolare, alcuni capolavori
come La primavera o Le nozze di Filologia e Mercurio di Botticelli ne esaltano, come si evince dal doppio
titolo, il significato filosofico e allegorico.
La flora, inoltre, con il suo linguaggio simbolico ci permette di avvicinarci alla natura in modo intimo e
partecipe. L’essere nel mondo dell’uomo ci pone, infatti, in una primaria relazione con l’ambiente e il
paesaggio. Si potrebbe parlare, in tal modo, di una geografia culturale oltre che di una geografia fisica.
E questa pubblicazione, nello specifico, ci porta alla scoperta di un risvolto inaspettato delle nostre terre:
la flora esotica lombarda.
Fin dai nomi di questi alberi, felci, erbe e piante acquatiche ritroviamo il rimando a un universo di
conoscenze, evocazioni, di antica saggezza.
Importante ribadire, allora, la necessità della conservazione e della tutela di queste specie che ci parlano
della storia del pianeta, della relazione fra uomo e natura.
Necessario, soprattutto per le giovani generazioni, trasmettere tale eredità e sensibilizzare ai problemi
dell’ambiente.
Decisivo promuovere una coscienza ecologica, anche ricordando la drammatica attualità dei recenti
fatti di inquinamento ambientale, per ri-costruire una relazione più armonica con l’ambiente.
Ed è così che scienze apparentemente “separate” si possono accostare in quell’idea di convergenza
dei saperi scientifici e umanistici volta a realizzare una cultura condivisa e diffusa oltre le differenze di
genere e disciplina.
Del resto come non richiamare un passaggio da una delle più antiche “cronache” di Milano che esaltano
la città per il clima, la fertilità e la crescita demografica? Si tratta di Bonvesin de la Riva e del suo
De Magnalibus Mediolani: a Milano scorrono “acque vive, naturali, mirabilmente adatte a essere bevute…
Il territorio produce in abbondanza, come ciascuno può constatare, biada, vino, legumi, frutta, alberi,
fieno e altri beni”. Siamo intorno al 1288 ma la vocazione di Milano è già individuata. Nel corso dei secoli
si sono aggiunte numerose ricchezze produttive ma il legame con la terra è parte essenziale della storia
e della tradizione locale.
Ripercorrere e censire, dunque, le tracce e la presenza delle specie esotiche lombarde vuol dire
raccontare la bio-diversità e ri-leggere con nuovo e differente punto di vista un capitolo di storia di
Lombardia nel grande libro della Natura.
Assessore alla Cultura del Comune di Milano
Massimiliano Finazzer Flory
Milioni d’anni di evoluzione biologica sul nostro pianeta hanno creato quella diversità della vita
dalla quale ha preso forma anche la nostra specie. Una diversità fatta di numeri (le specie, appunto)
e di interazioni (predazione, difesa, competizione, esclusione, intesa, collaborazione, simbiosi) spesso
incredibilmente complesse e articolate, dal livello molecolare a quello ecosistemico. Il tutto, oggi lo
possiamo sostenere senza il timore di essere tacciati di animismo o di connivenza con l’intelligent
design, anche sulla base di una “intelligenza” in natura, il cui campo di ricerca costituisce uno dei
principali argomenti di frontiera della biologia attuale.
Per le piante, nella fattispecie, l’ambiente fisico è stato l’interlocutore diretto e immediato non solo del
loro evolvere, ma pure dei diversi, interminabili modelli di organizzazione spaziale generati dall’obbligo
di convivenza sul terreno. Così, in ogni area del pianeta e in dipendenza dai fattori ambientali, la
spartizione dello spazio fra le piante ha dato forma a ciò che siamo usi chiamare vegetazione, vale
a dire ai sistemi di comunità vegetali (fitocenosi) quale risultato di “civile” convivenza tra specie
reciprocamente interagenti. Si è trattato di processi lenti e graduali, spesso interrotti e ridirezionati dai
grandi eventi naturali (orogenesi, vulcanismo, ingressioni e regressioni marine, glaciazioni ecc.), in tutti i
casi mai paragonabili ai risultati della più recente causa mondiale di mutamenti: l’azione umana.
Sarebbe davvero affascinante ripercorrere evoluzione e spostamenti della nostra specie, a partire dal
continente africano di qualche centinaio di migliaia d’anni fa, per capire da quando e in che misura
certe piante abbiano imparato a convivere con noi, marcando la nostra storia ed entrando nella nostra
cultura. Sta di fatto che a causa di Homo sapiens gli equilibri naturali sono progressivamente saltati
senza possibilità, per le piante, di riorganizzare in modo stabile le loro comunità naturali e oggi, nell’era
della globalizzazione, prendiamo atto che la vegetazione, specialmente quella che ci sta intorno, appare
sempre più globale e omologata, un dominio di poche specie ubiquiste, largamente diffuse sul pianeta.
Identificare le comunità originali di piante in qualunque territorio civilizzato è ormai una sfida
che vede impegnate, oltre all’esperienza botanica, le differenti competenze disciplinari invocate
soprattutto nella ricostruzione del passato. La bandiera di questo sconvolgimento, in sostanza il
degrado della vegetazione autoctona, è portata dall’esotismo che deriva dall’insediamento stabile,
paesaggisticamente determinante, di piante provenienti da terre lontane, estranee alla primordialità del
territorio. A un’avanguardia di vegetazione autoctona ormai disorganizzata, indebolita e compromessa,
le aliene rispondono espandendosi e conquistando passo a passo il territorio. Così la gaggìa (Robinia
pseudoacacia) e l’uva turca (Phytolacca americana), entità americane immortalate da Alessandro
Manzoni, assieme al cinese albero del paradiso (Ailanthus altissima) hanno inesorabilmente trasformato
il paesaggio lombardo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento.
Oggi la comparsa e l’affermazione di nuove aliene è un fatto sempre più frequente in ordine ai
movimenti umani; molte di esse vengono deliberatamente introdotte, ma una gran parte, opportuniste
e clandestine, agisce inattesa e incontrollata. I guai di queste comparse sono molteplici, spesso
di pesante rilevanza economica e sanitaria; in altri casi non si registrano effetti negativi diretti di
una presenza vegetale aliena, ma bisogna ricordare che essa è un sintomo di malattia del territorio,
privato delle sue difese naturali. In ogni area geografica conoscere le specie aliene e distinguerle dalla
base autoctona della sua flora è preliminare sia al monitoraggio della biodiversità sia a qualunque
pianificazione ecosostenibile d’uso del suolo e di governo del territorio.
La Lombardia, sul terreno nazionale, detiene il primato di alienazione floristica con 619 specie esotiche,
tra invasive, naturalizzate e casuali. La loro diffusione, oggi, non è tanto conseguenza di storiche
“ineluttabilità”, ma dell’assenza di una coscienza individuale e sociale del problema. Come si è verificato
per la raccolta differenziata dei rifiuti, se chi vende piante e chi le compra acquistasse coscienza del
fatto che esistono precisi doveri verso l’ambiente e che, per esempio, la vite del Canada, (Parthenocissus
quinquefolia), portata in giro dagli uccelli, produce danni irreversibili a quanto sopravvive dei boschi
di pianura, si farebbe un fondamentale salto di qualità non soltanto nel rapporto uomo-ambiente,
ma anche nell’evoluzione culturale della nostra specie. Questa indispensabile metànoia si presenta,
se mai dovrà auspicabilmente innescarsi, come un processo a lunga scadenza, a fronte del quale oggi
possiamo solo avviare i primi passi. Come? Da parte nostra, promuovendo un approccio diretto alla
conoscenza delle piante aliene; devi conoscere il nemico per poterlo “apprezzare” e combattere. Tale
è l’intento della presente pubblicazione, che ci auguriamo possa contribuire a creare quella coscienza
collettiva di cui c’è urgente bisogno.
Enrico Banfi
Gabriele Galasso
Introduzione e aspetti generali
Piante aliene e territorio
Si contano ormai sulla punta delle dita le aree del pianeta rimaste ancora immuni dai ben noti processi di
bioglobalizzazione che contraddistinguono la nostra epoca storica. Si tratta di trends iniziati da quando
Homo sapiens (ma forse, già prima di lui, H. erectus in Asia e H. neanderthalensis in Europa) uscì dal
continente africano per espandersi, un po’ alla volta, su tutto il globo; però, mentre prima della scoperta
dell’America appariva evidente solo nel contorno degli insediamenti umani, dal periodo coloniale, ma
soprattutto, in Occidente, dopo la rivoluzione industriale, il fenomeno si diffuse con estrema rapidità
fino ad assumere la portata mondiale che conosciamo.
Ancora oggi, per fortuna, esiste un’interfaccia tra il mondo alterato, dove le piante aliene la fanno da
padrone, e il mondo naturale ancora integro, ma il grave problema è che mai come in questi ultimi
100 anni si è assistito a una così marcata situazione di regresso, frammentazione e confinamento
dell’ambiente naturale.
Nel quadro del degrado storico, ogni territorio geografico si presenta oggi con un proprio epilogo di
vicende alle spalle, nel quale si mescolano in vario grado realtà antropogeniche e naturali. La lettura
della situazione, che vede una correlazione positiva tra presenza aliena e degrado ambientale, non
può prescindere da una conoscenza di base di quella naturalità che identifica ab origine il territorio,
a dispetto delle sue trasformazioni. D’altra parte non si può pensare di interpretare correttamente
l’alienazione vegetale di un territorio senza conoscerne i caratteri originari. Per tale motivo riteniamo
utile spendere qualche parola sui concetti che stanno alla base della conoscenza geobotanica (o
fitogeografica) territoriale, senza i quali il fenomeno alieno non può essere compreso in significato e
portata.
In tutto ciò, punto di riferimento fisso è il territorio, un tratto di superficie del pianeta, quale potrebbe
essere -guarda caso- la Lombardia, definito sì da confini amministrativi, ma soprattutto da una specifica
combinazione di elementi fisici (posizione geografica, orografia, geo-litologia), da cui derivano
specificità climatico-pedologiche in diretto rapporto con la vegetazione e con la diversità degli habitat.
Prima della comparsa dell’uomo, il territorio è stato teatro dell’insediamento naturale di specie vegetali,
per massima parte (viste le dimensioni del territorio) pervenute da fuori (speciazione esocora) attraverso
l’espansione dei loro popolamenti e in piccola parte nate nel territorio stesso (speciazione endocora),
anche se non necessariamente rimaste al suo interno. Le poche specie che sono esclusive del territorio
costituiscono l’endemismo e provengono da due origini fondamentalmente diverse: speciazione
endocora senza espansione esterna (il caso più comune) oppure speciazione esocora, conquista del
territorio e successiva scomparsa della specie all’esterno del medesimo, che ha quindi svolto la funzione
di rifugio (endemismo relittuale). In ogni caso, esocorogene, endocorogene ed endemiche formano
nel loro insieme il contingente originale della flora e per questo motivo si definiscono indigene o
autoctone. Per flora -occorre ricordarlo- si intende l’insieme delle piante che crescono spontanee nel
territorio, con esclusione dunque di quelle presenti solo in coltura. È a seguito della comparsa dell’uomo
che la flora, in misura significativamente variabile secondo la situazione ambientale, include oggi piante
non indigene, le quali non vi sarebbero senza un intervento umano diretto, deliberato o involontario; tali
piante sono tecnicamente definite esotiche da parola latina o alloctone da parola greca, in linguaggio
mediatico aliene (dall’inglese alien).
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Introduzione e aspetti generali
Da sempre, dove l’uomo installa i propri insediamenti, le comunità originali di piante vengono
sistematicamente demolite, dal taglio/incendio della foresta al pascolo, all’agricoltura, alla
cementificazione, e gli spazi prodottisi sono immediatamente occupati da piante spontanee
opportuniste, spesso classificate come erbacce o infestanti, che si espandono in lungo e in largo
non trovando più la barriera verde originale; poiché causa del degrado è l’uomo, la vegetazione
opportunistica che accompagna i suoi insediamenti è detta sinantropica, intendendo sottolineare
il fatto che si muove insieme a lui. Le piante sinantropiche condividono diverse, importanti strategie
vitali che consentono loro di insediarsi e riprodursi rapidamente sui terreni denudati o disturbati, prima
che questi possano essere riconquistati stabilmente da una vegetazione strutturata. Al contingente
sinantropico appartengono specie sia indigene sia esotiche, le une già di casa, le altre provenienti dai
luoghi più disparati del mondo. Ecco tre esempi, rispettivamente, per ciascuna delle due categorie (ci
riferiamo sempre al territorio lombardo): centocchio (Stellaria media), farinaccio (Chenopodium album),
sambuco (Sambucus nigra); occhi della Madonna (Veronica persica, Asia occidentale), assenzio dei Verlot
(Artemisia verlotiorum, Estremoriente), robinia (Robinia pseudoacacia, Nordamerica).
Va sottolineato che le aliene entrano a far parte della flora del territorio ospite proprio perché dotate
di strategia sinantropica; diversamente non vi avrebbero accesso in quanto bloccate dalla barriera
vegetazionale interna. Per la maggior parte, esse sono già sinantropiche in patria, ma non mancano
quelle che, improvvisamente, una volta introdotte, sfuggono alla coltivazione svelando un’insospettata
capacità invasiva (robinia, ailanto, buddleja, ciliegio tardivo ecc.). Anche la nostra flora è “colpevole” di
simili misfatti in altre parti del mondo, basti ricordare, fra i più recenti, i casi del pino marittimo (Pinus
pinaster) in Sudafrica e della ginestra (Spartium junceum) sulle Ande centro-meridionali. In sostanza, il
sinantropismo è condicio sine qua non perché autoctone e alloctone convivano sul territorio.
Per quanto riguarda Asia Minore, Europa e Nordafrica, da almeno 12˙000 anni, con la nascita
dell’agricoltura e degli insediamenti fissi, si verificano trasferimenti di piante da un’area geografica
all’altra; si tratta di trasferimenti colturali che, inevitabilmente e all’insaputa della parte interessata,
trascinano con sè una coorte di specie opportuniste, alcune delle quali estremamente specializzate
nel competere con la coltura. È il noto caso della così detta vegetazione segetale o cerealicola, formata
da piante come il fiordaliso (Cyanus segetum), il papavero (Papaver rhoeas), la camomilla (Matricaria
chamomilla) e la zizania (Lolium temulentum), tutte di probabile, antichissima origine anatolica.
Si presume che queste piante siano state involontariamente selezionate laddove ebbe inizio la
domesticazione dei primi cereali e abbiano conseguito la capacità (mimetospermia e sindiaspora) di
farsi trasferire clandestinamente da un luogo all’altro con la coltura. Queste antiche aliene, ormai tanto
assimilate e simbolizzate nella nostra cultura da essere percepite, nel male e nel bene, come indigene,
costituiscono un argomento controcorrente rispetto alle attuali posizioni di prevenzione antiglobal.
Esse, infatti, sono state completamente rivalutate in funzione del recupero di quell’agrobiodiversità che
per millenni ha caratterizzato l’economia rurale del nostro settore geografico.
Previste, impreviste, archeofite, neofite
Il quadro della vegetazione sinantropica e dei suoi effetti sull’ambiente, sul paesaggio, sull’economia e
sulla qualità della vita umana rimase sostanzialmente immutato fino agli inizi del secolo XVII. In questo
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Introduzione e aspetti generali
periodo andavano configurandosi le premesse di un cambiamento politico-economico globale, il
primo della storia a segnare un passo epocale nei confronti dell’ambiente (escludendo le deforestazioni
d’epoca preromana, romana, rinascimentale e postrinascimentale, che non compromisero mai la
naturale resilienza della vegetazione). La scoperta dell’America, avvenuta poco più di un secolo
prima, aveva stimolato in tutta Europa un fermento di rinnovo alla ricerca non solo di potenziali terre
promesse, ma anche di nuove fonti di benessere e di miglioramento della vita individuale e sociale. In
particolare, spingeva in tale direzione il ripetersi quasi cadenzato di due antichi flagelli, di norma tra loro
connessi: le epidemie di piante e animali alla base dell’alimentazione e le carestie. Attraverso impatti
umani tutt’altro che indolori, nacquero dunque le prime colonie, ma sarà soprattutto tra Settecento e
Ottocento che queste raggiungeranno il massimo della diffusione sull’intero globo. Furono proprio le
colonie a garantire la possibilità di introdurre in Europa (e viceversa) una quantità incredibile di piante
di interesse economico, effettivo o potenziale; alcune, per esempio, arrivarono in soccorso di catastrofi
agrarie, come la vite americana contro la fillossera, o di carestie alimentari, come la patata. Un canale
privilegiato hanno sempre avuto le piante medicinali, con ampia sperimentazione colturale negli orti
botanici; comunque gli orti botanici svolgevano funzione acclimatatoria per tutte le piante di cui i
singoli governi pianificavano l’introduzione a fini economici (Visconti, 2008), mentre quelle di interesse
ornamentale-floricolturale soggiornavano spesso nelle proprietà di appassionati e di personaggi
illuminati del mondo culturale dell’epoca. In Lombardia, il conte Luigi Castiglioni, sul finire del ‘700 e
Alessandro Manzoni, nella prima metà dell’‘800, contribuirono attivamente alla diffusione di essenze
da poco introdotte dal Nordamerica, quali la quercia rossa (Quercus rubra), il “northern pitch pine” (Pinus
rigida) e la già citata robinia.
In ogni modo, il successo acclimatativo e il vantaggio economico sperato soddisfarono le attese in
ben pochi casi sul totale di quelli sperimentati, ma tanto bastò per innescare cambiamenti ambientali
di portata fino allora sconosciuta. Paradigmatici, al riguardo, i casi dell’ailanto (Ailanthus altissima) e
della robinia: con la loro naturalizzazione, a partire dal secolo scorso, hanno cambiato il volto della
vegetazione e del paesaggio in Europa, come in altre parti del mondo; e dire che l’ailanto si rivelò ben
presto inutile agli scopi per i quali era stato introdotto.
Finora si è parlato di piante introdotte su progetto, ma non bisogna dimenticare che di pari passo aliene
impreviste e incontrollate andarono via via conquistando il territorio: opportuniste capaci di sfruttare
i movimenti umani a lunga distanza per trasferirsi da un continente all’altro attraverso il terreno delle
colture, gli imballaggi commerciali, i tessuti, i mangimi per uccelli, le sementi, la risicoltura, il mercato
degli acquari, l’ortofloricoltura ecc. Queste inattese clandestine costituiscono oggi una quota importante
del contingente alieno e provengono da tutto il mondo; la fase significativa del loro incremento non
coincise con le colonie, ma con l’era post-industriale, essenzialmente in ordine alla facilitazione logistica
degli scambi commerciali e degli spostamenti umani sul pianeta. Vi è anche il caso, in vero poco
comune, di piante domestiche d’antica data come il riso (Oryza sativa), che tutt’a un tratto, in parte,
imparano a riabilitare qualche carattere tacitato dalla domesticazione, presente nell’antenato selvatico
(O. rufipogon); se il carattere è, appunto, un dispositivo chiave dell’autodisseminazione (le spighette si
staccano spontaneamente dalla pianta a maturità), ecco che compaiono individui selvatici (ferali) in
grado di riprodursi attivamente e infestare la stessa coltura. Conosciuti con il nome di “riso crodo”. Si
può dire che in questo caso l’aliena viene introdotta indirettamente, attraverso la coltura del domestico.
In conclusione, possiamo contestualizzare la storia delle piante aliene in quattro tappe principali: nascita
dell’agricoltura, scoperta dell’America, periodo delle colonie, rivoluzione industriale. Ma l’elemento
discriminante, in termini di risposta ambientale e paesaggistica, sta nella scoperta dell’America; solo
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Introduzione e aspetti generali
dopo questo evento la presenza aliena nella vegetazione sinantropica assume il potere di modificare
drammaticamente biodiversità e paesaggio. Per tale motivo si è convenuto di suddividere le aliene, dal
punto di vista storico, in due categorie: archeofite, introdotte prima del 1492 e neofite, da quell’anno
in poi. Vi è poi una categoria di piante delle quali non si è ancora certi della loro origine, se cioè si tratti di
autoctone o di archeofite, che qui chiamiamo amaurogene o alloctone dubbie (inglese cryptogenic,
Carlton, 1996).
Il successo delle aliene
Una pianta esotica, per quanto perfettamente acclimatabile, non ha alcuna possibilità di affermarsi
extra patriam se incontra un contesto ambientale sufficientemente integro, cioè se lo spazio
teoricamente disponibile è occupato dalla normale vegetazione autoctona (foresta, bosco, pascolo,
prato naturale ecc.). Tuttavia, anche quando le cose non stanno così perché l’ambiente è degradato,
il successo dell’alloctona non può essere dato per certo. Le barriere eco-biologiche che la specie
deve superare sono infatti numerose (6 le principali secondo Richardson et al., 2000); tra queste la più
importante è la barriera riproduttiva, cioè la capacità della pianta di arrivare a riprodursi sessualmente
e/o vegetativamente nella nuova situazione in cui si viene a trovare. Nel caso positivo, si verificano
due possibilità: la specie forma uno o pochi popolamenti locali di breve durata per poi scomparire ed
eventualmente ricomparire solo a seguito di un nuovo “inoculo” (è il caso più frequente in esotiche
coltivate che possono sfuggire a più riprese senza mai raggiungere un’autonomia diffusiva). Tali aliene
sono definite casuali, ma in questa categoria ricadono pure quelle incapaci di riprodursi a tutti gli
effetti (per esempio il pomodoro) e i così detti relitti di coltura (spesso bambù), di norma cloni che
permangono nel sito di coltivazione dove possono estendersi vegetativamente entro i limiti topograficoambientali loro consentiti, senza mai arrivare a fondare una popolazione. La seconda possibilità prevede
la stabilizzazione dell’esotica, vale a dire la sua capacità di inserirsi stabilmente nella flora formando
popolazioni che si perpetuano per via sessuale e/o vegetativa. È evidente che l’impatto alieno sulla
biodiversità e sul paesaggio è connesso essenzialmente a quest’ultimo caso; qui però, secondo le
accezioni più recenti (Richardson et al., 2000; Pyšek et al., 2004), occorre distinguere le naturalizzate,
che, pur insediandosi nel territorio, non assumono comportamento invasivo in quanto l’incremento
dei loro popolamenti si verifica in prevalenza a margine delle vecchie generazioni e su brevi distanze,
dalle invasive, capaci in breve tempo di ricoprire superfici estese sia per via vegetativa sia per seme.
Le invasive perenni (legnose ed erbacee) abbinano spesso le due strategie (per es. Ailanthus altissima,
Solidago gigantea), mentre le annuali affidano tutto alla dispersione dei semi (o disseminuli); entrambe
le categorie sono accomunate dalla capacità di fondare nuove popolazioni su distanze spesso grandi,
in ciò giocando un ruolo essenziale la diffusione per seme. Non che le naturalizzate non possiedano
semi (o disseminuli) adeguatamente attrezzati per il trasporto a distanza (ali, pappi, uncini ecc.), ma
nel loro caso la probabilità che un disseminulo longidisperso riesca a innescare una nuova popolazione
è decisamente inferiore. Ciò è da porsi in relazione a fattori sia endogeni sia esogeni, fra cui la vitalità
del seme, che può essere statisticamente inferiore a quella di un’invasiva, oppure i limiti ecologici della
specie; riguardo all’ultimo punto, le naturalizzate sono mediamente più esigenti sul piano ecologico,
molte di loro essendo legate, per esempio, al degrado boschivo (Lupinus polyphyllus) o a habitat umidi
particolari (Hypericum mutilum). Per contro, le invasive sono prevalentemente “di bocca buona”, cioè ad
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Introduzione e aspetti generali
ampio spettro ecologico rispetto alla maggioranza dei fattori ambientali (umidità, acidità e nutritività
del substrato, humus, granulometria e ossigenazione, luce, temperatura, continentalità) e possono
quindi propagarsi con successo negli ambiti più disparati del degrado.
La Lombardia e il suo territorio
La regione Lombardia si estende su un territorio di poco più di 23˙800 Km2 e presenta una notevole
eterogeneità territoriale dovuta alle sue caratteristiche geografiche, geolitologiche, morfologiche
e climatiche. Si possono individuare alcuni settori fondamentali: sistema appenninico, bassa e alta
pianura, fascia collinare pedemontana, sistemi montuosi prealpini e sistemi montuosi alpini esterni e
interni. Questa complessità si traduce in una forte escursione altitudinale (da poco sopra il livello del
mare a oltre 4˙000 m) e in una articolata rete idrografica.
L’Appennino pavese, che costituisce una propaggine settentrionale di quello tosco-emiliano, ha una
superficie di circa 1˙100 km2. Le unità litostratigrafiche che compongono i rilievi dell’Oltrepò sono
prevalentemente di origine sedimentaria marina: calcareniti, calcari marnosi, marne, argilliti e arenarie
disposte in alternanze stratigrafiche differenti.
Il settore lombardo della Pianura Padana è caratterizzato dalla ripartizione tra alta e bassa pianura, sulle
quali si sovrappongono le grandi valli fluviali del Ticino e dell’Adda, i terrazzi fluvioglaciali e i rilievi
morenici. La bassa pianura alluvionale è composta da sedimenti fini e presenta una falda acquifera
superficiale, se non subaffiorante. Essa è separata dall’alta pianura dalla fascia dei fontanili. Le vallate dei
fiumi maggiori (Ticino e Adda) sono incise nella pianura e si raccordano al piano generale attraverso
scarpate più o meno ripide che spesso ospitano gli ultimi lembi di vegetazione forestale naturale. L’alta
pianura è composta da materiali più grossolani e drenanti; qui la falda acquifera si approfondisce. L’alta
pianura si raccorda al complesso prealpino attraverso i sistemi delle colline moreniche del Verbano,
della Brianza, della Franciacorta e dell’anfiteatro benacense. In tutta la porzione planiziale e collinare
della Lombardia, costituita da substrati sciolti, la reazione del suolo dipende dalla litologia del bacino
idrografico a monte: si osserva così un gradiente ovest-est dai substrati a pH basso, facenti capo al
bacino del Ticino, a quelli intermedi del bacino dell’Adda, fino a quelli a pH elevato della pianura
orientale. Questa è la zona della Lombardia che è stata maggiormente interessata dall’attività umana,
da un lato con il disboscamento e la messa in coltura di quasi tutta la superficie disponibile, dall’altro
con lo sviluppo delle grandi città e della rete dei trasporti su gomma e su rotaia.
Il sistema prealpino presenta una prima serie di rilievi incisi in sedimenti teneri ed erodibili (flysch),
ben rappresentati soprattutto tra i fiumi Adda e Oglio, in provincia di Bergamo; a nord di questi, le
Prealpi propriamente dette sono fondamentalmente costituite da formazioni calcareo-marnose, a cui
seguono le formazioni calcareo-dolomitiche, massicce e compatte, che costituiscono i grandi edifici
del sistema prealpino (Grigne, Pizzo Arera e altri). A ovest del lago di Como le formazioni carbonatiche
si riducono fino a scomparire in corrispondenza del Lago Maggiore; qui le Prealpi sono rappresentate
principalmente da rilievi di natura silicea.
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Introduzione e aspetti generali
Il passaggio dal sistema prealpino a quello alpino esterno è caratterizzato dall’affioramento dei depositi
terrigeni e delle formazioni metamorfiche che costituiscono la dorsale delle Alpi Orobie. Queste
toccano i 3˙000 m di quota, con il versante meridionale formato da tre grandi assi vallivi principali e
quello settentrionale formato da brevi e ripide valli che si gettano in Valtellina. A nord del solco della
Valtellina si estendono le Alpi propriamente dette. Il tratto lombardo della catena alpina comprende la
propaggine orientale delle Alpi Lepontine e una buona parte delle Alpi Retiche, che culminano con il
massiccio del Bernina (4˙050 m) e con il gruppo dell’Ortles-Cevedale (3˙859 m). L’edificio alpino interno
è inciso in complessi metamorfici con intercalazioni di rocce magmatiche intrusive e di pietre verdi.
L’estremità nordorientale della regione presenta rocce carbonatiche (principalmente dolomie).
Relativamente al clima, le precipitazioni totali presentano una tendenza all’aumento con la quota,
che viene però interrotta in corrispondenza delle vallate alpine interne, protette dalle correnti umide
mediterranee ed atlantiche e che dunque presentano apporti annui di precipitazioni molto scarsi. È
possibile poi osservare un aumento dei totali annui in direzione est-ovest, con le zone più piovose
in corrispondenza delle Prealpi occidentali (province di Varese, Como, Lecco) e quelle più aride in
corrispondenza della bassa pianura mantovana, della pianura pavese e del settore più interno della
Valtellina. In generale, i climi continentali, tendenzialmente aridi e con forti escursioni termiche,
caratterizzano la regione alpina interna; i climi oceanici, umidi e miti, caratterizzano la regione prealpina,
mentre l’Appennino presenta generalmente un regime pluviometrico submediterraneo attenuato in
quota. La Pianura Padana è caratterizzata da un regime termico di tipo continentale, con marcate
escursioni termiche, e da una distribuzione delle precipitazioni di tipo sublitoraneo.
La regione Lombardia, infine, dal punto di vista biogeografico, occupa una posizione di cerniera tra
territori reciprocamente anche molto differenti. Tradizionalmente, la Lombardia appartiene alla
regione floristica Medio-europea, qui rappresentata dalle province Alpina e Appenninica. La prima è
a sua volta suddivisa nei distretti Alpino propriamente detto, comprendente Alpi e Prealpi Insubrico
comprendente la regione dei grandi laghi e Padano. Considerando la latitudine, la Lombardia è posta all’
estremo meridionale della regione Medio-europea, a contatto con quella Mediterranea.
Questa posizione intermedia, che dà riscontro a una complessa articolazione, unitamente a millenarie
vicende storiche è responsabile di un’elevata diversità floristica (3˙220 entità secondo Conti et al., 2005)
e ha a sua volta determinato una grande ricchezza di paesaggi naturali e vistose espansioni di entità
esotiche sul territorio. Gli ambiti territoriali maggiormente interessati all’invasione di aliene risultano la
zona insubrica, la Pianura Padana, i fiumi e, in generale, tutte le aree fortemente urbanizzate compresi
gli assi viari.
Il problema dell’invadenza aliena
Purtroppo i danni provocati dalle esotiche, soprattutto le invasive, sono numerosi e di varia natura
(Galasso et al., 2008), ma si possono riassumere nelle 2 seguenti categorie (Celesti-Grapow et al.,
2010a): socio-economici e ambientali. Per quanto riguarda gli aspetti economico e sanitario il riscontro
è immediato e di rilevanza sociale, in quanto relativo a erbe infestanti (che riducono la produttività e
16
Introduzione e aspetti generali
aumentano i costi di gestione di seminativi, pascoli, vivai, serre, impianti da legno e di piscicoltura), danni
a manufatti antropici (edifici, infrastrutture, monumenti e siti archeologici), intossicazione di animali
domestici o da compagnia e danni alla salute umana (piante allergeniche, velenose e causa di dermatiti).
Tra le specie maggiormente impattanti ricordiamo qui il riso crodo (Oryza sativa), l’ailanto (Ailanthus
altissima), l’ambrosia (Ambrosia artemisiifolia) e il panace di Mantagazza (Heracleum mantegazzianum).
Ma anche i danni ambientali possono essere notevoli, comprendendo la competizione con le specie
autoctone (raramente sino all’estinzione di elementi locali) con la conseguente riduzione di biodiversità
(anche animale), l’inquinamento genetico e le modificazioni delle caratteristiche fisico-chimiche dei
suoli e dei corpi d’acqua. Ricordiamo, ad esempio, l’americana forbicina peduncolata (Bidens frondosus),
che ha determinato la scomparsa quasi completa dell’autoctona Bidens tripartitus; le specie del genere
Reynoutria, che colonizzano completamente i margini dei corsi d’acqua, escludendo le altre specie;
l’indaco bastardo (Amorpha fruticosa) e il sicio (Sicyos angulatus), che invadono le aree golenali e
i saliceti di ripa; il ciliegio tardivo (Prunus serotina), che si sostituisce completamente ai boschi di
latifoglie dell’alta pianura, modificando anche la chimica del suolo; la vite del Canada (Parthenocissus
quinquefolia), le viti americane (Vitis spp.), il luppolo giapponese (Humulus japonicus) e la pioggia d’oro
maggiore (Solidago gigantea), che colonizzano i boschetti di pianura; la lenticchia d’acqua minuscola
(Lemna minuta), le pesti d’acqua (Egeria densa, Elodea canadensis, E. nuttallii, Lagarosiphon major), le
porracchie (Ludwigia hexapetala e L. peploides subsp. montevidensis) e il fior di loto (Nelumbo nucifera),
che si sostituiscono alle nostre piante acquatiche.
Numerosi e costosi sono gli interventi sinora effettuati da varie Amministrazioni locali o dagli Enti
gestori delle Aree protette per contrastare l’avanzata di queste esotiche, ma spesso i risultati sono scarsi
o di breve durata (Alleva, 2008; Caronni, 2008; Longo et al., 2008). Un aspetto sicuramente carente in
Italia è la legislazione (Brundu, 2008). Sebbene in Lombardia vi sia una legge regionale (l.r. 10/2008)
sicuramente all’avanguardia (Secchi et al., 2008) è tuttavia necessario intervenire direttamente sul
mercato florovivaistico e sui protocolli di gestione del territorio e dei cantieri.
Numeri per la Lombardia
Sino a questi ultimissimi anni è mancato un vero censimento della flora alloctona di Lombardia. Oltre ai
principali cataloghi nazionali (Béguinot & Mazza, 1916a, 1916b; Viegi et al., 1974), i principali contributi
a disposizione erano i seguenti: Giacomini (1950) e Credaro & Pirola (1988) per l’intera regione, Ugolini
(es. 1921) e Arietti & Crescini (1975, 1980) per il bresciano, Cozzi (es. 1923) e Stucchi (es. 1949b) per il
milanese e il gallaratese, Ciferri et al. (1949) e Pirola (1964b) per le risaie, Pavan Arcidiaco et al. (1990) per
la città di Pavia, Banfi & Galasso (1998) per Milano e Bonali (2000) per Cremona. Inoltre vi erano svariati
contributi sparsi e numerose segnalazioni floristiche, che ormai riguardano in gran parte le aliene:
quelle italiane pubblicate sull’“Informatore Botanico Italiano”, quelle bresciane su “Natura Bresciana”,
quelle cremonesi su “Pianura”, quelle bergamasche sul “Notiziario Floristico del FAB” e quelle varesine sul
“Bollettino della Società Ticinese di Scienze Naturali”. Solo la recente Checklist della flora italiana (Banfi
& Galasso, 2005), con le successive integrazioni (Conti et al., 2007), riporta il primo elenco completo
di specie naturalizzate, analogamente ai recenti prospetti floristici delle province di Varese (Macchi,
2005) e di Cremona (Giordana, 1995; Bonali et al., 2006a), che riportano anche gran parte delle casuali.
17
Introduzione e aspetti generali
In seguito, Banfi et al. (2009), all’interno dell’atlante delle piante esotiche d’Italia (Celesti-Grapow et
al., 2009b) riportano il primo elenco completo della flora esotica lombarda; rispetto a esso, in questo
volume si riportano oltre 70 specie in più, 619 al posto di 545. Infine Banfi et al., (2010), all’interno del
volume sulla flora vascolare esotica d’Italia (Celesti et al., 2010b) descrivono il fenomeno dell’invadenza
aliena in Lombardia.
Stando ai dati presentati in questo volume, le flora esotica lombarda ammonta a 619 entità (307 se si
escludono le casuali) pari a quasi il 20% della flora regionale stabile (quasi il 10% escludendo le casuali)
e oltre il 60% della flora alloctona italiana: 85 archeofite (13.73%) e 534 neofite (86.27%), oltre a 33
amaurogene. Significativo è soprattutto il contingente delle specie che provengono dall’America e
dall’Asia rispetto a quelle di altri paesi. Lo status maggiormente rappresentato è quello delle casuali
(50.40%), seguito dalle naturalizzate (31.83%) e dalle invasive (16.96%); trascurabile il dato delle
estinte (0.81%). Come già evidenziato da Lambdon et al. (2008) e Celesti-Grapow et al. (2010a), vi è
una relazione diretta tra numero di specie esotiche, superficie del territorio e densità degli abitanti.
Tuttavia, al di sopra di un certo valore di densità abitativa il numero di aliene non cresce più, ma anzi
diminuisce; infatti, anche se il censimento non è stato compiuto con uguale dettaglio in tutte le
province, salta subito all’occhio come la provincia più ricca di esotiche sia Brescia e non Milano o Monza
e Brianza, che hanno una densità abitativa enormemente superiore a tutte le altre. Questo fenomeno ci
ricorda che l’invasione da parte delle esotiche influisce negativamente sulla biodiversità soprattutto in
ambienti naturali, seminaturali o leggermente compromessi dalle attività umane, mentre in ambienti
già largamente rimaneggiati la biodiversità si azzera quasi completamente a causa della diretta azione
antropica; al contrario, in queste situazioni le specie esotiche contribuiscono favorevolmente, assieme
alle poche autoctone ruderali sopravissute, a non deprimerla del tutto. Vale a dire che un campo
agricolo adibito a coltura industriale intensiva, un terreno ruderale o un greto disturbato contengono al
loro interno un livello di ricchezza e di biodiversità enormemente superiori a un complesso residenziale
o commerciale di “ultima generazione”.
Oltre alle specie esotiche italiane qui considerate, occorre tener presente che in Lombardia vi sono
molte altre entità le quali, pur essendo autoctone in una parte del nostro paese, sono comunque
alloctone rispetto al territorio regionale. In alcuni casi è semplice riconoscere il loro status alieno, come
per Cerastium tomentosum L., endemico dell’Appennino centrale, comunemente coltivato nei giardini
rocciosi e spesso casuale nei pressi dei centri abitati, o per Pinus nigra J.F.Arnold delle Alpi orientali,
introdotto a fini di rimboschimento e largamente naturalizzato. In altri casi, invece, è più difficile
riconoscere una esoticità regionale, spesso connessa con le alterne vicende di espansione verso nord
e recessione del contingente mediterraneo, in relazione alle oscillazioni macroclimatiche. È il caso di
Sonchus tenerrimus L., che ultimamente si sta affermando nelle grandi città (Banfi & Galasso, 2008a),
favorito dall’isola di calore (Schieroni, 1993), di Anisantha diandra (Roth) Tutin o dei cardi Scolymus
hispanicus L. e Silybum marianum (L.) Gaertn.
Introduzione e aspetti generali
Species excludendae e dubbie della flora esotica lombarda
Alcune vecchie segnalazioni di esotiche si sono rivelate erronee oppure si è trattato di autoctone o
addirittura improbabili. Qui di seguito le più importanti.
Acalypha indica L., Euphorbiaceae, acalifa indiana.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: Le segnalazioni di A. indica di Banfi & Galasso (1998) per Milano e di Tagliaferri (2000) per il Comune di ComezzanoCizzago (BS) sono da riferirsi alla congenere A. australis (Banfi & Galasso, 2005; Zanotti, 2008).
Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998, 2005; Tagliaferri, 2000; Zanotti, 2008
Amaranthus cruentus L. (= A. paniculatus L.), Amaranthaceae, amaranto pannocchiuto.
Status: Neofita; segnalazioni dubbie per la Lombardia.
Note: Specie cultigena, che non naturalizza mai, quasi sempre confusa con altre specie dello stesso genere, in particolare A.
hybridus (vedi scheda) o, anche, A. powellii.
Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Consonni, 1997, 1999; Costea et al., 2001; Costea & Tardif, 2003; Mosyakin & Robertson,
2003; Pignatti, 1982; Zucchetti et al., 1986
Amaranthus graecizans L. (= A. blitum L. var. g. (L.) Moq.; A. graecizans L. subsp. sylvestris (Vill.) Brenan; A. sylvestris Vill.;
Blitum g. (L.) Moech; Galliaria g. (L.) Nieuwl.; Glomeraria g. (L.) Cav.), Amaranthaceae, amaranto blito-minore.
Status: Autoctona italiana.
Note: Specie originaria del bacino mediterraneo e dunque autoctona in Lombardia e in Italia, esotica altrove in Europa e nel
resto del mondo. Indicata erroneamente come neofita da Celesti-Grapow et al. (2009a, 2009b).
Bibliografia: Celesti-Grapow et al., 2009a, 2009b
Ammannia baccifera Rottb. (= A. aegyptiaca Willd.; A. baccifera L. subsp. aegyptiaca (Willd.) Koehne), Lythraceae,
ammannia egizia.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: La segnalazione lombarda (Pavia) per questa specie di Koehne (1884, 1903), ripresa da Fiori & Paoletti (1900, 1907) e
da Fenaroli (1960), è da riferirsi al Veneto (Padova): si veda la scheda di A. coccinea.
Bibliografia: Fenaroli, 1960; Fiori & Paoletti, 1900, 1907; Graham, 1985; Koehne, 1884, 1903
Azolla caroliniana Willd., Salviniaceae, azolla americana.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: Le segnalazioni lombarde per questa specie, a partire dalla prima di Bozzi (1888), sono erronee e da ricondurre tutte
(o quasi tutte) ad A. filicuoloides.
Bibliografia: Bozzi, 1888
Bidens pilosus L., Asteraceae, forbicina pelosa.
Status: Neofita, non presente in Lombardia.
Note: La segnalazione di Giacomini (1950), sebbene contenuta all’interno di un contributo sulla flora lombarda, è relativa
alla sponda piemontese del Verbano.
Bibliografia: Giacomini, 1950
Brassica juncea (L.) Czern. (= Sinapis j. L.; Brassica j. Coss., comb. superfl.; Raphanus j. (L.) Crantz), Brassicaceae, senape
cinese.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: La segnalazione di Tagliaferri (2000) per la periferia di Brescia, in base a revisione del campione d’erbario conservato
presso il Museo di Scienze Naturali di Brescia (HBBS) va riferita a Raphanus raphanistrum L. subsp. landra (Moretti ex DC.)
Bonnier & Layens (Zanotti, in verbis 2009).
Bibliografia: Tagliaferri, 2000
Camelina sativa (L.) Crantz (= Myagrum s. L.), Brassicaceae, dorella coltivata.
Status: Autoctona italiana.
Note: Specie cultigena derivata dalla domesticazione dell’autoctona C. microcarpa Andrz. ex DC. (Zohary & Hopf, 2000) e
dunque anch’essa autoctona. Indicata erroneamente come amaurogena (alloctona dubbia) da Celesti-Grapow et al. (2009b).
Bibliografia: Celesti-Grapow et al., 2009a; Zohary & Hopf, 2000
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Introduzione e aspetti generali
Chamaesyce engelmannii (Boiss.) Soják (= Euphorbia e. Boiss.), Euphorbiaceae, euforbia di Engelmann.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: La segnalazione di Euphorbia e. per il Lago di Como (Chiovenda, 1895) in base a Thellung è erronea e da riferirsi a
Chamaesyce maculata (Fiori & Paoletti, 1907).
Bibliografia: Chiovenda, 1895; Fiori & Paoletti, 1907
Elaeagnus multiflora Thunb. (= E. edulis Siebold ex Carrière), Elaeagnaceae, olivagno edule.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: Le segnalazioni di E. multiflora per la provincia di Varese di Macchi (2005) e genericamente per la Lombardia (in
comune di Milano) di Banfi et al. (2009) sono erronee e da ricondurre a E. umbellata.
Bibliografia: Banfi et al., 2009; Barnes & Whiteley, 1997; Macchi, 2005
Chamaesyce indica (Lam.) Croizat (= Anisophyllum hypericifolium auct., non (L.) Haw.; Chamaesyce hypericifolia auct., non
(L.) Millsp.; Euphorbia hypericifolia auct., non L.; Euphorbia i. Lam.), Euphorbiaceae, euforbia indiana.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: La segnalazione di Euphorbia i. per il lecchese da parte di Pignatti (1955), ripresa da Pignatti (1982) e da Banfi et al.
(2009, sub Chamaesyce hypericifolia), è erronea e da riferirsi a Chamaesyce nutans (Hügin, 1998).
Bibliografia: Banfi et al. (2009); Hügin, 1998; Pignatti, 1955, 1982
Eleusine indica (L.) Gaertn. subsp. africana (Kenn.-O’Byrne) S.M.Phillips (= E. africana Kenn.-O’Byrne), Poaceae,
gramigna africana.
Status: Neofita, non presente in Lombardia.
Note: Sebbene Banfi (2005), Banfi & Galasso (2005) e Banfi et al. (2009) indichino la presenza in Lombardia di questa specie,
essa non è mai stata segnalata. La sua presenza è comunque probabile.
Bibliografia: Banfi, 2005; Banfi & Galasso, 2005; Banfi et al., 2009
Cuscuta gronovii Willd. ex Schult. (= Epithymum g. (Willd. ex Schult.) Nieuwl. & Lunell; Grammica g. (Willd. ex Schult.)
Hadač & Chrtek), Convolvulaceae, cuscuta di Gronovius.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: Segnalata da Peglion (1908) per l’Emilia-Romagna su trifoglio, Pignatti (1982) ne ha esteso l’areale anche alla
Lombardia. Tuttavia le indicazioni per l’Italia di questa specie sono erronee e da ricondurre a C. campestris (Campanile &
Traverso, 1923; Campanile, 1926); purtroppo tale confusione è perdurata sino ai nostri giorni poiché i lavori della Campanile
sono indicati soltanto nelle note finali della “Flora” di Fiori (1928).
Bibliografia: Campanile, 1926; Campanile & Traverso, 1923; Fiori, 1928; Peglion, 1908; Pignatti, 1982
Erigeron strigosus Mühl. ex Willd. (= E. annuus (L.) Desf. subsp. s. (Mühl. ex Willd.) Wagenitz), Asteraceae, cespica
setolosa.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: Secondo Frey et al. (2003) non ci sono prove della effettiva presenza in Europa di E. strigosus e pertanto le varie
segnalazioni, come quella di Arietti & Crescini (1980) o di Aeschimann et al. (2004), sono da riferirsi a E. annuus.
Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Arietti & Crescini, 1980; Frey et al., 2003
Cuscuta scandens Brot. (= C. australis R.Br.; C. australis R.Br. subsp. tinei (Inzenga) Feinbrun; C. tinei Inzenga; Grammica
australis (R.Br.) Hadač & Chrtek; Grammica scandens (Brot.) Holub; Grammica scandens (Brot.) Holub subsp. tinaei (Inzenga)
Dostál), Convolvulaceae, cuscuta di Tineo.
Status: Neofita; segnalazioni dubbie per la Lombardia.
Note: La segnalazione di C. scandens per il bresciano (Zucchi, 1979), non più confermata, è da considerarsi dubbia.
Bibliografia: Zucchi, 1979
Cuscuta suaveolens Ser. (= Cassutha s. (Ser.) Des Moul.; Cuscuta racemosa Mart. var. chiliana Engelm.; Cuscutina s. (Ser.)
Pfeiff.; Engelmannia s. (Ser.) Pfeiff.; Grammica s. (Ser.) Des Moul.), Convolvulaceae, cuscuta cilena.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: Segnalata da Cesati et al. (1876) per il Piemonte su erba medica, Pignatti (1982) ne ha esteso l’areale anche alla
Lombardia. Tuttavia le indicazioni per l’Italia di questa specie sono erronee e da ripartire tra C. campestris e C. cesattiana
(Campanile & Traverso, 1923; Campanile, 1926); purtroppo tale confusione è perdurata sino ai nostri giorni poiché i lavori
della Campanile sono indicati soltanto nelle note finali della “Flora” di Fiori (1928).
Bibliografia: Campanile, 1926; Campanile & Traverso, 1923; Cesati et al., 1876; Fiori 1928; Pignatti, 1982
Echinochloa crus-pavonis (Kunth) Schult. (= Oplismenus c. Kunth), Poaceae, giavone pendulo.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: Specie neotropicale, distinta da E. crusgalli; le sue segnalazioni per l’Italia (Pignatti, 1955; Ciferri & Pignatti, 1955; Pirola,
1964b; Pirola, 1965) sono erronee e da riferirsi a E. crusgalli (Carretero, 1981).
Bibliografia: Carretero, 1981; Ciferri & Pignatti, 1955; Pignatti, 1955; Pirola, 1964b, 1965
Echinochloa frumentacea (Roxb.) Link (= Panicum f. Roxb.; Echinochloa colona (L.) Link Frumentacea Group), Poaceae,
giavone frumentaceo.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: La segnalazione per l’Italia e la Lombardia di questa specie (Pirola, 1964b), derivata dalla domesticazione in India di E.
colona, è da ritenersi erronea (cfr. Carretero, 1981; Pignatti, 1982).
Bibliografia: Carretero, 1981; Pignatti, 1982; Pirola, 1964b
Echinochloa muricata (P.Beauv.) Fernald subsp. microstachya (Wiegand) Jauzein (= E. muricata (P.Beauv.) Fernald
var. m. Wiegand), Poaceae, giavone americano.
Status: Neofita, non presente in Lombardia.
Note: Sebbene Banfi (2005), Banfi & Galasso (2005) e Banfi et al. (2009) indichino la presenza in Lombardia di questa specie,
essa non è mai stata segnalata. La sua presenza è comunque probabile all’interno delle risaie.
Bibliografia: Banfi, 1985, 2005; Banfi & Galasso, 2005; Banfi et al., 2009; Hoste, 2005
20
Introduzione e aspetti generali
Geranium sibiricum L., Geraniaceae, geranio di Siberia.
Status: Autoctona italiana.
Note: Contrariamente a quanto espresso da diversi autori relativamente allo status di neofita e sinantropica, concordiamo
con Rey (2002) nel ritenere questa specie a tutti gli effetti autoctona quale relitto glaciale.
Bibliografia: Rey, 2002
Lemna perpusilla Torr., Araceae, lenticchia d’acqua piccolissima.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: Specie endemica del Nordamerica centrale e orientale molto simile a L. aequinoctialis, da escludere dal continente
europeo (Landolt, 1986), sebbene segnalata anche di recente, ad esempio da Desfayes (2005) che riprende un dato
bibliografico di Casper & Krausch (1980-1981). Le differenze morfologiche tra queste due specie sono minime, ma la loro
distinzione è ben pronunciata sul piano ecologico (Landolt, 1986; Crawford et al., 2002), allozimico (Crawford et al., 2002) e
del DNA (Les et al., 2002). Le segnalazioni per questa specie sono dunque da ricondurre a L. aequinoctialis.
Bibliografia: Casper & Krausch, 1980-1981; Crawford et al., 2002; Desfayes, 2005; Landolt, 1986; Les et al., 2002
Lepidium ruderale L., Brassicaceae, lepidio dei calcinacci, lepidio delle macerie.
Status: Autoctona italiana.
Note: Specie originaria dell’Europa (probabilmente della porzione meridionale) e dunque autoctona in Lombardia e in
Italia, esotica altrove in Europa e nel resto del mondo. Indicata erroneamente come neofita da Celesti-Grapow et al. (2009a,
2009b).
Bibliografia: Celesti-Grapow et al., 2009a, 2009b
Mollugo cerviana (L.) Ser. (= Pharnaceum c. L.), Molluginaceae, mollugine di Cervi.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: Specie osservata inselvatichita soltanto all’interno degli Orti botanici di Milano e Pavia (Fiori & Paoletti, 1898; Traverso,
1898; Fiori, 1923) e dunque da escludere dalla flora esotica lombarda.
Bibliografia: Fiori, 1923; Fiori & Paoletti, 1898; Traverso, 1898
Morus nigra L., Moraceae, gelso nero, moro nero.
Status: Neofita; segnalazioni dubbie per la Lombardia.
Note: La segnalazione di Giordana (1995) per il cremasco (CR) è erronea e da ricondurre a M. alba (Giordana, in verbis 2009);
quella di Zucchetti et al. (1986) è altamente improbabile e quindi dubbia.
Bibliografia: Giordana, 1995; Zucchetti et al., 1986
Oenothera parviflora L., Onagraceae, enagra a fiori piccoli.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: Non avendo potuto controllare gli exsiccata, la segnalazione di Pomi (1994) per Oe. parviflora, assente in Italia
(Soldano, 1993), è qui provvisoriamente ricondotta a Oe. royfraseri.
Bibliografia: Pomi, 1994; Soldano, 1993
21
Introduzione e aspetti generali
Oenothera rosea L’Hér. ex Aiton (= Hartmannia r. (L’Hér. ex Aiton) G.Don; Xylopleurum r. (L’Hér. ex Aiton) Raim.),
Onagraceae, enagra rosea.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: La segnalazione di Pignatti (1982) riprende quella di Fiori (1925b) ed è da riferirsi all’interno dell’Orto Botanico di Pavia,
dunque da escludere dalla flora esotica lombarda.
Bibliografia: Fiori, 1925b; Pignatti, 1982
Opuntia dillenii (Ker Gawl.) Haw. (= Cactus d. Ker Gawl.), Cactaceae, fico d’India di Dillenius.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: Le segnalazioni di questa specie (Arietti, 1965; Crescini, 1968; Bazzoli, 1999) sono da ricondurre a O. engelmannii
(Guiggi, in verbis 2009).
Bibliografia: Arietti, 1965; Bazzoli, 1999; Crescini, 1968
Opuntia jamaicensis Britton & Harris, Cactaceae, fico d’India della Giamaica.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: La segnalazione di questa specie (Guiggi, 2008; Banfi et al., 2009) è da ricondurre a O. engelmannii (Guiggi, 2010).
Bibliografia: Guiggi, 2008, 2010
Opuntia macrorhiza Engelm. (= O. compressa J.F.Macbr. var. m. (Engelm.) L.D.Benson), Cactaceae, fico d’India a grosse
radici.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: Specie segnalata per errore da Guiggi (2008); il dato è da riferirsi a una forma anomala di O. humifusa cresciuta su un
substrato particolarmente ricco (Guiggi, 2010).
Bibliografia: Guiggi, 2008, 2010
Opuntia tuna (L.) Mill. (= Cactus t. L.), Cactaceae, opunzia tuna.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: Le segnalazioni di questa specie (Guarino & Sgorbati, 2004; Banfi & Galasso, 2005; Guiggi, 2005) sono da ricondurre
non a O. jamaicensis (Guiggi, 2008), bensì a O. engelmannii (Guiggi, 2010).
Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Guarino & Sgorbati, 2004; Guiggi, 2005, 2008, 2010
Solanum linnaeanum Hepper & P.-M.L.Jaeger (= Solanum sodomaeum auct., non L.), Solanaceae, pomo di Sodoma,
melanzana di Sodoma.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: Il dato di Pignatti (1982) per Pavia non deriva dalle note di Sacchi (1951, 1952) su alcuni Solanum spinosi presenti in
Italia, bensì da Fiori (1926a), che riferisce di avventiziati entro l’Orto Botanico di Pavia. Questo dato non è quindi utilizzabile
per la flora esotica lombarda.
Bibliografia: Fiori, 1926a; Pignatti, 1982; Sacchi, 1951, 1952
Introduzione e aspetti generali
Symphyotrichum ×versicolor (Willd.) G.L.Nesom (= Aster v. Willd.; S. laeve × novi-belgii), Asteraceae, astro multicolore.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: Specie segnalata per errore da Banfi et al. (2009) e Celesti-Grapow et al. (2009a).
Bibliografia: Celesti-Grapow et al., 2009a; Banfi et al., 2009
Trisetaria canariensis (Parl. ex Webb & Berth.) Pignatti (= Trisetum neglectum (Savi) Roem. & Schult. var. c. Parl. ex Webb
& Berthel.), Poaceae, gramigna delle Canarie.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: Specie osservata inselvatichita soltanto all’interno dell’Orto botanico di Pavia (Pignatti, 1955) e dunque da escludere
dalla flora esotica lombarda.
Bibliografia: Pignatti, 1955
Valeriana phu L., Valerianaceae (= Caprifoliaceae subfam. Valerianoideae), valeriana turca.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: Specie riportata erroneamente da Fiori (1927a; Viegi et al., 1974) per la Lombardia. Infatti, la segnalazione originaria
è di Biroli (1808), che la riporta per la valle «Canobbiana» ovvero per la val Cannobina in provincia di Verbano-CusioOssola (VB) in Piemonte. Questo dato è stato in seguito ripreso da Cesati et al. (1879) come «Lombardia» (senza alcuna
specificazione di località) e da Arcangeli (1894) come «Valle Canobbiana in Lombardia».
Bibliografia: Arcangeli, 1894; Biroli, 1808; Cesati et al., 1879; Fiori, 1927a; Viegi et al., 1974
Xanthium orientale L. (= X. canadense Mill.; X. macrocarpum DC.), Asteraceae, nappola orientale.
Status: Neofita; segnalazioni dubbie per la Lombardia.
Note: Il vero X. orientale è conosciuto per il corso della Dordogna in Languedoc (Francia; Wisskirchen, 1995, 1998;
Jeanmonod, 1998a, 1998b), mentre non è sicuro che cresca (ancora attualmente) in America (Millspaugh & Sherff, 1919):
potrebbe essersi originato in Europa da piante importate a suo tempo dall‘America. La lectotipificazione di Jeanmonod
(1998a) precede di pochi mesi l’epitificazione di Wisskirchen (1998). Si differenzia da X. italicum per il disseminulo con spine
ricurve e fortemente uncinate all’estremità (diritte e soltanto uncinate all’estremità in italicum), con pelosità essenzialmente
ghiandolosa sul corpo e sulle spine, così pure con qualche pelo allungato (densa ed essenzialmente composta da peli
allungati sul corpo e sui 2/3 delle spine in italicum), di forma nettamente allungata, ellissoidale-subcilindrica (da ovoide a
ellissoidale-subcilindrica in italicum). Le segnalazioni lombarde per le province di Pavia (Widder, 1923) e Bergamo appaiono
alquanto dubbie.
Bibliografia: Jeanmonod, 1998a; Jeanmonod D., 1998b; Millspaugh & Sherff, 1919; Widder, 1923; Wisskirken, 1998
Symphyotrichum lateriflorum (L.) Á.Löve & D.Löve (= Solidago l. L.; Aster l. (L.) Britton; Aster vimineus auct., non Lam.),
Asteraceae, astro ericoide.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: Specie segnalata per errore in Lombardia (Banfi et al., 2009) al posto di S. pilosum.
Bibliografia: Banfi et al., 2009
Symphyotrichum ×salignum (Willd.) G.L.Nesom (=Aster s. Willd.; S. lanceolatum × novi-belgii), Asteraceae, astro salicino.
Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia.
Note: Entrambe le segnalazioni bibliografiche per questa entità sono errate. Quella di Stucchi (1949b) fa riferimento a
una popolazione che si propaga spontaneamente lontano dai giardini (caratteristica assente in questo ibrido); inoltre il
relativo campione, raccolto lungo la strada Cuggiono-Bernate e conservato presso l’erbario del Museo di Storia Naturale di
Milano (MSNM), porta il nome (scritto a macchina dallo stesso Stucchi) di Aster lanceolatus e corrisponde effettivamente a
quest’ultima specie. Anche la segnalazione di Zucchetti et al. (1986) per il cremonese fa riferimento ad alcune popolazioni
ben naturalizzate e quindi anch’esse da riferirsi ad altra specie, probabilmente ancora S. lanceolatum. Questi errori derivano
dalla inadeguatezza delle chiavi dicotomiche allora a disposizione.
Bibliografia: Stucchi, 1949b; Zucchetti et al., 1986
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LE NEOFITE DELLA FLORA LOMBARDA - Parte Speciale
LE NEOFITE DELLA FLORA LOMBARDA - Parte Speciale
Impostazione
delle schede
La parte speciale di questo volume è dedicata alla presentazione delle singole specie aliene, relativamente alle sole neofite
naturalizzate (incluse le invasive e le estinte), mentre per le neofite casuali, le archeofite e le amaurogene (alloctone dubbie)
si rimanda alle schede sintetiche contenute nel CD-ROM. Ognuna delle 242 schede (per un totale di 307 entità) è articolata
nei seguenti campi.
Un primo set di dati riguarda l’identità botanica del soggetto, di cui viene indicata la famiglia di appartenenza, il nome
scientifico (binomio latino, talvolta espresso in forma trinomiale quando vi sia sottospecie distinta dal taxon nominale), il
nome volgare della pianta (adattato al caso ove necessario), il basionimo (combinazione latina originale dell’autore del
taxon; non viene indicato se coincide con il nome in uso) e i sinonimi.
Un secondo set si riferisce al tipo biologico della specie, alla morfologia, alla fenologia, alla corologia, all’ecologia e alla
distribuzione lombarda del taxon. Sarà il caso di considerare rapidamente voce per voce.
Tipo (e forma) biologico. È indicato con le sigle di Raunkiaer e autori successivi; i casi in oggetto sono i seguenti.
Tipo biologico:
Hy = idrofita (acquatica)
P
= fanerofita (legnosa superante i 4 m; gemme invernali aeree, perlopiù perulate)
nP = nanofanerofita (legnosa non superante i 4 m; gemme invernali aeree, perlopiù perulate)
C
= camefita (base ± legnosa; gemme invernali portate sopra il suolo, mai perulate)
G
= geofita (gemme invernali in organi di riserva sotterranei)
H
= emicriptofita (gemme invernali nascoste a pelo terra o poco sotto, fra i residui fogliari)
T
= terofita (annuale)
Forma biologica:
bienn = biennale
bulb = bulbosa
caesp = cespitosa (multiassiale)
frut = fruticosa
lian = lianosa (rampicante)
nat = natante
par = parassita
rad = radicante
rept = reptante (strisciante)
rhiz = rizomatosa
rosul = rosulata (a rosetta)
scap = scaposa (uniassiale)
succ = succulenta
suffr = suffruticosa
Descrizione. Viene fornito un succinto profilo morfologico della pianta.
Periodo di fioritura. Nel caso delle felci è riferito alla sporulazione; oltre che di importanza intrinseca, il dato può essere
rilevante in relazione alle allergie polliniche.
Area d’origine. Si riferisce all’areale primario della specie, non sempre identificato con certezza, specialmente per le
distribuzioni massimali (corotipi cosmopolita e pantropicale).
Habitat. Descrive il tipo di ambiente in cui alligna la specie. Di norma per l’aliena sinantropica non vi è differenza di habitat
in patria e fuori patria, se non rispetto alle diverse combinazioni floristiche delle vegetazioni secondarie in cui entra, per
altro equipollenti. Le aliene sinantropizzate a seguito dell’introduzione (robinia, ailanto, ciliegio tardivo ecc.) presentano
habitat primario in patria (non sempre identificato con certezza) e habitat secondario nel resto della loro distribuzione; il
comportamento sinantropico acquisito extra patriam, tuttavia, può riversarsi secondariamente anche in patria, a seguito di
ripetute reintroduzioni (scambi commerciali, ortofloricoli, spostamenti umani ecc.), dove la specie diventa sinantropica e
magari pure invasiva, senza esserlo mai stata prima.
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Distribuzione nel territorio. Questa voce si riferisce sia alla ripartizione della specie rispetto ai fattori orografico-climatici
del territorio lombardo (fasce altitudinali) sia alla sua effettiva distribuzione topografica. Per quest’ultima si rinvia anche alle
apposite mappe nel CD-ROM e si ricorda che i dati relativi specialmente alle casuali sono senz’altro incompleti.
Il terzo set di dati comprende due informazioni di carattere storico, cioè il periodo d’ introduzione e la modalità di
introduzione. Per entrambi i punti le notizie possono essere complete, parziali e incomplete, ipotetiche o inesistenti. Le fonti
storiche e bibliografiche sono numerose, ma si rivelano utili solo per piante che abbiano rivestito o rivestano una qualche
sorta di interesse economico, mentre per le aliene introdotte involontariamente, l’unico riferimento utile, quando disponibile,
è la prima segnalazione della specie. Quest’ultima fornisce un’informazione di massima sul momento dell’introduzione, ma
non è in grado di precisarlo.
Il quarto set riguarda gli aspetti pratici legati al problema dell’aliena e include:
Status. Indica se la specie è casuale o naturalizzata e se, nel secondo caso, è anche invasiva.
Dannosa. Esprime, quando è il caso, gli effetti negativi a breve e lungo termine esercitati dall’aliena in campo ecologico,
economico e sanitario.
Impatto. Particolarmente riferita alle invasive, questa voce evidenzia la portata dell’azione depressiva dell’aliena sulla
biodiversità, sulla vegetazione, sul paesaggio e sull’uomo.
Azioni di contenimento. Poiché è improponibile (e impensabile) cancellare una pianta dal territorio quando vi risulti
affermata, occorre accontentarsi di trovare il modo per contenerla al meglio. Le esperienze in questo senso, purtroppo,
sono scarse, effettuate su poche specie e prevalentemente all’estero, cioè in situazioni ambientali e antropiche difficilmente
estendibili al nostro territorio. Nel caso della robinia, dell’ailanto e del ciliegio tardivo esiste qualche dato anche italiano,
ma per quasi tutte le altre invasive un suggerimento vale l’altro. In linea teorica, alle invasive erbacee si possono applicare i
medesimi criteri di intervento usati in agricoltura contro le infestanti (erbicidi), ma tali interventi, se e quando hanno senso,
sono eseguibili solo localmente e in via occasionale, e non possono certo intendersi quale soluzione di sistema in scala
territoriale. Problemi particolari nascerebbero poi dalle invasive acquatiche, che vivono in habitat dove l’erbicidio chimico
è da interdire a priori. Al di là dei suggerimenti operativi di buon senso derivanti, tutto sommato, da millenni di rapporto
diretto uomo-erbaccia (estirpazione, eliminazione manuale dei rinnovi, bruciatura dei residui vegetali, pulizia del terreno
ecc.), rimaniamo dell’idea che la soluzione, per quanto a lungo termine, si debba raggiungere unicamente attraverso l’azione
sinergica della prevenzione e del progressivo recupero dell’ambiente. La prevenzione è un fatto essenzialmente economicoculturale, in quanto presuppone un cambiamento socio-mentale, una “metànoia” nei confronti di quella grossa quota di
piante incriminate che fa capo all’ortofloricoltura. Specie come la vite del Canada (Parthenocissus quinquefolia), per prendere
un caso paradigmatico, dovrebbero uscire dalla cultura del verde privato e pubblico e abbandonare una volta per tutte il
mercato; si dovrebbe arrivare a bandire attraverso la legislatura la vendita di tutti quei soggetti che sono causa effettiva e
potenziale di alienazione e danno al territorio. Ma è evidente che tutto ciò presuppone una lunga strada di educazione al
problema e di responsabilizzazione comportamentale. Per quanto riguarda il recupero ambientale, la ricostituzione della
vegetazione naturale di degrado (Artemisietea vulgaris Lohmeyer, Preising & Tüxen in Tüxen 1950), il ripristino dei prati
(Molinio-Arrhenatheretea Tüxen 1937 em. Tüxen 1970) e il riavvio delle cenosi legnose autoctone (Prunetalia spinosae Tüxen
1952, Alnetea glutinosae Braun-Blanq. & Tüxen ex V.Westh., Dijk & Passchier 1946, Querco-Fagetea Braun-Blanq. & Vlieger in
Vlieger 1937 ecc.) sono l’unico strumento che, alla fine, sia in grado di risolvere il problema dell’alloctonia, invasiva e non,
ripristinando il sistema vegetazionale interno a difesa della biodiversità e del paesaggio, e a soluzione di tutti i problemi
economici e sanitari connessi con l’alienazione vegetale. Tale ripristino dovrà costituire –ciò che oggi non è in alcun modo–
l’interfaccia ottimale di collegamento tra superfici industriali, urbane, agricole e sistema viario, includendo la realizzazione del
vecchio sogno di un’adeguata rete territoriale di corridoi ecologici.
Note. Qui vengono riportate le possibilità di confusione con altre specie (anche autoctone), ma è spazio utile anche per altre
osservazioni che riguardano, secondo i casi, la nomenclatura e la sistematica, l’origine della specie, l’aneddotica, la storia e
altro.
Ogni scheda si conclude con la voce Bibliografia, nella quale sono riportati tutti i riferimenti del caso.
Ordinamento delle schede
La successione delle schede è basata sulla sequenza sistematica delle famiglie secondo Haston et al. (2009), che riassume
l’attuale modello filogenetico delle angiosperme (APG III, 2009). Generi e specie seguono il normale ordine alfabetico, tranne
qualche eccezione nella quale vengono poste di seguito le specie tra loro imparentate. Le felci e le gimnosperme, come di
consueto, precedono le angiosperme, in base all’ordinamento delle famiglie secondo Smith et al. (2006) e Soltis et al. (2002).
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azolla
maggiore
Famiglia: Salviniaceae
Nome scientifico: Azolla filiculoides Lam.
Nome volgare: azolla maggiore
Sinonimi: Azolla caroliniana auct., non Willd.
Tipo biologico: Hynat
Descrizione: Piccola felce acquatica liberamente galleggiante, con fusto ramificato provvisto di radici capillari pendenti
nell’acqua e fronde di 1-1.5 mm, verdi, un po’ glaucescenti e talvolta arrossate, disposte in due file e imbricate, bilobate, con
margine cartilagineo e pagina superiore coperta di brevi papille monocellulari. La riproduzione sessuale si realizza attraverso le
tappe di tutte le altre pteridofite, ma con adattamenti funzionali specifici per la vita acquatica. La pianta produce microsporocarpi
con molti microsporangi e megasporocarpi con un solo megasporangio. Nei microsporangi si formano le microspore (spore
piccole) circondate da massule spugnose, mentre nei megasporangi si forma una sola megaspora (spora grande) dotata di
3 galleggianti. Quest’ultima si stacca e galleggia liberamente sull’acqua germinando in un gametofito femminile provvisto
di cellula-uovo. Le microspore, a loro volta, germinano in gametofiti maschili produttori di spermatozoidi che, nuotando
nell’acqua grazie alle ciglia vibratili di cui sono dotati, raggiungono le cellule-uovo e le fecondano. A questo punto il ciclo vitale
si chiude con il gametofito femminile fecondato, che sviluppa uno sporofito, cioè la pianta natante sopra descritta.
Periodo di fioritura: aprile-giugno (sporificazione).
Area d’origine: America tropicale.
Habitat: Acque stagnanti.
Distribuzione nel territorio: Pianura. Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia a fine Ottocento. Coltivata nel 1881 all’Orto Botanico di Torino e prima
del 1883 in quello di Pavia; da quest’ultimo introdotta deliberatamente nel Ticino presso Pavia nel 1883 da Luigi Bozzi e
Giacomo Traverso, dove si è subito naturalizzata (Bozzi, 1888) divenendo comune (Cavara, 1894). Azioni analoghe sono
documentate presso altri orti botanici italiani.
Modalità d’introduzione: Deliberata, come pianta d’acquario e per idrofloricoltura.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Localmente può creare fitte coperture rossastre negli specchi d’acqua, alterandone la naturalità.
Note: La tassonomia e l’identificazione delle specie di Azolla sect. Azolla sono molto complicate poiché la maggior parte dei campioni è sterile
e i caratteri diacritici sono difficili da osservare: occorre il microscopio ottico per contare le cellule delle papille presenti nella pagina adassiale
(superiore) delle fronde e quello elettronico a scansione per vedere l’ornamentazione della perina delle megaspore. In passato sono stati utilizzati
soprattutto i caratteri vegetativi e il numero dei setti dei glochidi delle massule microsporangiali (Svenson, 1944). Tuttavia questi caratteri sono
molto variabili, pure all’interno della stessa specie (cfr. Godfrey et al., 1961). Neanche gli isozimi si sono rivelati particolarmente utili (Zimmerman
et al., 1989). Solo recentemente Perkins et al. (1985) hanno messo in evidenza l’importanza dell’architettura della perina delle megaspore. Su
questi caratteri si fondano, dunque, le trattazioni moderne del genere, come quella della ‘Flora del Nordamerica’ (Lumpkin, 1993). In Italia (ed
Europa) sono state da sempre segnalate due specie, prima A. caroliniana (Arcangeli, 1882b) e successivamente A. filiculoides (Béguinot & Traverso,
1906), ma spesso o quasi sempre si è fatta confusione tra esse (Fiori, 1943). Ad esempio, Béguinot & Traverso (1906) citano per l’Orto Botanico di
Pavia A. filiculoides, mentre in precedenza vi era stata segnalata A. caroliniana (Bozzi, 1888); parallelamente, in seguito all’osservazione delle spore,
Savelli (1915) rettifica in A. filiculoides le precedenti determinazioni di Arcangeli (1882b) relative alle piante toscane e da allora in Italia si sono
susseguite principalmente segnalazioni di quest’ultima specie, senza però fare chiarezza su tutte le precedenti segnalazioni. Di recente in Olanda,
oltre ad A. filiculoides è stata accertata un’altra specie, che non corrisponde ad A. caroliniana bensì ad A. mexicana C.Presl (Pieterse et al., 1977); in
Portogallo, invece, si è trovata soltanto A. filiculoides (Pereira et al., 2001). Per quanto riguarda l’Italia, sulla base di quanto emerso in Olanda, ma
senza tener conto dei successivi risultati della microscopia elettronica ed indicando sinonimie non corrette, le segnalazioni di A. caroliniana sono
state interpretate come A. mexicana (Lawalrée & Jermy, 1993). Tuttavia Marchetti (1994), Bonafede et al.(2001), Marchetti (2004) e Bona et al. (2005)
sollevano dubbi a questa interpretazione: salvo ulteriori sorprese, le popolazioni attuali sono tutte quante da attribuire ad A. filiculoides, mentre in
passato potrebbe esserci stata anche A. mexicana (ma è ancora da dimostrare); non è stata mai presente, invece, A. caroliniana.
felce
di Fortune
Famiglia: Dryopteridaceae
Nome scientifico: Cyrtomium fortunei J.Sm.
Nome volgare: felce di Fortune
Sinonimi: Aspidium falcatum (L.f.) Sw. var. fortunei (J.Sm.) Makino
Cyrtomium falcatum auct., non (L.f.) C.Presl Phanerophlebia
fortunei (J.Sm.) Copel. Polypodium falcatum auct., non L.f.
Polystichum fortunei (J.Sm.) Nakai
Polystichum falcatum (L.f.) Diels var. fortunei (J.Sm.) Matsum.
Tipo biologico: Grhiz
Descrizione: Felce sempreverde, densamente cespugliosa, dotata di un rizoma breve, verticale. Fronde di 20-60(-125)×1025 cm, oblungo-lanceolate, pennate, composte da 12-26 paia di pinne verdi opache, piuttosto rigide ma non coriacee,
strettamente lanceolate, solitamente falcate, lunghe 5-9 cm e larghe fino a 3.5 cm, al margine intere o denticolato-seghettate;
stipite abbastanza robusto, con palee bruno-rossastre, minore della lamina. Sori sparsi su tutta la pagina abassiale (inferiore)
della pinna, con indusio peltato.
Periodo di fioritura: aprile-settembre (sporificazione).
Area d’origine: Asia orientale.
Habitat: Ambienti antropizzati, soprattutto su manufatti ombreggiati e umidi; boschi umidi, in ambiente naturale
completamente slegato dai luoghi di coltivazione.
Distribuzione nel territorio: Dalla pianura alla fascia collinare (50-450 m s.l.m.), nel complesso rara e molto frammentaria.
Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Mantova (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). [C. falcatum: Cremona
(NAT), Mantova (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nella prima metà del secolo scorso; segnalata per la prima volta in
Lombardia da Bonali (1996), che l’ha osservata dal 1995.
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Non si evidenziano aspetti negativi legati alla presenza della specie.
Azioni di contenimento: Immediata rimozione delle piante radicate sui manufatti.
Note: Una congenere altrettanto naturalizzata nel territorio lombardo è C. falcatum (L.f.) C.Presl, (= Polypodium f. L.f.; felce falcata), in passato spesso
confusa con essa, che differisce per le fronde decisamente coriacee, di colore verde lucente, con pinne a margine ondulato o grossolanamente
dentato, segnalata genericamente in Lombardia da Marchetti (2004) e per le province di Cremona e Mantova da Bona et al. (2005). È termicamente
più delicata di C. fortunei, pertanto può avere successo soltanto nelle fasce più calde della regione. Entrambe sono felci assai diffuse in coltivazione.
Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Bona et al., 2005; Bonali, 1996; Bonali et al., 2006a; Consonni, 1997; Macchi, 2005; Marchetti, 2004; Peroni
& Peroni, 1997
Bibliografia: Arcangeli, 1882b; Béguinot & Traverso, 1906; Bona et al., 2005; Bonafede et al., 2001; Bozzi, 1888; Cavara, 1894; Fiori, 1943; Godfrey et
al., 1961; Lawalrée & Jermy, 1993; Lumpkin, 1993; Marchetti, 1994; Pereira et al., 2001; Perkins et al., 1985; Pieterse et al., 1977; Savelli, 1915; Svenson,
1944; Zimmerman et al., 1989
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cedro
dell’Himalaya
Famiglia: Pinaceae
Nome scientifico: Cedrus deodara (Roxb.) G.Don
Nome volgare: cedro dell’Himalaya
Basionimo: Pinus deodara Roxb.
Sinonimi: Abies deodara (Roxb.) Lindl.
Cedrus libani A.Rich. subsp. deodara (Roxb.) P.D.Sell
Cedrus libani A.Rich. var. deodara (Roxb.) Hook.f.
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Albero che può raggiungere dimensioni imponenti (oltre 40 m d’altezza), con ramificazioni terminali
tendenzialmente pendule. Foglie sempreverdi, singole sui macroblasti (rametti primari normali), in fascetti di 15-20 sui
brachiblasti (rametti secondari raccorciati), aghiformi, piuttosto rigide, triangolari in sezione, di colore verde scuro, lunghe 2.5-5
cm e larghe 1-1.5 mm, acuminate all’apice. Coni maschili allungati, eretti, fino a 5×1.5 cm, i femminili con breve peduncolo,
ovoidi o largamente ellissoidali, arrotondati all’apice, dapprima verdi poi brunastri e disgregantesi a maturità, di 7-12×5-9 cm.
Semi emiconici, lunghi circa 1 cm, dotati di un’ala triangolare con base di 1.5 cm e altezza di 2 cm.
Periodo di fioritura: settembre-ottobre.
Area d’origine: Asia centrale (regione himalayana occidentale).
Habitat: Ambienti antropizzati, dove cresce soprattutto su manufatti, come muri e vecchi edifici. In ambienti a maggior
naturalità si rinviene soprattuto in boschi a carattere xero-termofilo e su rupi ben esposte.
Distribuzione nel territorio: La presenza di piante spontanee, quasi sempre giovanili, è legata agli esemplari maturi coltivati,
non di rado monumentali. Tuttavia, sinora è stata rinvenuta naturalizzata in un’unica località del Varesino (Grotte di Valganna),
su una rupe calcarea nell’ambito di cenosi termofile caratterizzate dalla fitogeograficamente significativa presenza del leccio
(Quercus ilex L.) e della felce dolce maggiore (Polypodium cambricum L.). Lecco (CAS), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nella prima metà del secolo XIX; in Lombardia segnalata come
naturalizzata da Conti et al. (2007).
Modalità d’introduzione: Deliberata (selvicoltura, sperimentazione forestale).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Trascurabile, sebbene la specie sia in grado di colonizzare i manufatti, radicando nelle fessure e contribuendone in
tal modo al deterioramento.
Azioni di contenimento: Immediata rimozione della rinnovazione.
Note: In territorio lombardo sembra essere l’unica specie di Cedrus Trew capace di spontaneizzare, nonostante l’ampia diffusione colturale delle
altre (C. atlantica (Endl.) Manetti ex Carrière, C. libani A.Rich. e, più raramente, C. brevifolia (Hook.f.) Henry). Purtroppo gli esemplari immaturi
di queste ultime tre non consentono il riconoscimento sicuro delle specie in quanto i caratteri diacritici si evidenziano soltanto negli adulti
sessualmente maturi. Tuttavia C. deodara si distingue agevolmente da loro per le ramificazioni terminali (compreso l’apice) pendule, per le foglie
brachiblastali più lunghe di 3 cm e per i coni seminiferi arrotondati (convessi) all’apice, anziché troncati od ombelicati.
Bibliografia: Conti et al., 2007
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pino rosso
americano
Famiglia: Pinaceae
Nome scientifico: Pinus rigida Mill.
Nome volgare: pino rosso americano,
pino nordamericano da resina
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Albero non più alto di 25 m, con chioma irregolare, arrotondata e ritidoma grigio scuro o rosso-brunastro,
profondamente solcato in placche allungate. Il tronco, oltre a suddividersi nelle normali ramificazioni, è caratterizzato fin
quasi alla base dalla presenza di brevi rametti accessori, fitti di aghi, simili a scopini. Aghi in fascetti di 3, rigidi, ritorti, dapprima
giallo-verdi o verde tenero, quindi verde-grigiastro scuro, lunghi 7-10(-14) cm e spessi 2-2.5 mm, in sezione largamente
semicircolari con 2 fasci conduttori; stomi su entrambe le facce. Coni maschili piccoli, ovoidali, in densi “manicotti” all’apice dei
giovani rami, rosso-violacei, a maturità gialli; coni femminili ovoidi, rosa, lunghi circa 1 cm, in gruppetti disposti secondo linee
spirali lungo i rami giovani. Pigne ovoidali-coniche, di 4-7×3-4 cm, in gruppi persistenti a lungo anche dopo la maturazione;
squame legnose, con apice ottuso e apofisi romboidale; semi (pinoli) piccoli, con ala allungata.
Periodo di fioritura: maggio.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Impianti artificiali nell’area della brughiera a pino silvestre, boschi misti di castagno e pino silvestre, boschi misti di latifoglie.
Distribuzione nel territorio: Planiziale (alta pianura occidentale). Como (CAS), Monza e Brianza (CAS), Milano (NAT), Varese
(NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1750 e in Italia negli anni 1883-1886 (a Vallombrosa). In Lombardia
introdotta per scopi forestali a inizio del Novecento e già osservata in natura da Fenaroli (1923), Stucchi (1949b), Sartori et al.
(1988) e Sartori (1991); è da considerarsi naturalizzata (Conti et al., 2007).
Modalità d’introduzione: Deliberata, in quanto pianta di interesse selvicolturale.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Attualmente la specie non determina riscontri negativi, in quanto, sebbene con una contenuta disseminazione, non
mostra tendenza a diffondersi fuori dalle aree d’impianto.
Note: Il persistere sui rami di pigne inaperte è comune a molte specie di Pinus e rappresenta un’espressione della così detta sindrome pirofitica.
L’incendio è facile e frequente nelle cenosi naturali di resinose, esse perciò presentano, in misura più o meno evidente, adattamenti che sono il
risultato della pressione selettiva esercitata dal fuoco attraverso milioni di anni. Il fronte di calore che precede le fiamme fa esplodere le pigne
ancora chiuse, prima che il fuoco le raggiunga; tutti i pinoli vengono liberati in una sola volta e le turbolenze dell’aria alla fine li convogliano al suolo
a varie distanze. Qui la maggior parte di essi supera indenne l’incendio protetta da strati d’aria a temperatura più bassa e la specie ne consegue un
evidente vantaggio dispersivo, forse in ottemperanza al vecchio principio: “non tutto il male vien per nuocere”.
Bibliografia: Conti et al., 2007; Fenaroli, 1923; Pepe, 1966; Sartori, 1991; Sartori et al., 1988; Stucchi, 1949b
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Strobo
Famiglia: Pinaceae
Nome scientifico: Pinus strobus L.
Nome volgare: strobo, pino di Weymouth
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Albero dalla chioma largamente conica, talora colonnare, negli esemplari vecchi con rami in palchi orizzontali,
tabulari, alto fino a 30(-50) m. Ritidoma grigiastro, dapprima liscio poi regolarmente fessurato in placche subrettangolari.
Foglie aghiformi riunite a 5, verde glauco, lunghe 5-12 cm, sottili e flessuose, in sezione largamente triangolari con un fascio
conduttore al centro; stomi presenti sulla faccia ventrale. Coni maschili ovoidi, addensati all’apice dei rametti, di colore giallo
solfino all’apertura; i femminili oblunghi, di circa 1 cm, su peduncoli di 2.5 cm, prima rosei, dopo l’impollinazione verdastri. Coni
seminiferi (pigne) di 8-16×2 cm, in gruppi, brunastri, penduli (peduncolo ricurvo); squame coriacee ma non legnose, ottuse
all’apice, con apofisi arrotondata; semi (pinoli) lunghi circa 4 mm, con ala allungata.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
Area d’origine: Nordamerica nordorientale.
Habitat: Margini delle forestazioni artificiali, boscaglie aperte.
Distribuzione nel territorio: Planiziale-collinare, veramente naturalizzata soltanto nel varesino. Como (CAS), Lecco (CAS),
Monza e Brianza (CAS), Milano (CAS), Pavia (CAS), Sondrio (CAS), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal principio dell’Ottocento. In Lombardia introdotta per scopi forestali e
già osservata in natura da Pepe (1966) e Zucchetti et al. (1986); è da considerarsi naturalizzata (Conti et al., 2007).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per la sperimentazione selvicolturale, le forestazioni artificiali, l’industria cartiera
alternativa al pioppo e l’uso ornamentale nel verde pubblico e privato.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante dove si riproduce naturalmente. Invece, al di sotto degli impianti artificiali riduce fortemente la
biodiversità, modificando la chimica del suolo e facendo quasi scomparire il sottobosco.
Azioni di contenimento: Evitare gli impianti artificiali.
Bibliografia: Conti et al., 2007; Pepe, 1966; Zucchetti et al., 1986
tuia
orientale
Famiglia: Cupressaceae
Nome scientifico: Platycladus orientalis (L.) Franco
Nome volgare: tuia orientale, albero della vita
Basionimo: Thuja orientalis L.
Sinonimi: Biota orientalis (L.) Endl.
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Albero che può raggiungere 20 m d’altezza, in genere non superante i 12 m, con chioma da conica a largamente
ovata, per lo più ramificato dalla base; rametti complanati in fronde appiattite verticalmente. Foglie squamiformi sempreverdi,
disposte su 4 file, appressato-imbricate, le laterali sovrapposte alle facciali, con apice un po’ appuntito, lunghe 1-3 mm, dotate
di una ghiandola resinifera al centro. Coni maschili giallognoli, ovoidi, lunghi 2-3 mm, i femminili pure ovoidi, eretti, verde
glauco, lunghi circa 5 mm, carnosi; coni seminiferi di 1.5-2.5×1–2 cm, dapprima glauchi, a maturità brunastri, deiscenti in (4-)6
squame portanti all’apice un dente carnoso ricurvo. Semi ovoidi o ellissoidi, di 5-7×3-4 mm.
Periodo di fioritura: marzo-aprile.
Area d’origine: Asia orientale (Cina, Corea e Russia orientale).
Habitat: Rinvenuta spontanea solo su rupi calcaree, calde e assolate, o su muri.
Distribuzione nel territorio: La specie è naturalizzata in alcune località delle province di Varese: Arolo (rupi sul Lago Maggiore),
Caravate (Sasso di Poiano), Gavirate (Parco Morselli) e Laveno Mombello (Sasso del Ferro e Villa Porro); Lecco: Perledo (muro di
contenimento presso la foce del torrente Esino); Brescia. Brescia (NAT), Lecco (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal Settecento; in Lombardia per la prima volta osservata naturalizzata da
Danilo Baratelli (Macchi, 2005).
Modalità d’introduzione: Deliberata (albero da parchi, giardini e cimiteri).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Note: Gli esemplari dei popolamenti naturalizzati raggiungono generalmente un’altezza non superiore a 1-2 m. Da studi genetico-molecolari
è risultato che la tuia orientale, all’interno delle Cupressaceae, appartiene a una propria discendenza (monophylum) assieme ad altri tre generi:
Calocedrus Kurz, Microbiota Komar. e Tetraclinis Mast. Il primo include C. decurrens (Torrey) Florin, dei rilievi degli Stati Uniti occidentali, largamente
impiegato in Lombardia, specialmente nel passato, per alberature stradali, parchi e cimiteri. Presenta fronde appiattite verticalmente, come la
tuia orientale, ma si riconosce per il ritidoma desquamante in lunghe placche, per l’altezza assai maggiore della pianta (fino a 45 m), per le foglie
appaiate in pseudoverticilli, lungamente decorrenti e per i coni seminiferi giallo-verdi a forma di goccia rovesciata, con squame allungate ad apice
poco sporgente. È stato osservato casuale nelle province di Como e Cremona.
Bibliografia: Kleih, 2007; Macchi, 2005
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ninfea da
giardino
Famiglia: Nymphaeaceae
Nome scientifico: Nymphaea ×marliacea
Wildsmith, pro sp.
Nome volgare: ninfea da giardino
Tipo biologico: Hyrad
Descrizione: Erba acquatica perenne con grosso rizoma nodoso, strisciante nel fango, da cui si elevano fino al pelo dell’acqua
i piccioli fogliari e i peduncoli fiorali (riempiti di tessuto aerifero), per lunghezze anche di oltre 1 m. Lamina fogliare rotonda
con seno basale strettamente acuto e profondo, galleggiante sull’acqua con la faccia abassiale (priva di stomi), che è spesso
arrossato-violacea; faccia adassiale (provvista di stomi) verde oliva, lucido-satinata, talora purpurea perifericamente. Fiori
spirociclici, isolati, galleggianti, grandi (diametro fino a 20 cm), spesso odorosi, con perianzio di numerosi segmenti, dei quali i
4-6 prossimali di aspetto più o meno sepaloide, gli altri petaloidi, largamente ovato-concavi, bianchi, rosa, rossi, violacei, gialli
o sfumati in varie combinazioni di colore, secondo la cultivar; stami numerosi, con antere allungate, gialle; ovario semiinfero,
multiovulato. Il frutto, che matura sott’acqua, è un esperidio (come quello degli agrumi), cioè una sorta di bacca con endocarpo
carnoso interrotto da setti longitudinali (“spicchi”); semi globosi, di 2-3 mm.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: Ibrido cultigeno, con progenitori di origine americana ed eurasiatica.
Habitat: Acque ferme a bordura di stagni, anse lacustri e fluviali.
Distribuzione nel territorio: Sinora osservata soltanto all’Oasi le Foppe (Trezzo sull’Adda, MI), Lago di Varese (VA) e Lago
Azzurro (MB). Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia e Lombardia da Gariboldi (2008) e Gariboldi & Beretta
(2008).
Modalità d’introduzione: Deliberata (idrofloricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Sì, laddove può venire a contatto con popolamenti autoctoni di ninfea nostrana (N. alba L.), sottraendo spazio a
quest’ultima e inquinandola geneticamente.
Impatto: Estetico-paesaggistico, genetico.
Azioni di contenimento: Eradicazione.
coda
di lucertola
Famiglia: Saururaceae
Nome scientifico: Saururus cernuus L.
Nome volgare: coda di lucertola
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a circa 1 m, con rizoma lungamente strisciante. Foglie con picciolo di 1-10 cm;
lamina ovale con base cordata e apice acuminato, di 10-15×5-8 cm. Infiorescenza costituita da una spiga cilindrica, da eretta
a incurvata, opposta alle foglie o terminale; perigonio assente; stami in numero di 6-8; carpelli (3-)4, concresciuti alla base. Il
frutto è costituito da 3-4 piccole bacche derivate da un ovario apocarpico (baccario), di colore bruno, di 1.5-3 mm.
Periodo di fioritura: giugno-luglio.
Area d’origine: Nordamerica orientale (costa orientale del Canada e, soprattutto, degli Stati Uniti).
Habitat: Rive dei laghi, in formazioni palustri a elofite.
Distribuzione nel territorio: Presente unicamente nei laghi varesini (Lago di Monate e Lago di Comabbio). Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Lombardia tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, segnalata per la
prima volta in Italia e in Lombardia da Stucchi (1953a).
Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini floricolturali.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Trascurabile.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Bibliografia: Stucchi, 1953a
Note: L’origine di questo ibrido da giardino, che è in realtà un intricato complesso di notocultivar, coinvolge, da un lato, entità nordamericane
quali N. odorata Aiton var. rosea Pursh e N. mexicana Zucc., dall’altro l’autoctona N. alba, che ha distribuzione eurasiatico-nordafricana. L’epiteto
specifico è stato scelto in onore di Joseph Bory Latour-Marliac (1830-1911), ibridatore-selezionatore francese di Nymphaeaceae rustiche, i cui
soggetti ispirarono alcuni tra i più bei quadri di Claude Monet. È curioso -verrebbe da pensare- che una così attiva e ben riuscita selezione orticola
sia stata possibile proprio su un ceppo di piante tanto arcaiche come le ninfee, note per essere tra i fossili viventi più documentati dai moderni
studi in campo evoluzionistico.
Bibliografia: Gariboldi, 2008; Gariboldi & Beretta, 2008
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falso
canforo
Famiglia: Lauraceae
Nome scientifico: Cinnamomum glanduliferum (Wall.) Meisn.
Nome volgare: falso canforo
Basionimo: Laurus glandulifera Wall.
Sinonimi: Camphora glandulifera (Wall.) Nees
Cinnamomum camphora auct., non (L.) J.Presl
Cinnamomum cavaleriei H.Lév. / Laurus camphora auct., non L.
Machilus dominii H.Lév. / Machilus mekongensis Diels
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Albero sempreverde alto fino a 20 m, con chioma larga e maestosa negli esemplari monumentali; ritidoma
grigio-bruno, prima liscio poi profondamente fessurato in verticale, desquamantesi in lamine, rosso-bruno di sotto, con aroma
di canfora. Foglie alterne, con picciolo robusto di 1.5-3(-3.5) cm e lamina ellittica, ovato-ellittica o lanceolata, di 6-15×4-6.5
cm, glaucescente sulla faccia abassiale, verde scuro e lucida su quella adassiale, caratteristicamente penninervia o raramente
subtriplinervia, con 4-5 paia di nervi secondari; foglie dei rami fioriferi più piccole e più coriacee, da puberule a glabrescenti.
Pannocchie fiorifere ascellari, più brevi della corrispondente foglia, lunghe 4-10 cm; peduncoli fiorali di 1-2 mm, glabri; fiori
giallognoli, larghi fino a 3 mm; perianzio pubescente all’interno, con tubo obconico di circa 1 mm e lembo di 6 lobi largamente
ovati, subeguali, acuti, di circa 2×1.7 mm; stami fertili 9 a filamento complanato e antera ovata; staminodi 3, strettamente
triangolari; ovario supero, ovoide. Il frutto è una drupa globosa, nera (diametro di 1 cm), accompagnata alla base da una cupola
(accrescimento carnoso del perianzio) di colore rosso e ondulata al margine.
Periodo di fioritura: aprile-maggio.
Area d’origine: Asia sudorientale.
Habitat: Boscaglie degradate di clima insubrico.
Distribuzione nel territorio: Fascia collinare del varesino. Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa al principio del XVIII secolo. Segnalata per la prima volta in Lombardia
e in Italia da Brusa et al. (2007).
Modalità d’introduzione: Deliberata (vivaistica).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Sì, in quanto si inserisce nelle formazioni boschive dell’Insubria, dove può arrivare a formare uno strato continuo
sempreverde che impedisce il normale sviluppo della componente autoctona.
Impatto: Forte depressione della biodiversità forestale e profonda alterazione del paesaggio (da malacofillo a sclerofillo:
Cerabolini et al., 2008).
Azioni di contenimento: Molto difficili, in quanto l’unica prevenzione efficace consiste in un ripristino vegetazionale delle
comunità forestali autoctone, atto a scoraggiare l’intromissione dell’aliena.
Note: La pianta è diffusa efficientemente dagli uccelli frugivori e può contare su potenti “riserve”, in quanto tradizionalmente coltivata nei parchi
e nei giardini di tutta la regione lacuale insubrica. Nel passato questa specie era stata confusa con il vero canforo (C. camphora), di cui non è
nemmeno certa la presenza colturale nel nostro territorio, che si distingue per la faccia abassiale delle foglie intensamente e persistentemente
glauca anche nel secco e per la nervatura fogliare sempre di tre ordini (triplinervia).
Bibliografia: Brusa et al., 2007; Cerabolini et al., 2008
lenticchia
d’acqua
minuscola
Famiglia: Araceae
Nome scientifico: Lemna minuta Kunth
Nome volgare: lenticchia d’acqua minuscola
Sinonimi: Lemna minima Phil. ex Hegelm.,
non Thuill. ex P.Beauv., nom. illeg.
Lemna minuscula Herter, nom. illeg.
Tipo biologico: Hynat
Descrizione: Pianta acquatica natante, consistente in una semplice lamina riempita di lacune aerifere (per galleggiare), ovatooblunga, di 0.8-4×0.5-2.5 mm, subacuta alle estremità, con faccia superiore un po’ convessa, solitaria o a gruppi di 2-4; sotto
ogni lamina pende una sottile radichetta avvolta da una guaina, che pesca nell’acqua. È visibile sulla pagina superiore una
sola, debole nervatura, estesa tra il punto corrispondente all’inserzione della radichetta e l’apice della lamina. Infiorescenza
piccolissima, prodotta al margine della lamina in una cavità sacciforme, costituita da un fiore maschile ridotto a (1-)2 stami
disuguali in lunghezza (a volte il più breve mancante) e da un fiore femminile consistente in un ovario, entrambi circondati da
una spata. Il frutto è una microscopica bacca contenente 1 seme provvisto di costolature longitudinali.
Periodo di fioritura: aprile-ottobre.
Area d’origine: America temperata e subtropicale.
Habitat: Ambienti acquatici: risaie, rive, stagni, fossi, bracci morti, paludi (canneti e cariceti a grandi carici), pozze in paludi
e acque lente.
Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla fascia planiziale alla montana (0-1˙600 m s.l.m.); la sua diffusione è sicuramente
più ampia di quella conosciuta in quanto è quasi sempre confusa con L. minor L. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV),
Lecco (NAT), Lodi (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV). [L. aequinoctialis: Bergamo (CAS), Cremona
(NAT), Pavia (NAT)] [Landoltia punctata: Brescia (NAT), Pavia (NAT)]
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia e in Lombardia probabilmente nel secolo scorso. Segnalata per la prima volta
da Desfayes (1993), che l’ha osservata dal 1989; in precedenza è sicuramente stata sempre confusa con l’autoctona L. minor.
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Come tutte le lenticchie d’acqua (Araceae subfam. Lemnoideae) prolifera in abbondanza sul pelo dell’acqua,
formando densi ed estesi tappeti monofitici, che riducono la penetrazione della luce e gli scambi gassosi subacquei. Questa
particolare prolificità, che si manifesta soprattutto in acque meso-eutrofiche, deprime la diversità della vegetazione autoctona
galleggiante, sottraendo spazio non solo a L. minor L., L. gibba L. e Spirodela polyrhiza (L.) Schleid., ma anche al lamineto
a Nymphaea alba L., Nuphar lutea (L.) Sm. e Nymphoides peltata (S.G.Gmel.) Kuntze; fatto, questo, che determina anche
un’alterazione del paesaggio.
Azioni di contenimento: Rimozione del tappeto verde natante e relativo, periodico monitoraggio.
Note: Nel territorio è naturalizzata anche la lenticchia d’acqua delle risaie (L. aequinoctialis Welw., incl. L. paucicostata Hegelm.), un’altra neofita
circum(sub)tropicale, di aspetto molto simile all’autoctona L. minor, ma con lamina subrotondo-subovata di colore verde giallastro; segnalata per
la prima volta da Koch (1952) che l’ha raccolta in Lomellina (PV) nel 1951. Da L. minuta si distingue per le dimensioni maggiori (2-5 mm), per 3
nervature visibili sulla lamina e per la radice ad apice acuto e guaina provvista di 2 espansioni alari. L. perpusilla Torr., invece, è specie endemica
del Nordamerica centrale e orientale ed è da escludere dal continente europeo (Landolt, 1986), sebbene segnalata anche di recente (es. Desfayes,
2005). Le differenze morfologiche tra queste ultime due specie sono minime, ma la loro distinzione è ben pronunciata sul piano ecologico (Landolt,
1986; Crawford et al., 2002), allozimico (Crawford et al., 2002) e del DNA (Les et al., 2002). In Lombardia si trova pure Landoltia punctata (G.Mey.) Les
& D.J.Crawford (= Lemna p. G.Mey., = Spirodela p. (G.Mey.) C.H.Thomps., = Lemna oligorrhiza Kurz, = Spirodela o. (Kurz) Hegelm.; lenticchia d’acqua
occidentale), specie tropicale (emisfero australe e Asia orientale) segnalata per la prima volta da Pignatti (1955), riconoscibile per la presenza di
più radici, come in Spirodela. Da quest’ultimo genere, però si distingue per le fronde 1½-2 volte più lunghe che larghe (1-1½ in Spirodela) con
(3-) 5-7 nervi (7-16(-21) in Spirodela) e (1-)2-7(-12) radici (7-21 in Spirodela). È una specie altamente polimorfa e Spirodela oligorrhiza non appare
distinta da essa (Landolt, 1986).
Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Crawford et al., 2002; Desfayes, 1993, 1997; Desfayes, 2005; Frattini, 2008; Giordana, 1995; Koch, 1952; Landolt,
1986; Les et al., 2002; Pignatti, 1955; Zanotti, 2000
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lenticchietta
d’acqua
Famiglia: Araceae
Nome scientifico: Wolffia arrhiza (L.) Horkel ex Wimm.
Nome volgare: lenticchietta d’acqua
Basionimo: Lemna arrhiza L.
Tipo biologico: Hynat
Descrizione: Pianta acquatica natante ridotta a una lamina ovoide, semiglobosa, della dimensione massima di 0.5-1.2 mm (è la
più piccola spermatofita della flora europea), piana e verde scuro sulla faccia superiore, convessa e giallastra su quella inferiore,
priva di radici. La riproduzione avviene unicamente per via vegetativa, con formazione a catena di 1-2 gemme marginali per
lamina.
Periodo di fioritura: Non fiorisce in clima temperato a causa del fotoperiodo (pianta brevidiurna); riproduzione
esclusivamente vegetativa.
Area d’origine: Paleotropica.
Habitat: Risaie, canali artificiali, stagni ed acque lente oligotrofe.
Distribuzione nel territorio: Dalla fascia planiziale a quella collinare (0-300 m s.l.m.). Brescia (NAT), Cremona (NAT), Monza
e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia all’inizio del Settecento. Segnalata per la prima volta presso Firenze
(Micheli, 1729), in Lombardia è stata riportata da Arcangeli (1894) a Bernareggio (MI).
Modalità d’introduzione: Imprecisabile, sebbene probabilmente accidentale con il trasferimento di piante acquatiche.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante, anche se può formare popolamenti clonali massivi.
Azioni di contenimento: Monitoraggio periodico (annuale) per valutare l’evoluzione demografica delle popolazioni sul
territorio; eventuale raccolta con appositi strumenti (setaccio con maglie di 120 μm).
Bibliografia: Arcangeli, 1894; Landolt, 1986; Micheli, 1729
sagittaria
americana
Famiglia: Alismataceae
Nome scientifico: Sagittaria latifolia Willd.
Nome volgare: sagittaria americana,
sagittaria a foglie larghe
Sinonimi: Sagitta latifolia (Willd.) Nieuwl.
Sagittaria esculenta Howell
Sagittaria hastata Pursh
Sagittaria variabilis Engelm.
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a circa 1 m; stoloni presenti. Foglie emerse lunghe 6-50 cm; picciolo triangolare;
lamina sagittata, 1.5-30×2-17 cm, con lobi basali lunghi quanto o poco meno il resto della lamina. Infiorescenza emersa, 4.538×4-23 cm, composta da un racemo di 3-9 verticilli di fiori unisessuali (i maschili solitamente apicali all’infiorescenza); fiori
con diametro di 3-4 cm; sepali patenti sino a riflessi; petali completamente bianchi. Frutto costituito da una testa di acheni di
forma oblanceolata e rostrati.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: America (dall’Alaska sino all’Ecuador).
Habitat: Specie tipica di ambienti palustri (laghi, stagni, canali irrigui in fase di interramento, ecc.), dove cresce soprattutto in
prossimità delle rive o in acque poco profonde.
Distribuzione nel territorio: Sembra avere la principale distribuzione nella pianura occidentale (50-300 m s.l.m.), mentre è
più rara a oriente. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Milano (INV), Pavia (NAT), Varese (INV). [S. platyphylla: Varese (EST).]
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Lombardia tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, naturalizzata almeno
dal 1940 (Stucchi, 1950).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per idrofloricoltura.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Negli ultimi anni ha avuto un’impressionante diffusione, soprattutto nel bacino del Lago di Varese, dove ha invaso il
canneto in presenza di una falda affiorante. È inoltre infestante all’interno dei canali irrigui.
Azioni di contenimento: Dato il tipo di ambiente che invade e la presenza frammista ad altre specie, il contenimento di
questa specie risulta assai problematico. Negli ambienti naturali si suggerisce pertanto un’azione immediata, eradicando ogni
singola nuova popolazione prima che questa si consolidi e si espanda nell’area di neo-invasione.
Note: Questa specie esotica può essere confusa l’autoctona S. sagittifolia L., oggi divenuta assai rara, che si distingue per le foglie emerse più
piccole (5-10×1-2 cm), i fiori più piccoli (diametro di 1.5-2 cm) e per i petali con una macchia rossastra alla base. Segnalata in passato (Stucchi,
1953a) per il territorio lombardo (Lago di Comabbio a Varano Borghi, VA) anche S. platyphylla (Engelm.) J.G.Sm. (= Sagittaria graminea Michx.
var. platyphylla Engelm., = Sagittaria mohrii J.G.Sm. ex C.Mohr; sagittaria centroamericana), che si distingue dalle congeneri per le foglie emerse
lanceolate e i fiori minuti (diametro di 0.8-1.5 cm); la presenza di quest’ultima specie non è stata di recente confermata ed è quindi da considerarsi
estinta in Lombardia.
Bibliografia: Stucchi, 1950, 1953a, 1953b
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peste
d’acqua
maggiore
Famiglia: Hydrocharitaceae
Nome scientifico: Egeria densa Planch.
Nome volgare: peste d’acqua maggiore
Sinonimi: Anacharis densa (Planch.) Vict.
Elodea densa (Planch.) Casp.
Philotria densa (Planch.) Small
Tipo biologico: Hyrad
Descrizione: Erba acquatica con fusti sommersi, ramosi, fogliosi su tutta la lunghezza, in particolare nella parte distale,
più robusta delle simili Elodea canadensis ed E. nuttallii (vedi schede). Foglie di 10-40×1.5-4.5 mm, verticillate a 4-6. Fiori
unisessuali (pianta dioica: da noi solo individui maschili) bianchi, con diametro di 1.5-2 cm, con perianzio di 6 elementi in 2
verticilli, gli interni bianchi. Frutto non osservato; la propagazione, come per Elodea canadensis ed E. nuttallii, avviene solo per
via vegetativa.
Periodo di fioritura: settembre.
Area d’origine: Sudamerica.
Habitat: Canali, stagni, anse lacustri, acque ferme.
Distribuzione nel territorio: Prevalentemente in ambito planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco
(NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Italia e in Lombardia nella prima metà del secolo scorso, osservata presso Angera
dal 1947 (Koch, 1950; Giacomini, 1950).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per idrofloricoltura e per acquari.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Apparentemente no.
Impatto: Limitato.
Azioni di contenimento: La lotta per il controllo delle specie acquatiche è difficile: per via meccanica si deve
intervenire in estate, ma il miglior approccio è la prevenzione. Acquistando piante per stagni e acquari, è più
corretto puntare su specie indigene ed è necessario che questo principio si affermi nel pensare comune; gli
acquari che contengono acquatiche aliene non devono essere mai svuotati direttamente nei laghi o nei fiumi,
ma su un supporto asciutto e ben esposto al sole, lontano da possibili convogliamenti verso corpi d’acqua.
Risulta invasiva negli Stati Uniti meridionali, pertanto va tenuta sotto monitoraggio.
Bibliografia: Giacomini, 1950; Koch, 1950; Pirola, 1964a; Wolff, 1980
peste
d’acqua
comune
Famiglia: Hydrocharitaceae
Nome scientifico: Elodea canadensis Michx.
Nome volgare: peste d’acqua comune
Sinonimi: Anacharis canadensis (Michx.) Planch.
Udora canadensis (Michx.) Nutt.
Tipo biologico: Hyrad
Descrizione: Erba acquatica con fusti sommersi, ramosi, fogliosi su tutta la lunghezza, in particolare nella parte distale. Foglie
verticillate a 3(-4), rigidette e un po’ arcuate, oblungo-lineari, lunghe 5-10 mm, con apice da largamente acuto a ottuso,
larghe 1.1 ± 0.03 mm (misura da prendere 0.5 mm al di sotto dell’apice). Fiori unisessuali (pianta dioica: da noi solo individui
femminili), i maschili sessili, in spata oblungo-lineare di 1-13 mm, i femminili larghi 4-5.5 mm, su peduncoli capillari di 1-2 cm,
con perianzio di 6 elementi in 2 verticilli, gli interni bianchi; stimmi 3, bilobi, porporini. Frutto non osservato; la propagazione
avviene solo per via vegetativa.
Periodo di fioritura: giugno-luglio.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Acque correnti, stagni, laghi.
Distribuzione nel territorio: Soprattutto in ambito planiziale. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (NAT), Lodi
(INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Nella prima metà dell’800 vennero introdotte in Europa delle piante femminili; il professor Agostini
la ebbe a Mantova da Altona nel 1866 e da qui la spedì all’Orto Botanico di Padova nel 1867. Da allora si naturalizzò in tutta
Italia: nel 1873 nel veronese, nel 1879 a Mantova dove fu introdotta per «purgare le acque malsane» (Paglia, 1879), nel 1886
nel pavese, dove era coltivata nell’Orto botanico (Bozzi, 1888) e nel 1891 a Padova; in seguito venne osservata nel bresciano
(da dopo il 1892: Ugolini, 1897, 1921), nel Lago di Garda (1894) e in Val d’Adige (1898); verso il 1900 comparve sul Lago
Maggiore e nel Napoletano, nel 1906 veniva riferita abbondante intorno a Treviso e nel 1909 nel Lago di Como, prima del 1920
comparve nel Pisano, nella pianura romagnola e nelle Paludi Pontine.
Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini idrofloricolturali.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Localmente può andare incontro ad esplosioni demografiche, a scapito della flora acquatica indigena, con
conseguente perdita di biodiversità. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio,
contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10 / 2008 della Lombardia.
Azioni di contenimento: La lotta per il controllo delle specie acquatiche è difficile: per via meccanica si deve intervenire
in estate, ma il miglior approccio è la prevenzione. Acquistando piante per stagni e acquari, è più corretto puntare su specie
indigene ed è necessario che questo principio si affermi nel pensare comune; gli acquari che contengono elodea o altre
acquatiche aliene non devono essere mai svuotati direttamente nei laghi o nei fiumi, ma su un supporto asciutto e ben
esposto al sole, lontano da possibili convogliamenti verso corpi d’acqua.
Note: Negli anni ’50 dello scorso secolo era un’inquilina comunissima della pianura lombardo-piemontese, tanto da costringere gli agricoltori a
costosi lavori di espurgo dei canali d’irrigazione. Già a partire dagli anni ’80, invece, ebbe inizio un regresso causato probabilmente dall’eutrofizzazione
delle acque interne o da un’infezione parassitica, o anche dall’interazione di entrambe le cause. Oggi è in ripresa, ma in competizione con la
congenere E. nuttallii, che si differenzia per le foglie con apice da strettamente acuto ad acuminato, larghe 0.4 ± 0.02 mm (misura da prendere 0.5
mm al di sotto dell’apice) (Simpson, 1988). A tutt’oggi non sembrano essere stati mai introdotti cloni maschili della pianta.
Bibliografia: Bozzi, 1888; Paglia, 1879; Simpson, 1988; Ugolini, 1897, 1921; Wolff, 1980
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peste
d’acqua
di Nuttall
Famiglia: Hydrocharitaceae
Nome scientifico: Elodea nuttallii (Planch.) H.St.John
Nome volgare: peste d’acqua di Nuttall
Basionimo: Anacharis nuttallii Planch.
Sinonimi: Anacharis callitrichoides auct., non Rich.
Elodea callitrichoides auct., non (Rich.) Casp.
Elodea ernstiae auct., non H.St.John
Philotria nuttallii (Planch.) Rydb.
Tipo biologico: Hyrad
Descrizione: Erba acquatica con fusti sommersi, ramosi, fogliosi su tutta la lunghezza, in particolare nella parte distale. Foglie
verticillate a 3, sessili, intere, lanceolate, appuntite e ricurve all’estremità, vagamente ritorte, color verde chiaro; sono lunghe
circa 10 mm, con apice da strettamente acuto ad acuminato, larghe 0.4 ± 0.02 mm (misura da prendere 0.5 mm al di sotto
dell’apice). Fiori unisessuali (pianta dioica) di 3-5 mm di diametro, con perianzio di 6 segmenti violetti.
Periodo di fioritura: giugno-luglio.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Acque correnti, stagni, laghi.
Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla pianura alla montagna; è tra le specie esotiche che raggiungono le maggiori
altitudini (Galasso & Banfi, 2009), arrivando sino a 1˙885 m s.l.m. nei Laghetti di Bruffione e a 1˙890 m nel Laghetto di Mignolo
superiore, entrambi nel gruppo dell’Adamello (BS). Bergamo (NAT), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (NAT), Lodi (INV),
Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombardia da Desfayes (1995) che la raccolse nel 1989 a
Crone (comune di Idro) sul Lago d’Idro (BS); secondo lo stesso autore la precedente segnalazione di E. canadensis di Béguinot
(1931) per il medesimo lago potrebbe essere ricondotta a E. nuttallii, anche se, secondo noi, nel frattempo potrebbe essere
stata sostituita dalla nuova esotica analogamente a quanto avvenuto in altri corpi d’acqua.
Modalità d’introduzione: Deliberata, per commercio ortofloricolo (laghetti, acquari ecc.).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Localmente può andare incontro ad esplosioni demografiche, a scapito della flora acquatica indigena, con
conseguente perdita di biodiversità. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio,
contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10 / 2008 della Lombardia.
Azioni di contenimento: La lotta per il controllo delle specie acquatiche è difficile: per via meccanica si deve intervenire
in estate, ma il miglior approccio è la prevenzione. Acquistando piante per stagni e acquari, è più corretto puntare su specie
indigene ed è necessario che questo principio si affermi nel pensare comune; gli acquari che contengono elodea o altre
acquatiche aliene non devono essere mai svuotati direttamente nei laghi o nei fiumi, ma su un supporto asciutto e ben
esposto al sole, lontano da possibili convogliamenti verso corpi d’acqua.
Note: Si incontrano due fenotipi, spesso conviventi o persino presenti sulla medesima pianta, uno con foglie corte e ricurve, l’altro con foglie
lunghe e piane o ± ritorte. Quest’ultimo in Europa (es. Wolff, 1980; Vanderpoorten et al., 2000) è stato a volte interpretato appartenere a un’altra
specie, E. callitrichoides (= E. ernstiae); tuttavia, indagini morfologiche accurate e analisi del DNA (AFLP) hanno mostrato come questi due fenotipi
siano entrambi espressioni di E. nuttallii (Vanderpoorten et al., 2000). Spesso confusa con E. canadensis, che si differenzia per le foglie con apice da
largamente acuto a ottuso, larghe 1.1 ± 0.03 mm (misura da prendere 0.5 mm al di sotto dell’apice) (Simpson, 1988).
peste
d’acqua
arricciata
Famiglia: Hydrocharitaceae
Nome scientifico: Lagarosiphon major (Ridl.) Moss
Nome volgare: peste d’acqua arricciata
Basionimo: Lagarosiphon muscoides Harv. var. major Ridl.
Tipo biologico: Hyrad
Descrizione: Erba acquatica con fusti cilindrici (diametro 2-3 mm) sommersi, ramosi. Foglie lineari, traslucide, verde scuro,
lunghe 20-30 mm, con due minute squame nodali, con margine intero, ottuse, fortemente arcuato-ricurve, conferenti un
caratteristico aspetto arricciato alle fronde, le inferiori in file elicoidali, le superiori verticillate a 4 o più. Pianta dioica, con
infiorescenze avvolte in spate tubulose, ascellari, sessili, le maschili multiflore, le femminili 1(-3)-flore; fiori con 3 sepali e 3
petali subeguali; i maschili, all’apertura della spata, distaccantisi e galleggianti sull’acqua (come in Vallisneria) con 3 stami e 3
staminodi; i femminili con ovario sessile all’interno della spata, prolungato all’apice in 3 stili bifidi, liberi.
Periodo di fioritura: agosto-settembre.
Area d’origine: Africa tropicale e subtropicale.
Habitat: Canali, acque stagnanti, laghi.
Distribuzione nel territorio: In ambito planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (INV), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT),
Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT). [Blyxa japonica: Pavia (NAT).] [Vallisneria americana: Brescia (NAT), Milano (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia e in Lombardia nel 1947 sul Lago Maggiore ad Angera
da Koch (1950).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per piante d’acquario e da giardinaggio palustre.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Localmente può andare incontro ad esplosioni demografiche, a scapito della flora acquatica indigena, con
conseguente perdita di biodiversità.
Azioni di contenimento: La lotta per il controllo delle specie acquatiche è difficile: per via meccanica si deve intervenire
in estate, ma il miglior approccio è la prevenzione. Acquistando piante per stagni e acquari, è più corretto puntare su specie
indigene ed è necessario che questo principio si affermi nel pensare comune; gli acquari che contengono acquatiche aliene
non devono essere mai svuotati direttamente nei laghi o nei fiumi, ma su un supporto asciutto e ben esposto al sole, lontano
da possibili convogliamenti verso corpi d’acqua.
Note: Fa parte di quel contingente alieno tropicale capace di oltrepassare abbondantemente il confine della zona temperata. Alle Hydrocharitaceae
appartengono altre due aliene naturalizzate nel nostro territorio: Blyxa japonica (Miq.) Maxim. ex Asch. & Gürke (= Hydrilla j. Miq.; peste d’acqua
giapponese) e Vallisneria americana Michx. (vallisneria americana). La prima, segnalata per le risaie pavesi da Pirola (1964b), si riconosce per le
foglie piane (non arcuate), con margine minutamente denticolato. La seconda, segnalata da Frattini (2008) per la pianura bresciana dove è nota
da oltre un decennio, ma presente anche a Milano nel Naviglio della Martesana, è simile all’autoctona Vallisneria spiralis L., ma maggiore: le foglie
possono giungere a 1.1 m.
Bibliografia: Koch, 1950; Frattini, 2008; Pirola, 1964a, 1964b; Stucchi, 1953b; Wolff, 1980
Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Galasso & Banfi, 2009; Bonali et al., 2006a; Béguinot, 1931; Desfayes, 1995; Simpson, 1988; Vanderpoorten
et al., 2000; Wolff, 1980; Zanotti, 2000
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ranocchina
delle risaie
Famiglia: Hydrocharitaceae
Nome scientifico: Najas gracillima
(A.Braun ex Engelm.) Magnus
Nome volgare: ranocchina delle risaie
Basionimo: Najas indica (Willd.) Cham. var. gracillima
A.Braun ex Engelm.
Sinonimi: Najas japonica Nakai
Tipo biologico: Hyrad
Descrizione: Pianta erbacea perenne, con fusti lunghi fino a 50 cm; internodi lunghi 0.2-0.7 mm, privi di spinule. Foglie lineari,
opposte o verticillate, da eretto-patenti a decisamente patenti, lunghe 0.5-3 cm; guaina larga 0.5-1.5 mm, con apice troncato,
dotato di un brevissimo mucrone (minore di 0.3 mm); lamina larga 0.1-0.5 mm, margine con 13-17 denti per lato, apice acuto
con 2-3 denti. Fiori unisessuali, ascellari, in numero di 1-3, maschili e femminili sullo stesso individuo (pianta monoica); i
maschili di circa 1.5-2 mm, i femminili di 0.5-3 mm. Frutti diritti, affusolati, di 2-3.2×0.4-0.7 mm, bruno chiaro; stilo peristente,
inserito lateralmente all’apice del frutto.
Periodo di fioritura: giugno-luglio.
Area d’origine: Presumibilmente Asia orientale (Cina e Giappone).
Habitat: Risaie e relativi canali adacquatori, dove vive sommersa in acque poco profonde.
Distribuzione nel territorio: In pianura, dalla Lomellina al lodigiano. Lodi (NAT), Milano (NAT), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia (Lomellina) da Koch (1952), che la
vide nel 1951.
Modalità d’introduzione: Accidentale, con il riso.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Sì, per la risicoltura.
Impatto: È soprattuto una malerba, che infesta le risaie nel periodo di allagamento.
Azioni di contenimento: Eventuale diserbo selettivo in risaia.
Note: Riconoscibile dalle congeneri per la posizione eccentrica dello stilo all’apice del frutto. Sulla base dei soli caratteri vegetativi, questa specie
può essere confusa con alcune congeneri, come N. graminea (vedi scheda), che differisce per la guaina fogliare terminante in due evidenti lacinie
lunghe sino a 2 mm, ma soprattutto l’autoctona N. minor All., assai più robusta e con foglie macroscopicamente dentate (denti poco apprezzabili
in N. gracillima).
Bibliografia: Koch, 1952; Pirola, 1964b; Triest, 1988
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ranocchina
tropicale
Famiglia: Hydrocharitaceae
Nome scientifico: Najas graminea Delile
Nome volgare: ranocchina tropicale
Sinonimo: Caulinia alagnensis Pollini
Caulinia graminea (Delile) Batt.
Caulinia graminea (Delile) Tzvelev, comb. superfl.
Caulinia microphylla Nocca, non Nocca & Balb., nom. illeg.
Najas alagnensis (Pollini) Pollini
Najas microphylla Rchb.
Tipo biologico: Hyrad
Descrizione: Pianta erbacea perenne, con fusti lunghi fino a 35 cm; internodi lunghi 0.4-1.9 mm, privi di spinule. Foglie
lineari, opposte o verticillate, da eretto-patenti a decisamente patenti, lunghe 0.8-2 cm; guaina larga 1-1.5 mm, con apice
terminante in due lacinie lunghe sino a 2 mm; lamina larga 0.5-1 mm, con margine portante sino a 40 denti per lato ed apice
acuto 2-3-dentato. Fiori unisessuali, ascellari, in numero di 1-2, maschili e femminili sullo stesso individuo (pianta monoica);
i maschili larghi 2-3 mm, i femminili sino a 3.5 mm. Frutti diritti, fusiformi, di 1.7-2.5×0.4-0.6 mm, bruno-verdastri; stilo
persistente, in posizione centrale all’apice del frutto.
Periodo di fioritura: giugno-luglio.
Area d’origine: Asia sudorientale (dall’India alle Filippine).
Habitat: Risaie, canali.
Distribuzione nel territorio: Planiziale. Brescia (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia da Pollini (1814), che la descrisse come specie nuova
delle risaie lomelline di Alagna (PV). In seguito, in Lombardia è stata segnalata da Reichenbach (1831) a Milano e da Cesati et
al. (1871) alla Merlata (località alle porte di Milano: Banfi & Galasso, 1998); le indicazioni per il mantovano di Bertoloni (1854) e
di Masè (1868), riprese da Paglia (1879), sono entrambe erronee e da ricondurre a N. minor (Parlatore, 1860; Cesati et al., 1871).
Modalità d’introduzione: Accidentale, con il riso.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Ambientalmente no, ma può costituire un problema per la risicoltura.
Impatto: Debole, in risaia.
Azioni di contenimento: Eventuale diserbo selettivo in risaia.
Note: Appartiene al contingente floristico sudestasiatico, che, assieme a una minore porzione di quello nordamericano, caratterizza l’ambiente
di risaia.
Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Bertoloni, 1854; Cesati et al., 1871; Ciferri et al. 1949; Masè, 1868; Paglia, 1879; Parlatore, 1860; Pirola, 1964b;
Pollini, 1814; Reichenbach, 1831; Triest, 1988
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falsa
mestolaccia
Famiglia: Hydrocharitaceae
Nome scientifico: Ottelia alismoides (L.) Pers.
Nome volgare: erba-coltella delle risaie,
falsa mestolaccia
Basionimo: Stratiotes alismoides L.
Sinonimi: Ottelia japonica Miq.
Tipo biologico: Hyrad
Descrizione: Pianta erbacea acquatica annuale, alta 20-40 cm, con radici fascicolate. Foglie con picciolo di 8-13 cm, a sezione
triangolare e lamina ovato-cordata di 9-17×7-16 cm, spesso arrossata, a margine intero, con 7-11 nervi longitudinali collegati
da sottili nervature trasversali secondarie. Fiori solitari, emersi su peduncoli di 5-40 cm, involucrati da una spata derivante
da due brattee fuse, che presenta ali longitudinali ondulate; perianzio a 3 sepali strettamente triangolari, di 10-15×3-4 mm
e 3 petali ovato-subrotondi di 15-20×12-18 mm, bianchi soffusi di azzurro; stami 3; ovario supero, triloculare. Il frutto è una
capsula loculicida a tre valve.
Periodo di fioritura: agosto-settembre.
Area d’origine: Asia sudorientale.
Habitat: Risaie.
Distribuzione nel territorio: Lomellina. Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia nel 1950 in Piemonte e probabilmente giunta prima del
1947 (Fenaroli, 1952; Koch, 1952; Piacco, 1952). In Lombardia segnalata inizialmente da Pirola (1964b), in seguito da Pesce et
al. (1975) e Desfayes (2005).
Modalità d’introduzione: Accidentale (con la flora risicola).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
tulipano
di Clusius
Famiglia: Liliaceae
Nome scientifico: Tulipa clusiana DC.
Nome volgare: tulipano di Clusius
Tipo biologico: Gbulb
Descrizione: Pianta erbacea perenne con bulbo provvisto di tuniche internamente lanose. Foglie 2-5, lineari, di circa 30×1
cm, glauche. Scapo unifloro, eccezionalmente bifloro; fiori di aspetto stellato, con perianzio di 6 segmenti su due verticilli,
ovato-acuti, gradualmente ristretti verso l’apice, bianchi o crema, esternamente rosso carminio sfumato fino al bianco verso i
margini. Androceo di 6 stami con filamento allargato alla base e antera basifissa, introrsa; ovario supero, allungato, con stimma
apicale sessile. Frutto a capsula loculicida, trivalve, contenente numerosi semi bruni, appiattiti.
Periodo di fioritura: aprile-giugno.
Area d’origine: Medio Oriente (Siria, Persia).
Habitat: Vigneti, incolti, margini erbosi, mura.
Distribuzione nel territorio: Planiziale-collinare, nella Lombardia centro-orientale. Bergamo (NAT), Brescia (CAS), Milano
(CAS), Mantova (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta e coltivata a Firenze nel 1606 (Ugolini, 1921). In Lombardia segnalata da Zersi
(1871) per Bergamo, Ugolini (1921) per il bresciano dal 1877, Paglia (1879) per il mantovano, Rodegher & Venanzi (1894)
ancora per Bergamo, nella medesima località in cui è stata nuovamente raccolta nel 2006 da Perico (2006).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per uso ornamentale da giardino.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Nullo.
Bibliografia: Paglia, 1879; Perico, 2006; Rodegher & Venanzi, 1894; Ugolini, 1921; Zersi, 1871
Bibliografia: Desfayes, 2005; Fenaroli, 1952; Koch, 1952; Pesce et al., 1975; Piacco, 1952; Pirola, 1964b
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tulipano
precoce
Famiglia: Liliaceae
Nome scientifico: Tulipa raddii Reboul
Nome volgare: tulipano precoce
Sinonimi: Tulipa praecox Ten., nom. illeg.
giglietto
blu
Famiglia: Iridaceae
Nome scientifico: Sisyrinchium montanum Greene
Nome volgare: giglietto blu
Sinonimi: Sisyrinchium angustifolium auct., non Mill.
Sisyrinchium bermudianum auct., non L.
Tipo biologico: Gbulb
Descrizione: Pianta erbacea perenne con bulbo ricoperto di tuniche, che sulla faccia interna (adassiale) presentano una fitta
cotonosità biancastra. Foglie 3-5, da lanceolate a oblanceolate, glauche, le inferiori fino a 35×7 cm. Scapo unifloro, alto fino
a 65 cm; fiore con perianzio di 6 segmenti su due verticilli, di cui i 3 esterni da ovati a ellittici, lunghi 4-10 cm, i 3 interni ovati,
lunghi non oltre 7 cm; tutti i segmenti di un bel rosso aranciato con stria mediana verde all’esterno, nell’insieme delimitanti
all’interno un’area centrale circolare bruno-verdastra, orlata di giallo vivo; stami 6 con filamento allargato verso la base e antera
basifissa, introrsa; ovario tricarpellare, supero, espanso apicalmente in uno stimma sessile. Il frutto è una capsula loculicida a 3
valve, con semi appiattiti, impilati in colonne uno sull’altro.
Periodo di fioritura: aprile-maggio.
Area d’origine: Medio Oriente (Siria, Asia minore).
Habitat: Incolti soleggiati, vigneti.
Distribuzione nel territorio: Planiziale-collinare, nella Lombardia centro-orientale. Bergamo (EST), Brescia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia dal principio dell’Ottocento. Segnalata per la Lombardia da Zersi (1871).
Presente nei vigneti del limitrofo Appennino alessandrino nei pressi di Tortona, è da ricercarsi nell’Oltrepo pavese.
Modalità d’introduzione: Deliberata, per uso ornamentale da giardino.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Paesaggistico: rende gradevoli i vigneti condotti coi metodi tradizionali (inerbimento, vangatura) nei quali ancora cresce.
Tipo biologico: Grhiz
Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a 50 cm, cespitosa, dotata di rizomi sottili. Fusto semplice, alato, largo
1.5-4 mm. Foglie generalmente tutte basali, larghe 2-3 mm e lunghe la metà del fusto ed oltre. Infiorescenze composte
normalmente da un singolo fiore; tepali in numero di 6, patenti a stella, appena saldati alla base, ellittici, 6-8×3-5 mm, bluviola con una macchia gialla alla base. Frutto costituito da una capsula globosa oppure obovoide, 4-7 mm; semi da globosi
ad obconici, 1-1.5 mm.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
Area d’origine: Nordamerica (tra Canada e Stati Uniti).
Habitat: Luoghi prativi umidi.
Distribuzione nel territorio: Altoplaniziale-collinare, nella Lombardia occidentale. Milano (CAS), Sondrio (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia probabilmente nel XVII secolo; osservata spontanea in Germania sin dal
1841 e raccolta per la prima volta in Italia nel 1904 in Piemonte (Mattirolo, 1919). In Lombardia segnalata per la prima volta
da Stucchi (1949b), che riporta un dato del sacerdote Carlo Cozzi del 1943 per la linea del tram tra Samarate e Gallarate (VA),
e da Giacomini (1950) per Milano.
Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Nessuno.
Bibliografia: Zersi, 1871
Note: Indicata nelle flore italiane e straniere ora come S. “bermudiana” ora come S. angustifolium, si tratta in realtà di una specie la cui identità
non corrisponde né all’uno né all’altro binomio; in effetti tutte e tre le entità afferiscono a un gruppo difficile, nel quale i singoli componenti si
differenziano per caratteri minuti di significato sistematico non ancora pienamente chiarito. S. montanum, tuttavia, si distingue agevlmente per il
fusto non ramificato (Ward, 1968; Parent, 1980; Choleva & Henderson, 2002).
Bibliografia: Choleva & Henderson, 2002; Giacomini, 1950; Mattirolo, 1919; Parent, 1980; Stucchi, 1949b; Ward, 1968
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giglio di
San Giuseppe
Famiglia: Hemerocallidaceae
(= Xanthorrhoeaceae subfam. Hemerocallidoideae)
Nome scientifico: Hemerocallis fulva (L.) L.
Nome volgare: giglio di San Giuseppe,
emerocallide comune
Basionimo: Hemerocallis lilioasphodelus L. var. fulva L.
Tipo biologico: Grhiz
Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 50-120 cm, con rizoma sotterraneo sviluppato e radici dotate di rigonfiamenti
fusiformi, biancastri, lunghi 1-2 cm; scapi fioriferi eretti, robusti, afilli, ramificati in alto. Foglie tutte basali, nastriformi-scanalate,
di 30-50×2-3 cm. Infiorescenza terminale, costituita da due ramificazioni cimose, subeguali, per un totale di 5-8 fiori inodori;
peduncoli di 1 cm; segmenti del perianzio 6 in 2 verticilli, saldati alla base in un breve tubo giallo, fulvo-aranciati, gli esterni
oblungo-lanceolati, larghi circa 2 cm, gli interni obovato-spatolati, larghi 3 cm, con vistose venature anastomosate. Stami 6,
ricurvi verso l’alto come pure lo stilo (pista di atterraggio degli impollinatori), con antere dorsifisse, introrse; ovario supero,
triloculare. Il frutto non si forma per motivi di sterilità.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
Area d’origine: Asia orientale (Cina).
Habitat: Fossi e ripe.
Distribuzione nel territorio: Ovunque, in ambito planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT),
Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia da metà del Cinquecento.
Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Contenuto.
Note: Il corredo cromosomico triploide (2n = 33) e la conseguente sterilità della pianta, fanno pensare che essa abbia avuto origine in tempi
remoti, in Cina, dall’ibridazione di due specie sin qui non identificate. Fu certamente la prima emerocallide esotica ad essere introdotta in Europa,
dove presto sfuggì alla coltivazione grazie a un’elevata efficienza propagativa e alla capacità di sostenere la competizione nel contesto delle
comunità vegetazionali in cui si insedia.
agave
Comune
Famiglia: Agavaceae
(= Asparagaceae subfam. Agavoideae)
Nome scientifico: Agave americana L.
Nome volgare: agave comune,
agave americana, pitta, zammara, zabbara
Tipo biologico: Pros
Descrizione: Pianta robusta, rizomatosa, con una rosetta principale di grandi foglie rigide e carnose, lineari-lesiniformi,
larghe e lunghe fino a 180×30 cm, semicilindrico-concave nel profilo, di norma grigie, talvolta verde scuro marginate di giallo
(cv. ‘Marginata’); i margini sono armati di robuste spine lunghe circa 1 cm e una spina più lunga segna l’apice della foglia.
Possono essere presenti rosette fogliari secondarie più piccole attorno alla rosetta principale. L’infiorescenza, unica, centrale,
è costituita da uno scapo molto robusto, a pieno sviluppo alto fino 5 m, con ramificazioni fiorifere sovrapposte a piramide
su piani orizzontali. Fiori eretti, a 6 tepali giallognoli lunghi 5 cm, profumati e ridondanti di nettare; stami 6, lungamente
sporgenti, ovario infero. Il frutto è una capsula obovoide di 4 cm contenente semi molto leggeri, neri e appiattiti. La fioritura
avviene intorno ai 20-30 anni di vita della pianta; mentre i frutti maturano, la rosetta fogliare secca e muore (apaxantìa), ma,
contrariamente a quanto riporta un luogo comune, la pianta continua benissimo a vivere sviluppando una delle rosette
secondarie, che prende il posto di quella morta.
Periodo di fioritura: (giugno-)luglio-agosto(-settembre).
Area d’origine: Mesoamerica.
Habitat: Pareti rocciose verticali, gradoni, pendii aridi soleggiati e riparati.
Distribuzione nel territorio: Zona dei grandi laghi, in clima submediterraneo, soprattutto nel settore orientale: lungo le
coste del Lago di Garda, più raramente d’Iseo, di Como e del Verbano. Brescia (NAT), Como (NAT), Lecco (NAT), Varese (NAT).
[A. salmiana: Brescia (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta sicuramente prima del 1747, anno in cui Roncalli Parolino la indica naturalizzata.
Ugolini (1921) e Giacomini (1950) riportano numerose notizie storiche.
Modalità d’introduzione: Acclimatazione sperimentale in orti botanici e successiva diffusione come ornamentale.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Di rilevanza paesaggistica.
Note: A. salmiana Otto ex Salm-Dyck (= A. ferox K.Koch, = A. salmiana Otto ex Salm-Dyck var. ferox (K.Koch) Gentry; agave feroce), del Messico
centrale, raramente presente nei giardini della stessa area e solo occasionalmente sfuggita alla coltura (Banfi & Galasso, 2005) lungo le rupi del
Lago di Garda, si distingue per il colore verde-bronzo del fogliame, per le foglie più tozze e prossimalmente più allargate e per le spine più lunghe
e robuste.
Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Comolli, 1835; García-Mendoza & Lott, 1994; Giacomini, 1950; Pollini, 1822a; Roncalli Parolino, 1747; Ugolini,
1921
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yucca
comune
Famiglia: Agavaceae
(= Asparagaceae subfam. Agavoideae)
Nome scientifico: Yucca gloriosa L.
Nome volgare: yucca comune
Tipo biologico: Prosul
Descrizione: Piante formanti rosette fogliari caulescenti, semplici o più spesso ramificate, alte sino a circa 3 m. Foglie 5090×3-6 cm, lineari-nastriformi, rigide o flessibili, eretto-patenti, quasi orizzontali, le inferiori spesso un po’ ricurve, con margine
intero o minutamente e sparsamente denticolato, glauche almeno da giovani, spesso di un verde-grigio azzurrognolo.
Infiorescenza a pannocchia, 50-120×40-50 cm; asse lungo 1-1.5 m; fiori pendenti; pedicelli fino a 2 cm, spesso arcuati;
perianzio monoclamidato, globoso o campanulato, con 6 segmenti bianchi, bianco crema o bianco verdastro, di forma
ellittica oppure ovale, 4-5×2-2.5 cm; stami 6 con filamento bianco, ingrossato; ovario supero, triloculare, con stimma a 3 lobi.
Non fruttifica in Europa, per assenza dello specifico impollinatore.
Periodo di fioritura: fioritura principale tra aprile e luglio, secondaria in settembre-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica sudorientale.
Habitat: Ambienti antropizzati, soprattutto presso i centri abitati dove è spesso coltivata, ma veramente naturalizzata soltanto
lungo il Lago di Garda.
Distribuzione nel territorio: Specie termicamente esigente, è coltivata soprattutto nella zona dei grandi laghi insubrici,
naturalizzata lungo il Lago di Garda (65-600 m s.l.m.). Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Cremona (CAS), Lodi (CAS), Milano (CAS),
Mantova (CAS), Pavia (CAS). [Y. recurvifolia: Brescia (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XVII secolo; segnalata per la Lombardia da Ugolini (1921).
Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini ortofloricoli.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: In Toscana sono in corso azioni di eradicamento nelle zone dunali costiere.
Note: In Lombardia si coltivano altre specie di Yucca, tra cui Y. guatemalensis Baker (= Y. elephantipes Regel, nom. nud.; cfr. García-Mendoza & Lott,
1994; Jørgensen & León-Yánz, 1999; Balick et al., 2000), Y. filamentosa L., Y. recurvifolia Salisb. (yucca a foglie ricurve) e Y. aloifolia L. (yucca a foglie
di aloe, yucca baionetta). Solo le ultime due, anch’esse del SE degli Stati Uniti, sono state osservate in natura: Y. recurvifolia naturalizzata alla Rocca
di Manerba presso il Lago di Garda (BS)(Banfi, osservazioni personali), Y. aloifolia casuale nell’area benacense (BS)(Giacomini, 1950) e in provincia
di Pavia (Ardenghi, in verbis 2009). Y. recurvifolia ha foglie flaccide e ricurve su tutta la lunghezza del fusto, infiorescenza molto aperta e fioritura
principale differita ai mesi tardoestivo-autunnali; è una specie poco conosciuta, a volte trattata a rango varietale (Yucca gloriosa L. var. recurvifolia
(Salisb.) Engelm.), che potrebbe non essere distinta da Y. gloriosa (Hess & Robbins, 2002) e per la quale sono necessari ulteriori studi sistematici.
Y. aloifolia si distingue per le foglie verdi, mai glauche, con margine da scabro a denticolato, rigide, eretto-patenti e per i segmenti del perianzio più
piccoli (3-4×1.2-2.2 cm); quest’ultima, inoltre, è l’unica in grado di fruttificare occasionalmente.
palma cinese
o di zhu shan
Famiglia: Arecaceae
Nome scientifico: Trachycarpus fortunei (Hook.) H.Wendl.
Nome volgare: palma di Zhu Shan, palma cinese
Basionimo: Chamaerops fortunei Hook.
Sinonimi: Chamaerops excelsa auct., non Thunb.
Trachycarpus excelsus auct., non (Thunb.) H.Wendl.
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Palma alta 5-12 m, con tronco eretto, snello ma robusto, di 10-20 cm di diametro, coperto da un copioso
feltro bruno-grigiastro derivante dal dissolvimento delle guaine. Foglie a ventaglio (flabellate), con picciolo di 50-100 cm,
minutamente dentellato ai margini e hastula (prolungamento adassiale del picciolo oltre la lamina) arrotondata; lamina
formata da 25-65 segmenti induplicati (ripiegati a V per il lungo), verde scuro opaco di sopra, più o meno glaucescenti
inferiormente. Infiorescenze interfogliari disposte a corona all’apice del fusto, ramose, inizialmente eretto-patenti, poi pendule,
con numerosissimi piccoli fiori unisessuali (pianta dioica) a perianzio di 3 segmenti valvati, gialli, 6 stami (i maschili), 3 carpelli
(i femminili). Il frutto è una drupa reniforme, ombelicata, di 6-7 mm, azzurrognolo-pruinosa a maturità, con pericarpo molto
sottile ed endocarpo legnoso.
Periodo di fioritura: marzo-maggio.
Area d’origine: Asia orientale (già coltivata, ignota in natura).
Habitat: Margini forestali, boschi e boscaglie.
Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutto il territorio, ma veramente naturalizzata soltanto nella zona dei grandi laghi,
nella cui porzione occidentale risulta invasiva. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (INV), Cremona (CAS), Lecco (INV), Monza
e Brianza (NAT), Milano (CAS), Pavia (CAS), Sondrio (CAS), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta nel 1830 in Inghilterra, successivamente nel resto d’Europa; in Italia dopo il 1850.
Segnalata per la prima volta in natura in Lombardia da Banfi & Galasso (2005) e Macchi (2005). Le segnalazioni precedenti,
come ad es. quella di Aeschimann et al. (2004)(che riprende i dati di Fornaciari, 1983, e Consonni, 1997) si riferiscono soltanto
a individui coltivati.
Modalità d’introduzione: Sperimentazione orticola (acclimatazione), quindi diffusione in parchi e giardini.
Status: Invasiva in provincia di Varese, Como e Lecco; naturalizzata o casuale nel resto della regione.
Dannosa: Sì.
Impatto: Altera la struttura e la fisionomia delle comunità naturali legnose minacciandone la biodiversità.
Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Banfi & Galasso, 2005, 2008b; Cerabolini et al., 2008; Consonni 1997; Fornaciari, 1983; Kleih, 2007; Macchi,
2005; Walther et al., 2001
Bibliografia: Balick et al., 2000; Banfi & Galasso, 2005; Giacomini, 1950; Hess & Robbins, 2002; Jørgensen & León-Yánez, 1999; Ugolini, 1921
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erba-miseria
asiatica
Famiglia: Commelinaceae
Nome scientifico: Commelina communis L.
Nome volgare: erba-miseria asiatica
Tipo biologico: Trept
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 30-70 cm, con fusto molle, prostrato o ascendente, zigzagante ai nodi. Foglie con
guaina più o meno cilindrica e lamina ovato-lanceolata, acuta all’apice e arrotondata alla base, lunga 5-7 cm. Fiori zigomorfi,
avvolti da una spata bratteiforme ripiegata per il lungo a semiluna; sepali ovati, membranosi; 3 petali di cui 2 più larghi, azzurro
cielo e 1 ridotto, bianco; stami 6, di cui 3 non funzionali (staminodi); ovario supero, triloculare, con stilo capitato. Capsula
loculicida, di norma con 4 semi rugosi.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Asia temperata.
Habitat: Orli boschivi, sentieri, marciapiedi, margini di canaletti e risaie.
Distribuzione nel territorio: In tutta la pianura, invasiva nella zona delle risaie. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT),
Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (NAT), Pavia (INV), Sondrio (NAT),
Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal Settecento; segnalata in Lombardia in Lomellina da Pirotta (1890)
come già abbondantemente naturalizzata.
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Abbassa la biodiversità delle comunità vegetali in cui si insedia, sottraendo spazio alle specie autoctone; inoltre infesta i
margini delle risaie.
Azioni di contenimento: Eventuale diserbo nelle risaie.
erba-miseria
delle risaie
Famiglia: Commelinaceae
Nome scientifico: Murdannia keisak (Hassk.) Hand.-Mazz.
Nome volgare: erba-miseria delle risaie
Basionimo: Aneilema keisak Hassk.
Sinonimi: Aneilema blumei auct., non (Hassk.) Bakh.f.
Dichoespermum blumei auct., non Hassk
Murdannia blumei auct., non (Hassk.) Brenan
Tipo biologico: Hrept
Descrizione: Pianta erbacea perenne con fusti gracili, prostrato-diffusi e radicanti ai nodi. Foglie prive di picciolo, a lamina
lanceolata lunga 3-5 cm, acuta, arrotondata alla base. Infiorescenze pauciflore all’ascella delle foglie superiori, sorrette da brevi
peduncoli; fiori con calice di 3 sepali brevi e corolla di 3 petali rosa pallido, alternati ai sepali, ovati, subottusi; stami (2-)3; ovario
supero. Il frutto è una capsula loculicida, trigona, lunga 6-7 mm, a 3 loculi ospitanti ciascuno 2 file di circa 8 semi.
Periodo di fioritura: agosto-settembre.
Area d’origine: Asia sudorientale.
Habitat: Risaie, arginelli e sponde fangose.
Distribuzione nel territorio: Lomellina (PV). Pavia (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta nel 1973 in Piemonte (Cook, 1973, sub M. blumei) come
largamente naturalizzata da diverso tempo; in Lombardia viene qui segnalata per la prima volta (Maurizio Tabacchi, in verbis
2007).
Modalità d’introduzione: Accidentale (con i ceppi asiatici di riso).
Status: Invasiva.
Dannosa: Solo nel contesto di infestazione delle risaie e dei relativi argini.
Impatto: Specie infestante delle risaie, con impatto irrilevante altrove.
Azioni di contenimento: Eventuale diserbo nelle risaie.
Bibliografia: Cook, 1973
Note: Può confondersi con C. virginica L. (erba-miseria americana), originaria del Nordamerica orientale, che tuttavia è perenne, con fusti suberetti
alti fino a 120 cm, guaine fogliari più o meno rigonfie con vistosi peli rossastri alla fauce, lamine ristrette alla base, petali meno marcatamente
disuguali e capsule a 3 semi anziché 4. Questa specie, molto più rara è stata osservata casuale qua e là, soprattutto in pianura, per la prima volte
nel pavese nel 1884 o anche prima (Bozzi, 1888).
Bibliografia: Bozzi, 1888; Pirotta, 1890
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erba-miseria
sudamericana
Famiglia: Commelinaceae
Nome scientifico: Tradescantia fluminensis Vell.
Nome volgare: erba-miseria sudamericana,
tradescanzia sudamericana
Sinonimi: Tradescantia albiflora Kunth
Tipo biologico: Hrept
Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 30-50 cm, con fusti sdraiati radicanti ai nodi e con rami eretti. Foglie alterne,
complanate, alla base avvolgenti il fusto con una breve guaina; lamina lanceolato-ellittica oppure ovato-lanceolata, 2.5-5×1-2
cm, glabra, con margine cigliato e apice acuto. Fusti portanti 1-2 infiorescenze formanti una falsa ombrella, terminale ma poi
divenente opposta alle foglie; pedicelli di 1-1.5 cm, con peli ghiandolari; sepali di 5-7 mm; petali di 8-9 mm, bianchi; stami 6,
con filamenti densamente barbati di peli bianchi. Frutto costituito da una capsula con 6 semi.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Sudamerica (Argentina, Brasile e Uruguay).
Habitat: Ambienti antropizzati, margini erbosi.
Distribuzione nel territorio: Nella fascia planiziale, naturalizzata soltanto nelle zone più calde. Brescia (NAT), Monza e
Brianza (NAT), Milano (CAS) Varese (CAS).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia probabilmente nel Novecento; in Lombardia naturalizzata almeno dal
1961 (Arietti & Crescini, 1980).
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
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Eterantera
Reniforme
Famiglia: Pontederiaceae
Nome scientifico: Heteranthera reniformis Ruiz & Pav.
Nome volgare: eterantera reniforme, renella acquatica
Sinonimi: Heterandra reniformis (Ruiz & Pav.) P.Beauv.
Leptanthus reniformis (Ruiz & Pav.) Michx.
Note: Coltivata a scopo ornamentale, spesso in cultivar a foglie variegate. T. virginiana L. (tradescanzia della Virginia, erba-miseria della Virginia),
altra specie diffusamente coltivata, spesso in cultivar o notocultivar complesse (per es. T. ×andersoniana W.Ludw. & Rohweder, pro sp. = T. virginiana
× T. ohiensis Raf. × T. subaspera Ker Gawl.), è segnalata come casuale in Lombardia; si distingue da T. fluminensis per il portamento eretto oppure
ascendente dei fusti, che raramente radicano ai nodi e per le dimensioni delle foglie (5-25×1-4 cm).
Tipo biologico: Trept, Hrept
Descrizione: Pianta erbacea annuale o facoltativamente perenne, con fusti vegetativi sommersi a internodi allungati oppure
subaerei, procombenti. Scapi fioriferi lunghi 1-9 cm, con internodo distale di 0.5-4 cm. Foglie della rosetta basale sommerse,
sessili, da lineari a oblanceolate, di 24-37×3-8 mm, sottili; foglie cauline galleggianti o emerse, consistenti, picciolate (picciolo
di 2-13 cm), con stipole di 1-5 cm e lamina reniforme di 10-40×10-50 mm, lunga quanto larga o più breve che larga, ad apice
ottuso. Infiorescenze 2-8-flore, spiciformi, allungantisi in un giorno, di norma più brevi della spata, con il fiore terminale a
volte sporgente; spata glabra di 0.8-5.5 cm; fiori sboccianti circa tre ore dopo l’alba e appassenti nel primo pomeriggio, con
perianzio bianco, ipocraterimorfo, a tubo lungo 5-10 mm e lembo zigomorfo con 6 (3+3) lobi strettamente ellittici, lunghi
3-6.5 mm, il centrale interno alla base giallo o verde, talora con una macchia bruna in posizione distale; stami 3, disuguali,
il centrale nettamente più lungo; ovario incompletamente triloculare, stilo trilobato, pubescente. Il frutto è una capsula
loculicida allungata, contenente semi ovoidi di 0.5-0.9×0.3-0.5 mm, con 8-14 ali longitudinali.
Periodo di fioritura: giugno-ottobre.
Area d’origine: Mesoamerica.
Habitat: Risaie, lanche fluviali, fossi.
Distribuzione nel territorio: Planiziale. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Lodi (INV), Milano (INV), Pavia (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia nelle risaie del pavese nel 1968 da Pirola (1968).
Modalità d’introduzione: Accidentale, con il riso.
Status: Invasiva.
Dannosa: Soltanto in ambito agricolo.
Impatto: Infestante in risaia.
Azioni di contenimento: Eventuale diserbo in risaia.
Bibliografia: Arietti & Crescini, 1980; Banfi & Galasso, 1998
Bibliografia: Horn, 1985, 2002; Pirola, 1968
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eterantera
dei fanghi
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Famiglia: Pontederiaceae
Nome scientifico: Heteranthera limosa (Sw.) Willd.
Nome volgare: eterantera dei fanghi
Basionimo: Pontederia limosa Sw.
Sinonimi: Leptanthus ovalis Michx.
eterantera
soldina
Famiglia: Pontederiaceae
Nome scientifico: Heteranthera rotundifolia (Kunth) Griseb.
Nome volgare: eterantera soldina
Basionimo: Heteranthera limosa (Sw.) Willd.
var. rotundifolia Kunth
Sinonimi: Heteranthera limosa (Sw.) Willd.
subsp. rotundifolia (Kunth) A.Galàn
Heteranthera limosa auct., non (Sw.) Willd.
Tipo biologico: Trept
Descrizione: Pianta annuale erbacea, con fusti vegetativi sommersi, quelli al di sotto di 5 cm d’acqua con internodi allungati,
per il resto brevi e condensati. Scapi fioriferi lunghi 2-24 cm, con internodo distale di 1-11 cm. Foglie della rosetta basale
sommerse, sessili, da lineari a oblanceolate, di 31-60×3-5 mm, sottili o debolmente ispessite; foglie cauline emerse, consistenti,
picciolate (picciolo di 2-13 cm), con stipole di 1-6 cm e lamina oblungo-ovata di 15-50×4-33 mm, lunga quanto larga o più
lunga, a base tronca o cuneata e apice acuto. Infiorescenze uniflore, con spata glabra di 0.9-4.5 cm; fiori sboccianti entro 1
ora dall’alba, a mezzogiorno già appassiti, con perianzio lilla o bianco, ipocraterimorfo, a tubo lungo 15-44 mm e lembo di 6
(3+3) lobi strettamente ellittici, lunghi 5.2-26.3 mm, ± uguali, non fimbriati e regolarmente spaziati tra loro, i 3 superiori gialli
alla base (il centrale senza espansioni laterali presso la base); stami 3, disuguali, due laterali e uno centrale di misure differenti,
coi filamenti diritti; ovario incompletamente triloculare, stilo trilobato, glabro. Il frutto è una capsula loculicida allungata
contenente semi ovoidi di 0.5-0.8×0.2-0.6 mm, provvisti di 9-14 ali longitudinali.
Periodo di fioritura: maggio-novembre.
Area d’origine: America (settentrionale -centro-sud-, centrale e meridionale).
Habitat: Risaie.
Distribuzione nel territorio: Zona delle risaie, dalla Lomellina al milanese. Milano (NAT), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Europa e in Italia da Marchioni Ortu & De Martis (1989, sub
H. rotundifolia: Soldano, 1992) in Sardegna (raccolta nel 1984), in Lombardia da Banfi & Galasso (1998, sub H. rotundifolia:
vedi nota).
Modalità d’introduzione: Accidentale, con il riso.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Soltanto in ambito agricolo.
Impatto: Infestante in risaia.
Azioni di contenimento: Eventuale diserbo in risaia.
Tipo biologico: Trept
Descrizione: Pianta erbacea annuale, con fusti vegetativi sommersi a internodi allungati oppure subaerei, procombenti. Scapi
fioriferi lunghi 2-12 cm, con internodo distale di 1-6 cm. Foglie della rosetta basale sommerse, sessili, da lineari a oblanceolate,
ispessite, di 24-50×2-4 mm; foglie cauline galleggianti o emerse, consistenti, picciolate (picciolo di 3-11 cm), con stipole di
1-5 cm e lamina arrotondata od oblunga di 10-50×5-25 mm, tanto lunga quanto larga o (nelle foglie giovani) più lunga, ad
apice ottuso e base cordata o tronca. Infiorescenze uniflore, spata glabra di 1-2.8 mm; fiori sboccianti entro un’ora dall’alba e
appassenti a mezzogiorno, con perianzio lilla o bianco, ipocraterimorfo, a tubo lungo 11-29 mm e lembo regolare con 6 (3+3)
lobi strettamente ellittici, lunghi 5.2-18.2 mm, diseguali, 3 tendenti decisamente verso l’alto (il centrale con due espansioni
laterali presso la base), 2 orizzontali e 1 (il più lungo) diretto in basso; stami 3, disuguali, il centrale più lungo, coi filamenti
curvati verso l’apice; ovario incompletamente triloculare, stilo trilobato, glabro. Il frutto è una capsula loculicida allungata,
contenente semi ovoidi di 0.5-1×0.3-0.6 mm, a 8-15 ali longitudinali.
Periodo di fioritura: giugno-ottobre.
Area d’origine: America (settentrionale, centrale e in parte meridionale).
Habitat: Risaie.
Distribuzione nel territorio: Pianura occidentale. Lodi (NAT), Milano (NAT), Pavia (NAT), Varese (CAS).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Europa e in Italia nel novarese da Pruneddu (1968, sub H.
limosa: Soldano, 1986) e Corbetta (1968, sub H. limosa: Soldano, 1986), in Lombardia da Raynal (1979, sub H. limosa: Soldano,
1986), che la raccolse nel 1978.
Modalità d’introduzione: Accidentale, con il riso.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Soltanto in ambito agricolo.
Impatto: Infestante in risaia.
Azioni di contenimento: Eventuale diserbo in risaia.
Note: A seguito di una revisione del genere Heteranthera da parte di Horn (1985), Soldano (1986) aveva messo in evidenza che le precedenti
segnalazioni italiane di H. limosa erano tutte da ricondurre a H. rotundifolia, inclusa quella lombarda per la Lomellina di Raynal (1979). Sulla scia
di questa nota Banfi & Galasso (1998) segnalavano H. rotundifolia per le risaie della periferia sud di Milano. In effetti, a seguito di osservazioni di
campagna più attente è emersa la presenza in Italia anche della vera H. limosa (Soldano, 1992). In base alle nuove chiavi proposte dallo stesso
Soldano (1992) la Heteranthera di Milano è stata rideterminata come H. limosa; essa è stata ulteriormente raccolta nel pavese da Desfayes (2005).
La segnalazione di H. limosa di Danini et al. (2004) per la Provincia di Varese, ripresa da Macchi (2005), è invece da ricondurre, in base alla fotografia
pubblicata, a H. rotundifolia. La simile H. rotundifolia si distingue per la lamina delle foglie picciolate arrotondata od oblunga, a base cordata o
tronca; il perianzio coi 6 lobi diseguali, 3 tendenti decisamente verso l’alto (il centrale con due espansioni laterali presso la base), 2 orizzontali e 1 (il
più lungo) diretto in basso; i filamenti staminali curvati verso l’apice.
Note: A seguito di una revisione del genere Heteranthera da parte di Horn (1985), Soldano (1986) aveva messo in evidenza che le precedenti
segnalazioni italiane di H. limosa erano tutte da ricondurre a H. rotundifolia, inclusa quella lombarda per la Lomellina di Raynal (1979). Sulla scia
di questa nota Banfi & Galasso (1998) segnalavano H. rotundifolia per le risaie della periferia sud di Milano. In effetti, a seguito di osservazioni di
campagna più attente è emersa la presenza in Italia anche della vera H. limosa (Soldano, 1992). In base alle nuove chiavi proposte dallo stesso
Soldano (1992) la Heteranthera di Milano è stata rideterminata come H. limosa. Al contrario, la segnalazione di H. limosa di Danini et al. (2004) per
la provincia di Varese, ripresa da Macchi (2005), è da ricondurre, in base alla fotografia pubblicata, a H. rotundifolia. Quest’ultima specie è presente
anche nel lodigiano (Giordana & Bonali, 2008). La simile H. limosa si distingue per la lamina delle foglie picciolate oblungo-ovata, a base tronca o
cuneata; il perianzio coi 6 lobi ± uguali (il superiore centrale senza espansioni laterali presso la base) e regolarmente spaziati tra loro; i filamenti
staminali diritti.
Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Danini et al., 2004; Desfayes, 2005; Horn, 1985, 2002; Macchi, 2005; Marchioni Ortu & De Martis, 1989; Raynal,
1979; Soldano, 1986, 1992
Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Corbetta, 1968; Danini et al., 2004; Giordana & Bonali, 2008; Horn, 1985, 2002; Macchi, 2005; Pruneddu, 1968;
Raynal, 1979; Soldano, 1986, 1992
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pontederia
Famiglia: Pontederiaceae
Nome scientifico: Pontederia cordata L.
Nome volgare: pontederia
Sinonimi: Narukila cordata (L.) Nieuwl.
Pontederia angustifolia Pursh
Pontederia lanceolata Nutt.
Pontederia lancifolia Muhl.
Unisema cordata (L.) Farw.
Tipo biologico: Grhiz
Descrizione: Pianta erbacea perenne rizomatosa, con fusti raccorciati, radicante nel fango. Scapi fioriferi eretti, lunghi fino a
120 cm. Foglie basali sommerse, sessili, lineari; foglie emerse con picciolo lungo fino a 60 cm, caratteristicamente strozzato
sotto la lamina; stipole di 7-29 cm; lamina da lanceolata a cordata, di 6-22×0.7-12 cm; un’unica foglia abbracciante il fusto
fiorifero. Infiorescenze spiciformi, erette, recanti ciascuna fino a qualche centinaio di fiori, lunghe 2-15 cm; spate di 5-17 cm;
fiori che si aprono per un solo giorno, con perianzio bilabiato di 12-15 mm, lilla, a tubo di 3-9 mm e lembo con 6 (3+3) lobi,
di cui il centrale interno con una macchia basale gialla bilobata; stami 6 (3+3), i prossimali (esterni) più lunghi; stilo trilobato.
I frutti sono otricelli di 4-6×2-3 mm, percorsi longitudinalmente da costolature dentate, ciascuno contenente un solo seme.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: Mesoamerica.
Habitat: Rive dei laghi, in formazioni palustri a elofite.
Distribuzione nel territorio: Presente in alcuni piccoli laghi delle prealpi, nelle province di Varese (Lago di Monate e Lago di
Comabbio), Lecco e Brescia. Brescia (NAT), Lecco (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Lombardia tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Segnalata per
la prima volta in Italia e in Lombardia da Stucchi (1953a). Un precedente esperimento di introduzione artificiale nelle “lame
d’Iseo”, effettuato nel 1939 da Luigi Grandi, era andato incontro a fallimento (Arietti, 1942).
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura acquatica).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante (pesaggisticamente localizzato).
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Bibliografia: Arietti, 1942; Stucchi, 1953a
giunco
gracile
Famiglia: Juncaceae
Nome scientifico: Juncus tenuis Willd.
Nome volgare: giunco gracile
Sinonimi: Juncus macer Gray
Tipo biologico: Hcaesp
Descrizione: Pianta erbacea perenne, densamente cespitosa, alta 5-40 cm, con fusti eretti, lisci, cilindrici o lievemente
compressi, con qualche guaina basale priva di lamina e 2-3 foglie complete nel tratto basale del fusto, lunghe all’incirca quanto
il fusto stesso; lamine appiattite, spesso convolute, larghe 0.5-2 mm, con orecchiette basali allungate, ottuse, biancastro-ialine.
Infiorescenza, un’antela povera (5-40 fiori), con rami allungati (3-8 cm), lungamente superata dalle 2 brattee inferiori, simili alle
foglie. Fiori solitari o a 2-3; segmenti perianziali 6, subeguali, strettamente ovati, allungato-acuti all’apice, da verde-giallastri
a brunastri, lunghi 2.5-4 mm; stami 6, lunghi metà del perianzio, con antera e filamento subeguali; ovario supero. Frutto a
capsula largamente ovoidale, da ottusa a troncata all’apice, più breve del perianzio, di colore giallo paglierino, poi bruno
chiaro; semi obliquamente ovoidi, lunghi 0.3-0.4 mm, con brevi appendici alle estremità (elaiosomi).
Periodo di fioritura: giugno-luglio.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Ambienti ± umidi, temporaneamente inondati, ruderali e semiruderali (sentieri, strade rurali, macerie, aree
abbandonate, basi di muri ed edifici, ferrovie e scarpate), tagli rasi forestali, schiarite, zone incendiate, cave di ghiaia e di pietra,
pioppete, boschi ripariali di ontani, frassini, salici; soprattutto suoli pesanti, a impasto fine.
Distribuzione nel territorio: È presente su quasi tutto il territorio regionale, dalla fascia planiziale a quella montana (0-1˙500
m s.l.m.). Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (NAT), Lecco (INV), Lodi (NAT), Monza e Brianza (INV), Milano
(NAT), Pavia (NAT), Sondrio (INV), Varese (INV). [J. dichotomus: Sondrio (NAT), Varese (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia intorno alla fine del XIX secolo. Scoperta nel 1878 sulla sponda
piemontese del Verbano (Goiran, 1886); in Lombardia segnalata da Cozzi (1916) e, in seguito, da Stucchi (1929a) come già
largamente naturalizzato.
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: È una specie pioniera e particolarmente competitiva sui suoli pesanti (argillosi o limosi) e ± umidi, poveri di
nutrienti, dove può formare popolamenti quasi monofitici. La sua diffusione è favorita da episodi ricorrenti di disturbo
antropico, come quelli che si verificano nelle aree di cava, sui suoli soggetti a frequente calpestamento o laddove si verificano
comunemente movimenti di terra. Nel complesso l’impatto esercitato da questa specie riguarda più la biodiversità vegetale
che il paesaggio.
Azioni di contenimento: In aree protette si dovrebbero preventivamente evitare movimenti di terra e limitare l’accesso al
pubblico, salvo lungo percorsi predisposti, per evitare il costipamento del suolo (dovuto a calpestio).
Note: Recentemente nelle Baragge piemontesi è stato trovato (Filip Verloove, in verbis) J. dichotomus Elliott (= J. tenuis Willd. var. dichotomus
(Elliott) Alph.Wood; giunco dicotomo), entità assai affine, con areale primario ampiamente sovrapposto a quello di J. tenuis. L’unico carattere che
contraddistingue con sicurezza questa seconda aliena sta nelle orecchiette guainali dei fusti fioriferi (non di quelli giovani o sterili!) ridottissime o
nulle. Sono stati perciò rivisti tutti i campioni dell’erbario del Museo di Storia Naturale di Milano attribuiti a J. tenuis e tutti sono stati confermati,
facendo supporre che l’introduzione in Italia di J. dichotomus sia molto recente. Tuttavia alcune raccolte dello scorso autunno provenienti dalla
Valtellina (Nicola Ardenghi) e dalla zona militare della Malpensa (Guido Brusa) corrispondono alla nuova esotica, ma saranno necessari ulteriori
esami d’erbario e nuove raccolte sparpagliate su tutto il territorio, soprtattutto nella zona delle Groane, per decidere dell’effettiva coesistenza dei
due taxa, dei reciproci limiti distributivi e delle eventuali differenze di habitat e di invasività. Ricordiamo, infine, che i semi dei giunchi vengono
caratteristicamente trasportati dalle formiche, le quali, nutrendosi degli elaiosomi, li sparpagliano e li accumulano nei loro nidi, dove gli stessi
germinano, una volta abbandonati, producendo gruppi di piante a volte densi; sarebbe interessante stabilire se e quanto questo mezzo naturale
di dispersione incida significativamente sull’espansione della specie nel nostro territorio.
Bibliografia: Brooks & Clemants, 2000; Cozzi, 1916; Giacomini, 1950; Goiran, 1886; Stucchi, 1929a, 1949b
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falsa carice
volpina
Famiglia: Cyperaceae
Nome scientifico: Carex vulpinoidea Michx.
Nome volgare: falsa carice volpina
Tipo biologico: Hcaesp
Descrizione: Pianta erbacea graminoide perenne, cespitosa, con fusti alti fino a 1 m; guaine basali bruno scuro. Foglie lineari
con lamina larga 2-4 mm. Spighe oblungo-ovoidi in pannocchia ramosa, condensata, allungata e lobata, lunga 5-10 cm,
le inferiori su rami raccorciati e ± distanziati. Brattee da filiformi a lineari, le inferiori superanti la relativa spighetta; glume
femminili ovato-oblunghe, aristate, di un pallido color ruggine. Frutti (pseudanteci, più noti come “otricelli”) lunghi 2-2.5 mm,
ovato-orbicolari, bruno grigiastro chiaro, all’apice bruscamente contratti in un becco.
Periodo di fioritura: aprile-giugno.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Prati e boschi umidi, siti palustri.
Distribuzione nel territorio: Palude Brabbia (VA). Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Italia alla fine del secolo scorso: segnalata per la prima volta nel Bellunese da
Argenti (1983), dove era presente da un paio di anni. In Lombardia è stata segnalata da Aeschimann & Burdet (2004) e Macchi
(2005), ma era presente almeno dal 1985.
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Nessuno.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Argenti, 1983; Macchi, 2005
zigolo
cinese
Famiglia: Cyperaceae
Nome scientifico: Cyperus brevifolioides Thieret & Delahouss.
Nome volgare: zigolo cinese
Basionimo: basato su Kyllinga monocephala Rottb.
var. leiolepis Franch. & Sav.
Sinonimi: Cyperus brevifolius (Rottb.) Endl. ex Hassk.
var. leiolepis (Franch. & Sav.) T.Koyama
Kyllinga brevifolioides (Thieret & Delahouss.) G.C.Tucker
Cyperus brevifolius auct., non (Rottb.) Endl. ex Hassk.
Kyllinga brevifolia auct., non Rottb.
Kyllinga gracillima Miq., non Cyperus gracillimus (Chiov.) Kük.
Tipo biologico: Grhiz
Descrizione: Pianta erbacea graminoide perenne, non cespitosa, leggermente aromatica, con lunghi rizomi striscianti;
fusti alti 10-35(-50) cm, lisci. Foglie con lamina piana di 10-30×0.1-0.35 cm. Infiorescenza costituita da una spiga ovoide
di 7-12×6-10 mm; brattee 3-4 patenti o un po’ riflesse, piane, di 2-20(-30)×0.1-0.3 mm; spighette 40-80, da verde pallido a
bruno rossastro, ovate, di 3.5-4.5×1.2-1.3(-1.4) mm; glume con 2(-5) nervi per lato, ellittiche, di 1.8-3.2×1-1.6 mm, mucronate
all’apice; stami 2-3; antere 0.8-1.1 mm; stilo 1.8-2.2 mm; stigmi 2, di 0.5-1 mm. Acheni bruni, sessili o stipitati, largamente
ellissoidali, di 1.5-1.8×0.8-1 mm.
Periodo di fioritura: maggio-luglio.
Area d’origine: Asia orientale temperata (largamente naturalizzata in America, Nuova Zelanda, Australia temperata).
Habitat: Sponde di canali irrigui.
Distribuzione nel territorio: A sud di Milano, al confine con il pavese. Milano (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, in Lombardia raccolta per la prima volta nel 1950 e segnalata da Galasso et al. (2006a).
Modalità d’introduzione: Ignota, probabilmente accidentale nel corteggio della flora risicola.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Specie a lungo confusa con C. brevifolius (Rottb.) Rottb. ex Hassk. (= Kyllinga b. Rottb.), che si distingue per il margine della carena delle
glume (liscio in brevifolioides, denticolato in brevifolius) e per le dimensioni di spighette e acheni (maggiori in brevifolioides). È anch’essa di origine
Est-asiatica.
Bibliografia: Galasso et al., 2006a
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zigolo
delle risaie
Famiglia: Cyperaceae
Nome scientifico: Cyperus difformis L.
Nome volgare: zigolo delle risaie
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale di 20-60 cm. Fusti eretti, irregolarmente trigoni, lungamente nudi in alto, generalmente
solitari. Foglie brevi, piane, sottili (2-4 mm), con guaine generalmente scure. Infiorescenza a 3-8 rami brevi o subnulli: capolini
sferici, con diametro di 10-15 mm, generalmente formanti un fascetto compatto; brattee 2-3, fogliacee; spighe lunghe 3-8
mm, generalmente 10-15flore; glume verdastre, spesso venate di nero; stigmi 3.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: Difficile da ricostruire a causa dell’ampia distribuzione attuale, presumibilmente l’area risicola dell’Estremoriente
o addirittura il territorio (Sudest asiatico) di distribuzione di Oryza rufipogon Griff., l’antenato selvatico del riso.
Habitat: Infestante delle risaie; su sabbie umide periodicamente inondate, greti fluviali.
Distribuzione nel territorio: In tutta la pianura. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano (INV),
Mantova (NAT), Pavia (INV), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, presente in Lombardia, nelle risaie pavesi, già nel 1816 (Nocca & Balbis, 1816).
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Invasiva.
Dannosa: Solo nel contesto di infestazione delle risaie.
Impatto: Specie infestante delle risaie, con impatto irrilevante altrove.
Azioni di contenimento: Eventuale diserbo in risaia.
Bibliografia: Nocca & Balbis, 1816
zigolo
ferrugineo
Famiglia: Cyperaceae
Nome scientifico: Cyperus glomeratus L.
Nome volgare: zigolo ferrugineo, zigolo a glomeruli
Sinonimi: Chlorocyperus glomeratus (L.) Palla
Pycreus glomeratus (L.) Hayek
Tipo biologico: Hcaesp, Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale o perenne, di 30-70 cm, con radice fibrosa e fusto eretto, trigono. Foglie con guaina
bruna o arrossata e lamina piana larga 4-10 mm. Spighe riunite in gran numero in capolini sferici oppure ovoidi di 1-2 cm,
questi portati da rami di 1-8 cm; brattee 3-6, lunghe 1-3 dm; glume particolarmente sottili (misura trasversale massima 0.4-0.8
mm), rossastro-ferruginee; stigmi 3.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: Asia orientale.
Habitat: Risaie, fossi, rive, alvei fluviali, aree umide ruderali.
Distribuzione nel territorio: Ovunque, in ambito planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (NAT), Lodi
(INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (NAT). [C. congestus: Pavia (NAT).]
[C. eragrostis: Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (CAS), Milano (CAS), Pavia (NAT), Varese (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, già presente in Italia nel Settecento.
Modalità d’introduzione: Presumibilmente con il riso.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Altera la biodiversità delle comunità igrofile ripariali e alveali.
Note: In Lombardia sono naturalizzate altre due neofite appartenenti al genere Cyperus. La prima è C. congestus Vahl (= C. rigens auct., non C.Presl,
= Mariscus congestus (Vahl) Roem. & Schult.; zigolo sudafricano), segnalata da Soldano per il vercellese (Soldano, 1977b) e il pavese (Soldano,
1980a) come C. rigens e poi dallo stesso Soldano (2000) rettificata in C. congestus. La seconda è C. eragrostis Lam. (= Chlorocyperus e. (Lam.) Rikli,
= Cyperus vegetus Willd.; zigolo eragrostide), sudamericana, segnalata per la prima volta in Lombardia da Soldano (1980a) nel pavese. Entrambe si
distinguono da C. glomeratus per essere brevemente rizomatose, ma mentre la prima ha spighe più sottili (8-20×1.5-2 mm) e 3 stami, la seconda
ha spighe più tozze (10-15×3 mm) e 1 stame. Infine si ricorda che la flora esotica lombarda annovera altre specie di questo genere: C. hamulosus
M.Bieb. (zigolo uncinato) e C. involucratus Rottb. (= C. alternifolius auct., non L.; papiro indiano) tra le neofite casuali, C. esculentus L. (zigolo dolce,
bagigi, bacicci, dolcichini, chufa), C. rotundus L. (zigolo infestante) e C. serotinus Rottb. (zigolo tardivo) tra le archeofite.
Bibliografia: Soldano, 1977b, 1980a, 2000
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zigolo
giapponese
Famiglia: Cyperaceae
Nome scientifico: Cyperus microiria Steud.
Nome volgare: zigolo giapponese
Sinonimi: Cyperus amuricus auct., non Maxim.
Cyperus iria L. var. acutiglumis Fiori
Cyperus iria L. var. microiria (Steud.) Franch. & Sav.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale di 10-20 (-90) cm, con fusti numerosi, fascicolati, avvolti dalle guaine solo nel quartoterzo inferiore. Foglie con lamina allungata, larga fino a 5 mm. Infiorescenza avvolta alla base da 3-4 brattee superanti i fiori;
rami 3-8 lunghi 3-10 cm; spighe bruno-giallastre di circa 10×2 mm, con rachide abbastanza largamente alata; 2 stami, 3
stigmi. Frutto ad achenio.
Periodo di fioritura: agosto-settembre.
Area d’origine: Asia orientale.
Habitat: Risaie, argini, fanghiglie.
Distribuzione nel territorio: Naturalizzata soprattutto nell’area planiziale, invasiva nelle risaie e lungo il Po. Brescia (NAT),
Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia da Camperio & Fiori (1910) a Malgrate (LC).
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Abbassa la biodiversità delle comunità vegetali golenali in cui si insedia, sottraendo spazio alle specie autoctone;
inoltre è infestante in risaia.
Azioni di contenimento: Eventuale diserbo in risaia.
zigolo
pavese
Famiglia: Cyperaceae
Nome scientifico: Cyperus squarrosus L.
Nome volgare: zigolo pavese
Sinonimi: Chlorocyeprus inflexus (Muhl.) Palla
Cyperus aristatus Rottb.
Cyperus aristatus Rottb. var. bockeleri Cavara
Cyperus aristatus Rottb. var. inflexus (Muhl.) Boeck.
Cyperus aristatus Rottb. var. inflexus (Muhl.) Boeck.
ex Kük., comb. superfl.
Cyperus inflexus Muhl.
Dichostylis aristata (Rottb.) Palla
Mariscus squarrosus (L.) C.B.Clarke
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale di 2-20 cm, con fusti eretti, fascicolati, in cespuglietto denso, lungamente nudi sotto
l’infiorescenza. Foglie con guaine bruno-nerastre e lamina sottile (4×0.1 cm). Infiorescenze ad antela, contratte, capituliformi
(con diametro di 5-8 mm); brattee 2-3, patenti, molto allungate; spighe con 10-15 fiori regolarmente distichi, lunghe 4-8 mm;
glume aristate, variegate di ocra e giallo; stigmi 3. Frutto ad achenio clavato.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: America.
Habitat: Sabbie umide periodicamente inondate, greti fluviali.
Distribuzione nel territorio: Soprattutto lungo il Ticino e il Po. Cremona (NAT), Lodi (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT),
Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima in Europa nel Pavese da Cavara (1899), che la raccolse nel 1895.
Modalità d’introduzione: Accidentale (presumibilmente col riso).
Status: Naturalizzata (localmente abbondante nei greti).
Dannosa: Localmente.
Impatto: Minaccia la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce.
Bibliografia: Assini et al., 2005; Cavara, 1899
Bibliografia: Camperio & Fiori, 1910; Fiori, 1923a; Koch, 1952; Raynal, 1977; Stucchi, 1969, 1972
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Zigolo
Americano
Famiglia: Cyperaceae
Nome scientifico: Cyperus strigosus L.
Nome volgare: zigolo americano
Sinonimi: Mariscus strigosus (L.) C.B.Clarke
Tipo biologico: Hcaesp
Descrizione: Pianta erbacea perenne di 20-30(-100) cm, con fusti cespugliosi, eretti, robusti. Foglie con guaine brunoporporine e lamina piana di 3-6 mm. Infiorescenza ampia con 3-8 rami lunghi 2-10 cm, ciascuno portante all’apice
numerosissime spighette giallo-dorate, distiche; brattee 3-6, fogliacee, le maggiori di 10-20 cm; spighe 6-8flore di 10×1 mm,
articolate alla base e a maturità staccantisi in toto; 3 stigmi. Frutto ad achenio ellissoidale.
Periodo di fioritura: settembre-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Canali di risaie, paludi, prati umidi, greti fluviali.
Distribuzione nel territorio: In ambito planiziale, lungo il Po e nella zona delle risaie. Brescia (CAS), Cremona (NAT), Lodi
(CAS), Mantova (NAT), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia nel 1896 a Garlasco nel pavese (Mattirolo & Fiori, 1917).
Modalità d’introduzione: Accidentale, probabilmente con imballi o altro, oppure nell’ambito della risicoltura.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Relativamente.
Impatto: Sembra minacciare la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce.
Bibliografia: Mattirolo & Fiori, 1917
giunchina
delle risaie
Famiglia: Cyperaceae
Nome scientifico: Eleocharis obtusa (Willd.) Schult.
Nome volgare: giunchina delle risaie
Basionimo: Scirpus obtusus Willd.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, di aspetto graminoide, cespitosa, a volte brevemente stolonifera, alta 30-60 cm, con
numerosi fusti sottili, giunchiformi, terminanti all’apice in una spiga ovoide di 8-15 mm, bruno chiaro. Foglie ridotte alla sola
guaina basale. Glume arrotondate, sottendenti ciascuna un ovario involucrato da 4-8 setole perigoniali (l’omologo dei tepali),
che a maturità eccedono di 1.3-1.5 volte la lunghezza del frutto (achenio); stilopodio (allargamento dello stilo nel punto di
inserzione sull’ovario), alla base, largo circa 3 / 4 della larghezza dell’achenio; stigmi 2 o 3.
Periodo di fioritura: agosto-settembre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Sponde, fanghi umidi e alvei nelle risaie.
Distribuzione nel territorio: Groane, zona delle risaie e lungo il Po. Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT),
Pavia (NAT). [E. atropurpurea: Varese (VA).] [E. flavescens: Pavia (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia da Koch (1952) nel 1951 in Piemonte, in Lombardia
da Pirola (1964b).
Modalità d’introduzione: Accidentale, con i risi americani.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Nessuno.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Altre tre specie di giunchina si incontrano spesso nelle risaie e in analoghi ambienti umidi del nostro territorio. Si tratta di E. ovata (Roth)
Roem. & Schult. (= Scirpus o. Roth; giunchina ovata), E. flavescens (Poir.) Urb. (= Scirpus f. Poir, = E. olivacea Torr.; giunchina giallastra) ed E.
atropurpurea (Retz.) J.Presl & C.Presl (= Scirpus a. Retz.; giunchina minore): la prima appartiene al nostro contingente autoctono (circumboreale), la
seconda è nuovamente un’esotica nordamericana e la terza proviene dai tropici (paleo?). E. ovata ed E. atropurpurea si riconoscono per lo stilopodio,
che alla base è largo non più di metà dell’achenio e, fra di loro, perché la prima ha fusti eretti, spessi circa 1 mm, mentre nella seconda gli stessi
sono capillari (diametro < 0.3 mm) e più o meno incurvati verso il basso, specialmente gli esterni. E. flavescens, poi, si distingue per la base dello
stilopodio larga più o meno quanto l’achenio stesso, ma soprattutto per le guaine fogliari espanse all’apice in un’appendice bianco-membranosa
assente nelle altre specie.
Bibliografia: Koch, 1952; Pirola, 1964b
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forasacco
di Willdenow
Famiglia: Poaceae
Nome scientifico: Ceratochloa cathartica (Vahl) Herter
Nome volgare: forasacco di Willdenow,
forasacco purgativo
Basionimo: Bromus catharticus Vahl
Sinonimi: Bromus uniolioides Kunth
Bromus uniolioides (Willd.) Raspail, non Kunth
Bromus willdenowii Kunth
Ceratochloa uniolioides (Willd.) P.Beauv.
Ceratochloa willdenowii (Kunth) W.A.Weber
Festuca unioloides Willd.
Tipo biologico: Hcaesp
Descrizione: Graminacea perenne cespitosa, alta fino a 60 cm, con culmi eretti. Foglie sottili a lamina larga 3-12 mm e
ligula triangolare, allungata (4-6 mm). Pannocchia ampia (10-15 cm), lassa ed inclinata dopo la fioritura; spighette fortemente
latericompresse, lanceolate, di circa 35-45×4 mm, con glume e lemmi carenato-compressi, questi ultimi brevemente
appuntiti all’apice o con resta lunga fino a 3 mm; palea lunga circa quanto il lemma. Frutto a cariosside.
Periodo di fioritura: luglio-agosto.
Area d’origine: Sudamerica.
Habitat: Siti disturbati, prati, margini erbosi, greti.
Distribuzione nel territorio: Pressoché ovunque, prevalentemente in ambito planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia
(NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia a Firenze nel 1873, poi presso Messina, Roma e, nel
1903, a Genova (Sommier, 1904); in Lombardia raccolta per la prima volta in natura nel 1980 nel bresciano, dove era coltivata
sperimentalmente per foraggio dalla seconda metà degli anni ‘70 del secolo scorso (Zanotti, 1988a).
Modalità d’introduzione: Deliberata (pianta foraggera).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Nessuno.
Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Bonali et al., 2006a; FAB, 2000; Sommier, 1904; Wilhalm, 2000; Zanotti, 1988a
panico
delle
brughiere
Famiglia: Poaceae
Nome scientifico: Dichanthelium acuminatum
(Sw.) Gould & C.A.Clark
Nome volgare: panico delle brughiere, panico acuminato
Basionimo: Panicum acuminatum Sw.
Sinonimi: Dichanthelium acuminatum (Sw.) Gould &
C.A.Clark subsp. implicatum (Scribn.) Freckmann & Lelong
Dichanthelium acuminatum (Sw.) Gould & C.A.Clark
var. implicatum (Scribn.) Gould & C.A.Clark
Dichanthelium implicatum (Scribn.) Kerguélen
Panicum acuminatum Sw. var. implicatum (Scribn.) Beetle
Panicum acuminatum Sw. var. implicatum (Scribn.)
C.F.Reed, comb. superfl.
Panicum implicatum Scribn.
Tipo biologico: Crosul
Descrizione: Graminacea prerenne, alta fino a mezzo metro o poco più, con foglie svernanti riunite in rosetta basale, a lamina
lanceolato-acuminata, spesso involuta ai margini, sulla faccia adassiale provvista di peli eretti di 3-4 mm, su quella abassiale
con pubescenza appressata. Le foglie del culmo sono lineari, più lunghe di quelle della rosetta. Culmi primaverili gracili, eretti
o ascendenti, peloso-papillosi con peli patenti, gli autunnali più robusti, ramosi nella porzione inferiore; ligula lunga 4-5 mm.
Pannocchia di 3-6 cm, con rachide cosparso di lunghi peli e rami flessuosi ± aggrovigliati o ripiegati verso l’asse; spighette
lunghe 1.5 mm.
Periodo di fioritura: aprile-novembre.
Area d’origine: Nordamerica (Canada, Stati Uniti centro-occidentali e nord-orientali).
Habitat: Suoli poveri e acidi di brughiera, su matrice sabbiosa o argillosa.
Distribuzione nel territorio: Brughiere della Malpensa (VA). Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Italia molto recentemente, ma in un periodo non precisabile; la specie era già
diffusa in Francia e altrove in Europa. Raccolta per la prima volta in Italia in Piemonte nelle baragge biellesi e vercellesi (Soldano
& Sella, 2000), nei castagneti del vicentino (Busnardo et al., 2002) e nella vauda canavese (Lonati et al., 2006); in Lombardia è
stata segnalata per la prima volta da Banfi (2005) e Banfi & Galasso (2005).
Modalità d’introduzione: Ignota, presumibilmente accidentale (forse con i mezzi militari americani).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Nessuno.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Questa specie presenta una complessa variabilità infraspecifica, da alcuni ripartita in 10 unità distribuite, complessivamente, su tutto il continente
americano (Freckmann & Lelong, 2002, 2003). L’entità presente in Italia è la subsp. implicatum, apparentemente priva di valore sistematico.
Bibliografia: Banfi, 2005; Banfi & Galasso, 2005; Busnardo et al., 2002; Freckmann & Lelong, 2002, 2003; Lonati et al., 2006; Soldano & Sella, 2000
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sanguinella
cigliata
Famiglia: Poaceae
Nome scientifico: Digitaria ciliaris (Retz.) Koeler
Nome volgare: sanguinella cigliata
Basionimo: Panicum ciliare Retz.
Sinonimi: Digitaria ciliaris (Retz.) Pers., comb. superfl.
Digitaria sanguinalis (L.) Scop. subsp. ciliaris (Retz.) Arcang.
Digitaria sanguinalis (L.) Scop. subsp. ciliaris (Retz.) Domin,
comb. superfl.
Digitaria sanguinalis (L.) Scop. var. ciliaris (Retz.) Parl. Milium
ciliare (Retz.) Moench
Paspalum ciliare (Retz.) DC.
Sanguinaria ciliaris (Retz.) Bubani
Syntherisma ciliaris (Retz.) Schrad.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Graminacea annuale, alta 20-50 cm, con culmi gracili, prostrato-diffusi o ascendenti, spesso producenti radici
avventizie alla base e pelosi ai nodi. Foglie generalmente cosparse di peli patenti lunghi fino a 1.5 mm; guaine, almeno nella
porzione distale, con peli patenti di 1-3 mm, le inferiori compresse, le superiori ± rigonfie; lamina lanceolato-lineare (4575×8-12 mm), spesso ondulata e più o meno arrossata, specialmente ai margini; ligula troncato-sfrangiata, lunga (1-)2-3(-3.5)
mm. Infiorescenza digitata, cioè costituita da (3-)4-6(-8) racemi lineari, lunghi 3-8 cm, inseriti tutti circa alla medesima altezza,
all’apice del culmo e dei rami principali. Spighette spesso violacee, lunghe (2.5-)2.8-3.5 mm, lanceolato-acuminate; gluma
inferiore lunga fino a 0.5 mm, triangolare-acuta, la superiore (1 / 2-)2 / 3-3 / 4(-4 / 5) della spighetta; antere lunghe 1.2-1.3
mm. Frutto a cariosside.
Periodo di fioritura: agosto-ottobre.
Area d’origine: Certamente tropicale, ma ormai irricostruibile a causa della successiva diffusione indotta dall’uomo su tutti i
territori caldi e temperato-caldi del pianeta.
Habitat: Margini erbosi umidi, brughiere.
Distribuzione nel territorio: Sinora conosciuta con certezza soltanto per la provincia di Varese. Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Europa in epoca non definibile a causa della confusione con D. sanguinalis, ma
sicuramente già presente nella seconda metà dell’Ottocento. In Italia la prima segnalazione certa è quella di Cook (1973) per
le risaie del vercellese, mentre il primo campione raccolto è del 1889 nel messinese (Wilhalm, 2009). In Lombardia è stata
segnalata per la prima volta da Banfi (2005) e Banfi & Galasso (2005) ed è sicuramente presente a Ligurno (VA), dove è stata
raccolta nel 1983 (Wilhalm, 2009), e nelle brughiere di Malpensa (VA)(Brusa, in verbis 2010), ma potrebbe essere più diffusa.
Modalità d’introduzione: Ignota, presumibilmente accidentale.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Nessuno.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: D. ciliaris è confondibile con l’assai più comune e diffusa D. sanguinalis (L.) Scop. (sanguinella comune), cosmopolita ritenuta autoctona,
sebbene probabilmente da ascrivere al contingente alloctono preromano. Si distingue per i seguenti caratteri: 1) ligula lunga 0.5-1.5 mm, 2)
spighette lunghe non oltre 3(-3.2) mm, da ovato-lanceolate a lanceolate, acute, 3) gluma superiore lunga non più di 2 / 3 della spighetta, 4) antere
lunghe 0.7-1 mm (Wilhalm, 2002, 2009; Verloove, 2008b). Infatti, la Digitaria ciliaris sensu Pignatti (1982) corrisponde a Digitaria sanguinalis subsp.
pectiniformis Henrard, che non appare distinta dal tipo della specie (Wilhalm, 2009).
sanguinella
violacea
Famiglia: Poaceae
Nome scientifico: Digitaria violascens Link
Nome volgare: sanguinella violacea
Sinonimi: Digitaria ischaemum (Schreb. ex Schweigg.)
Muhlenb. var. violascens (Link) Radford
Panicum violascens (Link) Kunth
Syntherisma violascens (Link) Nash
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Graminacea annuale alta 20-60 cm, con culmi in cespo lasso, gracili, talora brevemente stoloniferi. Guaine
fogliari glabre oppure pelose, nel qual caso specialmente alla fauce; ligula tronca, non superante 1.5 mm; lamine lanceolatolineari, larghe fino a 6 mm. Infiorescenza con rachide nullo o subnullo e (2-)3-7(-10) racemi digitati, alla fioritura spesso
eretti; infiorescenze secondarie assenti; spighette lunghe (1.2-)1.8-2(-2.1) mm, acute all’apice, con peli sparsi, diritti. Frutto
a cariosside.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Paleotropica.
Habitat: Incolti ed erbosi umidi, ruderati, campi, margini fluviali.
Distribuzione nel territorio: Bergamasco lungo il fiume Oglio, ma sicuramente più diffusa. Da ricercare nella zona delle
brughiere. Bergamo (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, non è possibile precisarne la data di arrivo in Italia in quanto precedentemente confusa
con D. ischaemum. Inizialmente raccolta nel novarese in Piemonte nel 2004 (Verloove, 2008), è stata raccolta anche a Torre
Pallavicina (BG) nel 2005 (Verloove et al., in stampa).
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Nessuno.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Similissima a D. violascens è D. ischaemum (Schreb. ex Schweigg.) Schreb. ex Muhl. (sanguinella sottile), entità nel complesso rara, sebbene
talora comune in scala locale, senza dubbio in parte confusa con la prima. Essa è per tradizione bibliografica un’autoctona della nostra flora, ma
a causa dell’enorme diffusione secondaria (subcosmopolita), nessuno è in grado di stabilire quale sia la sua effettiva area d’origine, per altro non
necessariamente inclusiva del nostro territorio. Si distingue per i seguenti caratteri: 1) racemi in numero di 2-3(-4), inseriti su un breve asse comune,
alla fioritura sempre patenti, 2) spighette con densi peli verruciformi, alcuni dei quali clavati all’apice, 3) presenza (facoltativa) di infiorescenze
secondarie più o meno nascoste nelle guaine inferiori.
Bibliografia: Verloove, 2008; Verloove et al. in stampa
Bibliografia: Banfi, 2005; Banfi & Galasso, 2005; Cook, 1973; Pignatti, 1982; Verloove, 2008b; Wilhalm, 2002, 2009
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panicella
fascicolata
Famiglia: Poaceae
Nome scientifico: Diplachne fascicularis (Lam.) P.Beauv.
Nome volgare: panicella fascicolata
Basionimo: Festuca fascicularis Lam.
Sinonimi: Leptochloa fascicularis (Lam) A.Gray
Leptochloa fusca (L.) Kunth subsp. fascicularis (Lam) N.Snow
Tipo biologico: Tcaesp
Descrizione: Graminacea annuale, cespitosa, glabra o sparsamente pelosa, alta 60-80(-100) cm, con culmi diritti, a 3-5 nodi.
Foglie a guaine lasse, più brevi dei corrispondenti internodi; lamina robusta, piana, larga fino a 7 mm, tendenzialmente
convoluta da vecchia; ligula acuta, lunga 4-6 mm. Infiorescenza in pannocchia piramidale, costituita da racemi regolarmente
decrescenti in lunghezza verso l’alto; spighette lanceolate, con glume più brevi del complesso dei fiori; lemmi acuti, terminanti
in una resta di 0.5-1 mm; antere lunghe 0.3-0.6 mm. Frutto a cariosside.
Periodo di fioritura: aprile-novembre.
Area d’origine: Nordamerica (Stati Uniti: dalla British Columbia e dall’Ontario alla Florida e alla California).
Habitat: Sponde e arginelli nelle risaie.
Distribuzione nel territorio: Lomellina. Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia in Lombardia nel pavese a Pieve del Cairo da Romani
& Tabacchi (2000) e, in seguito, in Piemonte (Tabacchi & Romani, 2002; Soldano, 2006).
Modalità d’introduzione: Accidentale (attraverso il commercio di sementi di riso contaminate).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Soltanto in ambito agricolo.
Impatto: Infestante in risaia.
Azioni di contenimento: Eventuale diserbo in risaia.
Note: Molto simile a D. fusca (vedi scheda), che si riconosce per essere perenne e presentare antere più lunghe (1.25-2.7 mm).
Bibliografia: Banfi et al., 2008; Romani & Tabacchi, 2000; Soldano, 2006; Tabacchi & Romani, 2002
panicella
fosca
Famiglia: Poaceae
Nome scientifico: Diplachne fusca (L.) P.Beauv.
ex Roem. & Schult.
Nome volgare: panicella fosca
Basionimo: Festuca fusca L.
Sinonimi: Diplachne malabarica (L.) Merr.
Festuca reptatrix L.
Leptochloa fusca (L.) Kunth
Leptochloa malabarica (L.) Veldkamp
Poa malabarica L., nom. rej.
Tipo biologico: Hcaesp
Descrizione: Graminacea perenne, con breve rizoma, glabra o sparsamente pelosa, alta fino a 120 (-150) cm, con culmi diritti,
a 3-5 nodi. Foglie a guaine lasse, più brevi dei corrispondenti internodi; lamina robusta, piana, larga 3-5 mm, tendenzialmente
convoluta da vecchia; ligula acuta, lunga 3-5 mm. Infiorescenza in pannocchia largamente piramidata, costituita da racemi
più o meno flessuosi, gli inferiori lunghi 15 cm, i superiori più brevi (circa 7 cm); spighette lanceolate, con glume più brevi del
complesso dei fiori; lemmi acuti, terminanti all’apice con 2 dentelli frammezzati da un breve mucrone; antere lunghe 1.25-2.7
mm. Frutto a cariosside.
Periodo di fioritura: marzo-novembre.
Area d’origine: Paleotropica; ora in larga espansione anche verso le zone temperate.
Habitat: Sponde, bordure umide fangose.
Distribuzione nel territorio: Presso Sant’Alessio con Vialone (PV): pochi individui in una comunità di festuca falascona,
Schedonorus arundinaceus (Schreb.) Dumort. Possibile espansione. Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Italia presumibilmente al principio del secolo corrente. Raccolta in Sicilia (Biviere
di Gela, CL) nel 2002, in Lombardia nel 2007 (Banfi et al., 2008).
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Nessuno.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Molto simile a D. fascicularis (vedi scheda), che si riconosce per essere annuale e presentare antere più brevi (0.3-0.6 mm). Di questo genere,
sostanzialmente nuovo per l’Italia, occorre ricordare la segnalazione di una terza specie, D. uninervia (J.Presl) Parodi, da alcuni autori (per es. Snow,
1998, 2003) trattata a rango subspecifico di D. fusca, riguardante l’Italia Centrale (Emilia Romagna e Lazio). Essa è originaria dell’area compresa fra il
Sud degli Stati Uniti e l’Argentina e si distingue per essere annuale come D. fascicularis, per l’apice del lemma ottuso o smarginato, con brevissima
(<0.5 mm) escorrenza del nervo mediano, e per le antere lunghe solo 0.2-0.6(-1) mm.
Bibliografia: Banfi et al., 2008; Snow, 1998, 2003
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giavone
peloso
Famiglia: Poaceae
Nome scientifico: Echinochloa oryzicola
(Vasinger) Vasinger
Nome volgare: giavone peloso
Basionimo: Panicum oryzicola Vasinger
Sinonimi: Echinochloa crusgalli (L.) P.Beauv.
var. oryzicola (Vasinger) Ohwi
Echinochloa phyllopogon auct., non (Stapf) Stapf ex Kossenko
Echinochloa phyllopogon (Stapf) Stapf ex Kossenko subsp.
oryzicola (Vasinger) Kossenko
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Graminacea annuale, alta 50-l50 cm., con radice fibrosa e culmi eretti, robusti. Guaina fogliare carenata e
lamina larga 5-12 mm, scabra sul bordo; tra la guaina e la lamina, sul margine, si trovano caratteristici peli patenti allungati.
Infiorescenza ricca, contratta, costituita di racemi disposti alternatamente su un asse poco incurvato o quasi eretto, così da
costituire una pannocchia lassamente piramidata; spighette con gluma inferiore lunga fino a 3 / 5 della spighetta, segnata
alla base da 3 nervi cigliati, non visibili nella parte superiore; lemma sterile lungo 4 mm, con 2 serie di ciglia su ciascun lato e
glabro al centro, con resta apicale breve o lunga. Il frutto è una cariosside brunastra, lunga 2-2.4 mm.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Paleotropica (oggi diffusa dai tropici alle zone temperate di tutto il mondo).
Habitat: Specchi di risaia.
Distribuzione nel territorio: Zona delle risaie nel pavese. Pavia (NAT). [E. colona: Milano (NAT).] [E. hispidula: Pavia (NAT),
Varese (CAS).] [E. oryzoides: Pavia (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in periodo indeterminato, probabilmente sin dal Cinquecento, insieme alla
coltura del riso. Esiste anche un confusione tra le varie specie, per cui si può soltanto ricordare che Panicum oryzoides (=
Echinocloa oryzoides) è stato descritto nel 1763 da Pietro Arduino su materiale dell’Italia settentrionale, mentre P. phyllopogon
(sempre sinonimo di Echinochloa oryzoides) è stato descritto nel 1901 da Stapf su piante raccolte nelle risaie novaresi da
Arcangeli nel 1896 e subito segnalato anche nel pavese (Fiori, 1905a; Farneti, 1911).
Modalità d’introduzione: Accidentale, insieme alla coltura del riso, dall’Oriente (India e Cina tropicale).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Sì.
Impatto: Infestante del riso.
Azioni di contenimento: Diserbo in risaia.
Note: Questa specie è molto somigliante alle altre congeneri presenti in Lombardia. Tra di esse, l’unica veramente comune e ubiquitaria, perciò
rilevante in termini di confusione, è il giavone comune (E. crusgalli (L.) P.Beauv.), l’unica autoctona infestante le colture irrigue, le vigne, le risaie,
gli incolti, i ruderati umidi, le rive e gli alvei. Si distingue facilmente per le spighette lunghe 2.8-3.4 mm, per la gluma inferiore lunga 1 / 4-1 / 3
del lemma sterile, con 3-5 linee di setole in corrispondenza dei nervi e spesso con peli sparsi nello spazio internervale; infine per il lemma sterile
lungo 3-3.5 mm e la cariosside di 1.4-1.9 mm. Altri tre giavoni esotici sono noti in Lombardia, il maggiore E. oryzoides (Ard.) Fritsch (= E. phyllopogon
(Stapf ) Stapf ex Kossenko, = E. hostii (M.Bieb.) Link, = Panicum oryzoides Ard.), il meridionale E. colona (L.) Link (= Panicum colonum L.) e il cinese
E. hispidula (Retz.) Nees ex Royle (= E. erecta (Pollacci) Pignatti, = Panicum hispidulum Retz.), i primi due paleotropici, il terzo dell’Estremoriente.
Senza entrare in dettagli diagnostici, preciseremo che il giavone maggiore e il giavone cinese sono anch’essi commensali del riso, mentre il giavone
meridionale è pianta dei terreni fangosi in genere, anche se in Lombardia è stato trovato in risaia. Tutte e tre le specie si mostrano rare nella zona
risicola.
gramigna
indiana
Famiglia: Poaceae
Nome scientifico: Eleusine indica (L.) Gaertn. subsp. indica
Nome volgare: gramigna indiana
Basionimo: Cynosurus indicus L.
Sinonimi: Cynodon indicus (L.) Raspail
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Graminacea annuale cespitosa, alta 10-30(-60) cm, con culmi abbastanza robusti, ma prostrato-diffusi o
ascendenti, ramificati alla base. Foglie generalmente pelose, con lamina larga 2-6(-7) mm, largamente cartilaginea al margine;
ligula lunga 0.5 mm, cigliata. Infiorescenza costituita da (1-)2-8(-10) spighe di (1.5-)5-8(-12)×0.4-0.6(-0.8) cm, digitate all’apice
del culmo; spighette disposte su due serie, 3-6flore, lunghe 4.5-6 mm; gluma inferiore lunga 1.5-2.5 mm, la superiore 2-4.5
mm; lemma lungo 2.5-5 mm. Frutto a cariosside.
Periodo di fioritura: luglio-agosto.
Area d’origine: Paleotropica (oggi termocosmopolita).
Habitat: Bordi di vie, marciapiedi nelle superfici meno calpestate, in ambiente luminoso, in estate surriscaldato, arido e ricco
di nitrati (escrementi). Nella vegetazione del Sisymbrion officinalis Tüxen, Lohmeyer & Preising in Tüxen 1950 e del Polycarpion
tetraphylli Rivas-Mart. 1975.
Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla pianura alla fascia montana. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona
(INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal Settecento. In Lombardia segnalata per la prima volta da Arcangeli (1882a)
a Sesto Calende (VA), dove era stata raccolta da De Notaris nel 1877 (anno della sua morte) o prima (cfr. anche Goiran, 1890b).
Modalità d’introduzione: Deliberata (orti botanici).
Status: Invasiva.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: In Lombardia si trova naturalizzata un’altra specie del genere Eleusine Gaertn., E. tristachya (vedi scheda), che si distingue soprattutto per
l’infiorescenza costituita da sole 2(-3) spighe, di 1-2x0.8-1.2 cm.
Bibliografia: Arcangeli, 1882a; Goiran A., 1890b
Bibliografia: Banfi, 1985; Carretero, 1981; Costea & Tardif, 2002; Farneti, 1911; Fiori, 1905a; Tabacchi et al., , 2006
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gramigna
a tre spighe
Famiglia: Poaceae
Nome scientifico: Eleusine tristachya (Lam.) Lam.
Nome volgare: gramigna a tre spighe
Basionimo: Cynosurus tristachyos Lam.
Sinonimi: Eleusine indica (L.) Gaertn.
var. tristachya (Lam.) Fiori
Eleusine italica N.Terracc.
Eleusine tristachya (Lam.) Kunth, comb. superfl.
Tipo biologico: Hcaesp
Descrizione: Graminacea lassamente cespitosa, perenne, alta 14-20 cm, simile a E. indica (vedi scheda), ma con infiorescenza
costituita da 2(-3) spighe di 1-2x0.8-1.2 cm; spighette 4-10-flore, lunghe 5-6.5 mm; lemma di 2.4-3.6(4) mm. Frutto a cariosside.
Periodo di fioritura: luglio-agosto.
Area d’origine: Afro-sudamericana (possibile trasmigrazione preumana dall’Africa).
Habitat: Incolti calpestati.
Distribuzione nel territorio: Bresciano, sul Lago di Garda. Brescia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia dalla seconda metà dell’Ottocento: descritta nel 1872 come E. italica
per il Lazio e dopo oltre un secolo osservata nuovamente in Liguria nel 1983 (Minuto, 1993a); osservata naturalizzata da
Franco Giordana nel 2008 a Gargnano (BS) e qui segnalata per la prima volta in Lombardia.
Modalità d’introduzione: Ignota, presumibilmente accidentale.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Nessuno.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: In Lombardia è molto più comune un’altra specie del genere Eleusine Gaertn., E. indica subsp. indica (vedi scheda), anch’essa esotica,
caratterizzata da un numero maggiore di spighe, (1-)2-8(-10), che sono più lunghe e slanciate, di (1.5-)5-8(-12)×0.4-0.6(-0.8) cm.
Bibliografia: Minuto, 1993a
panicella
pettinata
Famiglia: Poaceae
Nome scientifico: Eragrostis pectinacea (Michx.) Nees
Nome volgare: panicella pettinata
Basionimo: Poa pectinacea Michx.
Sinonimi: Eragrostis caroliniana (Biehler) Scribn.
Eragrostis diffusa Buckley
Eragrostis pectinacea (Michx.) Steud., comb. superfl.
Poa caroliniana Biehler
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Graminacea annuale alta 10-25 cm, con culmi gracili, fascicolati, ginocchiato-ascendenti o spesso prostratodiffusi. Foglie con lamina larga 2-3 mm, sul margine liscia, senza ghiandole; ligula costituita da un anello di peli allungati.
Pannocchia ampia con rami capillari, ondulato-flessuosi, scabri, semplici, solo raramente l’inferiore con una breve ramificazione
laterale portante 2-3 spighette; spighette verdastre, spesso violette all’apice, lunghe 5-8 mm e larghe 1.5 mm, recanti (4-)810(-18) fiori, portate da peduncoli lunghi almeno quanto le stesse; lemma liscio, mutico, con nervi laterali evidenti; cariosside
convessa anche sulla faccia ventrale.
Periodo di fioritura: giugno-agosto.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Incolti calpestati, greti, golene.
Distribuzione nel territorio: Ovunque, in ambito planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi
(INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV). [E. frankii: Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT),
Milano (NAT).] [E. mexicana subsp. virescens: Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, naturalizzata in Italia sin dalla prima metà dell’Ottocento (Ricceri, 1982). Segnalata in
Lombardia da Ricceri (1982) e Banfi (1983a), le prime raccolte sono del 1973 nel mantovano, ma la pianta era sicuramente
presente da molto prima, in precedenza confusa con E. pilosa.
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Minaccia la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce, in alcuni casi con coperture prossime al 100% lungo il
greto del Po e dei suoi affluenti.
Note: Altre due aliene americane sono degne di nota in quanto in attiva espansione sul territorio lombardo: si tratta di E. frankii C.A.Mey. ex Steud.
(panicella di Frank, segnalata da Banfi, 2005; Banfi & Galasso, 2005) ed E. mexicana (Hornem.) Link subsp. virescens (J.Presl) S.D.Koch & Sánchez
Vega (= E. virescens J.Presl; panicella verdasatra, segnalata da Martini & Scholz, 1998). La prima ha spighette bruno verdastro chiaro, non più
lunghe di 3(-3.5) mm, con (2-)4-5(-7) fiori, portate da peduncoli più brevi di 5 mm in pannocchia aperta ma non ampia, di norma lunga meno di
metà del culmo; la seconda è una pianta alta fino a 70 cm, con spighette verde brunastro, lunghe (2.5-)4-4.5(-7) mm, recanti (3-)5-7(-11) fiori; vi
è tuttavia confusione tra queste due specie. L’autoctona E. pilosa (L.) P.Beauv. (panicella pelosa), di origine eurasiatica, può creare confusione per
il portamento e l’aspetto generale, ma si distingue per i rami della pannocchia a loro volta ramificati, i basali riuniti a 3-5, provvisti di lunghi peli
ascellari, e per le glume, che nelle spighette immature appaiono di diversa lunghezza con l’inferiore pari a 1 / 2-3 / 4 della superiore.
Bibliografia: Banfi, 1983a, 2005; Banfi & Galasso, 2005; Martini & Scholz, 1998; Peterson, 2003; Ricceri, 1982; Ryves, 1980
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mulembergia
di Schreber
Famiglia: Poaceae
Nome scientifico: Muhlenbergia schreberi J.F.Gmel.
Nome volgare: mulembergia di Schreber
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Graminacea perenne alta 20-40 cm, con culmi gracili, prostrati e radicanti ai nodi, quindi ± ascendenti e fioriferi,
ramosi, di aspetto vagamente bambusoide; nodi ingrossati, purpurei. Foglie con lamina breve (4 cm), piana, larga 2-4 mm,
glaucescente; ligula costituita da una frangia di peli. Pannocchie numerose, contratte, lineari, diafane, di un verde tenero
argentato, lunghe 5-15 cm: spighette uniflore con glume rudimentali (0.1-0.2 mm), l’inferiore subnulla; lemma lungo 2 mm,
terminante in una resta flessuosa di 2-5 mm; peli basali lunghi 1 / 5 del lemma stesso. Frutto a cariosside.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Nordamerica sudorientale.
Habitat: Incolti umidi e fangosi, dove preferisce l’ombra, margini dei torrenti e dei sentieri boschivi.
Distribuzione nel territorio: Lombardia occidentale, prevalentemente nell’area collinare. Bergamo (NAT), Como (NAT),
Cremona (NAT), Lecco (INV), Milano (INV), Varese (INV). [M. frondosa: Pavia (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, comparsa in Canton Ticino nel 1963 presso il Lago di Lugano (Becherer, 1965), subito
dopo è stata osservata a Campione d’Italia nel comasco (Becherer, 1966) e, in seguito, nel gallaratese (VA) da Stucchi (1972).
Modalità d’introduzione: Ignota.
Status: Invasiva.
Dannosa: No.
Impatto: Nessuno, se non fisionomico locale: aspetto gradevole, di prato umido soffice in tonalità del grigio.
Note: M. frondosa (Poir.) Fernald (= Agrostis frondosa Poir.; mulembergia frondosa), nativa del Canada meridionale e degli Stati Uniti centro-orientali
è pure presente nel nostro territorio (Soldano, 1977a) e si distingue per i culmi eretti, mai radicanti ai nodi, per le foglie con lamina lunga fino a
20 cm, per le glume di 2-3 mm, mucronate all’apice e per il lemma di 2-3 mm, con resta ridotta ad un breve mucrone e peli basali lunghi 1 / 2
del lemma stesso.
Bibliografia: Becherer, 1965, 1966; Soldano, 1977a; Stucchi, 1972
panico
dei campi
Famiglia: Poaceae
Nome scientifico: Panicum dichotomiflorum Michx.
Nome volgare: panico dei campi
Sinonimi: Leptoloma dichotomiflorum (Michx.) Smyth
Panicum chloroticum Nees ex Trin.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Graminacea annuale a ciclo estivo-autunnale, con culmi alti 5-200 cm, spessi talora fino a 3 mm, generalmente
prostrato-diffusi, ginocchiato-ascendenti, radicanti ai nodi prossimali se a contatto fisso con l’acqua, da semplici a provvisti
di ramificazioni largamente divergenti in corrispondenza dei nodi inferiori; nodi più o meno rigonfi, glabri. Foglie con
guaine compresse, rigonfie, da pelose a glabrescenti, spesso cigliate ai margini e alla fauce; ligula membranosa di 0.5-2
mm; lamine di 10-65×0.3-2.5 cm, glabre o sparsamente pelose, spesso scabre ai margini, con robusta nervatura centrale
biancastra. Pannocchie lunghe 4-40 cm, diffuse, lasse, con poche ramificazioni alterne od opposte, eretto-patenti o patenti,
scabre, recanti scarse spighette; peduncoli di 1-6 mm, acutamente trigoni, scabri, apicalmente dilatati a coppa, in prevalenza
appressati al lato abassiale dei rami; spighette di 1.8-3.8×0.7-1.2 mm, ellissoidali o strettamente ovoidi, verde chiaro o rosso
porpora, glabre, da acute ad acuminate; gluma inferiore 0.6-1.2 mm; gluma superiore e lemma inferiore simili, eccedenti di
0.3-0.6 mm il fiore superiore; fiore inferiore sterile, il superiore di 1.4-2.5×0.7-1.1 mm, strettamente ellissoidale, lucido, da
stramineo a nerastro con nervi pallidi. Frutto a cariosside.
Periodo di fioritura: luglio-novembre.
Area d’origine: Nordamerica centro-orientale.
Habitat: Incolti, bordi di vie, scarpate, ruderi, alvei e infestante delle colture sarchiate.
Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla fascia planiziale a quella montana inferiore. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como
(NAT), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV),
Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Europa negli anni ’30 del secolo scorso. In Italia viene raccolta per la prima volta
nel 1951 da Koch (1952) nelle risaie piemontesi, anche presso il confine lombardo, e segnalata per la Lombardia da Pignatti
(1957b).
Modalità d’introduzione: Accidentale, con le lane o, più probabilmente, con la maiscoltura o la risicoltura.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì, solo in campo agricolo.
Impatto: Infestante delle colture sarchiate.
Azioni di contenimento: Eventuale diserbo selettivo nelle colture agrarie.
Note: Le popolazioni presenti sul territorio regionale (e in tutta Italia) sono da riferire al ceppo nominale della specie (subsp. dichotomiflorum),
mentre in America vengono distinte altre due varianti: subsp. bartowense (Scribn. & Merr.) Freckmann & Lelong e subsp. puritanorum (Svenson)
Freckmann & Lelong. La prima, diffusa in area tropicale (Florida, Bahamas, Cuba), presenta guaine ispide per peli a base papillosa, la seconda
(paleospiagge della costa atlantica, dalla Nuova Scozia alla Virginia e a Sud del Lago Michigan) spighette acute di 1.8-2.2 mm, con la massima
larghezza a metà, su peduncoli spesso maggiori di 3 mm e, inoltre, gluma superiore e lemma inferiore submembranacei. Soprattutto quest’ultima
denota precondizioni di adattamento climatico ben compatibili con il nostro territorio e, sebbene finora non segnalata, non se ne esclude la
possibilità di presenza.
Bibliografia: Fenaroli, 1964; Koch, 1952; Lorenzoni, 1964; Pignatti, 1957b
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panico di
Philadelphia
Famiglia: Poaceae
Nome scientifico: Panicum philadelphicum
Bernh. ex Trin.
Nome volgare: panico di Philadelphia,
erba-nebbia minore
Sinonimi: Panicum capillare L. var. campestre Gatt.,
non Panicum campestre Nees ex Trin.
Panicum gattingeri Nash
Panicum philadelphicum Bernh. ex Trin. subsp. gattingeri
(Nash) Freckmann & Lelong
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Graminacea annuale con culmi alti 10-60 cm, generalmente prostrato-diffusi, ramosi, fittamente pelosi ai nodi.
Foglie con guaina carenata, molto villosa per lunghi peli patenti e lamina verde-glauca, pelosa o glabrescente, larga 6-12
mm; ligula subnulla. Pannocchie numerose, una terminale e diverse laterali (queste ultime più piccole), aperte, a contorno
ovoidale o ellissoidale, la terminale di norma lunga meno di metà del culmo; ramificazioni capillari e fitte, terminanti con una
sola spighetta di 1.4-2.4 mm, da acuta a subacuminata all’apice. La pannocchia principale a maturità persiste sulla pianta e le
spighette vengono disperse per progressiva demolizione della sua impalcatura. Frutto a cariosside.
Periodo di fioritura: maggio-settembre.
Area d’origine: Nordamerica orientale.
Habitat: Greti, incolti.
Distribuzione nel territorio: Lungo il Po e i suoi affluenti; anche in Oltrepo lungo il torrente Versa. Brescia (NAT), Cremona
(NAT), Pavia (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in un periodo imprecisabile a causa della confusione con P. capillare. Raccolta
per la prima volta in Italia nel 1983 in Friuli-Venezia Giulia (Melzer, 1985; Melzer & Bregant, 1992), in Lombardia a partire dal
2008 (Verloove et al., 2010 a).
Modalità d’introduzione: Indeterminata.
Status: Invasiva.
Dannosa: Attualmente no.
Impatto: Potenzialmente simile a quello di P. capillare.
Note: Simile a P. capillare (vedi scheda), caratterizzato da una pannocchia lunga almeno la metà dell’intera pianta, che a maturità si rompe alla
base rotolando sul terreno, e da spighette lunghe sino a 4 mm. Darbyshire & Cayouette (1995) riconoscono il rango specifico a P. gattingeri, mentre
Freckmann & Lelong (2002, 2003) lo subordinano a sottospecie di P. philadelphicum; tuttavia la revisione di Panicum s.s. di Zuloaga & Morrone
(1996) sinonimizza tra loro queste entità, non riconoscendo valore sistematico a caratteri ritenuti mere fluttuazioni all’interno dei popolamenti.
Bibliografia: Darbyshire & Cayouette, 1995; Freckmann & Lelong, 2002, 2003; Melzer, 1985; Melzer & Bregant, 1992; Verloove et al., 2010 a; Zuloaga
& Morrone, 1996
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panico
capillare
Famiglia: Poaceae
Nome scientifico: Panicum capillare L.
Nome volgare: panico capillare, erba-nebbia
Sinonimi: Chasea capillaris (L.) Nieuwl.
Leptoloma capillare (L.) Smyth
Milium capillare (L.) Moench
Panicum bobartii Lam.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Graminacea annuale a ciclo estivo-autunnale, con culmi alti 20-50 cm, generalmente prostrato-diffusi,
ramosi, fittamente pelosi ai nodi. Foglie con guaina carenata, molto villosa per lunghi peli patenti e lamina verde-glauca,
subglabra, larga 10-15 mm; ligula subnulla. Pannocchia terminale eretta, aperta, a contorno largamente ovato, di norma
lunga metà del culmo o più, di aspetto caratteristicamente “nebbioso” per effetto dei numerosissimi rami capillari patenti in
tutte le direzioni, lunghi 5-15 mm, ciascuno portante di norma 1 sola spighetta di 1.9-4 mm, ± acuminata all’apice; gluma
superiore e lemma lunghi 2 mm. Pannocchie secondarie sono presenti sui getti periferici, a volte seminascoste nelle guaine.
A maturità la pannocchia principale si disarticola facilmente al nodo inferiore e si stacca dalla pianta per lasciarsi rotolare al
vento disseminando le spighette fruttifere. Frutto a cariosside.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Nordamerica meridionale, Isole Bermuda, Messico settentrionale.
Habitat: Incolti, bordi di vie, scarpate, alvei ed infestante nei campi di mais.
Distribuzione nel territorio: Ovunque, soprattutto in pianura e nei fondivalle. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV),
Lecco (NAT), Lodi (INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dalla metà del Seicento e naturalizzata verso la fine dell’Ottocento,
raccolta nel 1880 nel veronese (Goiran, 1898). In Lombardia raccolta nel 1915 nel bresciano da Ugolini (1921).
Modalità d’introduzione: Deliberata (orti botanici).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Minaccia la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce, in alcuni casi con coperture prossime al 100% lungo il
greto del Po e dei suoi affluenti.
Note: Simile a P. philadelphicum (vedi scheda), caratterizzata da una pannocchia molto più breve, che di norma non si distacca a maturità, e da
spighette che raggiungono soltanto 2,4 mm.
Bibliografia: Goiran, 1898; Ugolini, 1921
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panico
brasiliano
Famiglia: Poaceae
Nome scientifico: Paspalum dilatatum Poir.
Nome volgare: panico brasiliano
Sinonimi: Digitaria dilatata (Poir.) H.J.Coste
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Graminacea perenne cespitosa, con rizoma a internodi brevi e culmi di 50-150 cm, suberetti o ginocchiati,
paucinodi, glabri. Guaine 2-25 cm, lasse, le basali peloso-papillose in basso, le superiori da glabre a sparsamente pelose; ligula
membranosa, lunga 3-5 mm; è presente una pseudoligula formata da un arco di peli lunghi fino a 5 mm. Lamine linearilanceolate, fino a 40×1 cm, piane, glabre. Infiorescenza terminale costituita da 2-5 racemi sparsamente alterni, divergenti, di
norma nutanti o penduli e unilaterali; spighette da ovoidi a largamente ellissoidali, di 2.8-4×1,8-2 mm, con gluma inferiore
subnulla e 2 fiori (l’inferiore sterile); gluma superiore peloso-cigliata sul bordo, lunga 2.8-4 mm; lemma di poco più breve.
Cariosside da ovoide a suborbicolare, di 1.6-2×1.4-1.6 mm.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Sudamerica (Argentina, S-Brasile, Paraguay, Uruguay).
Habitat: Stazioni umide soleggiate, nelle pianure alluvionali, su suolo ricco in sostanza organica e nutrienti.
Distribuzione nel territorio: Planiziale e collinare. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Lecco (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT),
Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata nell’Orto Botanico di Pisa almeno dal 1860 e da qui diffusasi in Versilia dove è stata
raccolta la prima volta in Italia nel 1914 (Pellegrini, 1937) e, in seguito, nel 1934 (Bonaventura, 1935; Montelucci, 1935, 1936);
segnalata per la prima volta in Italia in Liguria (Bolzon, 1925), probabilmente giunta dal nizzardo ove era già stata segnalata
all’inizio del secolo (Goiran, 1909, 1910) oppure dall’Orto Botanico di Genova (Montelucci, 1936). In Lombardia raccolta per la
prima volta nel 1970 nel bresciano (Arietti & Crescini, 1975).
Modalità d’introduzione: Accidentale, presumibilmente con i foraggi.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Nessuno.
panico
acquatico
Famiglia: Poaceae
Nome scientifico: Paspalum distichum L.
Nome volgare: panico acquatico, panico a due spighe
Sinonimi: Anastrophus paspalodes (Michx) Nash
Digitaria disticha (L.) Fiori & Paol.
Digitaria paspalodes Michx. / Milium distichum (L.) Muhl.
Milium paspalodes (Michx.) Elliott
Paspalum digitaria Poir., nom. illeg.
Paspalum distichum L. subsp. paspalodes (Michx.) Thell.
Paspalum paspalodes (Michx.) Scribn.
Tipo biologico: Grhiz
Descrizione: Graminacea perenne alta 10-60 cm, con rizoma allungato e stoloni radicanti; culmi eretti o prostrati, deboli.
Guaine fogliari cigliate al margine almeno nel tratto distale; lamine piane, larghe 2-6 mm; ligula subnulla (0.5 mm). Due
racemi all’apice del culmo, lunghi 2-7 cm, appaiati, sessili oppure uno solo dei due brevemente peduncolato; spighette
lunghe 2.5-3.5 mm, distiche, ovato-acuminate; base del rachide o del peduncolo pubescente; gluma superiore minutamente
pubescente, l’inferiore squamiforme; lemma con nervo centrale rilevato. Frutto a cariosside.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Neotropica.
Habitat: Sponde temporaneamente inondate di corsi d’acqua e stagni, lanche fluviali.
Distribuzione nel territorio: Soprattutto lungo il Po e i suoi affluenti. Bergamo (CAS), Brescia (INV), Cremona (NAT), Lodi
(NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Liguria da Penzig (1889) come già naturalizzata; in Lombardia
presente agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso a Milano e degli anni ’90 nel bresciano (Zanotti, 1992).
Modalità d’introduzione: Ignota, presumibilmente accidentale.
Status: Invasiva.
Dannosa: Relativamente.
Impatto: Diminuisce la biodiversità delle cenosi spondali in cui si insedia, togliendo spazio alle specie autoctone.
Bibliografia: Arzuffi, 2000; Banfi & Galasso, 1998; Bonali et al., 2006a; Giordana, 1995; Penzig, 1889; Zanotti, 1992, 2000
Bibliografia: Arietti & Crescini, 1975; Bolzon, 1925; Bonaventura, 1935; G oiran, 1909, 1910; Macchi, 2005; Mangili, 2000; Montelucci, 1935; Pellegrini, 1937
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pabbio
di Faber
Famiglia: Poaceae
Nome scientifico: Setaria faberi F.Herm.
Nome volgare: pabbio di Faber, pabbio pendulo
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Graminacea annuale dal portamento elevato (fino a 150 cm). Foglie a lamina brevemente pubescente sulla
faccia adassiale, larga fino a 1.5 cm; ligula costituita da minuti peli. Pannocchia terminale, spiciforme, reclinata, lunga 10 cm e
più; spighette di 2.5-3 mm, lungamente superate dalle setole della pannocchia (rami sterili alla base delle spighette); lemma
fertile con evidenti rughe trasversali, meno accentuate verso l’apice. Frutto a cariosside.
Periodo di fioritura: giugno-ottobre.
Area d’origine: Asia orientale (introdotta dalla Cina negli USA e da qui in Europa).
Habitat: Margini dei campi, incolti.
Distribuzione nel territorio: Pianura centro-orientale. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Cremona (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, in Italia raccolta per la prima volta nel bresciano nel 1987 (Banfi, 1989).
Modalità d’introduzione: Ignota, presumibilmente accidentale con le colture.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Nessuno.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Bibliografia: Banfi, 1989; Bonali et al., 2006a; Giordana, 1995
pabbio
gigante
Famiglia: Poaceae
Nome scientifico: Setaria pycnocoma (Steud.) Henrard ex Nakai
Nome volgare: pabbio gigante
Sinonimi : Panicum viride L. var. giganteum Franch. & Sav.
Panicum viride L. var. majus Gaudin
Setaria gigantea (Franch. & Sav.) Makino
Setaria italica auct., non (L.) P.Beauv.
Setaria italica (L.) P.Beauv. subsp. pycnocoma (Steud.) de Wet
Setaria pycnocoma (Steud.) Henrickson, com. superfl.
Setaria viridis (L.) P.Beauv. subsp. pycnocoma (Steud.) Tzvelev
? Setaria viridis (L.) P.Beauv. var. major Gray
Setaria viridis (L.) P.Beauv. var. major (Gaudin) Peterm.,
non Gray, nom. illeg.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Graminacea annuale dal portamento elevato (fino a 150 cm). Guaine e lamine fogliari glabre o sparsamente
pelose; ligula di peli lunghi 1-1.5 mm; lamina larga fino a 2 cm. Pannocchia terminale spiciforme, lunga fino a 20 cm, con
setole lunghe 2-3.5 volte le spighette; queste ultime lunghe fino a 3 mm; lemma fertile coperto fin quasi all’apice dalla gluma
superiore, liscio. Frutto a cariosside.
Periodo di fioritura: giugno-ottobre.
Area d’origine: Asia orientale.
Habitat: Campi, incolti.
Distribuzione nel territorio: Planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (INV), Cremona (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (NAT),
Milano (INV), Pavia (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, in precedenza confusa spesso con S. italica (Melzer & Bregant, 1990; Poldini et al., 2001),
segnalata per la prima volta in Italia in Friuli-Venezia Giulia da Pospichal (1897), in Lombardia a Milano da Banfi & Galasso
(1998).
Modalità d’introduzione: Ignota, probabilmente con le sementi da foraggio.
Status: Invasiva.
Dannosa: No.
Impatto: Minimo.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Questa specie potrebbe essere il progenitore selvatico di S. italica (L.) P.Beauv. oppure un suo feral (Tzvelev, 1976).
Bibliografia: Banfi, 1989; Banfi & Galasso, 1998; Melzer & Bregant, 1990; Poldini et al., 2001; Pospichal, 1897; Tzvelev, 1976; Zanotti, 2000
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gramigna
tenacissima
Famiglia: Poaceae
Nome scientifico: Sporobolus indicus (L.) R.Br.
Nome volgare: gramigna tenacissima
Basionimo : Agrostis indica L.
Sinonimi : Agrostis tenacissima L.f.
Axonopus poiretii Roem. & Schult.
Sporobolus poiretii (Roem. & Schult.) Hitch.
Sporobolus tenacissimus (L.f.) J.Presl, comb. superfl.
Sporobolus tenacissimus (L.f.) P.Beauv.
Vilfa indica (L.) Trin. ex Steud.
Vilfa tenacissima (L.f.) Kunth
Tipo biologico: Hcaesp
Descrizione: Graminacea perenne con culmi alti fino a 1 m e più, eretti, avvolti dalle guaine (spesso fin sotto l’infiorescenza),
formanti densi cespi collegati tra loro da un rizoma strisciante a pelo terra come quello della comune gramigna (Cynodon
dactylon). Foglie del culmo erette, lunghe 20-30 cm e larghe fino a 6 mm, con guaina pelosa al margine; ligula ridotta ad un
ispessimento coriaceo di 0.3-0.5 mm; lamina piana, glabra, convoluta all’apice. Pannocchia lineare, compatta, subcilindrica,
di 8-20×0.5 cm, spesso sublobata; spighette portate da brevi ramificazioni erette ed appressate al rachide della pannocchia,
subsessili, verdastre; glume lunghe 0.7 e 1.5 mm rispettivamente; lemma lungo 1.7-1.8 mm; cariosside piriforme, di 1.5×0.8
mm, finemente rugosa.
Periodo di fioritura: giugno-luglio.
Area d’origine: Asia tropicale.
Habitat: Incolti sabbiosi o su terreno a granulometria grossa; non sopporta eccessivo calpestamento.
Distribuzione nel territorio: Planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Milano (NAT),
Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia almeno dal 1803 e segnalata in natura da Béguinot & Mazza (1916b)
per Liguria e Lombardia. Le prime raccolte in natura sono del 1897 a Napoli, 1907 a Genova e 1910 sul Lago d’Iseo (Ugolini,
1917, 1921).
Modalità d’introduzione: Accidentale, con le lane.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Nessuno.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Bibliografia: Arietti, 1950; Béguinot & Mazza, 1916b; Ugolini, 1917, 1921
gramigna
a foglie
guainanti
Famiglia: Poaceae
Nome scientifico: Sporobolus vaginiflorus
(Torr. ex A.Gray) Alph.Wood
Nome volgare: gramigna a foglie guainanti
Basionimo : Vilfa vaginiflora Torr. ex A.Gray
Sinonimo: Cryptostachys vaginata Steud.
Muhlenbergia vaginiflora (Torr. ex A.Gray) Jogan
Sporobolus vaginatus (Steud.) Scribn.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Graminacea annuale alta 20-40 cm, con culmi eretti, fascicolati, gracili. Foglie con guaine caratteristicamente
rigonfie, la superiore spesso includente la parte prossimale dell’infiorescenza principale e le altre avvolgenti completamente
(specialmente a fine stagione) le infiorescenze laterali; ligula breve; lamina larga 2-3 mm, pelosa alla base, convoluta all’apice.
Pannocchia stretta, lunga 2-5 cm, lobata. Spighette uniflore, lunghe 2-3 mm; glume lineari-subaristate, disuguali (la superiore
lunga quanto il lemma, l’inferiore la metà o poco più); lemma glabro o tutt’al più scabro.
Periodo di fioritura: agosto-settembre.
Area d’origine: Nordamerica orientale.
Habitat: Suoli subaridi a bassa competizione: pendii, greti asciutti ecc.
Distribuzione nel territorio: Soprattutto lungo il Po e i suoi affluenti. Bergamo (INV), Brescia (NAT), Cremona (INV), Lodi
(NAT), Milano (NAT), Varese (INV). [S. neglectus: Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, in Italia segnalata per la prima volta nel goriziano (Cohrs, 1953); in Lombardia segnalata per
la prima volta da Zanotti (1996b) che la raccolse nel 1994.
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Minaccia la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce.
Note: Le infiorescenze incluse nelle guaine portano fiori cleistogami, che non si aprono ma si autoimpollinano producendo normali cariossidi.
Questa strategia, che fa parte della così detta sindrome R di Grime (Grime et al. 1988), è condivisa da un gran numero di piante annuali colonizzatrici
di terreni a bassa competizione, come suoli denudati di recente, greti ecc. Il vantaggio consiste nel guadagnare tempo sulla riproduzione, in modo
da precedere, con le successive generazioni, la comparsa e la stabilizzazione di specie più competitive, bienni e perenni, che finiranno per occupare
stabilmente il suolo. S. neglectus Nash (= S. vaginiflorus (Torr. ex A.Gray) Wood var. neglectus (Nash) Scribn.; gramigna minore), pure originario del
Nordamerica, si distingue per le spighette più grandi (3-5 mm) e per i lemmi pubescenti. È ugualmente presente nel nostro territorio (Banfi, 2005;
Banfi & Galasso, 2005; Bonali et al., 2006a), dove si incontra negli stessi habitat. Entrambe le specie sono attualmente in espansione.
Bibliografia: Banfi, 2005; Banfi & Galasso, 2005; Bonali & D’Auria, 2005; Bonali et al., 2006a; Cohrs, 1953; FAB, 2000; Grime et al., 1988; Macchi,
2005; Zanotti, 1996b
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crespino
di Beale
Famiglia: Berberidaceae
Nome scientifico: Berberis bealei Fortune
Nome volgare: crespino di Beale, maonia di Beale
Sinonimi: Mahonia bealei (Fortune) Carrière
Tipo biologico: nPscap
Descrizione: Arbusto alto 1-2 m, con fusto privo di spine. Foglie imparipennate, sempreverdi, alterne, lunghe 30-40 cm
o anche più; segmenti 9-15, coriacei, glabri, verde lucente sulla pagina superiore, glauco-opachi inferiormente; segmento
terminale picciolato, di 6.5-9.5×4-7 cm, lungo 1-2.5 volte la larghezza, i laterali ovati od ovato-lanceolati, con apice acuminato
e margine provvisto di 2-7 grandi denti ristretti in una spinula. Infiorescenze racemose, dense, eretto-patenti, fascicolate a 6-9
all’apice dei rami, lunghe 5-17 cm, recanti 70-150 fiori ciascuna; pedicelli lunghi 4-6 mm; sepali 6, valvati, gialli, in due verticilli,
gli esterni più brevi, tutti caduchi dopo l’antesi; petali 6, valvati, gialli. Frutto consistente in una bacca blu, pruinosa, oblungoovoide, lunga 9-12 mm, con 1-10 semi.
Periodo di fioritura: febbraio-aprile.
Area d’origine: Asia orientale (Cina).
Habitat: Boschi termofili a carattere oceanico, con elevata umidità atmosferica.
Distribuzione nel territorio: Naturalizzata nei pressi del Lago Maggiore ed in particolare nelle località con giardini e parchi
storici, in cui viene spesso coltivata e da dove sfugge nei boschi adiacenti (200-400 m s.l.m.). Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XIX. Segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia
da Cerabolini et al. (2008).
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Eradicazione manuale.
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maonia
comune
Famiglia: Berberidaceae
Nome scientifico: Mahonia aquifolium (Pursh) Nutt.
Nome volgare: maonia comune
Basionimo: Berberis aquifolium Pursh
Note: Può essere confusa con specie affini, in particolare B. japonica (Thunb.) R.Br. (= Mahonia japonica (Thunb.) DC.), che differisce per il segmento
fogliare terminale lungo 2-3.5 volte la larghezza, per le infiorescenze arcuato-pendule, lunghe 10-25 cm e per i peduncoli fiorali lunghi 6-10 mm.
Anche quest’ultima è talvolta coltivata nei giardini, ma finora non ha fatto comparse in natura. Vettore fondamentale della diffusione della pianta
è l’avifauna frugivora.
Tipo biologico: nPscap
Descrizione: Arbusto alto sino a 2 m, eccezionalmente di più; fusti spesso prostrati, radicanti. Foglie sempreverdi, alterne,
lunghe sino a 25 cm, imparipennate, di norma con 5-9 segmenti piuttosto coriacei ma flessibili, glabri, verde scuro e lucenti da
adulti, rossastri da giovani; segmento terminale picciolato, 5-9×2.5-4.5 cm, lungo 1.5-2.5 volte la larghezza; segmenti laterali
subsessili, ovato-lanceolati o ellittico-lanceolati, con apice acuto o talvolta ottuso-arrotondato e margine spesso ondulato
con 5-21 piccoli denti spinosi. Infiorescenze racemose, dense, suberette, in gruppi di 3-5, lunghe 3-10 cm, ciascuna con 30-60
fiori dall’odore leggero, poco gradevole; sepali 6, valvati, gialli, caduchi dopo l’antesi; petali 6, valvati, gialli, lunghi 6-8 mm,
i 3 interni nettariferi, lievemente più lunghi degli altri; stami 6; ovario supero. Frutto costituito da una bacca blu, pruinosa,
oblungo-ovoide, lunga 6-10 mm, contenente 1-10 semi.
Periodo di fioritura: febbraio-aprile.
Area d’origine: Nordamerica occidentale (costa pacifica).
Habitat: Boschi subacidofili spesso degradati, a carattere mesofilo; termicamente poco esigente. Talvolta anche in impianti di conifere.
Distribuzione nel territorio: Presente sporadicamente in tutto il territorio, soprattutto nella fascia collinare e submontana
(200-550 m s.l.m.); si riscontra in prevalenza nelle aree boschive prossime a giardini e parchi storici, dove è spesso coltivata
isolata o condotta a siepe. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (CAS), Cremona (CAS), Lecco (NAT), Lodi (CAS), Monza e
Brianza (CAS), Milano (CAS), Mantova (CAS), Pavia (CAS), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nella prima metà del XIX secolo. Segnalata per la prima volta in
Lombardia da Giordana (1995).
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: L’attuale diffusione della specie e la consistenza numerica delle sue popolazioni spontaneizzate non danno riscontri
negativi in termini di impatto.
Azioni di contenimento: Eradicamento manuale con particolare attenzione alla rimozione delle parti ipogee della pianta.
Bibliografia: Ahrendt, 1961; Banfi et al., 2009; Cerabolini et al., 2008
Bibliografia: Ahrendt, 1961; Bonali et al., 2006a; Cerabolini et al., 2008, Giordana, 1995
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clematide
himalayana
Famiglia: Ranunculaceae
Nome scientifico: Clematis tangutica (Maxim.) Korsh.
Nome volgare: clematide himalayana, clematide gialla
Basionimo: Clematis orientalis L. var. tangutica Maxim.
Tipo biologico: nPlian
Descrizione: Rampicante legnoso con fusti volubili lunghi anche diversi metri, oppure (su substrati litici in clima arido)
cespuglio condensato; rami giovani con 6-8 deboli solchi, puberuli quindi glabrescenti. Foglie pennate o bipennate, con
picciolo di 2-6 cm e lamina a segmenti terminali da ovato-rombici a strettamente ovati, di 1-6×0.5-2.8 cm, spesso trilobati.
Fiori solitari, terminali o raramente a 1-3 in cime ascellari, larghi 2-6 cm; perianzio monoclamide con calice di 4 sepali gialli,
a volte soffusi di porpora; stami numerosi, con filamenti di 5-11 mm; ovario apocarpico costituito da numerosi carpelli con
stilo apicale densamente villoso, lungo 0.9-1.5 cm. Il frutto è un acheneto (testa di acheni monocarpici), con gli stili accresciuti
fino a 5 cm e piumosi.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: Asia centro-orientale.
Habitat: Boscaglie umide.
Distribuzione nel territorio: Valtellina, nel bormiese, lungo il Torrente Campello. Sondrio (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombardia (e, presumibilmente, in Italia) da Meda (2002).
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Estetico-paesaggistico, ma assai localizzato.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: In alcuni garden center si vende pure C. orientalis L., proveniente dalla stessa area geografica, la quale si distingue per i fiori sempre riuniti in
cime ascellari (mai solitari). Finora non è mai stata osservata fuori coltura.
Bibliografia: Meda, 2002
Fior di loto
Famiglia: Nelumbonaceae
Nome scientifico: Nelumbo nucifera Gaertn.
Nome volgare: fior di loto, loto del Giappone
Basionimo: nome basato su Nymphaea nelumbo L.
Sinonimi: Nelumbo speciosa Willd., nom. illeg.
(‘Nelumbium speciosum’)
Tipo biologico: Grhiz
Descrizione: Pianta erbacea perenne acquatica, alta 1-2 m, con rizoma strisciante nel fango. È riconoscibile per le grandi
foglie peltate, di colore verde-glauco e aspetto ceroso, largamente imbutiformi, larghe 40-80 cm, portate diversi decimetri
sopra il pelo dell’acqua da un robusto picciolo lungo più di 1 m. I fiori profumati (di anice), portati al di sopra delle foglie, sono
grandi, del diametro di 18-35 cm, isolati e sorretti ciascuno da un robusto peduncolo; ricettacolo obconico; perianzio formato
da numerosi segmenti tutti uguali, disposti in una spirale condensata, largamente ovati, concavi, rosa o quasi bianchi; stami
molto numerosi; ovari numerosi, monocarpici, inseriti in alveoli sulla superficie piana del ricettacolo. Il frutto (tecnicamente
pomario) è un cono legnoso rovesciato, con la superficie della base ospitante i singoli pericarpi in cavità simili ai fori di un
colino; alla caduta dei disseminuli, il ricettacolo vuoto assomiglia alla testa di un innaffiatoio.
Periodo di fioritura: giugno-agosto.
Area d’origine: Africa e Asia.
Habitat: Acque tranquille permanenti (laghi maggiori e minori, stagni, cave abbandonate ecc.).
Distribuzione nel territorio: Laghi di Varese e Comabbio, Palude Brabbia, Laghi di Mantova, lungo i fiumi in vecchie lanche
(es. fiume Serio); in pianura, collina e bassa montagna (0-100 m s.l.m.). Brescia (INV), Cremona (NAT), Mantova (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata dall’inizio del secolo XIX all’Orto Botanico di Parma e nel 1921 introdotta
deliberatamente nei Laghi di Mantova da Maria Pellegreffi (articolo di M. G. Fringuellini sul Corriere della Sera del 10 settembre
1976) e qui segnalata da Béguinot (1929). Analogamente, la pianta è stata deliberatamente introdotta in natura nel pisano nel
1917 da Biagio Longo, dove fu poi raccolta nel 1920 da Passerini (1922); espansasi in seguito in Versilia (Montelucci, 1936).
Sempre in Lombardia, era coltivata da prima del 1918 al Lago di Comabbio (VA), dove in seguito si è naturalizzata (Stucchi,
1950, 1953b).
Modalità d’introduzione: Deliberata (idrofloricoltura, sperimentazione alimentare, medicina).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Specie ad alta capacità competitiva e di grande adattabilità, fortemente invasiva in ambiente acquatico, dove forma
popolamenti monofitici densi, che sottraggono spazio alla vegetazione indigena, deprimendone la biodiversità e alterando
profondamente la fisionomia del paesaggio palustre. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto
di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia.
Azioni di contenimento: Gli interventi di contenimento devono prevedere il taglio selettivo prima della fioritura (operazione
che deve essere ripetuta per alcuni anni) o, più drasticamente, l’eradicazione totale. Si dovrebbe anche intervenire
preventivamente soprattutto in vicinanza delle zone a rischio, invitando produttori e clienti a rinunciare al giardinaggio con
questa pianta, spesso venduta nei garden center, per sostituirla con autoctone del medesimo habitat.
Note: Il genere Nelumbo è il solo rappresentante della sua famiglia, una delle più antiche delle angiosperme, legata nella stessa discendenza
(ordine Nelumbonales) con i platani e le Proteaceae.
Bibliografia: Béguinot, 1929; Montelucci, 1936; Passerini, 1922; Stucchi, 1950, 1953b
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platano
comune
Famiglia: Platanaceae
Nome scientifico: Platanus hispanica Mill. ex Münchh.
Nome volgare: platano comune, platano di Spagna
Sinonimi: Platanus acerifolia (Aiton) Willd.
Platanus hybrida Brot.
Platanus orientalis auct., non L.
Platanus orientalis L. var. acerifolia Aiton
Platanus occidentalis L. × Platanus orientalis L.
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Albero alto fino a 30 m, longevo (supera i 500 anni), provvisto di tronco robusto, con ritidoma staccantesi
in caratteristiche larghe placche grigio-brunastre su fondo biancastro, lisce, dal contorno spesso sinuoso. Foglie alterne,
ricoperte soprattutto abassialmente e da giovani da una pelosità cotonosa, ferruginea, facilmente asportabile; picciolo
con base allargata a imbuto includente la gemma, lungo 3-5 cm; lamina palmato-lobata del diametro di 10-25 cm, a (3)5 lobi triangolari-ottusi; lobo centrale all’incirca tanto lungo quanto largo, al margine con 1-3 denti ottusi oppure intero.
Infiorescenze costituite da peduncoli ascellari penduli, uniassiali, recanti diversi capolini sessili, unisessuali (pianta monoica),
densi e sferici, di cui i 2-3(-5) prossimali femminili e gli 1-2 terminali più piccoli, giallo chiaro, fugaci. Fiori molto piccoli, con
perianzio di 4 o 6 segmenti in due verticilli; stami (fiori maschili) 4-6, opposti ai segmenti perianziali esterni; pistilli (fiori
femminili) con ovario supero di 3-6 carpelli liberi, contenenti ciascuno 1(-2) ovuli ortotropi, penduli. Le infruttescenze si
disfano a fine inverno, liberando una miriade di piccoli acheni affusolati, circondati da peli color ruggine.
Periodo di fioritura: aprile-giugno.
Area d’origine: Notospecie osservata per la prima volta in Spagna, nel secolo XVII, come risultato di ibridazione spontanea
fra individui coltivati di P. orientalis L. (SE-europeo-SW-asiatica) e P. occidentalis L. (Nordamerica).
Habitat: Margini stradali, sponde dei fossati, siepi, filari, boscaglie, ruderati, muri e marciapiedi (plantule).
Distribuzione nel territorio: Ovunque, in ambito planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT),
Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia presumibilmente nel secolo XVIII (presente in pitture del periodo).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per alberature, parchi ecc.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Limitato.
Azioni di contenimento: Al Bosco Fontana presso Mantova sono stati praticati interventi sulla quercia rossa e sul platano,
finalizzati a incrementare la necromassa (Cavalli & Mason, 2003).
Sassifraga
dei Pirenei
Famiglia: Saxifragaceae
Nome scientifico: Saxifraga umbrosa L.
Nome volgare: sassifraga dei Pirenei
Tipo biologico: Hrosul
Descrizione: Pianta erbacea perenne, densamente cespitosa con rosette appiattite, sempreverdi, di foglie patenti, coriacee,
verde scuro di sopra, più o meno violacee di sotto, obovato-oblunghe, regolarmente crenate sul bordo e con largo margine
cartilagineo; picciolo largo e appiattito, di poco più breve della lamina, densamente cigliato. Infiorescenza a pannocchia
eretta, aperta, lassa, con 5-15 fiori a 5 sepali riflessi e 5 petali di 2.5-4×1.5 mm, bianchi, con 2 macchie gialle e numerose
punteggiature cremisi. Il frutto è una capsula a 2 valve con minuti semi portati sull’asse centrale (placentazione assile).
Periodo di fioritura: giugno-luglio.
Area d’origine: Pirenei centro-occidentali.
Habitat: Vecchie forestazioni di pino silvestre, abete bianco e abete rosso, su substrato impietrato.
Distribuzione nel territorio: Valli bergamasche, tra Capo Brembo e Valleve e nella valle di Mezzoldo. Bergamo (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata in natura in Lombardia da Rota (1853).
Modalità d’introduzione: Deliberata (mercato ortofloricolo).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Nessuno.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Questa specie aliena è affine all’autoctona S. cuneifolia L., che vive negli stessi ambienti e si distingue facilmente per il margine fogliare da
intero a remotamente e largamente dentato e per i petali non punteggiati, ma eventualmente soffusi di porpora.
La segnalazione di Rota (1853) per la pineta tra Capo Brembo e Valleve, ripresa con dubbio da Pignatti (1982), è confermata da Banfi, che l’ha
osservata naturalizzata in val Mezzoldo (BG) negli anni ‘70 del secolo scorso.
Bibliografia: Pignatti, 1982; Rota, 1853
Note: Platanus deperdita (A.Massal.) Sordelli (= P. aceroides Göpp.) è una paleospecie che nel Terziario (Miocene-Pliocene) era diffusa su tutta l’area
temperata dell’emisfero boreale, per poi sparire completamente nel Pleistocene. È verosimile e probabile che P. occidentalis e P. orientalis siano
derivati da tale ancestro per isolamento geografico, in seguito alla formazione dell’Oceano Atlantico. Dal cospicuo numero di reperti fossili (anche
lombardi) venuti via via alla luce, appare chiaro che le foglie di P. deperdita sono sostanzialmente identiche a quelle di P. hispanica. Ciò induce
a pensare che l’ibridazione storica all’origine di quest’ultimo (Henry & Flood, 1920; Jones, 1968; Santamour, 1970, 1972; Grimm & Denk, 2008)
abbia ripristinato l’antica specie, sia pure “aggiornata” dalle impercettibili novità genetiche insorte durante l’isolamento evolutivo nelle due entità
parentali. Paradossalmente, dunque, l’alloctona ha radici autoctone!
Tutte le segnalazioni lombarde di P. orientalis (es. Zersi, 1871; Ugolini, 1899), specie autoctona italiana, sono da riferirsi a P. hispanica.
Bibliografia: Cavalli et al., 2003; Grimm & Denk, 2008; Henry & Flood, 1920; Jones, 1968; Santamour, 1970, 1972; Sordelli, 1896; Ugolini, 1899;
Zersi, 1871
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borracina
caucasica
Famiglia: Crassulaceae
Nome scientifico: Phedimus spurius (M.Bieb.) ‘t Hart
Nome volgare: borracina caucasica
Basionimo: Sedum spurium M.Bieb.
Sinonimi: Asterosedum spurium (M.Bieb.) Grulich
Spathulata spuria (M.Bieb.) Á.Löve & D.Löve
Tipo biologico: Chrept
Descrizione: Pianta erbacea perenne, in fioritura alta 20 cm o più; fusti sterili e fertili prostrati, radicanti ai nodi. Foglie in
genere opposte; lamina obovata oppure ovata, di 15-25×6-12 mm, con margine cigliato, base cuneata, apice arrotondato
provvisto di alcuni evidenti dentelli. Infiorescenza corimbiforme; fiori subsessili, pentameri; sepali oblunghi con apice ottuso,
lunghi circa 4 mm; petali rosa, purpurei o bianchi, lanceolati, di 10-12×2 mm, ad apice acuto o acuminato; stami 10, più corti
dei petali; ovario supero a 5 carpelli saldati alla base. Frutto costituito da 5 follicoli.
Periodo di fioritura: giugno-luglio.
Area d’origine: Asia occidentale (Caucaso, Iran e Turchia).
Habitat: Ambienti antropizzati, spesso presso le abitazioni, dove si diffonde su muri e terreni spogli o con bassa copertura
erbacea. Preferisce ambienti moderatamente aridi e soleggiati.
Distribuzione nel territorio: In Lombardia è presente allo stato spontaneo soprattutto nella zona collinare. Bergamo (NAT),
Brescia (NAT), Lecco (CAS).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in periodo al momento imprecisabile.
Modalità d’introduzione: Deliberata (pianta da giardino).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Questa specie sembra diffondersi in prevalenza per via vegetativa. Viene comunemente coltivata in numerose cultivar, che differiscono
principalmente per il colore delle foglie e/o dei fiori.
borracina
Sarmentosa
Famiglia: Crassulaceae
Nome scientifico: Sedum sarmentosum Bunge
Nome volgare: borracina sarmentosa
Sinonimi: Sedum lineare auct., non Thunb.
Tipo biologico: Chrept
Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta alla fioritura circa 15 cm; fusti sterili e fertili prostrati, radicanti ai nodi. Foglie
verticillate a 3; lamina oblanceolata oppure oblunga, 1.5-2.8×0.3-0.7 cm, margine intero, base bruscamente ristretta, apice
subacuto. Infiorescenza corimbiforme, 3-5 volte ramificata; fiori sessili, di solito pentameri; sepali lanceolati oppure oblunghi,
3.5-5 mm, apice ottuso; petali gialli, lanceolati oppure oblunghi, 5-8 mm, apice più o meno lungamente mucronato; stami 10,
più corti dei petali. Frutto costituito da 5 follicoli, con semi ovoidi di circa 0.5 mm.
Periodo di fioritura: maggio-luglio.
Area d’origine: Asia orientale (Cina, Corea, Giappone e nord della Thailandia).
Habitat: Luoghi aridi e in genere assolati, spesso presso le abitazioni: muri, argini di campi, margini stradali, greti ecc. Di rado
in ambienti a maggior naturalità, come ad esempio in boschi aperti e degradati. Spesso si rinviene spontaneizzata presso
microdiscariche, dove probabilmente è stata gettata con altri scarti vegetali da giardino.
Distribuzione nel territorio: Diffusamente presente allo stato spontaneo, anche se mai in modo abbondante, soprattutto in
ambito planiziale e collinare (50-700 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza
e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (CAS), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia dal 1880. In Lombardia segnalata per la prima volta da Becherer (1976),
che l’ ha raccolta nel 1975 sul Lago di Ghirla (VA) e da Arietti & Crescini (1980), che l’ hanno osservata da prima, a partire dal
1972 a Botticino Mattino (BS).
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Attualmente irrilevante.
Azioni di contenimento: Estirpazione manuale, evitando di lasciare frammenti di fusto, in quanto principale veicolo di
dispersione.
Note: Questa specie sembra diffondersi in prevalenza per via vegetativa.
Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Arietti & Crescini, 1980; Becherer, 1976; Bonali, 2000; Bonali et al., 2006a; Macchi, 2005; Zanotti, 1991b
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Millefoglio
d’acqua
Famiglia: Haloragaceae
Nome scientifico: Myriophyllum aquaticum (Vell.) Verdc.
Nome volgare: millefoglio d’acqua
Basionimo: Enydria aquatica Vell.
Sinonimi: Myriophyllum brasilense Cambess.
Myriophyllum proserpinacoides Gillies ex Hook.& Arn.
Tipo biologico: Hyrad
Descrizione: Pianta erbacea acquatica con foglie sia aeree sia sommerse, disposte in verticilli di 4-6 lungo il fusto. Foglie
giallo-verde chiaro o verde glauco, pennatifide, le sommerse lunghe 1.5-3.5 cm con 20-30 segmenti filiformi per lamina;
le aeree lunghe 2-5 cm con 6-18 segmenti. Fiori piccoli, unisessuali (pianta monoica), disposti in spiga terminale all’ascella
delle foglie aeree; i superiori maschili con 4 piccoli petali bianchi, caduchi e 4 o 8 stami; gli inferiori femminili, privi di corolla,
con ovario a 4 loculi e 4 stimmi sessili o subsessili. Il frutto è uno schizocarpo di 4 otricelli separantisi longitudinalmente.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: Sudamerica (Rio delle Amazzoni).
Habitat: Stagni, laghetti, canali.
Distribuzione nel territorio: Sinora naturalizzata soltanto nella pianura bresciana. Brescia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nella seconda metà del secolo scorso. Segnalata per la prima volta in
Italia da Minutillo & Moraldo (1994) che la raccolsero nel 1988 e nel 1992 nelle province di Latina e Caserta; in Lombardia è
stata rinvenuta nel 2003 da Frattini (Conti et al., 2007; Frattini, 2008).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per piante d’acquario.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Attualmente no.
Impatto: Attualmente irrilevante.
Azioni di contenimento: Poiché in alcuni stati risulta invasiva, va tenuta sotto controllo.
Bibliografia: Conti et al., 2007; Frattini, 2008; Lastrucci et al., 2006; Minutillo & Moraldo, 1994
vite del
CanadA
Famiglia: Vitaceae
Nome scientifico: Parthenocissus quinquefolia (L.) Planch.
Nome volgare: vite del Canada
Basionimo: Hedera quinquefolia L.
Sinonimi: Ampelopsis hederacea (Ehrh.) DC.
Ampelopsis quinquefolia (L.) Michx.
Cissus quinquefolia (L.) Borkh.
Parthenocissus inserta (A.Kern.) Fritsch
Psedera quinquefolia (L.) Greene
Vitis hederacea Ehrh. / Vitis inserta A.Kern.
Vitis quinquefolia (L.) Lam.
Tipo biologico: Plian
Descrizione: Arbusto deciduo con fusti striscianti e rampicanti per mezzo di viticci (infiorescenze trasformate in organi di
adesione), lunghi fino a 10(-30!) m; ritidoma bruno-rossastro, non sfibrato in placche; viticci opposti alle foglie, divisi in 5-8
ramificazioni più o meno evidentemente terminate da un disco adesivo. Foglie digitate, abassialmente da opaco-glaucescenti
a verde lucido, arrossate d’estate, rosso scuro in autunno, glabre; segmenti in numero di (3-)5(-7), brevemente picciolettati e
caduchi, obovato-oblanceolati, il maggiore (centrale) di 3-10×2-6 cm, con margine a denti irregolari, acuti; segmenti laterali
minori e spesso asimmetrici. Fiori numerosi in pannocchie subemisferiche, terminali e opposte alle foglie; calice assente;
corolla di 5 petali verdastri lunghi circa 3 mm, riflessi. Frutto a bacca nero-blu, pruinosa, subsferica, contenente 1-2 semi.
Periodo di fioritura: maggio.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Ruderi, macerie, muri, bordi di sentieri, massicciate ferroviarie, boscaglie, boschi ecc.
Distribuzione nel territorio: Ovunque, prevalentemente planiziale. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona
(INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel Seicento, nel 1793 comunemente coltivata e consigliata a Milano
(Anonimo, 1793); nel 1863 naturalizzata nel trevigiano (Saccardo, 1863), nel 1884 sulle mura di Milano (Omati, 1884), nel 1907
nel bresciano (Ugolini, 1907).
Modalità d’introduzione: Deliberata, con finalità orticolturale.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Negli ambienti sinantropici determina un abbassamento della biodiversità in quanto soppianta rampicanti
autoctone; in ambiente seminaturale/naturale la sua presenza è ancora contenuta, ma ugualmente minacciosa in relazione ai
rischi di degrado e di sostituzione delle rampicanti autoctone.
Azioni di contenimento: È una pianta che andrebbe eliminata dal mercato florovivaistico, dai parchi e dai giardini.
Note: Le forme caratterizzate da faccia abassiale verde lucido nei segmenti fogliari, da viticci allungati a 3-5 ramificazioni prive di disco adesivo
(solo un ispessimento terminale fatto per agganciare l’interno delle fessure) e da infiorescenze mai terminali, più piccole e più ramificate, vengono
da molti autori (es. Laguna Lumbreras, 2005) identificate con il binomio P. inserta. Può essere che questa entità, simpatrica con P. quinquefolia, in
Nordamerica si mantenga in qualche modo distinta, mentre in Europa, come osserva Webb (1968), almeno una parte delle popolazioni presenta
caratteri promiscui, facendo pensare a un rimescolamento dei due genomi. D’altra parte nessun individuo con presunti caratteri di P. inserta
(soprattutto i viticci senza disco adesivo) presente nel nostro territorio può mai essere ricondotto soddisfacentemente a tale taxon. Per questi
motivi e in accordo con la recente checklist sinonimica della flora degli Stati Uniti (Kartesz, 1998), preferiamo considerare P. inserta sinonimo di P.
quinquefolia.
Bibliografia: Anonimo, 1793; Kartesz, 1998; Laguna Lumbreras, 2005; Omati, 1884; Saccardo, 1863; Ugolini, 1907; Webb, 1968
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vite
Riparia
Famiglia: Vitaceae
Nome scientifico: Vitis riparia Michx.
Nome volgare: vite riparia, vite selvatica americana
Sinonimi: Vitis cordifolia Michx. var. riparia (Michx.)
A.Gray
Vitis vulpina auct., non L.
Vitis vulpina L. subsp. riparia (Michx.) R.T.Clausen
Tipo biologico: Plian
Descrizione: Liana legnosa, con fusto prostrato-strisciante o rampicante su alberi e arbusti, lungo fino a 35 m e rami provvisti
di robusti viticci bifidi (infiorescenze trasformate in organi di appiglio); ritidoma sfibrato in lunghe placche nastriformi. Foglie
a lamina palmato-3-lobata, da subintera a incisa in 3 cuspidi poco profonde, lunga fino a 15 cm o più, verde scuro, opaca
o appena sublucida, piana, liscia o leggermente crispata sulla faccia adassiale, da giovane pubescente su entrambe le facce
(più densamente su quella abassiale), poi solo abassialmente, in particolare lungo le nervature, con vistosi ciuffi di peli rigidi
all’ascella di queste ultime; dentatura marginale a profilo triangolare-acuto; cuspidi acute, le due laterali di norma acuminatosubcaudate; seno basale a U. Viticci opposti alle foglie, mancanti in successione in corrispondenza di ogni quarta foglia.
Infiorescenza a pannocchia lunga 7-12 cm, con profilo strettamente triangolare; fiori prevalentemente unisessuali (pianta
funzionalmente dioica); perianzio monoclamide, caduco (a coperchietto), formato da 5 segmenti saldati fra loro nella metà
apicale; stami 5; ovario supero. I frutti sono bacche (“acini”) del diametro massimale di 12 mm, nere, fortemente pruinose;
mesocarpo gommoso, ben separato dall’epicarpo; semi (“vinaccioli”) piriformi, a estremità calazale bilobata.
Periodo di fioritura: aprile-maggio.
Area d’origine: Nordamerica sudorientale.
Habitat: Boscaglie planiziali e fluviali degradate, argini ferroviari, di norma su suolo piuttosto umido.
Distribuzione nel territorio: Ovunque, nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco
(INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV). [V. berlandieri ×riparia : Brescia (INV), Cremona
(INV), Lecco (NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV).] [V. riparia ×rupestris: Brescia (NAT), Pavia (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1806, ma diffusa dalla seconda metà dell’Ottocento per difendere i
vigneti dalla fillossera. La sua presenza in natura in Italia è stata sempre erroneamente riferita alle congeneri V. vulpina L. e Vitis
vinifera L. subsp. sylvestris (C.C.Gmel.) Beger oppure a generici portainnesti americani. La sua prima corretta identificazione si
deve a Banfi & Galasso (1998) per la città di Milano.
Modalità d’introduzione: Deliberata (portainnesto per i vitigni contro la fillossera).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: È tra le aliene di recente diffusione che condizionano la qualità della vegetazione e del paesaggio in ambito
planiziale e golenale. Infatti arriva a rivestire completamente siepi, arbusti, piccoli alberi e cumuli di detriti, nonché è in grado
di formare fitti ed estesi tappeti sul terreno degli argini, sul suolo umido delle boscaglie o al margine dei campi coltivati.
Azioni di contenimento: Eradicazione delle piante e dei vigneti abbandonati. Vietare lo spargimento dei residui di potatura.
Note: La vite selvatica americana venne introdotta allo scopo di risolvere il problema della fillossera (Viteus vitifoliae Fitch 1855), che flagellava la viticoltura
europea. Questo insetto nordamericano, che è presente sin dal 1863 in Francia ed è stato segnalato per la prima volta in Italia nel 1879 a Valmadrera (LC)
e Agrate Brianza (MB), si nutre della linfa della pianta, attaccando sia l’apparato radicale sia le parti aeree. La vite comune (V. vinifera L.) non viene aggredita
nelle parti aeree, mentre soccombe a livello radicale; agli attacchi radicali sono invece immuni le specie americane, motivo per cui V. riparia fu impiegata
come portainnesto. Alla stessa funzione vengono adibiti gli ibridi (ottenuti artificialmente in Europa) di questa con altre due specie, V. berlandieri Planch. e
V. rupestris Scheele, i quali poi si ritrovano qua e là casuali, naturalizzati o invasivi dopo l’abbandono di appezzamenti di vigneto, dove sopraffanno l’innesto
sviluppandosi e propagandosi. L’ibrido con V. berlandieri (vite americana ibrida) si riconosce per i ciuffi di peli abassiali all’ascella delle nervature fogliari
molto ridotti e scarsi, per la presenza di pelosità ragnatelosa specialmente alla base della lamina, per i denti marginali ogivali e per il seno basale chiuso a
lira anziché a forma di U; in Lombardia è specie invasiva, a volte maggiormente della pura V. riparia. L’ibrido con V. rupestris è decisamente più variabile e
difficile da riconoscere, presentando come unico carattere evidente, ma statistico, una lamina con seno basale assai poco profondo (a U molto allargata);
inoltre le foglie sono spesso ripiegate lungo la nervatura centrale come in V. rupestris (vedi scheda) e presentano spesso piccoli ciuffi di peli rigidi sulla faccia
abassiale all’ascella nervature come in V. riparia. In Lombardia, segnalata qui per la prima volta in Italia, è specie naturalizzata. Infine l’uva fragola (V. labrusca
L.), cultispecie domesticata in epoca preistorica dagli indigeni nordamericani (probabilmente con il coinvolgimento iniziale di V. riparia), tradizionalmente
utilizzata per le pergole e, nel Veneto, anche per la produzione locale del “Fragolino”. Non tende a sfuggire e si può trovare qua e là soltanto casuale. Gran
parte delle segnalazioni rinvenibili in letteratura per questo taxon sono da riferirsi a Vitis riparia e ai suoi ibridi.
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Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Galasso et al., 2007a; Laguna Lumbreras, 2003, 2004; Moore, 1991
vite
rupestre
Famiglia: Vitaceae
Nome scientifico: Vitis rupestris Scheele
Nome volgare: vite rupestre
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Arbusto ramosissimo con habitus cespuglioso-arrotondato, a volte decombente-strisciante, alto 0.5-2m.
Foglie reniformi (generalmente più larghe che lunghe), intere, mediamente minori di 7 cm, di rado superanti i 10 cm, verde
glauco, lucide con riflessi metallici, caratteristicamente ripiegate a V (specialmente in fase giovanile) lungo la nervatura
centrale; lamina consistente, a volte ispessita e subcoriacea, liscia sulla faccia adassiale, glabra (raramente da giovane con
lanugine sparsa lungo i nervi della faccia abassiale); denti marginali triangolari, i mediani non molto pronunciati, subapicolati;
base piana o cuneata, seno basale assente. Viticci (infiorescenze trasformate in organi di appiglio) opposti alle foglie, assenti in
corrispondenza di ogni quarta foglia, lunghi meno di 11 cm, interi o bifidi. Pannocchia lunga 4-7 cm, generalmente globosa,
con fiori in prevalenza unisessuali (pianta funzionalmente dioica); perianzio monoclamide, caduco (a coperchietto), formato
da 5 segmenti saldati fra loro nella metà apicale; stami 5; ovario supero. Racemo fruttifero di 4-8 cm, lasso, generalmente
con 12-25 bacche (“acini”) fino a 12 mm di diametro, nere, debolmente pruinose; mesocarpo a maturità gommoso, separato
dall’epicarpo; semi (“vinaccioli”) piriformi a estremità calazale bilobata.
Periodo di fioritura: aprile-maggio.
Area d’origine: Nordamerica sudorientale.
Habitat: Ruderati e margini termofili.
Distribuzione nel territorio: Sinora conosciuta soltanto per l’Oltrepo pavese. Pavia (NAT). [V. berlandieri ×rupestris: Pavia (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa intorno al 1860 per difendere i vigneti dalla fillossera. Nei rilievi
floristici nazionali sempre trascurata e segnalata per la prima volta da Acosta et al. (2007) per l’Italia centrale. In Lombardia
viene qui segnalata per la prima volta, naturalizzata nel pavese (Nicola Ardenghi, in verbis).
Modalità d’introduzione: Deliberata (portainnesto per i vitigni contro la fillossera).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Potenzialmente sì.
Impatto: Questa specie è maggiormente diffusa in ambiente mediterraneo, dove presenta capacità invasiva, anche se
apparentemente inferiore all’ibrido con V. riparia. È dunque potenzialmente dannosa per la biodiversità e va mantenuta
monitorata anche in Lombardia.
Azioni di contenimento: Eradicazione delle piante e dei vigneti abbandonati. Vietare lo spargimento dei residui di
potatura.
Note: Per la fillossera si veda la scheda di V. riparia. Oltre agli ibridi già citati in quella scheda ricordiamo qui quello tra questa specie e V. berlandieri
Planch., molto simile a V. riparia × rupestris ma riconoscibile per i denti ogivali e l’assenza di ciuffi di peli rigidi sulla faccia abassiale all’ascella
nervature; in Lombardia, segnalata qui per la prima volta in Italia, è specie naturalizzata (Nicola Ardenghi, in verbis).
Bibliografia: Acosta et al., 2007; Laguna Lumbreras, 2003, 2004; Moore, 1991
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Indaco
Bastardo
Famiglia: Fabaceae
Nome scientifico: Amorpha fruticosa L.
Nome volgare: indaco bastardo, amorfa
Tipo biologico: nPscap
Descrizione: Arbusto di odore fetido, alto 1-2(-6) m, con rami giovani sparsamente pubescenti. Foglie imparipennate a (7)13-17 segmenti ellittici di 15-40×8-20 mm, pubescenti o subglabri, portati da un piccioletto di 2 mm; stipole lineari (3-4
mm), precocemente caduche. Fiori in racemi spiciformi lineari (10-15×1 cm) formati da numerosissimi fiori papilionacei
irregolarmente unilaterali, lunghi circa 6 mm; calice campanulato a 5 denti, lungo 2.5 mm; corolla ridotta al solo vessillo
violaceo-porporino; stami diadelfi (1 libero + 9 saldati a tubo per i filamenti), brevemente sporgenti. Legumi punteggiatoghiandolosi, lunghi 7-9 mm, con 1(-2) semi.
Periodo di fioritura: giugno-luglio.
Area d’origine: Nordamerica sudorientale.
Habitat: Greti e alvei fluviali, nelle aree potenzialmente di pertinenza dei saliceti arbustivi; cave.
Distribuzione nel territorio: In pianura, soprattutto lungo il Po, ma anche lungo i suoi affluenti. Bergamo (INV), Brescia
(INV), Como (CAS), Cremona (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT),
Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1724. In Italia coltivata dal Settecento; in Lombardia coltivata
almeno dal 1785 (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789) e naturalizzata almeno dal 1879 (Paglia, 1879).
Modalità d’introduzione: Deliberata, come soggetto da giardino e per la produzione di vimine.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Invadendo le sponde fluviali, determina una cospicua caduta di biodiversità poiché edifica comunità di poche
specie invasive che vanno a sostituire i saliceti arbustivi; l’indaco bastardo è inoltre in grado di eutrofizzare i suoli, in quanto
riccamente dotato di noduli radicali ospitanti batteri simbionti azotofissatori. È specie inclusa nella lista nera delle specie
alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia; è inoltre
inserita tra le specie esotiche a carattere infestante e dannose per la conservazione della biodiversità riportate nel r.r. 5/2007.
Azioni di contenimento: Evitare la diffusione dei semi e dei piccoli frammenti di fusti e radici. Nei popolamenti stabilizzati il
taglio è efficace solo se in combinazione con erbicidi (il cui uso deve essere però autorizzato). Le giovani piante devono essere
eradicate e poiché rami e radici sono in grado di generare nuovi individui, tutte le parti della pianta vanno bruciate e non
devono assolutamente essere compostate o mischiate ad altri cascami vegetali.
fagiolino
sotterraneo
Famiglia: Fabaceae
Nome scientifico: Amphicarpaea comosa (L.) G.Don
ex Loudon
Nome volgare: fagiolino sotterraneo
Basionimo: Glycine comosa L.
Sinonimi: Amphicarpaea bracteata auct., non (L.) Fernald
Amphicarpaea bracteata (L.) Fernald var. comosa (L.) Fernald
Amphicarpaea comosa (L.) Nieuwl. & Lunell, comb. superfl.
Tipo biologico: Tlian
Descrizione: Pianta erbacea annuale con radice carnosa e fusti volubili, esili, lunghi fino a 1.5 m. Foglie trifoliolate con picciolo
di 10 cm e segmenti lunghi fin oltre 8 cm, da ovati a deltoidi, acuti, verde scuro adassialmente, più chiaro sulla faccia abassiale,
con pelosità appressata. Fiori di tre tipi: quelli della sommità della pianta casmogami e in parte cleistogami, in racemi ascellari
lunghi fino a 15 cm, papilionacei, purpurei, con vessillo di 1.5×0.5 cm, quelli della parte inferiore sotterranei, cleistogami, privi
di corolla, in gruppetti compatti. Il frutto prodotto dai fiori superiori è un legume lineare-oblungo, con 3-4 semi; quello dei
fiori inferiori, a sviluppo sotterraneo (come l’arachide), ha forma più o meno globosa ed è indeiscente (tecnicamente una
càmara), con all’interno un solo seme.
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica orientale.
Habitat: Radure e discontinuità nelle boscaglie.
Distribuzione nel territorio: Brianza, attualmente puntiforme nella fascia pedecollinare (190 m s.l.m.). Monza e Brianza (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta molto recentemente: la prima segnalazione italiana e lombarda (Banfi & Galasso,
2007) riguarda campioni raccolti nel 2006.
Modalità d’introduzione: Al momento imprecisabile, sebbene verosimilmente deliberata.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Nessuno.
Azioni di contenimento: Al momento non necessarie, anche se è consigliabile il monitoraggio.
Note: Il genere Amphicarpacea Elliot ex Nutt. comprende presumibilmente (3-)5 specie rampicanti originarie di Asia orientale, America
nordorientale e Africa centrale. Le entità americane sono molto simili tra loro e sono state spesso trattate come un’unica specie, all’interno della
quale si distinguono tre linee morfologiche e isozimiche ben distinte, tra loro simpatriche, che riflettono l’adattamento agli habitat ombrosi o
soleggiati qui trattati come specie diverse: linea Ia (= morfotipo “comosa”: pubescente, foglioline larghe, di ambiente soleggiato), Ib (= morfotipo
“bracteata a foglioline larghe”: sparsamente pubescente, di ambiente ombroso) e II (= morfotipo “bracteata a foglioline strette”: sparsamente
pubescente, di ambiente soleggiato). La pianta ritrovata in Lombardia corrisponde al morfotipo “comosa”, da chiamarsi appunto Amphicarpaea
comosa.
Bibliografia: Banfi & Galasso, 2007
Note: L’indaco bastardo può essere confuso con i giovani individui e i rigetti di robinia (Robinia pseudoacacia). Per distinguerlo valgono i seguenti
caratteri: la robinia è spinosa, non ha odori di sorta e le infiorescenze sono bianche e pendule; il fusto dell’indaco bastardo è peloso.
Bibliografia: Ciotti & Maspoli, 2006; Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Paglia, 1879; Zavagno & D’Auria, 2001
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Glicine
Tuberoso
Famiglia: Fabaceae
Nome scientifico: Apios americana Medik.
Nome volgare: glicine tuberoso
Basionimo: nome basato su Glycine apios L.
Sinonimi: Apios tuberosa Moench, nom. illeg.
Tipo biologico: Hlian
Descrizione: Pianta erbacea rampicante, perenne, con rizoma sotterraneo orizzontale, tuberiforme; fusto volubile, glabro o
pubescente, lungo 30-120 cm. Foglie imparipennate con (3-)5-9 segmenti lanceolati od ovato-lanceolati, acuti, lunghi 3-10
cm. Racemi multiflori (mediamente più di 20 fiori), compatti; fiori papilionacei, con calice bilabiato di 2-3 mm a denti brevi e
corolla bruno-porporina a vessillo lungo 10-12 mm. Legume di 6-12 cm; semi bruno scuro di circa 6 mm.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Boschi umidi ripariali.
Distribuzione nel territorio: In pianura, lungo il Po e i suoi affluenti. Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Mantova
(NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta e coltivata in Italia sin dal Seicento. Segnalata per la Lombardia da Bertoloni
(1847) e come già diffusa nel mantovano da Paglia (1879) e nel pavese da Cavara (1894).
Modalità d’introduzione: Deliberata, ad uso di sperimentazione alimentare per i suoi tuberi eduli ed anche come curiosità
da giardino.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Senza rilievo.
Bibliografia: Bertoloni, 1847; Cavara, 1894; Paglia, 1879
Spino
di giuda
Famiglia: Fabaceae
Nome scientifico: Gleditsia triacanthos L.
Nome volgare: spino di Giuda
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Albero alto sino a 20 m, eccezionalmente oltre, con chioma espansa e arrotondata; tronco e rami provvisti di
robuste spine semplici o ramificate. Foglie decidue, alterne, 1-2-pennate, con rachide lungo 12-18 cm; segmenti in 12-15 paia,
oblunghi, lunghi 2-3 cm, con margine crenulato. Infiorescenze formate da racemi ascellari lunghi 5-7 cm; fiori di circa 5 mm,
con calice campanulato a 5 denti e corolla di 3-5 piccoli petali verdastri; stami 6-10. Frutto costituito da un lomento (legume
indeiscente con mesocarpo polposo) delle dimensioni di 30-40×3-4 cm, diritto o un po’ falcato, piatto, di colore bruno scuro,
contenente semi ellittici di colore bruno-nerastro.
Periodo di fioritura: maggio-luglio.
Area d’origine: Nordamerica centro-orientale.
Habitat: Boscaglie e boschi degradati, spesso in prossimità di esemplari coltivati. Piuttosto frequente lungo le rive dei corsi
d’acqua, anche se rifugge i ristagni e, nella parte orientale della regione, lungo i binari ferroviari.
Distribuzione nel territorio: In prevalenza nell’area planiziale e collinare (50-400 m s.l.m.), ma con una distribuzione molto
discontinua. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT),
Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia verso la fine del XVIII secolo; in Lombardia coltivata almeno dal 1785
(Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789) e naturalizzata almeno dal 1884 (Omati, 1884).
Modalità d’introduzione: Deliberata (sperimentazione forestale, florovivaistica).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Attualmente la specie non manifesta impatto di rilievo.
Azioni di contenimento: Immediata rimozione della rinnovazione.
Note: Viene spesso coltivato nei parchi per il suo portamento maestoso, a volte in cultivar inermi.
Bibliografia: Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Omati, 1884
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lupino
americano
Famiglia: Fabaceae
Nome scientifico: Lupinus polyphyllus Lindl.
Nome volgare: lupino americano, lupino da giardino
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne alta sino a 1.5 m. Foglie alterne, palmatopartite; segmenti fogliari in numero di 9-17,
4-15×1-3 cm, lanceolati, con diffusa pelosità appressata sulla pagina inferiore ed apice acuto. Fiori riuniti in densi racemi
cilindrici, terminali, lunghi 15-50 cm; calice bilabiato a 5 denti; corolla papilionacea lunga 12-16 mm, di colore blu, raramente
porpora, rosa o bianca. Frutto costituito da un legume di 2.5-6×0.7-1 cm, con pelosità appressata; semi ovoidi.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: Nordamerica occidentale.
Habitat: Radure in boschi di latifoglie.
Distribuzione nel territorio: Val Camonica. Brescia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XIX secolo; segnalata per la prima volta in Lombardia da Conti et al.
(2007) in base a osservazioni di Silvio Frattini del 2006.
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Azioni di contenimento: Si suggerisce il monitoraggio.
Bibliografia: Conti et al., 2007
pueraria
Famiglia: Fabaceae
Nome scientifico: Pueraria lobata (Willd.) Ohwi
Nome volgare: pueraria, kudzu
Basionimo: Dolichos lobatus Willd.
Sinonimi: Dolichos hirsutus Thunb.
Pachyrhizus thunbergianus Siebold & Zucc.
Pueraria hirsuta (Thunb.) C.K.Schneid., non Kurz , nom.illeg.
Pueraria montana (Lour.) Merr. var. lobata (Willd.)
Maesen & S.M.Almeida ex Sanjappa & Pradeep
Pueraria thunbergiana (Siebold & Zucc.) Benth.
Tipo biologico: nPlian
Descrizione: Liana con rizoma sotterranea e fusti che possono raggiungere e superare i 20 m di lunghezza. Foglie decidue,
alterne; lamina composta in genere da 3 segmenti di cui i laterali a volte lobati, ovato-romboidali, lunghi 10-18 cm, a margine
intero, pubescenti su entrambe le pagine e con apice acuminato. Fiori di circa 1.5 cm, riuniti in densi racemi eretti lunghi sino
a 25 cm; calice pubescente; corolla papilionacea, viola-rossastra, con vessillo obovato-subrotondo. Frutto costituito da un
legume lineare-oblungo, di 5-13×0.7-1.2 cm, pubescente.
Periodo di fioritura: luglio-agosto.
Area d’origine: Asia orientale (Russia, Cina, Giappone, Penisola Indocinese ecc.) e isole del Pacifico sud-occidentale.
Habitat: Sempre nei pressi di abitazioni, oppure lungo strade o ferrovie. Predilige posizioni ben soleggiate e spesso in luoghi
piuttosto caldi.
Distribuzione nel territorio: Diffusa su tutto il territorio regionale (150-400 m s.l.m.), ma soprattutto nella parte occidentale.
Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (INV), Lecco (NAT), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Pavia (NAT), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1878 e naturalizzata in Lombardia dal 1940 (Arietti, 1950).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Specie con un’impressionante capacità di accrescimento (sino a 30 m all’anno!), che le consente di ricoprire
pressoché uniformemente tutte le superfici che incontra (alberi, edifici ed altri manufatti, terreno ecc.), senza problemi nel
raggiungere altezze considerevoli. È da considerarsi un vero e proprio flagello vegetale! È specie inclusa nella lista nera delle
specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia.
Azioni di contenimento: Specie di difficile controllo, in quanto il rizoma sotterraneo si allunga e si ramifica velocemente
mentre i fusti radicano facilmente ai nodi. Si consiglia il taglio (almeno 3-4 volte l’anno, ripetuto per alcuni anni), coadiuvato
dall’impiego di erbicidi (solo sulla porzione radicata al suolo). Occorre rimuovere accuratamente le parti tagliate e distruggerle.
Evitare nel modo più assoluto ogni azione che possa favorire la propagazione della specie.
Note: P. lobata, (con foglioline trilobate, raramente intere, circa tanto lunghe quanto larghe) è da alcuni autori ridotta a varietà (Maesen, 1985, 2002)
di montana (con foglioline prevalentemente intere, spesso più lunghe che larghe) o, addirittura, sinonimizzata con essa (Ward, 1998). Tuttavia le
sequenze dei microsatelliti separano chiaramente queste entità (Sun et al., 2005), così che è legittimo mantenerle specie distinte.
Bibliografia: Arietti, 1950; Maesen, 1985, 2002; Pappert et al., 2000; Pavan Arcidiaco et al., 1990; Sun et al., 2005; Ward, 1998
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robinia
Famiglia: Fabaceae
Nome scientifico: Robinia pseudoacacia L.
Nome volgare: robinia, gaggìa, acacia
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Albero deciduo alto 2-25 m oppure arbusto pollonante (ceduato), con sistema radicale molto esteso in
superficie; ritidoma di rami e giovani fusti omogeneo, grigiastro, quello dei tronchi fessurato longitudinalmente in losanghe
lunghe e strette. Foglie composte in media di 13-15 segmenti ellittici, di 3-5×1-2 cm, arrotondati all’apice, di un verde un
po’ glauco, più chiari di sotto; stipole trasformate in spine robuste, nero-brunastre. Fiori molto profumati, in racemi ascellari
penduli, lunghi 10-20 cm; corolla papilionata, lunga 15-20 mm, bianca con vessillo giallo alla base; stami diadelfi (1 libero
+ 9 saldati a tubo per i filamenti); ovario supero, stilo sporgente dal tubo degli stami. Il frutto è un legume di 5-10×1 cm,
appiattito, glabro, contenente 3-10 semi lenticolari-reniformi, bruni, opachi.
Periodo di fioritura: aprile-giugno.
Area d’origine: Nordamerica orientale (regione appalachiana).
Habitat: Boschi planiziali e collinari, scarpate, incolti, siepi.
Distribuzione nel territorio: Ovunque, in ambito planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona
(INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1601, in Italia nel 1662 (Orto Botanico di Padova). In Lombardia
coltivata almeno dal 1785 all’Orto Botanico di Pavia (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789); reintrodotta
(mediante nuovi esemplari americani) e diffusa in Lombardia nel 1787-1789 da parte del conte Luigi Castglioni e,
successivamente, da Alessandro Manzoni; naturalizzata almeno dal 1855 (campione raccolto da F. Sordelli a Milano e
conservato nell’Erbario dell’Università di Milano, MI).
Modalità d’introduzione: Deliberata: inizialmente come soggetto sperimentale di provenienza coloniale, poi scambiata
privatamente tra cultori e appassionati (per es. Luigi Castiglioni e Alessandro Manzoni), quindi, nella seconda metà
dell’Ottocento, impiegata in modo estensivo per consolidare gli argini delle prime linee ferroviarie in costruzione.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Nei boschi causa perdita di biodiversità in quanto soppianta le specie legnose autoctone. Il contenuto di azoto
delle sue foglie è di 1.5-2.5 volte maggiore che nelle altre latifoglie (Ziegler, 1958), grazie alla simbiosi con batteri del genere
Rhizobium che fissano l’azoto atmosferico. La caduta delle foglie determina quindi un aumento dell’azoto nel suolo e la
comparsa di molte specie ammoniacali. A differenza di altre vegetazioni eutrofiche, è la presenza della robinia che crea le
condizioni per un insediamento della flora nitrofila. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di
monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia.
Azioni di contenimento: La capacità espansiva della robinia è massimale fintanto che l’uomo ne pratica la gestione
soprattutto attraverso il taglio ripetuto (ceduazione); pertanto, il recupero delle specie native e dei loro assetti naturali nelle
cenosi infestate da robinia (boschetti e boscaglie) può conseguirsi a 25-30 anni dall’ultimo intervento perturbativo. Per evitare
che le piante rigettino, è possibile praticare la cercinatura asportando un anello di corteccia largo 15 cm; in questo modo le
radici non ricevono più gli elaborati della fotosintesi e nell’anno successivo l’albero può essere abbattuto senza rischio di
reviviscenze.
robinia
vischiosa
Famiglia: Fabaceae
Nome scientifico: Robinia viscosa Vent.
Nome volgare: robinia vischiosa, gaggìa vischiosa
Sinonimi: Robinia glutinosa Sims
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Alberello o albero deciduo, alto fino a 13 m, con crescita dell’anno ghiandoloso-pubescente e rametti appiccicosi,
bruno-nerastri, provvisti di piccole spine (derivate dalla trasformazione delle stipole). Foglie imparipennate, composte di 6-12
paia di segmenti ovato-ellittici, interi, lunghi fino a 5 cm, verde scuro sulla faccia adassiale, più o meno grigio-pubescenti su
quella abassiale. Fiori in densi racemi penduli lunghi circa 8 cm; calice campanulato a 5 denti acuminati; corolla papilionacea,
rosa vivo, alla base del vessillo con due macchie gialle simmetriche (guide del nettare); stami diadelfi (1 libero + 9 saldati
a tubo per i filamenti); ovario supero, stilo sporgente dal tubo degli stami. Il frutto è un legume bruno-nerastro, lineare,
appiattito, di 5-11×1-1.5 cm, di solito densamente ghiandoloso-pubescente, contenente piccoli semi reniformi, bruni.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
Area d’origine: Nordamerica sudorientale.
Habitat: Boscaglie di latifoglie e boschi degradati (robinieti), scarpate.
Distribuzione nel territorio: Presente soprattutto nell’alto milanese e nel basso varesino, ma con penetrazioni sino a Varese
e in Valcuvia; è segnalata anche per la zona del torrente Molgora. Lecco (NAT), Milano (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1791. In Lombardia segnalata da Stucchi (1972) come naturalizzata
già da diversi anni.
Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura, vivaistica).
Status: Invasiva.
Dannosa: No.
Impatto: Molto contenuto, rilevabile solo alla fioritura.
Azioni di contenimento: Al momento non appaiono necessarie.
Note: Questa specie non è in grado di competere con la comune robinia (R. pseudoacacia), di cui occupa il medesimo habitat, ed è per questo che
si mantiene marginale alle sue formazioni, senza penetrarvi. Da questa si riconosce agevolmente durante la fioritura per il colore dei fiori, negli altri
periodi dell’anno per il colore e, soprattutto, l’indumento dei giovani rami.
Le piante della zona del Parco del Molgora presentano alcuni caratteri non tipici di R. viscosa, come i legumi con ghiandole sessili, e vanno
ulteriormente studiate.
In Lombardia è segnalata anche R. neomexicana A.Gray (robinia del Nuovo Messico, gaggìa del Nuovo Messico), osservata casuale nel bresciano
(Guarino, 1995). Anch’essa è caratterizzata dai fiori rosa, ma i suoi rami non sono ghiandolosi.
Bibliografia: Brusa et al. 2008a; Guarino, 1995; Isely & Peabody, 1984; Stucchi, 1972
Note: La tremenda aggressività della robinia è dovuta all’alta efficienza di entrambe le modalità riproduttive della specie: vegetativa e per
seme. La prima svolge ruolo essenziale nei popolamenti gestiti a ceduo o in qualche modo mantenuti giovanili da interventi di taglio, incendio,
estirpazione (incompleta), eliminazione parziale e altro; essa determina l’ampliamento progressivo del clone per riempimento degli spazi vuoti e
per espansione periferica esterna. Ecco perché spesso si assiste all’esplosione della robinia nel giro di pochi anni in siti disboscati destinati all’edilizia.
La seconda modalità, sommandosi alla prima per poi diventare determinante nell’ambiente di fustaia (boscaglie invecchiate), interessa le piante
sessualmente mature e indisturbate rispetto ai cicli di fioritura, producendo nuclei di fondazione, per lo più irregolarmente distribuiti, dovuti alla
dispersione dei semi. Simile a R. viscosa e R. neomexicana, anch’esse presenti nel territorio regionale, per le quali si rimanda alla scheda di R. viscosa.
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Bibliografia: Gentile, 1995; Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Isely & Peabody, 1984; Klauck, 1988; Mondino & Scotta, 1987; Stucchi, 1949b; Ziegler, 1958
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pero corvino
Canadese
Famiglia: Rosaceae
Nome scientifico: Amelanchier lamarckii F.G.Schroed.
Nome volgare: pero corvino canadese
Basionimo: nome basato su Crataegus racemosa Lam.,
non Amelanchier racemosa Lindl.
Sinonimi: Amelanchier canadensis auct., non (L.) Medik.
Amelanchier grandiflora auct., non Rehder
Amelanchier laevis auct., non Wiegand
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Arbusto o piccolo albero alto fino a 10 m. Foglie decidue, alterne; picciolo pubescente; lamina ellittica, di
4.5-8.5×2-5 cm, alla fogliazione di color rosso rame, pubescente sulla faccia abassiale; margine finemente seghettato, base
arrotondata o leggermente cordata, apice da ottuso a brevemente acuminato. Infiorescenza a racemo, lunga 4-12 cm, con
6-10 fiori; pedicelli lunghi 1.5-2.5 cm; sepali 5, lunghi 3-5 mm, triangolari-lanceolati; petali 5, bianchi, di 9-14×2.5-5 mm; stami
20; pistilli parzialmente fusi tra loro. Il frutto è un pomo globoso, di 1-1.5 cm di diametro, nerastro-porpora, glabro, all’apice
coronato dai sepali persistenti, eretti.
Periodo di fioritura: aprile-maggio.
Area d’origine: Nordamerica orientale (Canada orientale).
Habitat: Boschi mesofili su suolo acido.
Distribuzione nel territorio: Presenza contenuta, confinata alla Lombardia occidentale (100-350 m s.l.m.); sinora abbondante
in una sola località (Tradate, VA). Como (NAT), Lecco (CAS), Monza e Brianza (CAS), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nella seconda metà del XIX secolo; segnalata per la prima volta in Italia
e in Lombardia da Banfi & Galasso (2005), in seguito ne è stato precisato l’areale (Galasso, 2006).
Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Sì.
Impatto: Pur essendo sinora confinata a poche stazioni, questa specie sembra in espansione, tanto da potersi profilare per
i prossimi anni come esotica invasiva. Può formare comunità pressoché pure, nelle quali tutte le stratificazioni della cenosi
boschiva sono dominate da questa aliena.
Azioni di contenimento: Taglio selettivo, ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi in caso
di ripollonamento; provvedere quindi a sottopiantagione. Pronta rimozione del novelleto. Evitare assolutamente la
fruttificazione.
cotognastro
prostrato
Famiglia: Rosaceae
Nome scientifico: Cotoneaster horizontalis Decne.
Nome volgare: cotognastro prostrato
Tipo biologico: nPrept
Descrizione: Arbusto alto al massimo 50 cm, con rami patenti e prostrati. Foglie semisempreverdi, alterne; picciolo lungo
1-3 mm, pubescente; stipole caduche; lamina suborbicolare, raramente obovata, di 6-14×4-9 mm; pagina inferiore con
sparsa pubescenza appressata, la superiore glabra; margine intero, apice di solito acuto. Fiori generalmente solitari; pedicelli
brevissimi o assenti; sepali 5, triangolari, con apice acuto, esternamente pubescenti; petali 5, eretti, rosa, rossi o biancastri,
di 3-4×2-3 mm, con apice ottuso; stami 12, più brevi dei petali. Il frutto è un pomo subgloboso, rosso brillante, di 5-7 mm,
contenente 2-3 semi.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
Area d’origine: Asia orientale (Cina e Nepal).
Habitat: Boscaglie prossime alle abitazioni, manufatti murari, margini stradali.
Distribuzione nel territorio: Sporadico in ambito planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (CAS), Lecco
(NAT), Milano (CAS), Pavia (CAS), Varese (NAT). [C. hjelmqvistii: Varese (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XIX secolo; segnalata per la prima volta in Lombardia da Giordana (1995).
Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Altra specie coltivata e naturalizzata in territorio lombardo (Banfi et al., 2009) è C. hjelmqvistii Flinck & B.Hylmö (cotognastro di Hjelmqvist),
con ramificazione irregolare, ascendente, foglie maggiori (lunghe almeno 15 mm) e sepali esternamente glabri (salvo al margine).
Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Banfi et al., 2009; Bonali et al., 2006a; Flinck & Hylmö, 1991; Giordana, 1995; Stace, 1997
Note: La disseminazione avviene ad opera dell’avifauna frugivora. L’origine di A. lamarckii è poco chiara: è possibile che si tratti di una notospecie
formatasi dall’ibridazione naturale tra A. canadensis (L.) Medik. e un’entità affine, la quale è in discussione fra A. laevis Wiegand e A. arborea (F.Michx.)
Fernald. Tutti e tre gli ipotetici parentali sono effettivamente molto simili ad A. lamarckii, con la quale vengono facilmente confusi, tuttavia essi non
presentano il caratteristico rossore in fase di fogliazione e, inoltre, A. canadensis è pianta stolonifera, A. laevis presenta lunghezza media dei racemi
superiore a 8 cm, A. arborea raggiunge i 20 m d’altezza e matura frutti rosso porpora anziché nerastri.
Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Galasso, 2006; Richardson, 1995; Schroeder, 1968, 1972
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cotognastro
salicino
Famiglia: Rosaceae
Nome scientifico: Cotoneaster salicifolius Franch.
Nome volgare: cotognastro salicino
Tipo biologico: nPscap
Descrizione: Arbusto alto 2 m e più, con rami arcuati o eretti. Foglie sempreverdi, alterne; picciolo lungo 4-5 mm, tomentoso;
stipole caduche; lamina ellittico-oblunga oppure ovato-lanceolata, di 4-8.5×1.5-2.5 cm, con 12-16 paia di nervature laterali;
pagina inferiore grigio-tomentosa, la superiore glabra e verde, debolmente rugosa; margine intero, apice acuto o acuminato.
Infiorescenze formate da cime corimbose di 3.5-6×3-4 cm; brattee caduche; peduncoli densamente grigio-tomentosi, 2-4
mm; fiori di 5-6 mm di diametro; sepali 5, triangolari, densamente tomentosi; petali 5, patenti, ovati o suborbicolari, bianchi,
di 2.5-4×3-4 mm, con apice ottuso; stami 20, lunghi quanto i petali o leggermente più lunghi; antere porpora; ovario di 5
carpelli liberi sul lato ventrale (adassiale), con 2-3 stili liberi. Il frutto è un pomo da subgloboso a ovoide, rosso scarlatto, di 3-7
mm, contenente 2-3 semi.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
Area d’origine: Asia orientale (Cina).
Habitat: Rupi, boschi e boscaglie presso le abitazioni, su suolo calcareo sia roccioso sia umifero.
Distribuzione nel territorio: Presenza rara, sinora segnalata solo nell’area varesina dei Laghi Insubrici (200-500 m s.l.m.).
Varese (NAT). [C. coriaceus: Varese (NAT).] [C. pannosus: Varese (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XX secolo; segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia da
Cerabolini et al. (2008).
Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Comunemente coltivata in parchi e giardini, spesso insieme ad altre due specie dello stesso genere, entrambe naturalizzate in territorio
regionale (Banfi et al., 2009), caratterizzate anch’esse da portamento eretto-ascendente e foglie tomentose sulla pagina inferiore, ma a contorno
obovato o largamente ellittico. Si tratta di C. coriaceus Franch. (= C. lacteus W.W.Sm.; cotognastro coriaceo) e C. pannosus Franch. (cotognastro
pannoso), l’ultima delle quali distinta per le foglie mediamente minori di 3 cm e per le infiorescenze con, al massimo, 20 fiori.
azzeruolo
americano
Famiglia: Rosaceae
Nome scientifico: Crataegus submollis Sarg.
Nome volgare: azzeruolo americano
Sinonimi: Crataegus champlainensis auct., non Sarg.
Crataegus coccinea auct., non L.
Crataegus mollis auct., non Scheele
Crataegus noelensis auct., non Sarg.
Crataegus pedicellata auct., non Sarg.
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Grosso arbusto o alberello alto fino a 10 m, con chioma espansa e rami villosi da giovani, quindi glabri e provvisti
di spine robuste. Foglie ovate od ovoidali, lunghe 4-8 cm, con lamina incisa in 4-5 paia di lobi poco profondi, scabri, seghettati,
sopra pubescenti, sotto feltrosi, alla fine glabri. Fiori in cime multiflore, tomentose e lasse, larghi 2 cm, a 5 petali bianchi e stami
numerosi con antere gialle o purpuree. Il frutto è un pomo da globoso a obovoide o piriforme di 1 cm, rosso aranciato, alla
fine cremisi, edule, contenente 3-4 noccioli.
Periodo di fioritura: aprile-giugno.
Area d’origine: Nordamerica nordorientale.
Habitat: Boschi degradati, boscaglie, tendenzialmente acidofili.
Distribuzione nel territorio: Pianalti occidentali (es. Parco delle Pineta di Tradate e Appiano Gentile, Parco delle Groane,
Parco di Montevecchia e della Valle del Curone). Como (NAT), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia da Ugolini (1933, sub C. coccinea) in Veneto, ove era
nota selvatica da almeno un quarantennio; in seguito in Piemonte (Soldano, 1977a, sub C. champlaineisis) e in Lombardia
(Banfi & Costalonga, 1984, sub C. cfr. noelensis).
Modalità d’introduzione: Deliberata (pianta da frutto e da giardino).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Note: L’esatta identità della specie naturalizzata in Lombardia e in Italia è ancora incerta in quanto appartiene a un gruppo di entità americane
molto complicato e ancora allo studio degli specialisti; per questo appare segnalata con i nomi più diversi. Ad esempio, la recente segnalazione
lombarda di Costalonga (2009) di C. coccinea fa riferimento alla stessa popolazione del Parco delle Groane già chiamata C. cfr. noelensis da Banfi &
Costalonga (1984), C. mollis da Banfi & Galasso (2005) e C. submollis da Banfi et al. (2009), aggiungendo ulteriore confusione. In attesa dell’uscita
del volume della Flora del Nordamerica contenente la trattazione delle Rosaceae, preferiamo attribuire tutte le popolazioni lombarde ad un’unica
specie, appunto C. submollis, analogamente a Soldano (2000).
Bibliografia: Banfi & Costalonga, 1984; Banfi & Galasso, 2005; Banfi et al., 2009; Costalonga, 2009; Soldano, 1977a, 2000; Ugolini, 1933
Bibliografia: Banfi et al., 2009; Cerabolini et al., 2008; Stace, 1997
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kerria
Famiglia: Rosaceae
Nome scientifico: Kerria japonica (L.) DC.
Nome volgare: kerria
Basionimo: Rubus japonicus L.
Sinonimi: Corchorus japonicus (L.) Houtt.
Corchorus japonicus (L.) Thunb., comb. superfl.
Spiraea japonica (L.) Desv., non L.f., nom. illeg.
Tipo biologico: Pcaesp
Descrizione: Arbusto deciduo con fusti persistentemente verdi (frutice), numerosi, arcuati e ricadenti “a fontana”, lunghi fino
a 2 m. Foglie alterne con breve picciolo e lamina di 3-10×1-3 cm, da ovata a lanceolata, lungamente acuminata, doppiamente
dentata ai margini, rugosa, con nervature secondarie evidenti, glabra, verde opaco sopra e sotto. Fiori solitari al termine dei
rametti secondari, nel selvatico originale (non presente da noi) regolarmente fertili con corolla di 5 petali ovato-suborbicolari,
gialli, contornanti un androceo di numerosi stami, nella forma coltivata (‘Flore Pleno’) sterili, con gli stami trasformati in petali
a formare assieme alla corolla un caratteristico “pompon” giallo. Il frutto, presente nella forma originale, è un acheneto, cioè
un “capolino” di acheni.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
Area d’origine: Asia orientale (Cina centrale e occidentale, successivamente trasferita in Giappone e da qui estesa
all’Occidente).
Habitat: Boscaglie, pendii presso le abitazioni.
Distribuzione nel territorio: Sporadica e casuale soprattutto nella fascia prealpina, naturalizzata soltanto a Primaluna (LC).
Bergamo (CAS), Brescia (CAS), Lecco (NAT), Lodi (CAS), Monza e Brianza (CAS), Milano (CAS), Varese (CAS).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal principio del XIX secolo e avventizia dalla seconda metà dell’Ottocento
nel trevigiano (Saccardo, 1869b); in Lombardia segnalata da Giacomini (1950).
Modalità d’introduzione: Deliberata (pianta da giardino).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Nessuno.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Bibliografia: Giacomini, 1950; Pignatti, 1982; de Visiani & Saccardo, 1869b
spirea
americana
Famiglia: Rosaceae
Nome scientifico: Physocarpus opulifolius (L.) Maxim.
Nome volgare: spirea americana
Basionimo: Spiraea opulifolia L.
Sinonimi: Opulaster opulifolius (L.) Kuntze
Physocarpus riparius Raf.
Physocarpus opulifolius Raf., nom. rej.
Tipo biologico: nPcaesp
Descrizione: Arbusto alto sino a 2-3 m. Foglie caduche, alterne; stipole ben sviluppate, triangolari-lesiniformi, precocemente
caduche; picciolo di 1-5 cm; lamina ovato-rotondata, lunga 2-10 cm, con 3(-5) lobi, margine doppiamente seghettato, base
di norma cordata ed apice acuto. Infiorescenze in cime corimbose emisferiche, larghe circa 5 cm; fiori sino a 1 cm di diametro,
con calice di 5 sepali glabri o sparsamente pubescenti, persistenti nel frutto; petali 5, subrotondi, di 4 mm, bianchi o ± rosati;
stami 20-40; ovario di 1-5 carpelli connati alla base. Frutto costituito da 1-5 follicoli radiali glabri, rossastri e rigonfi, lunghi il
doppio dei sepali.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
Area d’origine: Nordamerica centro-orientale.
Habitat: Boscaglie umide.
Distribuzione nel territorio: Naturalizzata nel comasco (all’Acqua Negra e al Bassone) e nel milanese presso il Ticino; invece
la segnalazione di Dübi-Cortivallo (1960) per il varesotto non è più stata riconfermata (Macchi, 2005) ed è da considerare
casuale. Como (NAT), Monza e Brianza (NAT), Varese (CAS).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia alla fine del XVIII secolo; segnalata per la prima volta in Lombardia da
Dübi-Cortivallo (1960), che la raccolse nel 1956.
Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Coltivata come ornamentale da siepe e da giardino, la specie era stata descritta sotto il genere Spiraea (vedi schede) per i caratteri morfologici
in gran parte comuni a questo genere; tuttavia recenti studi filogenetici basati sulle sequenziazioni del DNA hanno dimostrato che Physocarpus ha
poco da spartire con Spiraea, mentre forma una stirpe (monophylum) assieme a Neillia D.Don, genere di rosacee proprio dell’area est-himalayana.
Bibliografia: Dübi-Cortivallo, 1960; Macchi, 2005
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fragola
matta
Famiglia: Rosaceae
Nome scientifico: Potentilla indica (Andrews) Th.Wolf
Nome volgare: fragola matta, falsa fragola
Basionimo: Fragaria indica Andrews
Sinonimi: Duchesnea indica (Andrews) Focke
cinquefoglio
di Norvegia
Famiglia: Rosaceae
Nome scientifico: Potentilla norvegica L.
Nome volgare: cinquefoglio di Norvegia
Tipo biologico: Hrept
Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 10-50 cm, con breve rizoma e lunghi stoloni epigei radicanti all’apice. Foglie con
picciolo relativamente allungato, a 3 segmenti lunghi 2-3 cm, sparsamente pelosi, obovati, cuneati alla base e crenati al
margine; stipole presenti, lanceolate. Fiori solitari, raramente superanti le foglie, con calice di 5 sepali lunghi 1 cm ed epicalice
a 5 segmenti più larghi e più lunghi dei sepali; petali gialli, di 8 mm; stami numerosi; ovari monocarpici, numerosi, inseriti su un
ricettacolo convesso. Frutto costituito dal ricettacolo ingrossato (come nelle fragole), subsferico, rosso corallo esternamente,
bianco-spugnoso all’interno, insipido, ricoperto di piccoli acheni facilmente asportabili.
Periodo di fioritura: maggio-luglio.
Area d’origine: Asia meridionale e orientale.
Habitat: Boscaglie umide, siepi, aiuole, giardini ecc.
Distribuzione nel territorio: Planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV),
Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (NAT), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Europa nel 1802 e coltivata nell’orto Botanico di Torino dal 1815, presto si diffonde
spontaneamente in molte località del Piemonte (sulle colline torinesi nel 1856: Camus, 1905); Caruel (1894) e Rodegher &
Venanzi (1894) la segnalano per la Lombardia nel bergamasco (dove è stata raccolta la prima volta nel 1886), Ugolini (1907)
nel bresciano, Cozzi (1918) nel gallaratese (VA).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per sperimentazione orticola.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Ha effetti negativi sulla biodiversità, diffondendosi ai margini dei boschi, nelle boscaglie degradate, presso le siepi,
sulle bordure erbose e determinando un impoverimento floristico nella base erbacea a scapito delle specie autoctone.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-40 cm (fino a 70 cm con l’infiorescenza), con fusto eretto, rossastro, ramosissimo,
talvolta provvisto di pochi peli ghiandolari. Foglie divise in 3(-5) segmenti, di 10-70×7-40 mm, da obovati a oblungo-ellittici,
con 8-12 denti per lato, acuti, molto incisi, a volte fino a rendere la lamina subpennatifida. Infiorescenza cimosa terminale,
irsuta, con fiori a 5 sepali di 5 mm, accrescenti fino a 1 cm nel frutto; epicalice di 5 segmenti alternati ai sepali e di questi più
lunghi nel frutto; corolla a 5 petali gialli, mediamente più brevi dei sepali (4-5 mm); stami numerosi come gli ovari, questi
ultimi unicarpellari, inseriti su un ricettacolo convesso, con stili filiformi a base allargata, caduchi. Infruttescenza, un capolino
di acheni.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: Nordeuropa e Nordamerica (W-artica).
Habitat: Prati umidi, terreni torbosi.
Distribuzione nel territorio: Dall’alta pianura alla fascia montana. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia dalla fine del Settecento. Quasi sicuramente l’indicazione di Cesati
(1844) per la Lombardia, ripresa dalle flore successive (da Caruel, 1894 a Pignatti, 1982), fa riferimento alle indicazioni di Biroli
(1808) per il novarese; dunque le prime segnalazioni per la Lombardia sarebbero quelle di Crescini (1987), Macchi & Danini
(1992) e Aeschimann et al. (2004).
Modalità d’introduzione: Presumibilmente accidentale.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Nullo.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Si confonde superficialmente con le comuni fragole selvatiche (Fragaria vesca L., F. moschata (Duchesne) Weston), dalle quali si distingue per
le foglie crenate anziché dentate, per i petali gialli anziché bianchi e per il frutto vistosamente circondato dal calice alla base, con trama spugnosa
e insipida anziché carnosa e saporita.
Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Biroli, 1808; Caruel, 1894; Cesati, 1844; Crescini, 1987; Macchi, 2005; Macchi & Danini, 1992; Pignatti, 1982
Bibliografia: Camus, 1905; Caruel, 1894; Cozzi, 1918; Rodegher & Venanzi, 1894; Ugolini, 1907
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lauroceraso
Famiglia: Rosaceae
Nome scientifico: Prunus laurocerasus L.
Nome volgare: lauroceraso, falso alloro
Sinonimi: Cerasus laurocerasus (L.) Dum.Cours.
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Arbusto o piccolo albero alto sino a circa 8 m, con chioma molto espansa nei vecchi esemplari coltivati isolati.
Foglie sempreverdi, alterne; picciolo di 8-10 mm; lamina spessa e coriacea, oblunga, obovata oppure ellittica, di 5-15(-25)×3-4
cm, glabra, verde scuro lucente sulla faccia adassiale, verde chiaro su quella abassiale, a margine intero o talvolta dentato e
leggermente revoluto. Racemi ascellari e terminali, eretti, cilindrico e compatti, lunghi 5-12 cm; fiori subsessili, di circa 8 mm
di diametro, con 5 petali bianchi di circa 3 mm e stami numerosi. Frutto costituito da una drupa piriforme, lunga 8-12 mm,
violaceo-nerastra, con nòcciolo globoso.
Periodo di fioritura: aprile-maggio.
Area d’origine: Asia occidentale (Iran, Turchia e Caucaso) ed Europa sudorientale (Balcani).
Habitat: Formazioni boschive di diverso tipo, indifferente al tipo di substrato; tollera molto bene l’ombreggiamento.
Distribuzione nel territorio: Coltivata su tutto il territorio regionale (50-1000 m s.l.m), si rinviene invasiva o naturalizzata
soprattutto nella fascia collinare e, in subordine, in quelle planiziale (qui perlopiù casuale) e submontana. Bergamo (NAT),
Brescia (NAT), Como (CAS), Cremona (CAS), Lecco (INV), Lodi (CAS), Monza e Brianza (INV), Milano (CAS), Mantova (CAS), Pavia
(CAS), Sondrio (CAS), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XVI secolo; in Lombardia segnalata come aliena già da Cesati (1844).
Modalità d’introduzione: Deliberata, a fine ortofloricolo.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: È, tra le esotiche arboreo-arbustive a chioma sempreverde, una delle più invasive; fatto al quale contribuisce un’estrema,
capillare diffusione sul territorio regionale. Occorre tuttavia sottolineare come questa specie fiorisca essenzialmente quando
cresce in esemplari singoli o quando viene mantenuta a siepe alta, con individui sufficientemente sviluppati; in tali circostanze
essa è in grado di produrre frutti di grande attrazione per l’avifauna frugivora, che ne rappresenta il mezzo di dispersione
principale. Localmente può formare un denso mantello forestale, che in alcune situazioni raggiunge gli strati di copertura
superiori, precludendo la rinnovazione del bosco e reprimendo le specie nemorali. Esercita inoltre un impatto sui processi
biogeochimici del suolo (allelopatia e rallentamento dei processi di umificazione), oltre, naturalmente, ad alterare il paesaggio.
Azioni di contenimento: Taglio selettivo, ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi in caso
di ripollonamento; provvedere quindi a sottopiantagione. Pronta rimozione del novellame. Evitare assolutamente la
fruttificazione.
Note: Il lauroceraso è coltivato anche da noi in numerose cultivar, la più deviante delle quali sul piano morfologico è ‘Otto Luyken’, dalle foglie
lanceolate (identiche a quelle di Osmanthus decorus (Boiss. & Balansa) Kasapligil) e dall’habitus compatto, alta non più di 1 m, anch’essa fertile e
regolarmente fruttifera. Ebbene, di tutta la cultidiversità presente, in natura sembra avere successo unicamente il morfotipo nominale (ferale),
come dimostrano le fughe della specie nel nostro territorio.
Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Berger & Walther, 2006; Bonali, 2000; Bonali et al., 2006a; Cerabolini et al., 2008; Cesati, 1844; Frattini, 2008;
Giordana, 1995; Ricotti et al., 2002; Ronchetti, 1885; Zanotti, 1991b
ciliegio
tardivo
Famiglia: Rosaceae
Nome scientifico: Prunus serotina Ehrh.
Nome volgare: ciliegio tardivo, pado americano
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Albero alto sino a 20(-25) m. Foglie decidue, alterne; lamina obovata, oblunga o più spesso (ob-)lanceolata,
lunga 8-13 cm, glabra, sublucida e subcoriacea, con margine finemente crenato, apice acuminato, superiormente verde scuro,
più chiara inferiormente, con nervature non prominenti. Infiorescenza a racemo cilindrico, eretto; fiori 1-1.5 cm in diametro;
sepali 5, ovato-oblunghi; petali 5, bianchi, lunghi 2.5-4 mm. Frutto costituito da una drupa subsferica di 8-10 mm, nera e
lucida a maturità, contenente un nòcciolo legnoso (endocarpo + seme).
Periodo di fioritura: aprile-maggio.
Area d’origine: Nordamerica (soprattutto Stati Uniti centro-orientali).
Habitat: Prevalentemente in formazioni forestali, dove costituisce spesso la copertura dominante o codominante. Invade
diverse tipologie di bosco, nonché arbusteti, incolti e prati non gestiti. Sembra indifferente alle condizioni edafiche, anche se
non ama ristagni d’acqua nel suolo.
Distribuzione nel territorio: Porzione occidentale della regione (100-650 m s.l.m.), in particolare nell’area collinare e nell’alta
pianura. Bergamo (NAT), Como (INV), Lecco (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Pavia (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia e in Lombardia almeno dal 1922, nel 1951 è già naturalizzata da qualche
decennio (Stucchi, 1952).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per sperimentazione forestale; in secondo luogo ad uso ortofloricolo.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Su scala regionale è l’esotica legnosa che, assieme all’ailanto, mostra la massima aggressività in termini invasivi. Era
stata introdotta in Lombardia all’inizio del XX secolo, in impianti selvicolturali sperimentali nei pressi di Gallarate. In meno di 30
anni si era espansa fino a raggiungere i boschi fluviali del Ticino. La sua diffusione è affidata agli uccelli frugivori, specialmente
turdidi. Questa specie in una decina d’anni è capace di produrre da seme individui fruttificanti; alla prima apertura che si crea
in un bosco con tagli, schianti o incendi, la presenza di qualche seme è sufficiente per insediarne una nuova popolazione,
che nel giro di pochi lustri finirà per dominare la vegetazione. Ciò comporta un drastico calo della componente autoctona,
dapprima legnosa poi erbacea, con evidente perdita di biodiversità e degrado del patrimonio forestale. Competitivamente
P. serotina è vincente persino sulla robinia nei siti di incontro tra le due specie e, d’altra parte, come Solidago gigantea (vedi
scheda), è in grado di attivare strategie allelopatiche. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di
monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia; è inoltre inserita tra le specie esotiche
a carattere infestante e dannose per la conservazione della biodiversità riportate nel r.r. 5/2007.
Azioni di contenimento: Il contenimento di questa temibile esotica risulta tutt’altro che facile (Caronni, 2008), sia per la
frugalità della specie, sia per la facilità con cui la stessa è in grado di propagarsi. Anche il taglio dell’albero si mostra una
tecnica poco efficace, poiché dalle ceppaie si originano polloni particolarmente vigorosi, in grado di fiorire e fruttificare già
dopo tre o quattro anni. Gli interventi di contenimento dovrebbero comunque prevedere il taglio selettivo o la cercinatura,
ripetuti per alcuni anni e/o coadiuvati dall’impiego di erbicidi in caso di pollonamento; si dovrebbe quindi provvedere
immediatamente alla sottopiantagione. Il novellame deve essere prontamente rimosso e infine occorre prevenire con ogni
mezzo la fruttificazione degli esemplari maturi.
Note: Il ciliegio tardivo era stato introdotto per le pregiate qualità del legno, che in Italia si è rivelato invece di scarsa qualità a causa delle pessime
conformazioni dei tronchi, dovute probabilmente alle condizioni ambientali, che differiscono da quelle in patria. Le foglie allungate ricordano
molto quelle del pesco, fatto per il quale in provincia di Varese, dove è particolarmente diffusa, la specie viene chiamata “perzeghin”. È spesso
confuso con il pado nostrano (P. padus L.), pianta autoctona che cresce nei medesimi boschi, sebbene con preferenza per i substrati alluvionali
umidi e che si riconosce facilmente per le gemme lunghe più di 2.5 mm (minori in P. serotina), per la lamina opaca, di consistenza membranosa
come quella del ciliegio, con nervature prominenti sulla faccia abassiale, per i racemi penduli alla fioritura, per i fiori maggiori (petali lunghi fino a
9 mm) e per l’antesi che è anticipata di circa 15 giorni rispetto a quella del ciliegio tardivo.
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Bibliografia: Caronni, 1993; Caronni, 2008; Folliero, 1985; Fontaneto et al., 2003; Sartori, 1985; Starfinger, 1997; Stucchi, 1952
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rosa
polianta
Famiglia: Rosaceae
Nome scientifico: Rosa multiflora Thunb.
Nome volgare: rosa polianta
Sinonimi: Rosa polyantha Siebold & Zucc.,
non Rössig, nom. illeg.
Tipo biologico: Plian
Descrizione: Arbusto lianoso che può raggiungere un’altezza di circa 10 m utilizzando gli alberi come supporto; fusto con
aculei (comunemente noti come spine) robusti, lunghi sino a 6 mm. Foglie decidue, alterne, lunghe 5-10 cm, composte da
(3-)5-9 foglioline, queste obovate, ovate od oblunghe, di 1-5×1-3 cm, con margine seghettato e apice acuto oppure ottuso;
stipole caratteristicamente sfrangiate sul margine. Fiori profumati portati in cime corimbiformi; pedicelli lunghi 1.5-2.5 cm;
sepali 5, decidui, lanceolati, con margine intero o con 2 lobi mediani; petali generalmente 5, bianchi, obovati, con apice
smarginato; stili fusi in una colonna emergente. Frutto consistente in un pometo (tradizionalmente noto come cinorrodio)
rosso-bruno, subgloboso, di 6-8 mm di diametro, costituito da un involucro carnoso di origine ricettacolare (ipanzio) e da una
cavità interna ospitante numerosi pericarpi legnosi, monospermi, immersi in una “imbottitura” di peli setoliformi.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
Area d’origine: Asia orientale (Cina, Corea e Giappone).
Habitat: Boschi degradati, in particolare di tipo mesofilo; presso gli abitati.
Distribuzione nel territorio: Non molto frequente, ma localmente spesso abbondante ed esuberante, dalla fascia planiziale
sino a quella prealpina (100-550 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (INV), Lecco (NAT), Monza e Brianza (INV),
Milano (NAT), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1862. Segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia da Banfi
& Costalonga (1984) al Parco delle Groane.
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: È in grado di formare estese coperture monofitiche, ricoprendo il terreno e avvinghiandosi tipicamente ad alberi
e arbusti sino a notevoli altezze. Espleta quindi un notevole impatto per quanto riguarda la perdita in biodiversità, nonché
produce modificazioni paesaggistiche a carico delle formazioni boschive invase.
Azioni di contenimento: Taglio selettivo, ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi, quindi provvedere
all’impianto di arbusti autoctoni ad elevata capacità ricoprente. Evitare assolutamente la fruttificazione. Pronta rimozione delle
giovani piante in aree di neo-invasione.
Note: R. multiflora è facilmente riconoscibile dalle rose autoctone in quanto possiede caratteristiche stipole sfrangiate. Occorre sottolineare come
spesso venga coltivata per le esuberanti e profumate fioriture, che, tra le non rifiorenti, ne fanno una delle rose di maggior pregio ornamentale.
Bibliografia: Banfi & Costalonga, 1984; Banfi & Galasso, 1998; Danini et al., 2004; Macchi, 2005
lampone
asiatico
Famiglia: Rosaceae
Nome scientifico: Rubus phoenicolasius Maxim.
Nome volgare: lampone asiatico
Tipo biologico: nPcaesp
Descrizione: Arbusto alto 1-2 m; fusti arcuati, con sparse spine esili, setole e caratteristici peli ghiandolari rossi, presenti
anche nell’infiorescenza e sul picciolo fogliare. Foglie caduche, alterne, composte da 3(-5) foglioline, le laterali subsessili, la
terminale (spesso lobata) con peduncolo di 2-3 cm; lamina delle foglioline ovale o rombica, di 4-8×2-5 cm, apice acuto o
acuminato, base arrotondata o subcordata, margine irregolarmente seghettato, pagina inferiore grigio-tomentosa, pagina
superiore glabra o sparsamente pubescente, di colore verde; stipole lineari, di 5-8 mm. Infiorescenza composta da racemi
terminali o ascellari, lunghi 6-10 cm; brattee 5-8 mm; pedicelli 0.5-1.5 cm; fiori 6-10 mm in diametro; sepali eretti dopo la
fioritura, lanceolati; petali biancastri, obovato-spatolati. Il frutto, subgloboso, del diametro di circa 1 cm, rosso scuro a piena
maturazione e ricoperto di peli ghiandolari, è costituito da un’aggregazione di piccole drupe (drupeto), ognuna derivante da
un carpello di un ovario multicarpellare.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
Area d’origine: Asia orientale (Cina, Corea e Giappone).
Habitat: Boschi, spesso abbondante in quelli acidofili di pino e castagno (es. Terrazzo di Brenna, CO) e nelle faggete (es. Monte
Sette Termini, VA). Cresce, come altre specie congeneri, soprattutto dove il bosco è meno fitto. Inoltre si rinviene ai margini
stradali oppure nei pressi di vecchie baite, probabilmente come residuo di precedenti coltivazioni.
Distribuzione nel territorio: Non molto frequente, ma localmente spesso abbondante ed esuberante, dalla fascia planiziale
sino a quella montana (200-850 m s.l.m.). Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Como (INV), Lecco (INV), Monza e Brianza (NAT),
Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1876. In Italia segnalata per il Friuli-Venezia Giulia da Melzer &
Bregant (1992), che la raccolsero nel 1990; in Lombardia segnalata per la prima volta da Aeschimann et al. (2004).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per frutticoltura.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: È in grado di formare estese coperture monofitiche, ricoprendo il terreno e quindi reprimendo la crescita del
sottobosco. Non è ancora nota la competitività di questa pianta rispetto alle specie autoctone di Rubus presenti sul territorio.
Azioni di contenimento: Taglio selettivo, ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi, quindi impianto
di arbusti autoctoni ad elevata capacità ricoprente. Evitare assolutamente la fruttificazione. Pronta rimozione delle giovani
piante in aree neo-invase.
Note: Può essere confusa con altre specie di rovi, dai quali però differisce vistosamente per la fitta copertura rossastra di peli ghiandolari, più lunghi
delle spine, su quasi tutta la pianta. Oltre a ciò, come nelle altre specie della sect. Idaeobatus Focke (tra cui, per esempio, il comune lampone, R.
idaeus L.), il frutto si stacca facilmente dal ricettacolo. Diffusamente coltivata per i frutti commestibili, che però risultano meno sapidi di quelli di
R. idaeus e insolitamente glutinosi a causa del rivestimento ghiandolare. In campo orticolo la specie ha assunto un’importanza particolare nella
produzione dei ceppi coltivati di lampone, ottenuti in prevalenza dall’ibridazione tra R. phoenicolasius e R. idaeus, ma anche del primo con specie
affini, sia eurasiatiche sia americane.
Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Melzer & Bregant, 1992
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sorbaria
Famiglia: Rosaceae
Nome scientifico: Sorbaria sorbifolia (L.) A.Braun
Nome volgare: sorbaria, spirea a foglie di sorbo
Basionimo: Spiraea sorbifolia L.
Tipo biologico: nPcaesp
Descrizione: Arbusto alto sino a 2 m. Foglie decidue, alterne, composte da 11-17 foglioline di forma lanceolata oppure ovatolanceolata, di 5-7×2-2.5 cm, con margine doppiamente seghettato, base arrotondata o largamente cuneata, apice acuminato
o mucronato. Infiorescenza composta da una pannocchia di 10-12×5-12 cm; pedicelli lunghi 5-8 mm; fiori di 10-12 mm di
diametro; sepali 5, persistenti e riflessi nel frutto, triangolari, con apice ottuso o acuto; petali 5, oblunghi oppure obovati, 5-7
mm, di colore bianco; stami 40-50, lunghi 1.5-2 volte i petali. Frutto costituto da 5 follicoli cilindrici di circa 3 mm, ciascuno
con numerosi semi; pedicelli fruttiferi eretti.
Periodo di fioritura: luglio-agosto.
Area d’origine: Asia orientale (Cina, Mongolia, Corea, Russia orientale e Giappone).
Habitat: Boschi e muri, anche in pietra naturale, in posizioni sia assolate sia ombreggiate.
Distribuzione nel territorio: Sporadica nella facia collinare-montana (350-550 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (NAT),
Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia alla fine del secolo XVIII. Segnalata per la prima volta in natura da
Arcangeli (1882a) per l’Appennino ligure, in Lombardia da Banfi & Galasso (2005).
Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini floricolturali.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Sì.
Impatto: È in grado di colonizzare i muri, radicando nelle fessure e contribuendo in tal modo al deterioramento di questi
manufatti.
Azioni di contenimento: Immediata rimozione delle piante radicate sui muri mediante pulitura meccanica accompagnata
dall’uso localizzato di erbicidi sistemici.
spirea
del Giappone
Famiglia: Rosaceae
Nome scientifico: Spiraea japonica L.f.
Nome volgare: spirea del Giappone
Sinonimi: Spiraea callosa Thunb.
Tipo biologico: nPcaesp
Descrizione: Arbusto deciduo alto fino a 1-2 m, a portamento eretto. Foglie alterne con lamina da ovata a ovato-lanceolata,
di circa 10×4 cm, acuta all’apice e irregolarmente dentata, pubescente sui nervi. Fiori in corimbi larghi fino a 12 cm; pedicelli
pubescenti; sepali 5, deflessi; petali 5, rosa, più brevi degli stami; ovario supero, apocarpico (5 carpelli liberi). Il frutto è un
follicolo glabro a deiscenza ventrale, eretto, contenente numerosi, minuti semi.
Periodo di fioritura: giugno-agosto.
Area d’origine: Asia orientale (Giappone).
Habitat: Sponde, margini viari, cespuglieti, boschi e boscaglie.
Distribuzione nel territorio: Dall’alta pianura alla media montagna. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (INV), Lecco (INV),
Monza e Brianza (INV), Milano (NAT), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1870. Segnalata in Italia a Intra (Piemonte, Verbania, VB) da Gola
(1928), in Lombardia da Giacomini (1950) e Stucchi (1952).
Modalità d’introduzione: Deliberata (mercato ortofloricolo).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Determina un impoverimento floristico delle comunità in cui si insedia, a scapito delle specie autoctone.
Azioni di contenimento: Il taglio degli individui può risultare efficace soltanto per piccole popolazioni o nelle aree ambientali
sensibili. Un taglio ripetuto permetterà di controllare la pianta, ma non di eliminarla, per il qual fine è necessaria l’eradicazione.
In ogni caso, il taglio va effettuato il più possibile a livello del colletto, per indebolire l’apparato radicale. Sarebbe opportuno
rinunciare all’impiego orticolturale di questa specie per evidenti motivi di prevenzione.
Bibliografia: Brusa et al., , 2008b; Giacomini, 1950; Gola, 1928; Stucchi, 1952
Note: Come nel caso di altre esotiche arbustive (per es. Buddleja davidii, vedi scheda), sembra prediligere i substrati artificiali (manufatti murari),
fatto che non esclude la possibilità di insediamento su substrati litici in ambiente naturale e il conseguente rischio di interferenza con vegetazioni
casmofitiche rupestri di notevole pregio fitogeografico e conservazionistico.
Bibliografia: Arcangeli, 1882a; Banfi & Galasso, 2005
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spirea
a foglie
di salice
Famiglia: Rosaceae
Nome scientifico: Spiraea salicifolia L.
Nome volgare: spirea a foglie di salice
Tipo biologico: nPcaesp
Descrizione: Arbusto deciduo alto 1-2 m, con rami eretti, pubescenti da giovani. Foglie alterne con lamina ellittica, di circa
4-8×1-2 cm, acuta all’apice, marcatamente e talvolta doppiamente dentata, glabra. Fiori in pannocchie dense, lunghe 4-12
cm, spesso un po’ lobate; pedicelli pubescenti; fiori del diametro di 8 mm circa; sepali 5, triangolari-ovati, eretti; petali 5, rosa
o, raramente, bianchi; stami 15-60, circa 2 volte più lunghi dei petali; ovario supero, apocarpico (5 carpelli liberi). Il frutto è un
follicolo a deiscenza ventrale, eretto, contenente numerosi, minuti semi.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
Area d’origine: Dall’Europa sudorientale all’Asia nordorientale.
Habitat: Margini di strade campestri, boscaglie luminose.
Distribuzione nel territorio: Sporadica, dall’alta pianura alla fascia collinare. Bergamo (CAS), Brescia (CAS), Lecco (NAT),
Milano (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia sin dal Settecento. Segnalata in Italia sulla riva piemontese del Verbano da
Gola (1928), in Lombardia da Ugolini (1933), che la osservò nel 1931 e 1932 nelle Groane, e da Tagliaferri (1994) in Val di Scalve.
Modalità d’introduzione: Deliberata (mercato ortofloricolo).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Azioni di contenimento: Finora non necessarie, ma data l’espansione minacciosa della congenere S. japonica (vedi scheda),
questa specie va parimenti monitorata e, se necessario, contenuta con le stesse modalità operative.
Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Gola, 1928; Tagliaferri, 1994; Ugolini, 1933
olivagno
pungente
Famiglia: Elaeagnaceae
Nome scientifico: Elaeagnus pungens Thunb.
Nome volgare: olivagno pungente
Tipo biologico: nPscap
Descrizione: Arbusto intricato, alto sino a 4 m. Sui rametti presenta rade spine. Foglie sempreverdi, alterne; picciolo di 5-15
mm; lamina in genere oblunga, di 5-10×1.8-3.5 cm, pagina superiore glabra, verde lucente, pagina inferiore brunastroargentea, con lepidomi (peli a forma di squama o scudo appiattito, che riflettono la luce come una superficie argentata) e
nervature scure; base arrotondata, margine caratteristicamente ondulato, apice ottuso o acuto. Fiori riuniti all’ascella delle
foglie, di solito in triadi; pedicelli di 5-8 mm; calice biancastro-argenteo, con tubo imbutiforme di 6-7 mm e 4 lobi ovati, lunghi
circa la metà del tubo; corolla assente; stami 4, inseriti tra i lobi del calice; stilo lineare, non sporgente. Frutto costituito da una
drupa oblunga, di 1.2-1.5 cm, rossa con ammassi di lepidomi brunastri, commestibile.
Periodo di fioritura: settembre-novembre.
Area d’origine: Asia orientale (Giappone e Cina orientale).
Habitat: Ambienti boschivi, soprattutto di carattere termofilo. Presente anche nel sottobosco di impianti artificiali, soprattutto
di conifere.
Distribuzione nel territorio: Frequente e localmente abbondante in tutta l’area collinare, naturalizzata soprattutto in quella
prealpina occidentale presso i Grandi Laghi Insubrici e nelle località con giardini e parchi storici, casuale altrove (100-600 m
s.l.m.). Bergamo (CAS), Cremona (CAS), Lecco (NAT), Mantova (CAS), Pavia (CAS), Sondrio (NAT), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XIX; segnalata per la prima volta in Lombardia da Fornaciari
& Consonni (1990).
Modalità d’introduzione: Deliberata (classica pianta da siepe, di moda soprattutto nella prima metà del ‘900).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Specie a rapido accrescimento, è in grado di formare folti e impenetrabili popolamenti nel sottobosco, alterandone
le proprietà ecosistemiche e la percezione paesaggistica.
Azioni di contenimento: Immediata rimozione delle plantule nelle aree di neo-invasione. Tollera bene la potatura, pertanto
sono necessari più interventi di controllo meccanico; a supporto di tale azione di contenimento, si rende necessario l’uso
localizzato di erbicidi sistemici ai fini di una sicura eradicazione.
Note: Questa specie è tuttora coltivata per siepi informali, talvolta in cultivar a foglie variegate, che non ricompaiono nel ferale. Le drupe,
commestibili e dal gusto piacevolmente acidulo, maturano in tarda primavera e sono fortemente appetite dall’avifauna, che pertanto costituisce
il principale mezzo di dispersione della specie.
Bibliografia: Barnes & Whiteley, 1997; Cerabolini et al., 2008; Fornaciari & Consonni, 1990; Kleih, 2007
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olivagno
cinese
Famiglia: Elaeagnaceae
Nome scientifico: Elaeagnus umbellata Thunb.
Nome volgare: olivagno cinese, goumi
Sinonimi: Elaeagnus multiflora auct., non Thunb.
Tipo biologico: nPscap
Descrizione: Arbusto con rami arcuati, alto sino a 3-4 m, nelle parti giovani ricoperto da lepidomi, peli a forma di squama
o scudo appiattito, che riflettono la luce come una superficie argentata. Foglie decidue, alterne; picciolo di 3-5 mm; lamina
obovata o ellittico-obovata, di 2-8×1-2.5 cm, pagina superiore con sparsi lepidomi da giovane, pagina inferiore argentea,
completamente ricoperta di lepidomi; base cuneata, apice ottuso. Fiori fascicolati in numero di 1-3(-7); pedicelli di 3-6 mm
(più lunghi nei frutti); calice biancastro-argenteo, con tubo imbutiforme di 5-7 mm e 4 lobi triangolari-ovati, lunghi circa 3
mm; corolla assente; stami 4, inseriti tra i lobi del calice; stilo lineare, non sporgente. Frutto costituito da una drupa globosa, di
(6-)8-9 mm, rossa con fitte punteggiature argentate (gruppi di lepidomi), commestibile.
Periodo di fioritura: aprile-maggio.
Area d’origine: Asia centro-orientale (dall’Afghanistan sino al Giappone).
Habitat: Ambienti boschivi marginali.
Distribuzione nel territorio: Sinora localizzata nei siti di introduzione, in particolare nella parte occidentale della regione
(250-500 m s.l.m.). Rinvenuta ferale unicamente presso il Lago di Ganna (VA), casuale altrove. Como (CAS), Milano (CAS),
Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XIX; segnalata per la prima volta in Lombardia da Macchi
(2005) col nome errato di E. multiflora e da Banfi et al. (2009) col nome corretto.
Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura; frutta minore).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Azioni di contenimento: Immediata rimozione delle plantule nelle aree di neo-inavasione. Tollera bene la potatura, pertanto
sono necessari più interventi di controllo meccanico; a supporto di tale azione di contenimento, si rende necessario l’uso
localizzato di erbicidi sistemici ai fini di una certa eradicazione.
Note: La specie compare su diversi cataloghi di vendita orticola per il frutto commestibile (fresco, per marmellate ecc.), ricco di vitamina C come
tutte le eleagnacee. Talvolta viene confusa con specie affini, tra cui E. angustifolia L. (olivagno di Boemia) segnalata casuale in Lombardia da Arietti
(1950), alta fino a 7 m, con foglie strettamente ellittico-lanceolate e lepidomi persistenti anche sulla faccia adassiale della lamina, ed E. multiflora
Thunb., dai frutti più grandi e decisamente peduncolati. È in genere coltivata presso gli appostamenti fissi di caccia (roccoli), per il richiamo
autunnale degli uccelli frugivori.
Le segnalazioni di E. multiflora per la provincia di Varese di Macchi (2005) e genericamente per la Lombardia (in comune di Milano) di Banfi et al.
(2009) sono erronee e da ricondurre a E. umbellata.
olmo
cigliato
Famiglia: Ulmaceae
Nome scientifico: Ulmus laevis Pall.
Nome volgare: olmo cigliato
Sinonimi: Ulmus ciliata Ehrh., nom. illeg.
Ulmus effusa Willd.
Ulmus pedunculata Foug.
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Albero deciduo alto fino a 35 m, con grande chioma arrotondata; rametti dell’anno mollemente pubescenti o
glabri. Foglie alterne, da suborbicolari a ovate, glabre o pubescenti sulla faccia abassiale, subacuminate all’apice, con margine
a dentatura semplice o doppia, base asimmetrica e 12-19 nervi secondari paralleli per lato. Fiori sorretti da peduncoli lunghi
3-6 volte i fiori stessi (6-18 mm), in cime glomeruliformi condensate, sui rami del secondo anno, sviluppantisi prima delle
foglie; perianzio monoclamide a 4 lobi; stami numerosi, con filamento rosso-violaceo; ovario supero. I frutti sono samare
discoidali di 10-12 mm, incise all’apice, cigliate al margine, pendule su lunghi peduncoli; seme in posizione centrale.
Periodo di fioritura: marzo-aprile.
Area d’origine: Europa centrale, orientale e sudorientale.
Habitat: Boscaglie degradate, margini ruderali.
Distribuzione nel territorio: Sporadica nelle fasce planiziale e collinare, presso i centri abitati. Bergamo (CAS), Brescia (NAT),
Como (CAS), Cremona (NAT), Lecco (CAS), Monza e Brianza (CAS), Milano (CAS), Mantova (CAS), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombardia e Italia da Comolli (1835) per comasco e
lecchese.
Modalità d’introduzione: Deliberata (vivaistica).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Questa specie è essenzialmente coltivata nei parchi urbani e delle ville campestri, ma non è l’unico olmo esotico presente nel territorio
regionale. Molto più frequente, specialmente nelle alberature stradali, è l’olmo siberiano (U. pumila, vedi scheda), che si distingue facilmente
per le foglie da ovato-ellittiche a ellittico-lanceolate, con base poco o per nulla asimmetrica e 9-16 nervi secondari per lato; inoltre per le samare
addensate, non cigliate al margine e dotate di un peduncolo molto breve (1-2 mm).
Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Banfi & Galasso, 1998; Bonali et al., 2006a; Comolli, 1835; Frattini, 2008; Zanotti, 1991b
Bibliografia: Arietti, 1950; Banfi et al., 2009; Barnes & Whiteley, 1997; Macchi, 2005
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olmo
siberiano
Famiglia: Ulmaceae
Nome scientifico: Ulmus pumila L.
Nome volgare: olmo siberiano
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Albero deciduo alto 5-10 m, con ritidoma rugoso. Foglie alterne, semplici, con picciolo pubescente di 4 mm
e lamina da ovato-ellittica a ellittico-lanceolata, provvista di dentatura marginale semplice, glabra o subglabra, lunga 2.5-8
cm, da acuta ad acuminata, più o meno cordata con lobi basali poco differenziati e simili fra loro e 9-16 nervi secondari per
lato. Fiori sviluppantisi prima delle foglie, brevemente peduncolati (1-2 mm), in glomeruli, a calice campanulato di 4-5 sepali,
corolla nulla, androceo di circa 5 stami rossastro-violacei, ovario bicarpellare supero, uniloculare. Il frutto è una samara circolare
od obovata, lunga circa 1 cm, non cigliata al margine, incisa all’apice.
Periodo di fioritura: marzo-aprile.
Area d’origine: Asia settentrionale e orientale (Cina, Siberia, Manciuria, Corea).
Habitat: Boschi, boscaglie, siepi, margini stradali.
Distribuzione nel territorio: Planiziale, soprattutto presso i centri abitati. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi
(NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1860. Segnalata per la prima volta in Lombardia da Giordana (1995).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per il verde urbano, le alberature stradali e i rimboschimenti (oggi non più proponibili), in
quanto resistente all’agente della grafiosi (Ceratostomella ulmi), che colpisce a ondate l’autoctono olmo campestre (U. minor Mill.).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Potenzialmente sì.
Impatto: Al momento non sembrerebbe una specie pericolosa per la biodiversità, ma il suo potenziale per diventarlo è molto
alto, in quanto intensamente utilizzata nei rimboschimenti, anche a fini naturalistici (Grandi Foreste di Pianura), e in quanto
già invasiva nel Nordamerica.
Azioni di contenimento: Interromperne l’utilizzo.
Note: Si confonde con l’olmo comune (Ulmus minor), autoctona con cui probabilmente potrebbe anche ibridarsi; si rendono quindi indispensabili
studi che ne permettano il riconoscimento e l’allontanamento. L’altro olmo esotico presente in Lombardia è l’olmo cigliato (Ulmus laevis, vedi
scheda), che si distingue facilmente per le foglie da suborbicolari a ovate, con base asimmetrica e 12-19 nervi secondari per lato; inoltre per le
samare non addensate, cigliate al margine e dotate di un lungo peduncolo (6-18 mm).
Bibliografia: Ansaloni, 1934; Banfi & Galasso, 1998; Bonali, 2000; Bonali et al., 2006a; Frattini, 2008; Giordana, 1995
Luppolo
del Giappone
Famiglia: Cannabaceae
Nome scientifico: Humulus japonicus Siebold & Zucc.
Nome volgare: luppolo del Giappone
Sinonimi: Humulus scandens auct., non (Lour.) Merr.
Antidesma scandens auct., non Lour.
Tipo biologico: Tlian
Descrizione: Pianta erbacea annuale rampicante, alta 1-7 m, con fusti erbacei, scabri, gracili, attorcigliati di norma ad altre
piante. Foglie opposte con stipole ovate, picciolo e nervi principali spinulosi, lamina palmato-lobata a contorno circolare, con
5(-7) lobi acuti, di colore verde vivo. Infiorescenze unisessuali (pianta dioica): le maschili a pannocchia con fiori a perianzio di
6 segmenti giallo-verdognoli e 6 stami ciondolanti, a filamento molle; le femminili pendule, ovate, con i fiori ridotti a semplici
ovari provvisti di 2 stigmi allungati e protrusi, circondati dal perianzio accrescente, inseriti all’ascella di brattee verde chiaro. Il
frutto è un achenocono, una sorta di “pigna” formata dalle brattee (non accrescenti), ciascuna ascellante un singolo pericarpio
involucrato dal proprio perianzio, con i caratteri di un achenio.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Asia orientale (Giappone).
Habitat: Boscaglie, siepi, colture estive e lungo i fiumi su suoli ± umidi, tendenzialmente ipertrofici e a tessitura fine.
Distribuzione nel territorio: Diffusa nell’area planiziale e collinare di tutto il territorio (0-600 m s.l.m.), particolarmente
frequente nel milanese, lungo fiumi e canali. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e
Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia alla fine del XIX secolo; in natura osservata per la prima volta nel 1903 in
Toscana (Fiori, 1905b; Fiori & Paoletti, 1907), in Lombardia nel 1941 (Stucchi, 1949b).
Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: È tra le aliene più condizionanti la qualità della vegetazione e del paesaggio in territorio regionale. Infatti arriva
a rivestire completamente siepi, arbusti, piccoli alberi, cumuli di detriti e manufatti d’ogni genere (staccionate, reti, muri,
palificazioni ecc.), nonché è in grado di formare fitti ed estesi tappeti sul terreno degli argini, sul suolo umido delle boscaglie o
al margine dei campi coltivati, spingendosi anche in modo nocivo all’interno delle colture. Determina dunque pesanti cadute
di biodiversità, opprimenti banalizzazioni del paesaggio e danni all’agricoltura. È specie inclusa nella lista nera delle specie
alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia.
Azioni di contenimento: Specie di difficile controllo in relazione al vigore e all’aggressività. Se ne consiglia il taglio (almeno
3-4 volte all’anno, ripetuto per diversi anni), coadiuvato dall’impiego di erbicidi (da applicare solo sulla porzione al suolo).
Occorre rimuovere accuratamente le parti tagliate e distruggerle, poiché possono sparpagliare disseminuli. È necessario
comunque predisporre una copertura stabile di vegetazione autoctona, eliminando anche le cause di degrado che facilitano
l’ingresso e l’espansione della specie. La vendita di questa pianta nei centri di giardinaggio, sebbene non comune perché di
modesto interesse, deve essere tassativamente vietata per non aggiungere danno al danno.
Note: Potrebbe venire superficialmente confusa con il luppolo nostrano (Humulus lupulus L.), con il quale spesso compete per l’habitat, che si
distingue per essere perenne, robusto, con fusti legnosi e per possedere foglie generalmente trilobate e brattee dell’infiorescenza femminile
ghiandolose (di qui l’uso per aromatizzare la birra), accrescenti (saccate) nel frutto.
Bibliografia: Fiori, 1905b; Fiori & Paoletti, 1907; Stucchi C., 1949b
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gelso
da carta
Famiglia: Moraceae
Nome scientifico: Broussonetia papyrifera (L.) Vent.
Nome volgare: gelso da carta
Basionimo: Morus papyrifera L.
Sinonimi: Papyrius papyrifera (L.) Kuntze
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Albero alto sino a 20 m, ma in genere non superante 10 m, con chioma larga, quasi tabulare. Foglie decidue,
alterne, con picciolo di 2-8 cm e lamina da ovata a ellittico-ovata, intera o con 3-5 lobi (soprattutto nei turioni e nei giovani
esemplari), delle dimensioni di 6-18×5-9 cm, pubescente sulla pagina inferiore e scabra su quella superiore; base cordata
e asimmetrica, apice acuminato, margine grossolanamente seghettato. Fiori unisessuali, maschili e femminili su individui
separati (pianta dioica); infiorescenze maschili ad amento lungo 3-8 cm, pendulo, con fiori a calice 4-lobato, senza corolla e 4
stami inflessi nel boccio; infiorescenze femminili a capolino globoso, con i singoli fiori ridotti a un perianzio di 4 minuti denti,
contornanti l’ovario. Frutto rosso-aranciato, globoso, di 1.5-3 cm di diametro, pubescente e con sparse setole rigide, costituito
dall’accrescimento dei perianzi fusi, come nel gelso, in un sincarpio carnoso (sorosio).
Periodo di fioritura: aprile-maggio.
Area d’origine: Asia orientale (dalla Corea fino alla Malesia, incluse alcune isole del Pacifico).
Habitat: Si rinviene soprattuto in ambienti antropizzati, dove cresce in particolare nei ruderati e presso i margini stradali,
di solito su suolo ben drenato. Di rado si inserisce in ambiti più naturali, per esempio in boschi termofili o subtermofili,
attestandosi in prevalenza ai loro margini ed eccezionalmente entra anche in contatto con i prati magri.
Distribuzione nel territorio: In tutta la regione, diffusa in prevalenza nell’area planiziale e collinare (0-500 m s.l.m.), ma con
una distribuzione largamente discontinua. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (NAT), Cremona (INV), Lecco (NAT), Lodi (INV),
Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nella seconda metà del secolo XVIII; in Lombardia coltivata almeno dal
1793 dal conte Alfonso Castiglioni (Anonimo, 1793; Giacomini, 1950) e naturalizzata almeno dal 1897 (Ugolini, 1897).
Modalità d’introduzione: Deliberata (industria cartiera).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Specie a rapido accrescimento, fortemente pollonante, può alterare la biodiversità e il paesaggio. È infatti in grado
di soffocare la vegetazione soggiacente con le sue fronde esuberanti; inoltre può creare problemi di manutenzione stradale.
È specie inserita tra le specie esotiche a carattere infestante e dannose per la conservazione della biodiversità riportate nel r.r.
5/2007 della Lombardia.
Azioni di contenimento: Si consiglia il taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi);
se possibile, provvedere ad un ombreggiamento dell’habitat, tramite la piantagione di specie arboree o alto-arbustive
indigene a rapido accrescimento. Pronta rimozione delle giovani piante in aree di neo-invasione. Da evitare accuratamente
la fruttificazione, che per altro nel nostro territorio è un evento raro perché in genere sussiste una forte separazione spaziale
tra i cloni dei due sessi.
ramié
Famiglia: Urticaceae
Nome scientifico: Boehmeria nivea (L.) Gaudich.
Nome volgare: ramié, ortica argentata
Basionimo: Urtica nivea L.
Sinonimi: Ramium niveum (L.) Small
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne robusta, alta sino a 2.5 m, con fusto poco o per nulla ramificato. Foglie alterne, con
picciolo lungo 2.5-10 cm; lamina da orbicolare ad ampiamente ovata, di 7-15×4-13 cm, verde e ruvida sulla pagina superiore,
bianco-candida su quella inferiore per la presenza di un denso tomento; base cordata, margine crenulato o dentellato, apice
acuminato o cuspidato. Fiori in glomeruli unisessuali, maschili e femminili su individui differenti (pianta dioica), larghi circa
2.5 mm, inseriti all’ascella delle foglie; glomeruli maschili pauciflori, con fiori tetrameri, i femminili multiflori, a fiori sempre
tetrameri. Frutto costituito da un achenio ovoide di circa 0.6 mm, avvolto dal perianzio, con 2-3 denti.
Periodo di fioritura: maggio-agosto.
Area d’origine: Asia orientale e sudorientale (dall’India al Giappone e all’Indonesia).
Habitat: Ambienti antropizzati, spesso residuo di coltivazione.
Distribuzione nel territorio: Presente unicamente in ambito planiziale a ovest di Milano (Cisliano, MI). Milano (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia a Roma da Pignatti (1982) e Anzalone (1984), dove era
presente dal 1964; in Lombardia da Banfi & Galasso (2005).
Modalità d’introduzione: Deliberata (industria tessile).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Eventuale controllo mediante rimozione diretta delle piante (sradicamento, sfalcio, erbicidi ecc.).
Note: Taxon caratterizzato da diversità infraspecifica, le cui piante presenti in territorio lombardo sembrano corrispondere al tipo nominale della
specie. Si tratta di coltura devoluta alla produzione di fibra naturale (ramié), utilizzata soprattutto nel passato e oggi praticamente abbandonata.
Non sembra capace di diffondersi attivamente né per via vegetativa né per seme.
Bibliografia: Anzalone, 1984; Banfi & Galasso, 2005; Pignatti, 1982
Note: Questa specie era già fonte di cellulosa nella sua area d’origine.
Bibliografia: Anonimo, 1793; Giacomini, 1950; Ugolini, 1897
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quercia
rossa
Famiglia: Fagaceae
Nome scientifico: Quercus rubra L.
Nome volgare: quercia rossa
Sinonimi: Erythrobalanus rubra (L.) O.Schwarz
Quercus borealis F.Michx.
Quercus rubra L. var. borealis (F.Michx.) Farw.
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Albero deciduo a chioma espansa e arrotondata, alto 10-25(-35) m, con tronco robusto; ritidoma relativamente
liscio e uniforme, grigio-brunastro e rami glabri, rossastri. Foglie con picciolo di 2-4 cm e lamina a contorno obovatooblanceolato, di 12-17×8-12 cm, profondamente incisa in 3-5 paia di lobi triangolari od ovati, acuti, a margine irregolarmente
dentato e apice spesso acuminato; denti e apice più o meno terminati da una seta filiforme lunga fino a 4 mm. Fiori unisessuali
(pianta monoica); i maschili in amenti penduli, giallo-verdognoli, provvisti di perianzio a 4-7 lobi e androceo di 4-6(-12) stami,
con i rudimenti di un ovario; i femminili solitari o a 2-3 in spighe raccorciate, con perianzio a 6 minuti lobi e ovario infero,
triloculare, sormontato da 3 stili. Il frutto è una ghianda con cupola appiattita a baschetto, ricoprente il pericarpio per 1/3 o
meno, quest’ultimo ovoidale, lungo 2-3 cm e largo poco meno, bruno chiaro, più scuro verso l’apice.
Periodo di fioritura: aprile-maggio.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Boschi planiziali (alta pianura).
Distribuzione nel territorio: Soprattutto nell’alta pianura. Bergamo (NAT), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (CAS), Lecco
(INV), Lodi (CAS), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1724. In Italia è stata introdotta fin dal 1860 e sperimentata a fini
forestali dal 1922; ha subito mostrato una elevata capacità a diffondersi naturalmente e in Lombardia è stata segnalata in
natura da Pepe (1966).
Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini sperimentali per rimboschimenti e come pianta da parchi, giardini e alberature
stradali.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Nei boschi planiziali (querco-carpineti), specialmente su base acidificata, è causa della perdita di biodiversità in
quanto impedisce il normale sviluppo delle specie legnose autoctone. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone
vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia; è inoltre inserita tra
le specie esotiche a carattere infestante e dannose per la conservazione della biodiversità riportate nel r.r. 5/2007.
Azioni di contenimento: Al Bosco Fontana presso Mantova sono stati praticati interventi sulla quercia rossa e sul platano,
finalizzati a incrementare la necromassa (Cavalli & Mason, 2003).
noce
nero
Famiglia: Juglandaceae
Nome scientifico: Juglans nigra L.
Nome volgare: noce nero, noce americano
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Albero deciduo alto fino a 35 m (40-50 m nel suo habitat originario), con chioma ampia e tronco diritto; ritidoma
grigio più o meno scuro o brunastro, con l’età profondamente inciso in solchi longitudinali stretti e rugosi. Foglie alterne,
imparipennate, lunghe 20-60 cm, con (9-)15-19(-23) segmenti lanceolati od ovato-lanceolati, simmetrici o debolmente
falcati, di (3-)6-15×1.5-5.5 cm, a margine seghettato e apice acuminato; segmento terminale ridotto o, spesso, mancante
(quindi foglia paripennata). Fiori unisessuali (in pianta monoica), con perianzio monoclamide 3-5-lobato; i maschili in amenti
lunghi 5-10 cm, con 17-50 stami ciascuno; i femminili in racemi terminali pauciflori, con ovario infero e stimma bifido. Il frutto
è una pseudodrupa (pericarpio indeiscente incluso nell’accrescimento carnoso del perianzio, noto come “mallo”) globosa o
subellissoidale, lunga 3-4 cm, con scanalature longitudinali fitte e profonde, separate da superficie fortemente verrucosa.
Periodo di fioritura: aprile-maggio.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Boscaglie, margini boschivi degradati, ambienti ruderali freschi.
Distribuzione nel territorio: Sporadica in tutta la regione, soprattutto presso i centri abitati, dove è casuale. Veramente
naturalizzata soltanto in Oltrepo pavese lungo il Torrente Versa, nel lecchese al Parco di Montevecchia e della Valle del Curone
e lungo il Po nel lodigiano. Bergamo (CAS), Brescia (CAS), Cremona (CAS), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (CAS),
Milano (CAS), Mantova (CAS), Pavia (NAT), Sondrio (CAS).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dalla seconda metà del XVIII secolo. In Lombardia segnalata da Giordana (1995).
Modalità d’introduzione: Deliberata (produzione legnosa).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante (estetico locale).
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Il noce nero fornisce legname di pregio, ben noto in America, dove tale produzione riveste un’importanza economica di primo piano; in
Europa, invece, la sua coltivazione non ha dato i frutti sperati, in quanto se ne ricava un legno di qualità inferiore. Un po’ alla volta, perciò, la pianta è
passata dalla selvicoltura produttiva alla parchicoltura, diventando una delle specie symbol delle alberature e dei polmoni verdi artificiali.
Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Giordana, 1995
Bibliografia: Cavalli & Mason, 2003; Pepe, 1966; Sartori et al., 1988
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sicio
Famiglia: Cucurbitaceae
Nome scientifico: Sicyos angulatus L.
Nome volgare: sicio
Tipo biologico: Tlian
Descrizione: Pianta rampicante erbacea, annuale, con fusti lunghi 2-5 m, provvisti di cirri ramosi, pubescenti e più o meno
vischiosi. Foglie con lamina cuoriforme lunga 5-7 cm, divisa fino a 1/3-2/5 della larghezza in 5 lobi palmati, acuti. Fiori
unisessuali (pianta monoica), i maschili in racemi ascellari, i femminili in capolini pauciflori lungamente peduncolati; calice
profondamente 5-fido con lobi strettamente triangolari; corolla giallastra di 5-6 mm, divisa come il calice in 5 lobi triangolarisubacuti; stami (fiori maschili) di regola 3; ovario (fiori femminili) infero, con stimma subsessile. Frutto ad achenio di 1.5 cm,
ovoide, compresso, coriaceo, giallastro, lanoso e irto di setole spinescenti.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Argini, greti, sponde fluviali, ambienti golenali (soprattutto nei saliceti e nei pioppeti), boscaglie planiziali e colture estive.
Distribuzione nel territorio: Ovunque, in ambito planiziale. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (NAT), Cremona (INV),
Lecco (NAT), Lodi (INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal principio del Settecento; in Lombardia coltivata almeno dal 1785
(Hortus regius botanicus ticinensis, 1785; Scopoli, 1785) e naturalizzata almeno dal 1974 nel pavese (Soldano, 1977a).
Modalità d’introduzione: Deliberata, come curiosità ad uso ortofloricolo.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Negativo, in quanto l’aliena determina un impoverimento floristico delle comunità in cui s’insinua, soprattutto lungo
i fiumi, a scapito delle rampicanti indigene, in particolare Silene baccifera (L.) Durande, sempre più rara e localizzata e Bryonia
dioica Jacq., un tempo frequente, oggi complessivamente rarefatta. Nei confronti di quest’ultima specie il danno bioecologico
comporta anche una “beffa tassonomica”, con la sostituzione di una cucurbitacea da parte di un’altra cucurbitacea. Può
inoltre essere dannosa per le colture. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio,
contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia.
Note: Possibile confusione con la citata Bryonia dioica, rampicante provvisto di viticci e fiori simili a quelli di Sicyos angulatus, tuttavia riconoscibile
per i frutti a bacca rosso vivo con riflessi satinati.
Bibliografia: Hortus regius botanicus ticinensis, 1785; Scopoli, 1785; Soldano, 1977a
acetosella
rizomatosa
Famiglia: Oxalidaceae
Nome scientifico: Oxalis articulata Savigny
Nome volgare: acetosella rizomatosa
Sinonimi: Acetosella articulata (Savigny) Kuntze
Acetosella platensis (A.St.-Hil. ex Naudin) Kuntze
Acetosella violacea auct., non (L.) Kuntze
Oxalis arechavaletae Herter
Oxalis articulata Savigny var. sericea Progel
Oxalis dumicula Arechav.
Oxalis floribunda Lehm. / Oxalis guttata Osten ex Arechav.
Oxalis halophila Arechav.
Oxalis platensis A.St.-Hil. ex Naudin / Oxalis rivalis Arechav.
Oxalis sericea (Progel) Arechav., non L.f., nom.illeg.
Oxalis violacea auct., non L.
Tipo biologico: Grhiz
Descrizione: Pianta erbacea perenne acaule (cespuglietto cupoliforme), alta 10-30 cm, con rizoma articolato in segmenti
carnosi, lunghi fino a 2 cm, facilmente disarticolabili. Foglie trifogliolate; picciolo di 5-30 cm con pelosità breve e appressata
(sericea); segmenti obovato-obcordati, lunghi 1-5 cm, bilobi con incisione mediana stretta, poco profonda e apice arrotondato.
Fiori in cime ombrelliformi di poco superanti le foglie; calice di 5 brevi lacinie lanceolate; corolla campanulata a 5 petali
obovato-spatolati, ricoprentisi per metà lunghezza, lunghi 10-20 mm, viola vivo (raramente bianchi) con fauce porpora scuro;
stami 10 in due verticilli, inclusi; ovario supero, 5-loculare. Il frutto (difficile da osservare) è una capsula ellissoidale od ovoidale
lunga 8-10 mm, pentagonale in sezione, a deiscenza esplosiva, con numerosi, piccoli semi bruno scuro.
Periodo di fioritura: giugno-agosto.
Area d’origine: Sudamerica (Paraguay).
Habitat: Aiuole, margini erbosi, marciapiedi, generalmente come coltura residua.
Distribuzione nel territorio: Ovunque, soprattutto presso i centri abitati, nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (NAT),
Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT),
Sondrio (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in un periodo imprecisabile. Segnalata in Lombardia da Fornaciari (1983)
e Galasso (1991).
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Estetico locale.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: A differenza di altre entità dello stesso genere, questa specie si diffonde poco nel territorio lombardo, mentre in area mediterranea
(specialmente sul versante ligure-tirrenico) diventa spesso invasiva e incontrollabile. Può essere confusa con O. corymbosa (vedi scheda), che si
riconosce agevolmente per essere bulbosa e presentare pelosità patente sui piccioli fogliari. Le flore ufficiali italiane e lombarde riportano come
occasionali altre due acetoselle esotiche a foglie trifogliolate e fiori rosati, O. purpurata Jacq. (acetosella rossa, segnalata da Arietti & Crescini, 1980;
Pavan Arcidiaco et al., 1990) e O. purpurea L. (acetosella purpurea, segnalata da Giacomini 1950); entrambe sudafricane (Provincia del Capo),
presentano foglie simili a quelle già descritte (però con picciolo e lamina un po’ più consistenti) e corolle da viola-porpora a carminio con fauce
giallo-verde; la prima presenta più fiori in cime ombrelliformi superanti in altezza il fogliame, mentre la seconda ha infiorescenze ridotte a un
singolo fiore sbocciante in mezzo alle foglie. Se anche queste due specie sono coltivate in Lombardia, non costituiscono alcun rischio in termini
di naturalizzazione.
Bibliografia: Arietti & Crescini, 1980; Fornaciari, 1983; Galasso, 1991; Giacomini, 1950; Pavan Arcidiaco et al., 1990
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acetosella
corimbosa
Famiglia: Oxalidaceae
Nome scientifico: Oxalis corymbosa DC.
Nome volgare: acetosella corimbosa
Sinonimi: Acetosella debilis auct., non (Kunth) Kuntze
Acetosella martiana (Zucc.) Kuntze
Acetosella violacea auct., non (L.) Kuntze
Ionoxalis martiana (Zucc.) Small Oxalis bipunctata A.St.-Hil.
Oxalis bipunctata Grahm
Oxalis bulbillifera Herter / Oxalis debilis auct., non Kunth
Oxalis debilis Kunth subsp. corymbosa (DC.) O.Bolòs & Vigo
Oxalis debilis Kunth var. corymbosa (DC.) Lourteig
Oxalis macrophylla Kunth
Oxalis martiana Zucc. / Oxalis multibulbosa Turcz.
Oxalis urbica A.St.-Hil. / Oxalis violacea auct., non L.
Tipo biologico: Gbulb
Descrizione: Pianta erbacea perenne acaule, più o meno pubescente per tricomi bianchi, patenti, alta 10-25 cm, con
bulbo sotterraneo di 1.5-3 cm a squame lasse, cartacee, trinervie e bulbilli sessili, numerosi. Foglie trifogliolate; picciolo di
5-30 cm con peli patenti; segmenti obcordati di 1-4.5×1.5-6 cm, adassialmente, soprattutto presso il margine, provvisti di
punteggiature rosso scuro (calli), con apice arrotondato e bilobato, a incisione mediana breve e stretta. Fiori in cime corimbose
8-15flore su peduncolo di 10-40 cm o più; pedicelli fiorali di 0.5-2.5 cm; sepali 5, lanceolati (4-7 mm), con apice segnato da due
calli; petali formanti una corolla campanulata, ma sovrapposti solo nel tratto inferiore, roseo-lilacini con venature più scure
visibili alla fauce; stami 10 in due verticilli; ovario supero a 5 loculi. Frutto (molto raro) a capsula pentagonale.
Periodo di fioritura: marzo-dicembre.
Area d’origine: Sudamerica (SE-Brasile, Argentina).
Habitat: Aiuole, margini erbosi, incolti, ruderati, marciapiedi, vasi di piante.
Distribuzione nel territorio: Ovunque (spesso poco osservata o confusa con O. articulata), soprattutto presso i centri abitati,
nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Pavia
(NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in un periodo imprecisabile. Segnalata in Lombardia da Giordana (1995).
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).
Status: Naturalizzata, parzialmente invasiva.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Eventuale diserbo.
Note: L’invasività di questa specie si manifesta più che altro in ambito floricolturale, anche se è una comune coinquilina dei vasi su terrazzi e
balconi. È molto simile a Oxalis debilis (non presente in Lombardia), dalla quale si differenzia soprattutto per la disposizione dei cristalli di ossalato
all’interno della lamina fogliare (Lourteig, 2000). Può essere invece confusa con O. articulata (vedi scheda), che si riconosce agevolmente per
essere rizomatosa e presentare pelosità appressata sui piccioli fogliari. Tra le acetoselle aliene naturalizzate in Italia vale la pena ricordare ancora
O. pes-caprae L. (= O. cernua Thunb.; acetosella gialla, segnalata in Lombardia da Giacomini, 1950), specie sudafricana (Provincia del Capo), invasiva
nelle colture mediterranee (olivo, agrumi, vite) e diffusa negli ambienti ruderali non lontani dalle coste. Condivide con O. corymbosa la presenza
di calli rosso scuro sulla lamina fogliare, che in questo caso sono ben visibili come punteggiature sparpagliate; i fiori sono grandi, giallo oro,
campanulati, penduli in cime ombrelliformi lungamente sopravanzanti le foglie. È presente saltuariamente lungo il Lago di Garda, dove non
sembra però a rischio di espansione. Diverse altre specie sono coltivate qua e là nei giardini o nei vasi; tra queste merita menzione O. bowiei Lindl.,
con bulbi allungati a bottiglietta, rivestiti da una tunica liscia, giallo-bruna e foglie un po’ carnose, a segmenti arrotondati, lunghi fino a 5 cm, verde
chiaro; i fiori, a 3-12 in cime umbelliformi, sono larghi circa 4 cm, campanulato-imbutiformi, cremisi o rosa intenso, con fauce vistosamente gialloverde. Per il suo vigore di crescita e propagazione è un’aliena potenzialmente pericolosa, anche se per fortuna finora non è stata trovata allo stato
spontaneo. Infine, anche O. tetraphylla Cav. (= O. deppei Lodd. ex Sweet; falso quadrifoglio), del Messico, è venduta di frequente, ma non appare
così vigorosa come la precedente, cui somiglia per i fiori, e non sembra in grado di stabilizzarsi; si riconosce per essere l’unica acetosella con foglie
a quattro segmenti, evocanti il quadrifoglio anche per la presenza sugli stessi di una banda a V rosso-scura, con la punta rivolta verso l’apice; è
stata osservata casuale nel pavese.
acetosella
maggiore
Famiglia: Oxalidaceae
Nome scientifico: Oxalis latifolia Kunth
Nome volgare: acetosella maggiore
Sinonimi: Acetosella violacea auct., non (L.) Kuntze
Acetosella violacea (L.) Kuntze subsp. latifolia (Kunth) Kuntze
Ionoxalis intermedia (A.Rich.) Small
Ionoxalis latifolia (Kunth) Rose
Ionoxalis vespertilionis (Zucc.) Rose
Oxalis chiriquensis Woodson / Oxalis intermedia A.Rich.
Oxalis lilacina Klotzsch / Oxalis mauritiana Lodd.
Oxalis vespertilionis Zucc.
Oxalis violacea auct., non L.
Tipo biologico: Gbulb
Descrizione: Pianta erbacea perenne, acaule, alta 7-25 cm, con bulbetti sotterranei. Foglie trifogliolate; picciolo lungo 8-25
cm; segmenti quasi perfettamente triangolari (deltoidi), di 5-6 cm di lato, con apice piatto a larga e superficiale incisione
mediana e lobi rotondato-subacuti. Infiorescenza cimosa, umbelliforme, 6-32-flora, con fiori del diametro di 1.5-2 cm; calice a
5 lacinie lanceolato-lineari; corolla infundibuliforme di 5 petali lilla chiaro, con fauce nettamente giallo-verde; stami 10 in due
verticilli, inclusi; ovario supero, 5-loculare. Il frutto (difficilmente osservabile) è una capsula pentagonale allungata.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: America centro-meridionale (dal Messico al Perù).
Habitat: Siti erbosi freschi e ombreggiati, anche nei vasi.
Distribuzione nel territorio: Pianura, soprattutto presso i centri abitati. Bergamo (CAS), Brescia (CAS), Cremona (NAT), Lodi
(NAT), Milano (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in un periodo imprecisabile. In Lombardia segnalata per la prima volta
da Giordana (1995).
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).
Status: Naturalizzata, parzialmente invasiva.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Eventuale diserbo.
Note: Vale quanto osservato per O. corymbosa (vedi scheda). In coltivazione è diffusa anche la specie sudamericana O. regnellii Miq. (= O. triangularis
auct., non A.St.-Hil.), molto simile a O. latifolia, ma con segmenti fogliari a incisione apicale brevissima, di colore nero violaceo sia sopra che sotto,
oppure verde scuro solo di sopra, o ancora interamente verde scuro; presenta inoltre una corolla di dimensioni maggiori, campanulato-substellata,
lilla pallido o bianca, a fauce leggermente iscurita. Finora non è stata osservata fuori coltura.
Bibliografia: Giordana, 1995
Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Bonali et al., 2006a; Giacomini, 1950; Giordana, 1995; Lourteig, 2000
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acetosella
di Dillenius
Famiglia: Oxalidaceae
Nome scientifico: Oxalis dillenii Jacq.
Nome volgare: acetosella di Dillenius
Sinonimi: Acetosella stricta auct., non (L.) Kuntze
Oxalis corniculata L. var. dillenii (Jacq.) Trel.
Oxalis corniculata L. subsp. navierei (Jord.) Tourlet
Oxalis diffusa Boreau, non Boenn. / Oxalis boreaui P.Fourn.
Oxalis navierei Jord.
Oxalis stricta auct., non L.
Xanthoxalis dillenii (Jacq.) Holub
Xanthoxalis stricta auct., non (L.) Small
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne di breve durata, con fusti esili, cespitosi, alti fino a 20(-30) cm, ascendenti, provvisti
di peli unicellulari, spesso ginocchiati ma non radicanti ai nodi. Stipole presenti, oblunghe, caduche; foglie verde chiaro,
prevalentemente opposte o in verticilli, con picciolo di 10-25 mm e lamina divisa in 3 segmenti largamente obcordati, di 1013×7-9 mm, spesso ripiegati in basso verso il picciolo. Infiorescenza (cima) umbellata; peduncoli fiorali lunghi 1-2 cm, patenti
o eretti, allungantisi nel frutto; brattee di 0.8-2 mm; calice di 5 sepali lanceolati, lunghi 4 mm; petali 5, gialli, obovato-spatolati,
lunghi 4-8 mm; stami 10 in due verticilli; ovario supero, 5-loculare. I frutti sono capsule (deiscenza esplosiva) prismatiche, a
sezione pentagonale, di 8-20×2-3 mm, erette all’estremità di peduncoli ripiegati verso il basso, con cui si articolano ad angolo
acuto; semi con 8-10 creste trasversali segnate da una linea bianca.
Periodo di fioritura: aprile-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica orientale.
Habitat: Incolti erbosi, campi, orti, margini, ruderati, marciapiedi ecc.
Distribuzione nel territorio: Ovunque, nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona
(NAT), Lecco (INV), Lodi (NAT), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV).
[O. stricta: Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano
(NAT), Mantova (NAT), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in un periodo non noto in quanto spesso confusa con O. stricta
(conosciuta in Italia dal Cinquecento). Segnalata per la prima volta in Lombardia da Zucchetti et al. (1986).
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Invasiva.
Dannosa: No.
Impatto: Infestante delle colture sarchiate e negli orti.
Azioni di contenimento: Eventuale diserbo nelle colture.
Note: Questa specie è stata spesso confusa, anche sul piano nomenclaturale, con l’acetosella minore, O. stricta L. (= O. fontana Bunge,
= O. europaea Jord.), anch’essa invasiva in Lombardia e proveniente dalla stessa area geografica di partenza. Si distingue inequivocabilmente per
i seguenti piccoli, ma consistenti caratteri (Young, 1958; Stace, 1997): 1) stipole assenti (osservare sempre esemplari giovani!); 2) alcuni peli del
fusto settati (pluricellulari); 3) infiorescenza cimosa, non umbellata; 4) peduncoli fruttiferi e capsule in asse (articolazione a 180° o poco meno),
generalmente eretti o patenti, mai riflessi; 5) creste trasversali dei semi senza o con debole linea bianca; 6) presenza facoltativa di stoloni sotterranei
biancastri molto fragili; 7) fusti facoltativamente radicanti ai nodi. Per la corretta applicazione dell’epiteto dillenii si veda Watson (1989).
acalifa
meridionale
Famiglia: Euphorbiaceae
Nome scientifico: Acalypha australis L.
Nome volgare: acalifa meridionale
Sinonimi: Acalypha indica auct., non L.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale alta 20-50 cm, con fusto eretto e rametti pelosi. Foglie con stipole lanceolate, lunghe
1.5-2 mm; picciolo di 2-6 cm; lamina da oblungo-ovata a ovato-rombica o anche largamente lanceolata, di 3-9×1-5 cm,
pelosa lunga le nervature abassialmente, adassialmente glabra, con base cuneata (raramente ottusa), margine crenato e apice
brevemente acuminato. Fiori unisessuali (pianta monoica) in infiorescenze bisessuali di norma ascellari, lunghe 1.5-5 cm, su
peduncoli di 0.5-3 cm; brattee femminili 1-2(-4), prossimali, ovate, cordate, accrescenti nel frutto fino a 1.4-2.5×1-2 cm, pelose,
con margine crenato, ciascuna sottendente 1-3 fiori sessili a 3 sepali strettamente ovati, pelosi e ovario triloculare, peloso, con
3 stili lunghi circa 2 mm, sfrangiati in 5-7 lacinie; brattee maschili condensate nella porzione distale, ovate, piccole (0.5 mm),
ognuna sottendente 5-7 fiori su peduncoli di 0.5 mm; fiori maschili a 4 sepali di circa 0.5 mm e (7-)8 stami. Il frutto è una
capsula triloculare, globosa, del diametro di circa 4 mm, pelosa e tubercolata; semi subovoidi, lisci, di 1.5-2 mm.
Periodo di fioritura: aprile-dicembre.
Area d’origine: Asia orientale.
Habitat: Margini erbosi, marciapiedi, zone ruderali.
Distribuzione nel territorio: Presenze sporadiche in ambito planiziale. Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Monza e
Brianza (NAT), Milano (NAT), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia a Genova (Minuto, 1993b). In Lombardia è stata
segnalata per la prima volta da Banfi & Galasso (1998) come A. indica e con questo nome errato (in seguito rettificato da Banfi
& Galasso, 2005; Zanotti, 2008) indicata anche da Tagliaferri (2000) per il bresciano; la prima raccolta (sia lombarda che italiana)
è del 1985 a Monza (campione conservato nell’erbario del Museo di Storia Naturale di Milano, MSNM).
Modalità d’introduzione: Accidentale (probabilmente con l’attività vivaistica).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Al momento non necessarie.
Note: Si distingue da A virginica (vedi scheda) per le brattee femminili intere, solamente crenate.
Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998, 2005; Minuto, 1993b; Tagliaferri, 2000; Zanotti, 2008
Bibliografia: Conti et al., 2007; Stace, 1997; Watson, 1989; Young, 1958; Zucchetti et al., 1986
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acalifa
della Virginia
Famiglia: Euphorbiaceae
Nome scientifico: Acalypha virginica L.
Nome volgare: acalifa della Virginia
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-30 cm, con fusto eretto, inferiormente ramificato, spesso arrossato, finemente
peloso. Foglie con picciolo arcuato, lungo 1 cm e lamina ovato-lanceolata di 17-30×9-14 mm, a margine dentellato. Fiori
unisessuali (pianta monoica) in brevi spighe bisessuali ascellari, i prossimali femminili, all’ascella di una brattea 5-9 lobata a
forma di ventaglio, con perianzio monoclamide di circa 3 mm di larghezza, formato da 4 segmenti verdastri, ovato-acuminati;
fiori distali maschili, numerosi all’ascella di piccole brattee, con 8-16 stami. Il frutto è una capsula loculicida a 3 valve, con
numerosi, piccoli semi ovoidi.
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica orientale.
Habitat: Colture sarchiate, campi, orti, margini, strade rurali e urbane.
Distribuzione nel territorio: Ovunque, soprattutto in ambito planiziale. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco
(NAT), Lodi (INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel Settecento; nel 1842 compare nell’Orto Botanico di Verona, dove si
inselvatichisce (Parlatore, 1869), anche fuori dell’Orto e in Liguria (Cesati et al., 1872); nel 1890 è segnalata per la prima volta in
Lombardia a Romano di Lombardia (BG) e Milano (Goiran, 1890a), nel 1896 a Pavia (Traverso, 1897, 1899).
Modalità d’introduzione: Deliberata (Orti botanici).
Status: Invasiva.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Si distingue da A. australis (vedi scheda) per le brattee femminili profondamente divise in 5-9 lobi.
Bibliografia: Cesati et al., 1872; Goiran, 1890a; Parlatore, 1869; Traverso, 1897, 1899
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euforbia a
semi solcati
Famiglia: Euphorbiaceae
Nome scientifico: Chamaesyce glyptosperma (Engelm.)
Small
Nome volgare: euforbia a semi solcati
Basionimo: Euphorbia glyptosperma Engelm.
Tipo biologico: Trept
Descrizione: Pianta erbacea annuale con fusti prostrati e numerosissimi rami ascendenti o prostrati, glabri, lunghi fino a 15
cm, contenenti un latice bianco. Foglie opposte, usualmente oblungo-lineari, spesso falciformi, lunghe 5-9 mm, fino a 4 volte
più lunghe che larghe, asimmetriche alla base, da debolmente seghettate distalmente a intere, glabre; presenza di stipole
laciniate. Infiorescenza a ciazio: un ricettacolo a coppa provvisto sul margine di 4-5 ghiandole nettarifere sporgenti all’esterno
mediante un’appendice allargata, purpurea, con evidente funzione vessillare; fiori senza perianzio, uno femminile centrale
costituito da un ovario supero, triloculare, con 3 stili, gli altri maschili, disposti in una serie circolare attorno al primo, ridotti a 1
singolo stame ciascuno. Il frutto è una capsula a 3 loculi convessi e sporgenti (tricocca), 1.2-1.5×1.2-1.8 mm, glabra; un seme
per loculo, ovoide, subquadrangolare, grigio-biancastro o bruno chiaro, con 4-7 solchi trasversali evidenti.
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Incolti calpestati, marciapiedi, selciati, greti fluviali.
Distribuzione nel territorio: Nella fascia planiziale, sinora conosciuta dal pavese al cremonese. Cremona (NAT), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Europa nel 1911 e segnalata in Italia (Piemonte ed EmiliaRomagna) da Hügin & Starlinger (1998) e Hügin & Hügin (1999), dove è stata raccolta per la prima volta nel 1996; in Lombardia
è conosciuta dal 2009 ed è stata segnalata da Verloove et al. (2010b).
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Note: Pianta interamente glabra (incluse le capsule) come C. humifusa, dalla quale può essere facilmente distinta per i semi provvisti di 4-7 solchi
trasversali evidenti.
Bibliografia: Hügin, 1998, 1999; Hügin & Hügin, 1999; Hügin & Starlinger, 1998; Verloove et al., 2010b
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euforbia
sdraiata
Famiglia: Euphorbiaceae
Nome scientifico: Chamaesyce humifusa (Willd. ex
Schlecht.) Prokh.
Nome volgare: euforbia sdraiata
Basionimo: Euphorbia humifusa Willd. ex Schlecht.
Sinonimi: Anisophyllum humifusum (Willd. ex Schlecht.)
Klotzsch & Garcke
Tithymalus humifusus (Willd. ex Schlecht.) Bubani
Tipo biologico: Trept
Descrizione: Pianta erbacea annuale con fusti prostrati e numerosissimi rami ascendenti o prostrati, glabri, lunghi fino a
15 cm, contenenti un latice bianco. Foglie opposte, da oblunghe a oblanceolate, 4-6(-8.5)×2-3(-5) mm, asimmetriche alla
base, seghettate distalmente, glabre, con apice ottuso o arrotondato; presenza di stipole laciniate. Infiorescenza a ciazio: un
ricettacolo a coppa provvisto sul margine di 4-5 ghiandole nettarifere sporgenti all’esterno mediante un’appendice allargata,
purpurea, con evidente funzione vessillare; fiori senza perianzio, uno femminile centrale costituito da un ovario supero,
triloculare, con 3 stili, gli altri maschili, disposti in una serie circolare attorno al primo, ridotti a 1 singolo stame ciascuno.
Il frutto è una capsula a 3 loculi convessi e sporgenti (tricocca), 1.2-1.5×1.2-1.8 mm, glabra; un seme per loculo, ovoide,
subquadrangolare, grigio-biancastro o bruno chiaro, finemente smerigliato, non solcato.
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: Asia.
Habitat: Incolti calpestati, marciapiedi, selciati, massicciate ferroviarie.
Distribuzione nel territorio: In tutto il territorio, planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco
(NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, presente in Italia almeno dall’Ottocento; in Lombardia naturalizzata almeno dal 1907 a
Malgrate nel lecchese (Fiori & Paoletti, 1907) e già comune nel 1929 (Stucchi, 1929a).
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Pianta interamente glabra (incluse le capsule) come C. glyptosperma, dalla quale può essere facilmente distinta per i semi finemente
smerigliati e privi di solchi trasversali.
Bibliografia: Benedí & Orell, 1992; Chiovenda, 1895; Fiori & Paoletti, 1907; Hügin, 1998, 1999; Stucchi, 1929a
euforbia
macchiata
Famiglia: Euphorbiaceae
Nome scientifico: Chamaesyce maculata (L.) Small
Nome volgare: euforbia macchiata
Basionimo: Euphorbia maculata L.
Sinonimi: Anisophyllum maculatum (L.) Haw.
Chamaesyce engelmannii auct., non (Boiss.) Soják
Euphorbia engelmannii auct., non Boiss.
Tithymalus maculatus (L.) Moench
Tipo biologico: Trept
Descrizione: Pianta erbacea annuale con fusto appressato al suolo, ramosissimo, pubescente, contenente un latice bianco;
rami lunghi fino a 30 cm. Foglie opposte, da oblunghe a obovate, raramente falcate, 6-12×2-6 mm, asimmetriche alla base,
seghettate distalmente, pubescenti (maggiormente sulla pagina inferiore), generalmente con una macchia rossa al centro
della faccia adassiale (pagina superiore), con apice ottuso, arrotondato o apiculato; presenza di stipole laciniate. Infiorescenza
a ciazio: un ricettacolo a coppa provvisto sul margine di 4-5 ghiandole nettarifere sporgenti all’esterno mediante un’appendice
allargata, purpurea, con evidente funzione vessillare; fiori senza perianzio, uno femminile centrale costituito da un ovario
supero, triloculare, con 3 stili, gli altri maschili, disposti in una serie circolare attorno al primo, ridotti a 1 singolo stame ciascuno.
Il frutto è una capsula a 3 loculi convessi e sporgenti (tricocca), 1.1-1.4×1.2-1.5 mm, regolarmente pelosa su tutta la superficie
per peli appressati; un seme per loculo, ovoide, quadrangolare, grigio o bruno-rossastro, con 3-5 solchi trasversali.
Periodo di fioritura: maggio-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Incolti calpestati, marciapiedi, selciati, massicciate ferroviarie, greti fluviali.
Distribuzione nel territorio: In tutto il territorio, planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona
(INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nell’Ottocento in alcuni Orti botanici ed in seguito naturalizzatasi; in
Lombardia, abbondantissima nell’Orto Botanico di Pavia nel 1876 (Chiovenda, 1895) e naturalizzata almeno dal 1895 sul Lago
di Como (Chiovenda, 1895 sub E. engelmannii).
Modalità d’introduzione: Deliberata (Orti botanici).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Nei greti fluviali compete con le specie autoctone deteriorando la biodiversità delle comunità vegetali caratteristiche
di quell’habitat.
Note: Pianta densamente pelosa come C. nutans e C. prostrata, dalle quali può essere facilmente distinta per le capsule con peli appressati su tutta
la superficie e i semi provvisti di 3-5 solchi trasversali. Le forme pubescenti dell’autoctona C. canescens (L.) Prokh. si distinguono per la presenza di
peli patenti distribuiti su tutta la superficie della capsula.
La segnalazione di Euphorbia engelmannii per il Lago di Como (Chiovenda, 1895) in base a Thellung è erronea e da riferirsi a C. maculata (Fiori &
Paoletti, 1907).
Bibliografia: Benedí & Orell, 1992; Chiovenda, 1895; Fiori & Paoletti, 1907; Hügin, 1998, 1999
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euforbia
prostrata
Famiglia: Euphorbiaceae
Nome scientifico: Chamaesyce prostrata (Aiton) Small
Nome volgare: euforbia prostrata
Basionimo: Euphorbia prostrata Aiton
Sinonimi: Anisophyllum prostratum (Aiton) Haw.
Tithymalus prostratus (Aiton) Samp.
euforbia
delle
ferrovie
Famiglia: Euphorbiaceae
Nome scientifico: Chamaesyce nutans (Lag.) Small
Nome volgare: euforbia delle ferrovie
Basionimo: Euphorbia nutans Lag.
Sinonimi: Chamaesyce indica auct., non (Lam.) Croizat
Chamaesyce maculata auct., non (L.) Small
Chamaesyce preslii (Guss.) Arthur
Euphorbia hypericifolia L. subsp. indica auct.,
non (Lam.) Pignatti, comb. inval.
Euphorbia indica auct., non Lam.
Euphorbia maculata auct., non L.
Euphorbia preslii Guss. / Euphorbia trinervis Bertol.
Tithymalus nutans (Lag.) Samp.
Tipo biologico: Trept
Descrizione: Pianta erbacea annuale con fusto appressato al suolo, ramosissimo, pubescente (di solito glabro alla basse),
contenente un latice bianco; rami lunghi fino a 35 cm. Foglie opposte, da ellittiche a oblunghe, 5.6-9×4-6 mm, asimmetriche
alla base, seghettate distalmente, generalmente pubescenti (maggiormente sulla pagina inferiore), con apice ottuso; presenza
di stipole laciniate. Infiorescenza a ciazio: un ricettacolo a coppa provvisto sul margine di 4-5 ghiandole nettarifere sporgenti
all’esterno mediante un’appendice allargata, purpurea, con evidente funzione vessillare; fiori senza perianzio, uno femminile
centrale costituito da un ovario supero, triloculare, con 3 stili, gli altri maschili, disposti in una serie circolare attorno al primo,
ridotti a 1 singolo stame ciascuno. Il frutto è una capsula a 3 loculi convessi e sporgenti (tricocca), 1.2-1.6×1-1.5 mm, con peli
patenti solo sulle carene; un seme per loculo, ovoide, quadrangolare, grigio, con 5-7 solchi trasversali.
Periodo di fioritura: maggio-ottobre.
Area d’origine: America (probabilmente della regione caraibica).
Habitat: Incolti calpestati, marciapiedi, selciati, massicciate ferroviarie, greti fluviali.
Distribuzione nel territorio: In tutto il territorio, planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco
(INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia almeno dal principio dell’Ottocento in alcuni Orti botanici ed in seguito
naturalizzatasi; in Lombardia segnalata per la prima volta da Arietti & Crescini (1980), ma presente già dal 1914 a Milano
(Zucchetti et al., 1986).
Modalità d’introduzione: Deliberata (Orti botanici).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Nei greti fluviali compete con le specie autoctone deteriorando la biodiversità delle comunità vegetali caratteristiche
di quell’habitat.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale alta 10-40(-55) cm, tomentosa, ramosissima alla base, eretto-ascendente. Foglie
opposte, oblunghe, 13-30(-35)×6-10(-16) mm, asimmetriche, seghettate distalmente, da glabresecnti a sparsamente pelose,
con tre nervature evidenti alla base e spesso con una caratteristica chiazza rossa al centro della faccia adassiale (pagina
superiore), con apice subacuto od ottuso; presenza di stipole laciniate. Infiorescenza a ciazio: un ricettacolo a coppa provvisto
sul margine di 4-5 ghiandole nettarifere sporgenti all’esterno mediante un’appendice allargata, rosea, con evidente funzione
vessillare; fiori senza perianzio, uno femminile centrale costituito da un ovario supero, triloculare, con 3 stili, gli altri maschili,
disposti in una serie circolare attorno al primo, ridotti a 1 singolo stame ciascuno. Il frutto è una capsula a 3 loculi convessi e
sporgenti (tricocca), 1.8-2.5×1.8-2.5 mm, glabra; un seme per loculo, subovoide, subquadrangolare, grigio-nerastro o brunonerastro, irregolarmente rugoso.
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Incolti calpestati, marciapiedi, selciati, massicciate ferroviarie, greti fluviali.
Distribuzione nel territorio: In tutto il territorio, planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (NAT), Lecco
(NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (INV), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel Settecento in alcuni Orti botanici ed in seguito naturalizzatasi; in
Lombardia naturalizzata almeno dal 1825 nel mantovano (Lanfossi, 1825, sub E. maculata).
Modalità d’introduzione: Deliberata (Orti botanici).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Nei greti fluviali compete con le specie autoctone deteriorando la biodiversità delle comunità vegetali caratteristiche
di quell’habitat.
Note: Pianta densamente pelosa come C. nutans e C. maculata, dalle quali può essere facilmente distinta per le capsule con peli patenti soltanto
sulle carene e i semi provvisti di 5-7 solchi trasversali. Le forme pubescenti dell’autoctona C. canescens (L.) Prokh. si distinguono per la presenza di
peli patenti distribuiti su tutta la superficie della capsula.
Note: Pianta ± pelosa come C. nutans e C. prostrata, dalle quali può essere facilmente distinta per le capsule glabre e i semi rugosi, non solcati. Le
forme pubescenti dell’autoctona C. canescens (L.) Prokh. si distinguono per la presenza di peli patenti distribuiti su tutta la superficie della capsula.
La segnalazione di Euphorbia indica per il lecchese da parte di Pignatti (1955), ripresa da Pignatti (1982) e da Banfi et al. (2009, sub Chamaesyce
hypericifolia), è erronea e da riferirsi a C. nutans (Hügin, 1998). In passato era erroneamente indicata, anche tra gli autori americani, col nome di
E. maculata.
Bibliografia: Arietti & Crescini, 1980; Benedí & Orell, 1992; Chiovenda, 1895; Hügin, 1998, 1999; Zucchetti et al., 1986
Bibliografia: Banfi et al., 2009; Benedí & Orell, 1992; Chiovenda, 1895; Hügin, 1998, 1999; Lanfossi, 1825; Pignatti, 1955, 1982
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euforbia
di David
Famiglia: Euphorbiaceae
Nome scientifico: Euphorbia davidii Subils
Nome volgare: euforbia di David
Sinonimi: Anisophyllum dentatum auct., non (Michx.) Haw.
Euphorbia dentata auct., non Michx.
Euphorbia dentata Michx. var. gracillima Millsp.
Euphorbia dentata Michx. var. lancifolia Farw.
Poinsettia dentata auct., non (Michx.) Klotzsch & Garcke
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-50(-70) cm, con fusti solitari, eretti, spessi fino a 4 mm alla base; ramificazioni
opposte, arcuato-ascendenti, con pelosità in due strati, il superiore di peli sparsi, allungati, più o meno patenti, l’inferiore di
peli brevi, addensati, diretti verso il basso; peli, anche quelli delle foglie, ingrossati alla base. Foglie opposte, con picciolo di
7-15 (-25) mm e lamina di 1-10×0.5-3.5 cm, da lanceolata a largamente ellittica, attenuata alla base, da acuta ad acuminata
all’apice, con margine crenato-dentato, densamente e brevemente strigosa su entrambe le facce. Sinflorescenza umbellata,
a profilo piatto o leggermente convesso, costituita da numerose infiorescenze (ciazi); brattee strettamente ellittiche o
lanceolate, con breve picciolo, giallastre alla base; ciazi a involucro subcilindrico di 2.5-3×1.3-1.8 mm, con lobi a loro volta
suddivisi in 5-7 lacinie lineari terminanti con una piccola ghiandola; ghiandole (nettari) solitarie, di 0.9-1.3 mm, a coppa con
fauce oblunga, giallo pallido; fiori maschili a 5-8 in fascetto; fiore femminile su peduncolo lungo fino a 3 mm, eccedente il
ciazio, con ovario glabro o striguloso; stimma trifido a ramificazioni biforcate. Frutto a capsula triloculare, largamente ovoide,
larga 4-4.5 mm, con semi ovoidi o triangolari-ovoidi, spigolosi, di 2.4-3 mm di larghezza, grigi o nerastri, irregolarmente
tubercolati, provvisti di caruncola reniforme-triangolare, peltata, larga 0.9-1-1 mm.
Periodo di fioritura: agosto-settembre.
Area d’origine: Nordamerica e Mesoamerica.
Habitat: Massicciate ferroviarie, margini erbosi asciutti, incolti.
Distribuzione nel territorio: Sinora osservata nella porzione occidentale della regione, dalla Brianza all’Oltrepo pavese, nelle
fasce planiziale e collinare. Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta la prima volta in Italia nel 1995 in Friuli-Venezia Giulia e Veneto (Poldini et al., 1996;
sub E. dentata), in Lombardia conosciuta dal 2004 (Galasso et al., in stampa a).
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Nessuno.
Azioni di contenimento: Al momento non necessarie.
pepe d’acqua
minore
Famiglia: Elatinaceae
Nome scientifico: Elatine ambigua Wight
Nome volgare: pepe d’acqua minore
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, semiacquatica, alta 1.5-3 cm, con fusti gracili, nelle piante sommerse striscianti, a
internodi allungati e nodi radicanti, nelle piante emerse molto raccorciati e densamente cespitosi. Foglie opposte, picciolate,
con lamina lineare-spatolata di 2-5×0.7 mm. Fiori isolati, ascellari, su peduncoli di 1.5-2.5 mm (lunghi quanto i petali o il
doppio), con 3 piccoli sepali e 3 petali ovato-acuti, lunghi 1-1.5 mm, cioè il doppio o il triplo dei sepali, talora mancanti nei
fiori più direttamente soggetti a sommersione, bianchi o rosei. Il frutto è una capsula setticida contenente caratteristici semi
cilindrico-ricurvi (a banana), con testa reticolata.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: Asia sudorientale.
Habitat: Risaie.
Distribuzione nel territorio: Zona delle risaie, dalla Lomellina al milanese. Milano (NAT), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, già presente e diffusa nelle risaie dell’Italia settentrionale nel 1951 (Cook, 1973).
Modalità d’introduzione: Accidentale (presumibilmente con ceppi asiatici di riso).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Eventuale diserbo selettivo in risaia.
Note: Delle altre 5 specie italiane di Elatine, tutte autoctone o archeofite (E. hexandra (Lapierre) DC.), solo E. triandra Schkuhr (circumboreale) può
creare confusione con l’aliena, dato che ne condivide sia l’habitat (risaia) sia i principali tratti morfologici; essa è tuttavia distinta per le foglie di
3-10×1.5-3 mm e per i fiori sessili o brevemente pedicellati (fino a 0.3-0.4 mm nel frutto), con pedicello più breve dei petali.
Bibliografia: Cook, 1973; Desfayes, 2005; Quiner & Tucker, 2007
Note: Descritta come specie endemica di alcune montagne argentine (Subils, 1984), oggi è ritenuta originaria dell’America settentrionale e
centrale analogamente all’affine E. dentata (Mayfield, 1997), con la quale è stata da sempre confusa in Italia e in Europa (oltre che in patria).
Da quest’ultima, assente in Italia, si distingue per i peli delle nervature fogliari con pareti rugose (vs. lisce) e base allargata (vs. non allargata), le
lacinie dei lobuli del ciazio con ghiandole apicali (vs. senza ghiandole) e quelle delle bratteole senza ghiandole (vs. ghiandolose), i semi pressoché
isodiametrici (vs. più lunghi che larghi) con spigoli evidenti (rotolano difficilmente sul tavolo) (vs. subcilindrici, che rotolano facilmente) e caruncola
reniforme (vs. umbonata), il fusto con peli a pareti rugose (vs. lisce) in massima parte brevi (2-3-cellulari) (vs. lunghi, 7-10-cellulari) e retrorsi (vs.
flessuosi) frammisti ad alcuni più lunghi (5-6-cellulari) (vs. mascheranti da meno frequenti peli brevi 2-4-cellulari); i caratteri più evidenti sono quelli
dei semi e della pelosità del fusto al di sotto dell’infiorescenza.
Bibliografia: Galasso et al., in stampa a, b; Mayfield, 1997; Poldini et al., 1996; Subils, 1984
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pioppo
ibrido
Famiglia: Salicaceae
Nome scientifico: Populus ×canadensis Moench, pro sp.
Nome volgare: pioppo ibrido,
pioppo euroamericano, pioppo canadese
Sinonimi: Populus deltoides W.Bartram
ex Marshall × Populus nigra L.
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Albero slanciato, a chioma arrotondata, alto fino a 30 m, con tronco diritto e ritidoma liscio, grigiastro, fessurato
longitudinalmente solo nei vecchi esemplari. Foglie alterne, largamente ovato-triangolari a base piatta, lunghe fino a 10 cm,
crenato-seghettate, brevemente cigliate, con 1-2 piccole ghiandole sessili presso l’apice del picciolo (oltre a quelle sui denti
basali della lamina). Fiori anemofili, unisessuali, penduli in amenti peduncolati sviluppantisi prima delle foglie, i maschili e i
femminili su individui distinti (pianta dioica); perianzio assente; ricettacolo a coppa; stami (fiori maschili) 15-25 a filamento
molle; ovario (fiori femminili) bicarpellare. Il frutto è una capsula a 2 o 4 valve, liberante minutissimi semi immersi in una massa
cotonosa di fibre che viene trasportata a distanza dal vento.
Periodo di fioritura: marzo-aprile.
Area d’origine: Ibrido originatosi spontaneamente in Francia tra l’autoctono P. Nigra L. e l’americano P. deltoides W.Bartram
ex Marshall.
Habitat: Ambienti ruderali su base umida, terreni denudati e smossi.
Distribuzione nel territorio: Ovunque, in pianura e nei fondivalle. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco
(NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, originatasi spontaneamente in Francia verso la metà del Settecento. Segnalata per la prima
volta in Lombardia da Piazzoli Perroni (1957).
Modalità d’introduzione: Deliberata (pioppicoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Sì.
Impatto: Estetico-paesaggistico, ma localizzato. Più importante è il contributo allergenico che questo pioppo, in aggiunta
agli altri Populus diffusi sul territorio, fornisce sia attraverso il polline (marzo-aprile) sia attraverso i peli cotonosi dei frutti
(maggio-giugno), provocando fastidiose reazioni nelle persone sensibili.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Il pioppo euroamericano è un complesso di notocloni (cultivar clonali contrassegnate da sigle alfanumeriche) derivanti dalla selezione degli
F1 di ripetute ibridazioni tra l’autoctono pioppo nero (P. nigra) e P. deltoides (pioppo americano) degli Stati Uniti sudorientali. Quest’ultimo, che è
ugualmente coltivato negli impianti sperimentali, dove si riconosce per le foglie molto grandi (fino a 18 cm di lunghezza), decisamente deltoidi e
per gli stami in numero di 30-60, non mostra tendenza a sfuggire ed è stato osservato casuale soltanto una volta nel pavese da Nicola Ardenghi
(in verbis). Il pioppo nero si distingue per le foglie più piccole, a base generalmente cuneata e, soprattutto, per la mancanza delle ghiandole sessili
all’apice del picciolo (presenti, invece, sui denti basali della lamina). La pioppicoltura rappresenta ancora una base dell’industria cartiera, ma la sua
importanza economica raggiunse il massimo nella seconda metà del passato secolo e oggi appare in progressivo declino.
violetta
americana
Famiglia: Violaceae
Nome scientifico: Viola cucullata Aiton
Nome volgare: violetta americana, mammola americana
Sinonimi: Viola obliqua auct., non Hill
Viola palmata L. var. cucullata (Aiton) A.Gray
Viola papilionacea auct., non Pursh
Tipo biologico: Grhiz
Descrizione: Pianta erbacea perenne, alla fioritura alta sino a circa 20 cm, acaule, con rizomi ingrossati e carnosi, spessi
più di 5 mm. Foglie con stipole lanceolate, brevemente sfrangiate e papillose; lamina triangolare, di solito lunga oltre 2 cm,
pressoché glabra, con base cordata o leggermente tronca e apice acuto. Fiori riuniti al centro della rosetta fogliare; sepali
con appendici allungate (2-6 mm) e apice ottuso; corolla azzurro-violetta, più di rado bianca, del diametro di circa 2 cm, con
sperone breve; ovario con stigma capitato. Frutto costituito da una capsula ovato-cilindrica, lunga 1-1.5 cm.
Periodo di fioritura: aprile-maggio.
Area d’origine: Nordamerica centro-orientale.
Habitat: Prevalentemente boschi, soprattutto degradati, dove spesso forma cospicue colonie lungo i sentieri, le strade e al
margine del bosco stesso. Inoltre incolti, argini, prati di servizio ecc., comunque in situazioni con discreto disturbo.
Distribuzione nel territorio: Pressoché in tutto il territorio regionale (50-600 m s.l.m.), sebbene con maggior frequenza in
pianura. Bergamo (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Sondrio (NAT),Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XIX secolo. Nel 1905 inselvatichita nell’Orto Botanico di Torino (Trinchieri,
1905; Béguinot & Mazza, 1916a). In Lombardia osservata per la prima volta in natura nel 1927 nel milanese da Stucchi (1929b).
Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini floricoli.
Status: Invasiva.
Dannosa: No.
Impatto: Il reale impatto di questa specie è ancora poco conosciuto, quantunque si possa valutare approssimativamente
come non elevato. Sembrerebbe infatti che il principale aspetto negativo possa essere ricondotto alla concorrenza con le
specie autoctone del genere Viola.
Azioni di contenimento: Rimozione manuale, facendo attenzione ad estirpare anche il rizoma.
Note: Abbastanza diffusamente coltivata in parchi e giardini, in particolare in quelli storici. Si riconosce facilmente dalle specie autoctone del
genere Viola, che spesso vivono assieme, per la presenza di un rizoma ingrossato, le foglie praticamente glabre e l’ovario con stimma capitato.
Sebbene il nome Viola obliqua sia prioritario è da considerarsi ambiguo e quindi inutilizzabile (Gil-Ad, 1997).
Bibliografia: Béguinot & Mazza, 1916a; Gil-Ad, 1997; Stucchi, 1929b, 1949b; Trinchieri, 1905
Bibliografia: Piazzoli Perroni, 1957
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iperico
americano
Famiglia: Hypericaceae
Nome scientifico: Hypericum mutilum L.
Nome volgare: iperico americano
Sinonimi: Sarothra blentinensis Pi.Savi
Sarothra mutila (L.) Y.Kimura
Tipo biologico: Tscap (Hscap)
Descrizione: Pianta erbace annuale (raramente pluriennale), glabra, alta 20-50 cm, con fusto eretto, divaricatamente ramoso
nella metà superiore. Foglie opposte, sessili, da ovate a oblunghe o lanceolate, di 7-20×3-8 mm, glaucescenti, alla base da
arrotondato-subamplessicauli a largamente cuneate, percorse da 3-5 nervature. Fiori in cima terminale fogliosa, provvisti di
calice a 5 sepali lanceolato-lineari, acuti e corolla (a volte ridotta o mancante) di 5 petali stretti, lunghi fino a 2 mm, gialli con
punteggiature scure; stami 5 o più numerosi, in 5 gruppi irregolari; ovario supero con 3-5 stili liberi e numerosi ovuli. Il frutto
è una capsula setticida.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: Nordamerica orientale.
Habitat: Siti umidi di brughiera, su suolo povero, argilloso; sponde di canali in risaia.
Distribuzione nel territorio: Groane e zona delle risaie. Milano (NAT), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia nel 1834 in Toscana da Pietro Savi, che la descrisse
come una specie nuova; in Italia settentrionale segnalata da Tosco (1953) nel torinese, in Lombardia da Banfi (1977).
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: È l’unica specie aliena naturalizzata di Hypericum, nonostante in coltivazione siano largamente diffuse cultivar e notocultivar di specie
esotiche da giardino, utilizzate in bordure e tappeti verdi (la più nota è H. calycinum L. del SE-Europa e della Turchia, iperico calicino, osservata
casuale nelle province di Bergamo, Brescia e Varese). Queste, tuttavia e fortunatamente, non sembrano predisposte ad affermarsi in ambiente
naturale; d’altra parte H. mutilum, che non ha rilievo alcuno in campo floricolturale, si è naturalizzata per cause del tutto accidentali.
Bibliografia: Banfi, 1977; Tosco, 1953
ammannia
arrossata
Famiglia: Lythraceae
Nome scientifico: Ammannia coccinea Rottb.
Nome volgare: ammannia arrossata
Sinonimi: Ammannia auriculata auct., non Willd.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale glabra, alta 10-50 cm, con fusti eretti, tetragoni. Foglie decussate, sessili; lamina
oblungo-lineare, acuta o acuminata, cordato-auricolata alla base (semiamplessicaule), di norma più lunga del corrispondente
internodo. Fiori tetrameri in glomeruli ascellari compatti, da sessili (1-)3-flori a lungamente peduncolati 3-5(-14)-flori,
riconducibili a dicasi raccorciati; pedicello lungo 0-4(-9) mm, robusto; ipanzio subgloboso, largo fino a 5 mm nel frutto e
leggermente eccedente quest’ultimo; epicalice di 4 segmenti pressoché uguaglianti i 4 sepali del calice, tutti superanti di
poco 2 mm; corolla di 4 minuti petali rosa-porpora scuro, molto fugaci e spesso assenti; stami 4; ovario semiinfero; stilo
lungo 2-3 mm. Il frutto è un pissidio a deiscenza irregolare o un carcerulo (pissidio indeiscente), di 3.5-5 mm; semi numerosi,
minutissimi.
Periodo di fioritura: agosto-settembre.
Area d’origine: Neotropica.
Habitat: Risaie, fanghi, golene.
Distribuzione nel territorio: Planiziale, nella zona delle risaie e lungo il Po. Cremona (NAT), Lodi (INV), Milano (INV), Mantova
(CAS), Pavia (INV). [A. verticillata: Brescia (EST), Mantova (EST), Pavia (EST).]
Periodo d’introduzione: Neofita, osservata per la prima volta in Italia nelle risaie di Vespolate (NO) nel 1957 (Fenaroli, 1960,
sub A. auriculata); in Lombardia segnalata da Banfi & Galasso (1998) come frequente nelle risaie milanesi.
Modalità d’introduzione: Accidentale (con i risi).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì, solo alla produzione risicola.
Impatto: Infestante delle risaie, con scarso disturbo alla biodiversità delle comunità vegetazionali (risaie e fanghi golenali).
Azioni di contenimento: Eventuale diserbo in risaia.
Note: Specie di origine ibridogena (A. auriculata Willd. × A. robusta Heer & Regel: Graham, 1979). Secondo Soldano (1986) tutte le segnalazioni
italiane di Ammannia gruppo coccinea, a partire da quella di Fenaroli (1960) per A. auriculata, sono da ricondurre, in base ai caratteri messi in luce
dalle revisioni di Graham (1979, 1985), ad A. coccinea. È tuttavia opportuno rivedere tutto il materiale d’erbario e compiere accurate osservazioni
di campagna poiché non è escluso che si possano ritrovare sia A. auriculata (peduncolo dell’infiorescenza lungo 3-9 mm, filiforme; fiori 3 o più per
glomerulo, con petali rosa-porpora scuro; frutti 2.5 mm o meno) sia A. robusta (infiorescenza sessile; fiori 1-3 per glomerulo, con petali lavanda
chiaro, a volte con venature purpuree; frutti 4-6 mm). A. verticillata (Ard.) Lam. (= Cornelia verticillata Ard.; ammannia a fiori sessili), indicata da
lungo tempo (es. Bertoloni, 1835; Cesati, 1844) anche per le risaie della Lombardia e ancora frequente fin dopo la metà del secolo scorso (Ciferri
et al., 1949; Pirola, 1964b), in realtà sembra estinta dal territorio (Cook, 1973; Banfi & Pirola, 1997); originaria dell’Asia sudoccidentale, si distingue
per lo stilo lungo al massimo 0.5 mm, l’ipanzio e i sepali pubescenti e i segmenti dell’epicalice che superano i sepali. Fenaroli (1960), segnalando
la nuova comparsa in Italia (nel novarese) di A. auriculata, riporta anche una vecchia segnalazione di Welden per A. baccifera L. (subsp. aegyptiaca
(Willd.) Koehne, entità non distinta dal tipo della specie) per il lago Sant’Orsola presso Pavia, peraltro senza riportare la fonte bibliogarfica del dato.
Si può tuttavia intuire che egli riporti la segnalazione di Fiori & Paoletti (1900, 1907), che a sua volta si basa su due lavori dello specialista Koehne
(1884, 1903). In effetti Koehne parla di una raccolta di Welden di detta pianta, non più ritrovata in seguito, nella località di cui sopra. Purtroppo
però commette un errore nella trascrizione dei dati dello stesso Welden: il lago Sant’Orsola era già stato in passato località di raccolta di specie
del genere Ammannia (cfr. Pollini, 1822a, 1824; Bertoloni, 1835), solo che viene sempre citato come una località in “agro patavino” o “Patavia”, cioè
presso Padova, non Pavia! Questa località si trovava alla periferia di Padova (Camin) ai tempi del Béguinot e, attualmente, al suo posto sorge il parco
delle Roncajette (Noemi Tornadore, in verbis). Il dato di questa specie, quindi, non è riferibile alla Lombardia ma al Veneto. Simile ad A. verticillata, si
distingue agevolmente per l’ipanzio e i sepali glabri e per i segmenti dell’epicalice assenti; è stata recentemente trovata in Emilia-Romagna lungo il
Po (Galasso & Morelli, in stampa) ed è da ricercare in Lombardia. Il genere Ammannia L. è morfologicamente affine a Rotala L. (si veda la scheda di
R. densiflora), dal quale si differenzia soprattutto per le capsule mature non striate, ma ben separato dal punto di vista filogenetico.
Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Banfi & Pirola, 1997; Bertoloni, 1835; Cesati, 1844; Ciferri et al., 1949; Cook, 1973; Fenaroli, 1960; Fiori & Paoletti,
1900, 1907; Galasso & Morelli, in stampa; Graham, 1979, 1985; Koehne, 1884, 1903; Pirola, 1964b; Pollini, 1822a, 1824; Soldano, 1986; Zanotti, 2010
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rotala
asiatica
Famiglia: Lythraceae
Nome scientifico: Rotala densiflora (Roth) Koehne
Nome volgare: rotala asiatica
Basionimo: Ammannia densiflora Roth
Sinonimi: Ditheca densiflora (Roth) Miq.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale glabra, di 5-40 cm, con fusto prostrato-ascendente e foglie decussate, lineari o linearilanceolate, di 5-30×1.5-5 mm, via via ridotte verso l’alto. Fiori singoli all’ascella delle foglie, sessili; calice di 1.5-2 mm, con
tubo campanulato e (4-)5 denti; segmenti dell’epicalice generalmente lunghi sino al doppio dei denti calicini, raramente
rudimentali o assenti; corolla di (4-)5 petali bianchi o rosei, più o meno bilobi e dentellati al margine, lunghi 0.5-1 mm cioè
almeno il doppio dei denti del calice; stami (3-)5; ovario semiinfero alloggiato in un ipanzio largamente campanulato. Il frutto
è una capsula setticida con numerosi, minuti semi.
Periodo di fioritura: luglio-agosto.
Area d’origine: Asia tropicale.
Habitat: Risaie e relativi arginelli fangosi.
Distribuzione nel territorio: Lomellina; casuale nel lecchese. Lecco (CAS), Pavia (NAT). [R. filiformis: Brescia (EST), Milano
(CAS), Mantova (NAT), Pavia (NAT).] [R. indica: Lodi (NAT), Milano (NAT), Pavia (NAT).] [R. ramosior: Milano (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, in Italia naturalizzata almeno dal 1972 in Piemonte nel vercellese (Cook, 1973, 1979). In
Lombardia segnalata da Pignatti (1982).
Modalità d’introduzione: Accidentale (flora risicola).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Sì, solo in ambito agricolo.
Impatto: Infestante di risaia.
Azioni di contenimento: Eventuale diserbo in risaia.
Note: Segnalata per la prima volta in Lombardia da Pignatti (1982) senza precisazione di località, è sicuramente presente in Lomellina (PV)
(campioni raccolti nel 2002 e conservati nell’erbario del Museo di Storia Naturale di Milano, MSNM). Inoltre è segnalata da Consonni (1997,
1999) per la provincia di Lecco nella zona del Monte Legnone (Colico verso Madonna del Pozzo); in questa località è sicuramente da considerarsi
casuale.Sono altre tre le specie di questo genere esotico ben noto alla risicoltura lombarda. Si tratta di R. ramosior (L.) Koehne (= Ammannia
r. L.; rotala americana), R. filiformis (Bellardi) Hiern (= Suffrenia f. Bellardi; rotala minore) e R. indica (Willd.) Koehne (= Peplis i. Willd.; rotala
comune): la prima, di provenienza neotropica, si distingue per i fiori tetrameri con calice di 2.5-5 mm e segmenti dell’epicalice lunghi 0.5-1(2) mm, mentre la seconda (Africa tropicale) e la terza (Asia tropicale) hanno fiori privi di epicalice e presentano foglie, rispettivamente, prive
di margine cartilagineo lunghe fino a 10 mm con larghezza massima nella metà prossimale e con evidente margine cartilagineo lunghe 4-20
mm con larghezza massima nella metà distale. Sono tutte commensali del riso, introdotte con i movimenti intercontinentali di questa coltura.
Il genere Rotala L. è morfologicamente affine ad Ammannia L. (si veda la scheda di A. coccinea), dal quale si differenzia soprattutto per le capsule
mature densamente striate orizzontalmente, ma ben separato dal punto di vista filogenetico.
epilobio
cigliato
Famiglia: Onagraceae
Nome scientifico: Epilobium ciliatum Raf.
Nome volgare: epilobio cigliato
Sinonimi: Epilobium adenocaulon Hausskn.
Epilobium americanum Hausskn.
Epilobium argentinum Sam.
Epilobium chilense Hausskn.
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne, con rosette fogliari compatte e fusti alti (10-)25-90(-150) cm, ramosi, di rado semplici,
densamente ricoperti (tranne inferiormente) di peli ghiandolari patenti e tricomi non ghiandolari arricciati. Foglie opposte, le
basali ovato-lanceolate con picciolo di 1-3 mm e lamina lunga fino a 15 cm, le cauline sessili, strettamente ovato-lanceolate,
di 2.5-6(-7)×0.6-1.5(-2) cm, subglabre, strigulose sui nervi e al margine, con base arrotondata, raramente subcordata, margine
a 20-30 denti per lato e apice da acuto a subacuminato. Infiorescenza terminale, spiciforme, con fiori eretti; calice di 4 sepali
carenati, lunghi 2.4-3.5 mm; corolla a 4 petali bianchi o lilacini con venature più scure, profondamente bilobi (in apparenza
doppi), lunghi 3.5-5(-7) mm; stami 8; ovario infero, 4-loculare, con una fila di ovuli per loculo; stimma clavato o subcapitato. Il
frutto è una capsula loculicida lineare lunga 4.5-7 cm, sorretta da un peduncolo di 0.5-0.8(-1.4) cm, deiscente in 4 valve, con
numerosi semi bruni di 0.08-0.1 mm, provvisti di un ciuffo caduco di lunghi peli bianchi.
Periodo di fioritura: luglio-agosto(-settembre).
Area d’origine: America.
Habitat: Siti umidi disturbati lungo i corsi d’acqua, margine di stagni e acquitrini, erbosi umidi.
Distribuzione nel territorio: Lombardia centro-orientale, casuale in pianura, naturalizzata in collina. Bergamo (NAT), Brescia
(NAT), Cremona (CAS), Mantova (CAS).
Periodo d’introduzione: Neofita, in Italia segnalata per la prima volta da Brilli Cattarini (1990) senza specificazione di località,
conosciuta dal 1936 nelle Valli di Fiemme e Fassa (Prosser, 1994). In Lombardia segnalata per la prima volta da Bonali et al. (2006a).
Modalità d’introduzione: Accidentale (probabilmente con il commercio di piante ornamentali).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Condivide l’habitat con E. hirsutum L. ed E. parviflorum Schreb., autoctone a comportamento sinantropico, enormemente più comuni e
diffuse dell’aliena, che si riconoscono subito per lo stigma diviso in 4 lobi anziché intero e per l’assenza di pelosità ghiandolare, sostituita da villosità
patente; la prima ha foglie semiamplessicauli e fiori grandi (petali >1 cm), la seconda foglie attenuate sul nodo e fiori piccoli (petali <1 cm). Le
specie più simili, però, sono gli autoctoni E. tetragonum L., privo di pelosità ghiandolare patente nella parte superiore del fusto, ed E. roseum Schreb.,
con foglie più larghe e un po’ più lungamente picciolate e con un colore generale maggiormente grigiastro.
Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Brilli Cattarini, 1990; Prosser, 1994
Bibliografia: Consonni, 1997, 1999; Cook, 1973; Cook, 1979; Pignatti, 1982
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porracchia
gigante
Famiglia: Onagraceae
Nome scientifico: Ludwigia hexapetala (Hook. & Arn.)
Zardini, H.Y.Gu & P.H.Raven
Nome volgare: porracchia gigante
Basionimo: Jussiaea hexapetala Hook. & Arn.
Sinonimi: Ludwigia grandiflora auct.,
non (Michx.) Greuter & Burdet
Ludwigia grandiflora (Michx.) Greuter & Burdet
subsp. hexapetala (Hook. & Arn.) G.L.Nesom & Kartesz
Ludwigia uruguayensis auct., non (Cambess) H.Hara
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne, glabra o sparsamente pelosa, con fusti di 20-200 cm, in parte eretti, in parte sdraiati
e flottanti nell’acqua, radicanti ai nodi. Foglie alterne, da strettamente ellittiche a largamente obovate, lunghe 1-11 cm,
intere, le cauline di 5.5-13×0.9-1.8 cm. Fiori singoli, ascellari, su peduncoli che in frutto raggiungono la lunghezza di 9 cm,
attinomorfi, con ipanzio privo di tubo; calice di 5(-6) sepali lunghi (10-)11-19 mm a maturità; corolla di 5(-6) petali gialli,
obovato-spatolati, lunghi (15-)20-30 mm; stami 10(-12) ripartiti disugulamente in 2 gruppi, con antere di 0.5-2.2 mm; ovario
semiinfero, 4-5-loculare. Il frutto è una capsula riflessa, a deiscenza irregolare, circolare-subpentagonale in sezione, lunga 1230 mm, attenuata nel peduncolo, con semi numerosi e minuti.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: Sudamerica.
Habitat: Margini di corpi d’acqua stagnante o a lento flusso.
Distribuzione nel territorio: Planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Mantova (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata almeno dal 1934 a Brescia e introdotta sperimentalmente con successo nelle
“lame d’Iseo” nel 1939 da Luigi Grandi (Arietti, 1942). L’esatta identità delle popolazioni italiane è stata chiarita da Galasso
(2007a).
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura acquatica).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Sì.
Impatto: Minaccia la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce, in alcuni casi con coperture prossime al 100%. È specie
inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r.
10/2008 della Lombardia.
152
porracchia
di
Montevideo
Famiglia: Onagraceae
Nome scientifico: Ludwigia peploides (Kunth) P.H.Raven
subsp. montevidensis (Spreng.) P.H.Raven
Nome volgare: porracchia di Montevideo
Basionimo: Jussiaea montevidensis Spreng.
Sinonimi: Ludwigia grandiflora auct. p.p., non (Michx.)
Greuter & Burdet
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne con pelosità patente, più o meno glutinosa nel fresco; fusti lunghi 10-300 cm, tappezzanti
il suolo o flottanti nell’acqua, questi ultimi spesso con pneumatafori bianchi evidenti. Foglie alterne, da oblunghe a rotonde,
lunghe meno di 10 cm, subintere, ghiandolose all’apice, le inferiori con picciolo lungo (-5)8-16 mm. Fiori singoli, ascellari, su
peduncoli che in frutto possono raggiungere la lunghezza di 9 cm, attinomorfi, con ipanzio privo di tubo; calice di 5(-6) sepali
lunghi 3-12 mm; corolla di 5(-6) petali gialli, obovato-spatolati, lunghi 7-24 mm; stami 10(-12) ripartiti disugulamente in 2
gruppi, con antere di 0.5-2.2 mm; ovario semiinfero, 4-5-loculare. Il frutto è una capsula riflessa, a deiscenza irregolare, circolare
in sezione, lunga 25-40 mm, con semi numerosi e minuti.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: Sudamerica.
Habitat: Margini dei corpi d’acqua stagnante o a lento flusso.
Distribuzione nel territorio: Fascia planiziale. Brescia (NAT), Cremona (INV), Lodi (INV), Mantova (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XX secolo. Segnalata in Italia in Emilia-Romagna a partire dal 2001
(Romani & Alessandrini, 2001 sub L. grandiflora), in Lombardia dal 2004 (Petraglia & Antoniotti, 2004 sub L. peploides; Assini
et al., 2004 sub L. grandiflora) dove è stata raccolta per la prima volta nel 1998. L’esatta identità della sottospecie presente in
Italia è stata chiarita da Galasso (2007a).
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura acquatica).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Minaccia la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce, in alcuni casi con coperture prossime al 100%. È specie
inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r.
10/2008 della Lombardia.
Note: Specie decaploide, comunemente venduta nei garden center, con fiori di dimensioni maggiori rispetto all’esaploide L. grandiflora (Zardini
et al., 1991; Nesom & Kartesz, 2000). È simile a L. peploides subsp. montevidensis (vedi scheda), che si distingue per i fusti prostrati (oltre a quelli
flottanti), i sepali di 3-12 mm e i petali di 7-24 mm non o poco sovrapposti.
Note: Simile a L. hexapetala (vedi scheda), che si distingue per i fusti ascendenti o eretti (oltre a quelli flottanti), i sepali di (10-)11-19 mm e i petali
di (15-)20-30 mm largamente sovrapposti.
Bibliografia: Arietti, 1942; Galasso, 2007a; Nesom & Kartesz, 2000; Zardini et al., 1991
Bibliografia: Assini et al., 2004; Bonali et al., 2006b; Galasso, 2007a; Petraglia & Antoniotti, 2004; Raven, 1963; Romani & Alessandrini, 2001
153
enagra
comune
Famiglia: Onagraceae
Nome scientifico: Oenothera biennis L.
Nome volgare: enagra comune
Tipo biologico: Hbienn
Descrizione: Pianta erbacea bienne, alta 80-150 cm, con fusto semplice o poco ramificato, verde, talvolta rossastro nelle parti
inferiori. Foglie alterne, ellittiche o ellittico-lanceolate, con margine dentato superficialmente e nervo mediano arrossato,
almeno nella parte basale. Fiori attinomorfi riuniti in infiorescenza a racemo, con asse dell’infiorescenza, ovario e sepali
totalmente sprovvisti di punteggiature o colorazione rossi; brattee brevi; peduncolo di 25-40 mm; 4 petali gialli di (15-)20-30
mm, decisamente più larghi che lunghi; stami 8 in due verticilli; ovario semiinfero; stilo sempre incluso tra le antere; peluria
ghiandolare ben sviluppata già nelle prime fioriture. Il frutto è una capsula lineare loculicida, a 4 valve, lunga 25-40 mm,
contenente abbondanti, piccoli semi irregolarmente cubici e privi di ali o con ali appena rilevate.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: Europa e Siberia, non conosciuta in Nordamerica.
Habitat: Incolti, margini stradali, greti fluviali.
Distribuzione nel territorio: Più o meno in tutto il territorio, ma più rara rispetto all’Ottocento in quanto non ha ricevuto
vantaggi dalla crescente antropizzazione e ha sofferto della concorrenza delle congeneri successivamente stabilitesi. Bergamo
(NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, presumibilmente originatasi spontaneamente nell’area eurosiberiana da piante introdotte
dall’America. Le date relative alla sua diffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della confusione tra le diverse
specie: le prime raccolte in Italia risalgono al 1807 (Toscana), quelle lombarde al 1837 (Milano); la prima segnalazione certa
per la Lombardia è di Soldano (1993).
Modalità d’introduzione: Ignota.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Estetico-paesaggistico locale.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Il genere Oenothera sect. Oenothera subsect. Oenothera è americano e tutte le specie presenti in Europa si riconducono direttamente
o indirettamente a un’iniziale introduzione dal Nordamerica di due o pochi ceppi, la cui identità tassonomica non è ancora stata ricostruita. I
particolari meccanismi genetici alla base della riproduzione sessuale in queste piante sono basati sul controllo da parte di geni letali bilanciati
e sulla formazione di anelli cromosomici alla meiosi, grazie ai quali ad ogni generazione vengono eliminati i genomi omozigoti. Si tratta perciò
di eterozigoti obbligati e complessi in cui il grado di affinità tra i genomi materno e paterno e l’accumulo di mutazioni proprio di ogni genoma
determinano, attraverso le varie combinazioni gametiche, la comparsa di fenotipi morfologicamente distinti, che in alcuni casi si fissano
stabilmente nel tempo generando nuove specie, il tutto secondo un modello di speciazione estremamente rapido definito “eterogametico”. Ciò
è appunto quanto si ritiene sia successo a 8 delle 9 entità presenti in Lombardia, formatesi molto probabilmente in Europa, se non (almeno 5) in
Italia o addirittura in situ, a partire da lontani progenitori importati dal Nordamerica. Paradossalmente esse si possono definire indigene di origine
esotica!
Le altre 8 specie lombarde si distinguono per differenti combinazioni dei caratteri, includenti la punteggiatura rossa, le dimensioni dei petali,
l’epoca di comparsa dei peli ghiandolari, la colorazione del nervo mediano della foglia ecc. Infine segnaliamo che nel varesino e nel lecchese sono
stati raccolti alcuni campioni di una Oenothera a fiore piccolo che non si inquadrano in nessuna delle specie conosciute in Europa.
enagra
di Bartlett
Famiglia: Onagraceae
Nome scientifico: Oenothera chicaginensis de Vries
ex Renner & Cleland var. bartlettii Soldano
Nome volgare: enagra di Bartlett
Tipo biologico: Hbienn
Descrizione: Pianta erbacea bienne, alta 100-180 cm, con fusto ramoso e arrossato. Foglie alterne, ellittico-lanceolate,
dentate, con nervo mediano arrossato, almeno nella parte basale. Fiori attinomorfi riuniti in infiorescenza densa; asse
dell’infiorescenza con sparse punteggiature rosse (a metà agosto); sepali verdi, talvolta punteggiati di rosso (a metà agosto);
4 petali gialli di 17-27 mm; stami 8 in due verticilli; ovario semiinfero; stilo sempre incluso tra le antere; totale assenza o
quasi di peluria ghiandolare lungo l’ipanzio. Il frutto è una capsula lineare loculicida, a 4 valve, lunga 30-45 mm, contenente
abbondanti, piccoli semi con spigoli acuti o debolmente alati.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Nordamerica; la varietà si sarebbe originata in Italia centro-settentrionale.
Habitat: Greti fluviali, margini ruderali.
Distribuzione nel territorio: Pianura. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, presumibilmente originatasi spontaneamente in Italia centro-settentrionale da ceppi
americani. Le date relative alla sua diffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della confusione tra le diverse specie:
le prime raccolte in Italia risalgono al 1976 (Toscana), quelle lombarde al 1983 (Valcamonica, BS); la prima segnalazione per
la Lombardia è di Soldano (1993).
Modalità d’introduzione: Originatasi in loco (vedi: Periodo di introduzione).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Estetico-paesaggistico locale.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis. In Lombardia si incontrano, casuali, altre tre specie del genere Oenothera L., appartenenti però
ad altra sezione: O. gaura W.L.Wagner & Hoch (= Gaura biennis L.; gaura) nel milanese (Stucchi, 1929b), O. speciosa Nutt. (enagra speciosa) nel
lecchese e bresciano, O. tetragona Roth (enagra tetragona) nel lecchese. Una quarta specie, O. rosea L’Hér. ex Aiton (enagra rosea), è stata osservata
avventizia soltanto all’interno dell’Orto Botanico di Pavia (Fiori, 1925b) e non è quindi da annoverarsi tra la flora esotica lombarda.
Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Dietrich et al., 1997; Fiori, 1925b; Mihulka et al., 2003; Soldano, 1993; Stucchi, 1929b
Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Soldano, 1993
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enagra
di Royfraser
Famiglia: Onagraceae
Nome scientifico: Oenothera royfraseri R.R.Gates
Nome volgare: enagra di Royfraser
Sinonimi: Oenothera parviflora auct., non L.
Oenothera turoviensis Rostański
Tipo biologico: Hbienn
Descrizione: Pianta erbacea bienne, simile a O. chicaginensis var. bartlettii (vedi scheda), da cui si distingue per le foglie più
strette, per una più densa punteggiatura dell’asse dell’infiorescenza, per i sepali sempreverdi, per i petali di 6-12 mm, per i
frutti minori (19-26 mm) e per i semi debolmente alati. La pelosità ghiandolare, assente sull’ipanzio alle prime fioriture, prevale
dalla metà di agosto in poi.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Nordamerica orientale (E-Canada).
Habitat: Incolti, margini stradali, greti fluviali.
Distribuzione nel territorio: Sporadica nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT),
Milano (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita. Le date relative alla sua diffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della
confusione tra le diverse specie: le prime raccolte in Italia sono lombarde (Valcamonica, BS) e risalgono al 1984; segnalata la
prima volta da Zanotti (1991b).
Modalità d’introduzione: Ignota.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Estetico-paesaggistico locale.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis. Non avendo potuto controllare gli exsiccata, la segnalazione di Pomi (1994) per Oe. parviflora,
assente in Italia (Soldano, 1993), è qui ricondotta a Oe. royfraseri.
Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Pomi, 1994; Soldano, 1993; Zanotti, 1991b
enagra
fallacoide
Famiglia: Onagraceae
Nome scientifico: Oenothera fallacoides
Soldano & Rostański
Nome volgare: enagra fallacoide
Tipo biologico: Hbienn
Descrizione: Pianta erbacea bienne, robusta, con fusto eretto, ramoso, alto 80-150(-200) cm, completamente rosso o
striato di rosso. Foglie alterne, sessili, lanceolate, lunghe fino a 15 cm, piane, debolmente dentate al margine, con nervo
mediano arrossato o bianco. Infiorescenza terminale a spiga fogliosa allungata, con asse fittamente punteggiato di rosso,
uniformemente rosso nel tratto apicale già all’apertura dei primi bocci; sempre sull’asse, a partire dalla seconda metà di luglio,
compaiono peli ghiandolari che si ritrovano anche sui frutti acerbi nella porzione inferiore dell’infiorescenza. Fiori profumati,
ad apertura notturna, attinomorfi, del diametro di (3-)4-6.5 cm, con ipanzio a tubo allungato; calice di 4 sepali riflessi all’antesi,
fortemente arrossati, apicolati per una lunghezza di 2-7 mm; corolla a 4 petali gialli, largamente obovato-triangolari di (15-)2032×22-37 mm; stami 8 in due verticilli; ovario semiinfero. Il frutto è una capsula lineare loculicida, a 4 valve, lunga (15-)20-35
mm, contenente abbondanti, piccoli semi bruni, spigolosi.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: Italia centro-settentrionale occidentale.
Habitat: Incolti, margini stradali, greti fluviali.
Distribuzione nel territorio: Porzione occidentale della regione, nelle fasce planiziale e collinare. Lecco (NAT), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, presumibilmente originatasi spontaneamente in Italia centro-settentrionale da ceppi
nordamericani introdotti deliberatamente a fini floricolturali. Le date relative alla sua diffusione sul nostro territorio non sono
certe a causa della confusione tra le diverse specie: le prime raccolte in Italia risalgono al 1927 (Toscana), quelle lombarde al
1975 (Cava Manara, PV); la prima segnalazione per la Lombardia è di Soldano (1983a).
Modalità d’introduzione: Originatasi in loco (vedi: Periodo di introduzione).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Estetico-paesaggistico locale.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis.
Bibliografia: Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Soldano, 1983a, 1993
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enagra
di Oehlkers
Famiglia: Onagraceae
Nome scientifico: Oenothera oehlkersil Kappus
Nome volgare: enagra del Sesia
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne con fusto semplice o poco ramificato, di altezza medio-bassa, superando raramente
i 150 cm. Foglie alterne, le inferiori ellittiche, spesso a margine increspato; le altre ellittico-lanceolate, generalmente con
nervo mediano bianco o incolore. Fiori attinomorfi riuniti in infiorescenza allungata; già dalle prime fioriture è presente
un’accentuata glandolosità; peduncoli lunghi fino a 50-55 mm; 4 petali gialli medio-grandi, di 35-50 mm; stami 8 in due
verticilli; ovario semiinfero; stilo che si protende al di sopra delle antere. Il frutto è una capsula lineare loculicida, a 4 valve,
lunga 10-25 mm, contenente abbondanti, piccoli semi con evidente espansione alare sugli spigoli.
Periodo di fioritura: maggio-luglio.
Area d’origine: Europa (probabilmente Europa centro-orientale).
Habitat: Incolti, margini stradali, greti fluviali.
Distribuzione nel territorio: Pianura occidentale. Cremona (NAT), Lecco (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, derivata dall’ibridazione tra Oe. glazioviana e una stirpe di Oe. suaveolens oppure
direttamente da Oe. glazioviana. Le date relative alla sua diffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della confusione
tra le diverse specie: le prime raccolte in Italia risalgono al 1969 (Toscana), quelle lombarde al 1982 (Lomellina, PV); la prima
segnalazione per la Lombardia è di Soldano (1980b).
Modalità d’introduzione: Ignota.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Estetico-paesaggistico locale.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis.
enagra
di Glaziou
Famiglia: Onagraceae
Nome scientifico: Oenothera glazioviana Micheli
Nome volgare: enagra di Glaziou
Sinonimi: Oenothera erythrosepala Borbás
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne, simile a Oe. oehlkersi (vedi scheda) ma con asse dell’infiorescenza, ovario e frutti
cosparsi di minuti ma abbondanti punti rossi, apice dell’asse stesso, calice e, di norma, nervo mediano fogliare totalmente
arrossati. I giovani frutti presentano una caratteristica banda rossa sulle facce.
Periodo di fioritura: maggio-luglio.
Area d’origine: Europa (Inghilterra).
Habitat: Incolti, margini stradali, greti fluviali.
Distribuzione nel territorio: Sporadica in quasi tutto il territorio, nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia
(NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), Pavia (CAS), Sondrio (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, ottenuta presumibilmente attorno al 1860 dall’incrocio artificiale tra Oe. biennis e una
stirpe americana non identificata. Le date relative alla sua diffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della
confusione tra le diverse specie: le prime raccolte in Italia risalgono al 1889 (Piemonte), quelle lombarde al 1956 (Como); la
prima segnalazione per la Lombardia è di Soldano (1980b).
Modalità d’introduzione: Deliberata (mercato ortofloricolo).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Estetico-paesaggistico locale.
Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis. A questa specie è sicuramente da ricondurre anche la segnalazione di Arietti & Crescini (1980)
di Oe. suaveolens per il bresciano (Soldano, 1993); lo stesso potrebbe valere per quella di Stucchi (1949b).
Bibliografia: Arietti & Crescini, 1980; Bonali et al., 2006a; Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Soldano, 1980b, 1993; Stucchi, 1949b; Zanotti,
1991b
Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Soldano, 1980b, 1983b, 1993
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enagra
del Sesia
Famiglia: Onagraceae
Nome scientifico: Oenothera sesitensis Soldano
Nome volgare: enagra del Sesia
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 100-160(-200) cm, con fusto ramoso, leggermente rosseggiante. Foglie alterne,
ellittico-lanceolate, a margine dentato e nervo mediano arrossato. Fiori attinomorfi in infiorescenza con asse minutamente
punteggiato di rosso e apice completamente maculato (in genere dalla seconda metà di agosto); calice inizialmente verde,
ma arrossato non prima di agosto; ipanzio di 30-40 mm, inizialmente ricoperto da peli acuminati, sui quali i peli ghiandolari
prendono il sopravvento non prima della seconda metà di agosto; 4 petali gialli di 18-28 mm; stami 8 in due verticilli; ovario
semiinfero; stilo sempre incluso tra le antere. Il frutto è una capsula lineare loculicida, a 4 valve, lunga (35-)40-48 mm,
contenente abbondanti, piccoli semi non o appena alati.
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: Italia nordoccidentale.
Habitat: Incolti, margini stradali, greti fluviali.
Distribuzione nel territorio: Pianura occidentale. Lecco (NAT), Pavia (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, presumibilmente originatasi spontaneamente in Italia nordoccidentale da ceppi
americani. Le date relative alla sua diffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della confusione tra le diverse specie:
le prime raccolte in Italia risalgono al 1975 (Piemonte), quelle lombarde al 1977 (Lomellina, PV) ; la prima segnalazione per la
Lombardia è di Soldano (1980b).
Modalità d’introduzione: Originatasi in loco (vedi: Periodo di introduzione).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Estetico-paesaggistico; inoltre minaccia la biodiversità delle comunità di greto in cui si afferma.
Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis.
Bibliografia: Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Soldano, 1980b, 1993
enagra
di stucchi
Famiglia: Onagraceae
Nome scientifico: Oenothera stucchii Soldano
Nome volgare: enagra di Stucchi
Sinonimi: Oenothera elata auct., non Kunth
Oenothera renneri auct., non H.Scholz
Tipo biologico: Hbienn
Descrizione: Pianta erbacea bienne, alta 120-220(-300) cm, con fusto verde, ramificato, striato di rosso o totalmente soffuso
di rossastro. Foglie alterne, ellittico-lanceolate grandi, con marcata dentatura marginale e nervo mediano bianco e incolore.
Fiori attinomorfi riuniti in infiorescenza con asse profondamente picchiettato di rosso, lungo il quale le brattee mediane
mantengono una buona dentatura marginale, spesso con lembo ondulato; ; 4 petali gialli di 20-30 mm; ipanzio lungo 50-70
(-75) mm che all’inizio dell’antesi (metà luglio) manca totalmente o quasi di peli ghiandolari (questi prendono il sopravvento
dalla seconda metà di agosto); stami 8 in due verticilli; ovario semiinfero; stilo sempre incluso tra le antere. Il frutto è una
capsula lineare loculicida, a 4 valve, lunga 23-35(-40) mm, contenente abbondanti, piccoli semi con spigoli distintamente
alati.
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: Italia nordoccidentale.
Habitat: Incolti, margini stradali, greti fluviali.
Distribuzione nel territorio: Pressoché ovunque, nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona
(INV), Lecco (INV), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, presumibilmente originatasi spontaneamente in Italia nord-occidentale da ceppi
americani. Le date relative alla sua diffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della confusione tra le diverse specie:
le prime raccolte in Italia sono lombarde e risalgono al 1952 (Sesto Calende, VA); la prima segnalazione per la Lombardia è di
Stucchi (1956, sub O. elata).
Modalità d’introduzione: Originatasi in loco (vedi: Periodo di introduzione).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Estetico-paesaggistico; inoltre minaccia la biodiversità delle comunità di greto in cui si afferma.
Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis. La segnalazione di Stucchi (1956) per Oe elata, successivamente rettificata in Oe. renneri (Raven,
1968; Stucchi, 1972) è da ricondurre a Oe. stucchii (Soldano, 1980b).
Bibliografia: Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Raven, 1968; Soldano, 1980b, 1993; Stucchi, 1956, 1972
160
161
enagra a
petali larghi
Famiglia: Onagraceae
Nome scientifico: Oenothera latipetala (Soldano) Soldano
Nome volgare: enagra a petali larghi
Basionimo: Oenothera suaveolens Desf. ex Pers. var.
latipetala Soldano
Tipo biologico: Hbienn
Descrizione: Pianta erbacea bienne, alta 80-150(-200) cm, con fusto ramoso, arrossato nella parte più bassa, superiormente
verde e senza punteggiature rosse lungo l’asse dell’infiorescenza. Foglie alterne, lanceolate, a nervo mediano bianco o incolore,
acuminate e a margine intero o appena ondulato. Pelosità non ghiandolare, abbastanza fitta su fusto, foglie, ovario, frutti,
sepali e ipanzio; i peli ghiandolari si sviluppano e diventano prevalenti dall’inizio di agosto, se non più tardi. Fiori attinomorfi,
notturni, fortemente odorosi, con 4 petali gialli lunghi 19-32 mm e larghi 26-40 mm; stami 8 in due verticilli; ovario semiinfero;
stilo sempre incluso tra le antere. Il frutto è una capsula lineare loculicida, a 4 valve, lunga 30-45 mm.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: Italia.
Habitat: Greti fluviali, margini ruderali.
Distribuzione nel territorio: Pressoché in tutto il territorio, nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (INV),
Cremona (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (NAT), Pavia (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, presumibilmente originatasi spontaneamente in Italia da piante speciate in Europa e
introdotte deliberatamente da noi (piante da giardino). Le date relative alla sua diffusione sul nostro territorio non sono certe
a causa della confusione tra le diverse specie: le prime raccolte in Italia risalgono al 1869 (Piemonte), quelle lombarde al 1882
(Revere, MN); la prima segnalazione certa per la Lombardia è di Soldano (1981).
Modalità d’introduzione: Originatasi in loco (vedi: Periodo di introduzione).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Estetico-paesaggistico; inoltre minaccia la biodiversità delle comunità a bassa competizione in cui si afferma.
sommacco
maggiore
Famiglia: Anacardiaceae
Nome scientifico: Rhus typhina L.
Nome volgare: sommacco maggiore
Sinonimi: Datisca hirta L., nom. rej.
Rhus hirta (L.) Sudw.
Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis.
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Alberello caducifoglio o grosso arbusto con stoloni sotterranei e fusti spesso in cerchio, arcuato-ascendenti,
alti 2-10 m; rami ricoperti di una fitta pubescenza bruno-rossiccia o purpurea. Foglie alterne, imparipennate, con picciolo
densamente rugginoso-pubescente e lamina raggiungente i 50 cm, composta di 11-31 segmenti lunghi fino a 11 cm,
oblungo-lanceolati, seghettati al margine, fittamente pubescenti, verdi, viranti al rosso vivo in autunno. Fiori pentameri,
piccoli, verdastri, in pannocchie terminali, erette, piramidali, molto compatte e lobulate, ispido-pubescenti per peli rosso
ruggine e lunghe la metà delle foglie. Frutti a drupa con epicarpo ricoperto di lunghi peli purpurei.
Periodo di fioritura: giugno-luglio.
Area d’origine: Nordamerica orientale.
Habitat: Incolti solatii.
Distribuzione nel territorio: Frequentemente coltivata e a volte casuale, naturalizzata nel lecchese e bergamasco. Bergamo
(NAT), Brescia (CAS), Cremona (CAS), Lecco (NAT), Monza e Brianza (CAS), Milano (CAS), Mantova (CAS), Pavia (CAS), Sondrio
(CAS), Varese (CAS).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal Seicento e avventizia dalla seconda metà dell’Ottocento nel trevigiano
(Saccardo, 1863); in Lombardia segnalata da Giacomini (1950).
Modalità d’introduzione: Deliberata (commercio ortofloricolo).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Potenzialmente sì.
Impatto: Può formare popolamenti densi, deteriorando la vegetazione locale; la sua notevole e problematica diffusione in
Canton Ticino costituisce una minaccia anche per il nostro territorio.
Azioni di contenimento: Evitarne l’uso nei giardini e nei parchi; non utilizzare terriccio contenente radici di sommacco; non
tagliarlo (data la sua notevole capacità pollonifera), ma estirpare i turioni fino a completa eliminazione della pianta.
Bibliografia: Bonali, 2008; Bonali et al., 2006a; Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Soldano, 1981, 1993, 2010; Zanotti, 2010
Note: È specie della lista nera elvetica e va quindi tenuta sotto osservazione.
Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Bonali et al., 2006a; Banfi & Galasso, 1998; Consonni, 1997, 1999; Giacomini, 1950; Saccardo, 1863
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acero
negundo
Famiglia: Aceraceae
Nome scientifico: Acer negundo L.
Nome volgare: acero negundo, negundo
Sinonimi: Negundo aceroides Moench
Negundo negundo (L.) H.Karst., comb. illeg.
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Albero caducifoglio di 5-20 m di altezza, poco longevo ma di crescita rapida. Ha tronco eretto, con scorza
di colore bruno-cenerino e chioma irregolarmente globosa. I giovani rami sono glauco-pruinosi, flessibili ma fragili. Foglie
lunghe 15-25 cm, imparipennate, composte da 3-5(-7) segmenti lanceolati o variamente ellittici, con denti e lobature
irregolari; i 3 segmenti apicali spesso confluenti e connati. Fiori prodotti prima della fogliazione, unisessuali, privi di perianzio,
maschili e femminili su individui distinti (pianta dioica); i maschili riuniti in corimbi, a 8 stami; i femminili con ovario supero,
bicarpellare, in lunghi amenti. Il frutto è un samario costituito da due mericarpi con ala piuttosto stretta e falcata, divergenti
tra loro ad angolo acuto.
Periodo di fioritura: aprile-maggio.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Boscaglie (radure e margini), soprattutto lungo le aste fluviali, pioppeti, rimboschimenti, cedui e fustaie abbandonate
di robinia, ruderati.
Distribuzione nel territorio: Si rinviene spontaneizzata in tutto il territorio, soprattutto lungo i corsi d’acqua, dalla fascia
collinare alla planiziale (0-500 m s.l.m.); per il resto largamente coltivata in parchi, giardini e alberature stradali. Bergamo (INV),
Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia
(INV), Sondrio (NAT), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia verso la fine del Settecento. In Lombardia è stata segnalata la prima volta
prima nel 1863 (Anonimo, 1863) come coltivata e da Omati (1884) come naturalizzata.
Modalità d’introduzione: Deliberata (orticoltura, vivaicoltura, sperimentazione forestale).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Modifica sensibilmente il paesaggio naturale e riduce la biodiversità delle cenosi boschive, particolarmente in
ambiente ripariale; ha esigenze ecologiche identiche a quelle di diverse latifoglie autoctone dei suoli freschi, particolarmente
diffusi nelle aree alluvionali, dove cresce velocemente e fruttifica in abbondanza. È specie inclusa nella lista nera delle specie
alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia; è inoltre
inserita tra le specie esotiche a carattere infestante e dannose per la conservazione della biodiversità riportate nel r.r. 5/2007.
Azioni di contenimento: Taglio selettivo ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi in caso di
ripollonamento; provvedere quindi a sottopiantagione. Pronta rimozione del novelleto. Evitare circostanze favorevoli alla
fruttificazione, per esempio eliminando per primi gli individui femminili.
Bibliografia: Anonimo, 1863; Omati, 1884
albero
del Paradiso
Famiglia: Simaroubaceae
Nome scientifico: Ailanthus altissima (Mill.) Swingle
Nome volgare: albero del Paradiso, ailanto, sommacco
falso, sommacco americano
Basionimo: Toxicodendron altissimum Mill.
Sinonimi: Ailanthus glandulosa Desf.
Pongelion glandulosum (Desf.) Pierre
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Albero caducifoglio dell’altezza massima di 20 m, con radici superficiali turionanti, ritidoma liscio, grigiastro e
chioma ombrelliforme, estesa orizzontalmente, negli individui monumentali tabulare. Giovani rami e gemme grigio-vellutati,
fortemente ghiandolosi e puzzolenti come le foglie, che sono imparipennate, con rachide lunga 20-50 cm e 13-31 segmenti
lanceolati di 5-7×2-4 cm, irregolarmente dentati e asimmetrici alla base. Fiori poligamo-dioici (pianta funzionalmente dioica),
molto odorosi, in grandi pannocchie terminali lunghe 10-20 cm, verdastri, privi di calice, con 5 petali subacuminati; disco
nettarifero a 10 lobi; 10 stami nei fiori maschili, 2-3 i quelli bisessuali; ovario (fiori femminili) supero, con stimma 5-lobato. Il
frutto è una samara lanceolata, ritorta, con seme in posizione centrale, rossastra da acerba, poi paglierina.
Periodo di fioritura: giugno-luglio.
Area d’origine: Asia orientale (Cina temperata).
Habitat: Ruderati, incolti, boscaglie, argini e alvei fluviali, margini stradali e ferroviari, infraspazi urbani, muri, cortili, edifici
abbandonati.
Distribuzione nel territorio: Comunissima in tutto il territorio, dalla fascia planiziale a quella montana. Bergamo (INV),
Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia
(INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Italia verso il 1760 all’Orto Botanico di Padova. In Lombardia coltivata almeno dal
1825 nell’Orto Reale di Monza (Rossi, 1826) e naturalizzata almeno dal 1884 sulle mura di Milano (Omati, 1884) e dal 1897 nel
bresciano (Ugolini, 1897).
Modalità d’introduzione: Deliberata (collezioni di Orti botanici).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Pesante sulla biodiversità, sul paesaggio e sui manufatti antropici (mura, aree archeologiche, maciapiedi ecc.). È
specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata
alla l.r. 10/2008 della Lombardia; è inoltre inserita tra le specie esotiche a carattere infestante e dannose per la conservazione
della biodiversità riportate nel r.r. 5/2007.
Azioni di contenimento: Taglio, eradicazione, eliminazione delle radici isolate e correnti con relativi turioni e gemme;
monitoraggio continuato e prolungato, con interventi ripetuti ad ogni manifestazione pur minimale della pianta. L’uso di
erbicidi è di scarso aiuto.
Note: Dopo l’introduzione (1760), la pianta rimase per un certo tempo confinata ai giardini di appassionati che se ne scambiavano i semi e,
forse, già allora qualche individuo si era affermato all’esterno. Ma fu la seconda metà dell’Ottocento a decretarne l’invasione, poiché, a causa della
moria del comune baco da seta (Bombyx mori), venne sostituita al gelso e diffusa in tutti i territori delle filande, per l’allevamento di Philosamia
cynthia, baco da seta più resistente alle malattie. La sperimentazione si rivelò presto un insuccesso economico e non ebbe seguito, ma bastò per
innescare una delle più micidiali invasioni vegetali dell’occidente. L’ailanto, infatti, in ambito temperato, è forse l’aliena arborea più competitiva e
aggressiva, capace oltretutto di alterare allelopaticamente il suolo, impedendo alle legnose autoctone di recuperare i legittimi spazi. La sua forza sta
principalmente nel vigore vegetativo ed espansivo, nell’incredibile velocità di allungamento radicale con relativa pollonazione e nell’elevatissima
efficienza disseminativa, sostenuta dai movimenti d’aria. Ricordiamo, per quanto attiene il territorio nazionale, il grave caso dell’isola di Montecristo,
letteralmente invasa da questa aliena, dove sono stati necessari costosi e faticosi interventi di eliminazione, che non hanno risolto completamente
il problema e costringono a un continuo, attento monitoraggio. Il danno bioecologico procurato dall’ailanto è di gran lunga superiore a quello della
robinia (vedi scheda), perché comporta una pesante alterazione del chimismo del suolo e dei rapporti di competizione nelle cenosi legnose, con
vistosa caduta di biodiversità e omologazione del paesaggio.
Bibliografia: Giacomini, 1950; Omati, 1884; Rossi, 1826; Ugolini, 1897
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ibisco
palustre
Famiglia: Malvaceae (= Malvaceae subfam. Malvoideae)
Nome scientifico: Hibiscus moscheutos L. subsp. palustris (L.)
R.T.Clausen
Nome volgare: ibisco palustre
Basionimo: Hibiscus palustris L.
Sinonimi: Hibiscus aquaticus DC.
Hibiscus moscheutos L. subsp. roseus (Thore ex Loisel.) P.Fourn.
Hibiscus roseus Thore ex Loisel.
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne, multiassiale, alta 50-120 cm, con fusti semplici, diritti, cespitosi. Lamina fogliare
subrotonda o largamente ovata, di 8-15×4-9 cm, a margine denticolato, spesso inciso in 3 lobi poco profondi; pagina inferiore
tomentosa per peli stellati soffici; apice acuminato. Fiori ascellari su peduncoli di 4-6 cm; epicalice con circa 11 lacinie lineari;
calice a 5 sepali saldati nella metà prossimale; corolla di 5 petali uniformemente rosa, di rado bianchi, ricoprentisi ai margini,
lunghi 4-7 cm. Frutto costituito da una capsula a 5 valve, subsferica, larga 1-2 cm; semi reniformi.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Nordamerica orientale (dal Massachusetts al North Carolina e, verso ovest, fino all’Indiana).
Habitat: Entità di habitat palustre, dove cresce soprattutto al margine dei canali e nel canneto.
Distribuzione nel territorio: In Lombardia è naturalizzata unicamente nelle Valli del Mincio (Laghi di Mantova) e alla Palude
Brabbia (VA), in quest’ultima stazione anche nella forma a fiori bianchi; casuale nel bergamasco e bresciano. Bergamo (CAS),
Brescia (CAS), Mantova (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XVI. In Lombardia conosciuta già da Cesati (1844) e Bertoloni
(1847) per il mantovano.
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante sul piano bioecologico, più consistente su quello estetico e paesaggistico.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: L’entità nominale (subsp. moscheutos), distribuita in Virginia, Georgia, Florida, Alabama, Tennessee e Kentucky negli stessi ambienti umidi,
pur essa in vendita nei nostri garden center in cultivar dai fiori spesso giganti, unicolori o bicolori, si distingue per le foglie superiori mai lobate e
per i petali di norma bianchi, macchiati di porpora alla base. Sebbene Linneo avesse distinto i due taxa a rango specifico, i termini di passaggio fra
l’uno e l’altro sono ampiamente rappresentati in natura nei punti di contatto degli areali e la maggior parte degli autori americani è oggi propensa
a ritenere che i due morfotipi siano gli estremi geografici della variazione di una sola specie.
ibisco
vescicoso
Famiglia: Malvaceae (= Malvaceae subfam. Malvoideae)
Nome scientifico: Hibiscus trionum L.
Nome volgare: ibisco vescicoso
Sinonimi: Hibiscus africanus Mill.
Hibiscus hispidus Mill. Hibiscus ternatus Cav.
Hibiscus vesicarius Cav.
Ketmia trionum (L.) Scop.
Trionum annuum Medik.
Trionum trionum (L.) Wooton & Standl., comb. illeg.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 20-40 cm, con fusto gracile, eretto-ascendente. Picciolo fogliare lungo 2-4 cm. Foglie
larghe 3-6 cm, dimorfe, quelle alla base del fusto orbicolari, le superiori palmate con 3-5 lobi, a loro volta grossolanamente
lobati; pagina superiore della lamina ispida, sparsamente irsuta o glabrescente l’inferiore. Fiori solitari, ascellari; pedicelli lunghi
circa. 2.5 cm; epicalice di 12 lobi filiformi; calice con 5 lobi triangolari, verdastro, campanulato, membranoso e dopo la fioritura
rigonfio; corolla giallo pallido con centro porpora scuro, di 2-3 cm di diametro; stami monadelfi (saldati per i filamenti a
formare un tubo che avvolge l’ovario); ovario supero con stilo allungato e stimma capitato. Frutto consistente in una capsula
a 5 valve, oblungo-globosa, larga circa 1 cm, irsuta; semi neri, reniformi.
Periodo di fioritura: agosto-settembre.
Area d’origine: Africa, Asia (temperata e tropicale) ed Europa orientale (dai Balcani alla Russia).
Habitat: Infestante dei campi, soprattutto di quelli lasciati temporaneamente incolti, oppure ai margini degli stessi. Predilige
suolo umido con elevata componente argillosa.
Distribuzione nel territorio: Soprattutto in ambito planiziale, dove è presente in modo molto sporadico e incostante, con
popolazioni costituite di norma da pochi individui. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Milano (NAT), Mantova
(NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia dall’inizio del Cinquecento; in Lombardia coltivata almeno dal 1531 a
Cremona (Bonali, 2009).
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: La specie ha un modesto rilievo agroeconomico, perché come infestante è assai contenuta e poco competitiva.
Note: La fioritura è vistosa e intrigante, tuttavia nel suo habitat passa pressoché inosservata.
Bibliografia: Bonali, 2009
Bibliografia: Banfi, 1983; Bertoloni, 1847; Bird, 1997; Cesati, 1844
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polanisia
Famiglia: Cleomaceae
Nome scientifico: Polanisia trachysperma Torr. & A.Gray
Nome volgare: polanisia
Sinonimi: Polanisia dodecandra (L.) DC.
subsp. trachysperma (Torr. & A.Gray) Iltis
Polanisia dodecandra (L.) DC.
var. trachysperma (Torr. & A.Gray) Iltis
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 30-50 cm, viscoso-appicicaticcia al tatto, con fusto violaceo, eretto, semplice o
ramificato, densamente provvisto di peli ghiandolari. Foglie trifogliate con picciolo di 3-8 cm e segmenti ellittico-oblunghi
o lanceolati, lunghi 3-7 cm, ottusi, spesso acuminati. Nervi chiari, sporgenti sulla faccia abassiale. Infiorescenza a racemo
terminale allungato, provvisto di numerose brattee ellittiche, intere. Fiori su peduncoli eretti di 1-2 cm, con 4 sepali caduchi e
4 petali bianco-rosei, spatolato-bifidi, lunghi 8-12 mm; stami 12-16; ovario supero, sessile o sorretto da un brevissimo ginoforo.
I frutti sono capsule lineari od oblunghe, appiattite, spesso falcate, lunghe 30-70 mm, con valve reticolate; semi discoidali,
bruno-nerastri.
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Incolti, scarpate, greti sabbiosi dei fiumi.
Distribuzione nel territorio: Dalla fascia planiziale a quella collinare (0-500 m s.l.m.), soprattutto lungo il Po e i suoi affluenti.
Bergamo (CAS), Brescia (CAS), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombardia nel pavese da Pirola (1964a).
Modalità d’introduzione: Deliberata (giardinaggio).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Attualmente irrilevante, sebbene sussista il rischio di una certa concorrenza con le specie autoctone nei siti di
colonizzazione.
Azioni di contenimento: Monitoraggio periodico per valutare l’evoluzione demografica delle popolazioni sul territorio;
rimozione manuale in caso di necessità.
Bibliografia: Pirola, 1964a
borsa del
pastore a
fiori grandi
Famiglia: Brassicaceae
Nome scientifico: Capsella grandiflora (Fauché & Chaub.)
Boiss.
Nome volgare: borsa del pastore a fiori grandi
Basionimo: Thlaspi grandiflorum Fauché & Chaub.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta fino a 75 cm, con pelosità sparsa. Foglie basali in rosetta, con lamina intera, più
o meno lirata o pennatifida; foglie cauline sagittato-amplessicauli. Fiori profumati in racemo terminale nudo, con 4 sepali
eretti, non saccati, 4 petali bianchi, obovato-spatolati, lunghi 4-5 mm (2.5 volte i sepali); stami 6, tetradinami (4 lunghi, 2
brevi); ovario supero, bicarpellare. Il frutto è una siliqua angustisettata (a concamerazioni larghe quanto i semi), di forma
triangolare-obcordata, a lati diritti e lobi apicali arrotondati, all’apice profondamente smarginata (stilo lungo 0.25-0.7 mm),
arrotondato-attenuata alla base.
Periodo di fioritura: aprile-giugno.
Area d’origine: Penisola Balcanica, Egeo (Albania, Grecia).
Habitat: Incolti aridi su base calcarea.
Distribuzione nel territorio: Pianura, soprattutto nella zona del Lago d’Iseo (BG e BS). Bergamo (INV), Brescia (INV), Lecco
(CAS), Milano (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia a fine Ottocento in Friuli-Venezia Giulia; naturalizzata
in Lombardia almeno dal 1939 (Arietti, 1974; Arietti & Crescini, 1980).
Modalità d’introduzione: Non conosciuta, probabilmente deliberata per fini ornamentali.
Status: Invasiva.
Dannosa: No.
Impatto: Paesaggistico di rilevanza locale (vistosa fioritura bianca).
Azioni di contenimento: Finora non necessarie.
Note: Nell’area d’origine, la nicchia primaria della specie è rappresentata da pendii rocciosi calcarei, ma da qui essa si spinge in ambienti secondari
antropogenici, quali incolti e ruderati. È grazie a tale adattabilità che la pianta ha potuto affermarsi nel nostro territorio, inserendosi in habitat
secondari a bassa competizione. Dello stesso genere sono ben note le due specie autoctone C. bursa-pastoris (L.) Medik. e C. rubella Reut., spesso
difficili da distinguere tra loro e a volte poste in sinonimia, ma ben separabili dall’aliena per i fiori inodori, assai meno vistosi (petali di 1.5-3 mm,
lunghi non più del doppio dei sepali) e per il frutto decisamente triangolare a base cuneata e lobi apicali da subacuti a ottusi, mai arrotondati, con
smarginatura mediana appena apprezzabile. Sono tutte entità ruderali.
Bibliografia: Arietti, 1974; Arietti & Crescini, 1980
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lappolina
americana
Famiglia: Brassicaceae
Nome scientifico: Lepidium didymum L.
Nome volgare: lappolina americana
Sinonimi: Carara didyma (L.) Britton
Coronopus didymus (L.) Sm.
Senebiera didyma (L.) Pers.
Senebiera pinnatifida DC., nom. illeg.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 5-25 cm, con fusti cilindrici ramosissimi, striscianti al suolo. Foglie alterne, le inferiori
bipennatosette, lunghe 3-8 cm, perlopiù con 9 segmenti lunghi 2-3 mm, interi, oppure con 1-2 denti sul lato rivolto verso
l’apice; le cauline semplicemente pennatosette e grigio-verdastre. Fiori piccoli, bianchi, riuniti in brevi racemi sessili, poco
appariscenti. Peduncoli lunghi 1.5-3.5 mm; sepali di 1 mm; petali di 2 mm; stami 6, didinami (2 lunghi, 4 brevi). Il frutto è una
siliqua rugosa di 1.5×2-3 mm, smarginata all’apice, contenente semi reniformi, giallastri o arancioni.
Periodo di fioritura: marzo-luglio.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Siti ruderali e semiruderali (sentieri, strade rurali, macerie, aree abbandonate, base dei muri ed edifici, marciapiedi,
ferrovie e scarpate), tappeti erbosi, parchi, giardini, viali e cimiteri; generalmente in aree a forte calpestio.
Distribuzione nel territorio: Dalla pianura alla bassa montagna (0-950 m s.l.m.), soprattutto nelle città. Bergamo (NAT),
Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Sondrio (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Italia alla fine del XVIII secolo, in Lombardia raccolta per la prima volta nel 1914
(campione raccolto da P. Rossi a Mandello Lario (LC) e conservato nell’Erbario dell’Università di Pavia, PAV) e segnalata da
Cobau (1916) a Milano.
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Bibliografia: Cobau, 1916
lepidio
della Virginia
Famiglia: Brassicaceae
Nome scientifico: Lepidium virginicum L.
Nome volgare: lepidio della Virginia
Sinonimi: Crucifera virginica (L.) E.H.L.Krause
Iberis virginica (L.) Fisch. & C.A.Mey.
Nasturtium virginicum (L.) Kuntze
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta annuale erbacea, alta 20-50 cm, con fittone sottile e fusto eretto, spesso arrossato alla base, ramoso,
corimboso in alto, peloso per peli riflessi. Foglie alterne, le basali lunghe fino a 8 cm, con lamina lirata, brevemente setolosa;
le cauline più brevi, intere, in genere con 3-7 denti apicali. Fiori in racemi terminali cilindrici; sepali 4, lunghi 0.6-1 mm; petali
4, talora assenti, bianchi, superanti i sepali in lunghezza; stami 6, tetradinami (4 lunghi, 2 brevi); ovario supero, bicarpellare.
I frutti sono silique suborbicolari di 2-4×2-4 mm, con stretta ala marginale verso l’apice, che è debolmente retuso, e con 2
logge contenenti ciascuna un seme.
Periodo di fioritura: maggio-novembre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Ambienti ruderali e semiruderali (sentieri, strade rurali, macerie, aree abbandonate, base dei muri ed edifici, ferrovie
e scarpate, marciapiedi e luoghi calpestati), lungo i fiumi, incolti e coltivi.
Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla fascia planiziale alla bassa montagna (0-800 m s.l.m.). Bergamo (INV), Brescia
(INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV),
Sondrio (INV), Varese (INV). [L. densiflorum: Bergamo (EST), Brescia (NAT), Lecco (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia
(NAT), Sondrio (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia a metà del XVII secolo (Ugolini, 1923); in Lombardia presente almeno dal
1785 (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Scopoli, 1785) come pianta coltivata e dal 1882 come naturalizzata
presso Cassano d’Adda (Micheletti, 1889).
Modalità d’introduzione: Deliberata (pianta officinale).
Status: Invasiva.
Dannosa: In modo limitato.
Impatto: Localizzato, sulla diversità delle comunità ruderali e sul relativo paesaggio; unisce capacità competitiva a una
biostrategia di tipo ruderale (autoimpollinazione, abbondanza di semi per individuo ecc.), con il risultato di formare, per lunghi
tratti di superficie e in breve tempo, densi popolamenti quasi monofitici, specialmente in abbondanza di nutrienti.
Azioni di contenimento: Occorre evitare azioni che ne esaltino la diffusione, come lasciare denudato il suolo, o movimentare
incontrollatamente il terreno, facilitando in entrambi i casi l’insediamento dei semi. Il contenimento si effettua tramite
sfalcio selettivo (da ripetere 2-3 volte prima della fioritura), eventualmente coadiuvato dall’impiego di erbicidi; se possibile,
provvedere al più presto alla semina di specie indigene o alla piantumazione di arbusti autoctoni ombreggianti.
Note: Nel territorio si rinviene un’altra aliena neofita naturalizzata del genere Lepidium, L. densiflorum Schrad. (= L. neglectum Thell.; lepidio
densifloro), nota in Lombardia dal 1922. Si riconosce per i petali più brevi dei sepali e per i frutti più piccoli (2.5×1.5-2 mm). Dal punto di vista
ecologico, anch’essa si rinviene prevalentemente in ambito urbano (edificati e infrastrutture), ma pure in situazioni ruderali e di generico disturbo
antropico, più comunemente in montagna e fino alla quota di 1˙750 m s.l.m.
Qua e là, nei pressi dei luoghi di coltivazione (aliena casuale), si può trovare anche un’archeofita originaria di Asia occidentale e India, L. sativum L.
(crescione inglese), facilmente riconoscibile per i petali di 2-3 mm e i frutti di 5-6 mm.
Bibliografia: Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Micheletti, 1889; Scopoli; Ugolini, 1922a, 1923
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crescione
austriaco
Famiglia: Brassicaceae
Nome scientifico: Rorippa austriaca (Crantz) Besser
Nome volgare: crescione austriaco
Basionimo: Nasturtium austriacum Crantz
Sinonimi: Brachiolobos austriacus (Crantz) Schur
Camelina austriaca (Crantz) Pers.
Cochlearia austriaca (Crantz) Ledeb.
Myagrum austriacum (Crantz) Jacq.
Radicula austriaca (Crantz) Small
Rorippa austriaca (Crantz) Spach, comb. superfl.
erba
cornacchia
di Loesel
Famiglia: Brassicaceae
Nome scientifico: Sisymbrium loeselii L.
Nome volgare: erba-cornacchia di Loesel
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne, robusta, alta 30-100 cm, con rizoma stolonifero e fusto eretto, ramoso, a volte lignificato
alla base. Foglie intere, ellittiche o lanceolate, irregolarmente dentate o seghettate ai margini, le cauline amplessicauli con
evidenti orecchiette. Infiorescenze terminali a racemo corimbiforme; peduncoli fiorali lunghi 7-15 mm, ascendenti, talvolta
ricurvi all’estremità. Fiori con calice di 4 sepali e corolla di 4 petali lunghi 2-4 mm, gialli, circa una volta e mezza più lunghi dei
sepali; stami 6, tetradinami (4 lunghi e 2 corti). I frutti sono silique subglobose, 2.5-3.5×1.5-2.5 mm, meno di una volta e mezza
più lunghe che larghe, sormontate dallo stilo persistente, lungo 1-2 mm.
Periodo di fioritura: maggio-luglio.
Area d’origine: Europa centrale e orientale (esclusa l’Italia).
Habitat: Ambienti ± umidi, anche temporaneamente inondati, quali stagni, fossi, rive e solchi nei campi. Si rinviene anche
in ambiente ruderale e semiruderale (sentieri, lungo le strade, macerie, aree abbandonate, base dei muri ed edifici, ferrovie e
scarpate), oltre che in talune aiuole urbane.
Distribuzione nel territorio: Presenza sporadica su tutto il territorio regionale, soprattutto dalla fascia planiziale a quella
bassomontana, tra 0 e 700 m s.l.m. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT),
Sondrio (NAT), Varese (NAT). [R. armoracioides Lecco (CAS), Milano (NAT), Pavia (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta al principio del XIX secolo; segnalata per la prima volta in Italia presso Parma da
Bertoloni (1854), ma raccolta per la prima volta da Giorgio Jan sempre a Parma, nel 1818 e 1832 (Ugolini, 1922b). In Lombardia
raccolta per la prima volta a Brescia nel 1969 (Arietti & Crescini, 1975).
Modalità d’introduzione: Accidentale, probabilmente con le truppe austriache (Béguinot & Mazza, 1916a).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Attualmente irrilevante.
Azioni di contenimento: Monitoraggio periodico per valutare l’evoluzione demografica delle popolazioni sul territorio. Dove
necessario si può procedere all’estirpazione manuale o alla sarchiatura.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 20-100(-150) cm, a fusto eretto, con rami alterni, ispida per peli riflessi. Foglie
pennatosette, lirate o sinuate, con lobo terminale triangolare-ovato o triangolare - oblungo. Fiori in racemo terminale
allungantesi alla fruttificazione, con 4 sepali eretto-patenti di 2.5 mm e 4 petali liberi, gialli, interi e spatolati, lunghi 4-7 mm;
stami 6, tetradinami (4 interni a lungo filamento e due esterni a filamento raccorciato); ovario lineare, supero, con stilo molto
breve e stimma bilobato. I frutti sono silique lineari di 15-45×0.7-1 mm, eretto-patenti, portate da pedicelli più sottili di
esse (0.3-0.6 mm), con setto mediano ialino (replo), su cui poggiano in fila verticale i semi, piccoli e brunastri, placentati
alternatamente ai margini dei carpelli.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
Area d’origine: Europa centrale e orientale.
Habitat: Ruderi, macerie, incolti.
Distribuzione nel territorio: Collinare e planiziale, nella porzione centro-orientale del territorio (province di Lecco, Bergamo,
Brescia e Mantova). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Lecco (NAT), Mantova (NAT). [S. volgense: Brescia (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in periodo imprecisato.
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Note: Nel territorio si rinviene un’altra aliena neofita naturalizzata del genere Rorippa, R. armoracioides (Tausch) Fuss (= Nasturtium armoracioides
Tausch; crescione a foglie di cren), ibrido fissato tra l’esotica Rorippa austriaca e l’autoctona × R. sylvestris (L.) Besser; sebbene sia stata segnalata per
la prima volta già dal Cesati (1844), non si è sicuri della correttezza della sua determinazione e la sua prima raccolta certa in Lombardia è del 1985
(Soldano, 1986). Si riconosce per le foglie fortemente lobate e i frutti più di una volta e mezza più lunghi che larghi (lunghi 3-9 mm).
Bibliografia: Zanotti, 2010
Note: Questo genere nel nostro territorio comprende diverse specie autoctone, tutte a comportamento sinantropico (ruderi, incolti, margini ecc.),
la più diffusa delle quali è S. officinale (L.) Scop., riconoscibile per i fiori molto piccoli e le silique a forma di cono allungato, lunghe non più di 16
mm, pubescenti, strettamente appressate all’asse dell’infiorescenza. Di recente, nella pianura bresciana è comparsa un’altra aliena naturalizzata
appartenente a questo genere (Zanotti, 2010); si tratta dell’erba-cornacchia del Volga o senape russa (S. volgense M.Bieb. ex E.Fourn.), simile a S.
loeselii, ma perenne e rizomatosa. Infine, tra le aliene dubbie vi è l’erba-cornacchia orientale (S. orientale L.), con silique lunghe (2.5-)5-12 cm e
portate da pedicelli spessi circa quanto queste (ca. 1 mm).
Bibliografia: Arietti & Crescini, 1975; Béguinot & Mazza, 1916a; Bertoloni, 1854; Cesati, 1844; Soldano, 1986; Ugolini, 1922b
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poligono
russo
Famiglia: Polygonaceae
Nome scientifico: Fallopia baldschuanica (Regel) Holub
Nome volgare: poligono russo, velo di sposa
Basionimo: Polygonum baldschuanicum Regel
Sinonimi: Fallopia aubertii (L.Henry) Holub
Polygonum aubertii L.Henry
Tipo biologico: Plian
Descrizione: Liana perenne, non rizomatosa, con fusti legnosi, rampicanti, lunghi 3-10 m. Foglie alterne, provviste di fascetti
ascellari, con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 3-8 mm, generalmente
decidua, membranosa, brunastra, da obliqua a troncata all’apice, non fimbriata; lamina opaca, ovato-lanceolata, 3-10×1-5 cm,
acuta all’apice, subcordata alla base, intera o irregolarmente crenata; picciolo di 1-4 cm, alla base con una fossetta nettarifera
sul lato esterno. Infiorescenze panicoliformi, lunghe 3-15 cm, ascellari e terminali; tepali 5, bianco-verdastri con ala bianca o
rosati, raramente rosa, i 3 esterni alati e accrescenti nel frutto; stami 6-8. Il frutto è un achenio marrone scuro o nero, trigono,
lungo 2-4 mm, liscio e lucido.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: Asia centrale (Sichuan, Tagichistan, Uzbechistan).
Habitat: Boschi e cespuglieti.
Distribuzione nel territorio: Coltivata per ornamento e naturalizzata in gran parte del territorio (0-500 m s.l.m.). Bergamo
(NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (CAS), Sondrio
(NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, scoperta nel 1883 nel Bukhara (Uzbechistan) e portata nel Giardino botanico di San
Pietroburgo, dove ha fiorito e fruttificato nel 1896; da qui i semi sono stati distribuiti in vari Orti botanici europei. Presente
in Lombardia almeno dal 1928 come pianta coltivata (campione raccolto da L. Ceroni a Canneto Pavese -PV- e conservato
nell’Erbario di Pavia, PAV) e almeno dal 1982 come naturalizzata (Pignatti, 1982).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Data la modesta diffusione di questa specie l’impatto è attualmente trascurabile. Tuttavia, a causa dell’elevato vigore
la pianta è potenzialmente invasiva e va mantenuta sotto controllo.
Azioni di contenimento: Taglio dalla base e rimozione delle radici.
Note: Piante con fiori più piccoli e bianchi o verdastri (a volte leggermente rosati, ma non chiaramente rosa), assi delle infiorescenze maggiormente
papillosi o scabri, margini fogliari maggiormente ondulati e acheni più piccoli sono descritte come F. aubertii; tuttavia rientrano nella normale
variabilità di F. baldschuanica.
In Lombardia sono presenti anche due specie del genere Fagopyrum, coltivate per l’alimentazione (utilizzate per la preparazione di piatti
tradizionali come i pizzoccheri e la polenta taragna) e raramente osservate casuali. Hanno foglie con base astata, relativamente simili a quelle del
genere Fallopia, ma sono annuali e presentano un achenio lungo 2-3 volte i tepali.
Sono:
• F. esculentum Moench (= Polygonum fagopyrum L.; grano saraceno comune), con acheni nettamente trigoni, a facce e spigoli lisci;
tepali (2.5-)3-5 mm, da bianco-crema a rosa chiaro; infiorescenze panicoliformi, lunghe 1-4 cm, terminali e ascellari, generalmente raggruppate
all’apice del fusto; peduncoli non articolati;
• F. tataricum (L.) Gaertn. (= Polygonum t. L.; grano saraceno siberiano), con acheni debolmente trigoni, a facce irregolarmente rugose e spigoli
spesso sinuato-dentati; tepali 1.5-3 mm, verdi con margine biancastro; infiorescenze racemiformi, lunghe 2-10 cm, ascellari, non raggruppate
all’apice del fusto; peduncoli articolati, circa a metà.
poligono
multifloro
Famiglia: Polygonaceae
Nome scientifico: Fallopia multiflora (Thunb.) Haraldson
Nome volgare: poligono multifloro
Basionimo: Polygonum multiflorum Thunb.
Sinonimi: Fallopia multiflora (Thunb.) Czerep., comb. superfl.
Pleuropterus cordatus Turcz., nom. illeg.
Pleuropterus multiflorus (Thunb.) Nakai
Tipo biologico: Plian
Descrizione: Liana perenne, rizomatosa, con fusti erbacei, legnosi soltanto alla base, rampicanti (generalmente avvolti verso
destra), lunghi 2-10 m. Foglie alterne, senza fascetti ascellari, con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole,
tipica delle Polygonaceae) lunga 3-5 mm, persistente o decidua, membranosa, brunastra, obliqua all’apice, non fimbriata;
lamina lucida, ovata, 3-15×2-7 cm, acuminata all’apice, cordata alla base, intera; picciolo di 1-7 cm, alla base con una fossetta
nettarifera sul lato esterno. Infiorescenze panicoliformi, ampie e ramificate, lunghe 10-20 cm, ascellari e terminali; tepali 5,
bianchi, i 3 esterni alati e accrescenti nel frutto; stami 8. Il frutto è un achenio marrone scuro o nero, trigono, lungo 2.5-3 mm,
liscio e lucido.
Periodo di fioritura: ottobre.
Area d’origine: Asia orientale (Cina).
Habitat: Boschi e cespuglieti.
Distribuzione nel territorio: Coltivata per ornamento e naturalizzata nelle fasce planiziale e collinare (50-500 m s.l.m.).
Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Milano (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa probabilmente alla fine del XIX secolo; in passato spesso confusa con
Fallopia baldschuanica o Reynoutria japonica. Segnalata per la prima volta in Italia e Lombardia da Galasso et al. (2006b).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Data la modesta diffusione di questa specie l’impatto è attualmente trascurabile. Tuttavia, a causa dell’elevato vigore
la pianta è potenzialmente invasiva e va mantenuta sotto controllo.
Azioni di contenimento: Taglio dalla base e rimozione dei rizomi.
Note: Specie tradizionalmente confusa con F. baldschuanica dalla quale è facilmente riconoscibile, oltre che per la fioritura tardiva, per i fusti
legnosi soltanto alla base, la presenza di rizomi e per le foglie più grandi (lamina fino a 15×7 cm), nettamente cordate alla base, acuminate all’apice
e prive di fascetti ascellari. In passato confusa anche con Reynoutria japonica.
Bibliografia: Galasso, 2009; Galasso & Ceffali, 2008; Galasso et al., 2006b
Bibliografia: Crescini & Tagliaferri, 1994a; Galasso, 2009; Pignatti, 1982
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poligono
filiforme
Famiglia: Polygonaceae
Nome scientifico: Persicaria filiformis (Thunb.) Nakai
Nome volgare: poligono filiforme
Basionimo: Polygonum filiforme Thunb.
Sinonimi: Antenoron filiforme (Thunb.) Roberty & Vautier
Polygonum virginianum (L.) Raf. var. filiforme (Thunb.) Nakai
Sunania filiformis (Thunb.) Raf.
Tovara filiformis (Thunb.) Nakai
Tovara virginiana (L.) Raf. var. filiformis (Thunb.) Steward
Tipo biologico: Grhiz
Descrizione: Erba perenne, rizomatosa, alta fino a 130 cm, eretta, simile a P. virginiana con la quale spesso convive. Foglie
alterne con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 10-20 mm, bruna,
ialina, troncata all’apice, fimbriata; lamina obovata, 5-17.5×2-10 cm, con apice ottuso brevemente acuminato, sessile o con
picciolo lungo fino a 2 cm. Infiorescenze spiciformi, strettamente lineari, lunghe (5-)10-35 cm, terminali e ascellari, con fiori
distanziati; perianzio rosa o rossastro; stili persistenti nel frutto, induriti e ricurvi a uncino. Il frutto è un achenio biconvesso,
marrone, lungo 3.5-4 mm.
Periodo di fioritura: agosto-settembre.
Area d’origine: Asia orientale.
Habitat: Margini di sentieri boschivi, radure.
Distribuzione nel territorio: Brianza (150-300 m s.l.m.). Como (INV), Monza e Brianza (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in periodo imprecisato, probabilmente nella prima metà del XX secolo;
nell’erbario del Museo di Storia Naturale di Milano (MSNM) è conservato un campione di una pianta coltivata in Lombardia
risalente al 1935. Segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia da Galasso & Brusa (2007), i primi campioni raccolti in
natura sono del 2006, ma, data la sua abbondanza nelle stazioni segnalate, il suo arrivo risale sicuramente a numerosi anni
prima.
Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Forma popolamenti monofitici o misti con la congenere P. virginiana, lunghi centinaia di metri ma soltanto nelle
radure e ai margini dei sentieri boschivi.
Note: Specie morfologicamente e filogeneticamente affine a P. virginiana, con la quale spesso convive (ma i loro areali primari sono completamente
distinti); tuttavia non sono mai stati osservati ibridi, forse anche a causa del leggero sfasamento del periodo di fioritura. Si distingue da quest’ultima
per le foglie obovate, ottuse all’apice e per i tepali rosa o rossastri.
In commercio si trovano comunemente le cultivar ‘Painter’s Palette’ (variegata di crema, verde chiaro e rosso) e ‘Variegata’ (macchiata di crema).
poligono
della Virginia
Famiglia: Polygonaceae
Nome scientifico: Persicaria virginiana (L.) Gaertn.
Nome volgare: poligono della Virginia
Basionimo: Polygonum virginianum L.
Sinonimi: Antenoron virginianum (L.) Roberty & Vautier
Tovara virginiana (Thunb.) Raf.
Tipo biologico: Grhiz
Descrizione: Erba perenne, rizomatosa, alta fino a 130 cm, eretta. Foglie alterne con ocrea (guaina tubolare derivata dalla
fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 10-20 mm, bruna, ialina, troncata all’apice, fimbriata; lamina ovata,
5-17.5×2-10 cm, con apice acuto o acuminato, sessile o con picciolo lungo fino a 2 cm. Infiorescenze spiciformi, strettamente
lineari, lunghe (5-)10-35 cm, terminali e ascellari, con fiori distanziati; perianzio bianco o bianco-verdastro, raramente rosa; stili
persistenti nel frutto, induriti e ricurvi a uncino. Il frutto è un achenio biconvesso, marrone, lungo 3.5-4 mm.
Periodo di fioritura: luglio-agosto.
Area d’origine: Nordamerica orientale.
Habitat: Margini di sentieri boschivi, radure.
Distribuzione nel territorio: Brianza (150-300 m s.l.m.). Como (INV), Lecco (INV), Monza e Brianza (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in periodo imprecisato, probabilmente nel XX secolo. Segnalata per la
prima volta in Italia e in Lombardia da Banfi & Galasso (2005); in seguito ne è stato precisato l’areale (Galasso et al., 2006d;
Galasso & Brusa, 2007). I primi campioni raccolti risalgono al 1995.
Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Forma popolamenti monofitici o misti con la congenere P. filiformis, lunghi centinaia di metri ma soltanto nelle
radure e ai margini dei sentieri boschivi.
Note: Specie morfologicamente e filogeneticamente affine a P. filiformis, con la quale spesso convive (ma i loro areali primari sono completamente
distinti); tuttavia non sono mai stati osservati ibridi, forse anche a causa del leggero sfasamento del periodo di fioritura. Si distingue da quest’ultima
per le foglie ovate, acute all’apice e per i tepali verdastri o bianchi, raramente rosa.
Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Galasso, 2009; Galasso & Brusa, 2007; Galasso et al., 2006d
Bibliografia: Galasso, 2009; Galasso & Brusa, 2007
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poligono
cespitoso
Famiglia: Polygonaceae
Nome scientifico: Persicaria longiseta (Bruijn) Kitag.
Nome volgare: poligono cespitoso
Basionimo: Polygonum longisetum Bruijn
Sinonimi: Persicaria blumei (Meisn. ex Miq.) H.Gross
Persicaria caespitosa (Blume) Nakai
var. longiseta (Bruijn) C.F.Reed
Persicaria longiseta (Bruijn) Moldenke, comb. superfl.
Polygonum blumei Meisn. ex Miq.
Polygonum caespitosum Blume
var. longisetum (Bruijn) Steward
Tipo biologico: Tcaesp
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 30-80 cm, densamente cespitosa, con fusti ramificati dalla base, glabri, con rami
decombenti e ascendenti, radicanti ai nodi basali. Foglie alterne con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle
stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 5-12 mm, ialina o bruno chiara, troncata all’apice, fimbriata; lamina a forma di rombo
allungato, 2-8×1-3 cm, pagina inferiore senza ghiandole e superiore senza macchia nera, subsessile o con breve picciolo
lungo fino a 0.1-0.3(-0.6) cm. Infiorescenze spiciformi, terminali e ascellari, lasse e interrotte, lunghe 1-4(-8) cm; perianzio rosa.
Il frutto è un achenio trigono, lungo 1.6-2.3 mm, marrone scuro o nero, lucido.
Periodo di fioritura: maggio-ottobre.
Area d’origine: Asia orientale.
Habitat: Margini di sentieri boschivi.
Distribuzione nel territorio: Brianza (150-300 m s.l.m.). Monza e Brianza (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in periodo imprecisato, probabilmente verso la fine del XX secolo.
Segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia da Galasso (2007), i primi campioni raccolti in natura sono del 2006.
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Data la modesta diffusione di questa specie, l’impatto è attualmente trascurabile.
Note: Simile alle autoctone P. dubia, P. hydropiper e P. minor, si distingue agevolmente da queste per l’assenza di ghiandole sui tepali e per essere
densamente cespitosa e ramificata, con lunghi rami prostrati e radicanti ai nodi basali.
Bibliografia: Galasso, 2007, 2009
poligono
del Nepal
Famiglia: Polygonaceae
Nome scientifico: Persicaria nepalensis (Meisn.) H.Gross
Nome volgare: poligono del Nepal
Basionimo: Polygonum nepalense Meisn.
Tipo biologico: Tcaesp
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 5-40 cm, con fusti prostrato-diffusi e ascendenti, ramosissimi, spesso radicanti alla
base. Foglie alterne con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 4-10 mm,
bruna o ialina, cartacea, obliqua all’apice, non fimbriata; lamina triangolare-ovata, 1.5-5×1-4 cm, punteggiata di ghiandole
sulla pagina inferiore; foglie inferiori con picciolo lungo fino a 3 cm, alato e auricolato alla base, le superiori subsessili o
abbraccianti il fusto. Infiorescenze capitate, terminali e ascellari, sottese da una brattea fogliacea; perianzio bianco, rosa o
rosso. Il frutto è un achenio biconvesso, lungo 1.5-2 mm, opaco.
Periodo di fioritura: agosto-settembre.
Area d’origine: Asia.
Habitat: Margini di sentieri freschi, greti.
Distribuzione nel territorio: Prealpi occidentali (varesino, 200-300 m s.l.m.). Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in periodo imprecisato, probabilmente nel XX secolo. Segnalata per la
prima volta in Italia e in Lombardia da Becherer (1966), che l’ha raccolta nel 1964 sulle rive del Lago di Varese; sebbene nel
1972 fosse qui in regresso (Stucchi, 1972) oggi è divenuta invasiva in gran parte del varesino.
Modalità d’introduzione: Probabilmente deliberata, per floricoltura.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Forma popolamenti quasi monofitici, lunghi centinaia di metri ma soltanto ai margini dei sentieri boschivi e dei
torrenti.
Note: Raramente è coltivata P. microcephala (D.Don) H.Gross (= Polygonum m. D.Don), perenne, più alta e con foglie più lunghe; in commercio è
diffusa la cultivar ‘Red Dragon’ con foglie rosse. Sinora non ha mostrato tendenza ad avventiziare.
Simile è anche P. capitata (Buch.-Ham. ex D.Don) H.Gross (= Polygonum c. Buch.-Ham. ex D.Don; poligono capitato). È una pianta perenne, legnosa
alla base, con pagina inferiore delle foglie provvista di peli ghiandolari e con acheni trigoni, lucidi; coltivata per ornamento, è naturalizzata sulla riva
piemontese del Lago Maggiore ma non è stata ancora osservata in Lombardia.
Bibliografia: Becherer, 1966; Galasso, 2009; Stucchi, 1972
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poligono
della
Pennsylvania
Famiglia: Polygonaceae
Nome scientifico: Persicaria pensylvanica (L.) M.Gómez
Nome volgare: poligono della Pennsylvania
Basionimo: Polygonum pensylvanicum L.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-200 cm, con fusto ascendente o eretto, glabro o distalmente provvisto di
pubescenza appressata o peli ghiandolari. Foglie alterne con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole,
tipica delle Polygonaceae) lunga 5-20 mm, brunastra, troncata all’apice, non fimbriata (o con fimbrie brevissime); lamina
lanceolata, 4-17(-23)×(0.5-)1-4.8 cm, a volte con una chiazza scura a V rovesciata sulla pagina superiore e con ghiandole
sull’inferiore, subsessile o con breve picciolo lungo fino a 0.1-2(-3) cm. Infiorescenze spiciformi, terminali e ascellari, dense,
erette o raramente nutanti, lunghe 0.5-5 cm, con ghiandole stipitate; perianzio da bianco-verdastro a rosato. Il frutto è un
achenio discoidale, raramente trigono, lungo 2.1-3.4 mm, marrone o nero, lucido.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Sabbia umida, ciottoli e pietrisco, sui greti.
Distribuzione nel territorio: In espansione lungo il Ticino, il Po e i principali fiumi (0-500 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Cremona
(NAT), Milano (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia (Friuli-Venezia Giulia) da Melzer (1988), in Lombardia
da Banfi & Galasso (2005); in seguito Brusa & Galasso (2006) ne hanno precisato l’areale lombardo. Le prime osservazioni
regionali risalgono al 2002.
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Invasiva.
Dannosa: Potenzialmente.
Impatto: Deprime la biodiversità delle cenosi in cui si insedia, a scapito delle specie autoctone.
Azioni di contenimento: Le uniche azioni proponibili rientrano nel quadro di un recupero generale degli ambienti umidi.
Note: Specie allotetraploide e morfologicamente variabile, al cui interno gli autori nordamericani hanno spesso accettato 3-4 varietà, che risultano
tuttavia basate su caratteri non costanti (sia fra le popolazioni sia al loro interno) e quindi sistematicamente non significative (Hinds & Freeman,
2005). Può essere confusa con l’autoctona P. lapathifolia (L.) Delarbre, dalla quale si distingue agevolmente per i fiori più grandi, le infiorescenze
pressoché erette e la presenza di evidenti peli ghiandolari (col peduncolo > del diametro della ghiandola) sulla parte superiore del fusto, sui rami
dell’infiorescenza e sui pedicelli fiorali; inoltre i tepali esterni hanno nervature non prominenti e non terminanti ad ancora.
In Lombardia è stata osservata come casuale P. orientalis (L.) Spach (= Polygonum o. L.; poligono orientale), coltivata per ornamento e avventizia
presso le abitazioni, che si distingue per le foglie ovate, larghe 3-17 cm, con l’ocrea all’apice espansa in un’ala fogliacea verde. Nel limitrofo Veneto è
presente anche P. bungeana (Turcz.) Nakai (= Polygonum b. Turcz.; poligono di Bunge), infestante le colture di mais, caratterizzata dal fusto provvisto
di spinule ricurve (Galasso & Tomasi, 2007).
Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Brusa & Galasso, 2006; Galasso, 2009; Galasso & Tomasi, 2007; Hinds & Freeman, 2005; Melzer, 1988
poligono
di Boemia
Famiglia: Polygonaceae
Nome scientifico: Reynoutria bohemica Chrtek & Chrtková, pro hybr.
Nome volgare: poligono di Boemia
Sinonimo: Fallopia bohemica (Chrtek & Chrtková) J.P.Bailey, pro hybr.
Polygonum bohemicum (Chrtek & Chrtková) Zika & Jacobson, pro hybr.
Reynoutria ×vivax auct., non J.Schmitz & Strank
Fallopia japonica × sachalinensis
Tipo biologico: Grhiz
Descrizione: Pianta erbacea perenne, rizomatosa, alta fino a 2-3(-3.5) m, con fusti eretti e ramificati. Foglie alterne con ocrea
(guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 4-6(-10) mm, bruna, obliqua all’apice,
non fimbriata; lamina ovata, (15-)20-25(-30)×12-20(-23) cm, leggermente cordata o cordato-troncata alla base e lungamente
acuminata all’apice, non o solo leggermente cuspidato-caudata; nervature della pagina inferiore con peli unicellulari, corti e
rigidi, ingrossati alla base; nervature terziarie e quaternarie poco visibili sulla pagina superiore; picciolo di 1-3 cm, alla base con
una fossetta nettarifera sul lato esterno. Infiorescenze panicoliformi, lunghe 4-12 cm, ascellari e terminali; fiori funzionalmente
unisessuali (su una stessa pianta possono essere presenti entrambi i tipi di fiori o soltanto quelli femminili); tepali 5, bianchi
o bianco-verdastri, i 3 esterni leggermente alati e accrescenti nel frutto; stami 8, sporgenti dai tepali (nei fiori maschili) o più
brevi e ridotti a staminodi (in quelli femminili). Il frutto è un achenio marrone scuro, trigono, lungo 2.6-3.2 mm, liscio e lucido.
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: Sconosciuta, probabilmente orticola (in Europa).
Habitat: Fiumi, margini, incolti.
Distribuzione nel territorio: Lombardia occidentale, nelle fasce planiziale e collinare (50-600 m s.l.m.). Monza e Brianza
(INV), Milano (INV), Pavia (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta od originatasi in Europa a fine Ottocento: esiste un campione raccolto in
Inghilterra nel 1872 (Bailey & Conolly, 2000). In Italia è naturalizzata forse già dal 1933, anche se i primi campioni d’erbario visti
sono del 1977; i primi campioni lombardi sono del 2006 (Vaccaneo 1933, Padula et al., 2008). Segnalata per la prima volta in
Italia (e in Lombardia) da Gariboldi et al., (2007) e Padula et al. (2008).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: I popolamenti densi che forma costituiscono ovunque una minaccia per le flore e le vegetazioni indigene,
causando una perdita di biodiversità. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio,
contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia.
Azioni di contenimento: È specie difficile da eliminare, in quanto ogni pianta produce rizomi in un raggio di 7 m e fino a
una profondità di 3 m. Bisogna cercare innanzitutto di non diffondere i rizomi: piccoli frammenti possono dare vita a nuovi
individui. Tutte le parti della pianta devono essere incenerite, in nessun caso compostate. Secondo quanto riportato sul sito
svizzero CPS (http://www.cps-skew.ch/), le strategie per impedire l’espansione dei poligoni comprendono la lotta meccanica
(con tagli mensili per almeno 5 anni consecutivi che indeboliscano i rizomi), il pascolo caprino e ovino, la lotta chimica.
Note: Il genere Reynoutria è estremamente variabile per morfologia e numero cromosomico, originando così una confusione tassonomica e
una difficoltà nel determinare i limiti tra le specie; inoltre l’ibridazione infraspecifica è relativamente comune. Il carattere diacritico principale
per il riconoscimento delle specie è quello relativo alla forma delle lamine delle foglie mediane del fusto, che purtroppo solo raramente sono
raccolte e conservate negli erbari. Inoltre può essere presa in considerazione la pelosità della pagina inferiore, mentre quella della superiore e
dei margini non è diagnostica. I peli possono essere osservati agevolmente fin verso metà settembre, soprattutto lungo le nervature della metà
inferiore della lamina; in seguito tendono a cadere. Tuttavia, in alcuni casi (probabilmente nelle aree meno piovose o maggiormente soleggiate)
questa caduta è molto precoce, realizzandosi già all’inizio di agosto. Questa entità è generalmente considerata un ibrido. In effetti deriva da R.
japonica × sachalinensis e si riproduce prevalentemente per via vegetativa (fusti e rizomi) essendo per lo più sterile; tuttavia ha ormai raggiunto
un comportamento autonomo completamente svincolato dalle specie parentali e maggiormente invadente di esse nelle comunità naturali,
mostrando quindi le caratteristiche di una vera e propria specie.
Bibliografia: Bailey, 2008; Bailey & Conolly, 2000; Barney et al., 2006; Beerling et al., 1994; Gariboldi et al., 2007; Padula et al., 2008; Vaccaneo, 1933
180
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poligono
del Giappone
Famiglia: Polygonaceae
Nome scientifico: Reynoutria japonica Houtt.
Nome volgare: poligono del Giappone
Sinonimi: Fallopia japonica (Houtt.) Ronse Decr.
Polygonum cuspidatum Siebold. & Zucc.
Tipo biologico: Grhiz
Descrizione: Pianta erbacea perenne, rizomatosa, alta 0.7-2(-2.5) m, con fusti eretti e ramificati. Foglie alterne con ocrea
(guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 4-6(-10) mm, bruna, obliqua all’apice, non
fimbriata; lamina ovata, 7-17(-18)×8-12 cm, troncata alla base, evidentemente cuspidato-caudata e lungamente acuminata
all’apice; nervature della pagina inferiore glabre, minutamente scabre per la presenza di protuberanze tanto larghe quanto
lunghe; nervature terziarie e quaternarie poco visibili sulla pagina superiore; picciolo di 1-3 cm, alla base con una fossetta
nettarifera sul lato esterno. Infiorescenze panicoliformi, lunghe 4-12 cm, ascellari e terminali; fiori funzionalmente unisessuali
(su una stessa pianta possono essere presenti entrambi i tipi di fiori o soltanto quelli femminili); tepali 5, bianchi o biancoverdastri, i 3 esterni leggermente alati e accrescenti nel frutto; stami 8, sporgenti dai tepali (nei fiori maschili) o più brevi e
ridotti a staminodi (in quelli femminili). Il frutto è un achenio marrone scuro, trigono, lungo 2.3-3.6 mm, liscio e lucido.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Asia orientale.
Habitat: Fiumi, margini, incolti.
Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutta la Lombardia, dalla pianura sino alla fascia montana (0-1˙200 m s.l.m.). Bergamo
(INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (NAT), Lecco (INV), Lodi (NAT), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (NAT),
Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa (Gran Bretagna) nel 1825 (Bailey & Conolly, 2000); in Italia coltivata
nel 1858 all’Orto botanico di Padova e naturalizzata a Torino in Piemonte nel 1891 (Vaccaneo, 1933). In Lombardia è coltivata
almeno dal 1921 e conosciuta in natura almeno dal 1932 (Padula et al., 2008); segnalata per la prima volta da Stucchi (1949b).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Il poligono del Giappone è inscritto nella lista delle 100 specie esotiche più invasive e più dannose del mondo (lista
dell’IUCN, Unione Internazionale per la Conservazione della Natura). I popolamenti densi che forma costituiscono ovunque
una minaccia per le flore e le vegetazioni indigene, causando una perdita di biodiversità. È specie inclusa nella lista nera delle
specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia.
Azioni di contenimento: È specie difficile da eliminare, in quanto ogni pianta produce rizomi in un raggio di 7 m e fino a
una profondità di 3 m. Bisogna cercare innanzitutto di non diffondere i rizomi: piccoli frammenti possono dare vita a nuovi
individui. Tutte le parti della pianta devono essere incenerite, in nessun caso compostate. Secondo quanto riportato sul sito
svizzero CPS (http://www.cps-skew.ch/), le strategie per impedire l’espansione dei poligoni comprendono la lotta meccanica
(con tagli mensili per almeno 5 anni consecutivi che indeboliscano i rizomi), il pascolo caprino e ovino, la lotta chimica.
poligono
di Sakhalin
Famiglia: Polygonaceae
Nome scientifico: Reynoutria sachalinensis (F.Schmidt)
Nakai
Nome volgare: poligono di Sakhalin, poligono gigante
Basionimo: Polygonum sachalinense F.Schimdt
Sinonimo: Fallopia sachalinensis (F.Schmidt) Ronse Decr.
Polygonum ×vivax J.Schmitz & Strank, nom. inval.
Reynoutria ×vivax J.Schmitz & Strank, nom. inval.
Tipo biologico: Grhiz
Descrizione: Pianta erbacea perenne, rizomatosa, alta fino oltre 4 m, con fusti eretti e ramificati. Foglie alterne con ocrea
(guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 6-12 mm, bruna, obliqua all’apice, non
fimbriata; lamina da strettamente ovata a ellittico-oblunga, 25-35(-40)×(10-)20-25 cm, profondamente cordata alla base
e assottigliata in un apice smussato o brevemente acuto; pagina superiore verde-grigiastro; pagina inferiore verde pallido,
con peli pluricellulari flessuosi lunghi fino a 1 mm, soprattutto lungo le nervature; queste ultime spesso arrossate, quelle
terziarie e quaternarie ben visibili sulla pagina superiore; picciolo di 1-4 cm, alla base con una fossetta nettarifera sul lato
esterno. Infiorescenze panicoliformi, lunghe 3-8 cm, ascellari e terminali; fiori funzionalmente unisessuali (su una stessa pianta
possono essere presenti entrambi i tipi di fiori o soltanto quelli femminili); tepali 5, bianco-verdastri, i 3 esterni leggermente
alati e accrescenti nel frutto; stami 8, sporgenti dai tepali (nei fiori maschili) o più brevi e ridotti a staminodi (in quelli femminili).
Il frutto è un achenio marrone, trigono, lungo 2.8-4.5 mm, liscio e lucido.
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: Asia orientale (Isola di Sakhalin, Giappone, Corea).
Habitat: Margini boschivi, incolti.
Distribuzione nel territorio: Prealpi occidentali (province di Varese e Como). Como (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa al Giardino botanico di San Pietroburgo in tre volte successive, nel 1855,
nel 1861 e nel 1864 (Bailey & Conolly, 2000). In Italia raccolta nel 1897 a Castel di Guido in comune di Roma (presumibilmente
coltivata, Padula et al., 2008) e nel 1903 a Gries in comune di Bolzano (in natura, Padula et al., 2008), sicuramente naturalizzata
almeno dal 1969 in Toscana (Campolmi & Lanza, 1990). Segnalata per la prima volta in Italia da Abbà (1983), in Lombardia da
Padula et al. (2008), dove è presente da prima del 2006.
Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Potenzialmente.
Impatto: Sinora in Italia non si è ancora mostrata invasiva; è comunque inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali
oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia.
Note: Si confonde facilmente con le altre specie del genere Reynoutria, dalle quali si distingue per i caratteri delle foglie mediane del fusto (vedi
la nota a Reynoutria bohemica).
La segnalazione di Macchi per il varesino (2005) corrisponde a R. bohemica (Padula et al., 2008).
Bibliografia: Abbà, 1983; Bailey & Conolly, 2000; Campolmi & Lanza, 1990; Macchi, 2005; Padula et al., 2008
Note: Si confonde facilmente anche con le altre specie del genere Reynoutria, dalle quali si distingue per i caratteri delle foglie mediane del
fusto (vedi la nota a R. bohemica). Specie fortemente vigorosa e produttiva, tollera la presenza di metalli pesanti nel suolo e alte concentrazioni
atmosferiche di SO2; i suoi tessuti sono straordinariamente ricchi di resveratrolo, una fitoalessina dotata di potente attività antiossidante,
antitumorale e cardioprotettiva, contenuta in quantità 400 volte superiori a quelle dell’uva e dei sui derivati. Raramente si coltiva R. compacta
(Hook.f.) Nakai (= Polygonum c. Hook.f., = Fallopia japonica (Houtt.) Ronse Decr. var. c. (Hook.f.) J.P.Bailey, = Reynoutria japonica Houtt. var. c. (Hook.f.)
Moldenke, = Reynoutria japonica Houtt. var. c. (Hook.f.) Buchheim, comb. superfl.; poligono compatto), più piccola (alta 0.5-1.3 m), con lamine
fogliari minori e tondeggianti (5-7×5-7 cm), troncate o leggermente cuneate alla base, fiori femminili rossastri e fiori maschili generalmente
biancastri; è stata osservata casuale nel varesino (Padula et al., 2008).
Bibliografia: Bailey, 2008; Bailey & Conolly, 2000; Barney et al., , 2006; Beerling et al., 1994; Frattini, 1988; Padula et al., 2008; Stucchi, 1949b;
Vaccaneo, 1933
182
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poligono
dell’
Himalaya
184
Famiglia: Polygonaceae
Nome scientifico: Rubrivena polystachya (Wall. ex Meisn.) M.Král
Nome volgare: poligono dell’Himalaya
Basionimo: Polygonum polystachyum Wall. ex Meisn.
Sinonimo: Aconogonum polystachyum (Wall. ex Meisn.)
Haraldson, comb. superfl.
Aconogonum polystachyum (Wall. ex Meisn.) M.Král, comb. superfl.
Aconogonum polystachyum (Wall. ex Meisn.) Small
Persicaria polystachya (Wall. ex Meisn.) H.Gross, non Opiz, nom. illeg.
Persicaria wallichii Greuter & Burdet
amaranto
bianco
Famiglia: Amaranthaceae
Nome scientifico: Amaranthus albus L.
Nome volgare: amaranto bianco
Tipo biologico: Grhiz
Descrizione: Erba perenne, rizomatosa, a volte suffruticosa, alta 70-120(-250) cm. Fusto eretto, robusto, ± ramificato, spesso
marrone-rossastro. Foglie alterne con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae)
lunga 1-4 cm, bruno-rossastra, membranosa, obliqua all’apice, facilmente lacerabile, non fimbriata; lamina lanceolata,
(7.5-)9-22(-27)×2.8-7.8 cm, auricolata o subcordata alla base, ± ondulata e ciliolata al margine; picciolo di 3-20(-35) mm.
Infiorescenze panicolate, ampie, lunghe 4-11 cm, terminali e ascellari, fogliose alla base; tepali 5, gli esterni (2) oblunghi, gli
interni (3) obovati, bianchi o rosa; stigmi (pianta eterostila) con stili evidenti (0.4-1.6 mm). Il frutto è un achenio trigono, lungo
2.1-2.5 mm, marrone, opaco.
Periodo di fioritura: settembre-ottobre.
Area d’origine: Himalaya.
Habitat: Margini boschivi e radure.
Distribuzione nel territorio: Coltivata per ornamento e naturalizzata nel varesino. L’unica stazione lombarda sinora
conosciuta è a Ostino (Montegrino Valtravaglia -VA-) a circa 500 m s.l.m. Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Gran Bretagna dal principio del XX secolo (Conolly, 1977). In Italia, coltivata in
Piemonte almeno dal 1964 e qui naturalizzata almeno dal 1983; segnalata per la prima volta in Lombardia da Galasso et al. (2006c).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Sì.
Impatto: Trascurabile. Nel limitrofo Piemonte (sempre nella zona del Verbano), dove è naturalizzata almeno dal 1983, non
mostra tendenza ad espandersi.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-100 cm, con fusto da eretto a prostrato, ramosissimo, bianco-gialliccio, glabro,
subglabro o viscido-pubescente. Foglie obovate o strettamente spatolate, prevalentemente 0.5-1.5×0.5 cm (le prime lunghe
sino a 8 cm), all’apice ottuse e con un breve mucrone subspinescente bianchiccio o giallastro, con margine intero e piano o
increspato; picciolo lungo la metà della lamina o maggiore nelle foglie basali. Pianta monoica con fiori unisessuali in glomeruli
ascellari verdi, verde-biancastri o giallastri. Fiori femminili con brattee subulate o lineari-lanceolate, spinescenti, lunghe il
doppio del perianzio, 2-3 mm; tepali 3, tra loro leggermente diseguali, strettamente ovati o lineari, lunghi 1-1.5 mm, acuti
all’apice. Frutto a capsula deiscente (pissidio), ovato-ellittico, 1.5 mm, eguagliante o eccedente i tepali, liscio alla base e rugoso
all’apice.
Periodo di fioritura: agosto-settembre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Abitati, stazioni calpestate, massicciate ferroviarie, colture estive su suoli aridi.
Distribuzione nel territorio: Planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Milano
(NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Lombardia almeno dal 1785 (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788,
1789; Scopoli, 1785) e naturalizzata almeno dal 1916 a Milano (Cobau, 1916).
Modalità d’introduzione: Acclimatazione sperimentale in orti botanici e successiva diffusione accidentale.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Minimale.
Bibliografia: Abbà, 1990; Conolly, 1977; Galasso, 2009; Galasso et al., 2006c
Bibliografia: Cobau, 1916; Costea & Tardif, 2003; Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Mosyakin & Robertson, 2003; Scopoli, 1785
185
amaranto
blitoide
Famiglia: Amaranthaceae
Nome scientifico: Amaranthus blitoides S.Watson
Nome volgare: amaranto blitoide
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale alta, 20-60(-100) cm, con fusti prostrati o ascendenti, molto ramificati, glabri. Foglie
obovate, ellittiche o spatolate, 1-2(-4)×0.5-1(-1.5) cm, all’apice ottuse o arrotondate e con un breve mucrone, con margine
intero e piano o, raramente, leggermente ondulato, con evidente nervatura marginale bianchiccia; picciolo lungo la metà
della lamina. Pianta monoica con fiori unisessuali in glomeruli ascellari verdi. Fiori femminili con brattee strette, lunghe circa
± come il perianzio o leggermente maggiori, 1.5-5 mm; tepali (3-)4-5, tra loro diseguali o subeguali, da strettamente ovati a
largamente lineari, lunghi 1.5-3 mm, acuti o acuminati all’apice. Frutto a capsula deiscente (pissidio), largamente ovato, 1.7-2.5
mm, eguagliante i tepali, prevalentemente liscio (leggermente verrucoso o rugoso nelle piante secche).
Periodo di fioritura: agosto-settembre.
Area d’origine: Nordamerica centrale e orientale.
Habitat: Abitati, stazioni calpestate, greti fluviali.
Distribuzione nel territorio: Planiziale. Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, naturalizzata in Italia dalla fine dell’Ottocento: segnalata per la prima volta da Zodda (1954)
a Roseto degli Abruzzi (TE), ma già raccolta nel 1889 a Genova (Anzalone, 1956). In Lombardia osservata per la prima volta nel
1979 nel pavese da Soldano (1980a).
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Contenuto.
Bibliografia: Anzalone, 1956; Berselli et al., 2002; Bonali, 2000; Bonali et al., 2006a; Costea & Tardif, 2003; Crescini & Tagliaferri, 1994b; Giordana,
1995; Mosyakin & Robertson, 2003; Persico, 1998; Soldano, 1980a; Zodda, 1954
amaranto
prostrato
Famiglia: Amaranthaceae
Nome scientifico: Amaranthus deflexus L.
Nome volgare: amaranto prostrato
Sinonimo: Albersia deflexa (L.) Fourr.
Albersia prostrata Kunth
Euxolus deflexus (L.) Raf.
Glomeraria deflexa (L.) Cav.
Tipo biologico: Hscap, Tscap
Descrizione: Pianta erbacea pluriennale o annuale, generalmente alta 20-50 cm, con fusto ascendente o prostrato,
ramosissimo, pubescente nella parte superiore, glabrescente a maturità. Foglie ovato-rombiche, ovate o lanceolate, 1-2×0.51 cm, all’apice subacute, ottuse, retuse o leggermente smarginate, mucrunolate, con margine intero e piano o leggermente
ondulato; picciolo lungo la metà della lamina o quanto essa. Pianta monoica con fiori unisessuali disposti in infiorescenze
piramidali terminali ai rami o anche in glomeruli ascellari, verdi, verde-argento o rossastri. Fiori femminili con brattee lineari,
lunghe la metà del perianzio, 0.5-1 mm; tepali 2-3, tra loro uguali o subeguali, strettamente ellittici od oblanceolati, lunghi
1.2-2 mm, largamente acuti all’apice. Frutto a otricello indeiscente, con 2(-3) linee verdi evidenti che, passando per l’apice,
lo dividono in due metà o in più spicchi, ellissoidale, 2-3 mm, distintamente più lungo dei tepali, liscio (ondulato o rugoso
nelle piante secche).
Periodo di fioritura: agosto-settembre.
Area d’origine: Sudamerica.
Habitat: Lungo i muri, i marciapiedi, le massicciate ferroviarie, negli orti ecc.
Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutto il territorio. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco
(INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombardia da Cesati (1838); Soldano (1994) riporta dati
inediti di Cesati del 1830-1840, anni nei quali era già naturalizzata.
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Invasiva.
Dannosa: No, in quanto competitiva soltanto nelle cenosi erbacee a elevato degrado antropico.
Impatto: Irrilevante.
Bibliografia: Cesati, 1838; Costea & Tardif, 2003; Mosyakin & Robertson, 2003; Soldano, 1994
186
187
amaranto
dei campi
Famiglia: Amaranthaceae
Nome scientifico: Amaranthus hybridus L.
Nome volgare: amaranto dei campi
Sinonimo: Amaranthus chlorostachys Willd.
Amaranthus cruentus auct., non L.
Amaranthus patulus Bertol.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale alta, 30-200(-250) cm, con fusto eretto, verde o raramente rosso-porpora, semplice o
ramoso, glabro o subglabro, a volte in alto leggermente pubescente da giovane. Foglie ovate, ovato-rombiche o lanceolate,
(2-)4-15×(1-)2-6 cm, all’apice acute od ottuse, mucronate, con margine intero; picciolo lungo la metà della lamina o quanto
essa. Pianta monoica con fiori unisessuali disposti in infiorescenze terminali ai rami e ascellari, verdi, a volte con sfumature
argentee o porporine, generalmente lasse e con rami divaricati e flessuosi. Fiori femminili con brattee da lanceolato-lineari a
subulate, lunghe 1.2-2 volte il perianzio, 2.5-4(-6) mm, spinescenti all’apice; tepali 5, tra loro subeguali o diseguali, lanceolati
o lanceolato-lineari, lunghi 1.5-3 mm, acuti o acuminati all’apice, gradualmente ristretti in una punta aristata. Frutto a capsula
deiscente (pissidio), obovato od ovato-allungato, 1.5-2.5 mm, più breve dei tepali, liscio alla base e verrucoso o rugoso
nell’opercolo.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Nordamerica orientale, Mesoamerica.
Habitat: Ruderi, incolti, greti fluviali e infestante le colture.
Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutto il territorio. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (NAT), Cremona (INV), Lecco
(INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Italia in periodo imprecisabile, a causa della confusione con le specie simili.
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Minaccia la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce; inoltre è una temibile infestante delle colture estive.
Azioni di contenimento: Diserbo nei coltivi.
Note: Il gruppo di Amaranthus hybridus comprende diverse specie spontanee molto simili tra loro, dalle quali sono derivate diverse entità coltivate per
la granella o come ornamentali. Oltre ad A. retroflexus, le entità spontanee sono A. hybridus, A. powellii (incl. A. bouchonii) e A. quitensis Kunth (assente
in Italia), mentre quelle domesticate (tutte con brattee brevi) sono A. caudatus, A. cruentus e A. hypochondriacus, i cui rapporti filogenetici sono stati
messi in luce da Xu & Sun (2001). Le segnalazioni relative alle specie cultigene sono in genere da riferirsi esclusivamente ad avventiziati effimeri,
se non (in particolare per A. cruentus) a errori di determinazione (Costea et al., 2001; Mosyakin & Robertson, 2003) e/o di applicazione dei nomi. In
particolare si ricorda che all’interno di A. hybridus vi è una variabilità continua, priva di valore sistematico, tra forme con brattee lunghe il doppio dei
tepali e infiorescenze dense e ramificate (A. hybridus s.s.) e altre con brattee lunghe 1-1.5 volte i tepali e infiorescenze più lasse e meno ramificate
(chiamate A patulus); al contrario, il vero A. cruentus è caratterizzato da un’infiorescenza molto densa e riccamente ramificata, spesso vivacemente
colorata, da brattee strettamente spatolate, lunghe 2-3 mm, cioè quanto il perianzio o poco più, e da semi generalmente chiari (scuri in A. hybridus).
Per la determinazione delle specie è utile la chiave della flora del Nordamerica (Mosyakin & Robertson, 2003).
amaranto
di Powell
Famiglia: Amaranthaceae
Nome scientifico: Amaranthus powellii S.Watson
Nome volgare: amaranto di Powell
Sinonimo: Amaranthus bouchonii Thell.
Amaranthus chlorostachys auct., non Willd.
Amarantus chlorostachys Willd. var. powellii (S.Watson) Priszter
Amaranthus hybridus auct., non L.
Amaranthus hypochondriacus auct., non L.
Amarantus hybridus L. subsp. bouchonii (Thell.) O.Bolòs & Vigo
Amarantus hybridus L. subsp. powellii (S.Watson) Karlsson
Amarantus hybridus L. var. bouchonii (Thell.) Lambinon
Amarantus hypochondriacus L. var. powellii (S.Watson) Pedersen
Amarantus powellii S.Watson subsp. bouchonii (Thell.) Costea & Carretero
Amarantus retroflexus L. var. powellii (S.Watson) B.Boivin
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 30-150(-200) cm, con fusto eretto, verde o raramente rosso-porpora, quasi
semplice o ramoso, soprattutto in alto, da glabro a moderatamente pubescente verso l’apice, glabrescente a maturità. Foglie
ovato-rombiche o largamente lanceolate, 4-8×2-3 cm, occasionalmente maggiori in piante robuste, all’apice cuneate, ottuse
o subsmarginate, mucronate, con margine intero; picciolo generalmente lungo quanto la lamina o maggiore. Pianta monoica
con fiori unisessuali disposti in infiorescenze terminali ai rami (prevalentemente) e ascellari, verdi o verde-argento, a volte con
sfumature rossastre, generalmente dense e con rami eretti e rigidi. Fiori femminili con brattee da lanceolato a subulato-lineari,
lunghe 2-3(-4) volte il perianzio, 4.5-6(-8) mm, rigide; tepali 3-5, tra loro diseguali, gli esterni strettamente ovato-ellittici o
ellittici, lunghi 1.5-3.5 mm, aristati. Il frutto è un pissidio a deiscenza ritardata (A. powellii s.s.) o un otricello indeiscente (nelle
forme chiamate A. bouchonii), subgloboso od ovato-compresso, 2-3 mm, eguagliante i tepali o più breve, liscio o leggermente
verrucoso o rugoso nell’opercolo.
Periodo di fioritura: giugno-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica sudoccidentale e limitrofo Messico.
Habitat: Ruderi, macerie, greti fluviali e infestante le colture.
Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutto il territorio. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco
(NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (NAT), Pavia (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, osservata per la prima volta in Lombardia nel 1979 nel pavese da Soldano (1980a).
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Minaccia la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce; inoltre è una temibile infestante delle colture estive.
Azioni di contenimento: Diserbo nei coltivi.
Note: Le popolazioni attribuite al taxon A. bouchonii sarebbero il semplice risultato di una mutazione monoallelica (pissidiootricello)
di A. powellii, per altro priva di valore sistematico (cfr. Carretero, 1990; Wilkin, 1992; Aellen & Akeroyd, 1993; Mosyakin & Robertson, 2003).
Si veda inoltre la nota ad A. hybridus.
Bibliografia: Aellen & Akeroyd, 1993; Aeschimann et al., 2004; Bonali, 2000; Bonali et al., 2006a; Carretero, 1990; Costea et al., 2001; Costea & Tardif,
2003; Giordana, 1995; Mosyakin & Robertson, 2003; Soldano, 1980a; Wilkin, 1992; Zanotti, 1990
Bibliografia: Costea et al., 2001; Costea & Tardif, 2003; Mosyakin & Robertson, 2003; Xu & Sun, 2001
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amaranto
comune
Famiglia: Amaranthaceae
Nome scientifico: Amaranthus retroflexus L.
Nome volgare: amaranto comune, amaranto ripiegato
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 20-150(-200) cm, con fusto eretto, rossastro alla base, semplice o ramoso
superiormente, da densamente a moderatamente pubescente. Foglie ovate od ovato-rombiche, 2-15×1-7 cm, all’apice
acute, ottuse o subsmarginate, mucronate, con margine intero, piano o leggermente ondulato; picciolo lungo la metà della
lamina o quanto essa. Pianta monoica con fiori unisessuali disposti in infiorescenze terminali ai rami e ascellari, verdi o verdeargento, a volte con sfumature rossastre o giallastre, erette o riflesse, generalmente brevi e dense. Fiori femminili con brattee
da lanceolate a subulate, maggiori del perianzio, (2.5-)3.5-5(-6) mm, acuminate all’apice e con nervo mediano sporgente;
tepali 5, tra loro subeguali o diseguali, spatolato-obovati o lanceolato-spatolati, lunghi (2-)2.5-3.5(-4) mm, smarginati od
ottusi all’apice, mucronati. Frutto a capsula deiscente (pissidio), largamente obovato o largamente ellittico, 1.5-2.5 mm, più
breve dei tepali o subeguale, liscio o leggermente rugoso.
Periodo di fioritura: giugno-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica orientale e centrale.
Habitat: Ruderi e macerie, infestante le colture estive, greti fluviali.
Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutto il territorio. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco
(INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia dal 1532 per un campione dell’Erbario Cibo conservato a Roma; si tratta
della prima segnalazione di una specie neofita diffusasi spontaneamente in Italia (Celesti-Grapow et al., 2009b). La prima
segnalazione per la Lombardia è probabilmente quella di Nocca & Balbis (1821).
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Minaccia la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce; inoltre è una temibile infestante delle colture estive.
Azioni di contenimento: Diserbo nei coltivi.
amaranto
tubercolato
Famiglia: Amaranthaceae
Nome scientifico: Amaranthus tuberculatus (Moq.)
J.D.Sauer
Nome volgare: amaranto tubercolato
Basionimo: Acnida tuberculata Moq.
Sinonimo: Amaranthus rudis J.D.Sauer
Amaranthus tamariscunus auct., non Nutt.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta (10-)100-200(-300) cm, con fusto eretto, verde o rossastro, ramificato. raramente
semplice. Foglie ovate od obovate, oblunghe o ellittiche fino a strettamente lanceolate verso l’apice, 1.5-15×0.5-3 cm,
all’apice ottuse, arrotondate o acute, con margine intero e piano; picciolo lungo da un quarto a metà della lamina. Pianta
dioica con fiori unisessuali disposti in infiorescenze terminali ai rami, spiciformi-lineari o panicoliformi, raramente interrotte o
globose. Fiori femminili con brattee lunghe 1-2 mm; tepali assenti (A. tuberculatus s.s.) o 1-2 (nelle forme chiamate A. rudis),
spesso rudimentali, lunghi 1-3 mm. Fiori maschili con brattee lunghe 1-2 mm; tepali 5, tra loro eguali o diseguali, gli interni
con nervo mediano prominente o non prominente, a volte formante una spina rigida, lunghi 2-3 mm, ottusi, acuti, acuminati
o leggermente mucrunolati all’apice. Frutto a otricello indeiscente (A. tuberculatus s.s.) o a pissidio deiscente (nelle forme
chiamate A. rudis), obovato o subgloboso, da marrone scuro a marrone rossastro, 1.5-2 mm, quasi liscio o irregolarmente
rugoso.
Periodo di fioritura: settembre-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica centrale.
Habitat: Greti fluviali, infestante le colture.
Distribuzione nel territorio: Planiziale, soprattutto lungo il Po. Brescia (INV), Cremona (INV), Lodi (INV), Mantova (INV),
Pavia (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia nel pavese da Soldano (1982), che l’ha osservata
almeno dal 1975.
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Minaccia la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce, con coperture pari al 100% lungo il greto del Po.
L’abbondantissimo polline prodotto in fioritura potrebbe essere allergenico.
Azioni di contenimento: Eventuale diserbo nei coltivi.
Note: Si veda la nota ad A. hybridus.
Bibliografia: Costea et al., 2001; Costea & Tardif, 2003; Celesti-Grapow et al., 2009b; Mosyakin & Robertson, 2003; Nocca & Balbis, 1821
Note: Amaranthus rudis (= A. tamariscinus auct.) è stato distinto da A. tuberculatus per la presenza di almeno un segmento perianziale nei fiori
femminili e per i frutti deiscenti. Un recente lavoro di Pratt & Clark (2001) mostra come questi caratteri non siano costanti e riduce in sinonimia
le due specie, analogamente alla successiva trattazione della Flora del Nord America (Mosyakin & Robertson, 2003). Probabilmente si tratta del
semplice risultato di una mutazione monoallelica o pauciallelica (pissidio ›› otricello; 0 tepali ›› 1-2 tepali), analoga a quella avvenuta in A. powellii
(vedi nota).
Si ricorda inoltre che il nome A. tamariscinus, sebbene prioritario, non può essere utilizzato poiché il suo tipo non corrisponde a questa specie, bensì
a un ibrido sterile, probabilmente tra A. tuberculatus e un’altra specie non identificata (Sauer, 1972; Pratt & Clark, 2001).
Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Mosyakin & Robertson, 2003; Pratt & Clark, 2001; Sauer, 1972; Soldano, 1982; Zanotti, 1990
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amaranto
verde
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Famiglia: Amaranthaceae
Nome scientifico: Amaranthus viridis L.
Nome volgare: amaranto verde
Sinonimo: Albersia caudata (Jacq.) Boiss.
Amaranthus gracilis Desf. ex Poir.
Chenopodium caudatum Jacq.
Euxolus caudatus (Jacq.) Moq.
Euxolus viridis (L.) Moq. Glomeraria viridis (L.) Cav.
Pyxidium viride (L.) Moq.
erba-cimice
di Marshall
Famiglia: Chenopodiaceae
Nome scientifico: Corispermum marschallii Steven
Nome volgare: erba-cimice di Marshall
Sinonimo: Corispermum volgicum Klokov
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale (pluriennale nelle aree tropicali e subtropicali), generalmente alta 20-100 cm, con fusto
eretto, semplice o ramificato, glabro. Foglie ovato-rombiche od ovate, 1-7×0.5-5 cm, all’apice ottuse, arrotondate o smarginate,
mucronate, con margine intero e piano; picciolo lungo da metà della lamina sino a una volta e mezzo. Pianta monoica con
fiori unisessuali disposti in infiorescenze panicolate terminali ai rami, composte da spighe sottili, verdi. Fiori femminili con
brattee ovate o lanceolate, più brevi del perianzio, 1 mm; tepali 3, tra loro subeguali, strettamente ellittici, obovato-ellittici o
spatolati, lunghi 1.2-1.7 mm, arrotondati o subacuti all’apice, a volte mucronati. Frutto a otricello indeiscente, ovato od ovatocompresso, 1-1.6 mm, lungo quanto i tepali o poco maggiore, ± rugoso.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Sudamerica.
Habitat: Aree urbane e ruderali.
Distribuzione nel territorio: Planiziale occidentale. Bergamo (CAS), Cremona (NAT), Milano (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombardia da Banfi & Galasso (1998) per la città di Milano.
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 30-40 cm, densamente pubescente, poi glabra; fusto eretto, con rami lunghi
alla base. Foglie strettamente lanceolate o lineari, lunghe 2-3 cm. Spighe fogliose alla base, di norma brevi e dense, talora
allungate e interrotte in gruppetti densi di fiori; fiori isolati all’ascella delle brattee; segmenti del perianzio 0-2; stami 1-5; ovario
supero con 2 stigmi. Frutto ad achenio fortemente compresso, ovato-subrotondo, di 4-5×3-4 mm, più largo ma più breve
della corrispondente brattea, dotato di un’ala marginale larga 1/3-1/2 dell’achenio stesso, membranosa, eroso-smarginata,
cordata alla base.
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: Regione pontica (Mar Nero settentrionale).
Habitat: Greti fluviali sabbiosi.
Distribuzione nel territorio: In pianura, soprattutto lungo il Po. Brescia (CAS), Cremona (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata in Italia dal principio del XIX secolo; per la Lombardia riportata da Bertoloni
(1833) in base a campioni provenienti dal corso del Po nelle province di Pavia e Mantova.
Modalità d’introduzione: Accidentale, attraverso gli spostamenti umani del passato.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Sì.
Impatto: Compromette, peggiorandola, la biodiversità delle cenosi di greto, a danno della componente autoctona.
Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Costea & Tardif, 2003; Mosyakin & Robertson, 2003
Bibliografia: Bertoloni, 1833
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cicloloma
comune
Famiglia: Chenopodiaceae
Nome scientifico: Cycloloma atriplicifolium (Spreng.) J.M.Coult.
Nome volgare: cicloloma comune, spinacetto americano
Basionimo: Salsola atriplicifolia Spreng.
Sinonimo: Chenopodium atriplicifolium (Spreng.)
A.Ludw. ex Asch. & Graebn.
Cycloloma platyphyllum (Michx.) Moq.
Kochia atriplicifolia (Spreng.) Roth
Salsola platyphylla Michx.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale con habitus emisferico, alta fino a 80 cm; fusto eretto o ascendente, pubescente e
abbondantemente ramoso. Foglie alterne, lanceolate, lunghe 3-6 cm, sinuato-dentate, caduche alla maturazione dei frutti.
Pannocchia sparsamente fogliosa; stami 5; ovario supero a 2 stigmi; perianzio fruttifero con diametro di 2 mm, a 5 lobi segnati
esternamente da un’ala trasversale che circonda interamente il frutto ed è larga 0.5 mm.
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Greti fluviali sabbiosi.
Distribuzione nel territorio: In pianura, soprattutto lungo il Po. Brescia (CAS), Cremona (INV), Lodi (NAT), Milano (CAS),
Mantova (INV), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia da Cesati et al. (1874) lungo il Po, senza precisazione di
località e Regione; Cavara (1894) la definisce comune nel pavese.
Modalità d’introduzione: Accidentale, per contaminazione di semi.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Condiziona, peggiorandola, la biodiversità della vegetazione di greto a danno della componente autoctona.
Azioni di contenimento: Le uniche azioni proponibili rientrano nel quadro di un recupero generale degli ambienti umidi.
Bibliografia: Cavara, 1894; Cesati et al., 1874
farinello
aromatico
Famiglia: Chenopodiaceae
Nome scientifico: Dysphania ambrosioides (L.) Mosyakin & Clemants
Nome volgare: farinello aromatico
Basionimo: Chenopodium ambrosioides L.
Sinonimo: Ambrina ambrosioides (L.) Spach
Atriplex ambrosioides (L.) Crantz / Blitum ambrosioides (L.) Beck
Botrys ambrosioides (L.) Nieuwl.
Chenopodium album L. subsp. ambrosioides (L.) H.J.Coste & A.Reyn.
Chenopodium ambrosioides L. fo. suffruticosum (Willd.) Aellen
Chenopodium ambrosioides L. subsp. suffruticosum (Willd.) Thell.
Chenopodium ambrosioides L. var. suffruticosum (Willd.) Aellen, comb. superfl.
Chenopodium ambrosioides L. var. suffruticosum (Willd.) Graebn.
Chenopodium ambrosioides L. var. suffruticosum (Willd.) P.Fourn., comb. superfl.
Chenopodium integrifolium Voroc.Chenopodium suffruticosum Willd.
Orthosporum ambrosioides (L.) Kostel.
Teloxys ambrosioides (L.) W.A.Weber
Vulvaria ambrosioides (L.) Bubani
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale (perennante solo in area mediterranea), alta 30-80 cm, dall’odore aromatico gradevole e
marcato, con fusti eretti, molto ramificati, visibilmente striati, spesso arrossati, cosparsi di brevi setole e peli ghiandolari sessili.
Foglie lanceolate, di 2-8(-12)×0.5-4(-5.5) cm, le maggiori spesso dentate, molto raramente laciniate, di norma verde chiaro.
Infiorescenza a pannocchia fogliosa, costituita di cime sessili disposte lungo le ramificazioni terminali, accompagnate da
brattee lanceolato-lineari. Perianzio monoclamide di 5 segmenti verdastri, saldati al massimo fino a metà lunghezza; stami 5
ad antere gialle; ovario supero con 2-5 stigmi. Il frutto è un achenio globoso involucrato dal perianzio, del diametro di 0.5-0.8
mm; semi prevalentemente orizzontali.
Periodo di fioritura: agosto-ottobre.
Area d’origine: America tropicale.
Habitat: Siti ruderali, su substrati ricchi di calcare (nelle regioni costiere alofila facoltativa), greti.
Distribuzione nel territorio: Pressoché in tutta la regione, soprattutto in pianura e nei fondovalle. Bergamo (NAT), Brescia
(NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, giunta accidentalmente in Europa nel 1619 e naturalizzata dalla fine del Seicento in quasi
tutta Italia; in Lombardia coltivata almeno dal 1785 (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Scopoli, 1785) e
naturalizzata almeno dal 1816 (Nocca & Balbis, 1816).
Modalità d’introduzione: Accidentale, in seguito coltivata per uso farmaceutico (proprietà antielmintiche).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Specie molto variabile all’interno della quale sono state riconosciute diverse entità; tuttavia Clemants & Mosyakin (2003) non ne riconoscono
l’autonomia. Tutte le specie del genere Dysphania R.Br., recentemente separato da Chenopodium L. su base filogenetica, sono accomunate da
sinapomorfie includenti alcuni metaboliti secondari, gli stessi presenti anche in diverse specie di Artemisia (Asteraceae) come puro fatto di
parallelismo evolutivo (omoplasia); sono tali sostanze a esercitare l’azione vermifuga nota in medicina e al contempo a contribuire alla caratteristica
aromaticità di queste piante.
Bibliografia: Clemants & Mosyakin, 2003; Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Nocca & Balbis, 1816; Scopoli, 1785
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farinello
minore
Famiglia: Chenopodiaceae
Nome scientifico: Dysphania pumilio (R.Br.)
Mosyakin & Clemants
Nome volgare: farinello minore
Basionimo: Chenopodium pumilio R.Br.
Sinonimo: Ambrina pumilio (R.Br.) Moq.
Blitum glandulosum Moq.
Blitum pumilio (R.Br.) C.A.Mey.
Teloxys pumilio (R.Br.) W.A.Weber
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta al massimo fino a 40 cm, ad habitus in prevalenza prostrato, con odore simile a
quello di D. ambrosioides (vedi scheda). Fusti molto ramosi, ricoperti di peli pluricellulari bianchi e peli ghiandolari sessili.
Foglie lanceolate, di 0.5-2.7×0.3-1.5 cm, sinuate, con 3-4 lobi per lato, verde chiaro. Infiorescenza a pannocchia, costituita di
glomeruli sessili, ascellari, portati da ramificazioni terminali. Perianzio monoclamide di 5 segmenti verdastri, liberi fin quasi
alla base, arrotondati dorsalmente; stami 5 ad antere gialle; ovario supero con 2-5 stimmi. Il frutto è un achenio globoso
scarsamente involucrato dal perianzio, bruno rossastro, lucido, del diametro di 0.5-0.8 mm; semi verticali.
Periodo di fioritura: agosto-ottobre.
Area d’origine: Australia.
Habitat: Siti ruderali, marciapiedi.
Distribuzione nel territorio: Sporadica in pianura (province di Milano, Lecco, Bergamo e Brescia). Bergamo (NAT), Brescia
(NAT), Lecco (NAT), Milano (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombardia da Banfi et al. (2009), ma già presente a Milano
almeno dal 1994 e inizialmente scambiata con D. botrys (Banfi & Galasso, 1998).
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: In Lombardia è presente un’altra specie esotica del genere Dysphania, D. multifida (L.) Mosyakin & Clemants (= Chenopodium m. L.; farinello
multifido), sudamericana, che si distingue per i segmenti del perianzio saldati fin quasi all’apice e avvolgenti quasi completamente il frutto e per
le foglie da profondamente pennatifide a pennatosette. È stata osservata casuale quà e là nelle province di Pavia (Pollini, 1824), Bergamo e Brescia.
L’autoctona D. botrys (L.) Mosyakin & Clemants, inizialmente confusa con questa specie, si riconosce per le foglie più grandi (1.3-4×0.6-2.7 cm),
lirato-sinuate o pennatifide (raramente le superiori intere) e i semi prevalentemente orizzontali.
cremesina
Famiglia: Phytolaccaceae
Nome scientifico: Phytolacca americana L.
Nome volgare: cremesina, uva turca, uva dei merli
Sinonimo: Phytolacca decandra L.
Phytolacca vulgaris Bubani, nom. illeg.
Phytolacca vulgaris Crantz
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Robusta erba perenne, alta 1-3 m, completamente glabra, con radice verticale ingrossato-carnosa e fusto eretto,
piuttosto succulento, verso l’alto diviso in rami largamente divaricati o subpatenti, spesso di colore rosso-violaceo. Foglie
alterne, semplici, con picciolo di 1-2 cm e lamina da ovato-lanceolata a oblungo-lanceolata, di 10×3-5 cm. Racemi fioriferi
ascellari, eretti o patenti alla fioritura, penduli nel frutto, lunghi 10-15(-20) cm; perianzio costituito dal solo calice di 5 sepali
largamente ovati, lunghi 2.5 mm, bianco-verdognoli in fioritura, quindi arrossati; stami 10-20; ovario supero con 10 carpelli
disposti a “spicchi”. Bacca subglobosa, depressa all’apice, nero-lucida, con mesocarpo sugoso, rosso-violaceo scuro, tingente
e numerosi piccoli semi neri, lenticolari, lucidi.
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Orti, incolti, ruderati, margini boschivi, boscaglie luminose ecc.
Distribuzione nel territorio: Ovunque, in ambito prevalentemente planiziale. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV),
Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia sin dal Seicento. In Lombardia segnalata da Nocca & Balbis (1816) nel
pavese, ma naturalizzata già nel 1763 nel milanese (Provasi, 1924).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per l’interesse orticolo del soggetto e per le bacche usate come tintorio e succedaneo
dell’inchiostro.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Diffusa soprattutto ai margini e nelle chiarìe boschive, ne compromette pesantemente la biodiversità, abbassando
la qualità del paesaggio.
Note: Questa specie è stata immortalata da Alessandro Manzoni nei “Promessi Sposi” (capitolo 33), quando Renzo, di ritorno dal lungo soggiorno
milanese, ritrova la sua vigna in stato di totale abbandono e fra le erbacce che dominano la scena spicca, appunto, l’uva turca, descritta alla stregua
di una scheda botanica. Dal punto di vista tossicologico, l’uva turca è spesso causa di avvelenamento per incauti “asparagari” che, allettati dalla
radice napiforme, carnosa, candida al taglio, la raccolgono e la consumano con serie conseguenze gastrointestinali.
Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Banfi et al., 2009; Pollini, 1824; Zanotti, 2010
Bibliografia: Nocca & Balbis, 1816; Provasi, 1924
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bella di notte
comune
Famiglia: Nyctaginaceae
Nome scientifico: Mirabilis jalapa L.
Nome volgare: bella di notte comune
Sinonimo: Nyctago jalapa (L.) DC.
bella di notte
minore
Famiglia: Nyctaginaceae
Nome scientifico: Mirabilis nyctaginea (Michx.) MacMill.
Nome volgare: bella di notte minore, allionia comune
Basionimo: Allionia nyctaginea Michx.
Sinonimo: Calymenia nyctaginea (Michx.) Nutt.
Oxybaphus nyctagineus (Michx.) Sweet
Tipo biologico: Gbulb
Descrizione: Pianta erbacea perenne un po’ carnosa, con radice ingrossato-bulbosa, alta 40-100 cm; fusto ascendente,
ramosissimo e ingrossato ai nodi, glabro o scarsamente pubescente. Foglie opposte con picciolo di 1-2 cm e lamina ovatolanceolata, intera, di 6-10×3-4 cm, acuminata all’apice, troncata o cordata alla base. Fiori in cime terminali raccorciate, a
pollinazione notturna (apertura serale), più o meno profumati; involucro di 5 brattee sepaloidi; perianzio monoclamide,
imbutiforme, con tubo di 25-35 mm e lembo del diametro di 25 mm, viola, rosso, giallo, bianco o maculato. Frutto, un
antocarpo (pericarpio rivestito dal tubo perianziale) involucrato dal falso calice accresciuto, globoso o ellissoidale, con parete
sottile, coriacea, bruno-nerastra a maturità, segnata da deboli coste longitudinali e rugosità, con 1 seme all’interno.
Periodo di fioritura: maggio-ottobre.
Area d’origine: Sudamerica (Perù).
Habitat: Muri, margini dei sentieri, presso i giardini, greti.
Distribuzione nel territorio: In tutta la regione, planiziale; in molti luoghi soltanto casuale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT),
Cremona (CAS), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (CAS), Milano (CAS), Mantova (CAS), Pavia (CAS), Sondrio (CAS),
Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia sin dal Cinquecento; in Lombardia coltivata almeno dal 1785 (Hortus
regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789) e ritrovata in natura almeno dal 1923 (Cozzi, 1923).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per uso floricolo.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Tipo biologico: Gbulb
Descrizione: Pianta erbacea perenne, glabra, con radice napiforme ingrossata, alta 20-60 cm e fusto eretto con abbondanti
ramificazioni dicotome. Foglie opposte, ovato-cuoriformi, di 5-10×4-8 cm, acute, di un verde glaucescente, intere al margine.
Infiorescenze costituite da cime pauciflore, ascellari e terminali; fiori circondati a gruppi di 3-5 da un involucro largamente
conico, 5-lobato, membranoso, percorso da venature, largo fino a 2 cm nel frutto. Perianzio monoclamide, imbutiforme, di
dimensioni fino a 12×8 mm, con tubo basale racchiudente l’ovario e lembo di 5 lobi rosei o violetti, bilobati all’apice; stami
3-5, sporgenti, con filamento rosso-violaceo tendente a ripiegarsi a U; ovario supero, uniovulato. Il frutto è un antocarpo
(pericarpio ricoperto dalla parete del tubo perianziale) monospermo, finemente tomentoso, con costolature longitudinali.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Ruderi, macerie, bordi di strade urbane e campestri, ferrovie.
Distribuzione nel territorio: Planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata nell’Orto Botanico di Padova nel 1831; in Lombardia osservata a Pavia nel 1882 da
Bozzi (1888) e, prima ancora, da Maestri (1883, sub Oxybaphus glabrifolius).
Modalità d’introduzione: Deliberata (interesse ornamentale); le popolazioni lombarde derivano probabimente dalla
dispersione casuale delle piante coltivate nell’orto agrario di Pavia, dove era stata introdotta volonraiamente o accidentalmente
(Bozzi, 1888).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Sì.
Impatto: Limitato ai margini stradali, dove compromette la biodiversità delle cenosi erbacee.
Note: È una specie largamente naturalizzata lungo le coste mediterranee, che non tende a diffondersi all’interno, sebbene qua e là possa insediare
qualche piccolo popolamento naturalizzato, per esempio in Lombardia nell’area benacense o in provincia di Varese.
Note: I fiori prodotti nella prima parte della stagione presentano sviluppo normale, con elementi vessillari (perianzio e filamenti staminali) al
massimo della loro visibilità, poi i fiori successivi si fanno via via più piccoli e meno appariscenti. Tutti i tipi di fiore sono autoimpollinanti grazie al
ripiegamento degli stami sullo stilo, ma i primi, nella fase iniziale della loro apertura, possono venire impollinati da piccoli insetti. La pianta in questo
modo produce semi di due tipi genetici: clonali per autoimpollinazione e ricombinanti grazie alla parziale esoimpollinazione garantita dai fiori
primaverili, salvaguardando così una piccola quota di diversità genetica, indispensabile -non si sa mai- per le generazioni del futuro.
Bibliografia: Cozzi, 1923; Giacomini, 1950; Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789
Bibliografia: Bozzi, 1888; Maestri, 1883; Viola, 1952
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mollugine
verticillata
Famiglia: Molluginaceae
Nome scientifico: Mollugo verticillata L.
Nome volgare: mollugine verticillata
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 5-15 cm, con fusto prostrato o ascendente, ramificato e glabro. Foglie a 3-5,
psudoverticillate, con lamina obovato-lanceolata o spatolata, larghe 3-10 mm. Fiori piccoli, pedicellati, in fascetti ascellari;
segmenti del perianzio acuti, con margini scariosi; stami 5; stigmi 3, ovario supero. Frutto a capsula trivalve, con semi privi di
strofiolo.
Periodo di fioritura: giugno-luglio.
Area d’origine: America tropicale.
Habitat: Selciati, marciapiedi, greti.
Distribuzione nel territorio: Planiziale. Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata fin dal 1772 nell’Orto Botanico di Torino e dal 1793 in quello di Pavia. In Lombardia
segnalata come naturalizzata nei dintorni di Pavia da Chiovenda (1897) e Traverso (1897).
Modalità d’introduzione: Deliberata (orti botanici).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: La sua diffusione pregiudica la biodiversità dei siti di greto in cui si insedia.
Bibliografia: Chiovenda, 1897; Traverso, 1897
fico d’India
di Engelmann
Famiglia: Cactaceae
Nome scientifico: Opuntia engelmannii Salm-Dyck
ex Engelm.
Nome volgare: fico d’India di Engelmann
Sinonimo: Cactus dillenii auct., non Ker Gawl.
Cactus tuna auct. non L.
Opuntia dillenii auct., non (Ker Gawl.) Haw.
Opuntia jamaicensis auct., non Britton & Harris
Opuntia tuna auct. non (L.) Mill.
Tipo biologico: nPsucc
Descrizione: Pianta arbustiva alta fino a 60 cm, molto ramosa. Gli articoli sono verde glauco, obovati, attenuati alla base, di
10-30×8-22 cm, con areole larghe, interdistanziate di circa 2.5 cm; glochidi giallastri, lunghi fino a 2 cm nella parte apicale del
cladodio; spine giallo chiaro, con base sfumata di rosso da giovani, subulate, in gruppi da 1 a 5, mediamente 2, lunghe 1-4 cm.
Fiori solitari, larghi circa 7 cm, con perianzio formato da numerosi segmenti gialli, gli esterni abassialmente verdastri, imbricati,
gli interni sfumati di verde alla fauce; stami numerosi; ovario infero con stilo allungato e stigma di colore verde, a lobi radianti.
Il frutto è un acrosarco (bacca la cui buccia esterna deriva dalla fusione della parete ovarica con quella dell’ipanzio) di forma
obovoide, lungo 3.5-4.5 cm, viola scuro e sublucido a maturità; semi numerosi, discoidali, nerastri.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
Area d’origine: Nordamerica sudoccidentale e Mesoamerica settentrionale.
Habitat: Alte rupi, pendii e prati aridi con affioramento calcareo o siliceo, muretti in pietra.
Distribuzione nel territorio: Comasco e Bresciano: Val Camonica e laghi prealpini centro-orientali (100-500 m s.l.m.). Brescia
(NAT), Como (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata in Lombardia per la prima volta da Arietti (1965), ma già presente nel bresciano
da oltre quarant’anni (Crescini, 1968).
Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura, sperimentazione agraria in campo fruttifero).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Paesaggistico, di portata locale.
Azioni di contenimento: Non necessarie, perché la specie è ininfluente sulla biodiversità della vegetazione ospitante.
Note: In Guiggi (2008) e Banfi et al. (2009) la specie era stata erroneamente segnalata come O. jamaicensis (Guiggi, 2010); in precedenza come O.
dillenii (Arietti, 1965; Crescini, 1968; Bazzoli, 1999) oppure O. tuna (Guarino & Sgorbati, 2004; Banfi & Galasso, 2005; Guiggi, 2005). Tra le entità del
medesimo genere naturalizzate in Italia, questa e O. humifusa (vedi scheda) sono le sole ad aver dimostrato la loro piena adattabilità al clima lombardo.
In Lombardia si incontrano, casuali, altre sei specie del genere Opuntia (L.) Mill.: O. chlorotica Engelm. & J.M.Bigelow (fico d’India giallastro), O. ficusindica (L.) Mill. (= Cactus f.-i. L.; fico d’India), O. microdasys (Lehm.) Pfeiff. (= Cactus m. Lehm.; orecchie di topolino), O. monacantha Haw. (fico d’India
sudamericano), O. scheeri F.A.C.Weber (fico d’India di Scheer) e O. stricta (Haw.) Haw. (= Cactus Haw.; fico d’India minore).
Bibliografia: Arietti, 1965; Banfi & Galasso, 2005; Banfi et al., 2009; Bazzoli, 1999; Crescini, 1968; Guarino & Sgorbati, 2004; Guiggi A., 2005, 2008, 2010
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fico d’India
nano
Famiglia: Cactaceae
Nome scientifico: Opuntia humifusa (Raf.) Raf.
Nome volgare: fico d’India nano
Basionimo: Cactus humifusus Raf.
Sinonimo: Cactus compressus auct., non Salisb.
Opuntia compressa auct., non J.F.Macbr.
Opuntia vulgaris auct., non Mill.
Opuntia vulgaris Mill. subsp. rafinesquii P.Fourn.
Tipo biologico: Chsucc
Descrizione: Arbusto nano articolato, prostrato e ricadente, alto meno di 30 cm, con radici spesso ingrossate. Gli articoli
sono appiattiti, verdi, arrossati in inverno, da rotondi a obovati o ellittici, lunghi normalmente 2.5-12.5 cm, con areole piccole,
larghe 0.15-0.25 cm, interspaziate di 1-3 cm; glochidi giallastri o brunastri; spine generalmente assenti o in numero di 1-5 nella
porzione distale del cladodio, bianche ad apice brunastro, lunghe 1.5-2.5 cm. Il fiore (vedi scheda di O. engelmannii) non è più
largo di 6 cm e presenta uno stigma di colore bianco. Il frutto è un acrosarco (bacca la cui buccia esterna deriva dalla fusione
della parete ovarica con quella dell’ipanzio) rosso porpora o violaceo, da obovoide a oblungo, lungo 2.5-5 cm; semi nerastri.
Periodo di fioritura: giugno-luglio.
Area d’origine: Nordamerica centro-orientale.
Habitat: Rupi, dossi, affioramenti silicei o calcarei, arene fluviali, prati aridi, pendii terrosi, muretti a secco.
Distribuzione nel territorio: Insubria dal Lago Maggiore al Garda, Val Chiavenna, Valtellina e lungo il tratto milanese del
Ticino (100-500 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Lecco (NAT), Milano (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia dal principio del Settecento, in Lombardia era già naturalizzata in
Valtellina nel 1825 (Rusconi, 1825).
Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Debole, sul paesaggio.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Si tratta dell’opunzia acquisita da più lungo tempo in territorio lombardo, dove è anche la più estesamente naturalizzata. Come tante altre
aliene che provengono dagli stati nordamericani gravitanti sul lato atlantico del continente, ha dimostrato piena acclimatazione, mantenendo la
specifica esigenza di un’elevata aerazione del substrato (grado 5 di dispersività secondo Landolt). Ciò spiega il successo della pianta sui suoli a
granulometria grossa (sabbia, pietrisco, rupi ecc.) e a tessitura leggera. Infine la specie mostra grande flessibilità anche rispetto al fattore luce. La
segnalazione di O. macrorhiza Engelm. (Guiggi, 2008) è da riferire a una forma anomala di questa specie, cresciuta su un substrato particolarmente
ricco (Guiggi, 2010).
Bibliografia: Crescini, 1968; Fornaciari, 1967; Guiggi, 2008, 2010; Rusconi, 1825
deuzia
comune
Famiglia: Hydrangeaceae
Nome scientifico: Deutzia scabra Thunb.
Nome volgare: deuzia comune
Tipo biologico: nPscap
Descrizione: Arbusto alto 1-3 m con chioma espansa. Foglie decidue, opposte; picciolo di 3-8 mm; lamina ovata od ovatolanceolata, di 5-8×1-3 cm, scabra per la presenza di sparsi peli rigidi, stellati su entrambe le pagine, quelli della faccia abassiale
a 3-4 punte; base arrotondata o largamente cuneata, margine serrulato e leggermente revoluto, apice in genere acuminato.
Infiorescenza a pannocchia, terminale; pedicelli di 3-5 mm; calice con tubo di ca. 2.5×2 mm e 5 lobi ovati, di circa 1.2×1 mm;
petali 5, bianchi, strettamente ellittici, di 0.8-1.5×0.6 cm; stami 10, in due serie, gli esterni con filamenti bidentati all’apice,
gli interni più corti; stili in numero di 3-4, più lunghi degli stami; ovario supero, biloculare. Frutto costituito da una capsula
emisferica di circa 4 mm di diametro, con sparsi peli stellati; semi piccoli, numerosi, oblunghi, compressi.
Periodo di fioritura: aprile-maggio.
Area d’origine: Asia orientale (Giappone, parte temperata).
Habitat: Ambienti antropizzati, soprattutto su manufatti, come ad esempio vecchi muri; più di rado in ambienti naturali
disturbati, soprattutto boscaglie degradate di tipo generalmente termofilo.
Distribuzione nel territorio: Abbastanza frequente in tutta l’area collinare e soprattutto prealpina (150-600 m s.l.m.);
particolarmente diffusa presso i Grandi Laghi Insubrici e nelle aree adiacenti a giardini e parchi storici. Bergamo (NAT), Brescia
(NAT), Cremona (CAS), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XIX; in Lombardia osservata a partire dal 1943 (Arietti, 1950).
Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Sì.
Impatto: È in grado di colonizzare i muri, radicando nelle fessure e contribuendo in tal modo al deterioramento di questi
manufatti. Negli ambiti seminaturali, al momento, non sembra destare particolari preoccupazioni.
Azioni di contenimento: Immediata rimozione dai manufatti delle piante radicate mediante intervento meccanico,
eventualmente abbinato all’impiego locale di erbicidi sistemici.
Note: Esiste incertezza sull’esatta identità delle piante naturalizzate nel nostro territorio (Celesti - Grapow et al., 2009a), giacché queste presentano
alcuni caratteri un po’ differenti da quelli sopra descritti, precisamente i filamenti staminali non o impercettibilmente dentati all’apice e i peli stellati
sulla faccia fogliare abassiale con 4-6 punte. Si tratterebbe, in effetti, di D. crenata Siebold & Zucc. (= D. scabra var. crenata (Siebold & Zucc.) Maxim.,
= D. crenata var. typica C.K.Schneid.), la cui congruenza sistematica è tuttora oggetto di discussione fra gli specialisti. Comunque questo morfotipo
è quello regolarmente venduto nei nostri vivai e garden center sotto il binomio D. scabra. Di rado si osservano esemplari inselvatichiti di una
cultivar a fiore pieno (‘Plena’), in uso nei giardini, che vanno tuttavia interpretati quali relitti a perdere della coltura. Infatti questa variante cultigena
è maschio-sterile (stami trasformati in petali), senza o con scarsissime possibilità di produrre semi. In ogni caso, la facilità di autoinsediamento
della pianta è dovuta all’estrema leggerezza dei semi, che vengono agevolmente trasportati dalle masse d’aria in movimento. Del genere Deutzia
si commerciano altre specie (D. discolor Hemsl. (= D. vilmoriniae Lemoine & Bois), D. gracilis Siebold & Zucc., D. parviflora Bunge, D. purpurascens
(Franch. ex L.Henry) Rehder, ecc.), delle quali finora non ci sono fortunatamente segnalazioni di fuga, ma che tuttavia vanno preventivamente
tenute sotto controllo.
Bibliografia: Arietti, 1950; Banfi & Galasso, 1998; Bonali et al., 2006a; Celesti - Grapow et al., 2009a; Jintang et al., 2001; Macchi, 2005; McKean, 1995
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balsamina
himalayana
Famiglia: Balsaminaceae
Nome scientifico: Impatiens balfourii Hook.f.
Nome volgare: balsamina himalayana,
balsamina di Balfour
Sinonimo: Impatiens insignis auct., non DC.
Impatiens insubrica Beauverd
Impatiens mathildae Chiov.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 40-120 cm, con fusto ascendente, un po’ traslucido, radicante ai nodi inferiori e
spesso arrossato alla base, ramosissimo, ingrossato ai nodi. Foglie alterne, con picciolo alato, lungo 1-2 cm e lamina ovatolanceolata di 3-7×2-5 cm, lungamente acuminata all’apice, con base cuneata e brevemente decorrente sul picciolo, provvista
di 20-40 dentelli per lato terminanti in una ghiandola arrossata. Fiori a 3-8 su racemi ascellari corimbiformi, zigomorfi (3 sepali
di cui l’inferiore petaloide, saccato-speronato, 5 petali di cui gli inferiori saldati a 2 a 2), roseo-porporini con fauce bianca,
lunghi (sperone compreso) 30-40 mm; sperone leggermente ricurvo o diritto, lungo 12-18 mm. Capsule glabre, di 20-25×2
mm, ad apertura esplosiva.
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: Himalaya.
Habitat: Incolti, greti, bordi strade.
Distribuzione nel territorio: In tutto il territorio soprattutto nella zona insubrica. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV),
Cremona (NAT), Lecco (INV), Lodi (NAT), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata nei giardini dell’Italia settentrionale sin dal 1814 (Chiovenda, 1928) e raccolta
per la prima volta in natura nel 1916 in Piemonte (Mattirolo, 1919). In Lombardia è stata raccolta in natura nel 1932 a Milano
(Giacomini, 1950).
Modalità d’introduzione: Volontaria (pianta ornamentale da giardino).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Ha un impatto negativo sulla biodiversità che viene compromessa qualitativamente.
Note: Si può confondere con I. glandulifera che, tuttavia, ha foglie opposte o verticillate a 3 (I. balfouri ha foglie alterne).
Bibliografia: Chiovenda, 1928; Giacomini, 1950; Mattirolo, 1919
balsamina
ghiandolosa
Famiglia: Balsaminaceae
Nome scientifico: Impatiens glandulifera Royle
Nome volgare: balsamina ghiandolosa
Sinonimo: Impatiens roylei Walp., nom. illeg.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 1-2 m, con fusto robusto, fistoloso, un po’ traslucido, semplice o con scarsi rami,
ingrossato ai nodi. Foglie opposte o in verticilli di 3, lanceolate o ellittiche, lunghe fino a 18 cm, con apice acuminato, base
cuneata brevemente decorrente sul picciolo e margine dentato per (18-)25-50 denti mucronati su ogni lato. Fiori zigomorfi (3
sepali di cui l’inferiore petaloide, saccato-speronato, 5 petali di cui gli inferiori saldati a 2 a 2), roseo-porporini, lunghi 2.5-4 cm,
con sperone di 2-7 mm, disposti in racemi ascellari (3-)5-12-flori. Frutto a capsula allungata di 1.5-3 cm; apertura esplosiva.
Periodo di fioritura: giugno-agosto.
Area d’origine: Himalaya.
Habitat: Incolti, margini boschivi, greti, ripe.
Distribuzione nel territorio: In tutta la Lombardia, in area collinare. Bergamo (NAT), Brescia (INV), Como (NAT), Lecco (NAT),
Monza e Brianza (NAT), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia nel 1909 in Piemonte (Chiovenda, 1917, 1928); in
Lombardia segnalata per la prima volta da Giacomini (1950), in seguito da Soldano (1980a).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per uso floricolo.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Deprime la biodiversità delle cenosi in cui si insedia.
Azioni di contenimento: Non diffondere né semi né piante; rinunciare all’uso mellifero del fiore. È relativamente facile
da sradicare, dato che le radici sono poco sviluppate: l’ideale è eseguire il lavoro poco prima della fioritura, per evitare
la disseminazione. Bruciare il materiale tagliato o estirpato contenente infiorescenze oppure consegnarlo ai sevizi di
incenerimento rifiuti; non depositare in giardino, non gettare nel compost e non mescolare con i rifiuti verdi. Se le superfici
da trattare sono estese si possono tagliare le piante raso terra. Seminare specie indigene nei terreni aperti in continuità con
le superfici occupate dall’aliena.
Note: Le foglie opposte e verticillate distinguono agevolmente questa specie dalle altre presenti in Italia, tutte a foglie alterne.
Bibliografia: Chiovenda, 1917, 1928; Da Trieste, 1991; Giacomini, 1950; Pyšek & Hejda, 2006; Pyšek & Prach, 1995; Soldano, 1980a
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balsamina
minore
Famiglia: Balsaminaceae
Nome scientifico: Impatiens parviflora DC.
Nome volgare: balsamina minore
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-100 cm, con fusto cavo, flaccido, ingrossato ai nodi. Foglie alterne, ellittiche od
ovato-ellittiche, le superiori in media più grandi, con lamina di 4-20×2-9 cm, recanti (13-)20-35 denti mucronati per lato; apice
acuminato e base cuneata, decorrente sul picciolo. Fiori zigomorfi in racemi ascellari 3-10-flori, i primi spesso cleistogami, i
successivi lunghi 6-18 mm; calice a 3 sepali di cui l’inferiore petaloide, giallo pallido come i petali, saccato, provvisto di uno
sperone diritto, lungo 1-7 mm; corolla di 5 petali, i 4 inferiori connati in 2 coppie laterali; stami 5, alterni ai petali, con antere
connate; ovario supero, a 5 loculi. I frutti sono capsule glabre di 10-25×2 mm, a deiscenza esplosiva per contrazione elastica
delle valve; semi piccoli, globosi.
Periodo di fioritura: luglio-agosto.
Area d’origine: Asia orientale.
Habitat: Boschi, incolti, greti, margini di strade.
Distribuzione nel territorio: In tutta la regione, soprattutto nelle fasce collinare e montana. Bergamo (INV), Brescia (INV),
Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia alla fine del XIX secolo. Conosciuta in Lombardia almeno dal 1898 come
pianta naturalizzata (campione raccolto da M. Longa a Sant’Antonio Valdisotto -SO- e conservato nell’Erbario di Pavia, PAV); in
seguito ivi segnalata da Fiori (1925b) e da Fenaroli & Longa (1926).
Modalità d’introduzione: Volontaria, orticola.
Status: Invasiva.
Dannosa: Attualmente in modo limitato.
Impatto: Modifica la fisionomia della vegetazione marginale, specialmente in ambiente boschivo.
Bibliografia: Credaro & Pirola, 1988; Fenaroli & Longa, 1926; Fiori, 1925b
albero di
sant’Andrea
Famiglia: Ebenaceae
Nome scientifico: Diospyros lotus L.
Nome volgare: albero di sant’Andrea, legno santo,
falso guaiaco, falso loto
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Piccolo albero raggiungente una dozzina di metri d’altezza, con chioma espansa orizzontalmente. Foglie
caduche, alterne; picciolo 0.7-1.5 cm; lamina ellittica od ovato-oblunga, nella pagina inferiore verde glauco; base arrotondata
o cuneata, apice da acuto ad acuminato. Fiori unisessuali sullo stesso individuo (pianta monoica); i maschili di 6-7 mm, riuniti
a 1-3 su pedicelli lunghi fino a 6 mm, con calice a 4(-5) lobi, corolla a 4(-5) lobi da rossastri a giallo pallidi e 16 stami; i femminili
di circa 5 mm, subsessili, con calice a 4 lobi, corolla a 4 lobi verdastri o rossastri lunghi 2-3 mm e 4 stili su un ovario supero,
4-12-loculare. Frutto costituito da una bacca brunastro-aranciata, a piena maturazione bluastra e pruinosa, subglobosa, con
diametro di 1-2 cm. Semi bruni, compressi, di circa 10×6 mm.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
Area d’origine: Asia sudoccidentale, ma con distribuzione incerta.
Habitat: Si rinviene tipicamente in boscaglie pioniere di ambienti degradati in prossimità di aree antropizzate, dove
occasionalmente può essere anche abbondante. Si tratta comunque di una specie termicamente esigente. Impiegata come
richiamo nei roccoli di caccia, si rinviene spontaneizzata anche nei dintorni degli stessi.
Distribuzione nel territorio: Relativamente frequente dalla zona planiziale a quella collinare, in minor misura in quella
submontana (100-800 m s.l.m.), a oriente soltanto casuale. Bergamo (CAS), Brescia (CAS), Como (NAT), Lecco (NAT), Monza e
Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (CAS), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XVI.
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura, sperimentazione forestale, frutto commestibile).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: In modo limitato, per sottrazione competitiva di spazio.
Impatto: Trascurabile.
Azioni di contenimento: Immediata rimozione del novelleto. Controllo ed eventuale eradicazione degli esemplari
fruttificanti mediante controllo meccanico (taglio alla base o cercinatura), da ripetersi sui polloni, eventualmente coadiuvato
dall’uso localizzato di erbicidi sistemici. Evitare assolutamente la fruttificazione.
Note: Il kaki comune, D. kaki Thunb., in Lombardia soltanto coltivato, differisce per le dimensioni di gran lunga maggiori del frutto (risultato della
domesticazione), che è di comune interesse alimentare, e per quelle dei fiori femminili (>1 cm). D. lotus è spesso impiegato come portainnesto
per D. kaki. Infine, nei parchi si coltiva raramente anche il kaki americano (D. virginiana L.), albero alto fino a 20 m con foglie adassialmente verde
scuro lucido, glabre sulla faccia abassiale (tranne sui nervi), con base più ampia e subcordata e picciolo maggiore di 1.8 cm; fiori maschili di 8-10
mm, i femminili di circa 12 mm con lobi corollini lunghi 7-8 mm, con tubo bianco e lobi gialli; bacca matura arancione, del diametro di 1-2.5 cm.
Anch’essa non spontaneizza.
Bibliografia: Fiori, 1926a; Fiori & Paoletti, 1902
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pianta
della seta
Famiglia: Apocynaceae
Nome scientifico: Asclepias syriaca L.
Nome volgare: pianta della seta, lino d’India
Sinonimo: Asclepias cornuti Decne., nom. illeg.
buglossa
sempreverde
Famiglia: Boraginaceae
Nome scientifico: Pentaglottis sempervirens (L.)
Tausch ex L.H.Bailey
Nome volgare: buglossa sempreverde
Basionimo: Anchusa sempervirens L.
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta perenne erbacea, alta 100-150 cm, con rizoma strisciante e fusti diffusi, eretti, semplici, glaucescenti.
Foglie opposte, con picciolo di 1 cm e lamina ellittica o lanceolata di 15-23×5-9 cm, acuminata, alla base arrotondata, grigiotomentosa sulla faccia abassiale. Ombrelle fiorifere contratte, su peduncoli ascellari di 5-10 cm, formate da fiori lunghi 6-8
mm sorretti da pedicelli di 3-6 cm, con corolla roseo-porporina a 5 lobi riflessi all’antesi e corona interna di 5 segmenti liberi,
ognuno provvisto di appendice adassiale centrale ricurva sopra un’antera (5 stami); ovario supero, bicarpellare, con 2 stili
inferiormente liberi, uniti per gli stigmi. Frutti: follicoli fusiformi di 8-11×2-3 cm, biancastro-pubescenti, solcati, spinosi; semi
bruni, appiattiti, ovoidali, con un ciuffo di lunghi peli argentei all’apice.
Periodo di fioritura: giugno-agosto.
Area d’origine: Nordamerica orientale.
Habitat: Boschi umidi ripariali e siepi, più raramente margini dei campi e incolti.
Distribuzione nel territorio: In pianura, soprattutto lungo il Ticino e sporadicamente lungo il Po e altri fiumi. Brescia (NAT),
Cremona (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia sin dalla prima metà del secolo XVII; in Lombardia segnalata lungo il Ticino
presso Pavia da Fiori & Paoletti (1902).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per la fibra tessile estratta dai fusti quale surrogato della seta (era il periodo delle morie
del baco da seta).
Status: Naturalizzata, localmente abbondante.
Dannosa: Potenzialmente sì.
Impatto: Lungo le sponde del Ticino, nel suo corso inferiore e alla confluenza con il fiume Po, forma popolamenti fitti ed
estesi di un certo rilievo.
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 40-80 cm, con fusto ispido per setole di 1-2.5 mm. Foglie inferiori svernanti,
provviste di picciolo lungo 2-15 cm e lamina ovata di 7-20×3-10 cm, intera; foglie superiori sessili e più piccole (lunghe 5-12
cm). Infiorescenza terminale, costituita da cincinni peduncolati inseriti ciascuno all’ascella di una brattea; fiori pentameri, con
calice a 5 denti lungo 2.5-5 mm; corolla azzurro chiaro, con tubo di 4-5×3.5-4.8 mm e lembo a 5 lobi, del diametro di 8-10 mm,
con fauce provvista di un’appendice linguiforme alla base di ogni lobo; stami 5, inseriti alternatamente alle appendici, di poco
più brevi di queste; ovario supero a 4 loculi. Il frutto è un microbasario, cioè uno schizocarpo formato da 4 nucule (mericarpi)
ovoidi, inserite obliquamente sulla base comune.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
Area d’origine: Europa sudoccidentale (atlantica).
Habitat: Scarpate ombreggiate.
Distribuzione nel territorio: Pianura comasca; l’unica stazione lombarda sinora conosciuta è sita a 270 m s.l.m. Como (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal Cinquecento, in natura raccolta con certezza, nel passato, solo sui
Colli Euganei (Veneto) nel 1835 (Bertoloni, 1835) e 1842 (Trevisan, 1842), dove non è stata più ritrovata (Selvi & Bigazzi, 1998);
recentemente osservata in Lombardia, ove appare naturalizzata almeno dal 2003 (Galasso & Selvi, 2007).
Modalità d’introduzione: Deliberata (interesse ornamentale).
Status: Naturalizzata. Nel sito di ritrovamento si riproduce regolarmente, ma la sua permanenza è legata alla presenza di siepi
ombreggianti; infatti dove queste sono state rimosse la pianta è scomparsa repentinamente.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Finora non necessarie.
Note: È una specie da tenere sotto controllo, inserita nella Watch List della Svizzera (http://www.cps-skew.ch/italiano/lista_nera.htm).
Note: Neofita di recentissima segnalazione per il territorio lombardo, nel passato già nota per un altro sito dell’Italia settentrionale; non può
essere confusa con boraginacee affini presenti in Lombardia, per la combinazione unica dei caratteri, tra i quali spicca la persistenza invernale
delle foglie basali.
Bibliografia: Fiori & Paoletti, 1902
Bibliografia: Bertoloni, 1835; Galasso & Selvi, 2007; Selvi & Bigazzi, 1998; Trevisan, 1842
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cuscuta
dei campi
Famiglia: Convolvulaceae
Nome scientifico: Cuscuta campestris Yunck.
Nome volgare: cuscuta dei campi
Sinonimo: Cuscuta arvensis auct., non Beyr. ex Engelm.
Cuscuta arvensis Beyr. ex Engelm. var. calycina (Engelm.) Engelm.
Cuscuta cesattiana auct., non Bertol. / Cuscuta gronovii auct., non Willd. ex Schult.
Cuscuta pentagona auct., non Engelm.
Cuscuta pentagona Engelm. var. calycina Engelm.
Cuscuta racemosa Mart. var. chiliana auct. p.p., non Engelm
Cuscuta suaveolens auct. p.p., non Ser.
Grammica campestris (Yunk.) Hadač & Chrtek
Tipo biologico: Tpar
Descrizione: Pianta annuale oloparassita, costituita da un intrico di fusti capillari giallo-rossastri provvisti di austori con i quali
si tiene saldamente ancorata ai tessuti della pianta ospite. Fiori regolari di (1.9-)2.1-3.6 mm, bianco crema da freschi, crema
o giallo dorati da secchi, riuniti in glomeruli densi (diametro 10-12 mm); peduncoli brevi; calice giallo, campanulato, più
breve del tubo corollino, a 5 lobi deltoidi, spesso a margini sovrapposti; corolla di 5 lobi acuti, ovato-triangolari, più o meno
acuminati con l’apice solitamente inflesso, precocemente riflessi, più brevi del tubo o raramente lunghi quanto questo; stami 5,
sporgenti; squame ipostaminali lunghe, fittamente e ± regolarmente fimbriate, mai bifide, sporgenti tra i lobi corollini; ovario
supero, globoso, con 2 sottili stili con stigmi capitati. Capsula indeiscente o irregolarmente deiscente, 1.3-2.8×1.9-3.8 mm,
globoso-depressa, giallastro-pallida, circondata alla base dalla corolla persistente, contenete 4 semi di 1.12-1.54×0.9-1.1 mm.
Periodo di fioritura: maggio-settembre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Su numerose specie di centinaia di generi appartenenti a varie famiglie, tra le quali Asteraceae, Brassicaceae,
Chenopodiaceae, Convolvulaceae, Euphorbiaceae, Fabaceae, Polygonaceae, Solanceae, Urticaceae, Verbenaceae.
Distribuzione nel territorio: In tutto il territorio, prevalentemente in pianura e nei fondivalle. Bergamo (INV), Brescia (INV),
Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, naturalizzata in Italia dal 1876 (Cesati et al., 1876, sub C. racemosa var. chiliana), segnalata
per la prima volta in Lombardia da Campanile & Traverso (1923, sub C. pentagona).
Modalità d’introduzione: Accidentale (contaminazione delle sementi, probabilmente di erba medica e/o trifoglio).
Status: Invasiva.
Dannosa: Solo per le colture.
Impatto: Parassita delle colture erbacee.
Azioni di contenimento: Solo in ambito agrario.
dicondra
Famiglia: Convolvulaceae
Nome scientifico: Dichondra micrantha Urb.
Nome volgare: dicondra
Tipo biologico: Hrept
Descrizione: Pianta erbacea perenne, strisciante e tappezzante, con fusti lunghi fino a 50 cm, radicanti ai nodi. Foglie con
picciolo di 5-50 mm e lamina da orbicolare a reniforme, intera, con pubescenza appressata, larga e lunga 5-30 mm. Fiori
ascellari, solitari; corolla incisa in 5 lobi eretti, lunga 2-2.5 mm, biancastro-verdognola; stami 5, inseriti presso il limite superiore
del tubo corollino, più o meno inclusi. Ovario supero, biloculare, con due stili a stigma capitato. Capsula bilobata, disperma.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Asia orientale.
Habitat: Tappeti erbosi, luoghi calpestati.
Distribuzione nel territorio: In quasi tutto il territorio, soprattutto nei centri urbani, planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT),
Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta probabilmente nel secolo scorso.
Modalità d’introduzione: Deliberata, per aiuole e tappeti erbosi perennanti.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Specie a lungo confusa con C. cesattiana, C. gronovii e, in parte, C. suaveolens (= C. racemosa var. chiliana): sebbene Campanile & Traverso
(1923) e Campanile (1926) segnalino l’errore già al principio del secolo scorso, tale confusione è perdurata sino ai nostri giorni poiché i lavori della
Campanile sono indicati soltanto nelle note finali della “Flora” del Fiori (1928). C. gronovii e C. suaveolens sono assenti in Italia; mentre le segnalazioni
della prima sono da ricondurre a C. campestris, quelle della seconda sono da ripartire tra C. campestris e C. cesattiana. Cuscuta cesattiana, invece, è
presente in Italia e in Lombardia e si distingue da C. campestris per il calice più lungo del tubo corollino, a 5 lobi ovati (che spesso sporgono tra i lobi
della corolla), a margini non sovrapposti; i lobi della corolla largamente ovati, mai acuminati e con l’apice non inflesso, riflessi solo occasionalmente
e solo a inizio fruttificazione, più lunghi del tubo; le squame ipostaminali, irregolarmente fimbriate, con un numero inferiore di lacinie, spesso
bifide. La vera C. cesattiana, rara (segnalata per la prima volta in Italia in Piemonte almeno dal 1847 da De Notaris (1849, sub C. polygonorum)
e Bertoloni (1850)), è sicuramente presente nelle province di Mantova (Visiani & Saccardo, 1869a; Cesati et al., 1876), Cremona (Caruel, 1886;
Bonali, 1998, 2002a), Pavia (Campanile & Traverso, 1923) e Brescia (Giacomini, 1950; la nomenclatura utilizzata fa capire che Giacomini si riferisce
ai lavori della Campanile e non alle consuete Flore). In passato C. campestris è stata anche male identificata con la congenere C. pentagona (mai
segnalata in Italia e anch’essa di origine americana), che solo recentemente è stata definitivamente separata da C. campestris (Costea et al., 2006).
In Lombardia è inoltre presente un’altra specie esotica del genere Cuscuta, archeofita, C. epilinum Weihe (strozzalino), caratterizzata però da stigmi
non clavati, simile all’autoctona C. europaea L. ma da quest’ultima distinguibile per i fusti semplici o quasi e la corolla generalmente pentamera
con lobi lunghi quanto il tubo. Essa è in via di estizione poiché legata al lino (e alle sue infestanti), coltura ora rarefatta e localizzata. Infine si fa
presente che la segnalazione di C. scandens Brot. (= C. australis R.Br., = C. tinei Inzenga; cuscuta di Tineo) per il bresciano (Zucchi, 1979), non più
ritrovata, è da considerarsi dubbia.
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Bibliografia: Bertoloni, 1850; Bonali, 1998, 2002a; Campanile, 1926; Campanile & Traverso, 1923; Caruel, 1886; Cesati et al., 1876; Costea et al., 2006;
De Notaris, 1849; Fiori, 1928; Giacomini, 1950; Stucchi, 1929a, 1949b; de Visiani & Saccardo, 1869a; Zucchi, 1979
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stramonio
Famiglia: Solanaceae
Nome scientifico: Datura stramonium L.
Nome volgare: stramonio
Sinonimo: Datura inermis Juss. ex Jacq.
Datura stramonium L. subsp. tatula (L.) Nyman
Datura stramonium L. var. inermis (Juss. ex Jacq.) Fernald
Datura stramonium L. var. tatula (L.) Torr.
Datura tatula L.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale dall’odore marcato, alta 50-200 cm, con fusto prostrato, suberetto o ascendenteramificato, pubescente, di norma verde (purpureo-violaceo nella var. tatula). Foglie alterne, con picciolo di 2-4 cm e lamina
da ampiamente ovata a ellittica, di 10-15×6-13 cm, lobato-dentata o sinuato-dentata con grossi denti acuti, a base tronca o
subcordata. Fiori solitari, ascellari, su peduncoli di 3-10 mm; calice tubuloso lungo 3-5 cm, spigoloso, con 5 denti disuguali
lunghi 5-10 mm; corolla imbutiforme di 5-10 cm, a 5 denti subcaudati, candida o soffusa di violaceo (var. tatula); stami 5, non
sporgenti, inseriti alla base del tubo corollino; ovario supero, biloculare. Frutto a capsula deiscente in 4 valve, grande poco più
di una noce (3-5 cm) e irta di aculei lunghi fino a 15 mm; semi neri, appiattiti, di 3 mm.
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: Mesoamerica.
Habitat: Ruderi, macerie, campi abbandonati.
Distribuzione nel territorio: Fascia plano-collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco
(NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (CAS).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dalla seconda metà del secolo XVI. In Lombardia già presente in natura nel
1763 (Provasi, 1924), segnalata la prima volta da Nocca & Balbis (1816).
Modalità d’introduzione: Deliberata (per uso medicinale, successivamente da giardino).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Ecologicamente no, sanitariamente sì (pianta molto velenosa).
Impatto: Esclusivamente estetico.
Azioni di contenimento: Estirpazione manuale.
Note: È causa di gravi intossicazioni, facilmente letali, dovute ad abusi come il “fai da te” erboristico e nei ragazzi, a volte, persino spinelli che, invece
di procurare lo sballo, procurano l’immediato ricovero ospedaliero.
Arietti & Crescini (1980) e Giordana (1995) segnalano Datura stramonium var. tatula; tuttavia, in base a quanto dimostrato da un’analisi genetica
condotta sugli AFLP (Mace et al., 1999), le suddivisioni infraspecifiche di D. stramonium (var. inermis, var. stramonium e var. tatula) non hanno
significato sistematico.
Bibliografia: Arietti & Crescini, 1980; Giordana, 1995; Mace et al., 1999; Nocca & Balbis, 1816; Provasi, 1924
morella
della
Carolina
Famiglia: Solanaceae
Nome scientifico: Solanum carolinense L.
Nome volgare: morella della Carolina
Tipo biologico: Grhiz
Descrizione: Pianta erbacea perenne provvista di rizoma strisciante; fusti eretti, alti fino a 1 m, con rada pubescenza di
peli stellati e sottili spine gialle. Foglie a lamina ovata, lunga 7-12 cm, con 2-5 lobi o larghi denti per lato, giallo-pubescente
per peli stellati, provvista di gracili spine gialle lungo le nervature. Infiorescenza racemosa di 2-7 fiori a corolla rotata, con 5
denti (contorno pentagonale), di 2-3.5 cm di diametro, bianca o appena soffusa di violaceo; stami con antere scarsamente
conniventi. Il frutto è una bacca giallo-aranciata di 1-1.5 cm, contenente semi appiattiti, biancastri.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: Nordamerica sudorientale.
Habitat: Campi, incolti.
Distribuzione nel territorio: Pianura, dal pavese al bresciano. Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Milano
(NAT), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Europa per l’Orto botanico di Montpellier nel 1855 (Thellung, 1911-1912).
In Italia, osservata la prima volta negli anni ’70 del secolo scorso in Toscana a Montignoso (MS) lungo la via Aurelia (Banfi, oss.
pers.) e segnalata per la Lombardia da Zanotti (1993a), che la raccolse dal 1987.
Modalità d’introduzione: Accidentale, con gli scambi intercontinentali in ambito di pratiche agrarie.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Sì.
Impatto: Esclusivamente agricolo, nelle colture sarchiate.
Azioni di contenimento: Eventuale diserbo delle colture agrarie.
Note: In Lombardia si incontra di frequente il pomodoro, Solanum lycopersicum L. (= Lycopersicon esculentum Mill., nom. cons.;
= Lycopersicon lycopersicum (L.) H.Karst., nom. rej.), che fu domesticato dagli Indios messicani a partire da un selvatico riferibile,
presumibilmente, alla specie S. pimpinellifolium L. I primi pomodori coltivati dovevano avere i caratteri di quella che oggi è nota come
var. cerasiforme (Alef.) Fosberg (pomodoro ciliegino), variazione a frutto edule forse già spontanea e prelevata direttamente in
natura all’epoca delle prime selezioni colturali; nel DNA del ciliegino, infatti, oltre a una quota di ascendenza diretta per tutte
le forme coltivate a frutto rosso, si trova la testimonianza di iniziali, ripetuti incroci tra domestico e selvatico (Ranc et al., 2008).
Coltivato almeno dal 1531 a Cremona (Bonali, 2009), è indicato come avventizio nella prima metà dell’Ottocento da Cesati (1844).
Gli avventiziati del pomodoro nel nostro territorio sono del tutto occasionali, anche se localmente abbondanti al punto da far
credere a una sorta di naturalizzazione della specie lungo i fiumi dovuti all’abbandono accidentale di semi fuori coltura (o allo
scarico delle fognature) e concludentisi nel singolo ciclo individuale o, al massimo, in un ciclo di seconda generazione. L’incapacità
del pomodoro di sfuggire stabilmente alla coltivazione è intuibile: a) si tratta di un domestico che ha perso tutte le prerogative
biologiche di “autogestione” presenti nel selvatico, quindi incapace di insediarsi nell’ambiente e fondarvi popolazioni; b) derivando
da un progenitore tropicale perenne, è stato forzato a diventare annuale perché solo così sarebbe stato compatibile con la
coltivazione in clima temperato; l’accorciamento del ciclo, però, non ha avuto un riscontro selettivo naturale delle sue capacità
competitive (come avviene in natura quando una specie perenne si trasforma in annuale), per cui la pianta non è in grado di eludere
né di sostenere la convivenza con la nostra vegetazione spontanea.
Bibliografia: Bonali, 2009; Bonali et al., 2006a; Cesati, 1844; Picco, 2001; Ranc et al., 2008; Thellung, 1911-1912; Zanotti, 1993a
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morella
farinaccio
Famiglia: Solanaceae
Nome scientifico: Solanum chenopodioides Lam.
Nome volgare: morella farinaccio
Sinonimo: Solanum gracile Dunal, non Sendtn., nom. illeg.
Solanum ottonis Hyl.
Solanum sublobatum Willd. ex Roem. & Schult.
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne, ramosa, con fusti alti fino a 1.2 m, finemente cenerino-pubescenti per corti peli
semplici. Foglie alterne, pelose come i fusti, da ovate a lanceolate, talvolta impercettibilmente lobate, per altro intere al
margine. Fiori in cime umbellate, con corolla stellata a 5 lacinie bianche, acute, larga fino a 2 cm; stami ad antere regolarmente
conniventi. Il frutto è una bacca ovoide, lunga 7-12 mm, purpureo-nerastra e “satinata” a maturità.
Periodo di fioritura: maggio-ottobre.
Area d’origine: Sudamerica sudorientale (Brasile, Paraguay, Uruguay, Argentina).
Habitat: Conurbi e suburbi (pianura), margini di boscaglie (collina).
Distribuzione nel territorio: Sporadica nelle fasce planiziale e collinare, invasiva nel varesino. Bergamo (NAT), Brescia (NAT),
Como (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Pavia (NAT), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia nel 1939 in Campania (Fiori, 1940); in seguito riscoperta
da Banfi (1987) per diverse regioni. In Lombardia segnalata la prima volta da Banfi & Galasso (2005) e Macchi (2005).
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Invasiva.
Dannosa: No.
Impatto: Nessuno.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Questa specie può essere confusa di primo acchito con la comune morella (S. nigrum L.), infestante autoctona a sviluppo prevalentemente
tardoestivo, ben distinta per la pelosità mai uniformemente cenerina, per la lamina fogliare subdecorrente da una base tendenzialmente cuneata,
con margini spesso incisi e variamente dentati od ondulati, per le cime fiorifere lasse, corimbose anziché umbellate, per le corolle leggermente
più piccole (diametro eccezionale di 18 mm) con lacinie un po’ meno acute e profonde, e per le bacche rotonde o subglobose, perfettamente
nere a maturità.
Bibliografia: Banfi, 1987; Banfi & Galasso, 2005; Bonali et al., 2006a; Fiori, 1940; Macchi, 2005; Zanotti, 2008
gelsomino
primulino
Famiglia: Oleaceae
Nome scientifico: Jasminum mesnyi Hance
Nome volgare: gelsomino primulino
Sinonimo: Jasminum primulinum Hemsl.
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Arbusto sempreverde, con fusti verdi (frutice), lunghi fino a 5 m; rami dell’anno tetragoni, glabri. Foglie opposte,
trifoliolate, spesso semplici alla base dei rametti; picciolo di 0.5-1.5 cm; lamina delle foglie semplici da ellittica a largamente
ovata, talvolta suborbicolare, di 3-5×1.5-2.5 cm, subcoriacea; quella dei segmenti delle foglie trifoliolate strettamente ovata,
ovato-lanceolata o strettamente ellittica, cuneata alla base, ottusa e mucronulata all’apice. Il segmento terminale misura 2.56.5×0.5-2.2 cm e alla base decorre in un breve picciolo, mentre i segmenti laterali sono sessili e misurano 1.5-4×0.6-2 cm. Fiori
di norma solitari, ascellari, di rado terminali, sottesi da brattee fogliacee, obovate o lanceolate; peduncoli di 3-8 mm; calice
campanulato a 5-8 lobi; corolla imbutiforme, gialla, larga (diam.) fino a 4.5 cm, a 6-8 lobi nel selvatico, doppia nelle piante
coltivate, con tubo di 1-1.5 cm. Il frutto è una bacca ellissoidale, verdastra e secca a maturità, con 1-2 semi, lunga 6-8 mm.
Periodo di fioritura: febbraio-maggio.
Area d’origine: Asia orientale (Cina centro-occidentale: province Guizhou, Sichuan, Yunnan).
Habitat: Boscaglie e scoscendimenti presso i laghi insubrici (forre e boschi collinari in patria).
Distribuzione nel territorio: Lago di Garda, lungo la Gardesana. Brescia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia al principio del XX secolo, epoca della moda orientalistica in orticoltura.
Segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia da Banfi & Galasso (2005); in seguito ne è stato precisato l’areale (Galasso
& Ceffali, in stampa). Le prime osservazioni risalgono ai primissimi anni del presente secolo.
Modalità d’introduzione: Deliberata (importazione orticola).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Lieve rilevanza paesaggistica nel periodo di fioritura.
Note: È simile al conterraneo gelsomino di San Giuseppe J. nudiflorum Lindl. (Cina centro-occidentale), da più lungo tempo coltivato in Italia (metà
del XIX secolo), deciduo d’inverno, in fiore da febbraio ad aprile, con fusti sottili, ginestriformi, lungamente ricadenti, angolosi, foglie più piccole e
fiori minori (2-2.5 cm), giallo limone, mai doppi. Questa specie permane negli ex-siti di coltivazione (giardini abbandonati, muretti di recinzione
ecc.), ma non tende a naturalizzarsi; osservata casuale qua e là (la prima volta da Giacomini, 1950).
Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Chang et al., 1996; Galasso & Ceffali, in stampa; Giacomini, 1950
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ligustro
lucido
Famiglia: Oleaceae
Nome scientifico: Ligustrum lucidum W.T.Aiton
Nome volgare: ligustro lucido, ligustro arboreo
Tipo biologico: nPscap
Descrizione: Albero alto sino a 10(-15) m. Foglie opposte, sempreverdi, coriacee; picciolo di 1-3 cm; lamina da ovata a ovatolanceolata, di 6-17×3-8 cm, verde scuro lucente sulla pagina superiore, verde più chiaro inferiormente; margine intero, base
arrotondata o talvolta attenuata, apice acuto o acuminato. Infiorescenza in larga pannocchia terminale ai rami, di 8-25×5-20
cm; fiori subsessili; calice lungo 1.5-2 mm; corolla di 4-5 mm, bianco crema, con tubo lungo circa quanto i lobi, che sono 4.
Frutto rappresentato da una bacca nero-azzurrognola, pruinosa, obovoide, spesso un po’ falcata, di 7-10×4-6 mm, con 1-4
semi.
Periodo di fioritura: giugno-luglio.
Area d’origine: Asia orientale (Cina).
Habitat: Boschi a carattere termofilo, quasi sempre in posizioni calde e riparate; di rado e soltanto con plantule o giovani
esemplari in altri tipi di formazioni forestali. Forma un bosco quasi puro su una rupe calcarea (Sasso Poiano, Caravate, VA), dove
però sembra risentire dell’aridità edafica estiva.
Distribuzione nel territorio: In Lombardia è presente allo stato naturalizzato soprattutto lungo i principali laghi insubrici
(Verbano, Lario, Benaco) e territori limitrofi, ove è invasiva (150-450 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (INV), Como (INV),
Cremona (CAS), Lecco (INV), Milano (CAS), Mantova (CAS), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1794, in Italia presumibilmente un po’ più tardi e inizialmente
scambiata come curiosità da giardino fra aristocratici proprietari di ville signorili, quindi estesa al verde pubblico in parchi e
alberature stradali. In Lombardia segnalata come naturalizzata da De Carli et al. (1999).
Modalità d’introduzione: Deliberata (parchi, giardini, alberature).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Questa specie è in grado di costituire formazioni quasi pure e quindi di alterare il tipico paesaggio forestale
lombardo nei luoghi invasi, dove il bosco sarebbe invece dominato da latifoglie decidue. Modifica inoltre la biodiversità del
sottobosco, con riflessi anche sui processi biogeochimici nel suolo.
Azioni di contenimento: Taglio selettivo, ripetuto per alcuni anni, nel caso di forte infestazione coadiuvato dall’impiego di
erbicidi sui polloni; quindi provvedere alla piantagione di arbusti indigeni. Pronta rimozione delle giovani piante in aree di
neo-invasione. Evitare assolutamente la fruttificazione.
Note: Impiegata in parchi e giardini, viene talvolta utilizzata anche per le alberature stradali. La diffusione è caratteristicamente ornitocora. Può
essere confusa con un altro ligustro coltivato, L. japonicum Thunb., che però si distingue per la taglia (arbusto non superante i 3 m in altezza), per le
foglie da ovate a largamente ellittiche, lunghe al massimo 8 cm e, infine, per la corolla complessivamente più lunga (almeno 6 mm); in Lombardia
non è mai stato trovato in natura.
Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Cerabolini et al., 2008; De Carli et al., 1999; Frattini, 2008; Green, 1997; Kleih, 2007; Macchi, 2005
ligustro
da siepe
Famiglia: Oleaceae
Nome scientifico: Ligustrum ovalifolium Hassk.
Nome volgare: ligustro da siepe, martello
Tipo biologico: nPscap
Descrizione: Arbusto semideciduo alto 2-3 m, glabro in ogni parte, con ritidoma liscio, grigio scuro. Foglie con picciolo
di 3-4 mm e lamina ovata, subcoriacea, lunga 3-7 cm, verde scuro con riflessi satinati sulla faccia adassiale, verde chiaro
opaco su quella abassiale, a margine intero e non ondulato, nervo mediano visibile. Fiori numerosi in pannocchie di 5-10 cm,
fortemente odorosi; corolla bianco panna, con tubo di 5-6 mm (più lungo dei lobi) e lembo a 4 lobi lunghi 2-3 mm; stami 2;
ovario supero. Il frutto è una drupa subglobosa, nera e lucida, di 5-7 mm di diametro.
Periodo di fioritura: giugno-luglio.
Area d’origine: Asia orientale (Giappone settentrionale e centrale).
Habitat: Siepi abbandonate, margini di boscaglie.
Distribuzione nel territorio: È presente in tutto il territorio regionale (50-650 m s.l.m.), anche se con discontinuità. Bergamo
(NAT), Brescia (NAT), Como (INV), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (NAT), Pavia
(CAS), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1847, in Italia presumibilmente un po’ più tardi; in Lombardia
segnalata per la prima volta da Giordana (1995).
Modalità d’introduzione: Deliberata: commercio vivaistico, come soggetto da siepe; diffusa in natura da merli e altri
passeriformi frugivori.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Questo ligustro può formare un denso mantello arbustivo, alterando la biodiversità del sottobosco, con riflessi
anche sui processi biogeochimici del suolo. Di minor peso l’impatto sul paesaggio, in quanto la specie forma cespuglieti
complessivamente piuttosto diafani.
Azioni di contenimento: Taglio selettivo, ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi; provvedere quindi
alla piantagione di arbusti indigeni. Pronta rimozione delle giovani piante in aree di neo-invasione. Prevenire in ogni modo
la fruttificazione.
Note: Il ligustro cinese (L. sinense, vedi scheda) si distingue per il ritidoma (“corteccia”) grigio chiaro, ma soprattutto per le foglie decidue, sottili,
verde opaco di sopra (senza riflessi satinati), da ellittiche a ellittico-oblunghe, con i margini talvolta ondulati, e per i rametti dell’anno ricoperti di
una densa pubescenza giallo-grigiastra; i fiori presentano tubo corollino meno allungato rispetto al lembo e sono meno intensamente odorosi.
Anche questa specie denota efficiente autodisseminazione sviluppando plantule sia intorno alle piante madri sia a notevole distanza da queste.
Bisogna però osservare che difficilmente viene raggiunta la maturità riproduttiva e solo occasionalmente si arriva alla fondazione di piccoli nuclei
popolazionali isolati. Entrambi questi ligustri esotici vengono tuttora confusi con il vero ligustro nostrano (L. vulgare L.), entità eurasiatica propria
dello strato arbustivo delle cenosi boschive meso-termofile, che si riconosce dalle foglie (decidue) ellittiche o lanceolate, lunghe fino a 4 cm, opache.
Infine non possiamo dimenticare il ligustro lucido (L. lucidum, vedi scheda), anch’esso di origine Est-asiatica, un inconfondibile grosso arbusto o
alberello sempreverde con tronco di tutto rispetto, che può raggiungere 12 m d’altezza in esemplari monumentali: ha foglie coriacee, lunghe 8-12
cm, ovate, lungamente acuminate, lucenti su entrambe le facce, verde scuro sopra, più chiare sotto; sviluppa in piena estate, all’apice dei rami,
grandi pannocchie piramidali con numerosissimi fiori bianco-giallognoli, seguiti da drupe obovoidi, nero-azzurre in inverno per la presenza di
pruina sull’epicarpo; si tratta di entità naturalizzata in varie parti del territorio nazionale, Lombardia compresa.
Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Bonali et al., 2006a; Cerabolini et al., 2008; De Carli et al., 1999; Giordana, 1995; Green, 1997; Kleih, 2007
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ligustro
cinese
Famiglia: Oleaceae
Nome scientifico: Ligustrum sinense Lour.
Nome volgare: ligustro cinese
Sinonimo: Ligustrum ovalifolium auct., non Hassk.
Tipo biologico: nPscap
Descrizione: Arbusto alto, al massimo, 4 m; rametti dell’anno pubescenti. Foglie tardodecidue (la maggior parte cade appena
prima dell’inizio della nuova fogliazione), opposte; picciolo di 2-8 mm; lamina da ovata a ellittica, di 2-7×1-3 cm, verde opaco;
margine intero, spesso ondulato, base cuneata o pressoché arrotondata, apice ottuso oppure mucronato. Infiorescenza a
pannocchia, solitamente terminale, di 4-11×3-8 cm, moderatamente odorosa; pedicelli di 1-5 mm; calice a 5 denti, lungo
1-1.5 mm; corolla lunga 3.5-5.5 mm, bianca, con tubo leggermente più corto dei lobi, che sono 4. Frutto rappresentato da una
bacca di colore nero opaco, subglobosa, di 5-8 mm, con 1-4 semi.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
Area d’origine: Asia orientale (Cina e Vietnam).
Habitat: Boscaglie e boschi, senza particolari preferenze edafiche, anche se di preferenza moderatamente termofili e piuttosto
aperti. Più frequente intorno alle aree antropizzate, ma anche, purtroppo, in siti destinati alla riqualificazione ambientale, dove
è stato erroneamente mescolato alle specie autoctone (al posto di L. vulgare). Frequente anche quale invasiva negli impianti
di conifere.
Distribuzione nel territorio: È presente in tutto il territorio regionale (50-650 m s.l.m.), anche se con discontinuità. Bergamo
(INV), Brescia (NAT), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (NAT),
Pavia (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1852, in Italia presumibilmente un po’ più tardi, ma come pianta
da siepe divenne di moda soltanto attorno alla metà degli anni Sessanta del passato secolo. In Lombardia è stata segnalata
come naturalizzata da Banfi & Galasso (1998).
Modalità d’introduzione: Deliberata (florovivaistica).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Questo ligustro può formare un denso mantello arbustivo, alterando la biodiversità del sottobosco, con riflessi
anche sui processi biogeochimici del suolo. Di minor peso l’impatto sul paesaggio, in quanto la specie forma cespuglieti
complessivamente piuttosto diafani.
Azioni di contenimento: Taglio selettivo, ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi; provvedere quindi
alla piantagione di arbusti indigeni. Pronta rimozione delle giovani piante in aree di neo-invasione. Prevenire in ogni modo
la fruttificazione.
serenella
Famiglia: Oleaceae
Nome scientifico: Syringa vulgaris L.
Nome volgare: serenella, lillà, fior di maggio
Tipo biologico: nPscap
Descrizione: Arbusto deciduo, glabro, alto 2-6 m. Foglie opposte, con picciolo di 1-3 cm e lamina ovato-cuoriforme, di
6-9×5-7 cm, acuminata, verde scuro, opaca. Fiori tubulosi, odorosi, in pannocchie generalmente terminali di 10-20 cm; calice
di 2 mm, a 4 denti; corolla lilla scuro nel boccio, poi lilla vivo, quindi via via sbiadente con l’invecchiamento (rossa, rosa, viola o
bianca nelle cultivar), con tubo di 8-10 mm e lembo di 4 lobi patenti di circa 8×5 mm; stami 2, inclusi nel tubo corollino; ovario
bicarpellare, biloculare, supero, con 2 ovuli per loculo; stilo filiforme, più breve degli stami. Il frutto è una capsula bivalve,
lateralmente compressa, acuminata, di 8-12 mm, contenente 4 semi appiattiti, con stretta ala marginale.
Periodo di fioritura: aprile-maggio.
Area d’origine: Balcani.
Habitat: Boscaglie, siepi.
Distribuzione nel territorio: Planiziale-collinare. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Cremona (CAS), Lecco (CAS), Milano (NAT),
Pavia (NAT), Sondrio (CAS), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Francia nel XVI secolo, quindi in Italia dove è coltivata dalla metà dello stesso
secolo. In Lombardia coltivata almeno dal 1785 (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789) e naturalizzata almeno
dal 1816 presso Godiasco e Fortunago nel pavese (Nocca & Balbis, 1816).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per uso ornamentale.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Note: Le naturalizzazioni di questa oleacea in Italia sono di gran lunga più numerose di quelle ufficialmente segnalate, per il fatto che, verificandosi
spesso nei pressi di o in continuità con giardini e orti nei quali la specie è coltivata, vengono scambiate per piante in coltura o resti delle stesse.
Pignatti (1982) ricorda una vecchia segnalazione di Nicola Terracciano, ripresa dal Gavioli, relativa alla Basilicata (Muro Lucano, al Pianello),
secondo cui la specie appare inserita in un contesto del tutto naturale, slegato da qualsiasi ambiente secondario o artificiale, con il sospetto che
possa trattarsi di presenza autoctona e non di naturalizzazione. Fatto che non sarebbe poi tanto inverosimile, tenendo conto delle forti affinità
biogeografiche che legano l’Appennino meridionale alla penisola balcanica e che sono notoriamente testimoniate dagli areali di numerose specie
della nostra flora e della nostra fauna.
Bibliografia: Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Nocca & Balbis, 1816; Pignatti, 1982
Note: L. ovalifolium (ligustro da siepe, martello), originario del Giappone (vedi scheda), è coltivato da più lungo tempo, utilizzato per siepi più di
ogni altra specie fino agli anni ‘60 dello scorso secolo. Presenta una complessiva maggior robustezza, con foglie subsempreverdi, un po’ coriacee,
regolarmente ovate, lisce e intere al margine, verde scuro con riflessi “satinati” sulla faccia adassiale, più chiare inferiormente; rametti glabri; fioritura
più tardiva (giugno-luglio), fortemente odorosa, fiori con tubo corollino più lungo dei lobi e bacche lucide a maturità. Sebbene localmente
invasiva, ha minore tendenza a sfuggire e si mantiene nelle vicinanze della coltura. Entrambe le specie qui considerate vengono tuttora confuse
con il vero ligustro nostrano, L. vulgare L., entità eurasiatica propria dello strato arbustivo delle cenosi boschive meso-termofile, che si riconosce
dalle foglie (decidue) ellittiche o lanceolate, lunghe fino a 4 cm, opache.
Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Bonali et al., 2006a; Cerabolini et al., 2008; Frattini, 2008; Green, 1997
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veronica
filiforme
Famiglia: Plantaginaceae
Nome scientifico: Veronica filiformis Sm.
Nome volgare: veronica filiforme
Sinonimo: Veronica tournefortii C.C.Gmel., non Vill., nom. illeg.
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta generalmente sino a 20 cm, con fusti prostrati e radicanti, formanti un denso
tappeto. Foglie alterne, brevemente picciolate; lamina subrotonda, 5-13 mm, sparsamente pelosa, margine crenato con
piccoli denti ottusi, base cordata, apice arrotondato. Fiori singoli all’ascella di brattee simili alle foglie; alla fioritura pedicelli
lunghi almeno il doppio della corrispondente foglia bratteale; calice con 4 lobi; corolla azzurra o lilla-biancastra, rotata, di 5-14
mm. Frutto raro, costituito da una capsula obcordata, compressa, più ampia che lunga.
Periodo di fioritura: marzo-maggio.
Area d’origine: Asia occidentale (Iran, Turchia e Caucaso) ed Europa orientale (Russia e Ucraina).
Habitat: Cresce tipicamente in prati regolarmente falciati, in particolare se moderatamente ombreggiati, e su suoli con buona
disponibilità idrica.
Distribuzione nel territorio: Presenza frammentaria su tutto il territorio regionale, soprattutto nella fascia planiziale (con
l’esclusione della bassa pianura) e collinare (100-650 m s.l.m.); sembra più frequente nella Lombardia occidentale. Bergamo
(NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia e in Lombardia (Monte Resegone nel lecchese e Varese)
da Viola (1955) nel 1954.
Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.
Status: Invasiva.
Dannosa: No.
Impatto: Pur essendo localmente piuttosto diffusa e con popolazioni consistenti (invasiva), la sua presenza non sembra
attualmente destare particolari preoccupazioni.
Note: Coltivata come tappezzante e per le attraenti fioriture. Può essere confusa con V. persica (vedi scheda), che però è una pianta annuale, con
fusti ascendenti, foglie spesso di forma ovale e con denti più incisi e acuti, e pedicelli lunghi alla fioritura al massimo poco più della corrispondente
foglia bratteale.
Bibliografia: Viola, 1955
occhi della
Madonna
Famiglia: Plantaginaceae
Nome scientifico: Veronica persica Poir.
Nome volgare: occhi della Madonna
Sinonimo: Veronica buxbaumii Ten.,
non F.W.Schmidt, nom. illeg.
Tipo biologico: Trept
Descrizione: Pianta erbacea annuale a fusti lunghi 5-50 cm, prevalentemente decombenti e radicanti ai nodi. Foglie alterne,
da ovate a subrotonde, di 10-20×9-18 mm, con margine piano, crenato-seghettato, da brevemente picciolate a subsessili,
verde chiaro, le superiori ± bruscamente ridotte. Fiori solitari, ascellari, su peduncoli allungantisi fino a 22 mm nel frutto,
superanti le brattee; calice profondamente diviso in 4(-5) lacinie ovato-lanceolate lunghe (4-)6-7 mm; corolla debolmente
zigomorfa, di 8-12 mm di diametro, a 4 lobi azzurro-cielo con fauce sbiancata e venature più scure; stami 2, sporgenti e
divergenti; ovario supero. Il frutto è una capsula loculicida bilobata, di 4-5×7-10 mm, a lobi molto divergenti separati da
un seno largo e poco profondo, fortemente carenata; stilo di 2.5-3 mm, visibilmente sporgente dal seno; semi appiattiti,
largamente ellittici, concavi su una faccia.
Periodo di fioritura: (febbraio)-marzo-ottobre.
Area d’origine: Asia sudoccidentale.
Habitat: Margini erbosi, incolti, prati disturbati, aiuole, campi, colture (eliofila).
Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla fascia planiziale a quella montana. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV),
Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia da metà del Cinquecento. In Europa osservata per la prima volta in
natura nel 1805: sfuggita alla coltura nei dintorni di Karlsruhe, si diffuse nella gran parte dei paesi europei nella seconda metà
dell’Ottocento. In Lombardia già citata da Cesati (1844).
Modalità d’introduzione: Deliberata (usi floricoli).
Status: Invasiva.
Dannosa: Relativamente.
Impatto: Paesaggistico (gradevole), evidente nel periodo di massima fioritura. Inoltre condiziona negativamente la
biodiversità delle cenosi segetali legate alla vegetazione cerealicola, sottraendo spazio a molte specie della classe Stellarietea
mediae Tüxen, Lohmeyer & Preising in Tüxen 1950 e degli ordini Centaureetalia cyani Tüxen, Lohmeyer & Preising in Tüxen 1950
(su suoli ricchi in basi) e Chenopodietalia albi Tüxen (1937) 1950 (su suoli poveri di basi).
Azioni di contenimento: Eventuale uso degli erbicidi comunemente impiegati in agricoltura per l’eliminazione delle
dicotiledoni annuali.
Note: Può essere confusa con V. filiformis (vedi scheda), che però è una pianta perenne, con fusti prostrati formanti un denso tappeto, foglie
subrotonde con piccoli denti ottusi e pedicelli lunghi alla fioritura almeno il doppio della corrispondente foglia bratteale.
Bibliografia: Cesati, 1844
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veronica
pellegrina
Famiglia: Plantaginaceae
Nome scientifico: Veronica peregrina L.
Nome volgare: veronica pellegrina
Sinonimo: Veronica chilensis Kunth
Veronica peregrina L. var. xalapensis (Kunth) Pennell
Veronica xalapensis Kunth
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 5-25 cm, con fusti, rami e foglie glabri. Foglie opposte, sessili; le inferiori
oblanceolate, le superiori strettamente oblunghe, 1-2.5×0.2-0.6(-0.8) cm, con margine intero o dentato. Infiorescenze in
racemi terminali e ascellari; brattee simili alle foglie, ma leggermente più piccole; pedicelli lunghi meno di 2 mm; calice con
4 lobi; corolla in genere bianca, rotata, di circa 2 mm. Frutto costituito da una capsula obcordata, fortemente compressa, più
ampia che lunga.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
Area d’origine: Nordamerica centro-orientale.
Habitat: Preferisce suoli umidi, in posizioni soleggiate o solo parzialmente ombreggiate. Di solito si rinviene in pozze
temporaneamente umide presso aree boscate, comunque in aree soggette a disturbo antropico e con disponibilità di suolo
nudo. È presente anche come infestante nei giardini.
Distribuzione nel territorio: Presenza sporadica su tutto il territorio regionale, soprattutto nella fascia planiziale (50-400 m
s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia
(NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, naturalizzata in Italia dal Settecento.
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Tramite estirpazione manuale o sarchiatura.
Note: Popolazioni con peli ghiandolari sono state rinvenute nel bresciano e cremonese (Zanotti, 2008); esse sono state descritte come var.
xalapensis, ma sono prive di valore sistematico.
Bibliografia: Viola, 1955
buddleja
Famiglia: Scrophulariaceae
Nome scientifico: Buddleja davidii Franch.
Nome volgare: buddleja, buddleia, albero delle farfalle,
lillà dell’estate
Sinonimo: Buddleja variabilis Hemsl.
Tipo biologico: nPcaesp
Descrizione: Arbusto di 1-5 m di altezza, con fusti ramosi, piuttosto fragili, pubescenti da giovani e quasi tetragoni; corteccia
bruno-grigiasta suddivisa in lunghe fibre longitudinali. Foglie picciolate o subsessili, opposte, lanceolate od ovato-lanceolate,
lunghe 10-25 cm, acute e seghettate, verde scure di sopra e bianco-cotonose di sotto; le nervature sono infossate di sopra
e sporgenti di sotto. Fiori numerosissimi, piccoli, tubulosi, lilla o porpora, con fauce arancione, molto profumati e riuniti in
appariscenti grappoli terminali ai rami, stretti (cilindrici), lunghi 10-30 cm e penduli; il calice è bianco-tomentoso e piccolo, di
2.5 mm. I frutti sono delle piccole capsule contenenti numerosi semi alati.
Periodo di fioritura: maggio-settembre.
Area d’origine: Asia orientale (Cina).
Habitat: Rive, vicinanze di corsi d’acqua, alluvioni, ghiaie, greti, ambienti ruderali e semiruderali (cave di ghiaia, pietra o
marne), arbusteti meso-termofili e boschi ripariali (pioppeti, ontaneti, frassineti umidi e saliceti arborei).
Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla fascia planiziale a quella submontana (0-1˙100 m s.l.m.), soprattutto lungo i
fiumi e intorno ai laghi (Maggiore, Garda ecc.). Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi
(INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (NAT), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1896; in Lombardia coltivata almeno dal 1920 e naturalizzata
almeno dal 1931 a Brescia (Fiori, 1935).
Modalità d’introduzione: Deliberata (coltivata per ornamento in parchi e giardini).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: È una specie fortemente invasiva, soprattutto su terreni degradati, aridi o ben drenati (ambienti fluviali o ruderali
e perturbati dall’uomo), in quanto forma popolamenti densi che soppiantano la vegetazione indigena riducendo così la
biodiversità delle comunità preesistenti e modificando la fisionomia del paesaggio naturale. L’estrema e capillare diffusione sul
territorio regionale si deve al suo comportamento da pioniera: è, infatti, pianta rustica, che si adatta molto bene ad ogni tipo di
suolo (pur preferendo quello calcareo), non teme il gelo sopportando temperature fino a -15°, ha un accrescimento rapido e
si propaga vegetativamente grazie a stoloni sotterrranei e sessualmente mediante un’abbondante produzione di semi (fino a
3 milioni per pianta), che il vento riesce a trasportare a lunghe distanze. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone
vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia; è inoltre inserita tra
le specie esotiche a carattere infestante e dannose per la conservazione della biodiversità riportate nel r.r. 5/2007.
Azioni di contenimento: Taglio selettivo prima della fioritura, ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi,
soprattutto in caso di ripollonamento; quindi si deve non lasciare il terreno nudo, ma favorire la vegetazione spontanea con la
semina di specie indigene. Visto che sopporta molto bene anche le drastiche potature, che anzi la ringiovaniscono rendendola
così più vigorosa, l’azione di contenimento migliore sarebbe quella di sradicare ogni singola pianta. Si dovrebbe anche
intervenire preventivamente, soprattutto in vicinanza di zone sensibili, invitando i giardinieri e la popolazione a rinunciare al
suo uso ornamentale sostituendola con altre specie o cultivar meno invasive, o addirittura con specie autoctone; in alternativa
si potrebbe suggerire di potare la pianta prima della fruttificazione e bruciare la parte tagliata, evitando così la dispersione
dei semi.
Note: Nonostante sia nota come l’albero delle farfalle, in realtà è dannosa anche per loro poiché attira e nutre solo quelle cosiddette “generaliste”,
mentre le farfalle “specialiste”, cioè quelle che per il loro ciclo vitale necessitano di determinate specie vegetali indigene, non sopravvivono se le
loro piante nutrici si rarefanno in seguito all’invasività della buddleja.
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Bibliografia: Fiori, 1935
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vandellia
delle risaie
Famiglia: Linderniaceae
Nome scientifico: Lindernia dubia (L.) Pennell
Nome volgare: vandellia delle risaie, lindernia delle risaie
Basionimo: Gratiola dubia L.
Sinonimo: Capraria gratiolioides L.
Gratiola anagallidea Michx. / Gratiola inaequalis Walter
Ilysanthes attenuata (Muhl. ex Elliott) Small
Ilysanthes dubia (L.) Barnhart
Ilysanthes gratiolioides (L.) Benth.
Ilysanthes inaequalis (Walter) Pennell
Ilysanthes riparia Raf.
Lindernia anagallidea (Michx.) Pennell
Lindernia attenuata Muhl. ex Elliott
Lindernia dubia (L.) Pennell var. anagallidea (Michx.) Cooperr
Lindernia dubia (L.) Pennell var. riparia (Raf.) Fernald
Lindernia gratiolioides (L.) J.Lloyd & Foucaud
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, glabra, alta 5-12 cm, con fusto eretto o prostrato, ramoso specialmente nella parte
superiore. Foglie opposte, da ovate a obovate, di 8-25×5-15 mm, attenuate o arrotondate alla base, con margine dentellato.
Fiori solitari all’ascella delle foglie, su peduncoli di 5-12 mm, di cui gli inferiori più brevi della foglia ascellante; calice
regolarmente diviso in 5 lacinie lineari di 3-5 mm; corolla lunga 7-8 mm, bianco-rosea, con tubo strettamente campanulato e
lembo bilabiato a labbro superiore minore, piano, eretto, bilobato e labbro inferiore maggiore, patente, a 3 lobi; stami 4, di cui
2 sterili (staminodi) e speronati alla base; ovario supero. Il frutto è una capsula setticida ovato-appuntita, subeguale al calice o
più breve, contenente numerosi semi a testa foveolata.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Nordamerica sudorientale.
Habitat: Risaie, greti, fanghi in ambito golenale.
Distribuzione nel territorio: Planiziale, nella zona delle risaie e lungo il Po. Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano
(INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Francia probabilmente con le navi da commercio nel 1850; in Italia e in Lombardia
osservata per la prima volta nel 1927 nelle risaie del milanese (Stucchi, 1949a).
Modalità d’introduzione: Accidentale (presumibilmente con i risi).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì, ma solo alla produzione risicola.
Impatto: Infestante, che crea soltanto uno scarso disturbo alla biodiversità delle comunità vegetazionali di risaia.
Azioni di contenimento: Eventuale diserbo in risaia.
stregonia
cigliata
Famiglia: Lamiaceae
Nome scientifico: Elsholtzia ciliata (Thunb.) Hyl.
Nome volgare: stregonia cigliata
Basionimo: Sideritis ciliata Thunb.
Sinonimo: Elsholtzia cristata Willd.
Elsholtzia patrinii (Lepech.) Garcke
Mentha patrinii Lepech.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 30-70 cm, con fusti eretti, subglabri o puberuli. Foglie opposte, ovato-ellittiche, di
2-10×1-4 cm, acute, crenato-seghettate. Fiori in verticillastri biflori su spighe compatte, unilaterali, con brattee di 4-5(-7) mm,
obovato-orbicolari, cuspidate, intere, leggermente più lunghe dei fiori; calice campanulato a 5 nervi, con 5 denti subeguali,
lungo 1.5-2 mm, pubescente, accrescente nel frutto; corolla bilabiata, lilacina, lunga 3-4 mm, con tubo diritto, labbro superiore
a cappuccio e labbro inferiore trilobato; stami 4, divergenti, con antere nero-purpuree, di poco eccedenti in lunghezza il
labbro superiore; ovario supero. Il frutto è un trimario, cioè uno schizocarpo costituito da 4 nucule, nella fattispecie lisce o
rugose esternamente.
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: Asia centro-orientale.
Habitat: Incolti ruderali.
Distribuzione nel territorio: Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dalla fine del Settecento. Segnalata per la prima volta in Italia in FriuliVenezia Giulia (Poldini, 1991), in Lombardia osservata dal 2002 (Macchi, 2005).
Modalità d’introduzione: Deliberata (erboristeria).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Bibliografia: Macchi, 2005; Poldini, 1991
Note: Una variante dai peduncoli inferiori maggiori della foglia ascellante, dalle foglie inferiori ovate con base arrotondata o cordata e dalla
capsula superante in lunghezza il calice venne identificata nel 1972 (Cook, 1973) sotto il binomio L. anagallidea (vandellia bellichina), risultando
presente nelle risaie pavesi (oltre che vercellesi); anche questa specie appartiene al contingente floristico nordamericano. Una recente
revisione del complesso di L. dubia (Lewis, 2000) riduce L. anagallidea a rango varietale; tuttavia secondo Brent & Wayne (2005), che hanno
esaminato oltre 2200 campioni, esiste un ampio campo di variabilità che non sostiene le suddivisioni sistematiche di L. dubia. Del resto anche
le recenti Standardliste della Germania (Fischer, 1998) e la Flora della Cina (Deyuan et al., 1998) sinonimizzano completamente queste specie.
A fronte dell’entità esotica, ricorderemo L. procumbens (Krocker) Borbás (vandellia comune), autoctona a distribuzione eurasiatica, propria dei
suoli fangosi meso-eutrofici, temporaneamente inondati. Si distingue facilmente per i fiori piccoli (corolla inferiore a 6 mm), provvisti di 4 stami
funzionali e può essere anch’essa presente in ambiente di risaia.
Bibliografia: Brent & Wayne, 2005; Cook, 1973; Deyuan et al., 1998; Fischer, 1998; Lewis, 2000; Pirola, 1964b; Stucchi, 1949a
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mimolo
macchiato
Famiglia: Phrymaceae
Nome scientifico: Mimulus guttatus DC.
Nome volgare: mimolo macchiato
Sinonimo: Mimulus luteus auct., non L.
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 20-50 cm, glabra (salvo peli ghiandolari sull’infiorescenza), con fusto ascendente,
robusto, internamente cavo. Foglie opposte, le inferiori brevemente picciolate, le superiori sessili, largamente ovate, lunghe
fino a 5 cm, irregolarmente dentate al margine, con apice acuto od ottuso. Fiori in racemi terminali 3-7-flori, ciascuno
all’ascella di brattee, su peduncoli di 12-25 mm; calice lungo 15-20 mm, a 5 denti disuguali, il superiore dei quali più lungo e
più largo degli altri; corolla di circa 40×30 mm, giallo vivo, con tubo cilindrico-campanulato e lembo bilabiato, ± punteggiata
di rosso alla fauce, che è occlusa da una doppia linea di lunghi peli inseriti sul labbro inferiore; stami 4, didinami, inclusi nel
tubo; ovario supero; stigma brevemente bilobo. Il frutto è una capsula loculicida con numerosi semi.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: Nordamerica (dall’Alasca al Messico).
Habitat: Boscaglie, forre.
Distribuzione nel territorio: Pavese (Valle della Vernavola in comune di Pavia). Pavia (NAT), Varese (CAS). [Mazus miquelii:
Cremona (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia in Trentino-Alto Adige nel 1926 (Fiori, 1928, sub M.
luteus), in Lombardia nel 1978 nel pavese (Gardini Peccenini, 1980).
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Estetico-paesaggistico, ma assai localizzato.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Note: Della stessa famiglia è stata recentemente segnalata (Zanotti, 1996 sub M. japonicus), come naturalizzata, Mazus miquelii Makino (= M.
japonicus auct., non (Thunb.) Kuntze, = M. reptans N.E.Br.; mazus perenne), introdotta dal Giappone quale tappezzante da giardino. È un’erbacea
perenne dai fusti ascendenti lunghi 10-15 cm, collegati da stoloni lunghi fino a 20 cm, radicanti o no ai nodi. Si riconosce subito per i fiori
violetti o bianchi punteggiati di viola, lunghi 1.5-2 cm, bilabiati, con caratteristico labbro inferiore allargato orizzontalmente, trilobo, a lobo
mediano obovato, più breve dei lobi laterali e labbro superiore eretto, breve. Non è nota un’eventuale potenzialità invasiva di questa specie.
In Lombardia si trova ancora, casuale, Mazus pumilus (Burm.f.) Steenis (= Lobelia pumila Burm.f., = Mazus japonicus (Thunb.) Kuntze; mazus
annuale), osservato a Villareale in comune di Cassolnovo (PV) (Desfayes, 1997) ed all’interno del Parco Regionale dell’Adda Sud in comune di
Castiglione d’Adda (LO) (Francesco Zonca, in verbis), oltre che all’interno dell’Orto Botanico di Pavia (Peccenini Gardini, 1985).
Bibliografia: Desfayes, 1997; Fiori, 1928; Gardini Peccenini, 1980; Peccenini Gardini, 1985
226
paulownia
Famiglia: Paulowniaceae
Nome scientifico: Paulownia tomentosa (Thunb.) Steud.
Nome volgare: paulownia, paulonia
Basionimo: Bignonia tomentosa Thunb.
Sinonimo: Incarvillea tomentosa (Thunb.) Spreng.
Paulownia imperialis Siebold & Zucc., nom. illeg.
Paulownia tomentosa (Thunb.) Britton, comb. superfl.
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Albero alto sino a 20 m. Foglie maleodoranti, decidue, opposte oppure occasionalmente in verticilli di 3; lamina
largamente ovata, lunga fino a 40 cm, sparsamente o densamente pubescente, con margine intero, a volte leggermente
ondulato, apice acuto e base cordata. Infiorescenza formata da un’ampia pannocchia piramidale, eretta (tipo ippocastano),
lunga sino a 50 cm; peduncolo dell’infiorescenza e peduncoli fiorali lunghi 1-2 cm; calice lungo circa 1.5 cm, campanulato, con
5 lobi lunghi da metà a poco più del tubo; corolla profumata, bilabiata e campanulata, ghiandolosa, di un vistoso lilla violetto,
lunga 5-7.5 cm. Frutto costituito da una capsula biloculare, ovoide-appuntita, lunga 3-4.5 cm, appiccicoso-ghiandolosa,
contenente semi alati, lunghi 2.5-4 mm.
Periodo di fioritura: aprile-maggio.
Area d’origine: Asia orientale (Cina).
Habitat: Negli ambienti antropizzati, dove è maggiormente diffusa, cresce soprattutto lungo i margini stradali e nelle
spaccature dei vecchi muri, qualche volta sui vecchi tetti. In ambienti a maggior naturalità si rinviene nelle boscaglie aperte e
sulle rupi. Sembra prediligere suoli asciutti in posizione calda e soleggiata.
Distribuzione nel territorio: Sporadicamente diffusa su tutto il territorio regionale (50-800 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia
(NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Sondrio
(NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia verso la metà del secolo XIX. In Lombardia segnalata da Giacomini (1950).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per parchi, giardini e alberature stradali.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Attualmente la specie non presenta popolazioni di consistenza numerica tale da comportare alterazioni della
biodiversità e del paesaggio.
Azioni di contenimento: Immediata rimozione del novellame. Controllo e possibile eradicazione degli esemplari fruttificanti
mediante intervento meccanico (taglio alla base o cercinatura), da ripetersi sui polloni, eventualmente coadiuvato dall’uso
localizzato di erbicidi sistemici.
Note: È un albero coltivato diffusamente in parchi e giardini; inoltre come coltura legnosa a rapido accrescimento. La posizione sistematica delle
Paulowniaceae è molto isolata, lontana sia dalle Bignoniaceae, nelle quali una volta erano incluse, sia dalle altre famiglie dell’ordine Lamiales.
Bibliografia: Giacomini, 1950
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catalpa
cinese
Famiglia: Bignoniaceae
Nome scientifico: Catalpa ovata G.Don
Nome volgare: catalpa cinese, albero dei sigari cinese
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Albero che può raggiungere 15 m d’altezza, con chioma espansa, largamente convessa nei vecchi esemplari.
Foglie decidue, opposte, talvolta in parte verticillate; picciolo di 6-18 cm; lamina ampiamente ovata, di 25×25 cm, scabra, da
sparsamente pubescente a glabra; margine intero o sinuoso, di norma con tre lobi; base cordata; apice acuminato. Fiori in
larghe pannocchie terminali; peduncolo dell’infiorescenza sparsamente pubescente, lungo 12-28 cm; calice bilabiato, lungo
6-8 mm; corolla campanulata, giallo pallido (colore di fondo), di 2.5×2 cm, bilabiata; labbro superiore con 2 lobi, l’inferiore
trilobo; fauce punteggiata di porpora, con due strie giallo scuro; stami didinami, i due fertili inclusi nella corolla; stilo filiforme,
stigma bilobato. Il frutto è una capsula lineare allungata (“sigaro”), di 20-30×0.5-0.7 cm, pendula, con semi ellissoidali, piatti,
di 6-8×3 mm circa, contornati da un’ala scariosa, brunastra.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
Area d’origine: Asia orientale (Cina).
Habitat: Greto sassoso, in boscaglia con Populus nigra e Salix purpurea.
Distribuzione nel territorio: Sinora rinvenuta spontanea solamente in una stazione planiziale lungo il Fiume Ticino, a ca. 160
m s.l.m. (Cascina Gaggio, Tornavento -VA-). Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XIX. Segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia da
Banfi et al. (2009).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per ornamento.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Nell’unica località di rinvenimento, la specie sembra un componente naturale della boscaglia ripariale di
colonizzazione del greto. La rinnovazione è abbondante, in particolare nei tratti scoperti del greto fluviale ciottoloso;
l’accrescimento si mostra veloce e concorrenziale nei confronti delle essenze autoctone. Impatto e potenzialità invasiva
dovranno quindi essere monitorati nell’immediato futuro.
Azioni di contenimento: Immediata rimozione del novelleto. Controllo ed eventuale eradicazione degli esemplari fruttificanti
mediante taglio alla base o cercinatura, da ripetersi sui polloni, eventualmente coadiuvato dall’uso locale di erbicidi sistemici.
campanula
serba
Famiglia: Campanulaceae
Nome scientifico: Campanula poscharskyana Degen
Nome volgare: campanula serba
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne con pubescenza appressata; fusti numerosi, lunghi 15-20(-30) cm, lassi e spesso
sdraiati. Foglie alterne, all’inizio densamente ispido-grigiatre, quindi glabrescenti, le basali picciolate, ovato-cordate, a margine
doppiamente dentato, le cauline seghettate o intere, subsessili. Fiori lungamente peduncolati, riuniti in una pannocchia ampia
e lassa; denti calicini 5, lanceolati, setoloso-cigliati, lunghi circa 4 volte il sottostante ovario; corolla largamente imbutiforme,
violetta con fauce più o meno sbiancata, larga 20-25 mm; stami 5; ovario infero; stilo trifido. Il frutto è una capsula poricida
contenente numerosi, minuti semi.
Periodo di fioritura: luglio-agosto.
Area d’origine: Europa sudorientale (ex-Jugoslavia occidentale).
Habitat: Muri (in patria basi di rupi e pareti rocciose).
Distribuzione nel territorio: Comasco (Lezzeno) e lecchese (Cernusco Lombardone). Como (NAT), Lecco (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, immessa recentemente sul mercato floricolo. Segnalata qui per la prima volta in Lombardia
e in Italia (osservata da Graziano Cattaneo nel 2008 e da Silviana Mauri nel 2009).
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Estetico-paesaggistico locale.
Azioni di contenimento: Eventuale eradicazione.
Note: Diverse campanule di questo gruppo sono vendute nei garden center, la più in voga delle quali, dopo la specie in questione, è C.
portenschlagiana Schult. (campanula dalmata). Quest’ultima, che proviene dalla medesima area geografica, si distingue facilmente per la corolla
campanulata, non svasata, e per i margini fogliari sinuato-crenati anziché dentati o seghettati. Finora è stata osservata casuale a Pavia e Maresso
(Missaglia, LC), ma non sembra essere stata capace di affermarsi fuori coltura; segnalata qui per la prima volta in Lombardia e in Italia (osservata
da Nicola Ardenghi e Silviana Mauri nel 2009).
Note: Altre due specie di Catalpa vengono ampiamente coltivate (spesso in cultivar diverse) dalla metà del XVIII secolo in parchi, giardini,
alberature ecc. e non di rado sono state osservate casuali in natura; si tratta di:
C. bignonioides Walter (catalpa comune, albero dei sigari), originaria degli USA sudorientali e caratterizzata da foglie puzzolenti, corolla lunga
3-3.5 cm e capsula larga 9 mm o più;
C. speciosa (Warder) Engelm. (= C. bignonioides Walter var. speciosa Warder, = C. bignonioides auct., non Walter; catalpa vistosa, albero dei sigari),
originaria degli USA nordorientali e caratterizzata da foglie non puzzolenti, corolla lunga 4-5 cm e capsula larga 13-18 mm.
Le due specie sono molto simili tra loro anche dal punto di vista molecolare e a volte sono state trattate come conspecifiche (Li, 2008);
entrambe si distinguono da C. ovata per la corolla più lunga (> 2.5 cm), dal colore di fondo bianco o roseo, e per la capsula più larga (> 7 mm).
I popolamenti esotici casuali rinvenuti in Lombardia e in Italia sono stati sempre confusi e attribuiti esclusivamente a C. bignonioides. In Lombardia
sono presenti entrambe (a differenza di quanto riportato da Banfi et al., 2009), ma al momento non è possibile precisarne la distribuzione. Dai pochi
dati disponibili sembra che C. speciosa sia la più diffusa (almeno nelle province di Cremona, Lodi e Milano: Banfi & Galasso, osservazioni personali;
Giordana, in verbis), mentre la vera C. bignonioides sarebbe presente almeno in provincia di Pavia (Ardenghi, in verbis 2009).
Bibliografia: Banfi et al., 2009; Paclt, 1952
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ambrosia
comune
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Ambrosia artemisiifolia L.
Nome volgare: ambrosia comune
Sinonimo: Ambrosia elatior L.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta sino a 60 cm, eccezionalmente oltre 1 m. Foglie opposte alla base del fusto, nel resto
alterne; picciolo lungo 25-35 mm; lamina largamente triangolare, lanceolata o ellittica, di 2.5-5.5(-10)×2-3 cm, 1-2 volte pennata con
lacinie larghe 1-5 mm, sparsamente pelose; base cuneata. Fiori maschili tubulosi, riuniti in capolini unisessuali, composti da 12-20 o
più fiori, raggruppati in racemi terminali eretti; stami singenesii, a dispersione pollinica anemofila; capolini femminili uniflori, all’ascella
delle foglie poste immediatamente al di sotto dei capolini maschili. Frutto composto da un involucro monospermo, fusiforme, di
3(-5)×2 mm, con in genere 4-5 tubercoli inseriti all’apice.
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Ambienti disturbati, a copertura del suolo instabile, come margini stradali, binari ferroviari, discariche, cantieri, aree
abbandonate, campi set-aside e campi incolti (stoppie), post-colture ecc.
Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutta la regione, soprattutto in pianura e nei fondivalle fino a circa 500 m s.l.m.; in Pianura
Padana localmente infestante e abbondantissima, spesso attorno alle metropoli. A quote crescenti si fa via via più rara, rifugiandosi
in posizioni calde e riparate. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza
(INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV). [A. psilostachya: Cremona (NAT), Lodi (NAT), Pavia (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, osservata per la prima volta in Europa nel 1863 a Pfaffendorf presso Beeskow nel Brandeburgo
(Germania) e poi diffusasi in Gran Bretagna, Belgio, Olanda, Francia ecc.; il primo esemplare raccolto in Italia, ad Alba, è del 1902
(Vignolo-Lutati, 1935). Presente in Lombardia almeno dal 1940 (Stucchi, 1949b).
Modalità d’introduzione: Accidentale, probabilmente con le colture (trifoglio, medica, patate ecc.).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Il principale aspetto negativo di questa pianta è di natura medico-sanitaria e deriva dall’enorme produzione di polline, quale
causa molto seria di allergie (Dal Bo, 1980). È infatti una specie anemofila che, affidando il polline al vento, ne deve produrre in quantità
elevatissime e caso vuole che questo polline sia uno tra i più allergenici che si conoscano. Le allergie che essa provoca sono particolarmente
fastidiose e inabilitanti e sicuramente in aumento anche per il continuo peggioramento della qualità dell’aria; il problema sanitario è
rilevante anche dal punto di vista del numero delle persone coinvolte (nelle zone infestate circa il 10% della popolazione). Inoltre è un
competitore infestante, in grado di deprimere la biodiversità delle cenosi erbacee e di degradare il paesaggio. Costituisce anche un
gravissimo problema economico: ad esempio, la stima della spesa sanitaria correlata all’allergopatia da ambrosia complessivamente
sostenuta a livello della sola A.S.L. n° 1 della Provincia di Milano (2006) è risultata per l’anno 2005 pari a € 1˙610˙884.00. Allo stato attuale
A. artemisiifolia non è sicuramente in fase di regressione, sia per l’estrema diffusione della specie, sia per l’inefficacia dei metodi di lotta
adottati sinora, ma soprattutto per l’inadeguatezza dei controlli diretti al rispetto dell’ordinanza regionale. È specie inclusa nella lista nera
delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia.
Azioni di contenimento: Data l’estrema diffusione della pianta e l’intolleranza al suo polline, la Direzione Generale Sanità della
Regione Lombardia nel 1997 ha istituito un apposito gruppo di studio e nel 1999 ha emanato un’ordinanza del Governatore (29
marzo 1999, n. 25˙522) contro la diffusione di questa specie tramite l’obbligo di tre sfalci da effettuarsi nelle terze decadi dei mesi
di giugno, luglio e agosto. Con un successivo decreto del 2004 (4 maggio 2004, n. 7˙257) ha infine approvato le linee guida per la
prevenzione delle sue allergopatie, che prevedono anche l’adozione di Ordinanze Sindacali che ne impongano il taglio periodico.
Occorre tuttavia notare come esemplari in fioritura di A. artemisiifolia alti soltanto pochi centimetri, sopravissuti allo sfalcio, siano stati
osservati di frequente. Ove possibile si rende necessario il mantenimento di una copertura vegetale stabile del suolo; in alternativa, si
raccomanda l’uso di erbicidi, ovvero il sovescio estivo delle stoppie nei campi (Alleva, 2008).
assenzio
annuale
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Artemisia annua L.
Nome volgare: assenzio annuale
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta fino a 150 cm, glabra e intensamente profumata di vermouth. Fusti eretti e striati,
ramosi, spesso arrossati. Foglie 2-3-pennatosette, tenui, lunghe 3-4 cm, divise in lacinie larghe 0.5-0.8 mm, revolute al margine.
Infiorescenza terminale, formata da numerosissimi piccoli capolini (calatidi) del diametro di 2 mm, subsessili, perlopiù penduli,
con fillari (brattee) paglierini, verdi sulla nervatura, provvisti di largo margine ialino, disposti in ampia pannocchia fogliosa. Fiori
tutti a corolla tubulosa, con 5 denti regolari, giallognola. I frutti sono minuscoli acheni senza pappo.
Periodo di fioritura: agosto-ottobre.
Area d’origine: Asia (Cina continentale steppica).
Habitat: Sentieri, strade rurali, macerie, basi di muri ed edifici, ferrovie, scarpate, aree industriali abbandonate, infrastrutture
edilizie, campi, colture, incolti ghiaiosi e sabbiosi.
Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla pianura alla collina (0-500 m s.l.m.), localmente infestante e abbondantissima.
Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (INV),
Pavia (INV). [A. scoparia: Cremona (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel Settecento; in Lombardia coltivata almeno dal 1785 (Hortus regius
botanicus ticinensis, 1785; Scopoli, 1785). Raccolta per la prima volta in natura al Viminale (Roma) nel 1890 (Chiovenda, 1897),
in Lombardia è stata segnalata per la prima volta da Ugolini (1933) nel bresciano dove la raccolse già nel 1925 (Bianchini, 1967).
Modalità d’introduzione: Deliberata (pianta medicinale ad azione antimalarica).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Deprime la biodiversità delle comunità vegetali invase riducendone la componente autoctona; modifica la
percezione locale del paesaggio; contribuisce alle pollinosi allergiche del periodo estivo-autunnale.
Azioni di contenimento: Falciature distribuite nei mesi di agosto, settembre e ottobre, per impedire la fioritura e la
formazione di semi; eradicazione manuale in caso di infestazione circoscritta; erbicidi mirati per uso locale. Ove possibile
provvedere al più presto a stabilizzare una copertura vegetale del suolo mediante semina o impianto di specie autoctone.
Note: L’attuale presenza incontrollata della specie sul territorio nasce da coltivazioni tuttora in esercizio per l’estrazione dell’artemisinina, molecola
di interesse medicinale in quanto dotata di azione antimalarica. Lungo il Po in provincia di Cremona (Isola Pescaroli e Isola Santa Maria) è stata
trovata naturalizzata anche A. scoparia Waldst. & Kit. (assenzio da scope)(Petraglia & Antoniotti, 2004; Bonali et al., 2006a), neofita di origine esteuropea, introdotta in Italia all’inizio dell’Ottocento, simile ad A. annua ma bienne, alta 30-100 cm, con fusti eretti, subglabri e foglie glabre a
segmenti terminali lineari, filiformi o setacei. Le calatidi, ovoidi o subsferiche, non maggiori di 2 mm, presentano fillari lucidi e sono disposte in
racemo o pannocchia piramidale, con fiori profumati, a corolla rossastra.
Bibliografia: Bianchini, 1967; Bonali et al., 2006a; Caramiello et al., 1987; Chiovenda, 1897; Hortus regius botanicus ticinensis, 1785; Petraglia &
Antoniotti, 2004; Scopoli, 1785; Ugolini, 1933
Note: Occorre accennare alla presenza sul territorio regionale di un altra specie naturalizzata di ambrosia, A. psilostachya DC. (= A. coronopifolia
Torr. & A.Gray; ambrosia delle sabbie), che differentemente da A. artemisifolia, è una pianta erbacea perenne, con foglie semplicemente pennate e
porzione centrale indivisa della lamina fogliare larga 5-15 mm (in A. artemisifolia soltanto 1-5 mm). È stata osservata per la prima volta in Lombardia
nel 1979 nel pavese da Soldano (1980a) ed è presente lungo il Po nelle province di Pavia, Lodi e Cremona. Infine si ricorda che A. trifida L. (ambrosia
trifida) è stata osservata casuale in provincia di Pavia (Viola, 1953) e di Brescia (Zanotti, 1988a).
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Bibliografia: Alleva, 2008; Arietti & Crescini, 1975; A.S.L. della Provincia di Milano N°1, 2006; Dal Bo, 1980; Soldano, 1980a; Stucchi, 1942, 1949b;
Vignolo-Lutati, 1935; Viola, 1953; Zanotti, 1988a
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assenzio
dei fratelli
Verlot
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Artemisia verlotiorum Lamotte
Nome volgare: assenzio dei fratelli Verlot
Sinonimo: Artemisia selengensis auct., non Turcz. ex Besser
Artemisia umbrosa auct., non (Turcz. ex Besser) Turcz. ex DC.
Artemisia vestita Wall.
Artemisia vulgaris L. subsp. verlotiorum (Lamotte) Bonnier
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 50-200 cm, con intenso odore aromatico (vermouth); fusto eretto, ramoso, con lunghi
rizomi o stoloni orizzontali striscianti. Foglie 1-2-pennatosette, verde scuro e glabrescenti di sopra, verde-grigiastro chiaro e pelose
inferiormente, con lacinie intere; foglie superiori con segmenti di primo ordine interi. Capolini (calatidi) numerosi, ovoidi, subsessili,
più lunghi che larghi, con fillari (brattee) glabrescenti, costituiti da numerosi fiori tubulosi a corolla bruna o rossastra; infiorescenza a
pannocchia strettamente piramidale, fogliosa. I frutti sono acheni lunghi 2-3 mm, bruni, senza pappo.
Periodo di fioritura: settembre-novembre.
Area d’origine: Asia orientale (Cina).
Habitat: Incolti, campi, vigne, sentieri, strade rurali, macerie, zone residenziali, base dei muri ed edifici, ferrovie, scarpate,
suoli industriali abbandonati, margini e radure delle boscaglie, boschi ripariali disturbati (pioppeti, ontaneti, frassineti umidi,
saliceti), fanghi e alvei fluviali.
Distribuzione nel territorio: Ovunque, da 0 a 600 m s.l.m., soprattutto in pianura, lungo i fiumi, nelle città e, in generale,
negli ambienti coltivati e ruderali condizionati dall’uomo. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco
(INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta a Grenoble e Clermont-Ferrand (Francia) nel 1873, da dove
si è rapidamente diffusa in tutta Europa, Italia inclusa (Pampanini, 1923, 1925, 1933). In Italia raccolta per la prima volta in
Piemonte nel 1906 (Gola, 1910), ma forse già nel 1902 o anche nel 1896 in Veneto (Ugolini, 1923); in Lombardia raccolta nel
1910 (Cozzi, 1922), nel 1929 era già «universalmente diffusa» (Stucchi, 1929a).
Modalità d’introduzione: Accidentale, a seguito alle guerre francesi in Cina di fine Ottocento.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Forte competitore allelopatico, caratterizzato da esuberanza espansiva (rapido allungamento e frazionamento dei
rizomi), capace in breve tempo di stabilizzare popolamenti monofitici densi ed estesi, che impediscono o limitano fortemente
la crescita delle altre specie erbacee. Tale aggressività, massimale sui suoli ricchi a umidità variabile, da leggeri a pesanti, da
subacidi a subalcalini, è favorita da episodi ricorrenti di disturbo, fra cui incendi, scassi e movimenti terra in generale. È perciò
dannosa per le superfici agricole e i seminativi, oltre, ovviamente, ad abbattere la biodiversità delle comunità vegetali visitate;
è pure decisamente deleteria sul paesaggio, che banalizza fortemente monotonizzandolo. Infine, anche il polline è causa
di guai, rientrando tra i più comuni fattori allergenici dell’aria di fine stagione. È specie inclusa nella lista nera delle specie
alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia.
Azioni di contenimento: La lotta contro questa aliena è molto difficile, perché eliminarne i rizomi è non soltanto un’impresa
improponibile in termini di costi, ma anche il risultato non darebbe garanzie; inoltre l’uso degli erbicidi in questo caso va
bandito in considerazione dell’estensione dei popolamenti e del fatto che questi sono per lo più compenetrati con le superfici
agricole, urbane e boscate. Si può ipotizzare che tagli ripetuti prima della fioritura possano far progressivamente perdere
vigore ai rizomi e portare lentamente la pianta a esaurimento, ma non esiste esperienza consolidata al riguardo.
forbicina
bipennata
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Bidens bipinnatus L.
Nome volgare: forbicina bipennata
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 30-80 cm, con fusto striato, subtetragono, talvolta densamente ramificato, glabro.
Foglie in prevalenza opposte, bipennatosette a contorno ovato, con segmenti laterali profondamente lobati, larghi 5-7 mm,
il terminale lesiniforme e lungo fino a 22 mm; picciolo lungo fino a 10 cm, strettamente alato. Capolini (calatidi) cilindrici, del
diametro di 1 cm, con 4-5 fiori periferici ligulati, gialli, gli altri tubulosi con corolla regolare a 5 denti, gialla; involucro lungo
6 mm, con 7-11 fillari (brattee) esterni, più corti degli interni. I frutti maturi sono acheni di colore nerastro, compressi, lunghi
circa il doppio dell’involucro del capolino (9 mm), con 2-3(-4) reste apicali retrorsamente setolose, lunghe 3 mm.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Colture, campi, vigneti, incolti, rupi, muri, ripari sotto roccia, bordi stradali, marciapiedi, binari ferroviari e dei tram.
Distribuzione nel territorio: Presenza ± sporadica su tutto il territorio regionale, soprattutto nella fascia planiziale e collinare
(0-500 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia
(NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). [B. subalternans: Como (NAT), Milano (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in coltivazione in Italia agli inizi del XVIII secolo e naturalizzata poco dopo. Già
citata da Pollini (1822b) per il bresciano.
Modalità d’introduzione: Volontaria (pianta coltivata in Orto botanico) e successiva diffusione accidentale (adesione dei
disseminuli a qualsiasi tipo di tessuto o imballaggio).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante
Azioni di contenimento: Estirpazione manuale o sarchiatura. Predilige le esposizioni calde, apprezzando le isole di calore
delle città, per cui non tende a inserirsi nel contesto rurale né in altre situazioni direttamente condizionate dal mesoclima.
Tenendo conto, tuttavia, dell’invasività di questa specie in patria (Nordamerica) e del processo di riscaldamento globale, che
interessa anche il nostro territorio, è opportuno un periodico monitoraggio.
Note: Una neofita affine, parimenti naturalizzata (rara) in Lombardia, è B. subalternans DC. (= B. bipinnatus auct., non L.; forbicina sudamericana),
che si distingue per lo sviluppo maggiore (fino a 160 cm), le foglie con un profilo strettamente triangolare e i segmenti più stretti quasi lineari
(foglie con profilo largamente triangolare e segmenti larghi in B. bipinnatus), in genere pelosi sulla pagina inferiore anche tra i nervi (in B. bipinnatus
solo al margine e lungo i nervi), le reste degli acheni perfettamente erette (leggermente piegate all’infuori in B. bipinnatus). Allo stato attuale non
crea problemi. Si fa presente che, sebbene Linneo abbia trattato il genere Bidens come femminile, in base all’art. 62.2(a) del Codice Internazionale
di Nomenclatura Botanica (McNeill et al., 2006) deve essere considerato maschile. Vi è stata tuttavia una proposta di conservarlo al femminile
(Harriman, 1998), che, anche se inizialmente accolta e raccomandata dal Comitato per le Spermatophyta (Brummitt, 2000), non è stata in seguito
recepita nell’elenco dei nomi generici conservati (McNeill et al., 2006, App. III).
Bibliografia: Brummitt, 2000; Harriman, 1998; McNeill et al., 2006; Pollini, 1822b
Note: Può essere confusa con il falso assenzio (Artemisia vulgaris L.), specie autoctona propria delle comunità di erbe perenni in ambiente secondario, che
si distingue per l’assenza quasi totale di aroma, per non possedere rizomi o stoloni evidenti (pianta cespitosa) e per le foglie superiori con segmenti di 1°
ordine dentati o pennatosetti, visibilmente bianco-tomentosi o cenerino-tomentosi sulla faccia abassiale. Nel territorio è stato rinvenuto anche l’abrotano
(A. abrotanum L.), neofita di area mediterranea dal caratteristico odore di limone, con fusti legnosi ramosissimi (frutice), glabri, foglie completamente
divise in lacinie filiformi e capolini subsferici (2-5 mm), con ricettacolo glabro. Era coltivata nei secoli passati (orti dei semplici) per le proprietà medicinali e
aromatiche e ora si ritrova in territorio lombardo in forma di relitto casuale e precario nei pressi di orti, coltivi e in aree ruderali.
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Bibliografia: Bini Maleci & Bagni Marchi, 1983; Caramiello et al., 1987; Cobau, 1940; Cozzi, 1922; Gola, 1910; Pampanini, 1923, 1925; Pampanini,
1933; Stucchi, 1929a; Ugolini, 1923
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forbicina
peduncolata
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Bidens frondosus L.
Nome volgare: forbicina peduncolata
Basionimo: Bidens melanocarpus Wiegand
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta fino a 150 cm, con fusto eretto o ascendente, liscio, cavo, ramificato, glabro ed
oscuramente quadrangolare, spesso arrossato. Foglie picciolate, opposte, le basali semplici a contorno lanceolato, le cauline
maggiori e divise in 3 segmenti lanceolati, di cui il centrale sorretto da un piccioletto lungo fino a ½ della lamina; il margine
dei segmenti è dentato, l’apice acuto. Capolini (calatidi) con fillari (brattee) brevi, membranosi, non raggianti, delineanti un
involucro ovato o cilindrico; i fiori hanno tutti corolla tubulosa, con 5 denti, giallo-aranciata. I frutti sono acheni nerastri di 6-12
mm, strettamente rettangolari, a base attenuata, appiattiti, con setole erette ai margini e 2 reste apicali, a loro volta provviste
di setole retrorse (per l’aggancio al vettore di disseminazione).
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Ambienti umidi secondari e di degrado, di norma su base fangosa, soggetti a inondazioni temporanee: fossi, alvei, sponde
di cave e stagni, solchi umidi nei campi e nei prati, depressioni nei sentieri, strade rurali e urbane, pioppeti, boschi ripariali.
Distribuzione nel territorio: Comune in tutta la regione, dalla fascia planiziale alla collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV),
Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio
(INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XVIII secolo, in Lombardia è presente almeno dal 1943 (Stucchi, 1949b).
Modalità d’introduzione: Volontaria (pianta coltivata in Orto botanico) e successiva diffusione accidentale (adesione dei
disseminuli a qualsiasi tipo di tessuto o imballaggio).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Elevata competitività vegetativa e riproduttiva (semi) caratterizzano il successo incondizionato di questa aliena nelle aree
umide disturbate ed eutrofizzate. In particolare, i formidabili appigli del disseminulo garantiscono alla pianta una diffusione della
massima efficienza, che si realizza per epizoocoria attraverso il pelo degli animali e gli abiti umani, oltre, naturalmente, a qualsiasi
opportunità di trasferimento “non protocollare”, come l’acqua di ruscellazione piovana o quella dei corsi d’acqua, sulla quale i
disseminuli galleggiano (idrocoria). Nel complesso la specie condiziona soprattutto la diversità floristica delle comunità vegetali
igrofile, mentre è meno determinante sul paesaggio. Il peggior danno, dai più ignorato, la forbicina peduncolata, americana, l’ha
perpetrato nei confronti della forbicina europea (B. tripartitus L.), spodestandola letteralmente dal suo habitat e relegandola a piccoli
popolamenti residui, precari e sparpagliati (Gruberová et al., 2001; Gruberová & Prach, 2003). Il fenomeno ha registrato un’impennata
a partire dagli anni ‘60 del passato secolo, in concomitanza con la fine dell’agroeconomia tradizionale e l’espansione urbanisticoindustriale. Infine ricordiamo che i frutti di B. frondosus, analogamente a quelli di certe graminacee dei generi Anisantha, Hordeum,
Stipa ecc., possono provocare infezioni dolorose nei cani (specialmente cani da caccia), infilandosi sotto la cute attraverso la pelliccia,
nelle orecchie, nelle narici e anche in gola. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio,
contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia.
Azioni di contenimento: Pensare di eliminare la pianta con interventi mirati come quelli generalmente suggeriti per le altre
aliene è del tutto illusorio, perché B. frondosus è ormai integrata nelle comunità erbacee d’ambiente umido di tutto il territorio,
in buona parte avendo preso il posto di B. tripartitus. Non resta che tentare di agire nel quadro di un recupero generale degli
ambienti umidi, dove il miglior intervento proponibile non può che nascere da un insieme di azioni volte ad abbassare il
grado di eutrofizzazione in direzione delle comunità meso-oligotrofiche; questa nuova condizione abbasserebbe anche la
competitività dell’aliena, risolvendo il problema della sua invasività.
cotula
neozelandese
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Cotula australis
(Sieber ex Spreng.) Hook.f.
Nome volgare: cotula neozelandese
Basionimo: Anacyclus australis Sieber ex Spreng.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta fino a 20 cm, villoso-cenerina, con fusti eretti o decombenti. Foglie alterne,
2-pennatifide. Capolini (calatidi) terminali e ascellari, peduncolati, del diametro di 4-5 mm; involucro con fillari (brattee) in
2 serie; ricettacolo piano, privo di pagliette; fiori peduncolati (peduncoli persistenti sul ricettacolo dopo la caduta dei frutti),
i periferici femminili, privi di corolla, portati da lunghi peduncoli, gli interni bisessuali o funzionalmente maschili, su brevi
peduncoli, con corolla compresso-tubulosa a 4 denti. Acheni (cipsele) dei fiori femminili compressi, quelli dei fiori bisessuali
piano-convessi; pappo assente.
Periodo di fioritura: giugno-luglio.
Area d’origine: Australia meridionale, Nuova Zelanda.
Habitat: Lastricati stradali.
Distribuzione nel territorio: Fascia planiziale, termofila. Cremona (EST).
Periodo d’introduzione: Neofita, arrivata in Italia probabilmente nel XX secolo. Segnalata in Lombardia per il centro storico
di Cremona da Galasso & Bonali (2008) e Bonali (2008); successivamente scomparsa in seguito ad azioni di diserbo.
Modalità d’introduzione: Ignota, probabilmente accidentale col commercio della lana.
Status: Estinta.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Note: In ordine temporale è la seconda specie di Cotula naturalizzatasi in Italia, la prima essendo C. coronopifolia L. (Sudafrica), ben distinta
per l’altezza maggiore, per le foglie intere o con pochi denti o lobi e per i capolini più grandi (5-10 mm). Per fortuna quest’ultima non interessa
nemmeno potenzialmente la Lombardia, in quanto legata in modo significativo agli ambienti umidi subsalsi.
Bibliografia: Bonali, 2008; Galasso & Bonali, 2008
Note: Relativamente al genere grammaticale del genere Bidens si veda la nota a B. bipinnatus.
Bibliografia: Giacomini, 1950; Gruberová et al., 2001; Gruberová & Prach, 2003; Stucchi, 1949b
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radicchiella
di Terrasanta
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Crepis sancta (L.) Bornm.
subsp. nemausensis (Gouan) Babc.
Nome volgare: radicchiella di Terrasanta
Basionimo: Crepis nemausensis Gouan
Sinonimi: Crepis sancta auct., non (L.) Bornm.
Lagoseris sancta (L.) K.Malý
subsp. nemausensis (Gouan) Thell
Trichocrepis nemausensis (Gouan) Bubani
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Erba annuale di piccole dimensioni, alta 5-20(-40) cm. Foglie basali ravvicinate a rosetta, oblanceolato-spatolate,
di 2-10×0.5-2 cm, picciolate, con margine dentellato; foglie cauline ridotte, squamiformi. Scapi con 0-2 ramificazioni terminate
da 2-10 capolini (calatidi) disposti in cime corimbose; questi ultimi con involucro cilindrico di 8-11×6-8 mm, formato da fillari
(brattee) in più serie, dei quali, alla fioritura e all’inizio della fruttificazione, gli interni (più grandi) larghi (1.2-)1.5-1.8(-2) mm,
più o meno rigonfi in frutto; fiori gialli, tutti ligulati; acheni affusolati, lunghi 5-7 mm, gli esterni con 3 ali longitudinali. A di cui
le 2 laterali eccedenti in larghezza lo spessore dell’achenio stesso.
Periodo di fioritura: aprile-maggio.
Area d’origine: Mediterraneo-turanica.
Habitat: Vigneti, ruderati, margini stradali assolati.
Distribuzione nel territorio: Fasce planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (INV), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano
(NAT), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (CAS).
Periodo d’introduzione: Neofita, arrivata in Italia alla fine del Settecento; raccolta per la prima volta in Lombardia nel 1897
a Luino (Becherer, 1951).
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Invasiva.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante, infestante nei vigneti.
Note: L’unica sottospecie di Crepis sancta sinora segnalata in Italia è la subsp. nemausensis (= subsp. sancta auct.), come anche evidenziato dalle
integrazioni alla Checklist italiana (Conti et al., 2007).
I caratteri distintivi sono quelli, ad esempio, presenti nella flora dello Zangheri (1976), che riprende Babcock (1947):
subsp. nemausensis: acheni periferici da oblunghi a lanceolati, dorsalmente striati, con ali laterali larghe; brattee involucrali interne all’estremità
larghe (1.2-)1.5-1.8(-2) mm durante la fioritura, poi più o meno rigonfie in frutto; involucro di 6-8 mm di diametro nel mezzo, in frutto; corolla
di 8-12 mm.
subsp. sancta: acheni periferici lineari-lanceolati, dorsalmente lisci, con ali laterali strette; brattee involucrali interne all’estremità larghe (0.8-)
1-1.1(-1.5) mm durante la fioritura, poi di rado un po’ rigonfie nel frutto; involucro di 4-5 mm di diametro nel mezzo, in frutto; corolla di 7-13 mm.
Entità mediterranea in senso ampio, attualmente è in espansione anche verso nord.
Bibliografia: Babcock, 1947; Banfi & Galasso, 1998, 2005; Becherer, 1951; Bonali & D’Auria, 2005; Bonali et al., 2006a; Conti et al., 2007; Crescini et
al., 1992; Crosato et al., 1988; Tagliaferri & Perico, 2002; Zangheri, 1976; Zanotti, 1993b; Zodda, 1957
cespica
comune
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Erigeron annuus (L.) Desf.
Nome volgare: cespica comune, cespola
Basionimo: Aster annuus L.
Sinonimi: Erigeron annuus (L.) Desf. s
ubsp. septentrionalis (Fernald & Wieg.) Wagenitz
Erigeron annuus (L.) Desf. subsp. strigosus auct., non (Mühl. ex Willd.) Wagenitz
Erigeron annuus (L.) Pers., comb. superfl.
Erigeron ramosus (Walter) Britton, Sterns & Poggenb., non Raf.,
var. septentrionalis Fernald & Wieg.
Erigeron strigosus auct., non Mühl. ex Willd.
Stenactis annua (L.) Cass. ex Less. / Stenactis annua (L.) Nees, comb. superfl.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta fino a 150 cm, ispida per peli patenti, raramente appressati, con fusto eretto,
semplice o ramoso nella parte superiore. Foglie basali in rosetta, obovate, lungamente picciolate, grossolanamente dentate;
foglie cauline sessili, lanceolate o lineari e perlopiù intere, con margine cigliato, progressivamente raccorciate, alterne, verde
chiaro, provviste di 3-5 denti per lato, pubescenti su entrambe le facce. Capolini (calatidi) numerosi, del diametro di 15 mm,
terminali ai rami, con involucro a forma di coppa, largo 7 mm; fiori periferici ligulati, da bianchi a più o meno soffusi di
violaceo, lunghi fino a 9 mm, quelli del disco gialli, con corolla tubulosa, regolare, a 5 denti patenti a stella. I frutti sono acheni
subcilindrici provvisti di pappo con peli in 2 serie, di cui gli esterni più brevi.
Periodo di fioritura: giugno-novembre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Ambienti ruderali e semiruderali (città, sentieri, strade rurali, macerie, aree abbandonate, base dei muri ed edifici,
ferrovie e scarpate), prati e pascoli aridi, luoghi pietrosi, greti, margini erbosi di boscaglie, campi, colture, incolti, aree
incendiate, pioppeti e ambienti umidi in genere.
Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutto il territorio regionale (0-1˙200 m s.l.m.), soprattutto nelle fasce planiziale e
collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano
(INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia sin dal principio del Settecento e già largamente naturalizzata alla fine del
medesimo secolo; in Lombardia è sicuramente naturalizzata da prima del 1791 (Scannagatta & Maderna, 1793).
Modalità d’introduzione: Volontaria (pianta ornamentale).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Un’elevata competitività consente a questa specie di formare densi popolamenti monofitici, anche molto estesi;
la sua diffusione è favorita da episodi di disturbo ricorrente, fra cui principalmente i movimenti terra. Nel complesso questa
specie è essenzialmente deleteria sulla biodiversità vegetale e sul paesaggio, risultando talora problematica anche in ambito
agrario.
Azioni di contenimento: Occorre innanzitutto evitare azioni che facilitano la diffusione della specie, come lasciare il
suolo denudato, favorendo la colonizzazione via seme, o movimentazioni del suolo, che possono determinare il trasloco
incontrollato di plantule. Si interviene con falciature selettive (da ripetersi 2-3 volte prima della fioritura), accompagnate da
eventuale impiego di erbicidi (soprattutto per i campi coltivati); provvedere immediatamente, ove possibile, alla semina di
specie indigene erbacee oppure arbustive a fine di ombreggiamento.
Note: In base a una recente indagine morfologica e citologica (Frey et al., 2003) Erigeron annuus subsp. septentrionalis rientra nella variabilità
morfologica del tipico E. annuus; spesso nel corso dell’anno si assiste, nello stesso individuo, a un graduale passaggio dal morfotipo annuus a quello
septentrionalis. Al contrario, E. strigosus (cespica setolosa) merita autonomia a rango di specie. E. annuus è triploide e apomittico, mentre E. strigosus
è prevalentemente diploide (raramente tetraploide) e anfimittico. Inoltre, studi sulle sequenze geniche (Noyes, 2000) mostrano che E. annuus ed
E. strigosus hanno ITS diversi: E. strigosus appare sister di E. tenuis Torr. & A.Gray; entrambi, poi, sono sister di E. annuus. Sempre secondo Frey et al.
(2003) non ci sono prove della effettiva presenza in Europa di E. strigosus e pertanto le varie segnalazioni, come quella di Arietti & Crescini (1980) o
di Aeschimann et al. (2004), sono da riferirsi a E. annuus.
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Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Arietti & Crescini, 1980; Frey et al. 2003; Noyes, 2000; Scannagatta & Maderna, 1793
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saeppola di
Buenos Aires
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Erigeron bonariensis L.
Nome volgare: saeppola di Buenos Aires
Basionimo: Crepis nemausensis Gouan
Sinonimi: Conyza ambigua DC.
Conyza bonariensis (L.) Cronquist
Conyza linifolia (Willd.) Täckh.
Conyzella linifolia (Willd.) Greene
Erigeron ambiguus (DC.) Sch.Bip.
Erigeron crispus Pourr.
Erigeron linifolius Willd.
Leptilon bonariense (L.) Small
Leptilon linifolium (Willd.) Small
Marsea bonariensis (L.) V.M.Badillo
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 5-60 cm, con fusto eretto, striato, provvisto di peli eretti e appressati. Foglie
uninervie, pubescenti per pelosità ispida, con margine da grossolanamente dentato a intero, verdi-grigiastre, le inferiori con
breve picciolo, lineari-lanceolate (30-80×10 mm), le superiori amplessicauli, alterne, strettamente lineari (30-50×2-10 mm) e
progressivamente più brevi verso l’alto. Capolini (calatidi) del diametro di 5-6 mm, più o meno globosi (a botticella), riuniti in
pannocchie o racemi corimbosi all’apice del fusto; involucro formato da fillari (brattee) ispidi, imbricati in 2 serie; ricettacolo
piano, con diametro di 3.5 mm. Fiori bianco-giallastri, i periferici femminili, privi di corolla. Acheni con pappo giallo-rossastro.
Periodo di fioritura: giugno-settembre.
Area d’origine: Sudamerica tropicale (Argentina settentrionale).
Habitat: Campi, colture, vigne, incolti aridi, ambienti ruderali e semiruderali (sentieri, strade rurali, macerie, aree abbandonate,
base dei muri ed edifici, ferrovie e scarpate). È la più termofila delle specie di Erigeron presenti in territorio regionale.
Distribuzione nel territorio: Pianura e collina (0-600 m s.l.m.), nelle zone più calde. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Lecco
(NAT), Milano (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XVIII secolo; in Lombardia coltivata almeno dal 1785 (Hortus regius
botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Scopoli, 1785) e naturalizzata almeno dal 1982 (Pignatti, 1982).
Modalità d’introduzione: In Europa sembra essere stata introdotta involontariamente attraverso il commercio della lana
(Sanz Elorza et al., 2004).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Pianta non problematica, predilige terreni eutrofici, smossi e con buona dispersione d’aria, quindi ambienti
disturbati (ruderati), sabbie fluviali e coltivi.
Azioni di contenimento: Al momento non sembrano necessarie.
Note: Fra le tre saeppole presenti in Lombardia, questa è certamente la meno diffusa a causa delle esigenze termiche, che la vedono distribuita
principalmente nelle regioni mediterranee della nostra penisola e nelle isole.
Bibliografia: Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Pignatti, 1982; Sanz Elorza et al., 2004; Scopoli, 1785
saeppola
canadese
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Erigeron canadensis L.
Nome volgare: saeppola canadese
Sinonimi: Aster canadensis (L.) E.H.L.Krause,
non (L.) Kuntze, nom. illeg. Conyza canadensis (L.) Cronquist
Conyzella canadensis (L.) Rupr.
Erigeron myriocephalus Rech.f. & Edelb.
Erigeron paniculatus Lam., nom. illeg. Erigeron pusillus Nutt.
Erigeron ruderalis Salisb., nom. illeg.
Leptilon canadense (L.) Britton & A.Br.
Leptilon pusillum (Nutt.) Britton
Marsea canadensis (L.) V.M.Badillo
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta fino a 150 cm, con fittone sottile e fusto eretto, cilindrico, provvisto di peli patenti,
ramificato apicalmente nell’infiorescenza. Foglie glabre o provviste di corti peli, più o meno dentate, generalmente di color
verde tenero o verde-giallo, le basali lineari-subspatolate, in rosetta, con evidente picciolo, le cauline lineari-lanceolate (30×2
mm), uninervie, con ciglia setolose patenti al margine. Capolini (calatidi) numerosissimi, piccoli (3-5 mm), cilindrico-piriformi,
riuniti in ampia pannocchia piramidata o corimbosa; fillari (brattee) su 3 serie largamente spiralate; fiori periferici femminili,
con ligula breve ma evidente, biancastra o rosata, gli interni regolari, a corolla tubulosa con 5 denti apicali, in quelli centrali
biancastra o giallognola. I frutti sono acheni minuti (1 mm) provvisti di un pappo lungo 3 mm, bianco sporco.
Periodo di fioritura: giugno-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Incolti aridi, campi, vigne, ambienti ruderali e semiruderali (città, strade, ferrovie, sentieri, macerie, aree abbandonate,
base dei muri ed edifici, scarpate), tagli rasi forestali, schiarite, zone incendiate, cave di ghiaia, greti dei fiumi, affioramenti
rocciosi, ambienti sabbiosi e pietraie.
Distribuzione nel territorio: In tutto il territorio regionale (0-1˙200 m s.l.m.), dalla fascia planiziale a quella montana.
Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV),
Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dalla prima metà del Seicento si è presto naturalizzata; in Lombardia è
naturalizzata almeno dal 1763 (Provasi, 1924).
Modalità d’introduzione: Deliberata all’interno degli Orti botanici, da dove si è diffusa accidentalmente.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: È caratterizzata da un’elevata competitività, che si manifesta in ogni situazione di degrado con la formazione
stagionale di densi popolamenti, estesi fino a parecchie centinaia di metri quadrati. Tale aggressività è negativa specialmente
nei confronti delle colture agrarie e dei pascoli (la specie non è appetita dal bestiame), come pure della biodiversità e del
paesaggio. I fiori sono facoltativamente autogami ed entomofili, per cui difficilmente rilasciano polline nell’aria, tuttavia si
è dimostrato che lo stesso polline può provocare dermatiti da contatto in soggetti sensibili. Il successo invasivo della pianta
è garantito dall’incredibile numero di semi (200.000) prodotti da ogni individuo di dimensioni medie, i quali viaggiano e si
distribuiscono su ampi spazi con i movimenti d’aria, combinato con la continua esposizione di suolo determinata dall’azione
antropica. La saeppola canadese predilige, infatti, i terreni smossi o a granulometria grossolana, con forte dispersione
d’ossigeno.
Azioni di contenimento: Occorre evitare azioni promuoventi la diffusione della specie, come l’abbandono di suolo nudo,
che ne favorisce l’insediamento, gli incendi e i movimenti di terra in genere. Si può intervenire meccanicamente (lavorazione
del terreno e sfalcio selettivo da ripetersi più volte prima della fioritura) o con l’impiego di erbicidi. Ove possibile, provvedere
immediatamente alla semina di specie indigene erbacee, oppure arbustive a fini di ombreggiamento.
Bibliografia: Provasi, 1924
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saeppola
biancastra
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Erigeron sumatrensis Retz.
Nome volgare: saeppola biancastra
Sinonimi: Conyza albida Willd. ex Spreng. [1826]
Conyza altissima Naudin & Debeaux ex Debeaux
Conyza floribunda Kunth
Conyza naudinii Bonnet
Conyza sumatrensis (Retz.) E.Walker
Erigeron albidus (Willd. ex Spreng.) A.Gray
Erigeron floribundus (Kunth) Sch.Bip
Erigeron naudinii (Bonnet) Humbert, comb. superfl.
Erigeron naudinii (Bonnet) P.Fourn.
Erigeron sumatrensis Retz.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale verde-grigiastra o più o meno cenerina, di dimensioni a volte ragguardevoli (fino a 200
cm), con fusto robusto, eretto, ispido, cilindrico, a volte ramoso dalla base. Foglie: le basali in rosetta, le cauline inferiori, che
persistono secche all’antesi, oblanceolato-lineari (15×10 cm), con scarsi dentelli al margine e nervature laterali evidenti; le
cauline superiori lineari-lanceolate, generalmente più piccole, alterne, subintere e pubescenti su entrambe le facce. Capolini
(calatidi) numerosi, cilindrico-piriformi, > 5 mm, riuniti in ampia pannocchia terminale, piramidata o corimbosa. Fillari
(brattee) in 3 serie, lineari-lanceolati, acuti; fiori tutti tubulosi con corolla a 5 denti, bianco-giallastra, zigomorfa e con un dente
bifido (rudimento di ligula). Frutti ad achenio di piccole dimensioni, provvisto di un pappo bianco sporco, rossastro a maturità.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: America tropicale.
Habitat: Incolti aridi e ambienti ruderali e semiruderali (sentieri, strade rurali, macerie, aree abbandonate, base dei muri ed
edifici, ferrovie, scarpate e luoghi calpestati), greti dei fiumi.
Distribuzione nel territorio: Distribuita su tutto il territorio regionale (0-600 m s.l.m.), dalla fascia planiziale a quella collinare.
Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV),
Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, diffusasi in Europa a partire dall’Orto Botanico di Collioure in Francia nel 1878, ove era
giunta accidentalmente; segnalata per la prima volta in Italia (Lombardia inclusa) da Anzalone (1964, 1965), che afferma
essere conosciuta dal 1940 se non prima nei dintorni di Pesaro, in precedenza confusa con altre specie (E. canadensis ed E.
bonariensis).
Modalità d’introduzione: Accidentale.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Ha soprattutto un’influenza negativa sulla diversità vegetale e sul paesaggio. Il suo ingresso e la sua diffusione sono
favorite dall’enorme numero di semi leggeri prodotti (più di 200˙000 per ogni pianta di buone dimensioni), che sono poi
facilmente dispersi dal vento (disseminazione anemocora), ma anche dai ricorrenti episodi di disturbo antropogeno, come
sfalci e movimenti terra, preferendo, infatti, gli ambienti urbani e ruderali e gli ambienti fluviali, dove il terreno è arido o ben
drenato.
Azioni di contenimento: Occorre innanzitutto evitare azioni che ne facilitano la diffusione, come la presenza di suolo nudo,
che ne favorisce l’insediamento da seme, e i movimenti di terra. Il contenimento può avvenire attraverso azioni meccaniche
(la lavorazione del terreno e lo sfalcio selettivo da ripetere più volte prima della fioritura) coadiuvate da azioni chimiche, come
l’impiego di erbicidi. Dove possibile si può provvedere immediatamente alla semina con specie indigene o alla piantumazione
di arbusti ombreggianti.
cespica
di Karvinski
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Erigeron karvinskianus DC.
Nome volgare: cespica di Karvinski, vittadinia
Sinonimi: Erigeron karvinskianus DC.
var. mucronatus (DC.) Asch.
Erigeron karvinskianus DC.
var. mucronatus (DC.) Hieron., comb. superfl.
Erigeron mucronatus DC.
Vittadinia triloba hort., non DC.
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta perenne erbacea, alta 20-40 cm, con fusti prostrati o arcuato-ascendenti, ramosissimi, con ramificazioni
erette. Foglie d’inizio stagione spatolato-subrotonde, in rosette, le successive lanceolate, acute, di 15×5 mm, con un dente su
ciascun lato; foglie cauline spatolato-lineari, lunghe 13-22 mm, acute, uninervie. Capolini (calatidi) numerosi, del diametro di
1.5 cm, con involucro cilindrico; fiori del raggio disposti in più serie, con ligule patenti di 6-7 mm, da bianche a roseo-vinose;
fiori del disco a corolla tubulosa, regolare, 5-dentata, gialla. Frutti, acheni provvisti di pappo bianco sporco.
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica e America tropicale.
Habitat: Rupi umide, muri, ripari sotto roccia, ingressi di grotte, parchi, giardini, viali, monumenti e cimiteri.
Distribuzione nel territorio: Fino alla fascia montana, più rara in pianura. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (INV),
Cremona (CAS), Lecco (INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia alla fine del XIX secolo (all’Orto Botanico di Napoli almeno dal 1880); in
Lombardia naturalizzata almeno dal 1896 (Lenticchia 1896; Micheletti, 1901).
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Influisce negativamente sulla biodiversità degli habitat rupestri, inclusi manufatti come muri e muretti umidi, dove
la specie si comporta da competitore aggressivo.
Azioni di contenimento: Taglio selettivo, da effettuarsi prima della fioritura e da ripetersi per alcuni anni, eventualmente
coadiuvato dall’impiego di erbicidi, oppure eradicazione completa. Si dovrebbe intervenire in via preventiva soprattutto
attorno alle aree naturalisticamente rilevanti (aree protette), promuovendo una cultura della eliminazione di questa specie
nel giardinaggio e nel mercato ortofloricolo.
Bibliografia: Lenticchia, 1896; Micheletti, 1901
Note: È l’Erigeron più alto tra quelli esotici presenti in Lombardia, differenziandosi dagli altri anche per i capolini più grandi e le foglie più larghe
con nervature laterali evidenti. E. bonariensis, anch’esso con fiori tutti tubulosi è, infatti, più basso (10-60 cm) e con capolini più piccoli, mentre E.
canadensis, ha fiori periferici brevemente ligulati; E. annuus ed E. karvinskianus hanno, invece, capolini con ligule lunghe.
Bibliografia: Anzalone, 1964, 1965
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galinsoga
comune
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Galinsoga parviflora Cav.
Nome volgare: galinsoga comune
Sinonimi: Galinsoga quinqueradiata Ruiz & Pav.
Wiborgia parviflora (Cav.) Kunth
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-50 cm, a fusto eretto, striato, ramificato, nella parte superiore con peli semplici,
eretto-patenti o appressati e radi peli ghiandolari. Foglie opposte, semplici, con picciolo di 1-2 cm e lamina ovato-rombica
o rombico-lanceolata, scabra, grossolanamente dentata, verde-giallastra, acuminata all’apice, percorsa da 3 nervi evidenti.
Capolini (calatidi) del diametro di circa 5 mm, con involucro emisferico, su peduncoli glabri o con rari peli ghiandolari; fiori
periferici 5-6, ligulati, bianchi, tridentati, quelli del disco tubulosi e gialli; i fiori alla base sono involucrati da una squama
(paglietta) lineare, tridentata all’apice. Frutti consistenti in acheni pelosi, con pappo dei fiori tubulosi formato da numerose
scaglie frangiate, più brevi o subeguali alla corolla.
Periodo di fioritura: agosto-dicembre.
Area d’origine: Sudamerica.
Habitat: Colture (mais, patata, vigneti ecc.), campi abbandonati, incolti, margini, aree urbane.
Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla fascia planiziale a quella montana. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona
(NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (INV), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, citata per l’Orto Botanico di Padova nel 1801 ed in seguito diffusasi rapidamente in tutta la
penisola. Conosciuta in Lombardia almeno dal 1847 (Rota, 1847).
Modalità d’introduzione: Deliberata (Orti Botanici), con successiva diffusione accidentale.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Riduce la produttività delle colture agrarie estive e modifica il paesaggio naturale, determinando un decremento di
biodiversità delle comunità erbacee strutturate. È pianta di grande adattabilità e alligna su qualsiasi tipo di suolo, in particolare
su quelli profondi, più o meno umidi e ricchi di nutrienti.
Azioni di contenimento: Consigliate solo in ambito agrario.
Note: Molto simile a e spesso convivente con G. quadriradiata (vedi scheda), distinta per la pubescenza e la pelosità ghiandolare abbondanti, per
i capolini maggiori (6-7 mm) e per le pagliette acute, intere all’apice.
Bibliografia: Camoletto Pasin & Dal Vesco, 1992; Canne, 1977, 1978; Giacomini, 1950; Rota, 1847
galinsoga
ispida
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Galinsoga quadriradiata Ruiz & Pav.
Nome volgare: galinsoga ispida
Sinonimi: Adventina ciliata Raf.
Galinsoga ×mixta Murr
Galinsoga ×plikeri Giacom., nom. nud.
Galinsoga aristulata E.P.Bicknell
Galinsoga hispida (DC.) Hieron., non Benth., nom. illeg.
Galinsoga hispida Benth.
Galinsoga parviflora Cav. subsp. quadriradiata (Ruiz. & Pav.) Pers
Galinsoga parviflora Cav. var. hispida DC.
Galinsoga parviflora Cav. var. quadriradiata (Ruiz. & Pav.) Poir.
Galinsoga quadriradiata Ruiz & Pav. subsp. hispida (DC.) Thell.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-50 cm, con fusti eretti, striati, ramificati, pubescenti e con densi peli ghiandolari
nella parte superiore. Foglie opposte, semplici, con picciolo di 1-2 cm, con lamina rombico-lanceolata, ruvida, grossolanamente
dentata, verde-giallastra, tutte con apice acuminato e con 3 nervature principali. Capolini (calatidi) di diametro pari a 6-7 mm;
peduncolo ghiandoloso; involucro emisferico; fiori periferici (5-6) ligulati, bianchi, tridentati, quelli del disco tubulosi e gialli;
i fiori sono accompagnati alla base da una squama (paglietta) lineare, intera all’apice. Frutti ad achenio peloso, quelli derivanti
dai fiori tubulosi con un pappo di squame sfrangiate, più brevi della corolla o della stessa lunghezza.
Periodo di fioritura: agosto-dicembre.
Area d’origine: Sudamerica.
Habitat: Colture, ambienti ruderali e semiruderali (sentieri, strade rurali, macerie, aree abbandonate, base dei muri ed edifici,
ferrovie e scarpate), orti, parchi, tappeti erbosi, giardini, viali e lungo i fiumi.
Distribuzione nel territorio: Ampiamente diffusa nel territorio regionale, dalla fascia planiziale a quella montana. Bergamo
(INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV),
Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia a metà del XIX secolo: coltivata nell’Orto Botanico di Firenze nel 1854, in
quello di Padova nel 1893 ove si era inselvatichita. In Italia diffusasi in natura (Italia settentrionale) negli anni ‘40 del secolo scorso,
probabilmente in seguito ai movimenti delle truppe tedesche; conosciuta in Lombardia almeno dal 1945 (Giacomini, 1946).
Modalità d’introduzione: Deliberata (Orti Botanici), con successiva diffusione accidentale.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Riduce la produttività delle colture agrarie estive e modifica il paesaggio naturale, determinando un decremento di
biodiversità delle comunità erbacee strutturate. È pianta di grande adattabilità e alligna su qualsiasi tipo di suolo, in particolare
su quelli profondi, più o meno umidi e ricchi di nutrienti.
Azioni di contenimento: Consigliate solo in ambito agrario.
Note: Molto simile a e spesso convivente con G. parviflora (vedi scheda), che possiede peli semplici e appressati nella parte superiore del fusto, non
ha che pochissimi peli ghiandolari, presenta capolini più piccoli (diametro intorno a 5 mm) e pagliette dei fiori con apice tridentato.
Il genere Galinsoga è stato revisionato da Canne (1977, 1978), anche se tali lavori non sono stati presi in considerazione da numerose flore
successive; per un riassunto relativo alle uniche due specie infestanti in tutti i paesi temperati sinora raggiunti si veda Camoletto Pasin & Dal Vesco
(1992). Pertanto, oltre a riaffermare la completa sinonimia tra G. ciliata e G. quadriradiata, con priorità per il secondo binomio, si ricorda che le
diverse forme, varietà e ibridi descritti e segnalati in Italia e Lombardia (es. Giacomini, 1950; Zanotti, 2003) non sono accettabili. Nella zona d’origine
non sono mai stati osservati veri ibridi, ma tutte le forme presumibilmente intermedie sono risultate rientrare nell’ampia variabilità del poliploide
G. quadriradiata; anche l’entità descritta da Giacomini (1950) come presunto ibrido col nome di G. ×plikeri (tra l’altro priva di diagnosi latina; il nome
corretto è Galinsoga ×mixta) rientra, in base alla descrizione in italiano, in G. quadriradiata (Canne, 1977).
Bibliografia: Bonali, 2008; Galasso & Bonali, 2008
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canapicchio
della
Pennsylvania
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Gamochaeta pensylvanica (Willd.)
Cabrera
Nome volgare: canapicchio della Pennsylvania
Basionimo: Gnaphalium pensylvanicum Willd.
Sinonimi: Gnaphalium spathulatum Lam., non Burm.f.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Erba annuale, alta 10-40 cm, con fusto eretto, per lo più indiviso. Foglie basali spatolato-oblanceolate, le cauline
piane, diritte, di 1-4×0.5-1.5 cm, lanceolato-spatolate, sulla faccia adassiale glabrescenti, tomentose su quella abassiale.
Infiorescenza costituita da capolini (calatidi) in glomeruli sottesi ciascuno da una foglia bratteale, disposti a formare una sorta
di spiga terminale più o meno fogliosa, a volte interrotta inferiormente, lunga circa 4 cm, occupante non più di 1/4 della
lunghezza dello scapo; capolini di 4-5×4-5 mm; fillari (brattee) imbricati, brunastri, gli esterni ovato-lanceolati, acuminati. Fiori
con corolla tubulosa, 5-dentata, rossastro-porporina all’apice, i periferici femminili, gli interni bisessuali. Acheni (cipsele) lisci,
lunghi 0.4-0.9 mm, mucillaginosi da umidi; pappo di peli saldati in un anello basale.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Marciapiedi, margini di aiuole, lastricati stradali.
Distribuzione nel territorio: Fascia planiziale, per ora nel settore occidentale. Milano (NAT), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita di recente comparsa; raccolta per la prima volta in Italia nel 1989 (nel napoletano
e a Massa), in Lombardia nel centro storico di Pavia nel 1993 (Soldano, 2000).
Modalità d’introduzione: Accidentale, probabilmente coi flussi turistici.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Non necessarie.
Bibliografia: Alessandrini & Galasso, 2008; Soldano, 2000
topinambur
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Helianthus tuberosus L.
Nome volgare: topinambur,
girasolino, tartufo di canna
Tipo biologico: Grhiz
Descrizione: Pianta erbacea perenne a fusti eretti, gregari, alti 1-2 m, ispidi nella porzione superiore, inseriti su rizomi segnati
da ingrossamenti fusiformi dello spessore di circa 3-5 cm. Foglie superiori alterne, le inferiori più o meno opposte; lamina
verde scuro di sopra, ispido-biancastra inferiormente, da ovata a ovato-lanceolata, di 10-25×7-15 cm, acuminata, finemente
dentata al margine, con base attenuata in un picciolo alato, lungo ¼ della stessa. Calatidi del diametro di 4-8 cm, erette; fillari
lunghi quanto l’involucro, più o meno divaricati, lanceolati, acuminati, cigliati, verde scuro; ricettacolo convesso; fiori ligulati in
numero di 12-15, di 30-40×6-9 mm; fiori del disco gialli. Acheni di 5-6 mm, glabri o peloso-sericei.
Periodo di fioritura: agosto-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Incolti, ripe, greti fluviali.
Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutto il territorio, soprattutto in pianura con risalite in ambito collinare. Bergamo (INV),
Brescia (INV), Como (INV), Cremona (NAT), Lecco (INV), Lodi (NAT), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia
(INV), Sondrio (INV), Varese (INV). [H. cfr. decapetalus: Cremona (NAT), Pavia (NAT).]
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta nel secolo XVII. In Lombardia conosciuta almeno dal 1834 come pianta coltivata
(Massara, 1834) e almeno dal 1897 come naturalizzata (Ugolini, 1897).
Modalità d’introduzione: Deliberata, quale soggetto di sperimentazione alimentare legata all’economia del periodo
coloniale e di interesse ortofloricolo.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Deleteria per la biodiversità: lungo le sponde fluviali e negli alvei dei fossi forma estese comunità paucispecifiche, che
rimpiazzano le fitocenosi autoctone. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio,
contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia.
Note: Delle numerose entità perenni di Helianthus coltivate in Europa (8 specie e almeno 2 ibridi), soltanto H. tuberosus, spesso confuso con H.
decapetalus L. e H. pauciflorus Nutt., si è stabilmente inserito nelle comunità naturali (Řehořek, 1997).
H. ×laetiflorus Pers. è l’ibrido (Heiser, 1960) tra H. tuberosus (fiori del disco gialli, foglie superiori alterne) e H. pauciflorus (fiori del disco marroneporpora, foglie superiori opposte). È il girasolino più comunemente coltivato nei giardini, almeno in Inghilterra e si distingue da H. tuberosus per
i seguenti caratteri:
H. ×laetiflorus: rizomi senza tuberi rigonfi; fusto raramente superiore ai 2 m; fillari strettamente appressati al ricettacolo
(spesso, almeno in Inghilterrra, gela prima della fioritura);
H. tuberosus: rizomi con tuberi rigonfi; fusto spesso superiore a 2 m; fillari non o solo lassamente appressati al ricettacolo.
H. pauciflorus (= H. rigidus (Cass.) Desf., = Harpalium rigidum Cass.; girasolino rigido) è conosciuto casuale per le province di Milano (Stucchi,
1949), Brescia (Giacomini, 1950) e Bergamo, mentre H. ×laetiflorus è stato osservato casuale nel lecchese (Milena Villa, in verbis 2007).
In questi ultimi anni è stata notata un’altra specie di Helianthus naturalizzata lungo il Po (province di Pavia e Cremona), simile a H. tubersosus ma
caratterizzata da fillari molto più lunghi dell’involucro. La sua identificazione è ancora in corso: potrebbe corrispondere a H. decapetalus (girasolino
a dieci petali), ma a differenza di questo presenta il fusto ispido e non liscio.
Bibliografia: Giacomini, 1950; Heiser, 1960; Massara, 1834; Řehořek, 1997; Ugolini, 1897
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camomilla
di montagna
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Matricaria discoidea DC.
Nome volgare: camomilla di montagna
Sinonimi: Artemisia matricarioides auct., non Less.
Chamomilla suaveolens (Pursh) Rydb.
Matricaria matricarioides auct., non (Less.) Porter
Matricaria suaveolens (Pursh) Buchenau, non L., comb. illeg.
Santolina suaveolens Pursh
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Erbacea annuale, alta al massimo 40 cm, con fusto ramificato sin dalla base. Foglie aromatiche, alterne, di 1065×2-20 mm; lamina lanceolata, tripennatosetta, suddivisa in lacinie larghe 1 mm. Infiorescenza formata da una calatide
portata da un peduncolo lungo 2-30 mm; brattee dell’involucro 29-47, in 3 serie, con margine per lo più intero; fiori del raggio
assenti; disco largo 4-10 mm, con 120-500 fiori tubulosi, giallo-verdastri. Frutto costituito da un achenio brunastro, lungo 1-1.5
mm, sormontato da un pappo consistente in una breve coroncina.
Periodo di fioritura: giugno-novembre.
Area d’origine: Asia nordorientale (Russia e Giappone) e Nordamerica occidentale (costa Pacifica, dall’Alaska sino al Messico
settentrionale).
Habitat: Ambienti aperti, in genere antropizzati e con presenza di suolo nudo e spesso anche soggetti a calpestio (margini
stradali, massicciate, marciapiedi, campi e giardini in particolare se abbandonati, rive dei corsi d’acqua ecc.).
Distribuzione nel territorio: Presente soprattutto nella fascia montana (800-1˙600 m s.l.m.), dove localmente può essere
anche piuttosto comune; a quote inferiori e superiori diviene sporadica. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Lodi (CAS), Monza e
Brianza (NAT), Milano (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia da prima della metà del XIX secolo: coltivata a Padova nel 1842,
osservata selvatica a Trieste nel 1896. Naturalizzata in Lombardia almeno dal 1948 (Giacomini, 1950).
Modalità d’introduzione: Volontaria (pianta medicinale).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Colonizzando ambienti già intrinsecamente degradati, l’impatto di questa specie è di fatto trascurabile, se
escludiamo il danno estetico che può provocare (ad esempio, quando invade marciapiedi e vialetti nei giardini).
Azioni di contenimento: Utilizzo di erbicidi, sarchiatura.
rudbeckia
comune
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Rudbeckia laciniata L.
Nome volgare: rudbeckia comune
Tipo biologico: Grad
Descrizione: Pianta erbacea radicigemmata, alta 50-250 cm con rizoma ingrossato, fusiforme. Foglie alterne, le inferiori
a lamina intera o più o meno incisa, le superiori, lunghe 10-20 cm, profondamente incise o completamente divise in 3-5
segmenti pennati, lanceolato-acuminati e più o meno dentati al margine. Calatidi del diametro di 7-12 cm, lungamente
peduncolate; fiori periferici generalmente 5-8 (in coltura anche molte decine in calatidi simili a quelle delle dalie), con ligula
gialla; fiori centrali tubulosi, bruni. Frutti ad achenio di 5 mm, con pappo costituito da una corona di dentelli.
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Sponde dei fossi.
Distribuzione nel territorio: Planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT),
Milano (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia sin dal Seicento e naturalizzata dalla seconda metà dell’Ottocento. In
Lombardia nel 1890 già naturalizzata da tempo lungo l’Olona, da dove è stata portata all’Orto Botanico di Brera, e a Treviglio
(BG) (Micheletti, 1890).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per il mercato ortofloricolo.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Estetico, localizzato.
Bibliografia: Micheletti, 1890
Note: La camomilla di montagna potrebbe essere confusa con la camomilla comune, M. chamomilla L., che differisce, oltre per l’aroma tipico e
decisamente più gradevole rispetto a quello di M. discoidea, soprattutto per la presenza nei capolini dei fiori del raggio (ligulati e di colore bianco).
Bibliografia: Giacomini, 1950
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senecione
sudafricano
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Senecio inaequidens DC.
Nome volgare: senecione sudafricano
Sinonimi: Senecio harveianus auct., non MacOwan
Senecio linifolius auct., non L.
Senecio reclinatus auct., non L.f.
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 40-60(-100) cm, con fusto eretto, glabro, striato, ramoso dalla base e talora
suffruticoso. Foglie alterne, lineari-lanceolate o ellittico-lanceolate, lunghe 60-70 mm, carenate, intere, ad apice acuto e con
brevi tubercoli cartilaginei puntiformi o dentelli irregolari, come ricorda il nome specifico. Capolini (calatidi) numerosi, larghi
1.8-2.5 cm, reclinati prima dell’antesi, riuniti in cime corimbose irregolari, con involucro piriforme e fillari (brattee) lanceolati,
gli interni in numero di circa 21, brunastri all’apice, gli esterni 10-12, purpurei; fiori gialli, i periferici ligulati, lunghi 14 mm. I
frutti sono acheni cilindrici, pubescenti tra le nervature, provvisti di pappo bianco.
Periodo di fioritura: luglio-dicembre.
Area d’origine: Sudafrica (Lesotho, Port Elisabeth).
Habitat: Incolti sassosi, campi, vigne, ambienti ruderali e semiruderali (strade, sentieri, macerie, aree abbandonate, base dei
muri ed edifici, ferrovie e scarpate, luoghi calpestati), rupi, muri, greti dei fiumi e pascoli.
Distribuzione nel territorio: Diffuso in tutta la regione, soprattutto nella fascia planiziale tra 0 e 1˙000 m s.l.m. Bergamo
(INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (NAT), Lecco (INV), Lodi (NAT), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV),
Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia a fine Ottocento (es. Orto Botanico di Firenze). Osservata per la prima volta
in natura nel 1947 nei bassi Lessini veronesi (Carrara Pantano & Tosco, 1959), giunta in Lombardia almeno dal 1969 (Arietti &
Crescini, 1975).
Modalità d’introduzione: Accidentale; secondo Carrara Pantano & Tosco (1959), i semi sarebbero arrivati in Italia attraverso
gli imballaggi di merci provenienti dal Sudafrica e destinate alle truppe americane stanziate in Veneto nelle fasi conclusive
della seconda guerra mondiale o nell’immediato dopoguerra.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Ha effetti negativi sui raccolti (vigne), sulla biodiversità, riduce il valore dei pascoli ed è tossica per gli animali a
sangue caldo (incluso l’uomo; a volte letale per i cavalli), contenendo alcaloidi pirrolizidinici. Tali sostanze possono passare
al latte o persino al miele attraverso il nettare. Modifica inoltre il paesaggio, rimanendo in fioritura per 6-7 mesi all’anno e
danneggia le infrastrutture, interferendo sul recupero delle aree rurali dismesse. Il principale impatto di questa specie è legato
alla sua elevata competitività; ha, infatti, un tasso riproduttivo elevato, ogni pianta potendo sviluppare 80-100 infiorescenze e
producendo 30˙000 semi all’anno, capaci di rimanere vitali fino a 40 anni; si adatta facilmente a situazioni climatiche differenti
ed è indifferente al substrato. Tutte queste caratteristiche ne favoriscono la sopravvivenza e l’espansione. La dispersione
naturale avviene tramite gli spostamenti d’aria, ma anche ad opera degli uccelli, dei mammiferi domestici e dell’uomo.
Azioni di contenimento: Occorre innanzitutto evitare azioni che ne facilitino la diffusione, come lasciare il suolo nudo,
esposto all’insediamento dei semi, o rimuovere il terreno, con il rischio di traslocare propaguli da un luogo all’altro. Il miglior
controllo si esercita eliminando la pianta in tempo reale, al momento della sua comparsa. Il contenimento si effettua con
lo sfalcio selettivo (da ripetere 2-3 volte prima della fioritura) o, meglio, l’eradicazione manuale degli individui (da ripetersi
per diversi anni consecutivi), ma anche l’eventuale impiego di erbicidi; quando possibile, provvedere immediatamente alla
semina dei suoli nudi con specie indigene a forte ricoprimento (trifoglio, sementi per prato polifita) o alla piantumazione di
arbusti ombreggianti (controllo biologico). Nei campi coltivati si può procedere con sarchiature e arature.
pioggia d’oro
canadese
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Solidago canadensis L.
Nome volgare: pioggia d’oro canadese
Sinonimi: Aster canadensis (L.) Kuntze
Doria canadensis (L.) Lunell
Solidago altissima L.
Tipo biologico: Grhiz
Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a circa 2 m, dotata di un rizoma lungamente strisciante; fusti eretti, pubescenti
o talvolta progressivamente pubescenti dalla base. Foglie basali assenti; le inferiori di solito avvizzite alla fioritura; le medie
e le superiori progressivamente minori, 3-5(-o più)×1 (circa) cm, sessili, lanceolate; margine seghettato oppure intero nelle
foglie distali, apice acuminato. Infiorescenza formata da calatidi disposte in una sorta di corimbo; peduncoli 3-3.5 mm; brattee
dell’involucro in 3-4 serie, acute oppure ottuse, le esterne lanceolate e le interne lineari-lanceolate; fiori del raggio in genere
8-14, con ligula lunga 0.5-1.5 mm, giallo pallido; fiori del disco in genere 3-6, con corolla di circa 2-3 mm. Frutto formato da
un achenio di 1-1.5 mm, sormontato da un pappo di circa 2 mm.
Periodo di fioritura: agosto-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica centro-orientale.
Habitat: Diffusa in diversi tipi di ambienti, sembra avere un’ecologia simile a quella di S. gigantea, sebbene appaia meno
tollerante alle condizioni ecologiche estreme sopportate dalla congenere. Talvolta le due specie si rinvengono insieme in
popolamenti misti.
Distribuzione nel territorio: Presenta una distribuzione più ristretta rispetto a S. gigantea (200-800 m s.l.m.), rimanendo
soprattutto ristretta nella fascia collinare. La distribuzione di S. canadensis, in particolare nella fascia planiziale dove è presente
in poche stazioni di alta pianura, sembra rivelare minore capacità invasiva rispetto alla congenere. Bergamo (NAT), Brescia
(NAT), Como (INV), Lecco (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XVIII. Conosciuta in Lombardia almeno dal 1785 come pianta
coltivata (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789) e almeno dal 1855-1915 come naturalizzata (Cobau, 1920).
Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini floricolturali e melliferi.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Paesaggistico e bioecologico; sebbene in misura inferiore rispetto a S. gigantea, abbassa la biodiversità delle cenosi
erbacee di cui invade il territorio e altera i caratteri del paesaggio. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone
vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia.
Azioni di contenimento: La dispersione di S. canadensis e le tecniche per contenerla sono le medesime indicate per S.
gigantea.
Note: S. canadensis è tutt’oggi coltivata sia per la formazione di bordure sia per il fiore reciso, anche se meno frequentemente di S. gigantea;
quest’ultima ragione è forse correlata alla sua minor diffusione sul territorio regionale. Le due specie vengono spesso confuse, ma sono facilmente
distinte per la differente pelosità del fusto, per il colore dei fiori (giallo intenso in S. gigantea) e per le dimensioni delle calatidi; inoltre le ramificazioni
dell’infiorescenza in S. canadensis sono più estese, ma più lasse, quindi complessivamente meno appariscenti di quelle di S. gigantea. Sia pure
raramente, anche da noi viene coltivata qua e là una terza specie, Euthamia graminifolia (L.) Nutt. (= Solidago g. (L.) Salisb., = Chrysocoma g.
L.), sempre del Nordamerica, che è simile alle precedenti ma con foglie lineari lunghe e larghe fino a 15×2 cm, a margine intero e 2-4 nervi
laterali rilevati; si tratta di entità naturalizzata in diverse parti dell’Europa centrale, con potenzialità di “fuga” analoghe alle specie precedenti. Finora,
fortunatamente, è conosciuta soltanto in Piemonte (Soldano & Sella, 1988) e non sembra sfuggire nel nostro territorio.
Bibliografia: Cobau, 1920; Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Soldano & Sella 1988; Stevens et al., 2001; Weber, 2001; Weber & Schmid, 1998
Note: In Inghilterra, ai fini della lotta biologica, è allo studio il comportamento di un coleottero (Longitarsus jacobaeae, Chrysomelidae, Alticini), che
sembra nutrirsi anche di questa pianta.
Bibliografia: Arietti & Crescini, 1975; Bornkamm, 2002; Carrara Pantano & Tosco, 1959; Lafuma et al., 2003
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pioggia
d’oro
maggiore
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Solidago gigantea Aiton
Nome volgare: pioggia d’oro maggiore
Sinonimi: Aster latissimifolius (Mill.) Kuntze var. serotinus Kuntze
Solidago gigantea Aiton subsp. serotina (Kuntze) McNeill
Solidago gigantea Aiton var. serotina (Kuntze) Cronquist
Solidago serotina Aiton, non Retz., nom. illeg.
Solidago serotinoides Á.Löve & D.Löve
Tipo biologico: Grhiz
Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a circa 2 m, dotata di un rizoma lungamente strisciante; fusti eretti, glabri o
con sparsi peli rigidi appressati, glaucescenti (soprattutto verso l’apice). Foglie basali assenti; le inferiori di solito avvizzite alla
fioritura; le medie e le superiori progressivamente minori, 5.5-7.5×1 (circa) cm, sessili, lanceolate; margine seghettato, apice
acuminato. Infiorescenza formata da calatidi disposte in una sorta di corimbo; peduncoli 1.5-3 mm; brattee dell’involucro in
3-4 serie, acute, le esterne lanceolate e le interne lineari-lanceolate; fiori del raggio in genere 9-15, con ligula lunga 1-3 mm,
giallo intenso; fiori del disco in genere 7-12, con corolla di circa 3-3.5 mm. Frutto formato da un achenio di circa 1-1.5 mm,
sormontato da un pappo di 2-2.5 mm.
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica nordorientale.
Habitat: È soprattutto presente in ambienti ruderali (margini stradali e di sentieri, cantieri abbandonati, discariche ecc.). Pur
tollerando suoli moderatamente aridi, preferisce quelli umidi, affermandosi anche in quelli con falda d’acqua alta; in queste ultime
situazioni, compare peculiarmente in vegetazioni di aree umide, in particolare nelle comunità con Phragmites australis o Filipendula
ulmaria. Sopporta pure un moderato ombreggiamento, penetrando anche in aree boschive degradate, sfruttando le strade di
accesso. Colonizza campi e prati abbandonati, precedendo la ricolonizzazione del bosco e in particolare della robinia.
Distribuzione nel territorio: Distribuita su tutto il territorio regionale (50-1˙000 m s.l.m.), soprattutto nelle fasce planiziale
e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano
(INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia all’inizio del secolo XIX. Conosciuta in Lombardia almeno dal 1891 come
pianta naturalizzata (campione raccolto da O. Balzerini a Cremona e conservato nell’Erbario di Pavia, PAV); Cavara (1894) la
segnala naturalizzata, almeno dal 1892.
Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini floricolturali e melliferi.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: La sua notevole capacità competitiva la porta a formare densi popolamenti monofitici, anche su superfici di
parecchie centinaia di metri quadrati. Tale aggressività è sostenuta da allelopatia, cioè dalla capacità della pianta di annullare
la competizione delle altre inibendone la crescita mediante molecole (della famiglia delle coline) immesse nel suolo
attraverso le radici. Questa performance esercita un’influenza negativa soprattutto nelle aree umide, dove la specie si mostra
particolarmente virulenta. Comparsa e diffusione della pianta sono favorite dagli episodi ricorrenti di disturbo quali lo sfalcio,
l’incendio o le movimentazioni di terreno. Nel complesso questa specie è una minaccia abbastanza seria per la biodiversità
delle cenosi autoctone e una causa di indiscusso degrado paesaggistico. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone
vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia.
Azioni di contenimento: Occorre innanzitutto evitare azioni che ne facilitano la diffusione, come la presenza di suolo nudo,
che ne favorisce l’insediamento da seme, e i movimenti di terra, che possono traslocare parti di rizomi. Il contenimento
avviene tramite lo sfalcio selettivo (da ripetere 2-3 volte prima della fioritura) e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi; se
possibile, provvedere immediatamente alla semina con specie indigene o alla piantumazione di arbusti ombreggianti.
Note: Questa specie, introdotta per scopi floricolturali, è ancor oggi largamente coltivata, sia per la formazione di bordure che per l’impiego del
fiore reciso. Spesso si fa riferimento alla var. serotina, con foglie completamente glabre, quale unico morfotipo presente sul nostro territorio, mentre
la varietà nominale (var. gigantea), finora mai segnalata, presenterebbe nervature fogliari sparsamente pubescenti. Studi recenti hanno dimostrato
che le due variazioni rappresentano solo estremi morfologici di un carattere (pelosità) ad espressione popolazionale, del tutto ininfluente sulla
congruità sistematica della specie, confermando la necessità di porre in sinonimia i due taxa (Semple & Cook, 2006).
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Bibliografia: Cavara, 1894; Gabi et al., 2004; Semple & Cook, 2006; Weber, 2001; Weber & Jakobs, 2005; Weber & Schmid, 1998
astro
lanceolato
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Symphyotrichum lanceolatum (Willd.)
G.L.Nesom
Nome volgare: astro lanceolato
Basionimo: Aster lanceolatus L.
Sinonimi: Aster tradescantii auct., non L.
Symphyotrichum tradescantii auct., non (L.) G.L.Nesom
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a circa 2 m, dotata di un lungo rizoma; fusto eretto, glabrescente. Foglie basali
assenti alla fioritura; foglie cauline con lamina ovato-lanceolata, oblanceolata o lineare-lanceolata, (4-)5-15×(0.3-)1-2(-3.5)
cm (le inferiori scomparse alla fioritura, le superiori solo leggermente ridotte), margine intero o seghettato, base cuneata ±
decorrente, apice acuto o acuminato. Capolini con diametro di 6-15 mm, inseriti tutt’attorno a ciascun ramo e in genere sino
a un massimo di 20; involucro di 3.5-5 mm, con squame esterne lunghe ¹/3 - 2/3 di quelle interne; fiori del raggio 17-47, con
ligule lunghe 3-8 mm e di colore biancastro oppure porpora-bluastro; fiori del disco tubulosi 16-38, di colore giallo e con
lobi della corolla eretti o solo talvolta patenti. Frutto costituito da un achenio lungo 0.5-1.5 mm, sormontato da un pappo di
circa 3-5 mm.
Periodo di fioritura: agosto-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica (dal Canada al Messico).
Habitat: Si rinviene soprattutto in ambienti ruderali (margini stradali e di sentieri, cantieri abbandonati, discariche ecc.).
Distribuzione nel territorio: Distribuito pressoché in tutta la Lombardia (50-1˙000 m s.l.m.), soprattutto nelle fasce planiziale
e collinare. Bergamo (INV), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (INV), Milano
(INV), Mantova (NAT), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XVIII. La prima segnalazione lombarda correttamente
determinata è quella di Soldano (1980a); in precedenza indicata da Stucchi (1949b) come Aster salignus (vedi il capitolo
specie dubbie e da escludere). Probabilmente è da ricondurre a questa specie anche la segnalazione di Aster tradescantii di
Forti (1928) per il porto di Bellagio (CO).
Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Questa specie forma densi popolamenti estesi qualche decina di metri quadrati, in cui soppianta tutte le altre
piante erbacee.
Azioni di contenimento: Occorre innanzitutto evitare azioni che ne facilitino la diffusione, come lasciare i suoli denudati
favorendone l’insediamento per seme in assenza di competizione, o smuovere il terreno che conteneva in precedenza la
pianta, con rischio di trasloco di frammenti del rizoma. Il contenimento avviene tramite lo sfalcio selettivo (da ripetere 2-3
volte prima della fioritura) e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi; se possibile, provvedere immediatamente alla semina con
specie indigene o alla piantumazione di arbusti.
Note: Questa specie, come altre congeneri, è diffusamente coltivata in orti e giardini di tutto il territorio regionale. Rispetto alle altre specie di astri
esotici, S. lanceolatum è sicuramente quella più competitiva e invasiva. La sistematica infraspecifica di S. lanceolatum è piuttosto complessa nell’area
di origine; tuttavia, sembra che le popolazioni spontanee in Lombardia appartengano di fatto alla var. lanceolatum. In passato S. lanceolatum era
stato confuso con S. tradescantii (Nordamerica), che si distingue in quanto pianta cespitosa dotata di un rizoma corto e circoscritto e, inoltre, per i
fiori del raggio sempre bianchi, a riscontro di quelli del disco giallo-pallidi. Questa specie è inoltre facilmente confondibile con altri Symphyotrichum
spontanei o coltivati in Lombardia. S. novi-belgii (naturalizzata, vedi scheda) presenta foglie abbraccianti e capolini di maggiori dimensioni; S.
pilosum (naturalizzata, vedi scheda) presenta calatidi con squame ad apice involuto, formante una caratteristica spinula ialina; S. novae-angliae (L.)
G.L.Nesom (= Aster n.-a. L.; astro del New England, casuale), è facilmente riconoscibile per i peli ghiandolari che ricoprono la parte superiore dei
fusti, i peduncoli fiorali e le squame dei capolini. Più difficoltosa è la distinzione da alcuni ibridi, presenti in coltivazione e segnalati per errore come
spontaneizzati, S. ×salignum (Willd.) G. L.Nesompro sp. (= Aster s. Willd., = S. lanceolatum × S. novi-belgii; astro salicino), simile a S. novi-belgii ma
riconoscibile per la base fogliare non amplessicaule, e S. ×versicolor (Willd.) G.L.Nesompro sp. (= Aster v. Willd., = S. laeve (L.) Á.Löve & D.Löve × S.
novi-belgii), caratterizzato da foglie lunghe non più di 2(-5) volte la larghezza, a contorno quasi ovato.
Bibliografia: Brouillet et al., 2006; Chmielewski & Semple, 2001a; Forti, 1928; Hoffmann, 1996; Soldano, 1980a; Stucchi, 1949b; Yeo, 2000
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astro di
New York
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Symphyotrichum novi-belgii (L.) G.L.Nesom
Nome volgare: astro di New York
Basionimo: Aster novi-belgii L.
Sinonimi: Aster laevigatus Lam.
Aster novi-belgii L. subsp. laevigatus (Lam.) Thell.
astro
ericoide
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Symphyotrichum pilosum (Willd.) G.L.Nesom
Nome volgare: astro ericoide
Basionimo: Aster pilosus Willd.
Sinonimi: Aster ericoides auct., non L.
Aster ericoides L. var. pilosus (Willd.) Porter
Aster lateriflorus auct., non (L.) Britton
Aster vimineus auct., non Lam.
Solidago lateriflora auct., non L.
Symphyotrichum ericoides auct., non (L.) G.L.Nesom
Symphyotrichum lateriflorum auct., non (L.) Á.Löve & D.Löve
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a circa 1.5 m, dotata di rizoma; fusto eretto, glabrescente. Foglie basali assenti
alla fioritura; foglie cauline con lamina ovato-lanceolata, obovato-lanceolata, ellittica o lineare-lanceolata, 4-20×0.4-4 cm (le
inferiori scomparse alla fioritura, le superiori via via ridotte), margine da intero a seghettato, sessili o con picciolo largamente
alato e abbracciante il fusto, apice acuto o acuminato. Capolini portati in racemi con rami divaricati o ascendenti; involucro
di 6-9 mm, con squame esterne lunghe almeno la metà di quelle interne; fiori del raggio 15-35, con ligule lunghe 1-2 cm e
di colore blu-viola, di rado biancastre; fiori del disco tubulosi 28-68 e di colore giallo (poi brunastri). Frutto costituito da un
achenio lungo 2-4 mm, sormontato da un pappo di 4-6 mm.
Periodo di fioritura: settembre-novembre.
Area d’origine: Nordamerica orientale.
Habitat: Si rinviene soprattutto in ambienti ruderali (margini stradali e di sentieri, cantieri abbandonati, discariche ecc.),
spesso come residuo di precedenti coltivazioni. Non sembra avere una notevole capacità di dispersione in ambienti a maggior
naturalità.
Distribuzione nel territorio: Distribuito pressoché in tutta la Lombardia (50-1˙000 m s.l.m.), soprattutto nelle fasce planiziale
e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT),
Mantova (NAT), Pavia (CAS), Sondrio (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XVIII.
Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Data la modesta diffusione di questa specie, l’impatto è attualmente trascurabile.
Azioni di contenimento: Il contenimento avviene tramite lo sfalcio selettivo (da ripetere 2-3 volte prima della fioritura)
e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi; se possibile, provvedere immediatamente alla semina con specie indigene o alla
piantumazione di arbusti ombreggianti.
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a circa 1.5-2 m, dotata di un rizoma più o meno lungo; fusto eretto, da glabro
a densamente irsuto. Foglie basali assenti alla fioritura; foglie cauline con lamina ellittico-lanceolata, lineare-oblunga, linearelanceolata o lineare-oblanceolata, 4-10.2×0.5-2.5 cm (le inferiori scomparse alla fioritura e spesso con ciuffetti ascellari di
piccole foglie; le superiori via via ridotte), margine da intero a seghettato, peduncolate o subsessili (picciolo strettamente
o largamente alato, abbracciante), base da attenuata a cuneata ± abbracciante, apice attenuato e involuto, formante una
spinula ialina. Capolini disposti in infiorescenza piramidale o panicolata, spesso unilaterali; involucro di (2.5-)3.5-5.1(-6.5) mm,
con squame ad apice involuto, formante una caratteristica spinula ialina; fiori del raggio (10-)16-28(-38), con ligule lunghe
(4-)5.4-7.5(-11) mm e di colore usualmente bianco (raramente rosate o bluastre); fiori del disco tubulosi (13-)17-39(-67), di
colore giallo chiaro, porpora-rossastri o marroni a maturità. Frutto costituito da un achenio lungo 1-1.5 mm, sormontato da
un pappo di 3.5-4 mm.
Periodo di fioritura: agosto-ottobre.
Area d’origine: Nordamerica orientale.
Habitat: Si rinviene soprattutto in ambienti ruderali (margini stradali e di sentieri, cantieri abbandonati, discariche ecc.).
In habitat a maggior naturalità è presente nelle fasce erbose dei campi oppure in boscaglie degradate. Ha comunque un
carattere sinantropico e predilige le posizioni ben soleggiate.
Distribuzione nel territorio: Sinora conosciuto per la Lombardia centrale e occidentale, soprattutto nelle fasce planiziale e
collinare. Brescia (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in periodo imprecisato. In Lombardia conosciuto in natura dall’inizio del
XXI secolo e segnalato per la prima volta da Banfi et al. (2009) sotto il nome erroneo di S. lateriflorum.
Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Data la modesta diffusione di questa specie, l’impatto è attualmente trascurabile.
Note: Questa specie, come altre congeneri, è diffusamente coltivata su tutto il territorio regionale a scopo ornamentale. Nell’area d’origine la
sistematica infraspecifica di S. novi-belgii è piuttosto articolata, sebbene le popolazioni spontanee in territorio lombardo sembrino doversi
effettivamente attribuire alla varietà nominale della specie. Aster novi-belgii subsp. laevigatus (= A. laevigatus), segnalato in Lombardia da Fiori
(1927a), Giacomini (1950) e Arietti & Crescini (1980), non si distingue dal tipo della specie (Hoffmann, 1996).
Facilmente confondibile con altri Symphyotrichum: rispetto a S. lanceolatum, l’entità di gran lunga più diffusa allo stato spontaneo, presenta foglie
abbraccianti e capolini di maggiori dimensioni.
Note: Specie tradizionalmente confusa con S. ericoides o altre specie simili (Hoffmann, 1996; Chmielewski & Semple, 2001b; Brouillet et al., 2006);
in Lombardia precedentemente confusa con S. lateriflorum.
La cultivar ‘Monte Cassino’, afferente alla var. pringlei (A.Gray) G.L.Nesom, è largamente coltivata e venduta come fiore reciso.
Bibliografia: Banfi et al., 2009; Brouillet et al., 2006; Chmielewski & Semple, 2001b; Hoffmann, 1996; Yeo, 2000
Bibliografia: Arietti & Crescini, 1980; Brouillet et al., 2006; Fiori, 1927a; Giacomini, 1950; Hoffmann, 1996; Yeo, 2000
252
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astro
squamoso
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Symphyotrichum squamatum (Spreng.) G.L.Nesom
Nome volgare: astro squamoso
Basionimo: Conyza squamata Spreng.
Sinonimi: Aster squamatus (Spreng.) Hieron.
Aster subulatus auct., non Michx.
Conyzanthus squamatus (Spreng.) Tamamsch.
Mesoligus subulatus auct., non (Michx.) Raf.
Symphyotrichum subulatum (Michx.) G.L.Nesom
subsp. squamatum (Spreng.) S.D.Sundb.
Symphyotrichum subulatum auct., non (Michx.) G.L.Nesom
Tripolium subulatum auct., non (Michx.) DC.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta sino a circa 1 m, con fusti eretti e ramificati. Foglie inferiori assenti alla fioritura, di
forma lanceolato-lineare, fino a 9×1.4 cm, acute; foglie dei rami fiorali ridotte, lineari-lesiniformi, (20-)100-200×1.5-10(-20)
mm. Capolini aventi un diametro di circa 8 mm, portati numerosissimi su rami corimbosi; involucro conico, lungo 5-7(-8)
mm; squame lesiniformi, in numero di 18-24(-30), con una porzione verde scuro di forma ampiamente lanceolata e non
raggiungente la base della squama; fiori del raggio 21-28(-38) in (2-)3 serie, ligulati e di colore biancastro (poi violetto); fiori
del disco (3-)7-14, tubulosi e giallastri. Frutto costituito da un achenio lungo 1.5-2.5 mm, sormontato da un pappo roseo di
4-5 mm.
Periodo di fioritura: settembre-ottobre.
Area d’origine: Sudamerica.
Habitat: Sponde erbose, ambienti ruderali, umidi almeno nella prima parte della stagione.
Distribuzione nel territorio: Distribuito in quasi tutta la Lombardia (50-800 m s.l.m., soprattutto nelle fascia planiziale.
Bergamo (NAT), Brescia (INV), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT),
Mantova (NAT), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta sin dal 1908 nel giardino dell’Istituto Botanico di Panisperma a Roma, dove
mostrava la tendenza a diffondersi nei luoghi più umidi; raccolta in natura per la prima volta nel 1927, sempre nel Lazio
(Chiovenda, 1930, 1931; Fiori, 1931). In Lombardia è conosciuta come naturalizzata almeno dal 1985 (Crescini, 1987).
Modalità d’introduzione: Deliberata, in Orto botanico.
Status: Invasiva.
Dannosa: No.
Impatto: Scarso.
Note: Entità tetraploide (2n = 20) affine alla diploide S. subulatum, alla quale è a volte subordinata come varietà (Sundberg, 2004; Brouillet et al.,
2006); al contrario, Nesom (1994, 2005) preferisce il rango specifico. Considerata la diversità del numero cromosomico, la separazione morfologica
e geografica e la elevata sterilità degli ibridi artificiali optiamo per la trattazione di Nesom.
Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Banfi & Galasso, 1998; Bonali, 2000; Bonali et al., 2006a; Brouillet et al., 2006; Chiovenda, 1930, 1931;
Consonni, 1997; Crescini, 1987; Fiori, 1931; Frattini, 1993; Guarino, 1995; Nesom, 1994, 2005; Sundberg, 2004; Zanotti, 1991b
nappola
comune
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Xanthium italicum Moretti
Nome volgare: nappola comune
Sinonimi: Xanthium cavanillesii Schouw
Xanthium echinatum Murray subsp. italicum (Moretti) O.Bolòs & Vigo
Xanthium macrocarpum DC. subsp. italicum (Moretti) Nyman
Xanthium nigri Ces., Pass. & Gibelli
Xanthium orientale L. subsp. italicum (Moretti) Greuter
Xanthium saccharatum Wallr.
Xanthium saccharatum Wallr. subsp. italicum (Moretti) Hayek
Xanthium strumarium L. subsp. cavanillesii (Schouw) D.Löve & Dans.
Xanthium strumarium L. subsp. italicum (Moretti) D.Löve
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, abbastanza robusta, alta 30-120 cm, ruvida su fusto e foglie; fusti eretti, ramosissimi alla
base e formanti un cespuglio emisferico, talora arrossati. Foglie con picciolo di 5-15 cm e lamina triangolare di 7-12×8-12 cm,
palmato-trinervia, dentata e crenata sul bordo, troncato-cuneata alla base. Fiori in infiorescenze particolari (vedi scheda di X.
spinosum), le maschili di 6-8 mm su brevi peduncoli, le femminili biflore, delimitate da un involucro indurito e irto di spine
retrorsamente dentellate; spine apicali (becchi) ripiegate a uncino e formanti quasi un semicerchio; tutte le spine con setole e
peli ghiandolari alla base. Frutto (disseminulo) costituito dall’involucro persistente e indurito contenente 2 semi di cui 1 solo
normalmente funzionale.
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: America.
Habitat: Incolti, ruderi, greti fluviali (spesso su sabbia), infestante le colture estive.
Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutta la regione, soprattutto nella fascia planiziale. Bergamo (INV), Brescia (INV),
Como (NAT), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio
(NAT), Varese (INV). [X. orientale: Bergamo (DUB), Pavia (DUB).]
Periodo d’introduzione: Neofita (a dispetto dell’epiteto specifico), conosciuta in Italia almeno dal 1745.
Modalità d’introduzione: Accidentale: queste piante si diffondono con grande efficienza teledispersiva grazie alla facilità con cui
i loro frutti restano saldamente e, spesso, inosservatamente attaccati al pelo degli animali e ai tessuti in genere (per es. sulla yuta
dei sacchi, sulla lana degli ovini, sul pelo dei cani ecc.). Pertanto, al di là del problema di dove si sia originata la specie in oggetto, è
ovvio che l’introduzione iniziale degli Xanthium è il risultato di contaminazioni casuali e ripetute attraverso gli scambi commerciali
transoceanici, che -lo ricordiamo- divennero particolarmente significativi in epoca coloniale, a cavallo tra i secoli XVII e XIX.
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Ha un impatto negativo sulla biodiversità, in quanto, diffondendosi ampiamente lungo i greti fluviali, ne determina
un deterioramento floristico a scapito delle specie autoctone; qui infatti essa forma comunità in cui diventa dominante
(associazione Polygono-Xanthietum italici)(Pirola & Rossetti, 1974). È inoltre una infestante delle colture estive.
Note: Il genere Xanthium subgen Xanthium è composto da entità prevalentemente autogame, suddivisibili in due gruppi principali:
X. strumarium L. s.l. autoctono: disseminulo di 12-17×10-14 mm (incluse le spine), con spine di 2-3 mm e due becchi brevi (2-3 mm), ± dritti
ed espansi alla base (2 mm); foglie generalmente con 3-5 lobi ben marcati; pianta non o debolmente aromatica;
X. orientale L. s.l. esotico: disseminulo di 20-26×15-21 mm (incluse le spine), con spine di 4-5 mm e due becchi lunghi (5-6 mm), arcuati e poco
dilatati alla base; foglie con 3(-5) lobi poco marcati; pianta aromatica.
Questi due gruppi sono alla base di numerose razze morfologiche che persistono localmente per lungo tempo; tuttavia, a causa delle attività
umane o per motivi naturali, ogni tanto avviene la fecondazione incrociata tra due razze e i caratteri si rimescolano. I caratteri di strumarium e
orientale (incl. X. italicum) sono quelli che persistono maggiormente (Löve & Dansereau, 1959; Wisskirchen, 1995; Jeanmonod, 1998a, 1998b).
Alcuni autori, soprattutto europei, considerano numerose specie; Strother (2006) una sola entità, di rango specifico, Löve (1974, 1976) due entità,
di rango sottospecifico, Wisskirchen (1995) e Jeanmonod (1998a, 1998b) considerano un numero limitato di specie. Noi qui consideriamo solo tre
entità, X. strumarium (autoctono), X. orientale s.s. (esotico) e X. italicum (esotico, prudentemente mantenuto distinto da X. orientale).
Bibliografia: Jeanmonod, 1998a, 1998b; Löve, 1974, 1976; Löve & Dansereau, 1959; Pirola & Rossetti, 1974; Strother, 2006; Widder, 1923; Wisskirken, 1995
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nappola
spinosa
Famiglia: Asteraceae
Nome scientifico: Xanthium spinosum L.
Nome volgare: nappola spinosa
Sinonimi: Acanthoxanthium spinosum (L.) Fourr.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 20-80 cm, con fusti prostrato-ascendenti, spesso pubescenti e portanti spine dorate,
triforcate alla base, lunghe 1-2 cm. Foglie con picciolo di 2-4 cm e lamina pennato-partita di 3-5×2-3 cm oppure lineare e
intera di 6-8×1 cm, grigio-tomentosa sulla faccia abassiale. La pianta è monoica, con infiorescenze a calatide (“capolino”),
le maschili subglobose con fillari (“brattee”) in una sola serie, ricettacolo cilindrico provvisto di pagliette e numerosi fiori a
5 stami, questi connati per i filamenti, ma ad antere libere, uncinate all’apice; ovario e stilo rudimentali. Calatidi femminili
ovoidali, con fillari in 2 serie, gli esterni (prossimali) liberi, piccoli ed erbacei, gli interni (distali) più grandi, connati, coriaceospinescenti, terminati da 2 becchi (raramente 1) legnosi all’apice della calatide; fiori 2, alloggiati ciascuno in una cavità interna
della struttura sopra descritta, nudi, ridotti a semplici ovari con lungo stilo sporgente da un’apertura posta alla base dei becchi,
sul loro lato interno. Il frutto, che è anche disseminulo (disseminazione teriocora-antropocora) e consiste dell’intera calatide
femminile, è ellissoidale, di 10-12×4-5 mm, con spine uncinate di 3 mm, rossastre.
Periodo di fioritura: luglio-ottobre.
Area d’origine: Sudamerica.
Habitat: Incolti aridi, ruderi.
Distribuzione nel territorio: Planiziale-collinare. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Mantova (CAS), Pavia (CAS).
Periodo d’introduzione: Neofita, arrivata in Italia al principio del Settecento. Conosciuta in Lombardia almeno dal 1785
come pianta coltivata (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789) e dal 1819 in natura (campione raccolto nel
pavese e conservato nell’Erbario di Pavia, PAV); Nocca & Balbis (1821) la segnalano per la prima volta.
Modalità d’introduzione: Accidentale, con imballi di merci o altro (vedi anche X. italicum).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Note: In Pianura è rara, mentre è comune in area mediterranea.
Bibliografia: Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Löve, 1975; Nocca & Balbis, 1821
leycesteria
Famiglia: Caprifoliaceae (= Caprifoliaceae subfam.
Caprifolioideae)
Nome scientifico: Leycesteria formosa Wall.
Nome volgare: leycesteria
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Arbusto (frutice) deciduo, eretto-espanso, con fusti lunghi fino a 2 m e oltre, ramificati dalla base; rametti,
piccioli, peduncoli, brattee e calici con pubescenza appressata. Foglie con picciolo di 5-12(-15) mm e lamina ovato-lanceolata,
ovato-oblunga o largamente ovata, alla base da largamente cuneata a subcordata, di 4-13x2-6 cm, intera, remotamente
denticolata o irregolarmente sinuata al margine, da acuminata a lungamente caudata all’apice, verde scuro sulla faccia
adassiale, pelosa su quella abassiale, specialmente sulla nervatura principale. Racemi terminali e ascellari, formati da 1-molti
verticilli di 6 fiori, con peduncolo dell’infiorescenza lungo (8-)10-25(-30) mm; brattee fogliacee vistose, verdi, rosa e rossoporpora; bratteole molto piccole (<1 mm). Calice con tubo di 3-4 mm, densamente peloso-ghiandoloso e lembo 5-lobato a
lobi da uguali a disuguali (2 lunghi e 3 corti); corolla bianca, rosea o raramente purpurea, imbutiforme, lunga (1.2-)1.4-1.8 cm,
pubescente esternamente, con lobi suborbicolari di 5 mm. Bacca dapprima rossa, poi nero-violacea, ovoidale o subglobosa,
5-7 mm in diametro, coronata all’apice dai lobi calicini persistenti; semi numerosi, brunastri, un po’ appiattiti.
Periodo di fioritura: maggio-settembre.
Area d’origine: Asia (dal Pakistan alla Cina sudoccidentale) .
Habitat: Boscaglia submontana di ripa (foreste aperte, margini boschivi e arbusteti in patria).
Distribuzione nel territorio: Val Trompia nel bresciano, lungo il torrente Bavorgo. Brescia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta all’inizio del XIX secolo in Inghilterra, dove esplose in età vittoriana, quindi
successivamente importata in Italia in alcuni orti botanici e parchi privati al centro-nord, rimanendo qui, tuttavia, praticamente
ignorata dalla floricoltura ufficiale. Segnalata per la prima volta in Lombardia (e in Italia) da Crescini & Tagliaferri (1994c), che
l’hanno osservata naturalizzata a partire dal 1992.
Modalità d’introduzione: Volontaria (importazione orticola).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Apparentemente no.
Impatto: Nessuno.
Note: I frutti maturi sono commestibili, sebbene di sapore piuttosto forte, non a tutti gradito, graditissimo invece agli uccelli, che sono certamente
i responsabili della diffusione della pianta nel sito lombardo rilevato. Si tratta dunque di un classico caso di “fuga” da giardino.
Bibliografia: Crescini & Tagliaferri, 1994c
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caprifoglio
giapponese
Famiglia: Caprifoliaceae
(= Caprifoliaceae subfam. Caprifolioideae)
Nome scientifico: Lonicera japonica Thunb.
Nome volgare: caprifoglio giapponese
Sinonimi: Caprifolium japonicum (Thunb.) D.Don,
comb. superfl.
Caprifolium japonicum (Thunb.) Dum.Cours.
Lonicera flexuosa Thunb.
Nintooa japonica (Thunb.) Sweet
Tipo biologico: Plian
Descrizione: Liana raggiungente un’altezza di 6 m e oltre. Foglie opposte, persistenti, subcoriacee; picciolo di 3-10 mm; lamina da
ovata a oblunga, di 3-9×2-5 cm, di un verde più o meno scuro, con margine intero (salvo nelle foglie dei giovani getti, il cui margine
può essere lobato), base da arrotondata a subcordata, apice acuto oppure ottuso. Fiori fortemente profumati, appaiati all’ascella di
2 foglie ridotte, libere alla base, pentameri, zigomorfi, portati da peduncoli lunghi 3-15 mm; tubo del calice conico; corolla bilabiata
lunga 3-5 cm, pubescente esternamente, bianca o talvolta leggermente rosata, virante al giallo crema dopo la pollinazione, con
labbro superiore a 4 lobi stretti, ricurvi all’indietro e labbro inferiore lineare, intero, ugualmente ricurvo; stami 5, stilo con stigma
capitato, tutti lungamente sporgenti dal tubo corollino; ovario infero. Il frutto è una bacca globosa, nera, lucida, larga 3-4 mm.
Periodo di fioritura: maggio-settembre.
Area d’origine: Asia orientale (Giappone e Cina).
Habitat: Principalmente in boschi degradati, da mesofili a spiccatamente termofili, ma assente in condizioni di marcata
aridità. Si rinviene anche in arbusteti, siepi, recinzioni presso le abitazioni ecc. Tollera abbastanza bene l’ombreggiamento,
pur prediligendo ambienti a luminosità decisa. Può tappezzare il suolo, ma solo dove le condizioni di luce lo permettono.
Distribuzione nel territorio: Diffusa su tutto il territorio regionale (50-1˙000 m s.l.m.), anche se in maggior misura nell’area
planiziale e collinare, mentre in quella submontana soltanto in stazioni particolarmente calde e riparate. Bergamo (INV),
Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia
(INV), Sondrio (NAT), Varese (INV).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XIX secolo. In Lombardia coltivata almeno dal 1886 (campione raccolto
da F. Sordelli a Milano e conservato nell’Erbario dell’Università di Milano, MI) e naturalizzata almeno dal 1920 a Milano (Cobau,
1920), dal 1927 (Fiori, 1927a) a Mandello Lario (LC) e da prima del 1929 (Stucchi, 1929a) a Tornavento (Lonate Pozzolo, VA).
Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).
Status: Invasiva.
Dannosa: Sì.
Impatto: Sempre largamente coltivata come rampicante profumato, L. japonica è tra le specie più invasive attualmente
presenti sul territorio regionale ed anche tra le specie più impattanti. Infatti, è in grado di avviluppare interamente arbusti
e piccoli alberi, numerosi tipi di supporti artificiali (staccionate, muri ecc.), nonché formare un fitto tappeto che ricopre
completamente il sottobosco. Provoca dunque danni alla biodiversità, al paesaggio, ai processi biogeochimi del suolo ed
anche ai manufatti. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o
eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia.
Azioni di contenimento: Specie di difficile controllo, in relazione all’incredibile capacità di autopropagazione e all’inconsueto
vigore. Nel caso di invasioni localizzate sono necessari tagli selettivi (alla base dei fusti nei mesi di maggio e settembre, ripetuti
per alcuni anni), mentre per invasioni diffuse tagli più frequenti e impiego di erbicidi (solo sulla porzione al suolo). È necessario
comunque predisporre una copertura stabile nella vegetazione, rimuovendo anche i fattori di degrado che facilitano l’ingresso di
questa specie. Occorre eliminare accuratamente le parti tagliate e distruggerle (si moltiplica facilmente per via vegetativa). Evitare
assolutamente la fruttificazione degli esemplari (i frutti sono appetiti dall’avifauna, che ne facilita la dispersione).
lonicera
pileata
Famiglia: Caprifoliaceae
(= Caprifoliaceae subfam. Caprifolioideae)
Nome scientifico: Lonicera pileata Oliv.
Nome volgare: lonicera pileata
Sinonimi: Caprifolium pileatum (Oliv.) Kuntze
Lonicera ligustrina Wall. var. pileata (Oliv.) Franch.
Tipo biologico: nPcaesp
Descrizione: Piccolo cespuglio alto sino a circa 50 cm, con rami arcuati e radicanti. Foglie sempreverdi, opposte; lamina
lunga generalmente 12-32 mm, da oblunga a lanceolata, verde scuro lucido e coriacea, più chiara inferiormente; apice ottuso,
base cuneata, con nervatura mediana sporgente sulla faccia adassiale (superiore). Fiori attinomorfi, sessili in coppie singole
all’ascella delle foglie; calice a 5 denti, con appendice basale a forma di collare ricoprente il margine del profillo (cupola);
corolla lunga 6-8 mm, imbutiforme, di colore giallo pallido, pubescente esternamente, con 5 denti; stami 5, sporgenti;
ovario infero. Frutto costituito da una bacca globosa, violetta, lucente e traslucida (effetto “porcellana”), di 5 mm di diametro,
contenente 2-4 semi appiattiti.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
Area d’origine: Asia orientale (Cina).
Habitat: Sinora rinvenuta spontanea in una forra, tra le fessure di una parete calcarea, dove sembra propagarsi soprattutto
vegetativamente.
Distribuzione nel territorio: Coltivata in tutto il territorio regionale, è stata rinvenuta spontanea soltanto lungo il Torrente
San Giulio (loc. Pianella, Cittiglio, VA), a ca. 300 m s.l.m. Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel Novecento; segnalata per la prima volta in Lombardia (e in Italia)
da Banfi et al. (2009), che l’hanno osservata a partire dal 2007.
Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Finora irrilevante.
Note: La specie si mostra sessualmente autoincompatibile e poiché viene regolarmente propagata per via vegetativa, sul nostro territorio si
mantiene clonale, cioè non fruttifica, a meno che a impollinarsi siano cultivar diverse, come di fatto non si osserva. Ciò ostacola la sua diffusione
spontanea, facendo presumere che i rischi di una vera invasione siano piuttosto remoti. Può essere confusa con la simile L. ligustrina Wall. subsp.
yunnanensis (Franch.) P.S.Hsu & H.J.Wang (= var. yunnanensis Franch., = L. nitida E.H.Wilson; lonicera ligustrina), ugualmente coltivata, che si
distingue solo per le foglie più piccole (lunghe 6-16 mm), a perimetro ovato, con base arrotondata o leggermente cordata e con nervatura mediana
non sporgente sulla faccia adassiale (superiore).
Bibliografia: Banfi et al., 2009; Li, 2000
Note: Può essere superficialmente confusa con il caprifoglio nostrano (L. caprifolium L.), diffuso, sebbene infrequente e sempre più minacciato, nei
boschi delle fasce planiziale e collinare. Questo però è presto distinto per lo sviluppo decisamente minore (rampicante discreto e poco vistoso),
per le foglie da ovato-ellittiche a subrotonde, sottili, decidue, glauche inferiormente, per i fiori in 1-2(-3) verticilli terminali sovrapposti, involucrati
ciascuno da una coppia di foglie bratteali connate a formare un collare, per la corolla maggiore e per le bacche pruinose, aranciate a maturità. Va
detto che il gruppo naturale di specie afferenti al caprifoglio giapponese (sect. Nintooa (Sweet) Maxim.) è tutto asiatico ad eccezione di un’entità
con distribuzione SW-mediterraneo-montana, L. biflora Desf., presente anche in Italia; è l’unica che assomiglia veramente a L. japonica.
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Bibliografia: Cobau, 1920; Fiori, 1927a; Stucchi, 1929a
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lacrime
d’Italia
Famiglia: Caprifoliaceae (= Caprifoliaceae subfam. Caprifolioideae)
Nome scientifico: Symphoricarpos albus (L.) S.F.Blake
Nome volgare: lacrime d’Italia
Basionimo: Vaccinium album L.
Sinonimi: Symphoricarpos albus (L.) S.F.Blake fo. laevigatus (Fernald) G.N.Jones
Symphoricarpos albus (L.) S.F.Blake subsp. laevigatus (Fernald) Hultén
Symphoricarpos albus (L.) S.F.Blake var. laevigatus (Fernald) S.F.Blake
Symphoricarpos racemosus Michx.
Symphoricarpos racemosus Michx. var. laevigatus Fernald
Symphoricarpos rivularis Suksd.
Tipo biologico: Pscap
Descrizione: Arbusto alto sino a circa 1 m, che si propaga tramite rizomi sotterranei. Foglie decidue, opposte; picciolo 3-5
mm; lamina ovale o ellittica, di 4-6×3-5 cm, verde scuro, con margine intero o irregolarmente lobato. Fiori in cime abbreviate
all’ascella delle foglie; corolla campanulata, lunga 6 mm, di colore roseo. Frutto costituito da una bacca ovoide o sferica, di
1-1.5 cm di diametro, bianca; bacche riunite in glomeruli e lungamente persistenti.
Periodo di fioritura: giugno-luglio.
Area d’origine: Nordamerica.
Habitat: Boschi disturbati, presso le abitazioni.
Distribuzione nel territorio: Coltivata su tutto il territorio regionale, è stata rinvenuta spontanea qua e là. Bergamo (NAT),
Brescia (NAT), Como (CAS), Lecco (CAS), Monza e Brianza (NAT), Mantova (CAS), Pavia (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nella seconda metà del XVIII secolo.
Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Allo stato attuale della sua diffusione, questa specie non pone particolari problemi.
edera
algerina
Famiglia: Araliaceae
Nome scientifico: Hedera algeriensis Hibberd
Nome volgare: edera algerina
Sinonimi: Hedera canariensis auct., non Willd.
Tipo biologico: Plian
Descrizione: Liana legnosa con radici aggrappanti e fusti lunghi fino a 3 m. Foglie sempreverdi, alterne; lamina ovata,
trilobata o intera, di circa 19×20 cm, con minuti peli squamiformi, solitamente rosso-brunastri (meglio visibili sulle giovani
foglie, ma anche sui rametti), verde scuro brillante su entrambe le pagine; base delle foglie giovanili tronca o solo leggermente
cordata. Fiori in ombrelle, spesso riunite in pannocchie racemose; calice a 5 lobi; petali 5, giallo-verdastri; stami 5, prominenti;
stili riuniti in una breve colonna; ovario 5-loculare, con disco apicale nettarifero cupuliforme e stilo al centro. Frutto consistente
in una drupa violaceo-nerastra.
Periodo di fioritura: settembre-novembre.
Area d’origine: Nordafrica (costa mediterranea algerina e tunisina).
Habitat: Ambienti antropizzati, soprattutto su manufatti e in formazioni forestali antropogene, dove spesso si abbarbica sugli
alberi; talvolta presso microdiscariche abusive di materiale vegetale.
Distribuzione nel territorio: Specie termicamente piuttosto esigente, è presente in modo sparso su tutto il territorio
regionale, anche se spesso solo casuale (100-350 m s.l.m.). Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Lecco (CAS), Milano (NAT) Varese (CAS).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XIX. Segnalata per la prima volta in natura in Lombardia da
Conti et al. (2007).
Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante.
Azioni di contenimento: Immediata asportazione delle piante radicate sui manufatti.
Note: Considerata un tempo conspecifica di H. canariensis Willd., differisce in effetti da quest’ultima, la quale ha foglie giovanili decisamente cordate e
meno lucide, nonché leggermente più piccole (McAllister, 1988; McAllister & Rutherford, 1997; Ackerfield, 2001; Ackerfield & Wen, 2002). H. algeriensis è in
genere coltivata come ricoprente, soprattutto nella cultivar ‘Gloire de Marengo’ (o ‘Souvenir de Marengo’), a foglie variegate di bianco.
Bibliografia: Ackerfield, 2001; Ackerfield & Wen, 2002; Conti et al., 2007; McAllister, 1988; McAllister & Rutherford, 1997
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edera
irlandese
Famiglia: Araliaceae
Nome scientifico: Hedera hibernica (G.Kirchn.) Bean
Nome volgare: edera irlandese
Basionimo: Hedera helix L. var. hibernica G.Kirchn.
Sinonimi: Hedera helix L.
subsp. hibernica (G.Kirchn.) D.C.McClint.
Tipo biologico: Plian
Descrizione: Liana legnosa aggrappante tramite radici aeree, con fusti alti sino a parecchi metri. Foglie coriacee, sempreverdi,
alterne; lamina ovata, di norma triloba, occasionalmente con 5(-7) lobi, larghe e lunghe 6-10 cm, con minuti peli stellati
biancastri o talvolta brunastri (maggiormente visibili sulle giovani foglie e sui rametti), verde scuro sublucido sulla faccia
adassiale, un po’più chiaro su quella abassiale; base cordata. Fiori in ombrelle, spesso riunite in pannocchie racemose
terminali; calice 5-lobato; petali 5, giallo-verdastri, acuti; stami 5, prominenti; stili riuniti in una breve colonna; ovario a 5 loculi,
sormontato da un disco nettarifero cupuliforme, con lo stilo al centro. Frutto costituito da una drupa viola-nerastra con scarso
mesocarpo e semi bruno chiaro.
Periodo di fioritura: settembre-novembre.
Area d’origine: Europa (coste atlantiche europee, dall’Irlanda attraverso il sud-ovest di Inghilterra e Francia, fino alla Spagna).
Habitat: Ambienti antropizzati e boschi, in particolare presso le abitazioni.
Distribuzione nel territorio: Data la confusione, protrattasi fino a poco tempo fa, con la comune edera autoctona (H. helix
L.), la distribuzione regionale dell’aliena è ancora in buona parte sconosciuta. Essa è comunque coltivata in tutto il territorio
regionale, dalle Prealpi sino alle colline dell’Oltrepò ed entro un’escursione altimetrica che dal Fiume Po arriva sino a circa 450
m s.l.m. Como (NAT), Milano (CAS), Pavia (NAT), Varese (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in un periodo imprecisabile. Segnalata per la prima volta in natura in Lombardia
da Brusa et al. (2007).
Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura).
Status: Naturalizzata e apparentemente prossima a diventare invasiva.
Dannosa: Potenzialmente sì.
Impatto: Apparentemente più aggressiva di H. helix, l’edera irlandese sembra occuparne la stessa nicchia ecologica. Nelle
finora poche stazioni osservate in cui le due specie crescono assieme, H. hibernica sembra soverchiare con esuberanza di
vegetazione la nostra edera, per poi rimpiazzarla; forma inoltre una spessa copertura sul terreno, più compatta di quella di
H. helix.
Azioni di contenimento: Immediata asportazione delle piante, evitando di lasciare materiale vegetativo in loco. Trattamento
localizzato con diserbanti.
soldinella
delle
Mascarene
Famiglia: Araliaceae
Nome scientifico: Hydrocotyle sibthorpioides Lam.
Nome volgare: soldinella delle Mascarene
Sinonimi: Hydrocotyle japonica Makino
Hydrocotyle monticola Hook.f.
Hydrocotyle nitidula A.Rich.
Hydrocotyle rotundifolia Roxb.
Hydrocotile yabei Makino
Tipo biologico: Hrept
Descrizione: Minuta erba perenne, tappezzante, alta 10-30 mm, con fusti sottilissimi, striscianti e radicanti ai nodi. Foglie con
picciolo di spessore inferiore a 1 mm e lamina suborbicolare o reniforme, spesso a base cordata, larga 1 cm, crenata al margine,
con reticolo di nervature evidente. Fiori pentameri, subsessili in ombrelle 3-8(-10)-flore, sorrette da peduncoli di 2 cm. Il frutto
è una drupa secca (endocarpo legnoso), ellissoidale, fortemente compressa, con coste laterali prominenti.
Periodo di fioritura: giugno-luglio.
Area d’origine: Presumibilmente paleotropica (isole Mascarene?).
Habitat: Aiuole fresche, prati dei cortili e giardini interni, specialmente di vecchie case e ville in città.
Distribuzione nel territorio: Città di Milano e di Pavia. Milano (NAT), Pavia (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta a Milano da Cattorini (1952) e successivamente reidentificata
da Viola (1954); è presente in città almeno dagli anni ’20 del secolo scorso.
Modalità d’introduzione: Ignota.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Irrilevante (estetico locale).
Azioni di contenimento: Non sembra sensato intervenire, in quanto la specie si insedia in condizioni più che accettabili
di convivenza artificiale, contribuendo positivamente alla a-diversità cittadina, che è l’unica forma di biodiversità in ambito
urbano.
Note: Entità termofila, incapace di affermarsi fuori dai microclimi protetti delle infrastrutture urbane. Il genere Hydrocotyle, con oltre 75 specie
proprie di ambiente umido, era fino a poco tempo fa ascritto alla famiglia delle ombrellifere (Apiaceae) assieme a Trachymene (= Didiscus),
Homalosciadium, Neosciadium e pochi altri. Gli studi biomolecolari dell’ultimo decennio hanno confermato definitivamente che questo gruppo
(subfam. Hydrocotyloideae) è invece annidato all’interno delle Araliaceae, dove condivide alcuni caratteri sinapomorfici, tra cui l’endocarpo legnoso,
assente nel frutto delle ombrellifere.
Bibliografia: Cattorini, 1952; Viola, 1954
Note: H. hibernica, commercialmente non distinta da H. helix o al più considerata semplice cultivar della stessa, trova largo impiego ornamentale,
soprattutto come tappezzante. Può essere confusa di primo acchito con H. helix: la differenza principale e certa fra i due taxa consiste nei peli
stellati (lente!), i cui raggi in H. hibernica sono disposti parallelamente alla superficie di inserzione del pelo (orizzontali), mentre si presentano eretti
o eretto-patenti in H. helix; tale differenza si riflette macroscopicamente sul tipo di pelosità (da osservare su foglie giovani e rametti), che appare
sericea o subsericea nell’edera irlandese, setoloso-ispida nell’edera comune. Inoltre le foglie di H. hibernica sono mediamente maggiori (3-6 cm in
H. helix) e maggiore è pure la profondità del seno fogliare prossimale (1-2 cm in H. helix); infine, il reticolo biancastro di fondo delle nervature fogliari
che contraddistingue la faccia adassiale in H. helix, è del tutto irrilevante in H. hibernica.
Bibliografia: Ackerfield, 2001; Ackerfield & Wen, 2002; Brusa et al., 2007; Ceraboldini et al., 2008; Clarke et al., 2006; Grivet & Petit, 2002;
McAllister & Rutherford, 1990, 1997
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cerfoglio
bulboso
Famiglia: Apiaceae
Nome scientifico: Chaerophyllum bulbosum L.
Nome volgare: cerfoglio bulboso
Sinonimi: Myrrhis bulbosa (L.) All.
Tipo biologico: Hbienn
Descrizione: Pianta erbacea robusta, alta 1-2 m, con radice a fittone ingrossato (larga fino a 6 cm) e fusto eretto, fistoloso,
peloso nella porzione inferiore. Foglie a perimetro triangolare, 2-4-pennatosette, con segmenti terminali da lanceolati
a lineari, larghi 0.5-2 mm. Fiori in ombrelle a 15-20 raggi, prive di involucro o con poche brattee precocemente caduche;
involucretti presenti, formati da bratteole lanceolato-lineari, acuminate; petali 5, trilobati (lobo mediano inflesso), bianchi;
stami 5, divaricati, con filamento ricurvo all’apice; ovario infero, con 2 stili divergenti a base conica (stilopodio). Il frutto è un
polachenario (più noto come diachenio), cilindrico-conico, lungo 5-7 mm, costituito da 2 mericarpi percorsi da sottili coste
longitudinali, dorsali e laterali tutte simili tra loro.
Periodo di fioritura: giugno-agosto.
Area d’origine: Europa centro-orientale e Asia occidentale.
Habitat: Boscaglie golenali.
Distribuzione nel territorio: Cremonese, lungo il Po. Cremona (NAT).
Periodo d’introduzione: Possibile neofita, la cui introduzione in Italia e Lombardia è difficilmente databile. Segnalata per la
prima volta in Lombardia da Bonali (2002b); la precedente segnalazione di Nocca & Balbis (1816) per il Monte Penice (a cavallo
tra le province di Pavia e Piacenza) è stata successivamente esclusa da Rota (1847).
Modalità d’introduzione: Deliberata (pianta da orto per la radice commestibile).
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Inesistente.
sedanella
americana
Famiglia: Apiaceae
Nome scientifico: Cyclospermum leptophyllum (Pers.)
Sprague ex Britton & P.Wilson
Nome volgare: sedanella americana
Basionimo: Pimpinella leptophylla Pers.
Sinonimi: Apium leptophyllum (Pers.) F.Muell. ex Benth.
Cyclospermum leptophyllum (Pers.) Sprague, comb. inval.
Tipo biologico: Tscap
Descrizione: Erba annuale, alta 20-50 cm, a fusti gracili e sottili, ramosi, con rami largamente divergenti. Foglie bitripennatosette a segmenti lineari, capillari, larghi 1 mm o meno. Fiori in ombrelle composte ridottissime, generalmente a
2(-3) raggi; involucro e involucretti assenti; fiori molto piccoli, con 5 petali bianchi ad apice trilobo (lobo mediano riflesso);
stami 5; ovario infero, con 2 stili divergenti. Frutto (polachenario) costituito da 2 mericarpi globosi.
Periodo di fioritura: maggio-giugno.
Area d’origine: Sudamerica.
Habitat: Aiuole, ruderi, macerie.
Distribuzione nel territorio: Planiziale orientale. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Lecco (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombardia da Perico (2004) nel lecchese.
Modalità d’introduzione: Accidentale, per probabile contaminazione di merci.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Nullo.
Note: È pianta individualmente effimera, che forma popolamenti “mobili” all’interno delle aree da essa colonizzate.
Bibliografia: Perico, 2004
Note: Questa pianta di interesse alimentare, con gli stessi usi della carota, era coltivata in Europa fino al secolo XIX, specialmente nel territorio
compreso fra Austria e Ungheria (area pannonica). Oggi tale coltura è stata rilanciata ed è localmente in ripresa. In Italia si coltivava di riflesso in
aree limitate del Piemonte, ma l’uso della pianta rimase confinato a tale situazione, fino ad estinguersi lasciando sparse tracce di naturalizzazione.
La recente segnalazione lombarda fa presumere che qualcuno ne abbia ripreso la coltura in territorio regionale.
Ricordiamo infine che l’habitus, le foglie e le infiorescenze rendono la pianta facilmente confondibile con la cicuta maggiore (Conium maculatum
L.), nota per la pericolosità, che tuttavia si distingue per le macchie porpora violaceo del fusto, confluenti nella metà inferiore e per i frutti
subglobosi, nerastri a maturità.
Bibliografia: Bonali, 2002b; Bonali & D’Auria, 2007; Bonali et al., 2006a; Nocca & Balbis, 1816; Rota, 1847
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panace di
Mantegazza
Famiglia: Apiaceae
Nome scientifico: Heracleum mantegazzianum
Sommier & Levier
Nome volgare: panace di Mantegazza
Tipo biologico: Hscap, Hbienn
Descrizione: Pianta erbacea di dimensioni ragguardevoli, perenne o talora bienne, con fusto robusto, del diametro di 5-10 cm
alla base, di norma con larghe macchie violacee, alta fino a 5 m. Foglie lunghe 1-3 m, profondamente e variamente tripartite
oppure completamente divise in 3-7 segmenti lunghi fino 1.3 m, pennato-lobati, pubescenti sulla faccia abassiale; margine
dei segmenti dentellato, con denti maggiori lungamente acuminati. Infiorescenze a ombrella composta, le maggiori fino a
50 cm in diametro, con 50-150 raggi; fiori attinomorfi con calice a 5 piccoli denti e corolla di 5 petali bianchi o rosei, trilobati
all’apice (lobo mediano ripiegato), quelli dei fiori esterni radianti e lunghi fino a 12 mm; stami 5; ovario infero, bicarpellare; stilo
a base ingrossata (stilopodio); stigmi 2, divergenti. Frutti (polachenari a 2 mericarpi) obovati, di 6-8×9-11 mm, glabri o villosi;
ogni mericarpio presenta 2 coste laterali largamente alate e 3 coste dorsali poco sporgenti, intercalate da vitte (canali resiniferi)
fortemente rigonfie, larghe fino a 1 mm se non di più. Dopo la fioritura e la fruttificazione la pianta muore (apaxantìa).
Periodo di fioritura: luglio-settembre.
Area d’origine: Caucaso.
Habitat: Rive dei fiumi, scarpate umide, incolti e margini stradali.
Distribuzione nel territorio: Montano-subalpina, casuale in pianura. Giungendo a 2173m s.l.m. sulle pendici del Monte
Bianco, è la specie esotica rinvenuta a quota più alta in Europa. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (CAS).
Periodo d’introduzione: Neofita. Una Fotografia dell’agosto 1899 documenta la prima presenza di questa
pianta in Italia, coltivata ai Bagni Nuovi di Bormio (SO)(Celesti-Grapow et al., 2009b); Emil Levier e Stephan Sommier ne hanno
portato in Europa i semi dopo un viaggio sulle montagne del Caucaso compiuto nel 1890. Segnalata per la prima volta in
Lombardia da Galasso et al. (2007b).
Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini floricolturali.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: Sì.
Impatto: Al momento non risulta dannosa per la biodiversità, ma per l’uomo quale nuova, rilevante causa di Fotodermatiti producenti piaghe anche gravi sulle parti del corpo venute a contatto con la pianta, dopo esposizione al sole.
Azioni di contenimento: Si consiglia l’eradicazione dei pochi e piccoli nuclei sinora segnalati in Lombardia.
finocchio
acquatico
di Giava
Famiglia: Apiaceae
Nome scientifico: Oenanthe javanica (Blume) DC.
Nome volgare: finocchio acquatico di Giava
Basionimo: Sium javanicum Blume
Tipo biologico: Hscap
Descrizione: Erba perenne di 10-80 cm, con radici fibrose e fusti decombenti. Piccioli delle foglie basali lunghi 5-10 cm;
lamine a perimetro oblungo-ovato, 1-2 pennate, con segmenti d’ultimo ordine ovati od ovato-rombici, di 5-20x5-50 mm,
a margine seghettato; foglie cauline più piccole delle basali, via via ridotte verso l’alto e via via più sessili, fino alle superiori
con lamina inserita direttamente su un’espansione della guaina. Ombrelle fiorifere larghe 3-5 cm, su peduncoli di 2-16 cm;
brattee 0(-1); raggi 6-16(-30), lunghi 1-3 cm, subeguali o disuguali; bratteole lineari, 2-8, lunghe 2-4 cm, in media quanto i
raggi; ombrellette con circa 20 fiori su peduncoli di 1.5-4 mm; denti calicini di circa 0.5 mm; stili patenti di 1.2-2 mm. Frutto
subgloboso od ovoide, di circa 2x2.5 mm, con coste dorsali e laterali leggermente ispessito-coriacee.
Periodo di fioritura: giugno-luglio.
Area d’origine: Asia temperato-calda e tropicale.
Habitat: Fossi, sponde, suoli fangosi umidi.
Distribuzione nel territorio: Una sola stazione conosciuta a Casalpoglio, al confine tra le province di Brescia e Mantova.
Mantova (NAT).
Periodo d’introduzione: Neofita di introduzione recentissima (fine secolo XX-inizio secolo attuale). Segnalata per la
prima volta in Lombardia da Banfi & Galasso (2005), che riportano osservazioni di Filippo Prosser del 2003 successivamente
confermate (Banfi et al., 2007).
Modalità d’introduzione: Commercio ortofloricolo.
Status: Naturalizzata.
Dannosa: No.
Impatto: Nessuno, se non fisionomico locale.
Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Banfi et al., 2007
Note: Appartiene a un gruppo di tre specie affini introdotte in Europa a scopo ornamentale e qui diffusesi spontaneamente (Jahodová et al., 2007):
oltre a essa (specie perenne apaxantica originaria del Grande Caucaso occidentale), l’unica sinora segnalata in Italia, vanno ricordate H. sosnowskyi
Manden. (perenne apaxantica originaria del Caucaso centrale e orientale, Transcaucasia e Turchia nordorientale) e H. persicum Desf. ex Fisch.,
C.A.Mey. & Avé-Lall. (perenne pleonantica originaria di Turchia, Iran e Iraq).
In Svizzera è inclusa nella Lista Nera (http://www.cps-skew.ch/italiano/lista_nera.htm) perché invasiva e pericolosa per l’uomo; quindi si tratta di
specie da tenere sotto controllo. La diffusione di questa specie è favorita nelle zone densamente popolate e con gli inverni freddi (Pyšek et al.,
1998).
Bibliografia: Celesti-Grapow et al., 2009b; Galasso et al., 2007b; Jahodová et al., 2007; Pyšek et al., 1998, 2007
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Contributi Fotografici
Pag. 26 : azolla maggiore
Pag. 27: felce di fortune Pag. 28: cedro dell’Himalaya
Pag. 29: pino rosso americano Pag.30: strobo Pag. 31: tuia orientale
Pag. 32: ninfea da giardino
Pag. 33: coda di lucertola
Pag.34: falso canforo
Pag.35: lenticchia d’acqua minuscola Pag.36: lenticchietta d’acqua Pag. 37: sagittaria americana Pag. 38: peste d’acqua maggiore Pag. 39: peste d’acqua comune Pag. 40: peste d’acqua di Nuttall Pag. 41: peste d’acqua arricciata Pag. 42: ranocchina delle risaie Pag. 43: ranocchina tropicale Pag. 44: falsa mestolaccia Pag. 45: tulipano di Clusius Pag. 46: tulipano precoce Pag. 47: giglietto blu Pag. 48: giglio di San Giuseppe Pag. 49: agave comune Pag. 50: yucca comune Pag. 51: palma cinese Pag. 52: erba-miseria asiatica Pag. 53: erba-miseria delle risaie Pag. 54: erba-miseria sudamericana Pag. 55: eterantera reniforme Pag. 56: eterantera dei fanghi Pag. 57: eterantera soldina Pag. 58: pontederia Pag. 59: giunco gracile Pag. 60: falsa carice volpina Pag. 61: zigolo cinese Pag. 62: zigolo delle risaie Pag. 63: zigolo ferrugineo Pag. 64: zigolo giapponese Pag .65: zigolo pavese Pag. 66: zigolo americano Pag. 67: giunchina delle risaie Pag. 68: forasacco di Willdenow Pag .69: panico delle brughiere Pag. 70: sanguinella cigliata Pag. 71: sanguinella violacea Pag. 72: panicella fascicolata Pag. 73: panicella fosca Pag. 74: giavone peloso Pag .75: gramigna indiana Pag. 76: gramigna a tre spighe Pag. 77: panicella pettinata Pag. 78: mulembergia di Schreber Pag.79: panico dei campi Pag. 80: panico di Philadelphia Pag. 81: panico capillare Pag. 82: panico brasiliano Pag .83: panico acquatico Pag. 84: pabbio di Faber Pag. 85: pabbio gigante Pag. 86: gramigna tenacissima Pag. 87: gramigna a foglie guainanti Pag. 88 : crespino di Beale Pag. 89: maonia comune Pag. 90: clematide himalayana Pag. 91: fior di loto Pag.92: platano comune
Pag. 93: sassifraga dei Pirenei Pag. 94: borracina caucasica
Pag. 95: borracina sarmentosa
Pag. 96: millefoglio d’acqua
Pag. 97: vite del Canada Pag. 98: vite riparia Pag. 99: vite rupestre Pag. 100: indaco bastardo Foto di: E. Zanotti; G.Ceffali; L. Gariboldi
Foto di: S. Mauri; G.Sardi; S. Mauri
Foto di: S. Mauri
Foto di: G. Ceffali; G. Ceffali; V. Arrigoni
Foto di: G. Ceffali; S. Mauri; S. Mauri
Foto di: S. Mauri; G. Brusa; G. Ceffali
Foto di: L. Gariboldi
Foto di: A. Sessi
Foto di: L. Gariboldi
Foto di: A. Truzzi; G. Sardi; F. Giordana
Foto di: A. e R. Truzzi
Foto di: G. Ceffali; L. Gariboldi; E. Zanotti
Foto di: G. Ceffali; E. Zanotti; S. Assini
Foto di: G.Sardi; S. Mauri; S. Mauri
Foto di: L. Gariboldi; G. Brusa; G. Brusa
Foto di: G. Ceffali; F. Giordana; F. Giordana
Foto di: G. Brusa; G. Brusa; Erbario MSNM
Foto di: Erbario MSNM
Foto di: P. Picco; Erbario MSNM; P. Picco
Foto di: G. Ceffali; G. Ceffali; A. Marzorati
Foto di: G. Ceffali
Foto di: L. Cassanego; Erbario MSNM; L. Cassanego
Foto di: S. Mauri; S. Mauri; L. Gariboldi
Foto di: F. Giordana; F. Giordana; G. Ceffali
Foto di: A. Truzzi
Foto di: S. Mauri; S. Mauri; L. Gariboldi
Foto di: G. Sardi; S. Mauri; S. Mauri
Foto di: G. Marconi; P. Picco; E. Haug
Foto di: S. Peccenini; S. Mauri; S. Peccenini
Foto di: G. Galasso; G. Brusa; F. Giordana
Foto di: G. Brusa
Foto di: G. Brusa; L. Gariboldi; S. Assini
Foto di: S. Mauri; S. Mauri; G. Ceffali
Foto di: S. Mauri; V. Frigati; L. Gariboldi
Foto di: C. Argenti
Foto di: G. Ceffali
Foto di: G. Brusa; E. Zanotti; E. Zanotti
Foto di: F. Giordana; L. Gariboldi; S. Mauri
Foto di: N. Ardenghi
Foto di: G. Brusa; G. Ceffali; G. Ceffali
Foto di: L. Gariboldi
Foto di: L. Gariboldi; L. Gariboldi; E. Zanotti
Foto di: L. Gariboldi; S. Mauri; L. Gariboldi
Foto di: L. Gariboldi; G. Brusa; G. Brusa
Foto di: G. Galasso
Foto di: E. Zanotti
Foto di: Erbario MSNM
Foto di: Erbario MSNM
Foto di: G. Brusa
Foto di: S. Mauri; S. Mauri; S. Mayer
Foto di: F. Giordana
Foto di: S. Mauri
Foto di: M. Villa
Foto di: S. Mauri; G. Sardi; S. Mauri
Foto di: E. Zanotti; F. Giordana; E. Zanotti
Foto di: G. Sardi; A. Truzzi; S. Mauri
Foto di: G. Sardi; G. Sardi; S. Mauri
Foto di: A. Truzzi; E. Zanotti; A. Truzzi
Foto di: E. Zanotti
Foto di: F. Giordana; L. Gariboldi; F. Giordana
Foto di: M. Villa
Foto di: L. Gariboldi
Foto di: L. Gariboldi; G. Brusa; L. Gariboldi
Foto di: A. e R. Truzzi; G. Brusa; S. Mauri
Foto di: G. Ceffali; T. Wilhalm; T. Wilhalm
Foto di: A. Truzzi; L. Gariboldi; A. Truzzi
Foto di: G. Ceffali; L. Gariboldi; S. Mauri
Foto di: K. Stueber; L. Michels; L. Michels
Foto di: L.Cassanego; D. Longo; D. Longo
Foto di: L. Gariboldi; L. Gariboldi; S. Mauri
Foto di: G. Brusa
Foto di: S. Mauri; G. Sardi; L. Gariboldi
Foto di: G. Sardi; S. Mauri; S. Mauri
Foto di: N. Ardenghi
Foto di: L. Gariboldi
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Contributi Fotografici
Pag. 101: fagiolino sotterraneo Pag. 102: glicine tubersoso Pag. 103: spino di Giuda Pag. 104: lupino americano Pag. 105: pueraria Pag. 106: robinia Pag. 107: robinia vischiosa Pag. 108: pero corvino canadese Pag. 109: cotognastro prostrato Pag. 110: cotognastro salicino Pag. 111: azzeruolo americano Pag. 112: kerria Pag. 113: spirea americana Pag. 114: fragola matta Pag. 115: cinquefoglio di Norvegia Pag. 116: lauroceraso Pag. 117: ciliegio tardivo Pag. 118: rosa polianta Pag. 119: lampone asiatico Pag. 120: sorbaria Pag. 121: spirea del Giappone Pag. 122: spirea a foglie di salice Pag. 123: olivagno pungente Pag. 124: olivagno cinese Pag. 125: olmo cigliato Pag. 126: olmo siberiano Pag .127: luppolo del Giappone Pag. 128: gelso da carta Pag. 129: ramié Pag. 130: quercia rossa Pag .131: noce nero Pag. 132: sicio Pag. 133: acetosella rizomatosa Pag.134: acetosella corimbosa Pag. 135: acetosella maggiore Pag. 136: acetosella di Dillenius Pag .137: acalifa meridionale Pag. 138: acalifa della Virginia Pag. 139: euforbia a semi solcati Pag. 140: euforbia sdraiata Pag. 141: euforbia macchiata Pag. 142: euforbia prostrata Pag. 143: euforbia delle ferrovie Pag. 144: euforbia di David Pag .145: pepe d’acqua minore Pag. 146: pioppo ibrido Pag. 147: violetta americana Pag. 148: iperico americano Pag. 149: ammannia arrossata Pag .150: rotala asiatica Pag. 151: epilobio cigliato Pag. 152: porracchia gigante Pag. 153: porracchia di Montevideo Pag. 154: enagra comune
Pag. 155: enagra di Bartlett Pag. 156: enagra di Royfraser Pag. 157: enagra fallacoide Pag. 158: enagra di Oehlkers Pag. 159: enagra di Glaziou Pag. 160: enagra del Sesia
Pag. 161: enagra di Stucchi
Pag. 162: enagra a petali larghi
Pag. 163: sommacco maggiore Pag. 164: acero negundo Pag. 165: albero del Paradiso Pag. 166: ibisco palustre Pag. 167: ibisco vescicoso Pag. 168: polanisia Pag. 169: borsa del pastore a fiori grandi Pag. 170: lappolina americana Pag. 171: lepidio della Virginia Pag. 172: crescione austriaco Pag. 173: erba-cornacchia di Loesel Pag. 174: poligono russo Pag. 175: poligono multifloro Pag. 176: poligono filiforme Pag. 177: poligono della Virginia Pag. 178: poligono cespitoso Pag. 179: poligono del Nepal Pag. 180: poligono della Pennsylvania Pag. 181: Poligono di Boemia Pag. 182: poligono del Giappone Pag. 183: poligono di Sakhalin Pag. 184: poligono dell’Himalaya 270
Contributi Fotografici
Foto di: G.Cattaneo; L. Gariboldi; G. Galasso
Foto di: G. Brusa
Foto di: E. Zanotti; S. Mauri; S. Mauri
Foto di: L. Gariboldi; L. Gariboldi; G. Ceffali
Foto di: S. Gomarasca; S. Mauri; G. Cattaneo
Foto di: G. Sardi; S. Mauri; L. Gariboldi
Foto di: S. Mauri; G. Brusa; G. Brusa
Foto di: A. Mologni; S. Mauri; L. Gariboldi
Foto di: F. Giordana; S. Mauri; F. Giordana
Foto di: L. Gariboldi
Foto di: L. Gariboldi; S. Mauri; L. Gariboldi
Foto di: L. Gariboldi
Foto di: Erbario MSNM; R. H. Mohlenbrock;
Foto di: G. Sardi; L. Gariboldi; S. Mauri
Foto di: L. Cassanego
Foto di: G. Sardi; S. Mauri; A. e R. Truzzi
Foto di: S. Mauri; S. Mauri; L. Gariboldi
Foto di: G. Brusa; S. Mauri; S. Mauri
Foto di: S. Mauri; G. Bardelli; L. Gariboldi
Foto di: G. Galasso; G. Brusa; G.Brusa
Foto di: A. Mologni; G. Sardi; S. Mauri
Foto di: V. Frigati; V. Frigati; S. Mauri
Foto di: S. Mauri; S. Mauri; G. Brusa
Foto di: A. Truzzi; G. Brusa; A. Truzzi
Foto di: G. Ceffali; G. Ceffali; G. Brusa
Foto di: G. Ceffali; L. Gariboldi; Sconosciuto
Foto di: S. Mauri; G. Sardi; A e R. Truzzi
Foto di: L. Gariboldi; S. Mauri; A. Truzzi
Foto di: G. Brusa; G. Brusa; G. Ceffali
Foto di: G. Sardi; S. Mauri; G. Sardi
Foto di: S. Mauri; S. Mauri; G.Sardi
Foto di: L. Gariboldi
Foto di: G. Brusa; G. Brusa; A e R. Truzzi
Foto di: F. Giordana
Foto di: G. Trombetti
Foto di: L. Gariboldi; F. Gilardelli; G. Sardi
Foto di: G. Sardi
Foto di: S. Mauri; G. Sardi; S. Mauri
Foto di: N. Ardenghi
Foto di: S. Mauri
Foto di: A. Truzzi; S. Mauri; S. Mauri
Foto di: A. Truzzi; A. Truzzi; G. Sardi
Foto di: M. Villa; M. Villa; L. Gariboldi
Foto di: N. Ardenghi; S. Mauri; N. Ardenghi
Foto di: G. Ceffali
Foto di: G. Ceffali; G. Ceffali; E. Zanotti
Foto di: P. Arrigoni; G. Ceffali; G. Ceffali
Foto di: L. Gariboldi
Foto di: F. Giordana; F. Giordana; A. Truzzi
Foto di: Erbario MSNM
Foto di: F. Prosser
Foto di: G. Brusa
Foto di: L. Gariboldi
Foto di: L. Gariboldi
Foto di: S. Mauri
Foto di: E. Zanotti
Foto di: S. Mauri; L.Gariboldi; L.Gariboldi
Foto di: S. Mauri
Foto di: Sconosciuto; S. Mauri; S. Mauri
Foto di: S. Mauri; S. Mauri; A. Soldano
Foto di: S. Mauri; L. Cassanego; S. Mauri
Foto di: G. Brusa; G. Brusa; L. Gariboldi
Foto di: S. Mauri; S. Mauri; S. Tomiolo & C. Vavassori
Foto di: G. Sardi; G. Sardi; L. Gariboldi
Foto di: G. Sardi; A. Truzzi; G. Sardi
Foto di: A. & R. Truzzi; L. Gariboldi; R. Truzzi
Foto di: A. & R. Truzzi; G. Brusa; G. Ceffali
Foto di: P. Ferrari; P. Ferrari; L. Gariboldi
Foto di: S. Mauri
Foto di: G. Sardi; G. Sardi; F. Giordana
Foto di: S. Mauri; G. Sardi; S. Mauri
Foto di: E. Romani; L. Gariboldi; L. Gariboldi
Foto di: Erbario MSNM
Foto di: S. Mauri; A. Truzzi; L. Gariboldi
Foto di: S. Mauri; G. Sardi; G. Ceffali
Foto di: L. Gariboldi; G. Ceffali; L. Gariboldi
Foto di: G. Sardi; L. Gariboldi; L. Gariboldi
Foto di: L. Gariboldi
Foto di: G. Brusa
Foto di: L. Gariboldi; Sconosciuto; L. Gariboldi
Foto di: L. Gariboldi; L. Gariboldi; R. Appiani
Foto di: G. Sardi; G. Sardi; R. Appiani
Foto di: G. Marconi; G. Brusa; R. Appiani
Foto di: G. Ceffali; M. Kleih
Pag. 185: amaranto bianco Pag. 186: amaranto blitoide Pag. 187: amaranto prostrato Pag. 188: amaranto dei campi Pag. 189: amaranto di Powell Pag. 190: amaranto comune Pag. 191: amaranto tubercolato Pag. 192: amaranto verde Pag. 193: erba-cimice di Marschall Pag. 194: cicloloma comune Pag.195: farinello aromatico
Pag. 196: farinello minore Pag. 197: cremesina Pag. 198: bella di notte comune Pag. 199: bella di notte minore Pag. 200: mollugine verticillata Pag. 201: fico d’India di Engelmann Pag. 202: fico d’India nano
Pag. 203: deuzia comune Pag. 204: balsamina himalayana Pag. 205: balsamina ghiandolosa Pag. 206: balsamina minore
Pag. 207: albero di sant’Andrea Pag. 208: pianta della seta
Pag. 209: buglossa sempreverde
Pag. 210: cuscuta dei campi
Pag. 211: dicondra Pag. 212: stramonio
Pag. 213: morella della Carolina Pag. 214: morella farinaccio Pag. 215: gelsomino primulino
Pag. 216: ligustro lucido Pag. 217: ligustro da siepe
Pag. 218: ligustro cinese Pag. 219: serenella Pag. 220: veronica filiforme Pag. 221: occhi della Madonna Pag. 222: veronica pellegrina Pag. 223: buddleja Pag. 224: vandellia delle risaie Pag. 225: stregonia cigliata Pag. 226: mimolo macchiato Pag. 227: paulownia Pag. 228: catalpa cinese Pag. 229: campanula serba Pag.230: ambrosia comune Pag.231: assenzio annuale Pag.232: assenzio dei fratelli Verlot Pag. 233: forbicina bipennata Pag. 234: forbicina peduncolata Pag. 235: cotula neozelandese Pag. 236: radicchiella di Terrasanta Pag. 237: cespica comune Pag. 238: saeppola di Buenos Aires Pag. 239: saeppola canadese Pag. 240: saeppola biancastra Pag. 241: cespica di Karvinski Pag. 242: galinsoga comune Pag. 243: galinsoga ispida
Pag. 244: canapicchio della Pennsylvania Pag. 245: topinambur Pag. 246: camomilla di montagna Pag. 247: rudbeckia comune Pag. 248: senecione sudafricano Pag. 249: pioggia d’oro canadese Pag. 250: pioggia d’oro maggiore Pag. 251: astro lanceolato Pag. 252: astro di New York Pag. 253: astro ericoide Pag. 254: astro squamoso Pag. 255: nappola comune Pag. 256: nappola spinosa Pag. 257: leycesteria Pag. 258: caprifoglio giapponese Pag. 259: lonicera pileata Pag. 260: lacrime d’Italia Pag. 261: edera algerina Pag. 262: edera irlandese Pag. 263: soldinella delle Mascarene Pag. 264: cerfoglio bulboso Pag. 265: sedanella americana Pag. 266: panace di Mantegazza
Pag. 267: finocchio acquatico di Giava Foto di:
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Foto di:
E. Romani; E. Romani; N. Ardenghi
N. Ardenghi; N. Ardenghi; E. Zanotti
G. Sardi; G. Sardi; A. & R. Truzzi
S. Mauri; G. Sardi; S. Mauri
L. Gariboldi
A. Truzzi; S. Mauri; S. Mauri
A. Truzzi
R. Guarino
A. Truzzi
L. Gariboldi
L. Gariboldi; L. Gariboldi; Sconosciuto
S. Mauri
G. Sardi; G. Sardi; L. Gariboldi
S. Mauri
F. Giordana; F. Giordana; L. Gariboldi
F. Giordana
G. Stablum; A. Guiggi; A. Guiggi
A. Guiggi
G. Brusa
S. Mauri; L. Gariboldi; L. Gariboldi
G. Galasso; G. Ceffali; P. Alleva
S. Mauri, L. Gariboldi; L. Gariboldi
S. Mauri
G. Brusa; G. Ceffali; G. Brusa
SP. Arrigoni; G. Ceffali; G. Ceffali
M. Villa; S. Mauri; M. Villa
G. Bedoschi; L. Gariboldi; G. Bedoschi
G. Sardi; S. Mauri; L. Gariboldi
S. Mauri; S. Mauri; E. Zanotti
G. Brusa; G. Brusa; E. Zanotti
G. Ceffali
S. Mauri; S. Mauri; G. Ceffali
A. e R. Truzzi; G. Sardi; A. e R. Truzzi
S. Mauri; G. Sardi, L. Gariboldi
S. Mauri
G. Brusa; P. Arrigoni; P. Arrigoni
G. Sardi
F. Giordana
L. Gariboldi; L. Gariboldi; A. e R. Truzzi
A. Truzzi; L. Gariboldi; A. Truzzi
G. Brusa
F. Prosser; F. Prosser; L. Michels
S. Mauri; S. Mauri; L. Gariboldi
G. Brusa
G. Cattaneo; S. Mauri; S. Mauri
S. Mauri; S. Mauri; L. Gariboldi
G. Sardi
G. Sardi; L. Gariboldi; G. Sardi
L. Gariboldi; F. Giordana; E. Zanotti
G. Sardi; S. Mauri; L. Gariboldi
G. Galasso
A. e R. Truzzi; G. Ceffali; A. e R. Truzzi
L. Gariboldi; G. Sardi; L. Gariboldi
L. Gariboldi
A. e R. Truzzi; L. Gariboldi; L. Gariboldi
L. Gariboldi; S. Mauri; L. Gariboldi
G. Sardi; S. Mauri; G. Sardi
S. Mauri; S. Mauri; G. Sardi
S. Mauri; S. Mauri; A. Truzzi
F. Giordana; G. Galasso; F. Giordana
G. Sardi, G. Sardi, E. Zanotti
G. Ceffali; G. Brusa; G. Brusa
G. Ceffali
G. Sardi; G. Sardi; L. Gariboldi
S. Mauri; S. Mauri; G. Sardi
L. Gariboldi; L. Gariboldi; S. Mauri
L. Gariboldi
G. Sardi; S. Mauri; G. Sardi
F. Giordana; F. Giordana; M. Villa
P. Ferrari; P. Ferrari; F. Giordana
S. Mauri; S. Mauri; G. Sardi
G. Nicolella; A. e M. Marzorati; G.Galasso
S. Mauri
G. Ceffali; S. Mauri; L. Gariboldi
L. Gariboldi
S. Mauri; G. Ceffali; G. Cattaneo
Erbario MSNM; G. Ceffali
G. Brusa; L. Gariboldi; G. Brusa
G. Galasso; L. Gariboldi; L. Gariboldi
F. Bonali
Erbario MSNM; Erbario MSNM; F. Giordana
A. e M. Marzorati; A. e M. Marzorati; G. Brusa
G. Ceffali; L. Gariboldi; G. Ceffalii
271
La Flora
Esotica
Lombarda
PROGETTO REALIZZATO GRAZIE A:
Responsabile del progetto
Pietro Lenna
Coordinamento e supporto tecnico
Anna Rampa
A cura di
Enrico Banfi, Gabriele Galasso
Coordinamento editoriale
Luca Gariboldi
[email protected]
Autori dei testi
Silvia Assini, Enrico Banfi,
Guido Brusa, Gabriele Galasso,
Luca Gariboldi, Alessandro Guiggi
Dati su presenza e distribuzione provinciale
Nicola Ardenghi (Università degli Studi di Pavia)
Pierfranco Arrigoni (Valmadrera - Lecco)
Silvia Assini (Università degli Studi di Pavia)
Enrico Banfi (Museo di Storia Naturale di Milano),
Innocenzo Bona (Capo di Ponte - Brescia)
Fabrizio Bonali (Sesto ed Uniti - Cremona)
Guido Brusa (Università degli Studi dell’Insubria)
Graziano Cattaneo (Verano Brianza - Monza e Brianza)
Giorgio Ceffali (Milano)
Alberto Colatore (Vergiate - Varese)
Germano Federici (Seriate - Bergamo)
Franco Fenaroli (Brescia)
Roberto Ferranti (Milano)
Silvio Frattini (Brescia)
Gabriele Galasso (Museo di Storia Naturale di Milano),
Luca Gariboldi (Museo di Storia Naturale di Milano),
Franco Giordana (Crema - Cremona),
Gruppo Botanico Milanese
Gruppo Flora Alpina Bergamasca
Gruppo Bresciano di Ricerca Floristica
Alessandro Guiggi (Castellanza - Varese)
Michael Kleih (Ranco - Varese)
Fabrizio Martini (Università degli Studi di Trieste)
Silviana Mauri (Osnago - Lecco)
Gilberto Parolo (Università degli Studi di Pavia)
Mimmo Perico (Torre Boldone - Bergamo)
Filippo Prosser (Musei Civici di Rovereto)
Paolo Rovelli (Parco del Molgora)
Francesco Sartori (Università degli Studi di Pavia)
Andrea Truzzi (Suzzara - Mantova)
Milena Villa (Rovagnate - Lecco)
Eugenio Zanotti (Orzinuovi - Brescia)
Editato da
Museo di Storia Naturale di Milano
Milano, 2010
Coordinamento grafico
Efficere, far sì che.
www.efficere.it
Copyright © 2010 Regione Lombardia e Museo Storia Naturale di Milano
Grafica e impaginazione
Francesco Franciosi
si ringrazia: Alice Bonaiti
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www.regione.lombardia.it
www.comune.milano.it/museostorianaturale