La Flora Esotica Lombarda E. Banfi, G. Galasso LA FLORA ESOTICA LOMBARDA Nell’anno internazionale della biodiversità, Regione Lombardia presenta i risultati di un progetto avviato in collaborazione con il Museo di Storia Naturale di Milano e finalizzato ad aumentare conoscenza e consapevolezza sul tema delle specie vegetali esotiche in Lombardia. I dati di base sulla diffusione delle specie, che nel testo e nel CD ROM sono arricchiti da una importante documentazione fotografica, risultano infatti indispensabili per l’impostazione di una strategia di contenimento delle specie invasive che possono costituire una seria minaccia alla biodiversità ed in alcuni casi produrre impatti economici, come nel caso delle infestanti, o sanitari, principalmente a causa della produzione di polline allergenico. Si ritiene dunque, dopo la recente realizzazione della check-list nazionale sulla flora alloctona, che individua la Lombardia come la regione con la più alta percentuale di specie alloctone, di offrire un importante contributo sia di approfondimento scientifico per gli addetti ai lavori sia per gli enti gestori delle aree protette, deputati al controllo ed alle azioni di contenimento delle specie invasive negli ecosistemi delle aree a maggiore naturalità. Un altro obiettivo del lavoro riguarda la sensibilizzazione del grande pubblico, rispetto ad una dinamica in atto che oggi è particolarmente attiva a causa del forte incremento delle reti di trasporto e degli scambi, oltre che agli effetti associati ai cambiamenti climatici. L’archivio fotografico favorisce l’approccio e l’interesse ad un fenomeno facilmente rilevabile sul territorio. Infine, questo primo censimento della flora esotica regionale, si affianca e va ad integrare il più generale progetto della Carta Floristica Regionale, in continuo aggiornamento, nell’ambito del sistema di conoscenze sul patrimonio di biodiversità in Lombardia. L’Assessore regionale ai Sistemi verdi e Paesaggio Alessandro Colucci “ Tant’è la forza e la certezza che quell’albero mette a essere albero, l’ostinazione a essere pesante e duro, che gli s’esprime persino nelle foglie. ” Italo Calvino, Il barone rampante Il rapporto fra natura e cultura è da sempre incarnato nelle opere d’arte e, in particolare, alcuni capolavori come La primavera o Le nozze di Filologia e Mercurio di Botticelli ne esaltano, come si evince dal doppio titolo, il significato filosofico e allegorico. La flora, inoltre, con il suo linguaggio simbolico ci permette di avvicinarci alla natura in modo intimo e partecipe. L’essere nel mondo dell’uomo ci pone, infatti, in una primaria relazione con l’ambiente e il paesaggio. Si potrebbe parlare, in tal modo, di una geografia culturale oltre che di una geografia fisica. E questa pubblicazione, nello specifico, ci porta alla scoperta di un risvolto inaspettato delle nostre terre: la flora esotica lombarda. Fin dai nomi di questi alberi, felci, erbe e piante acquatiche ritroviamo il rimando a un universo di conoscenze, evocazioni, di antica saggezza. Importante ribadire, allora, la necessità della conservazione e della tutela di queste specie che ci parlano della storia del pianeta, della relazione fra uomo e natura. Necessario, soprattutto per le giovani generazioni, trasmettere tale eredità e sensibilizzare ai problemi dell’ambiente. Decisivo promuovere una coscienza ecologica, anche ricordando la drammatica attualità dei recenti fatti di inquinamento ambientale, per ri-costruire una relazione più armonica con l’ambiente. Ed è così che scienze apparentemente “separate” si possono accostare in quell’idea di convergenza dei saperi scientifici e umanistici volta a realizzare una cultura condivisa e diffusa oltre le differenze di genere e disciplina. Del resto come non richiamare un passaggio da una delle più antiche “cronache” di Milano che esaltano la città per il clima, la fertilità e la crescita demografica? Si tratta di Bonvesin de la Riva e del suo De Magnalibus Mediolani: a Milano scorrono “acque vive, naturali, mirabilmente adatte a essere bevute… Il territorio produce in abbondanza, come ciascuno può constatare, biada, vino, legumi, frutta, alberi, fieno e altri beni”. Siamo intorno al 1288 ma la vocazione di Milano è già individuata. Nel corso dei secoli si sono aggiunte numerose ricchezze produttive ma il legame con la terra è parte essenziale della storia e della tradizione locale. Ripercorrere e censire, dunque, le tracce e la presenza delle specie esotiche lombarde vuol dire raccontare la bio-diversità e ri-leggere con nuovo e differente punto di vista un capitolo di storia di Lombardia nel grande libro della Natura. Assessore alla Cultura del Comune di Milano Massimiliano Finazzer Flory Milioni d’anni di evoluzione biologica sul nostro pianeta hanno creato quella diversità della vita dalla quale ha preso forma anche la nostra specie. Una diversità fatta di numeri (le specie, appunto) e di interazioni (predazione, difesa, competizione, esclusione, intesa, collaborazione, simbiosi) spesso incredibilmente complesse e articolate, dal livello molecolare a quello ecosistemico. Il tutto, oggi lo possiamo sostenere senza il timore di essere tacciati di animismo o di connivenza con l’intelligent design, anche sulla base di una “intelligenza” in natura, il cui campo di ricerca costituisce uno dei principali argomenti di frontiera della biologia attuale. Per le piante, nella fattispecie, l’ambiente fisico è stato l’interlocutore diretto e immediato non solo del loro evolvere, ma pure dei diversi, interminabili modelli di organizzazione spaziale generati dall’obbligo di convivenza sul terreno. Così, in ogni area del pianeta e in dipendenza dai fattori ambientali, la spartizione dello spazio fra le piante ha dato forma a ciò che siamo usi chiamare vegetazione, vale a dire ai sistemi di comunità vegetali (fitocenosi) quale risultato di “civile” convivenza tra specie reciprocamente interagenti. Si è trattato di processi lenti e graduali, spesso interrotti e ridirezionati dai grandi eventi naturali (orogenesi, vulcanismo, ingressioni e regressioni marine, glaciazioni ecc.), in tutti i casi mai paragonabili ai risultati della più recente causa mondiale di mutamenti: l’azione umana. Sarebbe davvero affascinante ripercorrere evoluzione e spostamenti della nostra specie, a partire dal continente africano di qualche centinaio di migliaia d’anni fa, per capire da quando e in che misura certe piante abbiano imparato a convivere con noi, marcando la nostra storia ed entrando nella nostra cultura. Sta di fatto che a causa di Homo sapiens gli equilibri naturali sono progressivamente saltati senza possibilità, per le piante, di riorganizzare in modo stabile le loro comunità naturali e oggi, nell’era della globalizzazione, prendiamo atto che la vegetazione, specialmente quella che ci sta intorno, appare sempre più globale e omologata, un dominio di poche specie ubiquiste, largamente diffuse sul pianeta. Identificare le comunità originali di piante in qualunque territorio civilizzato è ormai una sfida che vede impegnate, oltre all’esperienza botanica, le differenti competenze disciplinari invocate soprattutto nella ricostruzione del passato. La bandiera di questo sconvolgimento, in sostanza il degrado della vegetazione autoctona, è portata dall’esotismo che deriva dall’insediamento stabile, paesaggisticamente determinante, di piante provenienti da terre lontane, estranee alla primordialità del territorio. A un’avanguardia di vegetazione autoctona ormai disorganizzata, indebolita e compromessa, le aliene rispondono espandendosi e conquistando passo a passo il territorio. Così la gaggìa (Robinia pseudoacacia) e l’uva turca (Phytolacca americana), entità americane immortalate da Alessandro Manzoni, assieme al cinese albero del paradiso (Ailanthus altissima) hanno inesorabilmente trasformato il paesaggio lombardo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Oggi la comparsa e l’affermazione di nuove aliene è un fatto sempre più frequente in ordine ai movimenti umani; molte di esse vengono deliberatamente introdotte, ma una gran parte, opportuniste e clandestine, agisce inattesa e incontrollata. I guai di queste comparse sono molteplici, spesso di pesante rilevanza economica e sanitaria; in altri casi non si registrano effetti negativi diretti di una presenza vegetale aliena, ma bisogna ricordare che essa è un sintomo di malattia del territorio, privato delle sue difese naturali. In ogni area geografica conoscere le specie aliene e distinguerle dalla base autoctona della sua flora è preliminare sia al monitoraggio della biodiversità sia a qualunque pianificazione ecosostenibile d’uso del suolo e di governo del territorio. La Lombardia, sul terreno nazionale, detiene il primato di alienazione floristica con 619 specie esotiche, tra invasive, naturalizzate e casuali. La loro diffusione, oggi, non è tanto conseguenza di storiche “ineluttabilità”, ma dell’assenza di una coscienza individuale e sociale del problema. Come si è verificato per la raccolta differenziata dei rifiuti, se chi vende piante e chi le compra acquistasse coscienza del fatto che esistono precisi doveri verso l’ambiente e che, per esempio, la vite del Canada, (Parthenocissus quinquefolia), portata in giro dagli uccelli, produce danni irreversibili a quanto sopravvive dei boschi di pianura, si farebbe un fondamentale salto di qualità non soltanto nel rapporto uomo-ambiente, ma anche nell’evoluzione culturale della nostra specie. Questa indispensabile metànoia si presenta, se mai dovrà auspicabilmente innescarsi, come un processo a lunga scadenza, a fronte del quale oggi possiamo solo avviare i primi passi. Come? Da parte nostra, promuovendo un approccio diretto alla conoscenza delle piante aliene; devi conoscere il nemico per poterlo “apprezzare” e combattere. Tale è l’intento della presente pubblicazione, che ci auguriamo possa contribuire a creare quella coscienza collettiva di cui c’è urgente bisogno. Enrico Banfi Gabriele Galasso Introduzione e aspetti generali Piante aliene e territorio Si contano ormai sulla punta delle dita le aree del pianeta rimaste ancora immuni dai ben noti processi di bioglobalizzazione che contraddistinguono la nostra epoca storica. Si tratta di trends iniziati da quando Homo sapiens (ma forse, già prima di lui, H. erectus in Asia e H. neanderthalensis in Europa) uscì dal continente africano per espandersi, un po’ alla volta, su tutto il globo; però, mentre prima della scoperta dell’America appariva evidente solo nel contorno degli insediamenti umani, dal periodo coloniale, ma soprattutto, in Occidente, dopo la rivoluzione industriale, il fenomeno si diffuse con estrema rapidità fino ad assumere la portata mondiale che conosciamo. Ancora oggi, per fortuna, esiste un’interfaccia tra il mondo alterato, dove le piante aliene la fanno da padrone, e il mondo naturale ancora integro, ma il grave problema è che mai come in questi ultimi 100 anni si è assistito a una così marcata situazione di regresso, frammentazione e confinamento dell’ambiente naturale. Nel quadro del degrado storico, ogni territorio geografico si presenta oggi con un proprio epilogo di vicende alle spalle, nel quale si mescolano in vario grado realtà antropogeniche e naturali. La lettura della situazione, che vede una correlazione positiva tra presenza aliena e degrado ambientale, non può prescindere da una conoscenza di base di quella naturalità che identifica ab origine il territorio, a dispetto delle sue trasformazioni. D’altra parte non si può pensare di interpretare correttamente l’alienazione vegetale di un territorio senza conoscerne i caratteri originari. Per tale motivo riteniamo utile spendere qualche parola sui concetti che stanno alla base della conoscenza geobotanica (o fitogeografica) territoriale, senza i quali il fenomeno alieno non può essere compreso in significato e portata. In tutto ciò, punto di riferimento fisso è il territorio, un tratto di superficie del pianeta, quale potrebbe essere -guarda caso- la Lombardia, definito sì da confini amministrativi, ma soprattutto da una specifica combinazione di elementi fisici (posizione geografica, orografia, geo-litologia), da cui derivano specificità climatico-pedologiche in diretto rapporto con la vegetazione e con la diversità degli habitat. Prima della comparsa dell’uomo, il territorio è stato teatro dell’insediamento naturale di specie vegetali, per massima parte (viste le dimensioni del territorio) pervenute da fuori (speciazione esocora) attraverso l’espansione dei loro popolamenti e in piccola parte nate nel territorio stesso (speciazione endocora), anche se non necessariamente rimaste al suo interno. Le poche specie che sono esclusive del territorio costituiscono l’endemismo e provengono da due origini fondamentalmente diverse: speciazione endocora senza espansione esterna (il caso più comune) oppure speciazione esocora, conquista del territorio e successiva scomparsa della specie all’esterno del medesimo, che ha quindi svolto la funzione di rifugio (endemismo relittuale). In ogni caso, esocorogene, endocorogene ed endemiche formano nel loro insieme il contingente originale della flora e per questo motivo si definiscono indigene o autoctone. Per flora -occorre ricordarlo- si intende l’insieme delle piante che crescono spontanee nel territorio, con esclusione dunque di quelle presenti solo in coltura. È a seguito della comparsa dell’uomo che la flora, in misura significativamente variabile secondo la situazione ambientale, include oggi piante non indigene, le quali non vi sarebbero senza un intervento umano diretto, deliberato o involontario; tali piante sono tecnicamente definite esotiche da parola latina o alloctone da parola greca, in linguaggio mediatico aliene (dall’inglese alien). 11 Introduzione e aspetti generali Da sempre, dove l’uomo installa i propri insediamenti, le comunità originali di piante vengono sistematicamente demolite, dal taglio/incendio della foresta al pascolo, all’agricoltura, alla cementificazione, e gli spazi prodottisi sono immediatamente occupati da piante spontanee opportuniste, spesso classificate come erbacce o infestanti, che si espandono in lungo e in largo non trovando più la barriera verde originale; poiché causa del degrado è l’uomo, la vegetazione opportunistica che accompagna i suoi insediamenti è detta sinantropica, intendendo sottolineare il fatto che si muove insieme a lui. Le piante sinantropiche condividono diverse, importanti strategie vitali che consentono loro di insediarsi e riprodursi rapidamente sui terreni denudati o disturbati, prima che questi possano essere riconquistati stabilmente da una vegetazione strutturata. Al contingente sinantropico appartengono specie sia indigene sia esotiche, le une già di casa, le altre provenienti dai luoghi più disparati del mondo. Ecco tre esempi, rispettivamente, per ciascuna delle due categorie (ci riferiamo sempre al territorio lombardo): centocchio (Stellaria media), farinaccio (Chenopodium album), sambuco (Sambucus nigra); occhi della Madonna (Veronica persica, Asia occidentale), assenzio dei Verlot (Artemisia verlotiorum, Estremoriente), robinia (Robinia pseudoacacia, Nordamerica). Va sottolineato che le aliene entrano a far parte della flora del territorio ospite proprio perché dotate di strategia sinantropica; diversamente non vi avrebbero accesso in quanto bloccate dalla barriera vegetazionale interna. Per la maggior parte, esse sono già sinantropiche in patria, ma non mancano quelle che, improvvisamente, una volta introdotte, sfuggono alla coltivazione svelando un’insospettata capacità invasiva (robinia, ailanto, buddleja, ciliegio tardivo ecc.). Anche la nostra flora è “colpevole” di simili misfatti in altre parti del mondo, basti ricordare, fra i più recenti, i casi del pino marittimo (Pinus pinaster) in Sudafrica e della ginestra (Spartium junceum) sulle Ande centro-meridionali. In sostanza, il sinantropismo è condicio sine qua non perché autoctone e alloctone convivano sul territorio. Per quanto riguarda Asia Minore, Europa e Nordafrica, da almeno 12˙000 anni, con la nascita dell’agricoltura e degli insediamenti fissi, si verificano trasferimenti di piante da un’area geografica all’altra; si tratta di trasferimenti colturali che, inevitabilmente e all’insaputa della parte interessata, trascinano con sè una coorte di specie opportuniste, alcune delle quali estremamente specializzate nel competere con la coltura. È il noto caso della così detta vegetazione segetale o cerealicola, formata da piante come il fiordaliso (Cyanus segetum), il papavero (Papaver rhoeas), la camomilla (Matricaria chamomilla) e la zizania (Lolium temulentum), tutte di probabile, antichissima origine anatolica. Si presume che queste piante siano state involontariamente selezionate laddove ebbe inizio la domesticazione dei primi cereali e abbiano conseguito la capacità (mimetospermia e sindiaspora) di farsi trasferire clandestinamente da un luogo all’altro con la coltura. Queste antiche aliene, ormai tanto assimilate e simbolizzate nella nostra cultura da essere percepite, nel male e nel bene, come indigene, costituiscono un argomento controcorrente rispetto alle attuali posizioni di prevenzione antiglobal. Esse, infatti, sono state completamente rivalutate in funzione del recupero di quell’agrobiodiversità che per millenni ha caratterizzato l’economia rurale del nostro settore geografico. Previste, impreviste, archeofite, neofite Il quadro della vegetazione sinantropica e dei suoi effetti sull’ambiente, sul paesaggio, sull’economia e sulla qualità della vita umana rimase sostanzialmente immutato fino agli inizi del secolo XVII. In questo 12 Introduzione e aspetti generali periodo andavano configurandosi le premesse di un cambiamento politico-economico globale, il primo della storia a segnare un passo epocale nei confronti dell’ambiente (escludendo le deforestazioni d’epoca preromana, romana, rinascimentale e postrinascimentale, che non compromisero mai la naturale resilienza della vegetazione). La scoperta dell’America, avvenuta poco più di un secolo prima, aveva stimolato in tutta Europa un fermento di rinnovo alla ricerca non solo di potenziali terre promesse, ma anche di nuove fonti di benessere e di miglioramento della vita individuale e sociale. In particolare, spingeva in tale direzione il ripetersi quasi cadenzato di due antichi flagelli, di norma tra loro connessi: le epidemie di piante e animali alla base dell’alimentazione e le carestie. Attraverso impatti umani tutt’altro che indolori, nacquero dunque le prime colonie, ma sarà soprattutto tra Settecento e Ottocento che queste raggiungeranno il massimo della diffusione sull’intero globo. Furono proprio le colonie a garantire la possibilità di introdurre in Europa (e viceversa) una quantità incredibile di piante di interesse economico, effettivo o potenziale; alcune, per esempio, arrivarono in soccorso di catastrofi agrarie, come la vite americana contro la fillossera, o di carestie alimentari, come la patata. Un canale privilegiato hanno sempre avuto le piante medicinali, con ampia sperimentazione colturale negli orti botanici; comunque gli orti botanici svolgevano funzione acclimatatoria per tutte le piante di cui i singoli governi pianificavano l’introduzione a fini economici (Visconti, 2008), mentre quelle di interesse ornamentale-floricolturale soggiornavano spesso nelle proprietà di appassionati e di personaggi illuminati del mondo culturale dell’epoca. In Lombardia, il conte Luigi Castiglioni, sul finire del ‘700 e Alessandro Manzoni, nella prima metà dell’‘800, contribuirono attivamente alla diffusione di essenze da poco introdotte dal Nordamerica, quali la quercia rossa (Quercus rubra), il “northern pitch pine” (Pinus rigida) e la già citata robinia. In ogni modo, il successo acclimatativo e il vantaggio economico sperato soddisfarono le attese in ben pochi casi sul totale di quelli sperimentati, ma tanto bastò per innescare cambiamenti ambientali di portata fino allora sconosciuta. Paradigmatici, al riguardo, i casi dell’ailanto (Ailanthus altissima) e della robinia: con la loro naturalizzazione, a partire dal secolo scorso, hanno cambiato il volto della vegetazione e del paesaggio in Europa, come in altre parti del mondo; e dire che l’ailanto si rivelò ben presto inutile agli scopi per i quali era stato introdotto. Finora si è parlato di piante introdotte su progetto, ma non bisogna dimenticare che di pari passo aliene impreviste e incontrollate andarono via via conquistando il territorio: opportuniste capaci di sfruttare i movimenti umani a lunga distanza per trasferirsi da un continente all’altro attraverso il terreno delle colture, gli imballaggi commerciali, i tessuti, i mangimi per uccelli, le sementi, la risicoltura, il mercato degli acquari, l’ortofloricoltura ecc. Queste inattese clandestine costituiscono oggi una quota importante del contingente alieno e provengono da tutto il mondo; la fase significativa del loro incremento non coincise con le colonie, ma con l’era post-industriale, essenzialmente in ordine alla facilitazione logistica degli scambi commerciali e degli spostamenti umani sul pianeta. Vi è anche il caso, in vero poco comune, di piante domestiche d’antica data come il riso (Oryza sativa), che tutt’a un tratto, in parte, imparano a riabilitare qualche carattere tacitato dalla domesticazione, presente nell’antenato selvatico (O. rufipogon); se il carattere è, appunto, un dispositivo chiave dell’autodisseminazione (le spighette si staccano spontaneamente dalla pianta a maturità), ecco che compaiono individui selvatici (ferali) in grado di riprodursi attivamente e infestare la stessa coltura. Conosciuti con il nome di “riso crodo”. Si può dire che in questo caso l’aliena viene introdotta indirettamente, attraverso la coltura del domestico. In conclusione, possiamo contestualizzare la storia delle piante aliene in quattro tappe principali: nascita dell’agricoltura, scoperta dell’America, periodo delle colonie, rivoluzione industriale. Ma l’elemento discriminante, in termini di risposta ambientale e paesaggistica, sta nella scoperta dell’America; solo 13 Introduzione e aspetti generali dopo questo evento la presenza aliena nella vegetazione sinantropica assume il potere di modificare drammaticamente biodiversità e paesaggio. Per tale motivo si è convenuto di suddividere le aliene, dal punto di vista storico, in due categorie: archeofite, introdotte prima del 1492 e neofite, da quell’anno in poi. Vi è poi una categoria di piante delle quali non si è ancora certi della loro origine, se cioè si tratti di autoctone o di archeofite, che qui chiamiamo amaurogene o alloctone dubbie (inglese cryptogenic, Carlton, 1996). Il successo delle aliene Una pianta esotica, per quanto perfettamente acclimatabile, non ha alcuna possibilità di affermarsi extra patriam se incontra un contesto ambientale sufficientemente integro, cioè se lo spazio teoricamente disponibile è occupato dalla normale vegetazione autoctona (foresta, bosco, pascolo, prato naturale ecc.). Tuttavia, anche quando le cose non stanno così perché l’ambiente è degradato, il successo dell’alloctona non può essere dato per certo. Le barriere eco-biologiche che la specie deve superare sono infatti numerose (6 le principali secondo Richardson et al., 2000); tra queste la più importante è la barriera riproduttiva, cioè la capacità della pianta di arrivare a riprodursi sessualmente e/o vegetativamente nella nuova situazione in cui si viene a trovare. Nel caso positivo, si verificano due possibilità: la specie forma uno o pochi popolamenti locali di breve durata per poi scomparire ed eventualmente ricomparire solo a seguito di un nuovo “inoculo” (è il caso più frequente in esotiche coltivate che possono sfuggire a più riprese senza mai raggiungere un’autonomia diffusiva). Tali aliene sono definite casuali, ma in questa categoria ricadono pure quelle incapaci di riprodursi a tutti gli effetti (per esempio il pomodoro) e i così detti relitti di coltura (spesso bambù), di norma cloni che permangono nel sito di coltivazione dove possono estendersi vegetativamente entro i limiti topograficoambientali loro consentiti, senza mai arrivare a fondare una popolazione. La seconda possibilità prevede la stabilizzazione dell’esotica, vale a dire la sua capacità di inserirsi stabilmente nella flora formando popolazioni che si perpetuano per via sessuale e/o vegetativa. È evidente che l’impatto alieno sulla biodiversità e sul paesaggio è connesso essenzialmente a quest’ultimo caso; qui però, secondo le accezioni più recenti (Richardson et al., 2000; Pyšek et al., 2004), occorre distinguere le naturalizzate, che, pur insediandosi nel territorio, non assumono comportamento invasivo in quanto l’incremento dei loro popolamenti si verifica in prevalenza a margine delle vecchie generazioni e su brevi distanze, dalle invasive, capaci in breve tempo di ricoprire superfici estese sia per via vegetativa sia per seme. Le invasive perenni (legnose ed erbacee) abbinano spesso le due strategie (per es. Ailanthus altissima, Solidago gigantea), mentre le annuali affidano tutto alla dispersione dei semi (o disseminuli); entrambe le categorie sono accomunate dalla capacità di fondare nuove popolazioni su distanze spesso grandi, in ciò giocando un ruolo essenziale la diffusione per seme. Non che le naturalizzate non possiedano semi (o disseminuli) adeguatamente attrezzati per il trasporto a distanza (ali, pappi, uncini ecc.), ma nel loro caso la probabilità che un disseminulo longidisperso riesca a innescare una nuova popolazione è decisamente inferiore. Ciò è da porsi in relazione a fattori sia endogeni sia esogeni, fra cui la vitalità del seme, che può essere statisticamente inferiore a quella di un’invasiva, oppure i limiti ecologici della specie; riguardo all’ultimo punto, le naturalizzate sono mediamente più esigenti sul piano ecologico, molte di loro essendo legate, per esempio, al degrado boschivo (Lupinus polyphyllus) o a habitat umidi particolari (Hypericum mutilum). Per contro, le invasive sono prevalentemente “di bocca buona”, cioè ad 14 Introduzione e aspetti generali ampio spettro ecologico rispetto alla maggioranza dei fattori ambientali (umidità, acidità e nutritività del substrato, humus, granulometria e ossigenazione, luce, temperatura, continentalità) e possono quindi propagarsi con successo negli ambiti più disparati del degrado. La Lombardia e il suo territorio La regione Lombardia si estende su un territorio di poco più di 23˙800 Km2 e presenta una notevole eterogeneità territoriale dovuta alle sue caratteristiche geografiche, geolitologiche, morfologiche e climatiche. Si possono individuare alcuni settori fondamentali: sistema appenninico, bassa e alta pianura, fascia collinare pedemontana, sistemi montuosi prealpini e sistemi montuosi alpini esterni e interni. Questa complessità si traduce in una forte escursione altitudinale (da poco sopra il livello del mare a oltre 4˙000 m) e in una articolata rete idrografica. L’Appennino pavese, che costituisce una propaggine settentrionale di quello tosco-emiliano, ha una superficie di circa 1˙100 km2. Le unità litostratigrafiche che compongono i rilievi dell’Oltrepò sono prevalentemente di origine sedimentaria marina: calcareniti, calcari marnosi, marne, argilliti e arenarie disposte in alternanze stratigrafiche differenti. Il settore lombardo della Pianura Padana è caratterizzato dalla ripartizione tra alta e bassa pianura, sulle quali si sovrappongono le grandi valli fluviali del Ticino e dell’Adda, i terrazzi fluvioglaciali e i rilievi morenici. La bassa pianura alluvionale è composta da sedimenti fini e presenta una falda acquifera superficiale, se non subaffiorante. Essa è separata dall’alta pianura dalla fascia dei fontanili. Le vallate dei fiumi maggiori (Ticino e Adda) sono incise nella pianura e si raccordano al piano generale attraverso scarpate più o meno ripide che spesso ospitano gli ultimi lembi di vegetazione forestale naturale. L’alta pianura è composta da materiali più grossolani e drenanti; qui la falda acquifera si approfondisce. L’alta pianura si raccorda al complesso prealpino attraverso i sistemi delle colline moreniche del Verbano, della Brianza, della Franciacorta e dell’anfiteatro benacense. In tutta la porzione planiziale e collinare della Lombardia, costituita da substrati sciolti, la reazione del suolo dipende dalla litologia del bacino idrografico a monte: si osserva così un gradiente ovest-est dai substrati a pH basso, facenti capo al bacino del Ticino, a quelli intermedi del bacino dell’Adda, fino a quelli a pH elevato della pianura orientale. Questa è la zona della Lombardia che è stata maggiormente interessata dall’attività umana, da un lato con il disboscamento e la messa in coltura di quasi tutta la superficie disponibile, dall’altro con lo sviluppo delle grandi città e della rete dei trasporti su gomma e su rotaia. Il sistema prealpino presenta una prima serie di rilievi incisi in sedimenti teneri ed erodibili (flysch), ben rappresentati soprattutto tra i fiumi Adda e Oglio, in provincia di Bergamo; a nord di questi, le Prealpi propriamente dette sono fondamentalmente costituite da formazioni calcareo-marnose, a cui seguono le formazioni calcareo-dolomitiche, massicce e compatte, che costituiscono i grandi edifici del sistema prealpino (Grigne, Pizzo Arera e altri). A ovest del lago di Como le formazioni carbonatiche si riducono fino a scomparire in corrispondenza del Lago Maggiore; qui le Prealpi sono rappresentate principalmente da rilievi di natura silicea. 15 Introduzione e aspetti generali Il passaggio dal sistema prealpino a quello alpino esterno è caratterizzato dall’affioramento dei depositi terrigeni e delle formazioni metamorfiche che costituiscono la dorsale delle Alpi Orobie. Queste toccano i 3˙000 m di quota, con il versante meridionale formato da tre grandi assi vallivi principali e quello settentrionale formato da brevi e ripide valli che si gettano in Valtellina. A nord del solco della Valtellina si estendono le Alpi propriamente dette. Il tratto lombardo della catena alpina comprende la propaggine orientale delle Alpi Lepontine e una buona parte delle Alpi Retiche, che culminano con il massiccio del Bernina (4˙050 m) e con il gruppo dell’Ortles-Cevedale (3˙859 m). L’edificio alpino interno è inciso in complessi metamorfici con intercalazioni di rocce magmatiche intrusive e di pietre verdi. L’estremità nordorientale della regione presenta rocce carbonatiche (principalmente dolomie). Relativamente al clima, le precipitazioni totali presentano una tendenza all’aumento con la quota, che viene però interrotta in corrispondenza delle vallate alpine interne, protette dalle correnti umide mediterranee ed atlantiche e che dunque presentano apporti annui di precipitazioni molto scarsi. È possibile poi osservare un aumento dei totali annui in direzione est-ovest, con le zone più piovose in corrispondenza delle Prealpi occidentali (province di Varese, Como, Lecco) e quelle più aride in corrispondenza della bassa pianura mantovana, della pianura pavese e del settore più interno della Valtellina. In generale, i climi continentali, tendenzialmente aridi e con forti escursioni termiche, caratterizzano la regione alpina interna; i climi oceanici, umidi e miti, caratterizzano la regione prealpina, mentre l’Appennino presenta generalmente un regime pluviometrico submediterraneo attenuato in quota. La Pianura Padana è caratterizzata da un regime termico di tipo continentale, con marcate escursioni termiche, e da una distribuzione delle precipitazioni di tipo sublitoraneo. La regione Lombardia, infine, dal punto di vista biogeografico, occupa una posizione di cerniera tra territori reciprocamente anche molto differenti. Tradizionalmente, la Lombardia appartiene alla regione floristica Medio-europea, qui rappresentata dalle province Alpina e Appenninica. La prima è a sua volta suddivisa nei distretti Alpino propriamente detto, comprendente Alpi e Prealpi Insubrico comprendente la regione dei grandi laghi e Padano. Considerando la latitudine, la Lombardia è posta all’ estremo meridionale della regione Medio-europea, a contatto con quella Mediterranea. Questa posizione intermedia, che dà riscontro a una complessa articolazione, unitamente a millenarie vicende storiche è responsabile di un’elevata diversità floristica (3˙220 entità secondo Conti et al., 2005) e ha a sua volta determinato una grande ricchezza di paesaggi naturali e vistose espansioni di entità esotiche sul territorio. Gli ambiti territoriali maggiormente interessati all’invasione di aliene risultano la zona insubrica, la Pianura Padana, i fiumi e, in generale, tutte le aree fortemente urbanizzate compresi gli assi viari. Il problema dell’invadenza aliena Purtroppo i danni provocati dalle esotiche, soprattutto le invasive, sono numerosi e di varia natura (Galasso et al., 2008), ma si possono riassumere nelle 2 seguenti categorie (Celesti-Grapow et al., 2010a): socio-economici e ambientali. Per quanto riguarda gli aspetti economico e sanitario il riscontro è immediato e di rilevanza sociale, in quanto relativo a erbe infestanti (che riducono la produttività e 16 Introduzione e aspetti generali aumentano i costi di gestione di seminativi, pascoli, vivai, serre, impianti da legno e di piscicoltura), danni a manufatti antropici (edifici, infrastrutture, monumenti e siti archeologici), intossicazione di animali domestici o da compagnia e danni alla salute umana (piante allergeniche, velenose e causa di dermatiti). Tra le specie maggiormente impattanti ricordiamo qui il riso crodo (Oryza sativa), l’ailanto (Ailanthus altissima), l’ambrosia (Ambrosia artemisiifolia) e il panace di Mantagazza (Heracleum mantegazzianum). Ma anche i danni ambientali possono essere notevoli, comprendendo la competizione con le specie autoctone (raramente sino all’estinzione di elementi locali) con la conseguente riduzione di biodiversità (anche animale), l’inquinamento genetico e le modificazioni delle caratteristiche fisico-chimiche dei suoli e dei corpi d’acqua. Ricordiamo, ad esempio, l’americana forbicina peduncolata (Bidens frondosus), che ha determinato la scomparsa quasi completa dell’autoctona Bidens tripartitus; le specie del genere Reynoutria, che colonizzano completamente i margini dei corsi d’acqua, escludendo le altre specie; l’indaco bastardo (Amorpha fruticosa) e il sicio (Sicyos angulatus), che invadono le aree golenali e i saliceti di ripa; il ciliegio tardivo (Prunus serotina), che si sostituisce completamente ai boschi di latifoglie dell’alta pianura, modificando anche la chimica del suolo; la vite del Canada (Parthenocissus quinquefolia), le viti americane (Vitis spp.), il luppolo giapponese (Humulus japonicus) e la pioggia d’oro maggiore (Solidago gigantea), che colonizzano i boschetti di pianura; la lenticchia d’acqua minuscola (Lemna minuta), le pesti d’acqua (Egeria densa, Elodea canadensis, E. nuttallii, Lagarosiphon major), le porracchie (Ludwigia hexapetala e L. peploides subsp. montevidensis) e il fior di loto (Nelumbo nucifera), che si sostituiscono alle nostre piante acquatiche. Numerosi e costosi sono gli interventi sinora effettuati da varie Amministrazioni locali o dagli Enti gestori delle Aree protette per contrastare l’avanzata di queste esotiche, ma spesso i risultati sono scarsi o di breve durata (Alleva, 2008; Caronni, 2008; Longo et al., 2008). Un aspetto sicuramente carente in Italia è la legislazione (Brundu, 2008). Sebbene in Lombardia vi sia una legge regionale (l.r. 10/2008) sicuramente all’avanguardia (Secchi et al., 2008) è tuttavia necessario intervenire direttamente sul mercato florovivaistico e sui protocolli di gestione del territorio e dei cantieri. Numeri per la Lombardia Sino a questi ultimissimi anni è mancato un vero censimento della flora alloctona di Lombardia. Oltre ai principali cataloghi nazionali (Béguinot & Mazza, 1916a, 1916b; Viegi et al., 1974), i principali contributi a disposizione erano i seguenti: Giacomini (1950) e Credaro & Pirola (1988) per l’intera regione, Ugolini (es. 1921) e Arietti & Crescini (1975, 1980) per il bresciano, Cozzi (es. 1923) e Stucchi (es. 1949b) per il milanese e il gallaratese, Ciferri et al. (1949) e Pirola (1964b) per le risaie, Pavan Arcidiaco et al. (1990) per la città di Pavia, Banfi & Galasso (1998) per Milano e Bonali (2000) per Cremona. Inoltre vi erano svariati contributi sparsi e numerose segnalazioni floristiche, che ormai riguardano in gran parte le aliene: quelle italiane pubblicate sull’“Informatore Botanico Italiano”, quelle bresciane su “Natura Bresciana”, quelle cremonesi su “Pianura”, quelle bergamasche sul “Notiziario Floristico del FAB” e quelle varesine sul “Bollettino della Società Ticinese di Scienze Naturali”. Solo la recente Checklist della flora italiana (Banfi & Galasso, 2005), con le successive integrazioni (Conti et al., 2007), riporta il primo elenco completo di specie naturalizzate, analogamente ai recenti prospetti floristici delle province di Varese (Macchi, 2005) e di Cremona (Giordana, 1995; Bonali et al., 2006a), che riportano anche gran parte delle casuali. 17 Introduzione e aspetti generali In seguito, Banfi et al. (2009), all’interno dell’atlante delle piante esotiche d’Italia (Celesti-Grapow et al., 2009b) riportano il primo elenco completo della flora esotica lombarda; rispetto a esso, in questo volume si riportano oltre 70 specie in più, 619 al posto di 545. Infine Banfi et al., (2010), all’interno del volume sulla flora vascolare esotica d’Italia (Celesti et al., 2010b) descrivono il fenomeno dell’invadenza aliena in Lombardia. Stando ai dati presentati in questo volume, le flora esotica lombarda ammonta a 619 entità (307 se si escludono le casuali) pari a quasi il 20% della flora regionale stabile (quasi il 10% escludendo le casuali) e oltre il 60% della flora alloctona italiana: 85 archeofite (13.73%) e 534 neofite (86.27%), oltre a 33 amaurogene. Significativo è soprattutto il contingente delle specie che provengono dall’America e dall’Asia rispetto a quelle di altri paesi. Lo status maggiormente rappresentato è quello delle casuali (50.40%), seguito dalle naturalizzate (31.83%) e dalle invasive (16.96%); trascurabile il dato delle estinte (0.81%). Come già evidenziato da Lambdon et al. (2008) e Celesti-Grapow et al. (2010a), vi è una relazione diretta tra numero di specie esotiche, superficie del territorio e densità degli abitanti. Tuttavia, al di sopra di un certo valore di densità abitativa il numero di aliene non cresce più, ma anzi diminuisce; infatti, anche se il censimento non è stato compiuto con uguale dettaglio in tutte le province, salta subito all’occhio come la provincia più ricca di esotiche sia Brescia e non Milano o Monza e Brianza, che hanno una densità abitativa enormemente superiore a tutte le altre. Questo fenomeno ci ricorda che l’invasione da parte delle esotiche influisce negativamente sulla biodiversità soprattutto in ambienti naturali, seminaturali o leggermente compromessi dalle attività umane, mentre in ambienti già largamente rimaneggiati la biodiversità si azzera quasi completamente a causa della diretta azione antropica; al contrario, in queste situazioni le specie esotiche contribuiscono favorevolmente, assieme alle poche autoctone ruderali sopravissute, a non deprimerla del tutto. Vale a dire che un campo agricolo adibito a coltura industriale intensiva, un terreno ruderale o un greto disturbato contengono al loro interno un livello di ricchezza e di biodiversità enormemente superiori a un complesso residenziale o commerciale di “ultima generazione”. Oltre alle specie esotiche italiane qui considerate, occorre tener presente che in Lombardia vi sono molte altre entità le quali, pur essendo autoctone in una parte del nostro paese, sono comunque alloctone rispetto al territorio regionale. In alcuni casi è semplice riconoscere il loro status alieno, come per Cerastium tomentosum L., endemico dell’Appennino centrale, comunemente coltivato nei giardini rocciosi e spesso casuale nei pressi dei centri abitati, o per Pinus nigra J.F.Arnold delle Alpi orientali, introdotto a fini di rimboschimento e largamente naturalizzato. In altri casi, invece, è più difficile riconoscere una esoticità regionale, spesso connessa con le alterne vicende di espansione verso nord e recessione del contingente mediterraneo, in relazione alle oscillazioni macroclimatiche. È il caso di Sonchus tenerrimus L., che ultimamente si sta affermando nelle grandi città (Banfi & Galasso, 2008a), favorito dall’isola di calore (Schieroni, 1993), di Anisantha diandra (Roth) Tutin o dei cardi Scolymus hispanicus L. e Silybum marianum (L.) Gaertn. Introduzione e aspetti generali Species excludendae e dubbie della flora esotica lombarda Alcune vecchie segnalazioni di esotiche si sono rivelate erronee oppure si è trattato di autoctone o addirittura improbabili. Qui di seguito le più importanti. Acalypha indica L., Euphorbiaceae, acalifa indiana. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: Le segnalazioni di A. indica di Banfi & Galasso (1998) per Milano e di Tagliaferri (2000) per il Comune di ComezzanoCizzago (BS) sono da riferirsi alla congenere A. australis (Banfi & Galasso, 2005; Zanotti, 2008). Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998, 2005; Tagliaferri, 2000; Zanotti, 2008 Amaranthus cruentus L. (= A. paniculatus L.), Amaranthaceae, amaranto pannocchiuto. Status: Neofita; segnalazioni dubbie per la Lombardia. Note: Specie cultigena, che non naturalizza mai, quasi sempre confusa con altre specie dello stesso genere, in particolare A. hybridus (vedi scheda) o, anche, A. powellii. Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Consonni, 1997, 1999; Costea et al., 2001; Costea & Tardif, 2003; Mosyakin & Robertson, 2003; Pignatti, 1982; Zucchetti et al., 1986 Amaranthus graecizans L. (= A. blitum L. var. g. (L.) Moq.; A. graecizans L. subsp. sylvestris (Vill.) Brenan; A. sylvestris Vill.; Blitum g. (L.) Moech; Galliaria g. (L.) Nieuwl.; Glomeraria g. (L.) Cav.), Amaranthaceae, amaranto blito-minore. Status: Autoctona italiana. Note: Specie originaria del bacino mediterraneo e dunque autoctona in Lombardia e in Italia, esotica altrove in Europa e nel resto del mondo. Indicata erroneamente come neofita da Celesti-Grapow et al. (2009a, 2009b). Bibliografia: Celesti-Grapow et al., 2009a, 2009b Ammannia baccifera Rottb. (= A. aegyptiaca Willd.; A. baccifera L. subsp. aegyptiaca (Willd.) Koehne), Lythraceae, ammannia egizia. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: La segnalazione lombarda (Pavia) per questa specie di Koehne (1884, 1903), ripresa da Fiori & Paoletti (1900, 1907) e da Fenaroli (1960), è da riferirsi al Veneto (Padova): si veda la scheda di A. coccinea. Bibliografia: Fenaroli, 1960; Fiori & Paoletti, 1900, 1907; Graham, 1985; Koehne, 1884, 1903 Azolla caroliniana Willd., Salviniaceae, azolla americana. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: Le segnalazioni lombarde per questa specie, a partire dalla prima di Bozzi (1888), sono erronee e da ricondurre tutte (o quasi tutte) ad A. filicuoloides. Bibliografia: Bozzi, 1888 Bidens pilosus L., Asteraceae, forbicina pelosa. Status: Neofita, non presente in Lombardia. Note: La segnalazione di Giacomini (1950), sebbene contenuta all’interno di un contributo sulla flora lombarda, è relativa alla sponda piemontese del Verbano. Bibliografia: Giacomini, 1950 Brassica juncea (L.) Czern. (= Sinapis j. L.; Brassica j. Coss., comb. superfl.; Raphanus j. (L.) Crantz), Brassicaceae, senape cinese. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: La segnalazione di Tagliaferri (2000) per la periferia di Brescia, in base a revisione del campione d’erbario conservato presso il Museo di Scienze Naturali di Brescia (HBBS) va riferita a Raphanus raphanistrum L. subsp. landra (Moretti ex DC.) Bonnier & Layens (Zanotti, in verbis 2009). Bibliografia: Tagliaferri, 2000 Camelina sativa (L.) Crantz (= Myagrum s. L.), Brassicaceae, dorella coltivata. Status: Autoctona italiana. Note: Specie cultigena derivata dalla domesticazione dell’autoctona C. microcarpa Andrz. ex DC. (Zohary & Hopf, 2000) e dunque anch’essa autoctona. Indicata erroneamente come amaurogena (alloctona dubbia) da Celesti-Grapow et al. (2009b). Bibliografia: Celesti-Grapow et al., 2009a; Zohary & Hopf, 2000 18 19 Introduzione e aspetti generali Chamaesyce engelmannii (Boiss.) Soják (= Euphorbia e. Boiss.), Euphorbiaceae, euforbia di Engelmann. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: La segnalazione di Euphorbia e. per il Lago di Como (Chiovenda, 1895) in base a Thellung è erronea e da riferirsi a Chamaesyce maculata (Fiori & Paoletti, 1907). Bibliografia: Chiovenda, 1895; Fiori & Paoletti, 1907 Elaeagnus multiflora Thunb. (= E. edulis Siebold ex Carrière), Elaeagnaceae, olivagno edule. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: Le segnalazioni di E. multiflora per la provincia di Varese di Macchi (2005) e genericamente per la Lombardia (in comune di Milano) di Banfi et al. (2009) sono erronee e da ricondurre a E. umbellata. Bibliografia: Banfi et al., 2009; Barnes & Whiteley, 1997; Macchi, 2005 Chamaesyce indica (Lam.) Croizat (= Anisophyllum hypericifolium auct., non (L.) Haw.; Chamaesyce hypericifolia auct., non (L.) Millsp.; Euphorbia hypericifolia auct., non L.; Euphorbia i. Lam.), Euphorbiaceae, euforbia indiana. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: La segnalazione di Euphorbia i. per il lecchese da parte di Pignatti (1955), ripresa da Pignatti (1982) e da Banfi et al. (2009, sub Chamaesyce hypericifolia), è erronea e da riferirsi a Chamaesyce nutans (Hügin, 1998). Bibliografia: Banfi et al. (2009); Hügin, 1998; Pignatti, 1955, 1982 Eleusine indica (L.) Gaertn. subsp. africana (Kenn.-O’Byrne) S.M.Phillips (= E. africana Kenn.-O’Byrne), Poaceae, gramigna africana. Status: Neofita, non presente in Lombardia. Note: Sebbene Banfi (2005), Banfi & Galasso (2005) e Banfi et al. (2009) indichino la presenza in Lombardia di questa specie, essa non è mai stata segnalata. La sua presenza è comunque probabile. Bibliografia: Banfi, 2005; Banfi & Galasso, 2005; Banfi et al., 2009 Cuscuta gronovii Willd. ex Schult. (= Epithymum g. (Willd. ex Schult.) Nieuwl. & Lunell; Grammica g. (Willd. ex Schult.) Hadač & Chrtek), Convolvulaceae, cuscuta di Gronovius. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: Segnalata da Peglion (1908) per l’Emilia-Romagna su trifoglio, Pignatti (1982) ne ha esteso l’areale anche alla Lombardia. Tuttavia le indicazioni per l’Italia di questa specie sono erronee e da ricondurre a C. campestris (Campanile & Traverso, 1923; Campanile, 1926); purtroppo tale confusione è perdurata sino ai nostri giorni poiché i lavori della Campanile sono indicati soltanto nelle note finali della “Flora” di Fiori (1928). Bibliografia: Campanile, 1926; Campanile & Traverso, 1923; Fiori, 1928; Peglion, 1908; Pignatti, 1982 Erigeron strigosus Mühl. ex Willd. (= E. annuus (L.) Desf. subsp. s. (Mühl. ex Willd.) Wagenitz), Asteraceae, cespica setolosa. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: Secondo Frey et al. (2003) non ci sono prove della effettiva presenza in Europa di E. strigosus e pertanto le varie segnalazioni, come quella di Arietti & Crescini (1980) o di Aeschimann et al. (2004), sono da riferirsi a E. annuus. Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Arietti & Crescini, 1980; Frey et al., 2003 Cuscuta scandens Brot. (= C. australis R.Br.; C. australis R.Br. subsp. tinei (Inzenga) Feinbrun; C. tinei Inzenga; Grammica australis (R.Br.) Hadač & Chrtek; Grammica scandens (Brot.) Holub; Grammica scandens (Brot.) Holub subsp. tinaei (Inzenga) Dostál), Convolvulaceae, cuscuta di Tineo. Status: Neofita; segnalazioni dubbie per la Lombardia. Note: La segnalazione di C. scandens per il bresciano (Zucchi, 1979), non più confermata, è da considerarsi dubbia. Bibliografia: Zucchi, 1979 Cuscuta suaveolens Ser. (= Cassutha s. (Ser.) Des Moul.; Cuscuta racemosa Mart. var. chiliana Engelm.; Cuscutina s. (Ser.) Pfeiff.; Engelmannia s. (Ser.) Pfeiff.; Grammica s. (Ser.) Des Moul.), Convolvulaceae, cuscuta cilena. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: Segnalata da Cesati et al. (1876) per il Piemonte su erba medica, Pignatti (1982) ne ha esteso l’areale anche alla Lombardia. Tuttavia le indicazioni per l’Italia di questa specie sono erronee e da ripartire tra C. campestris e C. cesattiana (Campanile & Traverso, 1923; Campanile, 1926); purtroppo tale confusione è perdurata sino ai nostri giorni poiché i lavori della Campanile sono indicati soltanto nelle note finali della “Flora” di Fiori (1928). Bibliografia: Campanile, 1926; Campanile & Traverso, 1923; Cesati et al., 1876; Fiori 1928; Pignatti, 1982 Echinochloa crus-pavonis (Kunth) Schult. (= Oplismenus c. Kunth), Poaceae, giavone pendulo. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: Specie neotropicale, distinta da E. crusgalli; le sue segnalazioni per l’Italia (Pignatti, 1955; Ciferri & Pignatti, 1955; Pirola, 1964b; Pirola, 1965) sono erronee e da riferirsi a E. crusgalli (Carretero, 1981). Bibliografia: Carretero, 1981; Ciferri & Pignatti, 1955; Pignatti, 1955; Pirola, 1964b, 1965 Echinochloa frumentacea (Roxb.) Link (= Panicum f. Roxb.; Echinochloa colona (L.) Link Frumentacea Group), Poaceae, giavone frumentaceo. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: La segnalazione per l’Italia e la Lombardia di questa specie (Pirola, 1964b), derivata dalla domesticazione in India di E. colona, è da ritenersi erronea (cfr. Carretero, 1981; Pignatti, 1982). Bibliografia: Carretero, 1981; Pignatti, 1982; Pirola, 1964b Echinochloa muricata (P.Beauv.) Fernald subsp. microstachya (Wiegand) Jauzein (= E. muricata (P.Beauv.) Fernald var. m. Wiegand), Poaceae, giavone americano. Status: Neofita, non presente in Lombardia. Note: Sebbene Banfi (2005), Banfi & Galasso (2005) e Banfi et al. (2009) indichino la presenza in Lombardia di questa specie, essa non è mai stata segnalata. La sua presenza è comunque probabile all’interno delle risaie. Bibliografia: Banfi, 1985, 2005; Banfi & Galasso, 2005; Banfi et al., 2009; Hoste, 2005 20 Introduzione e aspetti generali Geranium sibiricum L., Geraniaceae, geranio di Siberia. Status: Autoctona italiana. Note: Contrariamente a quanto espresso da diversi autori relativamente allo status di neofita e sinantropica, concordiamo con Rey (2002) nel ritenere questa specie a tutti gli effetti autoctona quale relitto glaciale. Bibliografia: Rey, 2002 Lemna perpusilla Torr., Araceae, lenticchia d’acqua piccolissima. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: Specie endemica del Nordamerica centrale e orientale molto simile a L. aequinoctialis, da escludere dal continente europeo (Landolt, 1986), sebbene segnalata anche di recente, ad esempio da Desfayes (2005) che riprende un dato bibliografico di Casper & Krausch (1980-1981). Le differenze morfologiche tra queste due specie sono minime, ma la loro distinzione è ben pronunciata sul piano ecologico (Landolt, 1986; Crawford et al., 2002), allozimico (Crawford et al., 2002) e del DNA (Les et al., 2002). Le segnalazioni per questa specie sono dunque da ricondurre a L. aequinoctialis. Bibliografia: Casper & Krausch, 1980-1981; Crawford et al., 2002; Desfayes, 2005; Landolt, 1986; Les et al., 2002 Lepidium ruderale L., Brassicaceae, lepidio dei calcinacci, lepidio delle macerie. Status: Autoctona italiana. Note: Specie originaria dell’Europa (probabilmente della porzione meridionale) e dunque autoctona in Lombardia e in Italia, esotica altrove in Europa e nel resto del mondo. Indicata erroneamente come neofita da Celesti-Grapow et al. (2009a, 2009b). Bibliografia: Celesti-Grapow et al., 2009a, 2009b Mollugo cerviana (L.) Ser. (= Pharnaceum c. L.), Molluginaceae, mollugine di Cervi. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: Specie osservata inselvatichita soltanto all’interno degli Orti botanici di Milano e Pavia (Fiori & Paoletti, 1898; Traverso, 1898; Fiori, 1923) e dunque da escludere dalla flora esotica lombarda. Bibliografia: Fiori, 1923; Fiori & Paoletti, 1898; Traverso, 1898 Morus nigra L., Moraceae, gelso nero, moro nero. Status: Neofita; segnalazioni dubbie per la Lombardia. Note: La segnalazione di Giordana (1995) per il cremasco (CR) è erronea e da ricondurre a M. alba (Giordana, in verbis 2009); quella di Zucchetti et al. (1986) è altamente improbabile e quindi dubbia. Bibliografia: Giordana, 1995; Zucchetti et al., 1986 Oenothera parviflora L., Onagraceae, enagra a fiori piccoli. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: Non avendo potuto controllare gli exsiccata, la segnalazione di Pomi (1994) per Oe. parviflora, assente in Italia (Soldano, 1993), è qui provvisoriamente ricondotta a Oe. royfraseri. Bibliografia: Pomi, 1994; Soldano, 1993 21 Introduzione e aspetti generali Oenothera rosea L’Hér. ex Aiton (= Hartmannia r. (L’Hér. ex Aiton) G.Don; Xylopleurum r. (L’Hér. ex Aiton) Raim.), Onagraceae, enagra rosea. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: La segnalazione di Pignatti (1982) riprende quella di Fiori (1925b) ed è da riferirsi all’interno dell’Orto Botanico di Pavia, dunque da escludere dalla flora esotica lombarda. Bibliografia: Fiori, 1925b; Pignatti, 1982 Opuntia dillenii (Ker Gawl.) Haw. (= Cactus d. Ker Gawl.), Cactaceae, fico d’India di Dillenius. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: Le segnalazioni di questa specie (Arietti, 1965; Crescini, 1968; Bazzoli, 1999) sono da ricondurre a O. engelmannii (Guiggi, in verbis 2009). Bibliografia: Arietti, 1965; Bazzoli, 1999; Crescini, 1968 Opuntia jamaicensis Britton & Harris, Cactaceae, fico d’India della Giamaica. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: La segnalazione di questa specie (Guiggi, 2008; Banfi et al., 2009) è da ricondurre a O. engelmannii (Guiggi, 2010). Bibliografia: Guiggi, 2008, 2010 Opuntia macrorhiza Engelm. (= O. compressa J.F.Macbr. var. m. (Engelm.) L.D.Benson), Cactaceae, fico d’India a grosse radici. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: Specie segnalata per errore da Guiggi (2008); il dato è da riferirsi a una forma anomala di O. humifusa cresciuta su un substrato particolarmente ricco (Guiggi, 2010). Bibliografia: Guiggi, 2008, 2010 Opuntia tuna (L.) Mill. (= Cactus t. L.), Cactaceae, opunzia tuna. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: Le segnalazioni di questa specie (Guarino & Sgorbati, 2004; Banfi & Galasso, 2005; Guiggi, 2005) sono da ricondurre non a O. jamaicensis (Guiggi, 2008), bensì a O. engelmannii (Guiggi, 2010). Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Guarino & Sgorbati, 2004; Guiggi, 2005, 2008, 2010 Solanum linnaeanum Hepper & P.-M.L.Jaeger (= Solanum sodomaeum auct., non L.), Solanaceae, pomo di Sodoma, melanzana di Sodoma. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: Il dato di Pignatti (1982) per Pavia non deriva dalle note di Sacchi (1951, 1952) su alcuni Solanum spinosi presenti in Italia, bensì da Fiori (1926a), che riferisce di avventiziati entro l’Orto Botanico di Pavia. Questo dato non è quindi utilizzabile per la flora esotica lombarda. Bibliografia: Fiori, 1926a; Pignatti, 1982; Sacchi, 1951, 1952 Introduzione e aspetti generali Symphyotrichum ×versicolor (Willd.) G.L.Nesom (= Aster v. Willd.; S. laeve × novi-belgii), Asteraceae, astro multicolore. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: Specie segnalata per errore da Banfi et al. (2009) e Celesti-Grapow et al. (2009a). Bibliografia: Celesti-Grapow et al., 2009a; Banfi et al., 2009 Trisetaria canariensis (Parl. ex Webb & Berth.) Pignatti (= Trisetum neglectum (Savi) Roem. & Schult. var. c. Parl. ex Webb & Berthel.), Poaceae, gramigna delle Canarie. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: Specie osservata inselvatichita soltanto all’interno dell’Orto botanico di Pavia (Pignatti, 1955) e dunque da escludere dalla flora esotica lombarda. Bibliografia: Pignatti, 1955 Valeriana phu L., Valerianaceae (= Caprifoliaceae subfam. Valerianoideae), valeriana turca. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: Specie riportata erroneamente da Fiori (1927a; Viegi et al., 1974) per la Lombardia. Infatti, la segnalazione originaria è di Biroli (1808), che la riporta per la valle «Canobbiana» ovvero per la val Cannobina in provincia di Verbano-CusioOssola (VB) in Piemonte. Questo dato è stato in seguito ripreso da Cesati et al. (1879) come «Lombardia» (senza alcuna specificazione di località) e da Arcangeli (1894) come «Valle Canobbiana in Lombardia». Bibliografia: Arcangeli, 1894; Biroli, 1808; Cesati et al., 1879; Fiori, 1927a; Viegi et al., 1974 Xanthium orientale L. (= X. canadense Mill.; X. macrocarpum DC.), Asteraceae, nappola orientale. Status: Neofita; segnalazioni dubbie per la Lombardia. Note: Il vero X. orientale è conosciuto per il corso della Dordogna in Languedoc (Francia; Wisskirchen, 1995, 1998; Jeanmonod, 1998a, 1998b), mentre non è sicuro che cresca (ancora attualmente) in America (Millspaugh & Sherff, 1919): potrebbe essersi originato in Europa da piante importate a suo tempo dall‘America. La lectotipificazione di Jeanmonod (1998a) precede di pochi mesi l’epitificazione di Wisskirchen (1998). Si differenzia da X. italicum per il disseminulo con spine ricurve e fortemente uncinate all’estremità (diritte e soltanto uncinate all’estremità in italicum), con pelosità essenzialmente ghiandolosa sul corpo e sulle spine, così pure con qualche pelo allungato (densa ed essenzialmente composta da peli allungati sul corpo e sui 2/3 delle spine in italicum), di forma nettamente allungata, ellissoidale-subcilindrica (da ovoide a ellissoidale-subcilindrica in italicum). Le segnalazioni lombarde per le province di Pavia (Widder, 1923) e Bergamo appaiono alquanto dubbie. Bibliografia: Jeanmonod, 1998a; Jeanmonod D., 1998b; Millspaugh & Sherff, 1919; Widder, 1923; Wisskirken, 1998 Symphyotrichum lateriflorum (L.) Á.Löve & D.Löve (= Solidago l. L.; Aster l. (L.) Britton; Aster vimineus auct., non Lam.), Asteraceae, astro ericoide. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: Specie segnalata per errore in Lombardia (Banfi et al., 2009) al posto di S. pilosum. Bibliografia: Banfi et al., 2009 Symphyotrichum ×salignum (Willd.) G.L.Nesom (=Aster s. Willd.; S. lanceolatum × novi-belgii), Asteraceae, astro salicino. Status: Neofita, segnalata per errore in Lombardia. Note: Entrambe le segnalazioni bibliografiche per questa entità sono errate. Quella di Stucchi (1949b) fa riferimento a una popolazione che si propaga spontaneamente lontano dai giardini (caratteristica assente in questo ibrido); inoltre il relativo campione, raccolto lungo la strada Cuggiono-Bernate e conservato presso l’erbario del Museo di Storia Naturale di Milano (MSNM), porta il nome (scritto a macchina dallo stesso Stucchi) di Aster lanceolatus e corrisponde effettivamente a quest’ultima specie. Anche la segnalazione di Zucchetti et al. (1986) per il cremonese fa riferimento ad alcune popolazioni ben naturalizzate e quindi anch’esse da riferirsi ad altra specie, probabilmente ancora S. lanceolatum. Questi errori derivano dalla inadeguatezza delle chiavi dicotomiche allora a disposizione. Bibliografia: Stucchi, 1949b; Zucchetti et al., 1986 22 23 LE NEOFITE DELLA FLORA LOMBARDA - Parte Speciale LE NEOFITE DELLA FLORA LOMBARDA - Parte Speciale Impostazione delle schede La parte speciale di questo volume è dedicata alla presentazione delle singole specie aliene, relativamente alle sole neofite naturalizzate (incluse le invasive e le estinte), mentre per le neofite casuali, le archeofite e le amaurogene (alloctone dubbie) si rimanda alle schede sintetiche contenute nel CD-ROM. Ognuna delle 242 schede (per un totale di 307 entità) è articolata nei seguenti campi. Un primo set di dati riguarda l’identità botanica del soggetto, di cui viene indicata la famiglia di appartenenza, il nome scientifico (binomio latino, talvolta espresso in forma trinomiale quando vi sia sottospecie distinta dal taxon nominale), il nome volgare della pianta (adattato al caso ove necessario), il basionimo (combinazione latina originale dell’autore del taxon; non viene indicato se coincide con il nome in uso) e i sinonimi. Un secondo set si riferisce al tipo biologico della specie, alla morfologia, alla fenologia, alla corologia, all’ecologia e alla distribuzione lombarda del taxon. Sarà il caso di considerare rapidamente voce per voce. Tipo (e forma) biologico. È indicato con le sigle di Raunkiaer e autori successivi; i casi in oggetto sono i seguenti. Tipo biologico: Hy = idrofita (acquatica) P = fanerofita (legnosa superante i 4 m; gemme invernali aeree, perlopiù perulate) nP = nanofanerofita (legnosa non superante i 4 m; gemme invernali aeree, perlopiù perulate) C = camefita (base ± legnosa; gemme invernali portate sopra il suolo, mai perulate) G = geofita (gemme invernali in organi di riserva sotterranei) H = emicriptofita (gemme invernali nascoste a pelo terra o poco sotto, fra i residui fogliari) T = terofita (annuale) Forma biologica: bienn = biennale bulb = bulbosa caesp = cespitosa (multiassiale) frut = fruticosa lian = lianosa (rampicante) nat = natante par = parassita rad = radicante rept = reptante (strisciante) rhiz = rizomatosa rosul = rosulata (a rosetta) scap = scaposa (uniassiale) succ = succulenta suffr = suffruticosa Descrizione. Viene fornito un succinto profilo morfologico della pianta. Periodo di fioritura. Nel caso delle felci è riferito alla sporulazione; oltre che di importanza intrinseca, il dato può essere rilevante in relazione alle allergie polliniche. Area d’origine. Si riferisce all’areale primario della specie, non sempre identificato con certezza, specialmente per le distribuzioni massimali (corotipi cosmopolita e pantropicale). Habitat. Descrive il tipo di ambiente in cui alligna la specie. Di norma per l’aliena sinantropica non vi è differenza di habitat in patria e fuori patria, se non rispetto alle diverse combinazioni floristiche delle vegetazioni secondarie in cui entra, per altro equipollenti. Le aliene sinantropizzate a seguito dell’introduzione (robinia, ailanto, ciliegio tardivo ecc.) presentano habitat primario in patria (non sempre identificato con certezza) e habitat secondario nel resto della loro distribuzione; il comportamento sinantropico acquisito extra patriam, tuttavia, può riversarsi secondariamente anche in patria, a seguito di ripetute reintroduzioni (scambi commerciali, ortofloricoli, spostamenti umani ecc.), dove la specie diventa sinantropica e magari pure invasiva, senza esserlo mai stata prima. 24 Distribuzione nel territorio. Questa voce si riferisce sia alla ripartizione della specie rispetto ai fattori orografico-climatici del territorio lombardo (fasce altitudinali) sia alla sua effettiva distribuzione topografica. Per quest’ultima si rinvia anche alle apposite mappe nel CD-ROM e si ricorda che i dati relativi specialmente alle casuali sono senz’altro incompleti. Il terzo set di dati comprende due informazioni di carattere storico, cioè il periodo d’ introduzione e la modalità di introduzione. Per entrambi i punti le notizie possono essere complete, parziali e incomplete, ipotetiche o inesistenti. Le fonti storiche e bibliografiche sono numerose, ma si rivelano utili solo per piante che abbiano rivestito o rivestano una qualche sorta di interesse economico, mentre per le aliene introdotte involontariamente, l’unico riferimento utile, quando disponibile, è la prima segnalazione della specie. Quest’ultima fornisce un’informazione di massima sul momento dell’introduzione, ma non è in grado di precisarlo. Il quarto set riguarda gli aspetti pratici legati al problema dell’aliena e include: Status. Indica se la specie è casuale o naturalizzata e se, nel secondo caso, è anche invasiva. Dannosa. Esprime, quando è il caso, gli effetti negativi a breve e lungo termine esercitati dall’aliena in campo ecologico, economico e sanitario. Impatto. Particolarmente riferita alle invasive, questa voce evidenzia la portata dell’azione depressiva dell’aliena sulla biodiversità, sulla vegetazione, sul paesaggio e sull’uomo. Azioni di contenimento. Poiché è improponibile (e impensabile) cancellare una pianta dal territorio quando vi risulti affermata, occorre accontentarsi di trovare il modo per contenerla al meglio. Le esperienze in questo senso, purtroppo, sono scarse, effettuate su poche specie e prevalentemente all’estero, cioè in situazioni ambientali e antropiche difficilmente estendibili al nostro territorio. Nel caso della robinia, dell’ailanto e del ciliegio tardivo esiste qualche dato anche italiano, ma per quasi tutte le altre invasive un suggerimento vale l’altro. In linea teorica, alle invasive erbacee si possono applicare i medesimi criteri di intervento usati in agricoltura contro le infestanti (erbicidi), ma tali interventi, se e quando hanno senso, sono eseguibili solo localmente e in via occasionale, e non possono certo intendersi quale soluzione di sistema in scala territoriale. Problemi particolari nascerebbero poi dalle invasive acquatiche, che vivono in habitat dove l’erbicidio chimico è da interdire a priori. Al di là dei suggerimenti operativi di buon senso derivanti, tutto sommato, da millenni di rapporto diretto uomo-erbaccia (estirpazione, eliminazione manuale dei rinnovi, bruciatura dei residui vegetali, pulizia del terreno ecc.), rimaniamo dell’idea che la soluzione, per quanto a lungo termine, si debba raggiungere unicamente attraverso l’azione sinergica della prevenzione e del progressivo recupero dell’ambiente. La prevenzione è un fatto essenzialmente economicoculturale, in quanto presuppone un cambiamento socio-mentale, una “metànoia” nei confronti di quella grossa quota di piante incriminate che fa capo all’ortofloricoltura. Specie come la vite del Canada (Parthenocissus quinquefolia), per prendere un caso paradigmatico, dovrebbero uscire dalla cultura del verde privato e pubblico e abbandonare una volta per tutte il mercato; si dovrebbe arrivare a bandire attraverso la legislatura la vendita di tutti quei soggetti che sono causa effettiva e potenziale di alienazione e danno al territorio. Ma è evidente che tutto ciò presuppone una lunga strada di educazione al problema e di responsabilizzazione comportamentale. Per quanto riguarda il recupero ambientale, la ricostituzione della vegetazione naturale di degrado (Artemisietea vulgaris Lohmeyer, Preising & Tüxen in Tüxen 1950), il ripristino dei prati (Molinio-Arrhenatheretea Tüxen 1937 em. Tüxen 1970) e il riavvio delle cenosi legnose autoctone (Prunetalia spinosae Tüxen 1952, Alnetea glutinosae Braun-Blanq. & Tüxen ex V.Westh., Dijk & Passchier 1946, Querco-Fagetea Braun-Blanq. & Vlieger in Vlieger 1937 ecc.) sono l’unico strumento che, alla fine, sia in grado di risolvere il problema dell’alloctonia, invasiva e non, ripristinando il sistema vegetazionale interno a difesa della biodiversità e del paesaggio, e a soluzione di tutti i problemi economici e sanitari connessi con l’alienazione vegetale. Tale ripristino dovrà costituire –ciò che oggi non è in alcun modo– l’interfaccia ottimale di collegamento tra superfici industriali, urbane, agricole e sistema viario, includendo la realizzazione del vecchio sogno di un’adeguata rete territoriale di corridoi ecologici. Note. Qui vengono riportate le possibilità di confusione con altre specie (anche autoctone), ma è spazio utile anche per altre osservazioni che riguardano, secondo i casi, la nomenclatura e la sistematica, l’origine della specie, l’aneddotica, la storia e altro. Ogni scheda si conclude con la voce Bibliografia, nella quale sono riportati tutti i riferimenti del caso. Ordinamento delle schede La successione delle schede è basata sulla sequenza sistematica delle famiglie secondo Haston et al. (2009), che riassume l’attuale modello filogenetico delle angiosperme (APG III, 2009). Generi e specie seguono il normale ordine alfabetico, tranne qualche eccezione nella quale vengono poste di seguito le specie tra loro imparentate. Le felci e le gimnosperme, come di consueto, precedono le angiosperme, in base all’ordinamento delle famiglie secondo Smith et al. (2006) e Soltis et al. (2002). 25 azolla maggiore Famiglia: Salviniaceae Nome scientifico: Azolla filiculoides Lam. Nome volgare: azolla maggiore Sinonimi: Azolla caroliniana auct., non Willd. Tipo biologico: Hynat Descrizione: Piccola felce acquatica liberamente galleggiante, con fusto ramificato provvisto di radici capillari pendenti nell’acqua e fronde di 1-1.5 mm, verdi, un po’ glaucescenti e talvolta arrossate, disposte in due file e imbricate, bilobate, con margine cartilagineo e pagina superiore coperta di brevi papille monocellulari. La riproduzione sessuale si realizza attraverso le tappe di tutte le altre pteridofite, ma con adattamenti funzionali specifici per la vita acquatica. La pianta produce microsporocarpi con molti microsporangi e megasporocarpi con un solo megasporangio. Nei microsporangi si formano le microspore (spore piccole) circondate da massule spugnose, mentre nei megasporangi si forma una sola megaspora (spora grande) dotata di 3 galleggianti. Quest’ultima si stacca e galleggia liberamente sull’acqua germinando in un gametofito femminile provvisto di cellula-uovo. Le microspore, a loro volta, germinano in gametofiti maschili produttori di spermatozoidi che, nuotando nell’acqua grazie alle ciglia vibratili di cui sono dotati, raggiungono le cellule-uovo e le fecondano. A questo punto il ciclo vitale si chiude con il gametofito femminile fecondato, che sviluppa uno sporofito, cioè la pianta natante sopra descritta. Periodo di fioritura: aprile-giugno (sporificazione). Area d’origine: America tropicale. Habitat: Acque stagnanti. Distribuzione nel territorio: Pianura. Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia a fine Ottocento. Coltivata nel 1881 all’Orto Botanico di Torino e prima del 1883 in quello di Pavia; da quest’ultimo introdotta deliberatamente nel Ticino presso Pavia nel 1883 da Luigi Bozzi e Giacomo Traverso, dove si è subito naturalizzata (Bozzi, 1888) divenendo comune (Cavara, 1894). Azioni analoghe sono documentate presso altri orti botanici italiani. Modalità d’introduzione: Deliberata, come pianta d’acquario e per idrofloricoltura. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Localmente può creare fitte coperture rossastre negli specchi d’acqua, alterandone la naturalità. Note: La tassonomia e l’identificazione delle specie di Azolla sect. Azolla sono molto complicate poiché la maggior parte dei campioni è sterile e i caratteri diacritici sono difficili da osservare: occorre il microscopio ottico per contare le cellule delle papille presenti nella pagina adassiale (superiore) delle fronde e quello elettronico a scansione per vedere l’ornamentazione della perina delle megaspore. In passato sono stati utilizzati soprattutto i caratteri vegetativi e il numero dei setti dei glochidi delle massule microsporangiali (Svenson, 1944). Tuttavia questi caratteri sono molto variabili, pure all’interno della stessa specie (cfr. Godfrey et al., 1961). Neanche gli isozimi si sono rivelati particolarmente utili (Zimmerman et al., 1989). Solo recentemente Perkins et al. (1985) hanno messo in evidenza l’importanza dell’architettura della perina delle megaspore. Su questi caratteri si fondano, dunque, le trattazioni moderne del genere, come quella della ‘Flora del Nordamerica’ (Lumpkin, 1993). In Italia (ed Europa) sono state da sempre segnalate due specie, prima A. caroliniana (Arcangeli, 1882b) e successivamente A. filiculoides (Béguinot & Traverso, 1906), ma spesso o quasi sempre si è fatta confusione tra esse (Fiori, 1943). Ad esempio, Béguinot & Traverso (1906) citano per l’Orto Botanico di Pavia A. filiculoides, mentre in precedenza vi era stata segnalata A. caroliniana (Bozzi, 1888); parallelamente, in seguito all’osservazione delle spore, Savelli (1915) rettifica in A. filiculoides le precedenti determinazioni di Arcangeli (1882b) relative alle piante toscane e da allora in Italia si sono susseguite principalmente segnalazioni di quest’ultima specie, senza però fare chiarezza su tutte le precedenti segnalazioni. Di recente in Olanda, oltre ad A. filiculoides è stata accertata un’altra specie, che non corrisponde ad A. caroliniana bensì ad A. mexicana C.Presl (Pieterse et al., 1977); in Portogallo, invece, si è trovata soltanto A. filiculoides (Pereira et al., 2001). Per quanto riguarda l’Italia, sulla base di quanto emerso in Olanda, ma senza tener conto dei successivi risultati della microscopia elettronica ed indicando sinonimie non corrette, le segnalazioni di A. caroliniana sono state interpretate come A. mexicana (Lawalrée & Jermy, 1993). Tuttavia Marchetti (1994), Bonafede et al.(2001), Marchetti (2004) e Bona et al. (2005) sollevano dubbi a questa interpretazione: salvo ulteriori sorprese, le popolazioni attuali sono tutte quante da attribuire ad A. filiculoides, mentre in passato potrebbe esserci stata anche A. mexicana (ma è ancora da dimostrare); non è stata mai presente, invece, A. caroliniana. felce di Fortune Famiglia: Dryopteridaceae Nome scientifico: Cyrtomium fortunei J.Sm. Nome volgare: felce di Fortune Sinonimi: Aspidium falcatum (L.f.) Sw. var. fortunei (J.Sm.) Makino Cyrtomium falcatum auct., non (L.f.) C.Presl Phanerophlebia fortunei (J.Sm.) Copel. Polypodium falcatum auct., non L.f. Polystichum fortunei (J.Sm.) Nakai Polystichum falcatum (L.f.) Diels var. fortunei (J.Sm.) Matsum. Tipo biologico: Grhiz Descrizione: Felce sempreverde, densamente cespugliosa, dotata di un rizoma breve, verticale. Fronde di 20-60(-125)×1025 cm, oblungo-lanceolate, pennate, composte da 12-26 paia di pinne verdi opache, piuttosto rigide ma non coriacee, strettamente lanceolate, solitamente falcate, lunghe 5-9 cm e larghe fino a 3.5 cm, al margine intere o denticolato-seghettate; stipite abbastanza robusto, con palee bruno-rossastre, minore della lamina. Sori sparsi su tutta la pagina abassiale (inferiore) della pinna, con indusio peltato. Periodo di fioritura: aprile-settembre (sporificazione). Area d’origine: Asia orientale. Habitat: Ambienti antropizzati, soprattutto su manufatti ombreggiati e umidi; boschi umidi, in ambiente naturale completamente slegato dai luoghi di coltivazione. Distribuzione nel territorio: Dalla pianura alla fascia collinare (50-450 m s.l.m.), nel complesso rara e molto frammentaria. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Mantova (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). [C. falcatum: Cremona (NAT), Mantova (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nella prima metà del secolo scorso; segnalata per la prima volta in Lombardia da Bonali (1996), che l’ha osservata dal 1995. Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Non si evidenziano aspetti negativi legati alla presenza della specie. Azioni di contenimento: Immediata rimozione delle piante radicate sui manufatti. Note: Una congenere altrettanto naturalizzata nel territorio lombardo è C. falcatum (L.f.) C.Presl, (= Polypodium f. L.f.; felce falcata), in passato spesso confusa con essa, che differisce per le fronde decisamente coriacee, di colore verde lucente, con pinne a margine ondulato o grossolanamente dentato, segnalata genericamente in Lombardia da Marchetti (2004) e per le province di Cremona e Mantova da Bona et al. (2005). È termicamente più delicata di C. fortunei, pertanto può avere successo soltanto nelle fasce più calde della regione. Entrambe sono felci assai diffuse in coltivazione. Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Bona et al., 2005; Bonali, 1996; Bonali et al., 2006a; Consonni, 1997; Macchi, 2005; Marchetti, 2004; Peroni & Peroni, 1997 Bibliografia: Arcangeli, 1882b; Béguinot & Traverso, 1906; Bona et al., 2005; Bonafede et al., 2001; Bozzi, 1888; Cavara, 1894; Fiori, 1943; Godfrey et al., 1961; Lawalrée & Jermy, 1993; Lumpkin, 1993; Marchetti, 1994; Pereira et al., 2001; Perkins et al., 1985; Pieterse et al., 1977; Savelli, 1915; Svenson, 1944; Zimmerman et al., 1989 26 27 cedro dell’Himalaya Famiglia: Pinaceae Nome scientifico: Cedrus deodara (Roxb.) G.Don Nome volgare: cedro dell’Himalaya Basionimo: Pinus deodara Roxb. Sinonimi: Abies deodara (Roxb.) Lindl. Cedrus libani A.Rich. subsp. deodara (Roxb.) P.D.Sell Cedrus libani A.Rich. var. deodara (Roxb.) Hook.f. Tipo biologico: Pscap Descrizione: Albero che può raggiungere dimensioni imponenti (oltre 40 m d’altezza), con ramificazioni terminali tendenzialmente pendule. Foglie sempreverdi, singole sui macroblasti (rametti primari normali), in fascetti di 15-20 sui brachiblasti (rametti secondari raccorciati), aghiformi, piuttosto rigide, triangolari in sezione, di colore verde scuro, lunghe 2.5-5 cm e larghe 1-1.5 mm, acuminate all’apice. Coni maschili allungati, eretti, fino a 5×1.5 cm, i femminili con breve peduncolo, ovoidi o largamente ellissoidali, arrotondati all’apice, dapprima verdi poi brunastri e disgregantesi a maturità, di 7-12×5-9 cm. Semi emiconici, lunghi circa 1 cm, dotati di un’ala triangolare con base di 1.5 cm e altezza di 2 cm. Periodo di fioritura: settembre-ottobre. Area d’origine: Asia centrale (regione himalayana occidentale). Habitat: Ambienti antropizzati, dove cresce soprattutto su manufatti, come muri e vecchi edifici. In ambienti a maggior naturalità si rinviene soprattuto in boschi a carattere xero-termofilo e su rupi ben esposte. Distribuzione nel territorio: La presenza di piante spontanee, quasi sempre giovanili, è legata agli esemplari maturi coltivati, non di rado monumentali. Tuttavia, sinora è stata rinvenuta naturalizzata in un’unica località del Varesino (Grotte di Valganna), su una rupe calcarea nell’ambito di cenosi termofile caratterizzate dalla fitogeograficamente significativa presenza del leccio (Quercus ilex L.) e della felce dolce maggiore (Polypodium cambricum L.). Lecco (CAS), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nella prima metà del secolo XIX; in Lombardia segnalata come naturalizzata da Conti et al. (2007). Modalità d’introduzione: Deliberata (selvicoltura, sperimentazione forestale). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Trascurabile, sebbene la specie sia in grado di colonizzare i manufatti, radicando nelle fessure e contribuendone in tal modo al deterioramento. Azioni di contenimento: Immediata rimozione della rinnovazione. Note: In territorio lombardo sembra essere l’unica specie di Cedrus Trew capace di spontaneizzare, nonostante l’ampia diffusione colturale delle altre (C. atlantica (Endl.) Manetti ex Carrière, C. libani A.Rich. e, più raramente, C. brevifolia (Hook.f.) Henry). Purtroppo gli esemplari immaturi di queste ultime tre non consentono il riconoscimento sicuro delle specie in quanto i caratteri diacritici si evidenziano soltanto negli adulti sessualmente maturi. Tuttavia C. deodara si distingue agevolmente da loro per le ramificazioni terminali (compreso l’apice) pendule, per le foglie brachiblastali più lunghe di 3 cm e per i coni seminiferi arrotondati (convessi) all’apice, anziché troncati od ombelicati. Bibliografia: Conti et al., 2007 28 pino rosso americano Famiglia: Pinaceae Nome scientifico: Pinus rigida Mill. Nome volgare: pino rosso americano, pino nordamericano da resina Tipo biologico: Pscap Descrizione: Albero non più alto di 25 m, con chioma irregolare, arrotondata e ritidoma grigio scuro o rosso-brunastro, profondamente solcato in placche allungate. Il tronco, oltre a suddividersi nelle normali ramificazioni, è caratterizzato fin quasi alla base dalla presenza di brevi rametti accessori, fitti di aghi, simili a scopini. Aghi in fascetti di 3, rigidi, ritorti, dapprima giallo-verdi o verde tenero, quindi verde-grigiastro scuro, lunghi 7-10(-14) cm e spessi 2-2.5 mm, in sezione largamente semicircolari con 2 fasci conduttori; stomi su entrambe le facce. Coni maschili piccoli, ovoidali, in densi “manicotti” all’apice dei giovani rami, rosso-violacei, a maturità gialli; coni femminili ovoidi, rosa, lunghi circa 1 cm, in gruppetti disposti secondo linee spirali lungo i rami giovani. Pigne ovoidali-coniche, di 4-7×3-4 cm, in gruppi persistenti a lungo anche dopo la maturazione; squame legnose, con apice ottuso e apofisi romboidale; semi (pinoli) piccoli, con ala allungata. Periodo di fioritura: maggio. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Impianti artificiali nell’area della brughiera a pino silvestre, boschi misti di castagno e pino silvestre, boschi misti di latifoglie. Distribuzione nel territorio: Planiziale (alta pianura occidentale). Como (CAS), Monza e Brianza (CAS), Milano (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1750 e in Italia negli anni 1883-1886 (a Vallombrosa). In Lombardia introdotta per scopi forestali a inizio del Novecento e già osservata in natura da Fenaroli (1923), Stucchi (1949b), Sartori et al. (1988) e Sartori (1991); è da considerarsi naturalizzata (Conti et al., 2007). Modalità d’introduzione: Deliberata, in quanto pianta di interesse selvicolturale. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Attualmente la specie non determina riscontri negativi, in quanto, sebbene con una contenuta disseminazione, non mostra tendenza a diffondersi fuori dalle aree d’impianto. Note: Il persistere sui rami di pigne inaperte è comune a molte specie di Pinus e rappresenta un’espressione della così detta sindrome pirofitica. L’incendio è facile e frequente nelle cenosi naturali di resinose, esse perciò presentano, in misura più o meno evidente, adattamenti che sono il risultato della pressione selettiva esercitata dal fuoco attraverso milioni di anni. Il fronte di calore che precede le fiamme fa esplodere le pigne ancora chiuse, prima che il fuoco le raggiunga; tutti i pinoli vengono liberati in una sola volta e le turbolenze dell’aria alla fine li convogliano al suolo a varie distanze. Qui la maggior parte di essi supera indenne l’incendio protetta da strati d’aria a temperatura più bassa e la specie ne consegue un evidente vantaggio dispersivo, forse in ottemperanza al vecchio principio: “non tutto il male vien per nuocere”. Bibliografia: Conti et al., 2007; Fenaroli, 1923; Pepe, 1966; Sartori, 1991; Sartori et al., 1988; Stucchi, 1949b 29 Strobo Famiglia: Pinaceae Nome scientifico: Pinus strobus L. Nome volgare: strobo, pino di Weymouth Tipo biologico: Pscap Descrizione: Albero dalla chioma largamente conica, talora colonnare, negli esemplari vecchi con rami in palchi orizzontali, tabulari, alto fino a 30(-50) m. Ritidoma grigiastro, dapprima liscio poi regolarmente fessurato in placche subrettangolari. Foglie aghiformi riunite a 5, verde glauco, lunghe 5-12 cm, sottili e flessuose, in sezione largamente triangolari con un fascio conduttore al centro; stomi presenti sulla faccia ventrale. Coni maschili ovoidi, addensati all’apice dei rametti, di colore giallo solfino all’apertura; i femminili oblunghi, di circa 1 cm, su peduncoli di 2.5 cm, prima rosei, dopo l’impollinazione verdastri. Coni seminiferi (pigne) di 8-16×2 cm, in gruppi, brunastri, penduli (peduncolo ricurvo); squame coriacee ma non legnose, ottuse all’apice, con apofisi arrotondata; semi (pinoli) lunghi circa 4 mm, con ala allungata. Periodo di fioritura: maggio-giugno. Area d’origine: Nordamerica nordorientale. Habitat: Margini delle forestazioni artificiali, boscaglie aperte. Distribuzione nel territorio: Planiziale-collinare, veramente naturalizzata soltanto nel varesino. Como (CAS), Lecco (CAS), Monza e Brianza (CAS), Milano (CAS), Pavia (CAS), Sondrio (CAS), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal principio dell’Ottocento. In Lombardia introdotta per scopi forestali e già osservata in natura da Pepe (1966) e Zucchetti et al. (1986); è da considerarsi naturalizzata (Conti et al., 2007). Modalità d’introduzione: Deliberata, per la sperimentazione selvicolturale, le forestazioni artificiali, l’industria cartiera alternativa al pioppo e l’uso ornamentale nel verde pubblico e privato. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante dove si riproduce naturalmente. Invece, al di sotto degli impianti artificiali riduce fortemente la biodiversità, modificando la chimica del suolo e facendo quasi scomparire il sottobosco. Azioni di contenimento: Evitare gli impianti artificiali. Bibliografia: Conti et al., 2007; Pepe, 1966; Zucchetti et al., 1986 tuia orientale Famiglia: Cupressaceae Nome scientifico: Platycladus orientalis (L.) Franco Nome volgare: tuia orientale, albero della vita Basionimo: Thuja orientalis L. Sinonimi: Biota orientalis (L.) Endl. Tipo biologico: Pscap Descrizione: Albero che può raggiungere 20 m d’altezza, in genere non superante i 12 m, con chioma da conica a largamente ovata, per lo più ramificato dalla base; rametti complanati in fronde appiattite verticalmente. Foglie squamiformi sempreverdi, disposte su 4 file, appressato-imbricate, le laterali sovrapposte alle facciali, con apice un po’ appuntito, lunghe 1-3 mm, dotate di una ghiandola resinifera al centro. Coni maschili giallognoli, ovoidi, lunghi 2-3 mm, i femminili pure ovoidi, eretti, verde glauco, lunghi circa 5 mm, carnosi; coni seminiferi di 1.5-2.5×1–2 cm, dapprima glauchi, a maturità brunastri, deiscenti in (4-)6 squame portanti all’apice un dente carnoso ricurvo. Semi ovoidi o ellissoidi, di 5-7×3-4 mm. Periodo di fioritura: marzo-aprile. Area d’origine: Asia orientale (Cina, Corea e Russia orientale). Habitat: Rinvenuta spontanea solo su rupi calcaree, calde e assolate, o su muri. Distribuzione nel territorio: La specie è naturalizzata in alcune località delle province di Varese: Arolo (rupi sul Lago Maggiore), Caravate (Sasso di Poiano), Gavirate (Parco Morselli) e Laveno Mombello (Sasso del Ferro e Villa Porro); Lecco: Perledo (muro di contenimento presso la foce del torrente Esino); Brescia. Brescia (NAT), Lecco (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal Settecento; in Lombardia per la prima volta osservata naturalizzata da Danilo Baratelli (Macchi, 2005). Modalità d’introduzione: Deliberata (albero da parchi, giardini e cimiteri). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Note: Gli esemplari dei popolamenti naturalizzati raggiungono generalmente un’altezza non superiore a 1-2 m. Da studi genetico-molecolari è risultato che la tuia orientale, all’interno delle Cupressaceae, appartiene a una propria discendenza (monophylum) assieme ad altri tre generi: Calocedrus Kurz, Microbiota Komar. e Tetraclinis Mast. Il primo include C. decurrens (Torrey) Florin, dei rilievi degli Stati Uniti occidentali, largamente impiegato in Lombardia, specialmente nel passato, per alberature stradali, parchi e cimiteri. Presenta fronde appiattite verticalmente, come la tuia orientale, ma si riconosce per il ritidoma desquamante in lunghe placche, per l’altezza assai maggiore della pianta (fino a 45 m), per le foglie appaiate in pseudoverticilli, lungamente decorrenti e per i coni seminiferi giallo-verdi a forma di goccia rovesciata, con squame allungate ad apice poco sporgente. È stato osservato casuale nelle province di Como e Cremona. Bibliografia: Kleih, 2007; Macchi, 2005 30 31 ninfea da giardino Famiglia: Nymphaeaceae Nome scientifico: Nymphaea ×marliacea Wildsmith, pro sp. Nome volgare: ninfea da giardino Tipo biologico: Hyrad Descrizione: Erba acquatica perenne con grosso rizoma nodoso, strisciante nel fango, da cui si elevano fino al pelo dell’acqua i piccioli fogliari e i peduncoli fiorali (riempiti di tessuto aerifero), per lunghezze anche di oltre 1 m. Lamina fogliare rotonda con seno basale strettamente acuto e profondo, galleggiante sull’acqua con la faccia abassiale (priva di stomi), che è spesso arrossato-violacea; faccia adassiale (provvista di stomi) verde oliva, lucido-satinata, talora purpurea perifericamente. Fiori spirociclici, isolati, galleggianti, grandi (diametro fino a 20 cm), spesso odorosi, con perianzio di numerosi segmenti, dei quali i 4-6 prossimali di aspetto più o meno sepaloide, gli altri petaloidi, largamente ovato-concavi, bianchi, rosa, rossi, violacei, gialli o sfumati in varie combinazioni di colore, secondo la cultivar; stami numerosi, con antere allungate, gialle; ovario semiinfero, multiovulato. Il frutto, che matura sott’acqua, è un esperidio (come quello degli agrumi), cioè una sorta di bacca con endocarpo carnoso interrotto da setti longitudinali (“spicchi”); semi globosi, di 2-3 mm. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: Ibrido cultigeno, con progenitori di origine americana ed eurasiatica. Habitat: Acque ferme a bordura di stagni, anse lacustri e fluviali. Distribuzione nel territorio: Sinora osservata soltanto all’Oasi le Foppe (Trezzo sull’Adda, MI), Lago di Varese (VA) e Lago Azzurro (MB). Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia e Lombardia da Gariboldi (2008) e Gariboldi & Beretta (2008). Modalità d’introduzione: Deliberata (idrofloricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: Sì, laddove può venire a contatto con popolamenti autoctoni di ninfea nostrana (N. alba L.), sottraendo spazio a quest’ultima e inquinandola geneticamente. Impatto: Estetico-paesaggistico, genetico. Azioni di contenimento: Eradicazione. coda di lucertola Famiglia: Saururaceae Nome scientifico: Saururus cernuus L. Nome volgare: coda di lucertola Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a circa 1 m, con rizoma lungamente strisciante. Foglie con picciolo di 1-10 cm; lamina ovale con base cordata e apice acuminato, di 10-15×5-8 cm. Infiorescenza costituita da una spiga cilindrica, da eretta a incurvata, opposta alle foglie o terminale; perigonio assente; stami in numero di 6-8; carpelli (3-)4, concresciuti alla base. Il frutto è costituito da 3-4 piccole bacche derivate da un ovario apocarpico (baccario), di colore bruno, di 1.5-3 mm. Periodo di fioritura: giugno-luglio. Area d’origine: Nordamerica orientale (costa orientale del Canada e, soprattutto, degli Stati Uniti). Habitat: Rive dei laghi, in formazioni palustri a elofite. Distribuzione nel territorio: Presente unicamente nei laghi varesini (Lago di Monate e Lago di Comabbio). Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Lombardia tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia da Stucchi (1953a). Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini floricolturali. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Trascurabile. Azioni di contenimento: Non necessarie. Bibliografia: Stucchi, 1953a Note: L’origine di questo ibrido da giardino, che è in realtà un intricato complesso di notocultivar, coinvolge, da un lato, entità nordamericane quali N. odorata Aiton var. rosea Pursh e N. mexicana Zucc., dall’altro l’autoctona N. alba, che ha distribuzione eurasiatico-nordafricana. L’epiteto specifico è stato scelto in onore di Joseph Bory Latour-Marliac (1830-1911), ibridatore-selezionatore francese di Nymphaeaceae rustiche, i cui soggetti ispirarono alcuni tra i più bei quadri di Claude Monet. È curioso -verrebbe da pensare- che una così attiva e ben riuscita selezione orticola sia stata possibile proprio su un ceppo di piante tanto arcaiche come le ninfee, note per essere tra i fossili viventi più documentati dai moderni studi in campo evoluzionistico. Bibliografia: Gariboldi, 2008; Gariboldi & Beretta, 2008 32 33 falso canforo Famiglia: Lauraceae Nome scientifico: Cinnamomum glanduliferum (Wall.) Meisn. Nome volgare: falso canforo Basionimo: Laurus glandulifera Wall. Sinonimi: Camphora glandulifera (Wall.) Nees Cinnamomum camphora auct., non (L.) J.Presl Cinnamomum cavaleriei H.Lév. / Laurus camphora auct., non L. Machilus dominii H.Lév. / Machilus mekongensis Diels Tipo biologico: Pscap Descrizione: Albero sempreverde alto fino a 20 m, con chioma larga e maestosa negli esemplari monumentali; ritidoma grigio-bruno, prima liscio poi profondamente fessurato in verticale, desquamantesi in lamine, rosso-bruno di sotto, con aroma di canfora. Foglie alterne, con picciolo robusto di 1.5-3(-3.5) cm e lamina ellittica, ovato-ellittica o lanceolata, di 6-15×4-6.5 cm, glaucescente sulla faccia abassiale, verde scuro e lucida su quella adassiale, caratteristicamente penninervia o raramente subtriplinervia, con 4-5 paia di nervi secondari; foglie dei rami fioriferi più piccole e più coriacee, da puberule a glabrescenti. Pannocchie fiorifere ascellari, più brevi della corrispondente foglia, lunghe 4-10 cm; peduncoli fiorali di 1-2 mm, glabri; fiori giallognoli, larghi fino a 3 mm; perianzio pubescente all’interno, con tubo obconico di circa 1 mm e lembo di 6 lobi largamente ovati, subeguali, acuti, di circa 2×1.7 mm; stami fertili 9 a filamento complanato e antera ovata; staminodi 3, strettamente triangolari; ovario supero, ovoide. Il frutto è una drupa globosa, nera (diametro di 1 cm), accompagnata alla base da una cupola (accrescimento carnoso del perianzio) di colore rosso e ondulata al margine. Periodo di fioritura: aprile-maggio. Area d’origine: Asia sudorientale. Habitat: Boscaglie degradate di clima insubrico. Distribuzione nel territorio: Fascia collinare del varesino. Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa al principio del XVIII secolo. Segnalata per la prima volta in Lombardia e in Italia da Brusa et al. (2007). Modalità d’introduzione: Deliberata (vivaistica). Status: Naturalizzata. Dannosa: Sì, in quanto si inserisce nelle formazioni boschive dell’Insubria, dove può arrivare a formare uno strato continuo sempreverde che impedisce il normale sviluppo della componente autoctona. Impatto: Forte depressione della biodiversità forestale e profonda alterazione del paesaggio (da malacofillo a sclerofillo: Cerabolini et al., 2008). Azioni di contenimento: Molto difficili, in quanto l’unica prevenzione efficace consiste in un ripristino vegetazionale delle comunità forestali autoctone, atto a scoraggiare l’intromissione dell’aliena. Note: La pianta è diffusa efficientemente dagli uccelli frugivori e può contare su potenti “riserve”, in quanto tradizionalmente coltivata nei parchi e nei giardini di tutta la regione lacuale insubrica. Nel passato questa specie era stata confusa con il vero canforo (C. camphora), di cui non è nemmeno certa la presenza colturale nel nostro territorio, che si distingue per la faccia abassiale delle foglie intensamente e persistentemente glauca anche nel secco e per la nervatura fogliare sempre di tre ordini (triplinervia). Bibliografia: Brusa et al., 2007; Cerabolini et al., 2008 lenticchia d’acqua minuscola Famiglia: Araceae Nome scientifico: Lemna minuta Kunth Nome volgare: lenticchia d’acqua minuscola Sinonimi: Lemna minima Phil. ex Hegelm., non Thuill. ex P.Beauv., nom. illeg. Lemna minuscula Herter, nom. illeg. Tipo biologico: Hynat Descrizione: Pianta acquatica natante, consistente in una semplice lamina riempita di lacune aerifere (per galleggiare), ovatooblunga, di 0.8-4×0.5-2.5 mm, subacuta alle estremità, con faccia superiore un po’ convessa, solitaria o a gruppi di 2-4; sotto ogni lamina pende una sottile radichetta avvolta da una guaina, che pesca nell’acqua. È visibile sulla pagina superiore una sola, debole nervatura, estesa tra il punto corrispondente all’inserzione della radichetta e l’apice della lamina. Infiorescenza piccolissima, prodotta al margine della lamina in una cavità sacciforme, costituita da un fiore maschile ridotto a (1-)2 stami disuguali in lunghezza (a volte il più breve mancante) e da un fiore femminile consistente in un ovario, entrambi circondati da una spata. Il frutto è una microscopica bacca contenente 1 seme provvisto di costolature longitudinali. Periodo di fioritura: aprile-ottobre. Area d’origine: America temperata e subtropicale. Habitat: Ambienti acquatici: risaie, rive, stagni, fossi, bracci morti, paludi (canneti e cariceti a grandi carici), pozze in paludi e acque lente. Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla fascia planiziale alla montana (0-1˙600 m s.l.m.); la sua diffusione è sicuramente più ampia di quella conosciuta in quanto è quasi sempre confusa con L. minor L. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (NAT), Lodi (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV). [L. aequinoctialis: Bergamo (CAS), Cremona (NAT), Pavia (NAT)] [Landoltia punctata: Brescia (NAT), Pavia (NAT)] Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia e in Lombardia probabilmente nel secolo scorso. Segnalata per la prima volta da Desfayes (1993), che l’ha osservata dal 1989; in precedenza è sicuramente stata sempre confusa con l’autoctona L. minor. Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Come tutte le lenticchie d’acqua (Araceae subfam. Lemnoideae) prolifera in abbondanza sul pelo dell’acqua, formando densi ed estesi tappeti monofitici, che riducono la penetrazione della luce e gli scambi gassosi subacquei. Questa particolare prolificità, che si manifesta soprattutto in acque meso-eutrofiche, deprime la diversità della vegetazione autoctona galleggiante, sottraendo spazio non solo a L. minor L., L. gibba L. e Spirodela polyrhiza (L.) Schleid., ma anche al lamineto a Nymphaea alba L., Nuphar lutea (L.) Sm. e Nymphoides peltata (S.G.Gmel.) Kuntze; fatto, questo, che determina anche un’alterazione del paesaggio. Azioni di contenimento: Rimozione del tappeto verde natante e relativo, periodico monitoraggio. Note: Nel territorio è naturalizzata anche la lenticchia d’acqua delle risaie (L. aequinoctialis Welw., incl. L. paucicostata Hegelm.), un’altra neofita circum(sub)tropicale, di aspetto molto simile all’autoctona L. minor, ma con lamina subrotondo-subovata di colore verde giallastro; segnalata per la prima volta da Koch (1952) che l’ha raccolta in Lomellina (PV) nel 1951. Da L. minuta si distingue per le dimensioni maggiori (2-5 mm), per 3 nervature visibili sulla lamina e per la radice ad apice acuto e guaina provvista di 2 espansioni alari. L. perpusilla Torr., invece, è specie endemica del Nordamerica centrale e orientale ed è da escludere dal continente europeo (Landolt, 1986), sebbene segnalata anche di recente (es. Desfayes, 2005). Le differenze morfologiche tra queste ultime due specie sono minime, ma la loro distinzione è ben pronunciata sul piano ecologico (Landolt, 1986; Crawford et al., 2002), allozimico (Crawford et al., 2002) e del DNA (Les et al., 2002). In Lombardia si trova pure Landoltia punctata (G.Mey.) Les & D.J.Crawford (= Lemna p. G.Mey., = Spirodela p. (G.Mey.) C.H.Thomps., = Lemna oligorrhiza Kurz, = Spirodela o. (Kurz) Hegelm.; lenticchia d’acqua occidentale), specie tropicale (emisfero australe e Asia orientale) segnalata per la prima volta da Pignatti (1955), riconoscibile per la presenza di più radici, come in Spirodela. Da quest’ultimo genere, però si distingue per le fronde 1½-2 volte più lunghe che larghe (1-1½ in Spirodela) con (3-) 5-7 nervi (7-16(-21) in Spirodela) e (1-)2-7(-12) radici (7-21 in Spirodela). È una specie altamente polimorfa e Spirodela oligorrhiza non appare distinta da essa (Landolt, 1986). Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Crawford et al., 2002; Desfayes, 1993, 1997; Desfayes, 2005; Frattini, 2008; Giordana, 1995; Koch, 1952; Landolt, 1986; Les et al., 2002; Pignatti, 1955; Zanotti, 2000 34 35 lenticchietta d’acqua Famiglia: Araceae Nome scientifico: Wolffia arrhiza (L.) Horkel ex Wimm. Nome volgare: lenticchietta d’acqua Basionimo: Lemna arrhiza L. Tipo biologico: Hynat Descrizione: Pianta acquatica natante ridotta a una lamina ovoide, semiglobosa, della dimensione massima di 0.5-1.2 mm (è la più piccola spermatofita della flora europea), piana e verde scuro sulla faccia superiore, convessa e giallastra su quella inferiore, priva di radici. La riproduzione avviene unicamente per via vegetativa, con formazione a catena di 1-2 gemme marginali per lamina. Periodo di fioritura: Non fiorisce in clima temperato a causa del fotoperiodo (pianta brevidiurna); riproduzione esclusivamente vegetativa. Area d’origine: Paleotropica. Habitat: Risaie, canali artificiali, stagni ed acque lente oligotrofe. Distribuzione nel territorio: Dalla fascia planiziale a quella collinare (0-300 m s.l.m.). Brescia (NAT), Cremona (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia all’inizio del Settecento. Segnalata per la prima volta presso Firenze (Micheli, 1729), in Lombardia è stata riportata da Arcangeli (1894) a Bernareggio (MI). Modalità d’introduzione: Imprecisabile, sebbene probabilmente accidentale con il trasferimento di piante acquatiche. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante, anche se può formare popolamenti clonali massivi. Azioni di contenimento: Monitoraggio periodico (annuale) per valutare l’evoluzione demografica delle popolazioni sul territorio; eventuale raccolta con appositi strumenti (setaccio con maglie di 120 μm). Bibliografia: Arcangeli, 1894; Landolt, 1986; Micheli, 1729 sagittaria americana Famiglia: Alismataceae Nome scientifico: Sagittaria latifolia Willd. Nome volgare: sagittaria americana, sagittaria a foglie larghe Sinonimi: Sagitta latifolia (Willd.) Nieuwl. Sagittaria esculenta Howell Sagittaria hastata Pursh Sagittaria variabilis Engelm. Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a circa 1 m; stoloni presenti. Foglie emerse lunghe 6-50 cm; picciolo triangolare; lamina sagittata, 1.5-30×2-17 cm, con lobi basali lunghi quanto o poco meno il resto della lamina. Infiorescenza emersa, 4.538×4-23 cm, composta da un racemo di 3-9 verticilli di fiori unisessuali (i maschili solitamente apicali all’infiorescenza); fiori con diametro di 3-4 cm; sepali patenti sino a riflessi; petali completamente bianchi. Frutto costituito da una testa di acheni di forma oblanceolata e rostrati. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: America (dall’Alaska sino all’Ecuador). Habitat: Specie tipica di ambienti palustri (laghi, stagni, canali irrigui in fase di interramento, ecc.), dove cresce soprattutto in prossimità delle rive o in acque poco profonde. Distribuzione nel territorio: Sembra avere la principale distribuzione nella pianura occidentale (50-300 m s.l.m.), mentre è più rara a oriente. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Milano (INV), Pavia (NAT), Varese (INV). [S. platyphylla: Varese (EST).] Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Lombardia tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, naturalizzata almeno dal 1940 (Stucchi, 1950). Modalità d’introduzione: Deliberata, per idrofloricoltura. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Negli ultimi anni ha avuto un’impressionante diffusione, soprattutto nel bacino del Lago di Varese, dove ha invaso il canneto in presenza di una falda affiorante. È inoltre infestante all’interno dei canali irrigui. Azioni di contenimento: Dato il tipo di ambiente che invade e la presenza frammista ad altre specie, il contenimento di questa specie risulta assai problematico. Negli ambienti naturali si suggerisce pertanto un’azione immediata, eradicando ogni singola nuova popolazione prima che questa si consolidi e si espanda nell’area di neo-invasione. Note: Questa specie esotica può essere confusa l’autoctona S. sagittifolia L., oggi divenuta assai rara, che si distingue per le foglie emerse più piccole (5-10×1-2 cm), i fiori più piccoli (diametro di 1.5-2 cm) e per i petali con una macchia rossastra alla base. Segnalata in passato (Stucchi, 1953a) per il territorio lombardo (Lago di Comabbio a Varano Borghi, VA) anche S. platyphylla (Engelm.) J.G.Sm. (= Sagittaria graminea Michx. var. platyphylla Engelm., = Sagittaria mohrii J.G.Sm. ex C.Mohr; sagittaria centroamericana), che si distingue dalle congeneri per le foglie emerse lanceolate e i fiori minuti (diametro di 0.8-1.5 cm); la presenza di quest’ultima specie non è stata di recente confermata ed è quindi da considerarsi estinta in Lombardia. Bibliografia: Stucchi, 1950, 1953a, 1953b 36 37 peste d’acqua maggiore Famiglia: Hydrocharitaceae Nome scientifico: Egeria densa Planch. Nome volgare: peste d’acqua maggiore Sinonimi: Anacharis densa (Planch.) Vict. Elodea densa (Planch.) Casp. Philotria densa (Planch.) Small Tipo biologico: Hyrad Descrizione: Erba acquatica con fusti sommersi, ramosi, fogliosi su tutta la lunghezza, in particolare nella parte distale, più robusta delle simili Elodea canadensis ed E. nuttallii (vedi schede). Foglie di 10-40×1.5-4.5 mm, verticillate a 4-6. Fiori unisessuali (pianta dioica: da noi solo individui maschili) bianchi, con diametro di 1.5-2 cm, con perianzio di 6 elementi in 2 verticilli, gli interni bianchi. Frutto non osservato; la propagazione, come per Elodea canadensis ed E. nuttallii, avviene solo per via vegetativa. Periodo di fioritura: settembre. Area d’origine: Sudamerica. Habitat: Canali, stagni, anse lacustri, acque ferme. Distribuzione nel territorio: Prevalentemente in ambito planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Italia e in Lombardia nella prima metà del secolo scorso, osservata presso Angera dal 1947 (Koch, 1950; Giacomini, 1950). Modalità d’introduzione: Deliberata, per idrofloricoltura e per acquari. Status: Naturalizzata. Dannosa: Apparentemente no. Impatto: Limitato. Azioni di contenimento: La lotta per il controllo delle specie acquatiche è difficile: per via meccanica si deve intervenire in estate, ma il miglior approccio è la prevenzione. Acquistando piante per stagni e acquari, è più corretto puntare su specie indigene ed è necessario che questo principio si affermi nel pensare comune; gli acquari che contengono acquatiche aliene non devono essere mai svuotati direttamente nei laghi o nei fiumi, ma su un supporto asciutto e ben esposto al sole, lontano da possibili convogliamenti verso corpi d’acqua. Risulta invasiva negli Stati Uniti meridionali, pertanto va tenuta sotto monitoraggio. Bibliografia: Giacomini, 1950; Koch, 1950; Pirola, 1964a; Wolff, 1980 peste d’acqua comune Famiglia: Hydrocharitaceae Nome scientifico: Elodea canadensis Michx. Nome volgare: peste d’acqua comune Sinonimi: Anacharis canadensis (Michx.) Planch. Udora canadensis (Michx.) Nutt. Tipo biologico: Hyrad Descrizione: Erba acquatica con fusti sommersi, ramosi, fogliosi su tutta la lunghezza, in particolare nella parte distale. Foglie verticillate a 3(-4), rigidette e un po’ arcuate, oblungo-lineari, lunghe 5-10 mm, con apice da largamente acuto a ottuso, larghe 1.1 ± 0.03 mm (misura da prendere 0.5 mm al di sotto dell’apice). Fiori unisessuali (pianta dioica: da noi solo individui femminili), i maschili sessili, in spata oblungo-lineare di 1-13 mm, i femminili larghi 4-5.5 mm, su peduncoli capillari di 1-2 cm, con perianzio di 6 elementi in 2 verticilli, gli interni bianchi; stimmi 3, bilobi, porporini. Frutto non osservato; la propagazione avviene solo per via vegetativa. Periodo di fioritura: giugno-luglio. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Acque correnti, stagni, laghi. Distribuzione nel territorio: Soprattutto in ambito planiziale. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (NAT), Lodi (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Nella prima metà dell’800 vennero introdotte in Europa delle piante femminili; il professor Agostini la ebbe a Mantova da Altona nel 1866 e da qui la spedì all’Orto Botanico di Padova nel 1867. Da allora si naturalizzò in tutta Italia: nel 1873 nel veronese, nel 1879 a Mantova dove fu introdotta per «purgare le acque malsane» (Paglia, 1879), nel 1886 nel pavese, dove era coltivata nell’Orto botanico (Bozzi, 1888) e nel 1891 a Padova; in seguito venne osservata nel bresciano (da dopo il 1892: Ugolini, 1897, 1921), nel Lago di Garda (1894) e in Val d’Adige (1898); verso il 1900 comparve sul Lago Maggiore e nel Napoletano, nel 1906 veniva riferita abbondante intorno a Treviso e nel 1909 nel Lago di Como, prima del 1920 comparve nel Pisano, nella pianura romagnola e nelle Paludi Pontine. Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini idrofloricolturali. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Localmente può andare incontro ad esplosioni demografiche, a scapito della flora acquatica indigena, con conseguente perdita di biodiversità. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10 / 2008 della Lombardia. Azioni di contenimento: La lotta per il controllo delle specie acquatiche è difficile: per via meccanica si deve intervenire in estate, ma il miglior approccio è la prevenzione. Acquistando piante per stagni e acquari, è più corretto puntare su specie indigene ed è necessario che questo principio si affermi nel pensare comune; gli acquari che contengono elodea o altre acquatiche aliene non devono essere mai svuotati direttamente nei laghi o nei fiumi, ma su un supporto asciutto e ben esposto al sole, lontano da possibili convogliamenti verso corpi d’acqua. Note: Negli anni ’50 dello scorso secolo era un’inquilina comunissima della pianura lombardo-piemontese, tanto da costringere gli agricoltori a costosi lavori di espurgo dei canali d’irrigazione. Già a partire dagli anni ’80, invece, ebbe inizio un regresso causato probabilmente dall’eutrofizzazione delle acque interne o da un’infezione parassitica, o anche dall’interazione di entrambe le cause. Oggi è in ripresa, ma in competizione con la congenere E. nuttallii, che si differenzia per le foglie con apice da strettamente acuto ad acuminato, larghe 0.4 ± 0.02 mm (misura da prendere 0.5 mm al di sotto dell’apice) (Simpson, 1988). A tutt’oggi non sembrano essere stati mai introdotti cloni maschili della pianta. Bibliografia: Bozzi, 1888; Paglia, 1879; Simpson, 1988; Ugolini, 1897, 1921; Wolff, 1980 38 39 peste d’acqua di Nuttall Famiglia: Hydrocharitaceae Nome scientifico: Elodea nuttallii (Planch.) H.St.John Nome volgare: peste d’acqua di Nuttall Basionimo: Anacharis nuttallii Planch. Sinonimi: Anacharis callitrichoides auct., non Rich. Elodea callitrichoides auct., non (Rich.) Casp. Elodea ernstiae auct., non H.St.John Philotria nuttallii (Planch.) Rydb. Tipo biologico: Hyrad Descrizione: Erba acquatica con fusti sommersi, ramosi, fogliosi su tutta la lunghezza, in particolare nella parte distale. Foglie verticillate a 3, sessili, intere, lanceolate, appuntite e ricurve all’estremità, vagamente ritorte, color verde chiaro; sono lunghe circa 10 mm, con apice da strettamente acuto ad acuminato, larghe 0.4 ± 0.02 mm (misura da prendere 0.5 mm al di sotto dell’apice). Fiori unisessuali (pianta dioica) di 3-5 mm di diametro, con perianzio di 6 segmenti violetti. Periodo di fioritura: giugno-luglio. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Acque correnti, stagni, laghi. Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla pianura alla montagna; è tra le specie esotiche che raggiungono le maggiori altitudini (Galasso & Banfi, 2009), arrivando sino a 1˙885 m s.l.m. nei Laghetti di Bruffione e a 1˙890 m nel Laghetto di Mignolo superiore, entrambi nel gruppo dell’Adamello (BS). Bergamo (NAT), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (NAT), Lodi (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombardia da Desfayes (1995) che la raccolse nel 1989 a Crone (comune di Idro) sul Lago d’Idro (BS); secondo lo stesso autore la precedente segnalazione di E. canadensis di Béguinot (1931) per il medesimo lago potrebbe essere ricondotta a E. nuttallii, anche se, secondo noi, nel frattempo potrebbe essere stata sostituita dalla nuova esotica analogamente a quanto avvenuto in altri corpi d’acqua. Modalità d’introduzione: Deliberata, per commercio ortofloricolo (laghetti, acquari ecc.). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Localmente può andare incontro ad esplosioni demografiche, a scapito della flora acquatica indigena, con conseguente perdita di biodiversità. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10 / 2008 della Lombardia. Azioni di contenimento: La lotta per il controllo delle specie acquatiche è difficile: per via meccanica si deve intervenire in estate, ma il miglior approccio è la prevenzione. Acquistando piante per stagni e acquari, è più corretto puntare su specie indigene ed è necessario che questo principio si affermi nel pensare comune; gli acquari che contengono elodea o altre acquatiche aliene non devono essere mai svuotati direttamente nei laghi o nei fiumi, ma su un supporto asciutto e ben esposto al sole, lontano da possibili convogliamenti verso corpi d’acqua. Note: Si incontrano due fenotipi, spesso conviventi o persino presenti sulla medesima pianta, uno con foglie corte e ricurve, l’altro con foglie lunghe e piane o ± ritorte. Quest’ultimo in Europa (es. Wolff, 1980; Vanderpoorten et al., 2000) è stato a volte interpretato appartenere a un’altra specie, E. callitrichoides (= E. ernstiae); tuttavia, indagini morfologiche accurate e analisi del DNA (AFLP) hanno mostrato come questi due fenotipi siano entrambi espressioni di E. nuttallii (Vanderpoorten et al., 2000). Spesso confusa con E. canadensis, che si differenzia per le foglie con apice da largamente acuto a ottuso, larghe 1.1 ± 0.03 mm (misura da prendere 0.5 mm al di sotto dell’apice) (Simpson, 1988). peste d’acqua arricciata Famiglia: Hydrocharitaceae Nome scientifico: Lagarosiphon major (Ridl.) Moss Nome volgare: peste d’acqua arricciata Basionimo: Lagarosiphon muscoides Harv. var. major Ridl. Tipo biologico: Hyrad Descrizione: Erba acquatica con fusti cilindrici (diametro 2-3 mm) sommersi, ramosi. Foglie lineari, traslucide, verde scuro, lunghe 20-30 mm, con due minute squame nodali, con margine intero, ottuse, fortemente arcuato-ricurve, conferenti un caratteristico aspetto arricciato alle fronde, le inferiori in file elicoidali, le superiori verticillate a 4 o più. Pianta dioica, con infiorescenze avvolte in spate tubulose, ascellari, sessili, le maschili multiflore, le femminili 1(-3)-flore; fiori con 3 sepali e 3 petali subeguali; i maschili, all’apertura della spata, distaccantisi e galleggianti sull’acqua (come in Vallisneria) con 3 stami e 3 staminodi; i femminili con ovario sessile all’interno della spata, prolungato all’apice in 3 stili bifidi, liberi. Periodo di fioritura: agosto-settembre. Area d’origine: Africa tropicale e subtropicale. Habitat: Canali, acque stagnanti, laghi. Distribuzione nel territorio: In ambito planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (INV), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT). [Blyxa japonica: Pavia (NAT).] [Vallisneria americana: Brescia (NAT), Milano (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia e in Lombardia nel 1947 sul Lago Maggiore ad Angera da Koch (1950). Modalità d’introduzione: Deliberata, per piante d’acquario e da giardinaggio palustre. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Localmente può andare incontro ad esplosioni demografiche, a scapito della flora acquatica indigena, con conseguente perdita di biodiversità. Azioni di contenimento: La lotta per il controllo delle specie acquatiche è difficile: per via meccanica si deve intervenire in estate, ma il miglior approccio è la prevenzione. Acquistando piante per stagni e acquari, è più corretto puntare su specie indigene ed è necessario che questo principio si affermi nel pensare comune; gli acquari che contengono acquatiche aliene non devono essere mai svuotati direttamente nei laghi o nei fiumi, ma su un supporto asciutto e ben esposto al sole, lontano da possibili convogliamenti verso corpi d’acqua. Note: Fa parte di quel contingente alieno tropicale capace di oltrepassare abbondantemente il confine della zona temperata. Alle Hydrocharitaceae appartengono altre due aliene naturalizzate nel nostro territorio: Blyxa japonica (Miq.) Maxim. ex Asch. & Gürke (= Hydrilla j. Miq.; peste d’acqua giapponese) e Vallisneria americana Michx. (vallisneria americana). La prima, segnalata per le risaie pavesi da Pirola (1964b), si riconosce per le foglie piane (non arcuate), con margine minutamente denticolato. La seconda, segnalata da Frattini (2008) per la pianura bresciana dove è nota da oltre un decennio, ma presente anche a Milano nel Naviglio della Martesana, è simile all’autoctona Vallisneria spiralis L., ma maggiore: le foglie possono giungere a 1.1 m. Bibliografia: Koch, 1950; Frattini, 2008; Pirola, 1964a, 1964b; Stucchi, 1953b; Wolff, 1980 Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Galasso & Banfi, 2009; Bonali et al., 2006a; Béguinot, 1931; Desfayes, 1995; Simpson, 1988; Vanderpoorten et al., 2000; Wolff, 1980; Zanotti, 2000 40 41 ranocchina delle risaie Famiglia: Hydrocharitaceae Nome scientifico: Najas gracillima (A.Braun ex Engelm.) Magnus Nome volgare: ranocchina delle risaie Basionimo: Najas indica (Willd.) Cham. var. gracillima A.Braun ex Engelm. Sinonimi: Najas japonica Nakai Tipo biologico: Hyrad Descrizione: Pianta erbacea perenne, con fusti lunghi fino a 50 cm; internodi lunghi 0.2-0.7 mm, privi di spinule. Foglie lineari, opposte o verticillate, da eretto-patenti a decisamente patenti, lunghe 0.5-3 cm; guaina larga 0.5-1.5 mm, con apice troncato, dotato di un brevissimo mucrone (minore di 0.3 mm); lamina larga 0.1-0.5 mm, margine con 13-17 denti per lato, apice acuto con 2-3 denti. Fiori unisessuali, ascellari, in numero di 1-3, maschili e femminili sullo stesso individuo (pianta monoica); i maschili di circa 1.5-2 mm, i femminili di 0.5-3 mm. Frutti diritti, affusolati, di 2-3.2×0.4-0.7 mm, bruno chiaro; stilo peristente, inserito lateralmente all’apice del frutto. Periodo di fioritura: giugno-luglio. Area d’origine: Presumibilmente Asia orientale (Cina e Giappone). Habitat: Risaie e relativi canali adacquatori, dove vive sommersa in acque poco profonde. Distribuzione nel territorio: In pianura, dalla Lomellina al lodigiano. Lodi (NAT), Milano (NAT), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia (Lomellina) da Koch (1952), che la vide nel 1951. Modalità d’introduzione: Accidentale, con il riso. Status: Naturalizzata. Dannosa: Sì, per la risicoltura. Impatto: È soprattuto una malerba, che infesta le risaie nel periodo di allagamento. Azioni di contenimento: Eventuale diserbo selettivo in risaia. Note: Riconoscibile dalle congeneri per la posizione eccentrica dello stilo all’apice del frutto. Sulla base dei soli caratteri vegetativi, questa specie può essere confusa con alcune congeneri, come N. graminea (vedi scheda), che differisce per la guaina fogliare terminante in due evidenti lacinie lunghe sino a 2 mm, ma soprattutto l’autoctona N. minor All., assai più robusta e con foglie macroscopicamente dentate (denti poco apprezzabili in N. gracillima). Bibliografia: Koch, 1952; Pirola, 1964b; Triest, 1988 42 ranocchina tropicale Famiglia: Hydrocharitaceae Nome scientifico: Najas graminea Delile Nome volgare: ranocchina tropicale Sinonimo: Caulinia alagnensis Pollini Caulinia graminea (Delile) Batt. Caulinia graminea (Delile) Tzvelev, comb. superfl. Caulinia microphylla Nocca, non Nocca & Balb., nom. illeg. Najas alagnensis (Pollini) Pollini Najas microphylla Rchb. Tipo biologico: Hyrad Descrizione: Pianta erbacea perenne, con fusti lunghi fino a 35 cm; internodi lunghi 0.4-1.9 mm, privi di spinule. Foglie lineari, opposte o verticillate, da eretto-patenti a decisamente patenti, lunghe 0.8-2 cm; guaina larga 1-1.5 mm, con apice terminante in due lacinie lunghe sino a 2 mm; lamina larga 0.5-1 mm, con margine portante sino a 40 denti per lato ed apice acuto 2-3-dentato. Fiori unisessuali, ascellari, in numero di 1-2, maschili e femminili sullo stesso individuo (pianta monoica); i maschili larghi 2-3 mm, i femminili sino a 3.5 mm. Frutti diritti, fusiformi, di 1.7-2.5×0.4-0.6 mm, bruno-verdastri; stilo persistente, in posizione centrale all’apice del frutto. Periodo di fioritura: giugno-luglio. Area d’origine: Asia sudorientale (dall’India alle Filippine). Habitat: Risaie, canali. Distribuzione nel territorio: Planiziale. Brescia (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia da Pollini (1814), che la descrisse come specie nuova delle risaie lomelline di Alagna (PV). In seguito, in Lombardia è stata segnalata da Reichenbach (1831) a Milano e da Cesati et al. (1871) alla Merlata (località alle porte di Milano: Banfi & Galasso, 1998); le indicazioni per il mantovano di Bertoloni (1854) e di Masè (1868), riprese da Paglia (1879), sono entrambe erronee e da ricondurre a N. minor (Parlatore, 1860; Cesati et al., 1871). Modalità d’introduzione: Accidentale, con il riso. Status: Naturalizzata. Dannosa: Ambientalmente no, ma può costituire un problema per la risicoltura. Impatto: Debole, in risaia. Azioni di contenimento: Eventuale diserbo selettivo in risaia. Note: Appartiene al contingente floristico sudestasiatico, che, assieme a una minore porzione di quello nordamericano, caratterizza l’ambiente di risaia. Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Bertoloni, 1854; Cesati et al., 1871; Ciferri et al. 1949; Masè, 1868; Paglia, 1879; Parlatore, 1860; Pirola, 1964b; Pollini, 1814; Reichenbach, 1831; Triest, 1988 43 falsa mestolaccia Famiglia: Hydrocharitaceae Nome scientifico: Ottelia alismoides (L.) Pers. Nome volgare: erba-coltella delle risaie, falsa mestolaccia Basionimo: Stratiotes alismoides L. Sinonimi: Ottelia japonica Miq. Tipo biologico: Hyrad Descrizione: Pianta erbacea acquatica annuale, alta 20-40 cm, con radici fascicolate. Foglie con picciolo di 8-13 cm, a sezione triangolare e lamina ovato-cordata di 9-17×7-16 cm, spesso arrossata, a margine intero, con 7-11 nervi longitudinali collegati da sottili nervature trasversali secondarie. Fiori solitari, emersi su peduncoli di 5-40 cm, involucrati da una spata derivante da due brattee fuse, che presenta ali longitudinali ondulate; perianzio a 3 sepali strettamente triangolari, di 10-15×3-4 mm e 3 petali ovato-subrotondi di 15-20×12-18 mm, bianchi soffusi di azzurro; stami 3; ovario supero, triloculare. Il frutto è una capsula loculicida a tre valve. Periodo di fioritura: agosto-settembre. Area d’origine: Asia sudorientale. Habitat: Risaie. Distribuzione nel territorio: Lomellina. Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia nel 1950 in Piemonte e probabilmente giunta prima del 1947 (Fenaroli, 1952; Koch, 1952; Piacco, 1952). In Lombardia segnalata inizialmente da Pirola (1964b), in seguito da Pesce et al. (1975) e Desfayes (2005). Modalità d’introduzione: Accidentale (con la flora risicola). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Non necessarie. tulipano di Clusius Famiglia: Liliaceae Nome scientifico: Tulipa clusiana DC. Nome volgare: tulipano di Clusius Tipo biologico: Gbulb Descrizione: Pianta erbacea perenne con bulbo provvisto di tuniche internamente lanose. Foglie 2-5, lineari, di circa 30×1 cm, glauche. Scapo unifloro, eccezionalmente bifloro; fiori di aspetto stellato, con perianzio di 6 segmenti su due verticilli, ovato-acuti, gradualmente ristretti verso l’apice, bianchi o crema, esternamente rosso carminio sfumato fino al bianco verso i margini. Androceo di 6 stami con filamento allargato alla base e antera basifissa, introrsa; ovario supero, allungato, con stimma apicale sessile. Frutto a capsula loculicida, trivalve, contenente numerosi semi bruni, appiattiti. Periodo di fioritura: aprile-giugno. Area d’origine: Medio Oriente (Siria, Persia). Habitat: Vigneti, incolti, margini erbosi, mura. Distribuzione nel territorio: Planiziale-collinare, nella Lombardia centro-orientale. Bergamo (NAT), Brescia (CAS), Milano (CAS), Mantova (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta e coltivata a Firenze nel 1606 (Ugolini, 1921). In Lombardia segnalata da Zersi (1871) per Bergamo, Ugolini (1921) per il bresciano dal 1877, Paglia (1879) per il mantovano, Rodegher & Venanzi (1894) ancora per Bergamo, nella medesima località in cui è stata nuovamente raccolta nel 2006 da Perico (2006). Modalità d’introduzione: Deliberata, per uso ornamentale da giardino. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Nullo. Bibliografia: Paglia, 1879; Perico, 2006; Rodegher & Venanzi, 1894; Ugolini, 1921; Zersi, 1871 Bibliografia: Desfayes, 2005; Fenaroli, 1952; Koch, 1952; Pesce et al., 1975; Piacco, 1952; Pirola, 1964b 44 45 tulipano precoce Famiglia: Liliaceae Nome scientifico: Tulipa raddii Reboul Nome volgare: tulipano precoce Sinonimi: Tulipa praecox Ten., nom. illeg. giglietto blu Famiglia: Iridaceae Nome scientifico: Sisyrinchium montanum Greene Nome volgare: giglietto blu Sinonimi: Sisyrinchium angustifolium auct., non Mill. Sisyrinchium bermudianum auct., non L. Tipo biologico: Gbulb Descrizione: Pianta erbacea perenne con bulbo ricoperto di tuniche, che sulla faccia interna (adassiale) presentano una fitta cotonosità biancastra. Foglie 3-5, da lanceolate a oblanceolate, glauche, le inferiori fino a 35×7 cm. Scapo unifloro, alto fino a 65 cm; fiore con perianzio di 6 segmenti su due verticilli, di cui i 3 esterni da ovati a ellittici, lunghi 4-10 cm, i 3 interni ovati, lunghi non oltre 7 cm; tutti i segmenti di un bel rosso aranciato con stria mediana verde all’esterno, nell’insieme delimitanti all’interno un’area centrale circolare bruno-verdastra, orlata di giallo vivo; stami 6 con filamento allargato verso la base e antera basifissa, introrsa; ovario tricarpellare, supero, espanso apicalmente in uno stimma sessile. Il frutto è una capsula loculicida a 3 valve, con semi appiattiti, impilati in colonne uno sull’altro. Periodo di fioritura: aprile-maggio. Area d’origine: Medio Oriente (Siria, Asia minore). Habitat: Incolti soleggiati, vigneti. Distribuzione nel territorio: Planiziale-collinare, nella Lombardia centro-orientale. Bergamo (EST), Brescia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia dal principio dell’Ottocento. Segnalata per la Lombardia da Zersi (1871). Presente nei vigneti del limitrofo Appennino alessandrino nei pressi di Tortona, è da ricercarsi nell’Oltrepo pavese. Modalità d’introduzione: Deliberata, per uso ornamentale da giardino. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Paesaggistico: rende gradevoli i vigneti condotti coi metodi tradizionali (inerbimento, vangatura) nei quali ancora cresce. Tipo biologico: Grhiz Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a 50 cm, cespitosa, dotata di rizomi sottili. Fusto semplice, alato, largo 1.5-4 mm. Foglie generalmente tutte basali, larghe 2-3 mm e lunghe la metà del fusto ed oltre. Infiorescenze composte normalmente da un singolo fiore; tepali in numero di 6, patenti a stella, appena saldati alla base, ellittici, 6-8×3-5 mm, bluviola con una macchia gialla alla base. Frutto costituito da una capsula globosa oppure obovoide, 4-7 mm; semi da globosi ad obconici, 1-1.5 mm. Periodo di fioritura: maggio-giugno. Area d’origine: Nordamerica (tra Canada e Stati Uniti). Habitat: Luoghi prativi umidi. Distribuzione nel territorio: Altoplaniziale-collinare, nella Lombardia occidentale. Milano (CAS), Sondrio (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia probabilmente nel XVII secolo; osservata spontanea in Germania sin dal 1841 e raccolta per la prima volta in Italia nel 1904 in Piemonte (Mattirolo, 1919). In Lombardia segnalata per la prima volta da Stucchi (1949b), che riporta un dato del sacerdote Carlo Cozzi del 1943 per la linea del tram tra Samarate e Gallarate (VA), e da Giacomini (1950) per Milano. Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Nessuno. Bibliografia: Zersi, 1871 Note: Indicata nelle flore italiane e straniere ora come S. “bermudiana” ora come S. angustifolium, si tratta in realtà di una specie la cui identità non corrisponde né all’uno né all’altro binomio; in effetti tutte e tre le entità afferiscono a un gruppo difficile, nel quale i singoli componenti si differenziano per caratteri minuti di significato sistematico non ancora pienamente chiarito. S. montanum, tuttavia, si distingue agevlmente per il fusto non ramificato (Ward, 1968; Parent, 1980; Choleva & Henderson, 2002). Bibliografia: Choleva & Henderson, 2002; Giacomini, 1950; Mattirolo, 1919; Parent, 1980; Stucchi, 1949b; Ward, 1968 46 47 giglio di San Giuseppe Famiglia: Hemerocallidaceae (= Xanthorrhoeaceae subfam. Hemerocallidoideae) Nome scientifico: Hemerocallis fulva (L.) L. Nome volgare: giglio di San Giuseppe, emerocallide comune Basionimo: Hemerocallis lilioasphodelus L. var. fulva L. Tipo biologico: Grhiz Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 50-120 cm, con rizoma sotterraneo sviluppato e radici dotate di rigonfiamenti fusiformi, biancastri, lunghi 1-2 cm; scapi fioriferi eretti, robusti, afilli, ramificati in alto. Foglie tutte basali, nastriformi-scanalate, di 30-50×2-3 cm. Infiorescenza terminale, costituita da due ramificazioni cimose, subeguali, per un totale di 5-8 fiori inodori; peduncoli di 1 cm; segmenti del perianzio 6 in 2 verticilli, saldati alla base in un breve tubo giallo, fulvo-aranciati, gli esterni oblungo-lanceolati, larghi circa 2 cm, gli interni obovato-spatolati, larghi 3 cm, con vistose venature anastomosate. Stami 6, ricurvi verso l’alto come pure lo stilo (pista di atterraggio degli impollinatori), con antere dorsifisse, introrse; ovario supero, triloculare. Il frutto non si forma per motivi di sterilità. Periodo di fioritura: maggio-giugno. Area d’origine: Asia orientale (Cina). Habitat: Fossi e ripe. Distribuzione nel territorio: Ovunque, in ambito planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia da metà del Cinquecento. Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Contenuto. Note: Il corredo cromosomico triploide (2n = 33) e la conseguente sterilità della pianta, fanno pensare che essa abbia avuto origine in tempi remoti, in Cina, dall’ibridazione di due specie sin qui non identificate. Fu certamente la prima emerocallide esotica ad essere introdotta in Europa, dove presto sfuggì alla coltivazione grazie a un’elevata efficienza propagativa e alla capacità di sostenere la competizione nel contesto delle comunità vegetazionali in cui si insedia. agave Comune Famiglia: Agavaceae (= Asparagaceae subfam. Agavoideae) Nome scientifico: Agave americana L. Nome volgare: agave comune, agave americana, pitta, zammara, zabbara Tipo biologico: Pros Descrizione: Pianta robusta, rizomatosa, con una rosetta principale di grandi foglie rigide e carnose, lineari-lesiniformi, larghe e lunghe fino a 180×30 cm, semicilindrico-concave nel profilo, di norma grigie, talvolta verde scuro marginate di giallo (cv. ‘Marginata’); i margini sono armati di robuste spine lunghe circa 1 cm e una spina più lunga segna l’apice della foglia. Possono essere presenti rosette fogliari secondarie più piccole attorno alla rosetta principale. L’infiorescenza, unica, centrale, è costituita da uno scapo molto robusto, a pieno sviluppo alto fino 5 m, con ramificazioni fiorifere sovrapposte a piramide su piani orizzontali. Fiori eretti, a 6 tepali giallognoli lunghi 5 cm, profumati e ridondanti di nettare; stami 6, lungamente sporgenti, ovario infero. Il frutto è una capsula obovoide di 4 cm contenente semi molto leggeri, neri e appiattiti. La fioritura avviene intorno ai 20-30 anni di vita della pianta; mentre i frutti maturano, la rosetta fogliare secca e muore (apaxantìa), ma, contrariamente a quanto riporta un luogo comune, la pianta continua benissimo a vivere sviluppando una delle rosette secondarie, che prende il posto di quella morta. Periodo di fioritura: (giugno-)luglio-agosto(-settembre). Area d’origine: Mesoamerica. Habitat: Pareti rocciose verticali, gradoni, pendii aridi soleggiati e riparati. Distribuzione nel territorio: Zona dei grandi laghi, in clima submediterraneo, soprattutto nel settore orientale: lungo le coste del Lago di Garda, più raramente d’Iseo, di Como e del Verbano. Brescia (NAT), Como (NAT), Lecco (NAT), Varese (NAT). [A. salmiana: Brescia (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta sicuramente prima del 1747, anno in cui Roncalli Parolino la indica naturalizzata. Ugolini (1921) e Giacomini (1950) riportano numerose notizie storiche. Modalità d’introduzione: Acclimatazione sperimentale in orti botanici e successiva diffusione come ornamentale. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Di rilevanza paesaggistica. Note: A. salmiana Otto ex Salm-Dyck (= A. ferox K.Koch, = A. salmiana Otto ex Salm-Dyck var. ferox (K.Koch) Gentry; agave feroce), del Messico centrale, raramente presente nei giardini della stessa area e solo occasionalmente sfuggita alla coltura (Banfi & Galasso, 2005) lungo le rupi del Lago di Garda, si distingue per il colore verde-bronzo del fogliame, per le foglie più tozze e prossimalmente più allargate e per le spine più lunghe e robuste. Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Comolli, 1835; García-Mendoza & Lott, 1994; Giacomini, 1950; Pollini, 1822a; Roncalli Parolino, 1747; Ugolini, 1921 48 49 yucca comune Famiglia: Agavaceae (= Asparagaceae subfam. Agavoideae) Nome scientifico: Yucca gloriosa L. Nome volgare: yucca comune Tipo biologico: Prosul Descrizione: Piante formanti rosette fogliari caulescenti, semplici o più spesso ramificate, alte sino a circa 3 m. Foglie 5090×3-6 cm, lineari-nastriformi, rigide o flessibili, eretto-patenti, quasi orizzontali, le inferiori spesso un po’ ricurve, con margine intero o minutamente e sparsamente denticolato, glauche almeno da giovani, spesso di un verde-grigio azzurrognolo. Infiorescenza a pannocchia, 50-120×40-50 cm; asse lungo 1-1.5 m; fiori pendenti; pedicelli fino a 2 cm, spesso arcuati; perianzio monoclamidato, globoso o campanulato, con 6 segmenti bianchi, bianco crema o bianco verdastro, di forma ellittica oppure ovale, 4-5×2-2.5 cm; stami 6 con filamento bianco, ingrossato; ovario supero, triloculare, con stimma a 3 lobi. Non fruttifica in Europa, per assenza dello specifico impollinatore. Periodo di fioritura: fioritura principale tra aprile e luglio, secondaria in settembre-ottobre. Area d’origine: Nordamerica sudorientale. Habitat: Ambienti antropizzati, soprattutto presso i centri abitati dove è spesso coltivata, ma veramente naturalizzata soltanto lungo il Lago di Garda. Distribuzione nel territorio: Specie termicamente esigente, è coltivata soprattutto nella zona dei grandi laghi insubrici, naturalizzata lungo il Lago di Garda (65-600 m s.l.m.). Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Cremona (CAS), Lodi (CAS), Milano (CAS), Mantova (CAS), Pavia (CAS). [Y. recurvifolia: Brescia (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XVII secolo; segnalata per la Lombardia da Ugolini (1921). Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini ortofloricoli. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: In Toscana sono in corso azioni di eradicamento nelle zone dunali costiere. Note: In Lombardia si coltivano altre specie di Yucca, tra cui Y. guatemalensis Baker (= Y. elephantipes Regel, nom. nud.; cfr. García-Mendoza & Lott, 1994; Jørgensen & León-Yánz, 1999; Balick et al., 2000), Y. filamentosa L., Y. recurvifolia Salisb. (yucca a foglie ricurve) e Y. aloifolia L. (yucca a foglie di aloe, yucca baionetta). Solo le ultime due, anch’esse del SE degli Stati Uniti, sono state osservate in natura: Y. recurvifolia naturalizzata alla Rocca di Manerba presso il Lago di Garda (BS)(Banfi, osservazioni personali), Y. aloifolia casuale nell’area benacense (BS)(Giacomini, 1950) e in provincia di Pavia (Ardenghi, in verbis 2009). Y. recurvifolia ha foglie flaccide e ricurve su tutta la lunghezza del fusto, infiorescenza molto aperta e fioritura principale differita ai mesi tardoestivo-autunnali; è una specie poco conosciuta, a volte trattata a rango varietale (Yucca gloriosa L. var. recurvifolia (Salisb.) Engelm.), che potrebbe non essere distinta da Y. gloriosa (Hess & Robbins, 2002) e per la quale sono necessari ulteriori studi sistematici. Y. aloifolia si distingue per le foglie verdi, mai glauche, con margine da scabro a denticolato, rigide, eretto-patenti e per i segmenti del perianzio più piccoli (3-4×1.2-2.2 cm); quest’ultima, inoltre, è l’unica in grado di fruttificare occasionalmente. palma cinese o di zhu shan Famiglia: Arecaceae Nome scientifico: Trachycarpus fortunei (Hook.) H.Wendl. Nome volgare: palma di Zhu Shan, palma cinese Basionimo: Chamaerops fortunei Hook. Sinonimi: Chamaerops excelsa auct., non Thunb. Trachycarpus excelsus auct., non (Thunb.) H.Wendl. Tipo biologico: Pscap Descrizione: Palma alta 5-12 m, con tronco eretto, snello ma robusto, di 10-20 cm di diametro, coperto da un copioso feltro bruno-grigiastro derivante dal dissolvimento delle guaine. Foglie a ventaglio (flabellate), con picciolo di 50-100 cm, minutamente dentellato ai margini e hastula (prolungamento adassiale del picciolo oltre la lamina) arrotondata; lamina formata da 25-65 segmenti induplicati (ripiegati a V per il lungo), verde scuro opaco di sopra, più o meno glaucescenti inferiormente. Infiorescenze interfogliari disposte a corona all’apice del fusto, ramose, inizialmente eretto-patenti, poi pendule, con numerosissimi piccoli fiori unisessuali (pianta dioica) a perianzio di 3 segmenti valvati, gialli, 6 stami (i maschili), 3 carpelli (i femminili). Il frutto è una drupa reniforme, ombelicata, di 6-7 mm, azzurrognolo-pruinosa a maturità, con pericarpo molto sottile ed endocarpo legnoso. Periodo di fioritura: marzo-maggio. Area d’origine: Asia orientale (già coltivata, ignota in natura). Habitat: Margini forestali, boschi e boscaglie. Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutto il territorio, ma veramente naturalizzata soltanto nella zona dei grandi laghi, nella cui porzione occidentale risulta invasiva. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (INV), Cremona (CAS), Lecco (INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (CAS), Pavia (CAS), Sondrio (CAS), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta nel 1830 in Inghilterra, successivamente nel resto d’Europa; in Italia dopo il 1850. Segnalata per la prima volta in natura in Lombardia da Banfi & Galasso (2005) e Macchi (2005). Le segnalazioni precedenti, come ad es. quella di Aeschimann et al. (2004)(che riprende i dati di Fornaciari, 1983, e Consonni, 1997) si riferiscono soltanto a individui coltivati. Modalità d’introduzione: Sperimentazione orticola (acclimatazione), quindi diffusione in parchi e giardini. Status: Invasiva in provincia di Varese, Como e Lecco; naturalizzata o casuale nel resto della regione. Dannosa: Sì. Impatto: Altera la struttura e la fisionomia delle comunità naturali legnose minacciandone la biodiversità. Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Banfi & Galasso, 2005, 2008b; Cerabolini et al., 2008; Consonni 1997; Fornaciari, 1983; Kleih, 2007; Macchi, 2005; Walther et al., 2001 Bibliografia: Balick et al., 2000; Banfi & Galasso, 2005; Giacomini, 1950; Hess & Robbins, 2002; Jørgensen & León-Yánez, 1999; Ugolini, 1921 50 51 erba-miseria asiatica Famiglia: Commelinaceae Nome scientifico: Commelina communis L. Nome volgare: erba-miseria asiatica Tipo biologico: Trept Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 30-70 cm, con fusto molle, prostrato o ascendente, zigzagante ai nodi. Foglie con guaina più o meno cilindrica e lamina ovato-lanceolata, acuta all’apice e arrotondata alla base, lunga 5-7 cm. Fiori zigomorfi, avvolti da una spata bratteiforme ripiegata per il lungo a semiluna; sepali ovati, membranosi; 3 petali di cui 2 più larghi, azzurro cielo e 1 ridotto, bianco; stami 6, di cui 3 non funzionali (staminodi); ovario supero, triloculare, con stilo capitato. Capsula loculicida, di norma con 4 semi rugosi. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Asia temperata. Habitat: Orli boschivi, sentieri, marciapiedi, margini di canaletti e risaie. Distribuzione nel territorio: In tutta la pianura, invasiva nella zona delle risaie. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (NAT), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal Settecento; segnalata in Lombardia in Lomellina da Pirotta (1890) come già abbondantemente naturalizzata. Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Abbassa la biodiversità delle comunità vegetali in cui si insedia, sottraendo spazio alle specie autoctone; inoltre infesta i margini delle risaie. Azioni di contenimento: Eventuale diserbo nelle risaie. erba-miseria delle risaie Famiglia: Commelinaceae Nome scientifico: Murdannia keisak (Hassk.) Hand.-Mazz. Nome volgare: erba-miseria delle risaie Basionimo: Aneilema keisak Hassk. Sinonimi: Aneilema blumei auct., non (Hassk.) Bakh.f. Dichoespermum blumei auct., non Hassk Murdannia blumei auct., non (Hassk.) Brenan Tipo biologico: Hrept Descrizione: Pianta erbacea perenne con fusti gracili, prostrato-diffusi e radicanti ai nodi. Foglie prive di picciolo, a lamina lanceolata lunga 3-5 cm, acuta, arrotondata alla base. Infiorescenze pauciflore all’ascella delle foglie superiori, sorrette da brevi peduncoli; fiori con calice di 3 sepali brevi e corolla di 3 petali rosa pallido, alternati ai sepali, ovati, subottusi; stami (2-)3; ovario supero. Il frutto è una capsula loculicida, trigona, lunga 6-7 mm, a 3 loculi ospitanti ciascuno 2 file di circa 8 semi. Periodo di fioritura: agosto-settembre. Area d’origine: Asia sudorientale. Habitat: Risaie, arginelli e sponde fangose. Distribuzione nel territorio: Lomellina (PV). Pavia (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta nel 1973 in Piemonte (Cook, 1973, sub M. blumei) come largamente naturalizzata da diverso tempo; in Lombardia viene qui segnalata per la prima volta (Maurizio Tabacchi, in verbis 2007). Modalità d’introduzione: Accidentale (con i ceppi asiatici di riso). Status: Invasiva. Dannosa: Solo nel contesto di infestazione delle risaie e dei relativi argini. Impatto: Specie infestante delle risaie, con impatto irrilevante altrove. Azioni di contenimento: Eventuale diserbo nelle risaie. Bibliografia: Cook, 1973 Note: Può confondersi con C. virginica L. (erba-miseria americana), originaria del Nordamerica orientale, che tuttavia è perenne, con fusti suberetti alti fino a 120 cm, guaine fogliari più o meno rigonfie con vistosi peli rossastri alla fauce, lamine ristrette alla base, petali meno marcatamente disuguali e capsule a 3 semi anziché 4. Questa specie, molto più rara è stata osservata casuale qua e là, soprattutto in pianura, per la prima volte nel pavese nel 1884 o anche prima (Bozzi, 1888). Bibliografia: Bozzi, 1888; Pirotta, 1890 52 53 erba-miseria sudamericana Famiglia: Commelinaceae Nome scientifico: Tradescantia fluminensis Vell. Nome volgare: erba-miseria sudamericana, tradescanzia sudamericana Sinonimi: Tradescantia albiflora Kunth Tipo biologico: Hrept Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 30-50 cm, con fusti sdraiati radicanti ai nodi e con rami eretti. Foglie alterne, complanate, alla base avvolgenti il fusto con una breve guaina; lamina lanceolato-ellittica oppure ovato-lanceolata, 2.5-5×1-2 cm, glabra, con margine cigliato e apice acuto. Fusti portanti 1-2 infiorescenze formanti una falsa ombrella, terminale ma poi divenente opposta alle foglie; pedicelli di 1-1.5 cm, con peli ghiandolari; sepali di 5-7 mm; petali di 8-9 mm, bianchi; stami 6, con filamenti densamente barbati di peli bianchi. Frutto costituito da una capsula con 6 semi. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Sudamerica (Argentina, Brasile e Uruguay). Habitat: Ambienti antropizzati, margini erbosi. Distribuzione nel territorio: Nella fascia planiziale, naturalizzata soltanto nelle zone più calde. Brescia (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (CAS) Varese (CAS). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia probabilmente nel Novecento; in Lombardia naturalizzata almeno dal 1961 (Arietti & Crescini, 1980). Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. 54 Eterantera Reniforme Famiglia: Pontederiaceae Nome scientifico: Heteranthera reniformis Ruiz & Pav. Nome volgare: eterantera reniforme, renella acquatica Sinonimi: Heterandra reniformis (Ruiz & Pav.) P.Beauv. Leptanthus reniformis (Ruiz & Pav.) Michx. Note: Coltivata a scopo ornamentale, spesso in cultivar a foglie variegate. T. virginiana L. (tradescanzia della Virginia, erba-miseria della Virginia), altra specie diffusamente coltivata, spesso in cultivar o notocultivar complesse (per es. T. ×andersoniana W.Ludw. & Rohweder, pro sp. = T. virginiana × T. ohiensis Raf. × T. subaspera Ker Gawl.), è segnalata come casuale in Lombardia; si distingue da T. fluminensis per il portamento eretto oppure ascendente dei fusti, che raramente radicano ai nodi e per le dimensioni delle foglie (5-25×1-4 cm). Tipo biologico: Trept, Hrept Descrizione: Pianta erbacea annuale o facoltativamente perenne, con fusti vegetativi sommersi a internodi allungati oppure subaerei, procombenti. Scapi fioriferi lunghi 1-9 cm, con internodo distale di 0.5-4 cm. Foglie della rosetta basale sommerse, sessili, da lineari a oblanceolate, di 24-37×3-8 mm, sottili; foglie cauline galleggianti o emerse, consistenti, picciolate (picciolo di 2-13 cm), con stipole di 1-5 cm e lamina reniforme di 10-40×10-50 mm, lunga quanto larga o più breve che larga, ad apice ottuso. Infiorescenze 2-8-flore, spiciformi, allungantisi in un giorno, di norma più brevi della spata, con il fiore terminale a volte sporgente; spata glabra di 0.8-5.5 cm; fiori sboccianti circa tre ore dopo l’alba e appassenti nel primo pomeriggio, con perianzio bianco, ipocraterimorfo, a tubo lungo 5-10 mm e lembo zigomorfo con 6 (3+3) lobi strettamente ellittici, lunghi 3-6.5 mm, il centrale interno alla base giallo o verde, talora con una macchia bruna in posizione distale; stami 3, disuguali, il centrale nettamente più lungo; ovario incompletamente triloculare, stilo trilobato, pubescente. Il frutto è una capsula loculicida allungata, contenente semi ovoidi di 0.5-0.9×0.3-0.5 mm, con 8-14 ali longitudinali. Periodo di fioritura: giugno-ottobre. Area d’origine: Mesoamerica. Habitat: Risaie, lanche fluviali, fossi. Distribuzione nel territorio: Planiziale. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Lodi (INV), Milano (INV), Pavia (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia nelle risaie del pavese nel 1968 da Pirola (1968). Modalità d’introduzione: Accidentale, con il riso. Status: Invasiva. Dannosa: Soltanto in ambito agricolo. Impatto: Infestante in risaia. Azioni di contenimento: Eventuale diserbo in risaia. Bibliografia: Arietti & Crescini, 1980; Banfi & Galasso, 1998 Bibliografia: Horn, 1985, 2002; Pirola, 1968 55 eterantera dei fanghi 56 Famiglia: Pontederiaceae Nome scientifico: Heteranthera limosa (Sw.) Willd. Nome volgare: eterantera dei fanghi Basionimo: Pontederia limosa Sw. Sinonimi: Leptanthus ovalis Michx. eterantera soldina Famiglia: Pontederiaceae Nome scientifico: Heteranthera rotundifolia (Kunth) Griseb. Nome volgare: eterantera soldina Basionimo: Heteranthera limosa (Sw.) Willd. var. rotundifolia Kunth Sinonimi: Heteranthera limosa (Sw.) Willd. subsp. rotundifolia (Kunth) A.Galàn Heteranthera limosa auct., non (Sw.) Willd. Tipo biologico: Trept Descrizione: Pianta annuale erbacea, con fusti vegetativi sommersi, quelli al di sotto di 5 cm d’acqua con internodi allungati, per il resto brevi e condensati. Scapi fioriferi lunghi 2-24 cm, con internodo distale di 1-11 cm. Foglie della rosetta basale sommerse, sessili, da lineari a oblanceolate, di 31-60×3-5 mm, sottili o debolmente ispessite; foglie cauline emerse, consistenti, picciolate (picciolo di 2-13 cm), con stipole di 1-6 cm e lamina oblungo-ovata di 15-50×4-33 mm, lunga quanto larga o più lunga, a base tronca o cuneata e apice acuto. Infiorescenze uniflore, con spata glabra di 0.9-4.5 cm; fiori sboccianti entro 1 ora dall’alba, a mezzogiorno già appassiti, con perianzio lilla o bianco, ipocraterimorfo, a tubo lungo 15-44 mm e lembo di 6 (3+3) lobi strettamente ellittici, lunghi 5.2-26.3 mm, ± uguali, non fimbriati e regolarmente spaziati tra loro, i 3 superiori gialli alla base (il centrale senza espansioni laterali presso la base); stami 3, disuguali, due laterali e uno centrale di misure differenti, coi filamenti diritti; ovario incompletamente triloculare, stilo trilobato, glabro. Il frutto è una capsula loculicida allungata contenente semi ovoidi di 0.5-0.8×0.2-0.6 mm, provvisti di 9-14 ali longitudinali. Periodo di fioritura: maggio-novembre. Area d’origine: America (settentrionale -centro-sud-, centrale e meridionale). Habitat: Risaie. Distribuzione nel territorio: Zona delle risaie, dalla Lomellina al milanese. Milano (NAT), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Europa e in Italia da Marchioni Ortu & De Martis (1989, sub H. rotundifolia: Soldano, 1992) in Sardegna (raccolta nel 1984), in Lombardia da Banfi & Galasso (1998, sub H. rotundifolia: vedi nota). Modalità d’introduzione: Accidentale, con il riso. Status: Naturalizzata. Dannosa: Soltanto in ambito agricolo. Impatto: Infestante in risaia. Azioni di contenimento: Eventuale diserbo in risaia. Tipo biologico: Trept Descrizione: Pianta erbacea annuale, con fusti vegetativi sommersi a internodi allungati oppure subaerei, procombenti. Scapi fioriferi lunghi 2-12 cm, con internodo distale di 1-6 cm. Foglie della rosetta basale sommerse, sessili, da lineari a oblanceolate, ispessite, di 24-50×2-4 mm; foglie cauline galleggianti o emerse, consistenti, picciolate (picciolo di 3-11 cm), con stipole di 1-5 cm e lamina arrotondata od oblunga di 10-50×5-25 mm, tanto lunga quanto larga o (nelle foglie giovani) più lunga, ad apice ottuso e base cordata o tronca. Infiorescenze uniflore, spata glabra di 1-2.8 mm; fiori sboccianti entro un’ora dall’alba e appassenti a mezzogiorno, con perianzio lilla o bianco, ipocraterimorfo, a tubo lungo 11-29 mm e lembo regolare con 6 (3+3) lobi strettamente ellittici, lunghi 5.2-18.2 mm, diseguali, 3 tendenti decisamente verso l’alto (il centrale con due espansioni laterali presso la base), 2 orizzontali e 1 (il più lungo) diretto in basso; stami 3, disuguali, il centrale più lungo, coi filamenti curvati verso l’apice; ovario incompletamente triloculare, stilo trilobato, glabro. Il frutto è una capsula loculicida allungata, contenente semi ovoidi di 0.5-1×0.3-0.6 mm, a 8-15 ali longitudinali. Periodo di fioritura: giugno-ottobre. Area d’origine: America (settentrionale, centrale e in parte meridionale). Habitat: Risaie. Distribuzione nel territorio: Pianura occidentale. Lodi (NAT), Milano (NAT), Pavia (NAT), Varese (CAS). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Europa e in Italia nel novarese da Pruneddu (1968, sub H. limosa: Soldano, 1986) e Corbetta (1968, sub H. limosa: Soldano, 1986), in Lombardia da Raynal (1979, sub H. limosa: Soldano, 1986), che la raccolse nel 1978. Modalità d’introduzione: Accidentale, con il riso. Status: Naturalizzata. Dannosa: Soltanto in ambito agricolo. Impatto: Infestante in risaia. Azioni di contenimento: Eventuale diserbo in risaia. Note: A seguito di una revisione del genere Heteranthera da parte di Horn (1985), Soldano (1986) aveva messo in evidenza che le precedenti segnalazioni italiane di H. limosa erano tutte da ricondurre a H. rotundifolia, inclusa quella lombarda per la Lomellina di Raynal (1979). Sulla scia di questa nota Banfi & Galasso (1998) segnalavano H. rotundifolia per le risaie della periferia sud di Milano. In effetti, a seguito di osservazioni di campagna più attente è emersa la presenza in Italia anche della vera H. limosa (Soldano, 1992). In base alle nuove chiavi proposte dallo stesso Soldano (1992) la Heteranthera di Milano è stata rideterminata come H. limosa; essa è stata ulteriormente raccolta nel pavese da Desfayes (2005). La segnalazione di H. limosa di Danini et al. (2004) per la Provincia di Varese, ripresa da Macchi (2005), è invece da ricondurre, in base alla fotografia pubblicata, a H. rotundifolia. La simile H. rotundifolia si distingue per la lamina delle foglie picciolate arrotondata od oblunga, a base cordata o tronca; il perianzio coi 6 lobi diseguali, 3 tendenti decisamente verso l’alto (il centrale con due espansioni laterali presso la base), 2 orizzontali e 1 (il più lungo) diretto in basso; i filamenti staminali curvati verso l’apice. Note: A seguito di una revisione del genere Heteranthera da parte di Horn (1985), Soldano (1986) aveva messo in evidenza che le precedenti segnalazioni italiane di H. limosa erano tutte da ricondurre a H. rotundifolia, inclusa quella lombarda per la Lomellina di Raynal (1979). Sulla scia di questa nota Banfi & Galasso (1998) segnalavano H. rotundifolia per le risaie della periferia sud di Milano. In effetti, a seguito di osservazioni di campagna più attente è emersa la presenza in Italia anche della vera H. limosa (Soldano, 1992). In base alle nuove chiavi proposte dallo stesso Soldano (1992) la Heteranthera di Milano è stata rideterminata come H. limosa. Al contrario, la segnalazione di H. limosa di Danini et al. (2004) per la provincia di Varese, ripresa da Macchi (2005), è da ricondurre, in base alla fotografia pubblicata, a H. rotundifolia. Quest’ultima specie è presente anche nel lodigiano (Giordana & Bonali, 2008). La simile H. limosa si distingue per la lamina delle foglie picciolate oblungo-ovata, a base tronca o cuneata; il perianzio coi 6 lobi ± uguali (il superiore centrale senza espansioni laterali presso la base) e regolarmente spaziati tra loro; i filamenti staminali diritti. Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Danini et al., 2004; Desfayes, 2005; Horn, 1985, 2002; Macchi, 2005; Marchioni Ortu & De Martis, 1989; Raynal, 1979; Soldano, 1986, 1992 Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Corbetta, 1968; Danini et al., 2004; Giordana & Bonali, 2008; Horn, 1985, 2002; Macchi, 2005; Pruneddu, 1968; Raynal, 1979; Soldano, 1986, 1992 57 pontederia Famiglia: Pontederiaceae Nome scientifico: Pontederia cordata L. Nome volgare: pontederia Sinonimi: Narukila cordata (L.) Nieuwl. Pontederia angustifolia Pursh Pontederia lanceolata Nutt. Pontederia lancifolia Muhl. Unisema cordata (L.) Farw. Tipo biologico: Grhiz Descrizione: Pianta erbacea perenne rizomatosa, con fusti raccorciati, radicante nel fango. Scapi fioriferi eretti, lunghi fino a 120 cm. Foglie basali sommerse, sessili, lineari; foglie emerse con picciolo lungo fino a 60 cm, caratteristicamente strozzato sotto la lamina; stipole di 7-29 cm; lamina da lanceolata a cordata, di 6-22×0.7-12 cm; un’unica foglia abbracciante il fusto fiorifero. Infiorescenze spiciformi, erette, recanti ciascuna fino a qualche centinaio di fiori, lunghe 2-15 cm; spate di 5-17 cm; fiori che si aprono per un solo giorno, con perianzio bilabiato di 12-15 mm, lilla, a tubo di 3-9 mm e lembo con 6 (3+3) lobi, di cui il centrale interno con una macchia basale gialla bilobata; stami 6 (3+3), i prossimali (esterni) più lunghi; stilo trilobato. I frutti sono otricelli di 4-6×2-3 mm, percorsi longitudinalmente da costolature dentate, ciascuno contenente un solo seme. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: Mesoamerica. Habitat: Rive dei laghi, in formazioni palustri a elofite. Distribuzione nel territorio: Presente in alcuni piccoli laghi delle prealpi, nelle province di Varese (Lago di Monate e Lago di Comabbio), Lecco e Brescia. Brescia (NAT), Lecco (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Lombardia tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia da Stucchi (1953a). Un precedente esperimento di introduzione artificiale nelle “lame d’Iseo”, effettuato nel 1939 da Luigi Grandi, era andato incontro a fallimento (Arietti, 1942). Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura acquatica). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante (pesaggisticamente localizzato). Azioni di contenimento: Non necessarie. Bibliografia: Arietti, 1942; Stucchi, 1953a giunco gracile Famiglia: Juncaceae Nome scientifico: Juncus tenuis Willd. Nome volgare: giunco gracile Sinonimi: Juncus macer Gray Tipo biologico: Hcaesp Descrizione: Pianta erbacea perenne, densamente cespitosa, alta 5-40 cm, con fusti eretti, lisci, cilindrici o lievemente compressi, con qualche guaina basale priva di lamina e 2-3 foglie complete nel tratto basale del fusto, lunghe all’incirca quanto il fusto stesso; lamine appiattite, spesso convolute, larghe 0.5-2 mm, con orecchiette basali allungate, ottuse, biancastro-ialine. Infiorescenza, un’antela povera (5-40 fiori), con rami allungati (3-8 cm), lungamente superata dalle 2 brattee inferiori, simili alle foglie. Fiori solitari o a 2-3; segmenti perianziali 6, subeguali, strettamente ovati, allungato-acuti all’apice, da verde-giallastri a brunastri, lunghi 2.5-4 mm; stami 6, lunghi metà del perianzio, con antera e filamento subeguali; ovario supero. Frutto a capsula largamente ovoidale, da ottusa a troncata all’apice, più breve del perianzio, di colore giallo paglierino, poi bruno chiaro; semi obliquamente ovoidi, lunghi 0.3-0.4 mm, con brevi appendici alle estremità (elaiosomi). Periodo di fioritura: giugno-luglio. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Ambienti ± umidi, temporaneamente inondati, ruderali e semiruderali (sentieri, strade rurali, macerie, aree abbandonate, basi di muri ed edifici, ferrovie e scarpate), tagli rasi forestali, schiarite, zone incendiate, cave di ghiaia e di pietra, pioppete, boschi ripariali di ontani, frassini, salici; soprattutto suoli pesanti, a impasto fine. Distribuzione nel territorio: È presente su quasi tutto il territorio regionale, dalla fascia planiziale a quella montana (0-1˙500 m s.l.m.). Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (NAT), Lecco (INV), Lodi (NAT), Monza e Brianza (INV), Milano (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (INV), Varese (INV). [J. dichotomus: Sondrio (NAT), Varese (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia intorno alla fine del XIX secolo. Scoperta nel 1878 sulla sponda piemontese del Verbano (Goiran, 1886); in Lombardia segnalata da Cozzi (1916) e, in seguito, da Stucchi (1929a) come già largamente naturalizzato. Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: È una specie pioniera e particolarmente competitiva sui suoli pesanti (argillosi o limosi) e ± umidi, poveri di nutrienti, dove può formare popolamenti quasi monofitici. La sua diffusione è favorita da episodi ricorrenti di disturbo antropico, come quelli che si verificano nelle aree di cava, sui suoli soggetti a frequente calpestamento o laddove si verificano comunemente movimenti di terra. Nel complesso l’impatto esercitato da questa specie riguarda più la biodiversità vegetale che il paesaggio. Azioni di contenimento: In aree protette si dovrebbero preventivamente evitare movimenti di terra e limitare l’accesso al pubblico, salvo lungo percorsi predisposti, per evitare il costipamento del suolo (dovuto a calpestio). Note: Recentemente nelle Baragge piemontesi è stato trovato (Filip Verloove, in verbis) J. dichotomus Elliott (= J. tenuis Willd. var. dichotomus (Elliott) Alph.Wood; giunco dicotomo), entità assai affine, con areale primario ampiamente sovrapposto a quello di J. tenuis. L’unico carattere che contraddistingue con sicurezza questa seconda aliena sta nelle orecchiette guainali dei fusti fioriferi (non di quelli giovani o sterili!) ridottissime o nulle. Sono stati perciò rivisti tutti i campioni dell’erbario del Museo di Storia Naturale di Milano attribuiti a J. tenuis e tutti sono stati confermati, facendo supporre che l’introduzione in Italia di J. dichotomus sia molto recente. Tuttavia alcune raccolte dello scorso autunno provenienti dalla Valtellina (Nicola Ardenghi) e dalla zona militare della Malpensa (Guido Brusa) corrispondono alla nuova esotica, ma saranno necessari ulteriori esami d’erbario e nuove raccolte sparpagliate su tutto il territorio, soprtattutto nella zona delle Groane, per decidere dell’effettiva coesistenza dei due taxa, dei reciproci limiti distributivi e delle eventuali differenze di habitat e di invasività. Ricordiamo, infine, che i semi dei giunchi vengono caratteristicamente trasportati dalle formiche, le quali, nutrendosi degli elaiosomi, li sparpagliano e li accumulano nei loro nidi, dove gli stessi germinano, una volta abbandonati, producendo gruppi di piante a volte densi; sarebbe interessante stabilire se e quanto questo mezzo naturale di dispersione incida significativamente sull’espansione della specie nel nostro territorio. Bibliografia: Brooks & Clemants, 2000; Cozzi, 1916; Giacomini, 1950; Goiran, 1886; Stucchi, 1929a, 1949b 58 59 falsa carice volpina Famiglia: Cyperaceae Nome scientifico: Carex vulpinoidea Michx. Nome volgare: falsa carice volpina Tipo biologico: Hcaesp Descrizione: Pianta erbacea graminoide perenne, cespitosa, con fusti alti fino a 1 m; guaine basali bruno scuro. Foglie lineari con lamina larga 2-4 mm. Spighe oblungo-ovoidi in pannocchia ramosa, condensata, allungata e lobata, lunga 5-10 cm, le inferiori su rami raccorciati e ± distanziati. Brattee da filiformi a lineari, le inferiori superanti la relativa spighetta; glume femminili ovato-oblunghe, aristate, di un pallido color ruggine. Frutti (pseudanteci, più noti come “otricelli”) lunghi 2-2.5 mm, ovato-orbicolari, bruno grigiastro chiaro, all’apice bruscamente contratti in un becco. Periodo di fioritura: aprile-giugno. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Prati e boschi umidi, siti palustri. Distribuzione nel territorio: Palude Brabbia (VA). Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Italia alla fine del secolo scorso: segnalata per la prima volta nel Bellunese da Argenti (1983), dove era presente da un paio di anni. In Lombardia è stata segnalata da Aeschimann & Burdet (2004) e Macchi (2005), ma era presente almeno dal 1985. Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Nessuno. Azioni di contenimento: Non necessarie. Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Argenti, 1983; Macchi, 2005 zigolo cinese Famiglia: Cyperaceae Nome scientifico: Cyperus brevifolioides Thieret & Delahouss. Nome volgare: zigolo cinese Basionimo: basato su Kyllinga monocephala Rottb. var. leiolepis Franch. & Sav. Sinonimi: Cyperus brevifolius (Rottb.) Endl. ex Hassk. var. leiolepis (Franch. & Sav.) T.Koyama Kyllinga brevifolioides (Thieret & Delahouss.) G.C.Tucker Cyperus brevifolius auct., non (Rottb.) Endl. ex Hassk. Kyllinga brevifolia auct., non Rottb. Kyllinga gracillima Miq., non Cyperus gracillimus (Chiov.) Kük. Tipo biologico: Grhiz Descrizione: Pianta erbacea graminoide perenne, non cespitosa, leggermente aromatica, con lunghi rizomi striscianti; fusti alti 10-35(-50) cm, lisci. Foglie con lamina piana di 10-30×0.1-0.35 cm. Infiorescenza costituita da una spiga ovoide di 7-12×6-10 mm; brattee 3-4 patenti o un po’ riflesse, piane, di 2-20(-30)×0.1-0.3 mm; spighette 40-80, da verde pallido a bruno rossastro, ovate, di 3.5-4.5×1.2-1.3(-1.4) mm; glume con 2(-5) nervi per lato, ellittiche, di 1.8-3.2×1-1.6 mm, mucronate all’apice; stami 2-3; antere 0.8-1.1 mm; stilo 1.8-2.2 mm; stigmi 2, di 0.5-1 mm. Acheni bruni, sessili o stipitati, largamente ellissoidali, di 1.5-1.8×0.8-1 mm. Periodo di fioritura: maggio-luglio. Area d’origine: Asia orientale temperata (largamente naturalizzata in America, Nuova Zelanda, Australia temperata). Habitat: Sponde di canali irrigui. Distribuzione nel territorio: A sud di Milano, al confine con il pavese. Milano (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, in Lombardia raccolta per la prima volta nel 1950 e segnalata da Galasso et al. (2006a). Modalità d’introduzione: Ignota, probabilmente accidentale nel corteggio della flora risicola. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Specie a lungo confusa con C. brevifolius (Rottb.) Rottb. ex Hassk. (= Kyllinga b. Rottb.), che si distingue per il margine della carena delle glume (liscio in brevifolioides, denticolato in brevifolius) e per le dimensioni di spighette e acheni (maggiori in brevifolioides). È anch’essa di origine Est-asiatica. Bibliografia: Galasso et al., 2006a 60 61 zigolo delle risaie Famiglia: Cyperaceae Nome scientifico: Cyperus difformis L. Nome volgare: zigolo delle risaie Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale di 20-60 cm. Fusti eretti, irregolarmente trigoni, lungamente nudi in alto, generalmente solitari. Foglie brevi, piane, sottili (2-4 mm), con guaine generalmente scure. Infiorescenza a 3-8 rami brevi o subnulli: capolini sferici, con diametro di 10-15 mm, generalmente formanti un fascetto compatto; brattee 2-3, fogliacee; spighe lunghe 3-8 mm, generalmente 10-15flore; glume verdastre, spesso venate di nero; stigmi 3. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: Difficile da ricostruire a causa dell’ampia distribuzione attuale, presumibilmente l’area risicola dell’Estremoriente o addirittura il territorio (Sudest asiatico) di distribuzione di Oryza rufipogon Griff., l’antenato selvatico del riso. Habitat: Infestante delle risaie; su sabbie umide periodicamente inondate, greti fluviali. Distribuzione nel territorio: In tutta la pianura. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano (INV), Mantova (NAT), Pavia (INV), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, presente in Lombardia, nelle risaie pavesi, già nel 1816 (Nocca & Balbis, 1816). Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Invasiva. Dannosa: Solo nel contesto di infestazione delle risaie. Impatto: Specie infestante delle risaie, con impatto irrilevante altrove. Azioni di contenimento: Eventuale diserbo in risaia. Bibliografia: Nocca & Balbis, 1816 zigolo ferrugineo Famiglia: Cyperaceae Nome scientifico: Cyperus glomeratus L. Nome volgare: zigolo ferrugineo, zigolo a glomeruli Sinonimi: Chlorocyperus glomeratus (L.) Palla Pycreus glomeratus (L.) Hayek Tipo biologico: Hcaesp, Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale o perenne, di 30-70 cm, con radice fibrosa e fusto eretto, trigono. Foglie con guaina bruna o arrossata e lamina piana larga 4-10 mm. Spighe riunite in gran numero in capolini sferici oppure ovoidi di 1-2 cm, questi portati da rami di 1-8 cm; brattee 3-6, lunghe 1-3 dm; glume particolarmente sottili (misura trasversale massima 0.4-0.8 mm), rossastro-ferruginee; stigmi 3. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: Asia orientale. Habitat: Risaie, fossi, rive, alvei fluviali, aree umide ruderali. Distribuzione nel territorio: Ovunque, in ambito planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (NAT), Lodi (INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (NAT). [C. congestus: Pavia (NAT).] [C. eragrostis: Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (CAS), Milano (CAS), Pavia (NAT), Varese (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, già presente in Italia nel Settecento. Modalità d’introduzione: Presumibilmente con il riso. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Altera la biodiversità delle comunità igrofile ripariali e alveali. Note: In Lombardia sono naturalizzate altre due neofite appartenenti al genere Cyperus. La prima è C. congestus Vahl (= C. rigens auct., non C.Presl, = Mariscus congestus (Vahl) Roem. & Schult.; zigolo sudafricano), segnalata da Soldano per il vercellese (Soldano, 1977b) e il pavese (Soldano, 1980a) come C. rigens e poi dallo stesso Soldano (2000) rettificata in C. congestus. La seconda è C. eragrostis Lam. (= Chlorocyperus e. (Lam.) Rikli, = Cyperus vegetus Willd.; zigolo eragrostide), sudamericana, segnalata per la prima volta in Lombardia da Soldano (1980a) nel pavese. Entrambe si distinguono da C. glomeratus per essere brevemente rizomatose, ma mentre la prima ha spighe più sottili (8-20×1.5-2 mm) e 3 stami, la seconda ha spighe più tozze (10-15×3 mm) e 1 stame. Infine si ricorda che la flora esotica lombarda annovera altre specie di questo genere: C. hamulosus M.Bieb. (zigolo uncinato) e C. involucratus Rottb. (= C. alternifolius auct., non L.; papiro indiano) tra le neofite casuali, C. esculentus L. (zigolo dolce, bagigi, bacicci, dolcichini, chufa), C. rotundus L. (zigolo infestante) e C. serotinus Rottb. (zigolo tardivo) tra le archeofite. Bibliografia: Soldano, 1977b, 1980a, 2000 62 63 zigolo giapponese Famiglia: Cyperaceae Nome scientifico: Cyperus microiria Steud. Nome volgare: zigolo giapponese Sinonimi: Cyperus amuricus auct., non Maxim. Cyperus iria L. var. acutiglumis Fiori Cyperus iria L. var. microiria (Steud.) Franch. & Sav. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale di 10-20 (-90) cm, con fusti numerosi, fascicolati, avvolti dalle guaine solo nel quartoterzo inferiore. Foglie con lamina allungata, larga fino a 5 mm. Infiorescenza avvolta alla base da 3-4 brattee superanti i fiori; rami 3-8 lunghi 3-10 cm; spighe bruno-giallastre di circa 10×2 mm, con rachide abbastanza largamente alata; 2 stami, 3 stigmi. Frutto ad achenio. Periodo di fioritura: agosto-settembre. Area d’origine: Asia orientale. Habitat: Risaie, argini, fanghiglie. Distribuzione nel territorio: Naturalizzata soprattutto nell’area planiziale, invasiva nelle risaie e lungo il Po. Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia da Camperio & Fiori (1910) a Malgrate (LC). Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Abbassa la biodiversità delle comunità vegetali golenali in cui si insedia, sottraendo spazio alle specie autoctone; inoltre è infestante in risaia. Azioni di contenimento: Eventuale diserbo in risaia. zigolo pavese Famiglia: Cyperaceae Nome scientifico: Cyperus squarrosus L. Nome volgare: zigolo pavese Sinonimi: Chlorocyeprus inflexus (Muhl.) Palla Cyperus aristatus Rottb. Cyperus aristatus Rottb. var. bockeleri Cavara Cyperus aristatus Rottb. var. inflexus (Muhl.) Boeck. Cyperus aristatus Rottb. var. inflexus (Muhl.) Boeck. ex Kük., comb. superfl. Cyperus inflexus Muhl. Dichostylis aristata (Rottb.) Palla Mariscus squarrosus (L.) C.B.Clarke Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale di 2-20 cm, con fusti eretti, fascicolati, in cespuglietto denso, lungamente nudi sotto l’infiorescenza. Foglie con guaine bruno-nerastre e lamina sottile (4×0.1 cm). Infiorescenze ad antela, contratte, capituliformi (con diametro di 5-8 mm); brattee 2-3, patenti, molto allungate; spighe con 10-15 fiori regolarmente distichi, lunghe 4-8 mm; glume aristate, variegate di ocra e giallo; stigmi 3. Frutto ad achenio clavato. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: America. Habitat: Sabbie umide periodicamente inondate, greti fluviali. Distribuzione nel territorio: Soprattutto lungo il Ticino e il Po. Cremona (NAT), Lodi (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima in Europa nel Pavese da Cavara (1899), che la raccolse nel 1895. Modalità d’introduzione: Accidentale (presumibilmente col riso). Status: Naturalizzata (localmente abbondante nei greti). Dannosa: Localmente. Impatto: Minaccia la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce. Bibliografia: Assini et al., 2005; Cavara, 1899 Bibliografia: Camperio & Fiori, 1910; Fiori, 1923a; Koch, 1952; Raynal, 1977; Stucchi, 1969, 1972 64 65 Zigolo Americano Famiglia: Cyperaceae Nome scientifico: Cyperus strigosus L. Nome volgare: zigolo americano Sinonimi: Mariscus strigosus (L.) C.B.Clarke Tipo biologico: Hcaesp Descrizione: Pianta erbacea perenne di 20-30(-100) cm, con fusti cespugliosi, eretti, robusti. Foglie con guaine brunoporporine e lamina piana di 3-6 mm. Infiorescenza ampia con 3-8 rami lunghi 2-10 cm, ciascuno portante all’apice numerosissime spighette giallo-dorate, distiche; brattee 3-6, fogliacee, le maggiori di 10-20 cm; spighe 6-8flore di 10×1 mm, articolate alla base e a maturità staccantisi in toto; 3 stigmi. Frutto ad achenio ellissoidale. Periodo di fioritura: settembre-ottobre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Canali di risaie, paludi, prati umidi, greti fluviali. Distribuzione nel territorio: In ambito planiziale, lungo il Po e nella zona delle risaie. Brescia (CAS), Cremona (NAT), Lodi (CAS), Mantova (NAT), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia nel 1896 a Garlasco nel pavese (Mattirolo & Fiori, 1917). Modalità d’introduzione: Accidentale, probabilmente con imballi o altro, oppure nell’ambito della risicoltura. Status: Naturalizzata. Dannosa: Relativamente. Impatto: Sembra minacciare la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce. Bibliografia: Mattirolo & Fiori, 1917 giunchina delle risaie Famiglia: Cyperaceae Nome scientifico: Eleocharis obtusa (Willd.) Schult. Nome volgare: giunchina delle risaie Basionimo: Scirpus obtusus Willd. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, di aspetto graminoide, cespitosa, a volte brevemente stolonifera, alta 30-60 cm, con numerosi fusti sottili, giunchiformi, terminanti all’apice in una spiga ovoide di 8-15 mm, bruno chiaro. Foglie ridotte alla sola guaina basale. Glume arrotondate, sottendenti ciascuna un ovario involucrato da 4-8 setole perigoniali (l’omologo dei tepali), che a maturità eccedono di 1.3-1.5 volte la lunghezza del frutto (achenio); stilopodio (allargamento dello stilo nel punto di inserzione sull’ovario), alla base, largo circa 3 / 4 della larghezza dell’achenio; stigmi 2 o 3. Periodo di fioritura: agosto-settembre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Sponde, fanghi umidi e alvei nelle risaie. Distribuzione nel territorio: Groane, zona delle risaie e lungo il Po. Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Pavia (NAT). [E. atropurpurea: Varese (VA).] [E. flavescens: Pavia (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia da Koch (1952) nel 1951 in Piemonte, in Lombardia da Pirola (1964b). Modalità d’introduzione: Accidentale, con i risi americani. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Nessuno. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Altre tre specie di giunchina si incontrano spesso nelle risaie e in analoghi ambienti umidi del nostro territorio. Si tratta di E. ovata (Roth) Roem. & Schult. (= Scirpus o. Roth; giunchina ovata), E. flavescens (Poir.) Urb. (= Scirpus f. Poir, = E. olivacea Torr.; giunchina giallastra) ed E. atropurpurea (Retz.) J.Presl & C.Presl (= Scirpus a. Retz.; giunchina minore): la prima appartiene al nostro contingente autoctono (circumboreale), la seconda è nuovamente un’esotica nordamericana e la terza proviene dai tropici (paleo?). E. ovata ed E. atropurpurea si riconoscono per lo stilopodio, che alla base è largo non più di metà dell’achenio e, fra di loro, perché la prima ha fusti eretti, spessi circa 1 mm, mentre nella seconda gli stessi sono capillari (diametro < 0.3 mm) e più o meno incurvati verso il basso, specialmente gli esterni. E. flavescens, poi, si distingue per la base dello stilopodio larga più o meno quanto l’achenio stesso, ma soprattutto per le guaine fogliari espanse all’apice in un’appendice bianco-membranosa assente nelle altre specie. Bibliografia: Koch, 1952; Pirola, 1964b 66 67 forasacco di Willdenow Famiglia: Poaceae Nome scientifico: Ceratochloa cathartica (Vahl) Herter Nome volgare: forasacco di Willdenow, forasacco purgativo Basionimo: Bromus catharticus Vahl Sinonimi: Bromus uniolioides Kunth Bromus uniolioides (Willd.) Raspail, non Kunth Bromus willdenowii Kunth Ceratochloa uniolioides (Willd.) P.Beauv. Ceratochloa willdenowii (Kunth) W.A.Weber Festuca unioloides Willd. Tipo biologico: Hcaesp Descrizione: Graminacea perenne cespitosa, alta fino a 60 cm, con culmi eretti. Foglie sottili a lamina larga 3-12 mm e ligula triangolare, allungata (4-6 mm). Pannocchia ampia (10-15 cm), lassa ed inclinata dopo la fioritura; spighette fortemente latericompresse, lanceolate, di circa 35-45×4 mm, con glume e lemmi carenato-compressi, questi ultimi brevemente appuntiti all’apice o con resta lunga fino a 3 mm; palea lunga circa quanto il lemma. Frutto a cariosside. Periodo di fioritura: luglio-agosto. Area d’origine: Sudamerica. Habitat: Siti disturbati, prati, margini erbosi, greti. Distribuzione nel territorio: Pressoché ovunque, prevalentemente in ambito planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia a Firenze nel 1873, poi presso Messina, Roma e, nel 1903, a Genova (Sommier, 1904); in Lombardia raccolta per la prima volta in natura nel 1980 nel bresciano, dove era coltivata sperimentalmente per foraggio dalla seconda metà degli anni ‘70 del secolo scorso (Zanotti, 1988a). Modalità d’introduzione: Deliberata (pianta foraggera). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Nessuno. Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Bonali et al., 2006a; FAB, 2000; Sommier, 1904; Wilhalm, 2000; Zanotti, 1988a panico delle brughiere Famiglia: Poaceae Nome scientifico: Dichanthelium acuminatum (Sw.) Gould & C.A.Clark Nome volgare: panico delle brughiere, panico acuminato Basionimo: Panicum acuminatum Sw. Sinonimi: Dichanthelium acuminatum (Sw.) Gould & C.A.Clark subsp. implicatum (Scribn.) Freckmann & Lelong Dichanthelium acuminatum (Sw.) Gould & C.A.Clark var. implicatum (Scribn.) Gould & C.A.Clark Dichanthelium implicatum (Scribn.) Kerguélen Panicum acuminatum Sw. var. implicatum (Scribn.) Beetle Panicum acuminatum Sw. var. implicatum (Scribn.) C.F.Reed, comb. superfl. Panicum implicatum Scribn. Tipo biologico: Crosul Descrizione: Graminacea prerenne, alta fino a mezzo metro o poco più, con foglie svernanti riunite in rosetta basale, a lamina lanceolato-acuminata, spesso involuta ai margini, sulla faccia adassiale provvista di peli eretti di 3-4 mm, su quella abassiale con pubescenza appressata. Le foglie del culmo sono lineari, più lunghe di quelle della rosetta. Culmi primaverili gracili, eretti o ascendenti, peloso-papillosi con peli patenti, gli autunnali più robusti, ramosi nella porzione inferiore; ligula lunga 4-5 mm. Pannocchia di 3-6 cm, con rachide cosparso di lunghi peli e rami flessuosi ± aggrovigliati o ripiegati verso l’asse; spighette lunghe 1.5 mm. Periodo di fioritura: aprile-novembre. Area d’origine: Nordamerica (Canada, Stati Uniti centro-occidentali e nord-orientali). Habitat: Suoli poveri e acidi di brughiera, su matrice sabbiosa o argillosa. Distribuzione nel territorio: Brughiere della Malpensa (VA). Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Italia molto recentemente, ma in un periodo non precisabile; la specie era già diffusa in Francia e altrove in Europa. Raccolta per la prima volta in Italia in Piemonte nelle baragge biellesi e vercellesi (Soldano & Sella, 2000), nei castagneti del vicentino (Busnardo et al., 2002) e nella vauda canavese (Lonati et al., 2006); in Lombardia è stata segnalata per la prima volta da Banfi (2005) e Banfi & Galasso (2005). Modalità d’introduzione: Ignota, presumibilmente accidentale (forse con i mezzi militari americani). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Nessuno. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Questa specie presenta una complessa variabilità infraspecifica, da alcuni ripartita in 10 unità distribuite, complessivamente, su tutto il continente americano (Freckmann & Lelong, 2002, 2003). L’entità presente in Italia è la subsp. implicatum, apparentemente priva di valore sistematico. Bibliografia: Banfi, 2005; Banfi & Galasso, 2005; Busnardo et al., 2002; Freckmann & Lelong, 2002, 2003; Lonati et al., 2006; Soldano & Sella, 2000 68 69 sanguinella cigliata Famiglia: Poaceae Nome scientifico: Digitaria ciliaris (Retz.) Koeler Nome volgare: sanguinella cigliata Basionimo: Panicum ciliare Retz. Sinonimi: Digitaria ciliaris (Retz.) Pers., comb. superfl. Digitaria sanguinalis (L.) Scop. subsp. ciliaris (Retz.) Arcang. Digitaria sanguinalis (L.) Scop. subsp. ciliaris (Retz.) Domin, comb. superfl. Digitaria sanguinalis (L.) Scop. var. ciliaris (Retz.) Parl. Milium ciliare (Retz.) Moench Paspalum ciliare (Retz.) DC. Sanguinaria ciliaris (Retz.) Bubani Syntherisma ciliaris (Retz.) Schrad. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Graminacea annuale, alta 20-50 cm, con culmi gracili, prostrato-diffusi o ascendenti, spesso producenti radici avventizie alla base e pelosi ai nodi. Foglie generalmente cosparse di peli patenti lunghi fino a 1.5 mm; guaine, almeno nella porzione distale, con peli patenti di 1-3 mm, le inferiori compresse, le superiori ± rigonfie; lamina lanceolato-lineare (4575×8-12 mm), spesso ondulata e più o meno arrossata, specialmente ai margini; ligula troncato-sfrangiata, lunga (1-)2-3(-3.5) mm. Infiorescenza digitata, cioè costituita da (3-)4-6(-8) racemi lineari, lunghi 3-8 cm, inseriti tutti circa alla medesima altezza, all’apice del culmo e dei rami principali. Spighette spesso violacee, lunghe (2.5-)2.8-3.5 mm, lanceolato-acuminate; gluma inferiore lunga fino a 0.5 mm, triangolare-acuta, la superiore (1 / 2-)2 / 3-3 / 4(-4 / 5) della spighetta; antere lunghe 1.2-1.3 mm. Frutto a cariosside. Periodo di fioritura: agosto-ottobre. Area d’origine: Certamente tropicale, ma ormai irricostruibile a causa della successiva diffusione indotta dall’uomo su tutti i territori caldi e temperato-caldi del pianeta. Habitat: Margini erbosi umidi, brughiere. Distribuzione nel territorio: Sinora conosciuta con certezza soltanto per la provincia di Varese. Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Europa in epoca non definibile a causa della confusione con D. sanguinalis, ma sicuramente già presente nella seconda metà dell’Ottocento. In Italia la prima segnalazione certa è quella di Cook (1973) per le risaie del vercellese, mentre il primo campione raccolto è del 1889 nel messinese (Wilhalm, 2009). In Lombardia è stata segnalata per la prima volta da Banfi (2005) e Banfi & Galasso (2005) ed è sicuramente presente a Ligurno (VA), dove è stata raccolta nel 1983 (Wilhalm, 2009), e nelle brughiere di Malpensa (VA)(Brusa, in verbis 2010), ma potrebbe essere più diffusa. Modalità d’introduzione: Ignota, presumibilmente accidentale. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Nessuno. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: D. ciliaris è confondibile con l’assai più comune e diffusa D. sanguinalis (L.) Scop. (sanguinella comune), cosmopolita ritenuta autoctona, sebbene probabilmente da ascrivere al contingente alloctono preromano. Si distingue per i seguenti caratteri: 1) ligula lunga 0.5-1.5 mm, 2) spighette lunghe non oltre 3(-3.2) mm, da ovato-lanceolate a lanceolate, acute, 3) gluma superiore lunga non più di 2 / 3 della spighetta, 4) antere lunghe 0.7-1 mm (Wilhalm, 2002, 2009; Verloove, 2008b). Infatti, la Digitaria ciliaris sensu Pignatti (1982) corrisponde a Digitaria sanguinalis subsp. pectiniformis Henrard, che non appare distinta dal tipo della specie (Wilhalm, 2009). sanguinella violacea Famiglia: Poaceae Nome scientifico: Digitaria violascens Link Nome volgare: sanguinella violacea Sinonimi: Digitaria ischaemum (Schreb. ex Schweigg.) Muhlenb. var. violascens (Link) Radford Panicum violascens (Link) Kunth Syntherisma violascens (Link) Nash Tipo biologico: Tscap Descrizione: Graminacea annuale alta 20-60 cm, con culmi in cespo lasso, gracili, talora brevemente stoloniferi. Guaine fogliari glabre oppure pelose, nel qual caso specialmente alla fauce; ligula tronca, non superante 1.5 mm; lamine lanceolatolineari, larghe fino a 6 mm. Infiorescenza con rachide nullo o subnullo e (2-)3-7(-10) racemi digitati, alla fioritura spesso eretti; infiorescenze secondarie assenti; spighette lunghe (1.2-)1.8-2(-2.1) mm, acute all’apice, con peli sparsi, diritti. Frutto a cariosside. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Paleotropica. Habitat: Incolti ed erbosi umidi, ruderati, campi, margini fluviali. Distribuzione nel territorio: Bergamasco lungo il fiume Oglio, ma sicuramente più diffusa. Da ricercare nella zona delle brughiere. Bergamo (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, non è possibile precisarne la data di arrivo in Italia in quanto precedentemente confusa con D. ischaemum. Inizialmente raccolta nel novarese in Piemonte nel 2004 (Verloove, 2008), è stata raccolta anche a Torre Pallavicina (BG) nel 2005 (Verloove et al., in stampa). Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Nessuno. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Similissima a D. violascens è D. ischaemum (Schreb. ex Schweigg.) Schreb. ex Muhl. (sanguinella sottile), entità nel complesso rara, sebbene talora comune in scala locale, senza dubbio in parte confusa con la prima. Essa è per tradizione bibliografica un’autoctona della nostra flora, ma a causa dell’enorme diffusione secondaria (subcosmopolita), nessuno è in grado di stabilire quale sia la sua effettiva area d’origine, per altro non necessariamente inclusiva del nostro territorio. Si distingue per i seguenti caratteri: 1) racemi in numero di 2-3(-4), inseriti su un breve asse comune, alla fioritura sempre patenti, 2) spighette con densi peli verruciformi, alcuni dei quali clavati all’apice, 3) presenza (facoltativa) di infiorescenze secondarie più o meno nascoste nelle guaine inferiori. Bibliografia: Verloove, 2008; Verloove et al. in stampa Bibliografia: Banfi, 2005; Banfi & Galasso, 2005; Cook, 1973; Pignatti, 1982; Verloove, 2008b; Wilhalm, 2002, 2009 70 71 panicella fascicolata Famiglia: Poaceae Nome scientifico: Diplachne fascicularis (Lam.) P.Beauv. Nome volgare: panicella fascicolata Basionimo: Festuca fascicularis Lam. Sinonimi: Leptochloa fascicularis (Lam) A.Gray Leptochloa fusca (L.) Kunth subsp. fascicularis (Lam) N.Snow Tipo biologico: Tcaesp Descrizione: Graminacea annuale, cespitosa, glabra o sparsamente pelosa, alta 60-80(-100) cm, con culmi diritti, a 3-5 nodi. Foglie a guaine lasse, più brevi dei corrispondenti internodi; lamina robusta, piana, larga fino a 7 mm, tendenzialmente convoluta da vecchia; ligula acuta, lunga 4-6 mm. Infiorescenza in pannocchia piramidale, costituita da racemi regolarmente decrescenti in lunghezza verso l’alto; spighette lanceolate, con glume più brevi del complesso dei fiori; lemmi acuti, terminanti in una resta di 0.5-1 mm; antere lunghe 0.3-0.6 mm. Frutto a cariosside. Periodo di fioritura: aprile-novembre. Area d’origine: Nordamerica (Stati Uniti: dalla British Columbia e dall’Ontario alla Florida e alla California). Habitat: Sponde e arginelli nelle risaie. Distribuzione nel territorio: Lomellina. Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia in Lombardia nel pavese a Pieve del Cairo da Romani & Tabacchi (2000) e, in seguito, in Piemonte (Tabacchi & Romani, 2002; Soldano, 2006). Modalità d’introduzione: Accidentale (attraverso il commercio di sementi di riso contaminate). Status: Naturalizzata. Dannosa: Soltanto in ambito agricolo. Impatto: Infestante in risaia. Azioni di contenimento: Eventuale diserbo in risaia. Note: Molto simile a D. fusca (vedi scheda), che si riconosce per essere perenne e presentare antere più lunghe (1.25-2.7 mm). Bibliografia: Banfi et al., 2008; Romani & Tabacchi, 2000; Soldano, 2006; Tabacchi & Romani, 2002 panicella fosca Famiglia: Poaceae Nome scientifico: Diplachne fusca (L.) P.Beauv. ex Roem. & Schult. Nome volgare: panicella fosca Basionimo: Festuca fusca L. Sinonimi: Diplachne malabarica (L.) Merr. Festuca reptatrix L. Leptochloa fusca (L.) Kunth Leptochloa malabarica (L.) Veldkamp Poa malabarica L., nom. rej. Tipo biologico: Hcaesp Descrizione: Graminacea perenne, con breve rizoma, glabra o sparsamente pelosa, alta fino a 120 (-150) cm, con culmi diritti, a 3-5 nodi. Foglie a guaine lasse, più brevi dei corrispondenti internodi; lamina robusta, piana, larga 3-5 mm, tendenzialmente convoluta da vecchia; ligula acuta, lunga 3-5 mm. Infiorescenza in pannocchia largamente piramidata, costituita da racemi più o meno flessuosi, gli inferiori lunghi 15 cm, i superiori più brevi (circa 7 cm); spighette lanceolate, con glume più brevi del complesso dei fiori; lemmi acuti, terminanti all’apice con 2 dentelli frammezzati da un breve mucrone; antere lunghe 1.25-2.7 mm. Frutto a cariosside. Periodo di fioritura: marzo-novembre. Area d’origine: Paleotropica; ora in larga espansione anche verso le zone temperate. Habitat: Sponde, bordure umide fangose. Distribuzione nel territorio: Presso Sant’Alessio con Vialone (PV): pochi individui in una comunità di festuca falascona, Schedonorus arundinaceus (Schreb.) Dumort. Possibile espansione. Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Italia presumibilmente al principio del secolo corrente. Raccolta in Sicilia (Biviere di Gela, CL) nel 2002, in Lombardia nel 2007 (Banfi et al., 2008). Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Nessuno. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Molto simile a D. fascicularis (vedi scheda), che si riconosce per essere annuale e presentare antere più brevi (0.3-0.6 mm). Di questo genere, sostanzialmente nuovo per l’Italia, occorre ricordare la segnalazione di una terza specie, D. uninervia (J.Presl) Parodi, da alcuni autori (per es. Snow, 1998, 2003) trattata a rango subspecifico di D. fusca, riguardante l’Italia Centrale (Emilia Romagna e Lazio). Essa è originaria dell’area compresa fra il Sud degli Stati Uniti e l’Argentina e si distingue per essere annuale come D. fascicularis, per l’apice del lemma ottuso o smarginato, con brevissima (<0.5 mm) escorrenza del nervo mediano, e per le antere lunghe solo 0.2-0.6(-1) mm. Bibliografia: Banfi et al., 2008; Snow, 1998, 2003 72 73 giavone peloso Famiglia: Poaceae Nome scientifico: Echinochloa oryzicola (Vasinger) Vasinger Nome volgare: giavone peloso Basionimo: Panicum oryzicola Vasinger Sinonimi: Echinochloa crusgalli (L.) P.Beauv. var. oryzicola (Vasinger) Ohwi Echinochloa phyllopogon auct., non (Stapf) Stapf ex Kossenko Echinochloa phyllopogon (Stapf) Stapf ex Kossenko subsp. oryzicola (Vasinger) Kossenko Tipo biologico: Tscap Descrizione: Graminacea annuale, alta 50-l50 cm., con radice fibrosa e culmi eretti, robusti. Guaina fogliare carenata e lamina larga 5-12 mm, scabra sul bordo; tra la guaina e la lamina, sul margine, si trovano caratteristici peli patenti allungati. Infiorescenza ricca, contratta, costituita di racemi disposti alternatamente su un asse poco incurvato o quasi eretto, così da costituire una pannocchia lassamente piramidata; spighette con gluma inferiore lunga fino a 3 / 5 della spighetta, segnata alla base da 3 nervi cigliati, non visibili nella parte superiore; lemma sterile lungo 4 mm, con 2 serie di ciglia su ciascun lato e glabro al centro, con resta apicale breve o lunga. Il frutto è una cariosside brunastra, lunga 2-2.4 mm. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Paleotropica (oggi diffusa dai tropici alle zone temperate di tutto il mondo). Habitat: Specchi di risaia. Distribuzione nel territorio: Zona delle risaie nel pavese. Pavia (NAT). [E. colona: Milano (NAT).] [E. hispidula: Pavia (NAT), Varese (CAS).] [E. oryzoides: Pavia (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in periodo indeterminato, probabilmente sin dal Cinquecento, insieme alla coltura del riso. Esiste anche un confusione tra le varie specie, per cui si può soltanto ricordare che Panicum oryzoides (= Echinocloa oryzoides) è stato descritto nel 1763 da Pietro Arduino su materiale dell’Italia settentrionale, mentre P. phyllopogon (sempre sinonimo di Echinochloa oryzoides) è stato descritto nel 1901 da Stapf su piante raccolte nelle risaie novaresi da Arcangeli nel 1896 e subito segnalato anche nel pavese (Fiori, 1905a; Farneti, 1911). Modalità d’introduzione: Accidentale, insieme alla coltura del riso, dall’Oriente (India e Cina tropicale). Status: Naturalizzata. Dannosa: Sì. Impatto: Infestante del riso. Azioni di contenimento: Diserbo in risaia. Note: Questa specie è molto somigliante alle altre congeneri presenti in Lombardia. Tra di esse, l’unica veramente comune e ubiquitaria, perciò rilevante in termini di confusione, è il giavone comune (E. crusgalli (L.) P.Beauv.), l’unica autoctona infestante le colture irrigue, le vigne, le risaie, gli incolti, i ruderati umidi, le rive e gli alvei. Si distingue facilmente per le spighette lunghe 2.8-3.4 mm, per la gluma inferiore lunga 1 / 4-1 / 3 del lemma sterile, con 3-5 linee di setole in corrispondenza dei nervi e spesso con peli sparsi nello spazio internervale; infine per il lemma sterile lungo 3-3.5 mm e la cariosside di 1.4-1.9 mm. Altri tre giavoni esotici sono noti in Lombardia, il maggiore E. oryzoides (Ard.) Fritsch (= E. phyllopogon (Stapf ) Stapf ex Kossenko, = E. hostii (M.Bieb.) Link, = Panicum oryzoides Ard.), il meridionale E. colona (L.) Link (= Panicum colonum L.) e il cinese E. hispidula (Retz.) Nees ex Royle (= E. erecta (Pollacci) Pignatti, = Panicum hispidulum Retz.), i primi due paleotropici, il terzo dell’Estremoriente. Senza entrare in dettagli diagnostici, preciseremo che il giavone maggiore e il giavone cinese sono anch’essi commensali del riso, mentre il giavone meridionale è pianta dei terreni fangosi in genere, anche se in Lombardia è stato trovato in risaia. Tutte e tre le specie si mostrano rare nella zona risicola. gramigna indiana Famiglia: Poaceae Nome scientifico: Eleusine indica (L.) Gaertn. subsp. indica Nome volgare: gramigna indiana Basionimo: Cynosurus indicus L. Sinonimi: Cynodon indicus (L.) Raspail Tipo biologico: Tscap Descrizione: Graminacea annuale cespitosa, alta 10-30(-60) cm, con culmi abbastanza robusti, ma prostrato-diffusi o ascendenti, ramificati alla base. Foglie generalmente pelose, con lamina larga 2-6(-7) mm, largamente cartilaginea al margine; ligula lunga 0.5 mm, cigliata. Infiorescenza costituita da (1-)2-8(-10) spighe di (1.5-)5-8(-12)×0.4-0.6(-0.8) cm, digitate all’apice del culmo; spighette disposte su due serie, 3-6flore, lunghe 4.5-6 mm; gluma inferiore lunga 1.5-2.5 mm, la superiore 2-4.5 mm; lemma lungo 2.5-5 mm. Frutto a cariosside. Periodo di fioritura: luglio-agosto. Area d’origine: Paleotropica (oggi termocosmopolita). Habitat: Bordi di vie, marciapiedi nelle superfici meno calpestate, in ambiente luminoso, in estate surriscaldato, arido e ricco di nitrati (escrementi). Nella vegetazione del Sisymbrion officinalis Tüxen, Lohmeyer & Preising in Tüxen 1950 e del Polycarpion tetraphylli Rivas-Mart. 1975. Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla pianura alla fascia montana. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal Settecento. In Lombardia segnalata per la prima volta da Arcangeli (1882a) a Sesto Calende (VA), dove era stata raccolta da De Notaris nel 1877 (anno della sua morte) o prima (cfr. anche Goiran, 1890b). Modalità d’introduzione: Deliberata (orti botanici). Status: Invasiva. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: In Lombardia si trova naturalizzata un’altra specie del genere Eleusine Gaertn., E. tristachya (vedi scheda), che si distingue soprattutto per l’infiorescenza costituita da sole 2(-3) spighe, di 1-2x0.8-1.2 cm. Bibliografia: Arcangeli, 1882a; Goiran A., 1890b Bibliografia: Banfi, 1985; Carretero, 1981; Costea & Tardif, 2002; Farneti, 1911; Fiori, 1905a; Tabacchi et al., , 2006 74 75 gramigna a tre spighe Famiglia: Poaceae Nome scientifico: Eleusine tristachya (Lam.) Lam. Nome volgare: gramigna a tre spighe Basionimo: Cynosurus tristachyos Lam. Sinonimi: Eleusine indica (L.) Gaertn. var. tristachya (Lam.) Fiori Eleusine italica N.Terracc. Eleusine tristachya (Lam.) Kunth, comb. superfl. Tipo biologico: Hcaesp Descrizione: Graminacea lassamente cespitosa, perenne, alta 14-20 cm, simile a E. indica (vedi scheda), ma con infiorescenza costituita da 2(-3) spighe di 1-2x0.8-1.2 cm; spighette 4-10-flore, lunghe 5-6.5 mm; lemma di 2.4-3.6(4) mm. Frutto a cariosside. Periodo di fioritura: luglio-agosto. Area d’origine: Afro-sudamericana (possibile trasmigrazione preumana dall’Africa). Habitat: Incolti calpestati. Distribuzione nel territorio: Bresciano, sul Lago di Garda. Brescia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia dalla seconda metà dell’Ottocento: descritta nel 1872 come E. italica per il Lazio e dopo oltre un secolo osservata nuovamente in Liguria nel 1983 (Minuto, 1993a); osservata naturalizzata da Franco Giordana nel 2008 a Gargnano (BS) e qui segnalata per la prima volta in Lombardia. Modalità d’introduzione: Ignota, presumibilmente accidentale. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Nessuno. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: In Lombardia è molto più comune un’altra specie del genere Eleusine Gaertn., E. indica subsp. indica (vedi scheda), anch’essa esotica, caratterizzata da un numero maggiore di spighe, (1-)2-8(-10), che sono più lunghe e slanciate, di (1.5-)5-8(-12)×0.4-0.6(-0.8) cm. Bibliografia: Minuto, 1993a panicella pettinata Famiglia: Poaceae Nome scientifico: Eragrostis pectinacea (Michx.) Nees Nome volgare: panicella pettinata Basionimo: Poa pectinacea Michx. Sinonimi: Eragrostis caroliniana (Biehler) Scribn. Eragrostis diffusa Buckley Eragrostis pectinacea (Michx.) Steud., comb. superfl. Poa caroliniana Biehler Tipo biologico: Tscap Descrizione: Graminacea annuale alta 10-25 cm, con culmi gracili, fascicolati, ginocchiato-ascendenti o spesso prostratodiffusi. Foglie con lamina larga 2-3 mm, sul margine liscia, senza ghiandole; ligula costituita da un anello di peli allungati. Pannocchia ampia con rami capillari, ondulato-flessuosi, scabri, semplici, solo raramente l’inferiore con una breve ramificazione laterale portante 2-3 spighette; spighette verdastre, spesso violette all’apice, lunghe 5-8 mm e larghe 1.5 mm, recanti (4-)810(-18) fiori, portate da peduncoli lunghi almeno quanto le stesse; lemma liscio, mutico, con nervi laterali evidenti; cariosside convessa anche sulla faccia ventrale. Periodo di fioritura: giugno-agosto. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Incolti calpestati, greti, golene. Distribuzione nel territorio: Ovunque, in ambito planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV). [E. frankii: Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Milano (NAT).] [E. mexicana subsp. virescens: Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, naturalizzata in Italia sin dalla prima metà dell’Ottocento (Ricceri, 1982). Segnalata in Lombardia da Ricceri (1982) e Banfi (1983a), le prime raccolte sono del 1973 nel mantovano, ma la pianta era sicuramente presente da molto prima, in precedenza confusa con E. pilosa. Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Minaccia la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce, in alcuni casi con coperture prossime al 100% lungo il greto del Po e dei suoi affluenti. Note: Altre due aliene americane sono degne di nota in quanto in attiva espansione sul territorio lombardo: si tratta di E. frankii C.A.Mey. ex Steud. (panicella di Frank, segnalata da Banfi, 2005; Banfi & Galasso, 2005) ed E. mexicana (Hornem.) Link subsp. virescens (J.Presl) S.D.Koch & Sánchez Vega (= E. virescens J.Presl; panicella verdasatra, segnalata da Martini & Scholz, 1998). La prima ha spighette bruno verdastro chiaro, non più lunghe di 3(-3.5) mm, con (2-)4-5(-7) fiori, portate da peduncoli più brevi di 5 mm in pannocchia aperta ma non ampia, di norma lunga meno di metà del culmo; la seconda è una pianta alta fino a 70 cm, con spighette verde brunastro, lunghe (2.5-)4-4.5(-7) mm, recanti (3-)5-7(-11) fiori; vi è tuttavia confusione tra queste due specie. L’autoctona E. pilosa (L.) P.Beauv. (panicella pelosa), di origine eurasiatica, può creare confusione per il portamento e l’aspetto generale, ma si distingue per i rami della pannocchia a loro volta ramificati, i basali riuniti a 3-5, provvisti di lunghi peli ascellari, e per le glume, che nelle spighette immature appaiono di diversa lunghezza con l’inferiore pari a 1 / 2-3 / 4 della superiore. Bibliografia: Banfi, 1983a, 2005; Banfi & Galasso, 2005; Martini & Scholz, 1998; Peterson, 2003; Ricceri, 1982; Ryves, 1980 76 77 mulembergia di Schreber Famiglia: Poaceae Nome scientifico: Muhlenbergia schreberi J.F.Gmel. Nome volgare: mulembergia di Schreber Tipo biologico: Hscap Descrizione: Graminacea perenne alta 20-40 cm, con culmi gracili, prostrati e radicanti ai nodi, quindi ± ascendenti e fioriferi, ramosi, di aspetto vagamente bambusoide; nodi ingrossati, purpurei. Foglie con lamina breve (4 cm), piana, larga 2-4 mm, glaucescente; ligula costituita da una frangia di peli. Pannocchie numerose, contratte, lineari, diafane, di un verde tenero argentato, lunghe 5-15 cm: spighette uniflore con glume rudimentali (0.1-0.2 mm), l’inferiore subnulla; lemma lungo 2 mm, terminante in una resta flessuosa di 2-5 mm; peli basali lunghi 1 / 5 del lemma stesso. Frutto a cariosside. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Nordamerica sudorientale. Habitat: Incolti umidi e fangosi, dove preferisce l’ombra, margini dei torrenti e dei sentieri boschivi. Distribuzione nel territorio: Lombardia occidentale, prevalentemente nell’area collinare. Bergamo (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (INV), Milano (INV), Varese (INV). [M. frondosa: Pavia (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, comparsa in Canton Ticino nel 1963 presso il Lago di Lugano (Becherer, 1965), subito dopo è stata osservata a Campione d’Italia nel comasco (Becherer, 1966) e, in seguito, nel gallaratese (VA) da Stucchi (1972). Modalità d’introduzione: Ignota. Status: Invasiva. Dannosa: No. Impatto: Nessuno, se non fisionomico locale: aspetto gradevole, di prato umido soffice in tonalità del grigio. Note: M. frondosa (Poir.) Fernald (= Agrostis frondosa Poir.; mulembergia frondosa), nativa del Canada meridionale e degli Stati Uniti centro-orientali è pure presente nel nostro territorio (Soldano, 1977a) e si distingue per i culmi eretti, mai radicanti ai nodi, per le foglie con lamina lunga fino a 20 cm, per le glume di 2-3 mm, mucronate all’apice e per il lemma di 2-3 mm, con resta ridotta ad un breve mucrone e peli basali lunghi 1 / 2 del lemma stesso. Bibliografia: Becherer, 1965, 1966; Soldano, 1977a; Stucchi, 1972 panico dei campi Famiglia: Poaceae Nome scientifico: Panicum dichotomiflorum Michx. Nome volgare: panico dei campi Sinonimi: Leptoloma dichotomiflorum (Michx.) Smyth Panicum chloroticum Nees ex Trin. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Graminacea annuale a ciclo estivo-autunnale, con culmi alti 5-200 cm, spessi talora fino a 3 mm, generalmente prostrato-diffusi, ginocchiato-ascendenti, radicanti ai nodi prossimali se a contatto fisso con l’acqua, da semplici a provvisti di ramificazioni largamente divergenti in corrispondenza dei nodi inferiori; nodi più o meno rigonfi, glabri. Foglie con guaine compresse, rigonfie, da pelose a glabrescenti, spesso cigliate ai margini e alla fauce; ligula membranosa di 0.5-2 mm; lamine di 10-65×0.3-2.5 cm, glabre o sparsamente pelose, spesso scabre ai margini, con robusta nervatura centrale biancastra. Pannocchie lunghe 4-40 cm, diffuse, lasse, con poche ramificazioni alterne od opposte, eretto-patenti o patenti, scabre, recanti scarse spighette; peduncoli di 1-6 mm, acutamente trigoni, scabri, apicalmente dilatati a coppa, in prevalenza appressati al lato abassiale dei rami; spighette di 1.8-3.8×0.7-1.2 mm, ellissoidali o strettamente ovoidi, verde chiaro o rosso porpora, glabre, da acute ad acuminate; gluma inferiore 0.6-1.2 mm; gluma superiore e lemma inferiore simili, eccedenti di 0.3-0.6 mm il fiore superiore; fiore inferiore sterile, il superiore di 1.4-2.5×0.7-1.1 mm, strettamente ellissoidale, lucido, da stramineo a nerastro con nervi pallidi. Frutto a cariosside. Periodo di fioritura: luglio-novembre. Area d’origine: Nordamerica centro-orientale. Habitat: Incolti, bordi di vie, scarpate, ruderi, alvei e infestante delle colture sarchiate. Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla fascia planiziale a quella montana inferiore. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (NAT), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Europa negli anni ’30 del secolo scorso. In Italia viene raccolta per la prima volta nel 1951 da Koch (1952) nelle risaie piemontesi, anche presso il confine lombardo, e segnalata per la Lombardia da Pignatti (1957b). Modalità d’introduzione: Accidentale, con le lane o, più probabilmente, con la maiscoltura o la risicoltura. Status: Invasiva. Dannosa: Sì, solo in campo agricolo. Impatto: Infestante delle colture sarchiate. Azioni di contenimento: Eventuale diserbo selettivo nelle colture agrarie. Note: Le popolazioni presenti sul territorio regionale (e in tutta Italia) sono da riferire al ceppo nominale della specie (subsp. dichotomiflorum), mentre in America vengono distinte altre due varianti: subsp. bartowense (Scribn. & Merr.) Freckmann & Lelong e subsp. puritanorum (Svenson) Freckmann & Lelong. La prima, diffusa in area tropicale (Florida, Bahamas, Cuba), presenta guaine ispide per peli a base papillosa, la seconda (paleospiagge della costa atlantica, dalla Nuova Scozia alla Virginia e a Sud del Lago Michigan) spighette acute di 1.8-2.2 mm, con la massima larghezza a metà, su peduncoli spesso maggiori di 3 mm e, inoltre, gluma superiore e lemma inferiore submembranacei. Soprattutto quest’ultima denota precondizioni di adattamento climatico ben compatibili con il nostro territorio e, sebbene finora non segnalata, non se ne esclude la possibilità di presenza. Bibliografia: Fenaroli, 1964; Koch, 1952; Lorenzoni, 1964; Pignatti, 1957b 78 79 panico di Philadelphia Famiglia: Poaceae Nome scientifico: Panicum philadelphicum Bernh. ex Trin. Nome volgare: panico di Philadelphia, erba-nebbia minore Sinonimi: Panicum capillare L. var. campestre Gatt., non Panicum campestre Nees ex Trin. Panicum gattingeri Nash Panicum philadelphicum Bernh. ex Trin. subsp. gattingeri (Nash) Freckmann & Lelong Tipo biologico: Tscap Descrizione: Graminacea annuale con culmi alti 10-60 cm, generalmente prostrato-diffusi, ramosi, fittamente pelosi ai nodi. Foglie con guaina carenata, molto villosa per lunghi peli patenti e lamina verde-glauca, pelosa o glabrescente, larga 6-12 mm; ligula subnulla. Pannocchie numerose, una terminale e diverse laterali (queste ultime più piccole), aperte, a contorno ovoidale o ellissoidale, la terminale di norma lunga meno di metà del culmo; ramificazioni capillari e fitte, terminanti con una sola spighetta di 1.4-2.4 mm, da acuta a subacuminata all’apice. La pannocchia principale a maturità persiste sulla pianta e le spighette vengono disperse per progressiva demolizione della sua impalcatura. Frutto a cariosside. Periodo di fioritura: maggio-settembre. Area d’origine: Nordamerica orientale. Habitat: Greti, incolti. Distribuzione nel territorio: Lungo il Po e i suoi affluenti; anche in Oltrepo lungo il torrente Versa. Brescia (NAT), Cremona (NAT), Pavia (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in un periodo imprecisabile a causa della confusione con P. capillare. Raccolta per la prima volta in Italia nel 1983 in Friuli-Venezia Giulia (Melzer, 1985; Melzer & Bregant, 1992), in Lombardia a partire dal 2008 (Verloove et al., 2010 a). Modalità d’introduzione: Indeterminata. Status: Invasiva. Dannosa: Attualmente no. Impatto: Potenzialmente simile a quello di P. capillare. Note: Simile a P. capillare (vedi scheda), caratterizzato da una pannocchia lunga almeno la metà dell’intera pianta, che a maturità si rompe alla base rotolando sul terreno, e da spighette lunghe sino a 4 mm. Darbyshire & Cayouette (1995) riconoscono il rango specifico a P. gattingeri, mentre Freckmann & Lelong (2002, 2003) lo subordinano a sottospecie di P. philadelphicum; tuttavia la revisione di Panicum s.s. di Zuloaga & Morrone (1996) sinonimizza tra loro queste entità, non riconoscendo valore sistematico a caratteri ritenuti mere fluttuazioni all’interno dei popolamenti. Bibliografia: Darbyshire & Cayouette, 1995; Freckmann & Lelong, 2002, 2003; Melzer, 1985; Melzer & Bregant, 1992; Verloove et al., 2010 a; Zuloaga & Morrone, 1996 80 panico capillare Famiglia: Poaceae Nome scientifico: Panicum capillare L. Nome volgare: panico capillare, erba-nebbia Sinonimi: Chasea capillaris (L.) Nieuwl. Leptoloma capillare (L.) Smyth Milium capillare (L.) Moench Panicum bobartii Lam. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Graminacea annuale a ciclo estivo-autunnale, con culmi alti 20-50 cm, generalmente prostrato-diffusi, ramosi, fittamente pelosi ai nodi. Foglie con guaina carenata, molto villosa per lunghi peli patenti e lamina verde-glauca, subglabra, larga 10-15 mm; ligula subnulla. Pannocchia terminale eretta, aperta, a contorno largamente ovato, di norma lunga metà del culmo o più, di aspetto caratteristicamente “nebbioso” per effetto dei numerosissimi rami capillari patenti in tutte le direzioni, lunghi 5-15 mm, ciascuno portante di norma 1 sola spighetta di 1.9-4 mm, ± acuminata all’apice; gluma superiore e lemma lunghi 2 mm. Pannocchie secondarie sono presenti sui getti periferici, a volte seminascoste nelle guaine. A maturità la pannocchia principale si disarticola facilmente al nodo inferiore e si stacca dalla pianta per lasciarsi rotolare al vento disseminando le spighette fruttifere. Frutto a cariosside. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Nordamerica meridionale, Isole Bermuda, Messico settentrionale. Habitat: Incolti, bordi di vie, scarpate, alvei ed infestante nei campi di mais. Distribuzione nel territorio: Ovunque, soprattutto in pianura e nei fondivalle. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (NAT), Lodi (INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dalla metà del Seicento e naturalizzata verso la fine dell’Ottocento, raccolta nel 1880 nel veronese (Goiran, 1898). In Lombardia raccolta nel 1915 nel bresciano da Ugolini (1921). Modalità d’introduzione: Deliberata (orti botanici). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Minaccia la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce, in alcuni casi con coperture prossime al 100% lungo il greto del Po e dei suoi affluenti. Note: Simile a P. philadelphicum (vedi scheda), caratterizzata da una pannocchia molto più breve, che di norma non si distacca a maturità, e da spighette che raggiungono soltanto 2,4 mm. Bibliografia: Goiran, 1898; Ugolini, 1921 81 panico brasiliano Famiglia: Poaceae Nome scientifico: Paspalum dilatatum Poir. Nome volgare: panico brasiliano Sinonimi: Digitaria dilatata (Poir.) H.J.Coste Tipo biologico: Hscap Descrizione: Graminacea perenne cespitosa, con rizoma a internodi brevi e culmi di 50-150 cm, suberetti o ginocchiati, paucinodi, glabri. Guaine 2-25 cm, lasse, le basali peloso-papillose in basso, le superiori da glabre a sparsamente pelose; ligula membranosa, lunga 3-5 mm; è presente una pseudoligula formata da un arco di peli lunghi fino a 5 mm. Lamine linearilanceolate, fino a 40×1 cm, piane, glabre. Infiorescenza terminale costituita da 2-5 racemi sparsamente alterni, divergenti, di norma nutanti o penduli e unilaterali; spighette da ovoidi a largamente ellissoidali, di 2.8-4×1,8-2 mm, con gluma inferiore subnulla e 2 fiori (l’inferiore sterile); gluma superiore peloso-cigliata sul bordo, lunga 2.8-4 mm; lemma di poco più breve. Cariosside da ovoide a suborbicolare, di 1.6-2×1.4-1.6 mm. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Sudamerica (Argentina, S-Brasile, Paraguay, Uruguay). Habitat: Stazioni umide soleggiate, nelle pianure alluvionali, su suolo ricco in sostanza organica e nutrienti. Distribuzione nel territorio: Planiziale e collinare. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Lecco (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata nell’Orto Botanico di Pisa almeno dal 1860 e da qui diffusasi in Versilia dove è stata raccolta la prima volta in Italia nel 1914 (Pellegrini, 1937) e, in seguito, nel 1934 (Bonaventura, 1935; Montelucci, 1935, 1936); segnalata per la prima volta in Italia in Liguria (Bolzon, 1925), probabilmente giunta dal nizzardo ove era già stata segnalata all’inizio del secolo (Goiran, 1909, 1910) oppure dall’Orto Botanico di Genova (Montelucci, 1936). In Lombardia raccolta per la prima volta nel 1970 nel bresciano (Arietti & Crescini, 1975). Modalità d’introduzione: Accidentale, presumibilmente con i foraggi. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Nessuno. panico acquatico Famiglia: Poaceae Nome scientifico: Paspalum distichum L. Nome volgare: panico acquatico, panico a due spighe Sinonimi: Anastrophus paspalodes (Michx) Nash Digitaria disticha (L.) Fiori & Paol. Digitaria paspalodes Michx. / Milium distichum (L.) Muhl. Milium paspalodes (Michx.) Elliott Paspalum digitaria Poir., nom. illeg. Paspalum distichum L. subsp. paspalodes (Michx.) Thell. Paspalum paspalodes (Michx.) Scribn. Tipo biologico: Grhiz Descrizione: Graminacea perenne alta 10-60 cm, con rizoma allungato e stoloni radicanti; culmi eretti o prostrati, deboli. Guaine fogliari cigliate al margine almeno nel tratto distale; lamine piane, larghe 2-6 mm; ligula subnulla (0.5 mm). Due racemi all’apice del culmo, lunghi 2-7 cm, appaiati, sessili oppure uno solo dei due brevemente peduncolato; spighette lunghe 2.5-3.5 mm, distiche, ovato-acuminate; base del rachide o del peduncolo pubescente; gluma superiore minutamente pubescente, l’inferiore squamiforme; lemma con nervo centrale rilevato. Frutto a cariosside. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Neotropica. Habitat: Sponde temporaneamente inondate di corsi d’acqua e stagni, lanche fluviali. Distribuzione nel territorio: Soprattutto lungo il Po e i suoi affluenti. Bergamo (CAS), Brescia (INV), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Liguria da Penzig (1889) come già naturalizzata; in Lombardia presente agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso a Milano e degli anni ’90 nel bresciano (Zanotti, 1992). Modalità d’introduzione: Ignota, presumibilmente accidentale. Status: Invasiva. Dannosa: Relativamente. Impatto: Diminuisce la biodiversità delle cenosi spondali in cui si insedia, togliendo spazio alle specie autoctone. Bibliografia: Arzuffi, 2000; Banfi & Galasso, 1998; Bonali et al., 2006a; Giordana, 1995; Penzig, 1889; Zanotti, 1992, 2000 Bibliografia: Arietti & Crescini, 1975; Bolzon, 1925; Bonaventura, 1935; G oiran, 1909, 1910; Macchi, 2005; Mangili, 2000; Montelucci, 1935; Pellegrini, 1937 82 83 pabbio di Faber Famiglia: Poaceae Nome scientifico: Setaria faberi F.Herm. Nome volgare: pabbio di Faber, pabbio pendulo Tipo biologico: Tscap Descrizione: Graminacea annuale dal portamento elevato (fino a 150 cm). Foglie a lamina brevemente pubescente sulla faccia adassiale, larga fino a 1.5 cm; ligula costituita da minuti peli. Pannocchia terminale, spiciforme, reclinata, lunga 10 cm e più; spighette di 2.5-3 mm, lungamente superate dalle setole della pannocchia (rami sterili alla base delle spighette); lemma fertile con evidenti rughe trasversali, meno accentuate verso l’apice. Frutto a cariosside. Periodo di fioritura: giugno-ottobre. Area d’origine: Asia orientale (introdotta dalla Cina negli USA e da qui in Europa). Habitat: Margini dei campi, incolti. Distribuzione nel territorio: Pianura centro-orientale. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Cremona (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, in Italia raccolta per la prima volta nel bresciano nel 1987 (Banfi, 1989). Modalità d’introduzione: Ignota, presumibilmente accidentale con le colture. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Nessuno. Azioni di contenimento: Non necessarie. Bibliografia: Banfi, 1989; Bonali et al., 2006a; Giordana, 1995 pabbio gigante Famiglia: Poaceae Nome scientifico: Setaria pycnocoma (Steud.) Henrard ex Nakai Nome volgare: pabbio gigante Sinonimi : Panicum viride L. var. giganteum Franch. & Sav. Panicum viride L. var. majus Gaudin Setaria gigantea (Franch. & Sav.) Makino Setaria italica auct., non (L.) P.Beauv. Setaria italica (L.) P.Beauv. subsp. pycnocoma (Steud.) de Wet Setaria pycnocoma (Steud.) Henrickson, com. superfl. Setaria viridis (L.) P.Beauv. subsp. pycnocoma (Steud.) Tzvelev ? Setaria viridis (L.) P.Beauv. var. major Gray Setaria viridis (L.) P.Beauv. var. major (Gaudin) Peterm., non Gray, nom. illeg. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Graminacea annuale dal portamento elevato (fino a 150 cm). Guaine e lamine fogliari glabre o sparsamente pelose; ligula di peli lunghi 1-1.5 mm; lamina larga fino a 2 cm. Pannocchia terminale spiciforme, lunga fino a 20 cm, con setole lunghe 2-3.5 volte le spighette; queste ultime lunghe fino a 3 mm; lemma fertile coperto fin quasi all’apice dalla gluma superiore, liscio. Frutto a cariosside. Periodo di fioritura: giugno-ottobre. Area d’origine: Asia orientale. Habitat: Campi, incolti. Distribuzione nel territorio: Planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (INV), Cremona (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Pavia (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, in precedenza confusa spesso con S. italica (Melzer & Bregant, 1990; Poldini et al., 2001), segnalata per la prima volta in Italia in Friuli-Venezia Giulia da Pospichal (1897), in Lombardia a Milano da Banfi & Galasso (1998). Modalità d’introduzione: Ignota, probabilmente con le sementi da foraggio. Status: Invasiva. Dannosa: No. Impatto: Minimo. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Questa specie potrebbe essere il progenitore selvatico di S. italica (L.) P.Beauv. oppure un suo feral (Tzvelev, 1976). Bibliografia: Banfi, 1989; Banfi & Galasso, 1998; Melzer & Bregant, 1990; Poldini et al., 2001; Pospichal, 1897; Tzvelev, 1976; Zanotti, 2000 84 85 gramigna tenacissima Famiglia: Poaceae Nome scientifico: Sporobolus indicus (L.) R.Br. Nome volgare: gramigna tenacissima Basionimo : Agrostis indica L. Sinonimi : Agrostis tenacissima L.f. Axonopus poiretii Roem. & Schult. Sporobolus poiretii (Roem. & Schult.) Hitch. Sporobolus tenacissimus (L.f.) J.Presl, comb. superfl. Sporobolus tenacissimus (L.f.) P.Beauv. Vilfa indica (L.) Trin. ex Steud. Vilfa tenacissima (L.f.) Kunth Tipo biologico: Hcaesp Descrizione: Graminacea perenne con culmi alti fino a 1 m e più, eretti, avvolti dalle guaine (spesso fin sotto l’infiorescenza), formanti densi cespi collegati tra loro da un rizoma strisciante a pelo terra come quello della comune gramigna (Cynodon dactylon). Foglie del culmo erette, lunghe 20-30 cm e larghe fino a 6 mm, con guaina pelosa al margine; ligula ridotta ad un ispessimento coriaceo di 0.3-0.5 mm; lamina piana, glabra, convoluta all’apice. Pannocchia lineare, compatta, subcilindrica, di 8-20×0.5 cm, spesso sublobata; spighette portate da brevi ramificazioni erette ed appressate al rachide della pannocchia, subsessili, verdastre; glume lunghe 0.7 e 1.5 mm rispettivamente; lemma lungo 1.7-1.8 mm; cariosside piriforme, di 1.5×0.8 mm, finemente rugosa. Periodo di fioritura: giugno-luglio. Area d’origine: Asia tropicale. Habitat: Incolti sabbiosi o su terreno a granulometria grossa; non sopporta eccessivo calpestamento. Distribuzione nel territorio: Planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Milano (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia almeno dal 1803 e segnalata in natura da Béguinot & Mazza (1916b) per Liguria e Lombardia. Le prime raccolte in natura sono del 1897 a Napoli, 1907 a Genova e 1910 sul Lago d’Iseo (Ugolini, 1917, 1921). Modalità d’introduzione: Accidentale, con le lane. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Nessuno. Azioni di contenimento: Non necessarie. Bibliografia: Arietti, 1950; Béguinot & Mazza, 1916b; Ugolini, 1917, 1921 gramigna a foglie guainanti Famiglia: Poaceae Nome scientifico: Sporobolus vaginiflorus (Torr. ex A.Gray) Alph.Wood Nome volgare: gramigna a foglie guainanti Basionimo : Vilfa vaginiflora Torr. ex A.Gray Sinonimo: Cryptostachys vaginata Steud. Muhlenbergia vaginiflora (Torr. ex A.Gray) Jogan Sporobolus vaginatus (Steud.) Scribn. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Graminacea annuale alta 20-40 cm, con culmi eretti, fascicolati, gracili. Foglie con guaine caratteristicamente rigonfie, la superiore spesso includente la parte prossimale dell’infiorescenza principale e le altre avvolgenti completamente (specialmente a fine stagione) le infiorescenze laterali; ligula breve; lamina larga 2-3 mm, pelosa alla base, convoluta all’apice. Pannocchia stretta, lunga 2-5 cm, lobata. Spighette uniflore, lunghe 2-3 mm; glume lineari-subaristate, disuguali (la superiore lunga quanto il lemma, l’inferiore la metà o poco più); lemma glabro o tutt’al più scabro. Periodo di fioritura: agosto-settembre. Area d’origine: Nordamerica orientale. Habitat: Suoli subaridi a bassa competizione: pendii, greti asciutti ecc. Distribuzione nel territorio: Soprattutto lungo il Po e i suoi affluenti. Bergamo (INV), Brescia (NAT), Cremona (INV), Lodi (NAT), Milano (NAT), Varese (INV). [S. neglectus: Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, in Italia segnalata per la prima volta nel goriziano (Cohrs, 1953); in Lombardia segnalata per la prima volta da Zanotti (1996b) che la raccolse nel 1994. Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Minaccia la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce. Note: Le infiorescenze incluse nelle guaine portano fiori cleistogami, che non si aprono ma si autoimpollinano producendo normali cariossidi. Questa strategia, che fa parte della così detta sindrome R di Grime (Grime et al. 1988), è condivisa da un gran numero di piante annuali colonizzatrici di terreni a bassa competizione, come suoli denudati di recente, greti ecc. Il vantaggio consiste nel guadagnare tempo sulla riproduzione, in modo da precedere, con le successive generazioni, la comparsa e la stabilizzazione di specie più competitive, bienni e perenni, che finiranno per occupare stabilmente il suolo. S. neglectus Nash (= S. vaginiflorus (Torr. ex A.Gray) Wood var. neglectus (Nash) Scribn.; gramigna minore), pure originario del Nordamerica, si distingue per le spighette più grandi (3-5 mm) e per i lemmi pubescenti. È ugualmente presente nel nostro territorio (Banfi, 2005; Banfi & Galasso, 2005; Bonali et al., 2006a), dove si incontra negli stessi habitat. Entrambe le specie sono attualmente in espansione. Bibliografia: Banfi, 2005; Banfi & Galasso, 2005; Bonali & D’Auria, 2005; Bonali et al., 2006a; Cohrs, 1953; FAB, 2000; Grime et al., 1988; Macchi, 2005; Zanotti, 1996b 86 87 crespino di Beale Famiglia: Berberidaceae Nome scientifico: Berberis bealei Fortune Nome volgare: crespino di Beale, maonia di Beale Sinonimi: Mahonia bealei (Fortune) Carrière Tipo biologico: nPscap Descrizione: Arbusto alto 1-2 m, con fusto privo di spine. Foglie imparipennate, sempreverdi, alterne, lunghe 30-40 cm o anche più; segmenti 9-15, coriacei, glabri, verde lucente sulla pagina superiore, glauco-opachi inferiormente; segmento terminale picciolato, di 6.5-9.5×4-7 cm, lungo 1-2.5 volte la larghezza, i laterali ovati od ovato-lanceolati, con apice acuminato e margine provvisto di 2-7 grandi denti ristretti in una spinula. Infiorescenze racemose, dense, eretto-patenti, fascicolate a 6-9 all’apice dei rami, lunghe 5-17 cm, recanti 70-150 fiori ciascuna; pedicelli lunghi 4-6 mm; sepali 6, valvati, gialli, in due verticilli, gli esterni più brevi, tutti caduchi dopo l’antesi; petali 6, valvati, gialli. Frutto consistente in una bacca blu, pruinosa, oblungoovoide, lunga 9-12 mm, con 1-10 semi. Periodo di fioritura: febbraio-aprile. Area d’origine: Asia orientale (Cina). Habitat: Boschi termofili a carattere oceanico, con elevata umidità atmosferica. Distribuzione nel territorio: Naturalizzata nei pressi del Lago Maggiore ed in particolare nelle località con giardini e parchi storici, in cui viene spesso coltivata e da dove sfugge nei boschi adiacenti (200-400 m s.l.m.). Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XIX. Segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia da Cerabolini et al. (2008). Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Eradicazione manuale. 88 maonia comune Famiglia: Berberidaceae Nome scientifico: Mahonia aquifolium (Pursh) Nutt. Nome volgare: maonia comune Basionimo: Berberis aquifolium Pursh Note: Può essere confusa con specie affini, in particolare B. japonica (Thunb.) R.Br. (= Mahonia japonica (Thunb.) DC.), che differisce per il segmento fogliare terminale lungo 2-3.5 volte la larghezza, per le infiorescenze arcuato-pendule, lunghe 10-25 cm e per i peduncoli fiorali lunghi 6-10 mm. Anche quest’ultima è talvolta coltivata nei giardini, ma finora non ha fatto comparse in natura. Vettore fondamentale della diffusione della pianta è l’avifauna frugivora. Tipo biologico: nPscap Descrizione: Arbusto alto sino a 2 m, eccezionalmente di più; fusti spesso prostrati, radicanti. Foglie sempreverdi, alterne, lunghe sino a 25 cm, imparipennate, di norma con 5-9 segmenti piuttosto coriacei ma flessibili, glabri, verde scuro e lucenti da adulti, rossastri da giovani; segmento terminale picciolato, 5-9×2.5-4.5 cm, lungo 1.5-2.5 volte la larghezza; segmenti laterali subsessili, ovato-lanceolati o ellittico-lanceolati, con apice acuto o talvolta ottuso-arrotondato e margine spesso ondulato con 5-21 piccoli denti spinosi. Infiorescenze racemose, dense, suberette, in gruppi di 3-5, lunghe 3-10 cm, ciascuna con 30-60 fiori dall’odore leggero, poco gradevole; sepali 6, valvati, gialli, caduchi dopo l’antesi; petali 6, valvati, gialli, lunghi 6-8 mm, i 3 interni nettariferi, lievemente più lunghi degli altri; stami 6; ovario supero. Frutto costituito da una bacca blu, pruinosa, oblungo-ovoide, lunga 6-10 mm, contenente 1-10 semi. Periodo di fioritura: febbraio-aprile. Area d’origine: Nordamerica occidentale (costa pacifica). Habitat: Boschi subacidofili spesso degradati, a carattere mesofilo; termicamente poco esigente. Talvolta anche in impianti di conifere. Distribuzione nel territorio: Presente sporadicamente in tutto il territorio, soprattutto nella fascia collinare e submontana (200-550 m s.l.m.); si riscontra in prevalenza nelle aree boschive prossime a giardini e parchi storici, dove è spesso coltivata isolata o condotta a siepe. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (CAS), Cremona (CAS), Lecco (NAT), Lodi (CAS), Monza e Brianza (CAS), Milano (CAS), Mantova (CAS), Pavia (CAS), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nella prima metà del XIX secolo. Segnalata per la prima volta in Lombardia da Giordana (1995). Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: L’attuale diffusione della specie e la consistenza numerica delle sue popolazioni spontaneizzate non danno riscontri negativi in termini di impatto. Azioni di contenimento: Eradicamento manuale con particolare attenzione alla rimozione delle parti ipogee della pianta. Bibliografia: Ahrendt, 1961; Banfi et al., 2009; Cerabolini et al., 2008 Bibliografia: Ahrendt, 1961; Bonali et al., 2006a; Cerabolini et al., 2008, Giordana, 1995 89 clematide himalayana Famiglia: Ranunculaceae Nome scientifico: Clematis tangutica (Maxim.) Korsh. Nome volgare: clematide himalayana, clematide gialla Basionimo: Clematis orientalis L. var. tangutica Maxim. Tipo biologico: nPlian Descrizione: Rampicante legnoso con fusti volubili lunghi anche diversi metri, oppure (su substrati litici in clima arido) cespuglio condensato; rami giovani con 6-8 deboli solchi, puberuli quindi glabrescenti. Foglie pennate o bipennate, con picciolo di 2-6 cm e lamina a segmenti terminali da ovato-rombici a strettamente ovati, di 1-6×0.5-2.8 cm, spesso trilobati. Fiori solitari, terminali o raramente a 1-3 in cime ascellari, larghi 2-6 cm; perianzio monoclamide con calice di 4 sepali gialli, a volte soffusi di porpora; stami numerosi, con filamenti di 5-11 mm; ovario apocarpico costituito da numerosi carpelli con stilo apicale densamente villoso, lungo 0.9-1.5 cm. Il frutto è un acheneto (testa di acheni monocarpici), con gli stili accresciuti fino a 5 cm e piumosi. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: Asia centro-orientale. Habitat: Boscaglie umide. Distribuzione nel territorio: Valtellina, nel bormiese, lungo il Torrente Campello. Sondrio (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombardia (e, presumibilmente, in Italia) da Meda (2002). Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Estetico-paesaggistico, ma assai localizzato. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: In alcuni garden center si vende pure C. orientalis L., proveniente dalla stessa area geografica, la quale si distingue per i fiori sempre riuniti in cime ascellari (mai solitari). Finora non è mai stata osservata fuori coltura. Bibliografia: Meda, 2002 Fior di loto Famiglia: Nelumbonaceae Nome scientifico: Nelumbo nucifera Gaertn. Nome volgare: fior di loto, loto del Giappone Basionimo: nome basato su Nymphaea nelumbo L. Sinonimi: Nelumbo speciosa Willd., nom. illeg. (‘Nelumbium speciosum’) Tipo biologico: Grhiz Descrizione: Pianta erbacea perenne acquatica, alta 1-2 m, con rizoma strisciante nel fango. È riconoscibile per le grandi foglie peltate, di colore verde-glauco e aspetto ceroso, largamente imbutiformi, larghe 40-80 cm, portate diversi decimetri sopra il pelo dell’acqua da un robusto picciolo lungo più di 1 m. I fiori profumati (di anice), portati al di sopra delle foglie, sono grandi, del diametro di 18-35 cm, isolati e sorretti ciascuno da un robusto peduncolo; ricettacolo obconico; perianzio formato da numerosi segmenti tutti uguali, disposti in una spirale condensata, largamente ovati, concavi, rosa o quasi bianchi; stami molto numerosi; ovari numerosi, monocarpici, inseriti in alveoli sulla superficie piana del ricettacolo. Il frutto (tecnicamente pomario) è un cono legnoso rovesciato, con la superficie della base ospitante i singoli pericarpi in cavità simili ai fori di un colino; alla caduta dei disseminuli, il ricettacolo vuoto assomiglia alla testa di un innaffiatoio. Periodo di fioritura: giugno-agosto. Area d’origine: Africa e Asia. Habitat: Acque tranquille permanenti (laghi maggiori e minori, stagni, cave abbandonate ecc.). Distribuzione nel territorio: Laghi di Varese e Comabbio, Palude Brabbia, Laghi di Mantova, lungo i fiumi in vecchie lanche (es. fiume Serio); in pianura, collina e bassa montagna (0-100 m s.l.m.). Brescia (INV), Cremona (NAT), Mantova (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata dall’inizio del secolo XIX all’Orto Botanico di Parma e nel 1921 introdotta deliberatamente nei Laghi di Mantova da Maria Pellegreffi (articolo di M. G. Fringuellini sul Corriere della Sera del 10 settembre 1976) e qui segnalata da Béguinot (1929). Analogamente, la pianta è stata deliberatamente introdotta in natura nel pisano nel 1917 da Biagio Longo, dove fu poi raccolta nel 1920 da Passerini (1922); espansasi in seguito in Versilia (Montelucci, 1936). Sempre in Lombardia, era coltivata da prima del 1918 al Lago di Comabbio (VA), dove in seguito si è naturalizzata (Stucchi, 1950, 1953b). Modalità d’introduzione: Deliberata (idrofloricoltura, sperimentazione alimentare, medicina). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Specie ad alta capacità competitiva e di grande adattabilità, fortemente invasiva in ambiente acquatico, dove forma popolamenti monofitici densi, che sottraggono spazio alla vegetazione indigena, deprimendone la biodiversità e alterando profondamente la fisionomia del paesaggio palustre. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia. Azioni di contenimento: Gli interventi di contenimento devono prevedere il taglio selettivo prima della fioritura (operazione che deve essere ripetuta per alcuni anni) o, più drasticamente, l’eradicazione totale. Si dovrebbe anche intervenire preventivamente soprattutto in vicinanza delle zone a rischio, invitando produttori e clienti a rinunciare al giardinaggio con questa pianta, spesso venduta nei garden center, per sostituirla con autoctone del medesimo habitat. Note: Il genere Nelumbo è il solo rappresentante della sua famiglia, una delle più antiche delle angiosperme, legata nella stessa discendenza (ordine Nelumbonales) con i platani e le Proteaceae. Bibliografia: Béguinot, 1929; Montelucci, 1936; Passerini, 1922; Stucchi, 1950, 1953b 90 91 platano comune Famiglia: Platanaceae Nome scientifico: Platanus hispanica Mill. ex Münchh. Nome volgare: platano comune, platano di Spagna Sinonimi: Platanus acerifolia (Aiton) Willd. Platanus hybrida Brot. Platanus orientalis auct., non L. Platanus orientalis L. var. acerifolia Aiton Platanus occidentalis L. × Platanus orientalis L. Tipo biologico: Pscap Descrizione: Albero alto fino a 30 m, longevo (supera i 500 anni), provvisto di tronco robusto, con ritidoma staccantesi in caratteristiche larghe placche grigio-brunastre su fondo biancastro, lisce, dal contorno spesso sinuoso. Foglie alterne, ricoperte soprattutto abassialmente e da giovani da una pelosità cotonosa, ferruginea, facilmente asportabile; picciolo con base allargata a imbuto includente la gemma, lungo 3-5 cm; lamina palmato-lobata del diametro di 10-25 cm, a (3)5 lobi triangolari-ottusi; lobo centrale all’incirca tanto lungo quanto largo, al margine con 1-3 denti ottusi oppure intero. Infiorescenze costituite da peduncoli ascellari penduli, uniassiali, recanti diversi capolini sessili, unisessuali (pianta monoica), densi e sferici, di cui i 2-3(-5) prossimali femminili e gli 1-2 terminali più piccoli, giallo chiaro, fugaci. Fiori molto piccoli, con perianzio di 4 o 6 segmenti in due verticilli; stami (fiori maschili) 4-6, opposti ai segmenti perianziali esterni; pistilli (fiori femminili) con ovario supero di 3-6 carpelli liberi, contenenti ciascuno 1(-2) ovuli ortotropi, penduli. Le infruttescenze si disfano a fine inverno, liberando una miriade di piccoli acheni affusolati, circondati da peli color ruggine. Periodo di fioritura: aprile-giugno. Area d’origine: Notospecie osservata per la prima volta in Spagna, nel secolo XVII, come risultato di ibridazione spontanea fra individui coltivati di P. orientalis L. (SE-europeo-SW-asiatica) e P. occidentalis L. (Nordamerica). Habitat: Margini stradali, sponde dei fossati, siepi, filari, boscaglie, ruderati, muri e marciapiedi (plantule). Distribuzione nel territorio: Ovunque, in ambito planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia presumibilmente nel secolo XVIII (presente in pitture del periodo). Modalità d’introduzione: Deliberata, per alberature, parchi ecc. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Limitato. Azioni di contenimento: Al Bosco Fontana presso Mantova sono stati praticati interventi sulla quercia rossa e sul platano, finalizzati a incrementare la necromassa (Cavalli & Mason, 2003). Sassifraga dei Pirenei Famiglia: Saxifragaceae Nome scientifico: Saxifraga umbrosa L. Nome volgare: sassifraga dei Pirenei Tipo biologico: Hrosul Descrizione: Pianta erbacea perenne, densamente cespitosa con rosette appiattite, sempreverdi, di foglie patenti, coriacee, verde scuro di sopra, più o meno violacee di sotto, obovato-oblunghe, regolarmente crenate sul bordo e con largo margine cartilagineo; picciolo largo e appiattito, di poco più breve della lamina, densamente cigliato. Infiorescenza a pannocchia eretta, aperta, lassa, con 5-15 fiori a 5 sepali riflessi e 5 petali di 2.5-4×1.5 mm, bianchi, con 2 macchie gialle e numerose punteggiature cremisi. Il frutto è una capsula a 2 valve con minuti semi portati sull’asse centrale (placentazione assile). Periodo di fioritura: giugno-luglio. Area d’origine: Pirenei centro-occidentali. Habitat: Vecchie forestazioni di pino silvestre, abete bianco e abete rosso, su substrato impietrato. Distribuzione nel territorio: Valli bergamasche, tra Capo Brembo e Valleve e nella valle di Mezzoldo. Bergamo (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata in natura in Lombardia da Rota (1853). Modalità d’introduzione: Deliberata (mercato ortofloricolo). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Nessuno. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Questa specie aliena è affine all’autoctona S. cuneifolia L., che vive negli stessi ambienti e si distingue facilmente per il margine fogliare da intero a remotamente e largamente dentato e per i petali non punteggiati, ma eventualmente soffusi di porpora. La segnalazione di Rota (1853) per la pineta tra Capo Brembo e Valleve, ripresa con dubbio da Pignatti (1982), è confermata da Banfi, che l’ha osservata naturalizzata in val Mezzoldo (BG) negli anni ‘70 del secolo scorso. Bibliografia: Pignatti, 1982; Rota, 1853 Note: Platanus deperdita (A.Massal.) Sordelli (= P. aceroides Göpp.) è una paleospecie che nel Terziario (Miocene-Pliocene) era diffusa su tutta l’area temperata dell’emisfero boreale, per poi sparire completamente nel Pleistocene. È verosimile e probabile che P. occidentalis e P. orientalis siano derivati da tale ancestro per isolamento geografico, in seguito alla formazione dell’Oceano Atlantico. Dal cospicuo numero di reperti fossili (anche lombardi) venuti via via alla luce, appare chiaro che le foglie di P. deperdita sono sostanzialmente identiche a quelle di P. hispanica. Ciò induce a pensare che l’ibridazione storica all’origine di quest’ultimo (Henry & Flood, 1920; Jones, 1968; Santamour, 1970, 1972; Grimm & Denk, 2008) abbia ripristinato l’antica specie, sia pure “aggiornata” dalle impercettibili novità genetiche insorte durante l’isolamento evolutivo nelle due entità parentali. Paradossalmente, dunque, l’alloctona ha radici autoctone! Tutte le segnalazioni lombarde di P. orientalis (es. Zersi, 1871; Ugolini, 1899), specie autoctona italiana, sono da riferirsi a P. hispanica. Bibliografia: Cavalli et al., 2003; Grimm & Denk, 2008; Henry & Flood, 1920; Jones, 1968; Santamour, 1970, 1972; Sordelli, 1896; Ugolini, 1899; Zersi, 1871 92 93 borracina caucasica Famiglia: Crassulaceae Nome scientifico: Phedimus spurius (M.Bieb.) ‘t Hart Nome volgare: borracina caucasica Basionimo: Sedum spurium M.Bieb. Sinonimi: Asterosedum spurium (M.Bieb.) Grulich Spathulata spuria (M.Bieb.) Á.Löve & D.Löve Tipo biologico: Chrept Descrizione: Pianta erbacea perenne, in fioritura alta 20 cm o più; fusti sterili e fertili prostrati, radicanti ai nodi. Foglie in genere opposte; lamina obovata oppure ovata, di 15-25×6-12 mm, con margine cigliato, base cuneata, apice arrotondato provvisto di alcuni evidenti dentelli. Infiorescenza corimbiforme; fiori subsessili, pentameri; sepali oblunghi con apice ottuso, lunghi circa 4 mm; petali rosa, purpurei o bianchi, lanceolati, di 10-12×2 mm, ad apice acuto o acuminato; stami 10, più corti dei petali; ovario supero a 5 carpelli saldati alla base. Frutto costituito da 5 follicoli. Periodo di fioritura: giugno-luglio. Area d’origine: Asia occidentale (Caucaso, Iran e Turchia). Habitat: Ambienti antropizzati, spesso presso le abitazioni, dove si diffonde su muri e terreni spogli o con bassa copertura erbacea. Preferisce ambienti moderatamente aridi e soleggiati. Distribuzione nel territorio: In Lombardia è presente allo stato spontaneo soprattutto nella zona collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Lecco (CAS). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in periodo al momento imprecisabile. Modalità d’introduzione: Deliberata (pianta da giardino). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Questa specie sembra diffondersi in prevalenza per via vegetativa. Viene comunemente coltivata in numerose cultivar, che differiscono principalmente per il colore delle foglie e/o dei fiori. borracina Sarmentosa Famiglia: Crassulaceae Nome scientifico: Sedum sarmentosum Bunge Nome volgare: borracina sarmentosa Sinonimi: Sedum lineare auct., non Thunb. Tipo biologico: Chrept Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta alla fioritura circa 15 cm; fusti sterili e fertili prostrati, radicanti ai nodi. Foglie verticillate a 3; lamina oblanceolata oppure oblunga, 1.5-2.8×0.3-0.7 cm, margine intero, base bruscamente ristretta, apice subacuto. Infiorescenza corimbiforme, 3-5 volte ramificata; fiori sessili, di solito pentameri; sepali lanceolati oppure oblunghi, 3.5-5 mm, apice ottuso; petali gialli, lanceolati oppure oblunghi, 5-8 mm, apice più o meno lungamente mucronato; stami 10, più corti dei petali. Frutto costituito da 5 follicoli, con semi ovoidi di circa 0.5 mm. Periodo di fioritura: maggio-luglio. Area d’origine: Asia orientale (Cina, Corea, Giappone e nord della Thailandia). Habitat: Luoghi aridi e in genere assolati, spesso presso le abitazioni: muri, argini di campi, margini stradali, greti ecc. Di rado in ambienti a maggior naturalità, come ad esempio in boschi aperti e degradati. Spesso si rinviene spontaneizzata presso microdiscariche, dove probabilmente è stata gettata con altri scarti vegetali da giardino. Distribuzione nel territorio: Diffusamente presente allo stato spontaneo, anche se mai in modo abbondante, soprattutto in ambito planiziale e collinare (50-700 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (CAS), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia dal 1880. In Lombardia segnalata per la prima volta da Becherer (1976), che l’ ha raccolta nel 1975 sul Lago di Ghirla (VA) e da Arietti & Crescini (1980), che l’ hanno osservata da prima, a partire dal 1972 a Botticino Mattino (BS). Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Attualmente irrilevante. Azioni di contenimento: Estirpazione manuale, evitando di lasciare frammenti di fusto, in quanto principale veicolo di dispersione. Note: Questa specie sembra diffondersi in prevalenza per via vegetativa. Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Arietti & Crescini, 1980; Becherer, 1976; Bonali, 2000; Bonali et al., 2006a; Macchi, 2005; Zanotti, 1991b 94 95 Millefoglio d’acqua Famiglia: Haloragaceae Nome scientifico: Myriophyllum aquaticum (Vell.) Verdc. Nome volgare: millefoglio d’acqua Basionimo: Enydria aquatica Vell. Sinonimi: Myriophyllum brasilense Cambess. Myriophyllum proserpinacoides Gillies ex Hook.& Arn. Tipo biologico: Hyrad Descrizione: Pianta erbacea acquatica con foglie sia aeree sia sommerse, disposte in verticilli di 4-6 lungo il fusto. Foglie giallo-verde chiaro o verde glauco, pennatifide, le sommerse lunghe 1.5-3.5 cm con 20-30 segmenti filiformi per lamina; le aeree lunghe 2-5 cm con 6-18 segmenti. Fiori piccoli, unisessuali (pianta monoica), disposti in spiga terminale all’ascella delle foglie aeree; i superiori maschili con 4 piccoli petali bianchi, caduchi e 4 o 8 stami; gli inferiori femminili, privi di corolla, con ovario a 4 loculi e 4 stimmi sessili o subsessili. Il frutto è uno schizocarpo di 4 otricelli separantisi longitudinalmente. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: Sudamerica (Rio delle Amazzoni). Habitat: Stagni, laghetti, canali. Distribuzione nel territorio: Sinora naturalizzata soltanto nella pianura bresciana. Brescia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nella seconda metà del secolo scorso. Segnalata per la prima volta in Italia da Minutillo & Moraldo (1994) che la raccolsero nel 1988 e nel 1992 nelle province di Latina e Caserta; in Lombardia è stata rinvenuta nel 2003 da Frattini (Conti et al., 2007; Frattini, 2008). Modalità d’introduzione: Deliberata, per piante d’acquario. Status: Naturalizzata. Dannosa: Attualmente no. Impatto: Attualmente irrilevante. Azioni di contenimento: Poiché in alcuni stati risulta invasiva, va tenuta sotto controllo. Bibliografia: Conti et al., 2007; Frattini, 2008; Lastrucci et al., 2006; Minutillo & Moraldo, 1994 vite del CanadA Famiglia: Vitaceae Nome scientifico: Parthenocissus quinquefolia (L.) Planch. Nome volgare: vite del Canada Basionimo: Hedera quinquefolia L. Sinonimi: Ampelopsis hederacea (Ehrh.) DC. Ampelopsis quinquefolia (L.) Michx. Cissus quinquefolia (L.) Borkh. Parthenocissus inserta (A.Kern.) Fritsch Psedera quinquefolia (L.) Greene Vitis hederacea Ehrh. / Vitis inserta A.Kern. Vitis quinquefolia (L.) Lam. Tipo biologico: Plian Descrizione: Arbusto deciduo con fusti striscianti e rampicanti per mezzo di viticci (infiorescenze trasformate in organi di adesione), lunghi fino a 10(-30!) m; ritidoma bruno-rossastro, non sfibrato in placche; viticci opposti alle foglie, divisi in 5-8 ramificazioni più o meno evidentemente terminate da un disco adesivo. Foglie digitate, abassialmente da opaco-glaucescenti a verde lucido, arrossate d’estate, rosso scuro in autunno, glabre; segmenti in numero di (3-)5(-7), brevemente picciolettati e caduchi, obovato-oblanceolati, il maggiore (centrale) di 3-10×2-6 cm, con margine a denti irregolari, acuti; segmenti laterali minori e spesso asimmetrici. Fiori numerosi in pannocchie subemisferiche, terminali e opposte alle foglie; calice assente; corolla di 5 petali verdastri lunghi circa 3 mm, riflessi. Frutto a bacca nero-blu, pruinosa, subsferica, contenente 1-2 semi. Periodo di fioritura: maggio. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Ruderi, macerie, muri, bordi di sentieri, massicciate ferroviarie, boscaglie, boschi ecc. Distribuzione nel territorio: Ovunque, prevalentemente planiziale. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel Seicento, nel 1793 comunemente coltivata e consigliata a Milano (Anonimo, 1793); nel 1863 naturalizzata nel trevigiano (Saccardo, 1863), nel 1884 sulle mura di Milano (Omati, 1884), nel 1907 nel bresciano (Ugolini, 1907). Modalità d’introduzione: Deliberata, con finalità orticolturale. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Negli ambienti sinantropici determina un abbassamento della biodiversità in quanto soppianta rampicanti autoctone; in ambiente seminaturale/naturale la sua presenza è ancora contenuta, ma ugualmente minacciosa in relazione ai rischi di degrado e di sostituzione delle rampicanti autoctone. Azioni di contenimento: È una pianta che andrebbe eliminata dal mercato florovivaistico, dai parchi e dai giardini. Note: Le forme caratterizzate da faccia abassiale verde lucido nei segmenti fogliari, da viticci allungati a 3-5 ramificazioni prive di disco adesivo (solo un ispessimento terminale fatto per agganciare l’interno delle fessure) e da infiorescenze mai terminali, più piccole e più ramificate, vengono da molti autori (es. Laguna Lumbreras, 2005) identificate con il binomio P. inserta. Può essere che questa entità, simpatrica con P. quinquefolia, in Nordamerica si mantenga in qualche modo distinta, mentre in Europa, come osserva Webb (1968), almeno una parte delle popolazioni presenta caratteri promiscui, facendo pensare a un rimescolamento dei due genomi. D’altra parte nessun individuo con presunti caratteri di P. inserta (soprattutto i viticci senza disco adesivo) presente nel nostro territorio può mai essere ricondotto soddisfacentemente a tale taxon. Per questi motivi e in accordo con la recente checklist sinonimica della flora degli Stati Uniti (Kartesz, 1998), preferiamo considerare P. inserta sinonimo di P. quinquefolia. Bibliografia: Anonimo, 1793; Kartesz, 1998; Laguna Lumbreras, 2005; Omati, 1884; Saccardo, 1863; Ugolini, 1907; Webb, 1968 96 97 vite Riparia Famiglia: Vitaceae Nome scientifico: Vitis riparia Michx. Nome volgare: vite riparia, vite selvatica americana Sinonimi: Vitis cordifolia Michx. var. riparia (Michx.) A.Gray Vitis vulpina auct., non L. Vitis vulpina L. subsp. riparia (Michx.) R.T.Clausen Tipo biologico: Plian Descrizione: Liana legnosa, con fusto prostrato-strisciante o rampicante su alberi e arbusti, lungo fino a 35 m e rami provvisti di robusti viticci bifidi (infiorescenze trasformate in organi di appiglio); ritidoma sfibrato in lunghe placche nastriformi. Foglie a lamina palmato-3-lobata, da subintera a incisa in 3 cuspidi poco profonde, lunga fino a 15 cm o più, verde scuro, opaca o appena sublucida, piana, liscia o leggermente crispata sulla faccia adassiale, da giovane pubescente su entrambe le facce (più densamente su quella abassiale), poi solo abassialmente, in particolare lungo le nervature, con vistosi ciuffi di peli rigidi all’ascella di queste ultime; dentatura marginale a profilo triangolare-acuto; cuspidi acute, le due laterali di norma acuminatosubcaudate; seno basale a U. Viticci opposti alle foglie, mancanti in successione in corrispondenza di ogni quarta foglia. Infiorescenza a pannocchia lunga 7-12 cm, con profilo strettamente triangolare; fiori prevalentemente unisessuali (pianta funzionalmente dioica); perianzio monoclamide, caduco (a coperchietto), formato da 5 segmenti saldati fra loro nella metà apicale; stami 5; ovario supero. I frutti sono bacche (“acini”) del diametro massimale di 12 mm, nere, fortemente pruinose; mesocarpo gommoso, ben separato dall’epicarpo; semi (“vinaccioli”) piriformi, a estremità calazale bilobata. Periodo di fioritura: aprile-maggio. Area d’origine: Nordamerica sudorientale. Habitat: Boscaglie planiziali e fluviali degradate, argini ferroviari, di norma su suolo piuttosto umido. Distribuzione nel territorio: Ovunque, nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV). [V. berlandieri ×riparia : Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV).] [V. riparia ×rupestris: Brescia (NAT), Pavia (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1806, ma diffusa dalla seconda metà dell’Ottocento per difendere i vigneti dalla fillossera. La sua presenza in natura in Italia è stata sempre erroneamente riferita alle congeneri V. vulpina L. e Vitis vinifera L. subsp. sylvestris (C.C.Gmel.) Beger oppure a generici portainnesti americani. La sua prima corretta identificazione si deve a Banfi & Galasso (1998) per la città di Milano. Modalità d’introduzione: Deliberata (portainnesto per i vitigni contro la fillossera). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: È tra le aliene di recente diffusione che condizionano la qualità della vegetazione e del paesaggio in ambito planiziale e golenale. Infatti arriva a rivestire completamente siepi, arbusti, piccoli alberi e cumuli di detriti, nonché è in grado di formare fitti ed estesi tappeti sul terreno degli argini, sul suolo umido delle boscaglie o al margine dei campi coltivati. Azioni di contenimento: Eradicazione delle piante e dei vigneti abbandonati. Vietare lo spargimento dei residui di potatura. Note: La vite selvatica americana venne introdotta allo scopo di risolvere il problema della fillossera (Viteus vitifoliae Fitch 1855), che flagellava la viticoltura europea. Questo insetto nordamericano, che è presente sin dal 1863 in Francia ed è stato segnalato per la prima volta in Italia nel 1879 a Valmadrera (LC) e Agrate Brianza (MB), si nutre della linfa della pianta, attaccando sia l’apparato radicale sia le parti aeree. La vite comune (V. vinifera L.) non viene aggredita nelle parti aeree, mentre soccombe a livello radicale; agli attacchi radicali sono invece immuni le specie americane, motivo per cui V. riparia fu impiegata come portainnesto. Alla stessa funzione vengono adibiti gli ibridi (ottenuti artificialmente in Europa) di questa con altre due specie, V. berlandieri Planch. e V. rupestris Scheele, i quali poi si ritrovano qua e là casuali, naturalizzati o invasivi dopo l’abbandono di appezzamenti di vigneto, dove sopraffanno l’innesto sviluppandosi e propagandosi. L’ibrido con V. berlandieri (vite americana ibrida) si riconosce per i ciuffi di peli abassiali all’ascella delle nervature fogliari molto ridotti e scarsi, per la presenza di pelosità ragnatelosa specialmente alla base della lamina, per i denti marginali ogivali e per il seno basale chiuso a lira anziché a forma di U; in Lombardia è specie invasiva, a volte maggiormente della pura V. riparia. L’ibrido con V. rupestris è decisamente più variabile e difficile da riconoscere, presentando come unico carattere evidente, ma statistico, una lamina con seno basale assai poco profondo (a U molto allargata); inoltre le foglie sono spesso ripiegate lungo la nervatura centrale come in V. rupestris (vedi scheda) e presentano spesso piccoli ciuffi di peli rigidi sulla faccia abassiale all’ascella nervature come in V. riparia. In Lombardia, segnalata qui per la prima volta in Italia, è specie naturalizzata. Infine l’uva fragola (V. labrusca L.), cultispecie domesticata in epoca preistorica dagli indigeni nordamericani (probabilmente con il coinvolgimento iniziale di V. riparia), tradizionalmente utilizzata per le pergole e, nel Veneto, anche per la produzione locale del “Fragolino”. Non tende a sfuggire e si può trovare qua e là soltanto casuale. Gran parte delle segnalazioni rinvenibili in letteratura per questo taxon sono da riferirsi a Vitis riparia e ai suoi ibridi. 98 Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Galasso et al., 2007a; Laguna Lumbreras, 2003, 2004; Moore, 1991 vite rupestre Famiglia: Vitaceae Nome scientifico: Vitis rupestris Scheele Nome volgare: vite rupestre Tipo biologico: Pscap Descrizione: Arbusto ramosissimo con habitus cespuglioso-arrotondato, a volte decombente-strisciante, alto 0.5-2m. Foglie reniformi (generalmente più larghe che lunghe), intere, mediamente minori di 7 cm, di rado superanti i 10 cm, verde glauco, lucide con riflessi metallici, caratteristicamente ripiegate a V (specialmente in fase giovanile) lungo la nervatura centrale; lamina consistente, a volte ispessita e subcoriacea, liscia sulla faccia adassiale, glabra (raramente da giovane con lanugine sparsa lungo i nervi della faccia abassiale); denti marginali triangolari, i mediani non molto pronunciati, subapicolati; base piana o cuneata, seno basale assente. Viticci (infiorescenze trasformate in organi di appiglio) opposti alle foglie, assenti in corrispondenza di ogni quarta foglia, lunghi meno di 11 cm, interi o bifidi. Pannocchia lunga 4-7 cm, generalmente globosa, con fiori in prevalenza unisessuali (pianta funzionalmente dioica); perianzio monoclamide, caduco (a coperchietto), formato da 5 segmenti saldati fra loro nella metà apicale; stami 5; ovario supero. Racemo fruttifero di 4-8 cm, lasso, generalmente con 12-25 bacche (“acini”) fino a 12 mm di diametro, nere, debolmente pruinose; mesocarpo a maturità gommoso, separato dall’epicarpo; semi (“vinaccioli”) piriformi a estremità calazale bilobata. Periodo di fioritura: aprile-maggio. Area d’origine: Nordamerica sudorientale. Habitat: Ruderati e margini termofili. Distribuzione nel territorio: Sinora conosciuta soltanto per l’Oltrepo pavese. Pavia (NAT). [V. berlandieri ×rupestris: Pavia (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa intorno al 1860 per difendere i vigneti dalla fillossera. Nei rilievi floristici nazionali sempre trascurata e segnalata per la prima volta da Acosta et al. (2007) per l’Italia centrale. In Lombardia viene qui segnalata per la prima volta, naturalizzata nel pavese (Nicola Ardenghi, in verbis). Modalità d’introduzione: Deliberata (portainnesto per i vitigni contro la fillossera). Status: Naturalizzata. Dannosa: Potenzialmente sì. Impatto: Questa specie è maggiormente diffusa in ambiente mediterraneo, dove presenta capacità invasiva, anche se apparentemente inferiore all’ibrido con V. riparia. È dunque potenzialmente dannosa per la biodiversità e va mantenuta monitorata anche in Lombardia. Azioni di contenimento: Eradicazione delle piante e dei vigneti abbandonati. Vietare lo spargimento dei residui di potatura. Note: Per la fillossera si veda la scheda di V. riparia. Oltre agli ibridi già citati in quella scheda ricordiamo qui quello tra questa specie e V. berlandieri Planch., molto simile a V. riparia × rupestris ma riconoscibile per i denti ogivali e l’assenza di ciuffi di peli rigidi sulla faccia abassiale all’ascella nervature; in Lombardia, segnalata qui per la prima volta in Italia, è specie naturalizzata (Nicola Ardenghi, in verbis). Bibliografia: Acosta et al., 2007; Laguna Lumbreras, 2003, 2004; Moore, 1991 99 Indaco Bastardo Famiglia: Fabaceae Nome scientifico: Amorpha fruticosa L. Nome volgare: indaco bastardo, amorfa Tipo biologico: nPscap Descrizione: Arbusto di odore fetido, alto 1-2(-6) m, con rami giovani sparsamente pubescenti. Foglie imparipennate a (7)13-17 segmenti ellittici di 15-40×8-20 mm, pubescenti o subglabri, portati da un piccioletto di 2 mm; stipole lineari (3-4 mm), precocemente caduche. Fiori in racemi spiciformi lineari (10-15×1 cm) formati da numerosissimi fiori papilionacei irregolarmente unilaterali, lunghi circa 6 mm; calice campanulato a 5 denti, lungo 2.5 mm; corolla ridotta al solo vessillo violaceo-porporino; stami diadelfi (1 libero + 9 saldati a tubo per i filamenti), brevemente sporgenti. Legumi punteggiatoghiandolosi, lunghi 7-9 mm, con 1(-2) semi. Periodo di fioritura: giugno-luglio. Area d’origine: Nordamerica sudorientale. Habitat: Greti e alvei fluviali, nelle aree potenzialmente di pertinenza dei saliceti arbustivi; cave. Distribuzione nel territorio: In pianura, soprattutto lungo il Po, ma anche lungo i suoi affluenti. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (CAS), Cremona (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1724. In Italia coltivata dal Settecento; in Lombardia coltivata almeno dal 1785 (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789) e naturalizzata almeno dal 1879 (Paglia, 1879). Modalità d’introduzione: Deliberata, come soggetto da giardino e per la produzione di vimine. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Invadendo le sponde fluviali, determina una cospicua caduta di biodiversità poiché edifica comunità di poche specie invasive che vanno a sostituire i saliceti arbustivi; l’indaco bastardo è inoltre in grado di eutrofizzare i suoli, in quanto riccamente dotato di noduli radicali ospitanti batteri simbionti azotofissatori. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia; è inoltre inserita tra le specie esotiche a carattere infestante e dannose per la conservazione della biodiversità riportate nel r.r. 5/2007. Azioni di contenimento: Evitare la diffusione dei semi e dei piccoli frammenti di fusti e radici. Nei popolamenti stabilizzati il taglio è efficace solo se in combinazione con erbicidi (il cui uso deve essere però autorizzato). Le giovani piante devono essere eradicate e poiché rami e radici sono in grado di generare nuovi individui, tutte le parti della pianta vanno bruciate e non devono assolutamente essere compostate o mischiate ad altri cascami vegetali. fagiolino sotterraneo Famiglia: Fabaceae Nome scientifico: Amphicarpaea comosa (L.) G.Don ex Loudon Nome volgare: fagiolino sotterraneo Basionimo: Glycine comosa L. Sinonimi: Amphicarpaea bracteata auct., non (L.) Fernald Amphicarpaea bracteata (L.) Fernald var. comosa (L.) Fernald Amphicarpaea comosa (L.) Nieuwl. & Lunell, comb. superfl. Tipo biologico: Tlian Descrizione: Pianta erbacea annuale con radice carnosa e fusti volubili, esili, lunghi fino a 1.5 m. Foglie trifoliolate con picciolo di 10 cm e segmenti lunghi fin oltre 8 cm, da ovati a deltoidi, acuti, verde scuro adassialmente, più chiaro sulla faccia abassiale, con pelosità appressata. Fiori di tre tipi: quelli della sommità della pianta casmogami e in parte cleistogami, in racemi ascellari lunghi fino a 15 cm, papilionacei, purpurei, con vessillo di 1.5×0.5 cm, quelli della parte inferiore sotterranei, cleistogami, privi di corolla, in gruppetti compatti. Il frutto prodotto dai fiori superiori è un legume lineare-oblungo, con 3-4 semi; quello dei fiori inferiori, a sviluppo sotterraneo (come l’arachide), ha forma più o meno globosa ed è indeiscente (tecnicamente una càmara), con all’interno un solo seme. Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: Nordamerica orientale. Habitat: Radure e discontinuità nelle boscaglie. Distribuzione nel territorio: Brianza, attualmente puntiforme nella fascia pedecollinare (190 m s.l.m.). Monza e Brianza (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta molto recentemente: la prima segnalazione italiana e lombarda (Banfi & Galasso, 2007) riguarda campioni raccolti nel 2006. Modalità d’introduzione: Al momento imprecisabile, sebbene verosimilmente deliberata. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Nessuno. Azioni di contenimento: Al momento non necessarie, anche se è consigliabile il monitoraggio. Note: Il genere Amphicarpacea Elliot ex Nutt. comprende presumibilmente (3-)5 specie rampicanti originarie di Asia orientale, America nordorientale e Africa centrale. Le entità americane sono molto simili tra loro e sono state spesso trattate come un’unica specie, all’interno della quale si distinguono tre linee morfologiche e isozimiche ben distinte, tra loro simpatriche, che riflettono l’adattamento agli habitat ombrosi o soleggiati qui trattati come specie diverse: linea Ia (= morfotipo “comosa”: pubescente, foglioline larghe, di ambiente soleggiato), Ib (= morfotipo “bracteata a foglioline larghe”: sparsamente pubescente, di ambiente ombroso) e II (= morfotipo “bracteata a foglioline strette”: sparsamente pubescente, di ambiente soleggiato). La pianta ritrovata in Lombardia corrisponde al morfotipo “comosa”, da chiamarsi appunto Amphicarpaea comosa. Bibliografia: Banfi & Galasso, 2007 Note: L’indaco bastardo può essere confuso con i giovani individui e i rigetti di robinia (Robinia pseudoacacia). Per distinguerlo valgono i seguenti caratteri: la robinia è spinosa, non ha odori di sorta e le infiorescenze sono bianche e pendule; il fusto dell’indaco bastardo è peloso. Bibliografia: Ciotti & Maspoli, 2006; Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Paglia, 1879; Zavagno & D’Auria, 2001 100 101 Glicine Tuberoso Famiglia: Fabaceae Nome scientifico: Apios americana Medik. Nome volgare: glicine tuberoso Basionimo: nome basato su Glycine apios L. Sinonimi: Apios tuberosa Moench, nom. illeg. Tipo biologico: Hlian Descrizione: Pianta erbacea rampicante, perenne, con rizoma sotterraneo orizzontale, tuberiforme; fusto volubile, glabro o pubescente, lungo 30-120 cm. Foglie imparipennate con (3-)5-9 segmenti lanceolati od ovato-lanceolati, acuti, lunghi 3-10 cm. Racemi multiflori (mediamente più di 20 fiori), compatti; fiori papilionacei, con calice bilabiato di 2-3 mm a denti brevi e corolla bruno-porporina a vessillo lungo 10-12 mm. Legume di 6-12 cm; semi bruno scuro di circa 6 mm. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Boschi umidi ripariali. Distribuzione nel territorio: In pianura, lungo il Po e i suoi affluenti. Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta e coltivata in Italia sin dal Seicento. Segnalata per la Lombardia da Bertoloni (1847) e come già diffusa nel mantovano da Paglia (1879) e nel pavese da Cavara (1894). Modalità d’introduzione: Deliberata, ad uso di sperimentazione alimentare per i suoi tuberi eduli ed anche come curiosità da giardino. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Senza rilievo. Bibliografia: Bertoloni, 1847; Cavara, 1894; Paglia, 1879 Spino di giuda Famiglia: Fabaceae Nome scientifico: Gleditsia triacanthos L. Nome volgare: spino di Giuda Tipo biologico: Pscap Descrizione: Albero alto sino a 20 m, eccezionalmente oltre, con chioma espansa e arrotondata; tronco e rami provvisti di robuste spine semplici o ramificate. Foglie decidue, alterne, 1-2-pennate, con rachide lungo 12-18 cm; segmenti in 12-15 paia, oblunghi, lunghi 2-3 cm, con margine crenulato. Infiorescenze formate da racemi ascellari lunghi 5-7 cm; fiori di circa 5 mm, con calice campanulato a 5 denti e corolla di 3-5 piccoli petali verdastri; stami 6-10. Frutto costituito da un lomento (legume indeiscente con mesocarpo polposo) delle dimensioni di 30-40×3-4 cm, diritto o un po’ falcato, piatto, di colore bruno scuro, contenente semi ellittici di colore bruno-nerastro. Periodo di fioritura: maggio-luglio. Area d’origine: Nordamerica centro-orientale. Habitat: Boscaglie e boschi degradati, spesso in prossimità di esemplari coltivati. Piuttosto frequente lungo le rive dei corsi d’acqua, anche se rifugge i ristagni e, nella parte orientale della regione, lungo i binari ferroviari. Distribuzione nel territorio: In prevalenza nell’area planiziale e collinare (50-400 m s.l.m.), ma con una distribuzione molto discontinua. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia verso la fine del XVIII secolo; in Lombardia coltivata almeno dal 1785 (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789) e naturalizzata almeno dal 1884 (Omati, 1884). Modalità d’introduzione: Deliberata (sperimentazione forestale, florovivaistica). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Attualmente la specie non manifesta impatto di rilievo. Azioni di contenimento: Immediata rimozione della rinnovazione. Note: Viene spesso coltivato nei parchi per il suo portamento maestoso, a volte in cultivar inermi. Bibliografia: Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Omati, 1884 102 103 lupino americano Famiglia: Fabaceae Nome scientifico: Lupinus polyphyllus Lindl. Nome volgare: lupino americano, lupino da giardino Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne alta sino a 1.5 m. Foglie alterne, palmatopartite; segmenti fogliari in numero di 9-17, 4-15×1-3 cm, lanceolati, con diffusa pelosità appressata sulla pagina inferiore ed apice acuto. Fiori riuniti in densi racemi cilindrici, terminali, lunghi 15-50 cm; calice bilabiato a 5 denti; corolla papilionacea lunga 12-16 mm, di colore blu, raramente porpora, rosa o bianca. Frutto costituito da un legume di 2.5-6×0.7-1 cm, con pelosità appressata; semi ovoidi. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: Nordamerica occidentale. Habitat: Radure in boschi di latifoglie. Distribuzione nel territorio: Val Camonica. Brescia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XIX secolo; segnalata per la prima volta in Lombardia da Conti et al. (2007) in base a osservazioni di Silvio Frattini del 2006. Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Azioni di contenimento: Si suggerisce il monitoraggio. Bibliografia: Conti et al., 2007 pueraria Famiglia: Fabaceae Nome scientifico: Pueraria lobata (Willd.) Ohwi Nome volgare: pueraria, kudzu Basionimo: Dolichos lobatus Willd. Sinonimi: Dolichos hirsutus Thunb. Pachyrhizus thunbergianus Siebold & Zucc. Pueraria hirsuta (Thunb.) C.K.Schneid., non Kurz , nom.illeg. Pueraria montana (Lour.) Merr. var. lobata (Willd.) Maesen & S.M.Almeida ex Sanjappa & Pradeep Pueraria thunbergiana (Siebold & Zucc.) Benth. Tipo biologico: nPlian Descrizione: Liana con rizoma sotterranea e fusti che possono raggiungere e superare i 20 m di lunghezza. Foglie decidue, alterne; lamina composta in genere da 3 segmenti di cui i laterali a volte lobati, ovato-romboidali, lunghi 10-18 cm, a margine intero, pubescenti su entrambe le pagine e con apice acuminato. Fiori di circa 1.5 cm, riuniti in densi racemi eretti lunghi sino a 25 cm; calice pubescente; corolla papilionacea, viola-rossastra, con vessillo obovato-subrotondo. Frutto costituito da un legume lineare-oblungo, di 5-13×0.7-1.2 cm, pubescente. Periodo di fioritura: luglio-agosto. Area d’origine: Asia orientale (Russia, Cina, Giappone, Penisola Indocinese ecc.) e isole del Pacifico sud-occidentale. Habitat: Sempre nei pressi di abitazioni, oppure lungo strade o ferrovie. Predilige posizioni ben soleggiate e spesso in luoghi piuttosto caldi. Distribuzione nel territorio: Diffusa su tutto il territorio regionale (150-400 m s.l.m.), ma soprattutto nella parte occidentale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (INV), Lecco (NAT), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Pavia (NAT), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1878 e naturalizzata in Lombardia dal 1940 (Arietti, 1950). Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Specie con un’impressionante capacità di accrescimento (sino a 30 m all’anno!), che le consente di ricoprire pressoché uniformemente tutte le superfici che incontra (alberi, edifici ed altri manufatti, terreno ecc.), senza problemi nel raggiungere altezze considerevoli. È da considerarsi un vero e proprio flagello vegetale! È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia. Azioni di contenimento: Specie di difficile controllo, in quanto il rizoma sotterraneo si allunga e si ramifica velocemente mentre i fusti radicano facilmente ai nodi. Si consiglia il taglio (almeno 3-4 volte l’anno, ripetuto per alcuni anni), coadiuvato dall’impiego di erbicidi (solo sulla porzione radicata al suolo). Occorre rimuovere accuratamente le parti tagliate e distruggerle. Evitare nel modo più assoluto ogni azione che possa favorire la propagazione della specie. Note: P. lobata, (con foglioline trilobate, raramente intere, circa tanto lunghe quanto larghe) è da alcuni autori ridotta a varietà (Maesen, 1985, 2002) di montana (con foglioline prevalentemente intere, spesso più lunghe che larghe) o, addirittura, sinonimizzata con essa (Ward, 1998). Tuttavia le sequenze dei microsatelliti separano chiaramente queste entità (Sun et al., 2005), così che è legittimo mantenerle specie distinte. Bibliografia: Arietti, 1950; Maesen, 1985, 2002; Pappert et al., 2000; Pavan Arcidiaco et al., 1990; Sun et al., 2005; Ward, 1998 104 105 robinia Famiglia: Fabaceae Nome scientifico: Robinia pseudoacacia L. Nome volgare: robinia, gaggìa, acacia Tipo biologico: Pscap Descrizione: Albero deciduo alto 2-25 m oppure arbusto pollonante (ceduato), con sistema radicale molto esteso in superficie; ritidoma di rami e giovani fusti omogeneo, grigiastro, quello dei tronchi fessurato longitudinalmente in losanghe lunghe e strette. Foglie composte in media di 13-15 segmenti ellittici, di 3-5×1-2 cm, arrotondati all’apice, di un verde un po’ glauco, più chiari di sotto; stipole trasformate in spine robuste, nero-brunastre. Fiori molto profumati, in racemi ascellari penduli, lunghi 10-20 cm; corolla papilionata, lunga 15-20 mm, bianca con vessillo giallo alla base; stami diadelfi (1 libero + 9 saldati a tubo per i filamenti); ovario supero, stilo sporgente dal tubo degli stami. Il frutto è un legume di 5-10×1 cm, appiattito, glabro, contenente 3-10 semi lenticolari-reniformi, bruni, opachi. Periodo di fioritura: aprile-giugno. Area d’origine: Nordamerica orientale (regione appalachiana). Habitat: Boschi planiziali e collinari, scarpate, incolti, siepi. Distribuzione nel territorio: Ovunque, in ambito planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1601, in Italia nel 1662 (Orto Botanico di Padova). In Lombardia coltivata almeno dal 1785 all’Orto Botanico di Pavia (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789); reintrodotta (mediante nuovi esemplari americani) e diffusa in Lombardia nel 1787-1789 da parte del conte Luigi Castglioni e, successivamente, da Alessandro Manzoni; naturalizzata almeno dal 1855 (campione raccolto da F. Sordelli a Milano e conservato nell’Erbario dell’Università di Milano, MI). Modalità d’introduzione: Deliberata: inizialmente come soggetto sperimentale di provenienza coloniale, poi scambiata privatamente tra cultori e appassionati (per es. Luigi Castiglioni e Alessandro Manzoni), quindi, nella seconda metà dell’Ottocento, impiegata in modo estensivo per consolidare gli argini delle prime linee ferroviarie in costruzione. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Nei boschi causa perdita di biodiversità in quanto soppianta le specie legnose autoctone. Il contenuto di azoto delle sue foglie è di 1.5-2.5 volte maggiore che nelle altre latifoglie (Ziegler, 1958), grazie alla simbiosi con batteri del genere Rhizobium che fissano l’azoto atmosferico. La caduta delle foglie determina quindi un aumento dell’azoto nel suolo e la comparsa di molte specie ammoniacali. A differenza di altre vegetazioni eutrofiche, è la presenza della robinia che crea le condizioni per un insediamento della flora nitrofila. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia. Azioni di contenimento: La capacità espansiva della robinia è massimale fintanto che l’uomo ne pratica la gestione soprattutto attraverso il taglio ripetuto (ceduazione); pertanto, il recupero delle specie native e dei loro assetti naturali nelle cenosi infestate da robinia (boschetti e boscaglie) può conseguirsi a 25-30 anni dall’ultimo intervento perturbativo. Per evitare che le piante rigettino, è possibile praticare la cercinatura asportando un anello di corteccia largo 15 cm; in questo modo le radici non ricevono più gli elaborati della fotosintesi e nell’anno successivo l’albero può essere abbattuto senza rischio di reviviscenze. robinia vischiosa Famiglia: Fabaceae Nome scientifico: Robinia viscosa Vent. Nome volgare: robinia vischiosa, gaggìa vischiosa Sinonimi: Robinia glutinosa Sims Tipo biologico: Pscap Descrizione: Alberello o albero deciduo, alto fino a 13 m, con crescita dell’anno ghiandoloso-pubescente e rametti appiccicosi, bruno-nerastri, provvisti di piccole spine (derivate dalla trasformazione delle stipole). Foglie imparipennate, composte di 6-12 paia di segmenti ovato-ellittici, interi, lunghi fino a 5 cm, verde scuro sulla faccia adassiale, più o meno grigio-pubescenti su quella abassiale. Fiori in densi racemi penduli lunghi circa 8 cm; calice campanulato a 5 denti acuminati; corolla papilionacea, rosa vivo, alla base del vessillo con due macchie gialle simmetriche (guide del nettare); stami diadelfi (1 libero + 9 saldati a tubo per i filamenti); ovario supero, stilo sporgente dal tubo degli stami. Il frutto è un legume bruno-nerastro, lineare, appiattito, di 5-11×1-1.5 cm, di solito densamente ghiandoloso-pubescente, contenente piccoli semi reniformi, bruni. Periodo di fioritura: maggio-giugno. Area d’origine: Nordamerica sudorientale. Habitat: Boscaglie di latifoglie e boschi degradati (robinieti), scarpate. Distribuzione nel territorio: Presente soprattutto nell’alto milanese e nel basso varesino, ma con penetrazioni sino a Varese e in Valcuvia; è segnalata anche per la zona del torrente Molgora. Lecco (NAT), Milano (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1791. In Lombardia segnalata da Stucchi (1972) come naturalizzata già da diversi anni. Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura, vivaistica). Status: Invasiva. Dannosa: No. Impatto: Molto contenuto, rilevabile solo alla fioritura. Azioni di contenimento: Al momento non appaiono necessarie. Note: Questa specie non è in grado di competere con la comune robinia (R. pseudoacacia), di cui occupa il medesimo habitat, ed è per questo che si mantiene marginale alle sue formazioni, senza penetrarvi. Da questa si riconosce agevolmente durante la fioritura per il colore dei fiori, negli altri periodi dell’anno per il colore e, soprattutto, l’indumento dei giovani rami. Le piante della zona del Parco del Molgora presentano alcuni caratteri non tipici di R. viscosa, come i legumi con ghiandole sessili, e vanno ulteriormente studiate. In Lombardia è segnalata anche R. neomexicana A.Gray (robinia del Nuovo Messico, gaggìa del Nuovo Messico), osservata casuale nel bresciano (Guarino, 1995). Anch’essa è caratterizzata dai fiori rosa, ma i suoi rami non sono ghiandolosi. Bibliografia: Brusa et al. 2008a; Guarino, 1995; Isely & Peabody, 1984; Stucchi, 1972 Note: La tremenda aggressività della robinia è dovuta all’alta efficienza di entrambe le modalità riproduttive della specie: vegetativa e per seme. La prima svolge ruolo essenziale nei popolamenti gestiti a ceduo o in qualche modo mantenuti giovanili da interventi di taglio, incendio, estirpazione (incompleta), eliminazione parziale e altro; essa determina l’ampliamento progressivo del clone per riempimento degli spazi vuoti e per espansione periferica esterna. Ecco perché spesso si assiste all’esplosione della robinia nel giro di pochi anni in siti disboscati destinati all’edilizia. La seconda modalità, sommandosi alla prima per poi diventare determinante nell’ambiente di fustaia (boscaglie invecchiate), interessa le piante sessualmente mature e indisturbate rispetto ai cicli di fioritura, producendo nuclei di fondazione, per lo più irregolarmente distribuiti, dovuti alla dispersione dei semi. Simile a R. viscosa e R. neomexicana, anch’esse presenti nel territorio regionale, per le quali si rimanda alla scheda di R. viscosa. 106 Bibliografia: Gentile, 1995; Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Isely & Peabody, 1984; Klauck, 1988; Mondino & Scotta, 1987; Stucchi, 1949b; Ziegler, 1958 107 pero corvino Canadese Famiglia: Rosaceae Nome scientifico: Amelanchier lamarckii F.G.Schroed. Nome volgare: pero corvino canadese Basionimo: nome basato su Crataegus racemosa Lam., non Amelanchier racemosa Lindl. Sinonimi: Amelanchier canadensis auct., non (L.) Medik. Amelanchier grandiflora auct., non Rehder Amelanchier laevis auct., non Wiegand Tipo biologico: Pscap Descrizione: Arbusto o piccolo albero alto fino a 10 m. Foglie decidue, alterne; picciolo pubescente; lamina ellittica, di 4.5-8.5×2-5 cm, alla fogliazione di color rosso rame, pubescente sulla faccia abassiale; margine finemente seghettato, base arrotondata o leggermente cordata, apice da ottuso a brevemente acuminato. Infiorescenza a racemo, lunga 4-12 cm, con 6-10 fiori; pedicelli lunghi 1.5-2.5 cm; sepali 5, lunghi 3-5 mm, triangolari-lanceolati; petali 5, bianchi, di 9-14×2.5-5 mm; stami 20; pistilli parzialmente fusi tra loro. Il frutto è un pomo globoso, di 1-1.5 cm di diametro, nerastro-porpora, glabro, all’apice coronato dai sepali persistenti, eretti. Periodo di fioritura: aprile-maggio. Area d’origine: Nordamerica orientale (Canada orientale). Habitat: Boschi mesofili su suolo acido. Distribuzione nel territorio: Presenza contenuta, confinata alla Lombardia occidentale (100-350 m s.l.m.); sinora abbondante in una sola località (Tradate, VA). Como (NAT), Lecco (CAS), Monza e Brianza (CAS), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nella seconda metà del XIX secolo; segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia da Banfi & Galasso (2005), in seguito ne è stato precisato l’areale (Galasso, 2006). Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: Sì. Impatto: Pur essendo sinora confinata a poche stazioni, questa specie sembra in espansione, tanto da potersi profilare per i prossimi anni come esotica invasiva. Può formare comunità pressoché pure, nelle quali tutte le stratificazioni della cenosi boschiva sono dominate da questa aliena. Azioni di contenimento: Taglio selettivo, ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi in caso di ripollonamento; provvedere quindi a sottopiantagione. Pronta rimozione del novelleto. Evitare assolutamente la fruttificazione. cotognastro prostrato Famiglia: Rosaceae Nome scientifico: Cotoneaster horizontalis Decne. Nome volgare: cotognastro prostrato Tipo biologico: nPrept Descrizione: Arbusto alto al massimo 50 cm, con rami patenti e prostrati. Foglie semisempreverdi, alterne; picciolo lungo 1-3 mm, pubescente; stipole caduche; lamina suborbicolare, raramente obovata, di 6-14×4-9 mm; pagina inferiore con sparsa pubescenza appressata, la superiore glabra; margine intero, apice di solito acuto. Fiori generalmente solitari; pedicelli brevissimi o assenti; sepali 5, triangolari, con apice acuto, esternamente pubescenti; petali 5, eretti, rosa, rossi o biancastri, di 3-4×2-3 mm, con apice ottuso; stami 12, più brevi dei petali. Il frutto è un pomo subgloboso, rosso brillante, di 5-7 mm, contenente 2-3 semi. Periodo di fioritura: maggio-giugno. Area d’origine: Asia orientale (Cina e Nepal). Habitat: Boscaglie prossime alle abitazioni, manufatti murari, margini stradali. Distribuzione nel territorio: Sporadico in ambito planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (CAS), Lecco (NAT), Milano (CAS), Pavia (CAS), Varese (NAT). [C. hjelmqvistii: Varese (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XIX secolo; segnalata per la prima volta in Lombardia da Giordana (1995). Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Altra specie coltivata e naturalizzata in territorio lombardo (Banfi et al., 2009) è C. hjelmqvistii Flinck & B.Hylmö (cotognastro di Hjelmqvist), con ramificazione irregolare, ascendente, foglie maggiori (lunghe almeno 15 mm) e sepali esternamente glabri (salvo al margine). Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Banfi et al., 2009; Bonali et al., 2006a; Flinck & Hylmö, 1991; Giordana, 1995; Stace, 1997 Note: La disseminazione avviene ad opera dell’avifauna frugivora. L’origine di A. lamarckii è poco chiara: è possibile che si tratti di una notospecie formatasi dall’ibridazione naturale tra A. canadensis (L.) Medik. e un’entità affine, la quale è in discussione fra A. laevis Wiegand e A. arborea (F.Michx.) Fernald. Tutti e tre gli ipotetici parentali sono effettivamente molto simili ad A. lamarckii, con la quale vengono facilmente confusi, tuttavia essi non presentano il caratteristico rossore in fase di fogliazione e, inoltre, A. canadensis è pianta stolonifera, A. laevis presenta lunghezza media dei racemi superiore a 8 cm, A. arborea raggiunge i 20 m d’altezza e matura frutti rosso porpora anziché nerastri. Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Galasso, 2006; Richardson, 1995; Schroeder, 1968, 1972 108 109 cotognastro salicino Famiglia: Rosaceae Nome scientifico: Cotoneaster salicifolius Franch. Nome volgare: cotognastro salicino Tipo biologico: nPscap Descrizione: Arbusto alto 2 m e più, con rami arcuati o eretti. Foglie sempreverdi, alterne; picciolo lungo 4-5 mm, tomentoso; stipole caduche; lamina ellittico-oblunga oppure ovato-lanceolata, di 4-8.5×1.5-2.5 cm, con 12-16 paia di nervature laterali; pagina inferiore grigio-tomentosa, la superiore glabra e verde, debolmente rugosa; margine intero, apice acuto o acuminato. Infiorescenze formate da cime corimbose di 3.5-6×3-4 cm; brattee caduche; peduncoli densamente grigio-tomentosi, 2-4 mm; fiori di 5-6 mm di diametro; sepali 5, triangolari, densamente tomentosi; petali 5, patenti, ovati o suborbicolari, bianchi, di 2.5-4×3-4 mm, con apice ottuso; stami 20, lunghi quanto i petali o leggermente più lunghi; antere porpora; ovario di 5 carpelli liberi sul lato ventrale (adassiale), con 2-3 stili liberi. Il frutto è un pomo da subgloboso a ovoide, rosso scarlatto, di 3-7 mm, contenente 2-3 semi. Periodo di fioritura: maggio-giugno. Area d’origine: Asia orientale (Cina). Habitat: Rupi, boschi e boscaglie presso le abitazioni, su suolo calcareo sia roccioso sia umifero. Distribuzione nel territorio: Presenza rara, sinora segnalata solo nell’area varesina dei Laghi Insubrici (200-500 m s.l.m.). Varese (NAT). [C. coriaceus: Varese (NAT).] [C. pannosus: Varese (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XX secolo; segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia da Cerabolini et al. (2008). Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Comunemente coltivata in parchi e giardini, spesso insieme ad altre due specie dello stesso genere, entrambe naturalizzate in territorio regionale (Banfi et al., 2009), caratterizzate anch’esse da portamento eretto-ascendente e foglie tomentose sulla pagina inferiore, ma a contorno obovato o largamente ellittico. Si tratta di C. coriaceus Franch. (= C. lacteus W.W.Sm.; cotognastro coriaceo) e C. pannosus Franch. (cotognastro pannoso), l’ultima delle quali distinta per le foglie mediamente minori di 3 cm e per le infiorescenze con, al massimo, 20 fiori. azzeruolo americano Famiglia: Rosaceae Nome scientifico: Crataegus submollis Sarg. Nome volgare: azzeruolo americano Sinonimi: Crataegus champlainensis auct., non Sarg. Crataegus coccinea auct., non L. Crataegus mollis auct., non Scheele Crataegus noelensis auct., non Sarg. Crataegus pedicellata auct., non Sarg. Tipo biologico: Pscap Descrizione: Grosso arbusto o alberello alto fino a 10 m, con chioma espansa e rami villosi da giovani, quindi glabri e provvisti di spine robuste. Foglie ovate od ovoidali, lunghe 4-8 cm, con lamina incisa in 4-5 paia di lobi poco profondi, scabri, seghettati, sopra pubescenti, sotto feltrosi, alla fine glabri. Fiori in cime multiflore, tomentose e lasse, larghi 2 cm, a 5 petali bianchi e stami numerosi con antere gialle o purpuree. Il frutto è un pomo da globoso a obovoide o piriforme di 1 cm, rosso aranciato, alla fine cremisi, edule, contenente 3-4 noccioli. Periodo di fioritura: aprile-giugno. Area d’origine: Nordamerica nordorientale. Habitat: Boschi degradati, boscaglie, tendenzialmente acidofili. Distribuzione nel territorio: Pianalti occidentali (es. Parco delle Pineta di Tradate e Appiano Gentile, Parco delle Groane, Parco di Montevecchia e della Valle del Curone). Como (NAT), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia da Ugolini (1933, sub C. coccinea) in Veneto, ove era nota selvatica da almeno un quarantennio; in seguito in Piemonte (Soldano, 1977a, sub C. champlaineisis) e in Lombardia (Banfi & Costalonga, 1984, sub C. cfr. noelensis). Modalità d’introduzione: Deliberata (pianta da frutto e da giardino). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Note: L’esatta identità della specie naturalizzata in Lombardia e in Italia è ancora incerta in quanto appartiene a un gruppo di entità americane molto complicato e ancora allo studio degli specialisti; per questo appare segnalata con i nomi più diversi. Ad esempio, la recente segnalazione lombarda di Costalonga (2009) di C. coccinea fa riferimento alla stessa popolazione del Parco delle Groane già chiamata C. cfr. noelensis da Banfi & Costalonga (1984), C. mollis da Banfi & Galasso (2005) e C. submollis da Banfi et al. (2009), aggiungendo ulteriore confusione. In attesa dell’uscita del volume della Flora del Nordamerica contenente la trattazione delle Rosaceae, preferiamo attribuire tutte le popolazioni lombarde ad un’unica specie, appunto C. submollis, analogamente a Soldano (2000). Bibliografia: Banfi & Costalonga, 1984; Banfi & Galasso, 2005; Banfi et al., 2009; Costalonga, 2009; Soldano, 1977a, 2000; Ugolini, 1933 Bibliografia: Banfi et al., 2009; Cerabolini et al., 2008; Stace, 1997 110 111 kerria Famiglia: Rosaceae Nome scientifico: Kerria japonica (L.) DC. Nome volgare: kerria Basionimo: Rubus japonicus L. Sinonimi: Corchorus japonicus (L.) Houtt. Corchorus japonicus (L.) Thunb., comb. superfl. Spiraea japonica (L.) Desv., non L.f., nom. illeg. Tipo biologico: Pcaesp Descrizione: Arbusto deciduo con fusti persistentemente verdi (frutice), numerosi, arcuati e ricadenti “a fontana”, lunghi fino a 2 m. Foglie alterne con breve picciolo e lamina di 3-10×1-3 cm, da ovata a lanceolata, lungamente acuminata, doppiamente dentata ai margini, rugosa, con nervature secondarie evidenti, glabra, verde opaco sopra e sotto. Fiori solitari al termine dei rametti secondari, nel selvatico originale (non presente da noi) regolarmente fertili con corolla di 5 petali ovato-suborbicolari, gialli, contornanti un androceo di numerosi stami, nella forma coltivata (‘Flore Pleno’) sterili, con gli stami trasformati in petali a formare assieme alla corolla un caratteristico “pompon” giallo. Il frutto, presente nella forma originale, è un acheneto, cioè un “capolino” di acheni. Periodo di fioritura: maggio-giugno. Area d’origine: Asia orientale (Cina centrale e occidentale, successivamente trasferita in Giappone e da qui estesa all’Occidente). Habitat: Boscaglie, pendii presso le abitazioni. Distribuzione nel territorio: Sporadica e casuale soprattutto nella fascia prealpina, naturalizzata soltanto a Primaluna (LC). Bergamo (CAS), Brescia (CAS), Lecco (NAT), Lodi (CAS), Monza e Brianza (CAS), Milano (CAS), Varese (CAS). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal principio del XIX secolo e avventizia dalla seconda metà dell’Ottocento nel trevigiano (Saccardo, 1869b); in Lombardia segnalata da Giacomini (1950). Modalità d’introduzione: Deliberata (pianta da giardino). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Nessuno. Azioni di contenimento: Non necessarie. Bibliografia: Giacomini, 1950; Pignatti, 1982; de Visiani & Saccardo, 1869b spirea americana Famiglia: Rosaceae Nome scientifico: Physocarpus opulifolius (L.) Maxim. Nome volgare: spirea americana Basionimo: Spiraea opulifolia L. Sinonimi: Opulaster opulifolius (L.) Kuntze Physocarpus riparius Raf. Physocarpus opulifolius Raf., nom. rej. Tipo biologico: nPcaesp Descrizione: Arbusto alto sino a 2-3 m. Foglie caduche, alterne; stipole ben sviluppate, triangolari-lesiniformi, precocemente caduche; picciolo di 1-5 cm; lamina ovato-rotondata, lunga 2-10 cm, con 3(-5) lobi, margine doppiamente seghettato, base di norma cordata ed apice acuto. Infiorescenze in cime corimbose emisferiche, larghe circa 5 cm; fiori sino a 1 cm di diametro, con calice di 5 sepali glabri o sparsamente pubescenti, persistenti nel frutto; petali 5, subrotondi, di 4 mm, bianchi o ± rosati; stami 20-40; ovario di 1-5 carpelli connati alla base. Frutto costituito da 1-5 follicoli radiali glabri, rossastri e rigonfi, lunghi il doppio dei sepali. Periodo di fioritura: maggio-giugno. Area d’origine: Nordamerica centro-orientale. Habitat: Boscaglie umide. Distribuzione nel territorio: Naturalizzata nel comasco (all’Acqua Negra e al Bassone) e nel milanese presso il Ticino; invece la segnalazione di Dübi-Cortivallo (1960) per il varesotto non è più stata riconfermata (Macchi, 2005) ed è da considerare casuale. Como (NAT), Monza e Brianza (NAT), Varese (CAS). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia alla fine del XVIII secolo; segnalata per la prima volta in Lombardia da Dübi-Cortivallo (1960), che la raccolse nel 1956. Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Coltivata come ornamentale da siepe e da giardino, la specie era stata descritta sotto il genere Spiraea (vedi schede) per i caratteri morfologici in gran parte comuni a questo genere; tuttavia recenti studi filogenetici basati sulle sequenziazioni del DNA hanno dimostrato che Physocarpus ha poco da spartire con Spiraea, mentre forma una stirpe (monophylum) assieme a Neillia D.Don, genere di rosacee proprio dell’area est-himalayana. Bibliografia: Dübi-Cortivallo, 1960; Macchi, 2005 112 113 fragola matta Famiglia: Rosaceae Nome scientifico: Potentilla indica (Andrews) Th.Wolf Nome volgare: fragola matta, falsa fragola Basionimo: Fragaria indica Andrews Sinonimi: Duchesnea indica (Andrews) Focke cinquefoglio di Norvegia Famiglia: Rosaceae Nome scientifico: Potentilla norvegica L. Nome volgare: cinquefoglio di Norvegia Tipo biologico: Hrept Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 10-50 cm, con breve rizoma e lunghi stoloni epigei radicanti all’apice. Foglie con picciolo relativamente allungato, a 3 segmenti lunghi 2-3 cm, sparsamente pelosi, obovati, cuneati alla base e crenati al margine; stipole presenti, lanceolate. Fiori solitari, raramente superanti le foglie, con calice di 5 sepali lunghi 1 cm ed epicalice a 5 segmenti più larghi e più lunghi dei sepali; petali gialli, di 8 mm; stami numerosi; ovari monocarpici, numerosi, inseriti su un ricettacolo convesso. Frutto costituito dal ricettacolo ingrossato (come nelle fragole), subsferico, rosso corallo esternamente, bianco-spugnoso all’interno, insipido, ricoperto di piccoli acheni facilmente asportabili. Periodo di fioritura: maggio-luglio. Area d’origine: Asia meridionale e orientale. Habitat: Boscaglie umide, siepi, aiuole, giardini ecc. Distribuzione nel territorio: Planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (NAT), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Europa nel 1802 e coltivata nell’orto Botanico di Torino dal 1815, presto si diffonde spontaneamente in molte località del Piemonte (sulle colline torinesi nel 1856: Camus, 1905); Caruel (1894) e Rodegher & Venanzi (1894) la segnalano per la Lombardia nel bergamasco (dove è stata raccolta la prima volta nel 1886), Ugolini (1907) nel bresciano, Cozzi (1918) nel gallaratese (VA). Modalità d’introduzione: Deliberata, per sperimentazione orticola. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Ha effetti negativi sulla biodiversità, diffondendosi ai margini dei boschi, nelle boscaglie degradate, presso le siepi, sulle bordure erbose e determinando un impoverimento floristico nella base erbacea a scapito delle specie autoctone. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-40 cm (fino a 70 cm con l’infiorescenza), con fusto eretto, rossastro, ramosissimo, talvolta provvisto di pochi peli ghiandolari. Foglie divise in 3(-5) segmenti, di 10-70×7-40 mm, da obovati a oblungo-ellittici, con 8-12 denti per lato, acuti, molto incisi, a volte fino a rendere la lamina subpennatifida. Infiorescenza cimosa terminale, irsuta, con fiori a 5 sepali di 5 mm, accrescenti fino a 1 cm nel frutto; epicalice di 5 segmenti alternati ai sepali e di questi più lunghi nel frutto; corolla a 5 petali gialli, mediamente più brevi dei sepali (4-5 mm); stami numerosi come gli ovari, questi ultimi unicarpellari, inseriti su un ricettacolo convesso, con stili filiformi a base allargata, caduchi. Infruttescenza, un capolino di acheni. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: Nordeuropa e Nordamerica (W-artica). Habitat: Prati umidi, terreni torbosi. Distribuzione nel territorio: Dall’alta pianura alla fascia montana. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia dalla fine del Settecento. Quasi sicuramente l’indicazione di Cesati (1844) per la Lombardia, ripresa dalle flore successive (da Caruel, 1894 a Pignatti, 1982), fa riferimento alle indicazioni di Biroli (1808) per il novarese; dunque le prime segnalazioni per la Lombardia sarebbero quelle di Crescini (1987), Macchi & Danini (1992) e Aeschimann et al. (2004). Modalità d’introduzione: Presumibilmente accidentale. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Nullo. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Si confonde superficialmente con le comuni fragole selvatiche (Fragaria vesca L., F. moschata (Duchesne) Weston), dalle quali si distingue per le foglie crenate anziché dentate, per i petali gialli anziché bianchi e per il frutto vistosamente circondato dal calice alla base, con trama spugnosa e insipida anziché carnosa e saporita. Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Biroli, 1808; Caruel, 1894; Cesati, 1844; Crescini, 1987; Macchi, 2005; Macchi & Danini, 1992; Pignatti, 1982 Bibliografia: Camus, 1905; Caruel, 1894; Cozzi, 1918; Rodegher & Venanzi, 1894; Ugolini, 1907 114 115 lauroceraso Famiglia: Rosaceae Nome scientifico: Prunus laurocerasus L. Nome volgare: lauroceraso, falso alloro Sinonimi: Cerasus laurocerasus (L.) Dum.Cours. Tipo biologico: Pscap Descrizione: Arbusto o piccolo albero alto sino a circa 8 m, con chioma molto espansa nei vecchi esemplari coltivati isolati. Foglie sempreverdi, alterne; picciolo di 8-10 mm; lamina spessa e coriacea, oblunga, obovata oppure ellittica, di 5-15(-25)×3-4 cm, glabra, verde scuro lucente sulla faccia adassiale, verde chiaro su quella abassiale, a margine intero o talvolta dentato e leggermente revoluto. Racemi ascellari e terminali, eretti, cilindrico e compatti, lunghi 5-12 cm; fiori subsessili, di circa 8 mm di diametro, con 5 petali bianchi di circa 3 mm e stami numerosi. Frutto costituito da una drupa piriforme, lunga 8-12 mm, violaceo-nerastra, con nòcciolo globoso. Periodo di fioritura: aprile-maggio. Area d’origine: Asia occidentale (Iran, Turchia e Caucaso) ed Europa sudorientale (Balcani). Habitat: Formazioni boschive di diverso tipo, indifferente al tipo di substrato; tollera molto bene l’ombreggiamento. Distribuzione nel territorio: Coltivata su tutto il territorio regionale (50-1000 m s.l.m), si rinviene invasiva o naturalizzata soprattutto nella fascia collinare e, in subordine, in quelle planiziale (qui perlopiù casuale) e submontana. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (CAS), Cremona (CAS), Lecco (INV), Lodi (CAS), Monza e Brianza (INV), Milano (CAS), Mantova (CAS), Pavia (CAS), Sondrio (CAS), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XVI secolo; in Lombardia segnalata come aliena già da Cesati (1844). Modalità d’introduzione: Deliberata, a fine ortofloricolo. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: È, tra le esotiche arboreo-arbustive a chioma sempreverde, una delle più invasive; fatto al quale contribuisce un’estrema, capillare diffusione sul territorio regionale. Occorre tuttavia sottolineare come questa specie fiorisca essenzialmente quando cresce in esemplari singoli o quando viene mantenuta a siepe alta, con individui sufficientemente sviluppati; in tali circostanze essa è in grado di produrre frutti di grande attrazione per l’avifauna frugivora, che ne rappresenta il mezzo di dispersione principale. Localmente può formare un denso mantello forestale, che in alcune situazioni raggiunge gli strati di copertura superiori, precludendo la rinnovazione del bosco e reprimendo le specie nemorali. Esercita inoltre un impatto sui processi biogeochimici del suolo (allelopatia e rallentamento dei processi di umificazione), oltre, naturalmente, ad alterare il paesaggio. Azioni di contenimento: Taglio selettivo, ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi in caso di ripollonamento; provvedere quindi a sottopiantagione. Pronta rimozione del novellame. Evitare assolutamente la fruttificazione. Note: Il lauroceraso è coltivato anche da noi in numerose cultivar, la più deviante delle quali sul piano morfologico è ‘Otto Luyken’, dalle foglie lanceolate (identiche a quelle di Osmanthus decorus (Boiss. & Balansa) Kasapligil) e dall’habitus compatto, alta non più di 1 m, anch’essa fertile e regolarmente fruttifera. Ebbene, di tutta la cultidiversità presente, in natura sembra avere successo unicamente il morfotipo nominale (ferale), come dimostrano le fughe della specie nel nostro territorio. Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Berger & Walther, 2006; Bonali, 2000; Bonali et al., 2006a; Cerabolini et al., 2008; Cesati, 1844; Frattini, 2008; Giordana, 1995; Ricotti et al., 2002; Ronchetti, 1885; Zanotti, 1991b ciliegio tardivo Famiglia: Rosaceae Nome scientifico: Prunus serotina Ehrh. Nome volgare: ciliegio tardivo, pado americano Tipo biologico: Pscap Descrizione: Albero alto sino a 20(-25) m. Foglie decidue, alterne; lamina obovata, oblunga o più spesso (ob-)lanceolata, lunga 8-13 cm, glabra, sublucida e subcoriacea, con margine finemente crenato, apice acuminato, superiormente verde scuro, più chiara inferiormente, con nervature non prominenti. Infiorescenza a racemo cilindrico, eretto; fiori 1-1.5 cm in diametro; sepali 5, ovato-oblunghi; petali 5, bianchi, lunghi 2.5-4 mm. Frutto costituito da una drupa subsferica di 8-10 mm, nera e lucida a maturità, contenente un nòcciolo legnoso (endocarpo + seme). Periodo di fioritura: aprile-maggio. Area d’origine: Nordamerica (soprattutto Stati Uniti centro-orientali). Habitat: Prevalentemente in formazioni forestali, dove costituisce spesso la copertura dominante o codominante. Invade diverse tipologie di bosco, nonché arbusteti, incolti e prati non gestiti. Sembra indifferente alle condizioni edafiche, anche se non ama ristagni d’acqua nel suolo. Distribuzione nel territorio: Porzione occidentale della regione (100-650 m s.l.m.), in particolare nell’area collinare e nell’alta pianura. Bergamo (NAT), Como (INV), Lecco (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Pavia (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia e in Lombardia almeno dal 1922, nel 1951 è già naturalizzata da qualche decennio (Stucchi, 1952). Modalità d’introduzione: Deliberata, per sperimentazione forestale; in secondo luogo ad uso ortofloricolo. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Su scala regionale è l’esotica legnosa che, assieme all’ailanto, mostra la massima aggressività in termini invasivi. Era stata introdotta in Lombardia all’inizio del XX secolo, in impianti selvicolturali sperimentali nei pressi di Gallarate. In meno di 30 anni si era espansa fino a raggiungere i boschi fluviali del Ticino. La sua diffusione è affidata agli uccelli frugivori, specialmente turdidi. Questa specie in una decina d’anni è capace di produrre da seme individui fruttificanti; alla prima apertura che si crea in un bosco con tagli, schianti o incendi, la presenza di qualche seme è sufficiente per insediarne una nuova popolazione, che nel giro di pochi lustri finirà per dominare la vegetazione. Ciò comporta un drastico calo della componente autoctona, dapprima legnosa poi erbacea, con evidente perdita di biodiversità e degrado del patrimonio forestale. Competitivamente P. serotina è vincente persino sulla robinia nei siti di incontro tra le due specie e, d’altra parte, come Solidago gigantea (vedi scheda), è in grado di attivare strategie allelopatiche. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia; è inoltre inserita tra le specie esotiche a carattere infestante e dannose per la conservazione della biodiversità riportate nel r.r. 5/2007. Azioni di contenimento: Il contenimento di questa temibile esotica risulta tutt’altro che facile (Caronni, 2008), sia per la frugalità della specie, sia per la facilità con cui la stessa è in grado di propagarsi. Anche il taglio dell’albero si mostra una tecnica poco efficace, poiché dalle ceppaie si originano polloni particolarmente vigorosi, in grado di fiorire e fruttificare già dopo tre o quattro anni. Gli interventi di contenimento dovrebbero comunque prevedere il taglio selettivo o la cercinatura, ripetuti per alcuni anni e/o coadiuvati dall’impiego di erbicidi in caso di pollonamento; si dovrebbe quindi provvedere immediatamente alla sottopiantagione. Il novellame deve essere prontamente rimosso e infine occorre prevenire con ogni mezzo la fruttificazione degli esemplari maturi. Note: Il ciliegio tardivo era stato introdotto per le pregiate qualità del legno, che in Italia si è rivelato invece di scarsa qualità a causa delle pessime conformazioni dei tronchi, dovute probabilmente alle condizioni ambientali, che differiscono da quelle in patria. Le foglie allungate ricordano molto quelle del pesco, fatto per il quale in provincia di Varese, dove è particolarmente diffusa, la specie viene chiamata “perzeghin”. È spesso confuso con il pado nostrano (P. padus L.), pianta autoctona che cresce nei medesimi boschi, sebbene con preferenza per i substrati alluvionali umidi e che si riconosce facilmente per le gemme lunghe più di 2.5 mm (minori in P. serotina), per la lamina opaca, di consistenza membranosa come quella del ciliegio, con nervature prominenti sulla faccia abassiale, per i racemi penduli alla fioritura, per i fiori maggiori (petali lunghi fino a 9 mm) e per l’antesi che è anticipata di circa 15 giorni rispetto a quella del ciliegio tardivo. 116 Bibliografia: Caronni, 1993; Caronni, 2008; Folliero, 1985; Fontaneto et al., 2003; Sartori, 1985; Starfinger, 1997; Stucchi, 1952 117 rosa polianta Famiglia: Rosaceae Nome scientifico: Rosa multiflora Thunb. Nome volgare: rosa polianta Sinonimi: Rosa polyantha Siebold & Zucc., non Rössig, nom. illeg. Tipo biologico: Plian Descrizione: Arbusto lianoso che può raggiungere un’altezza di circa 10 m utilizzando gli alberi come supporto; fusto con aculei (comunemente noti come spine) robusti, lunghi sino a 6 mm. Foglie decidue, alterne, lunghe 5-10 cm, composte da (3-)5-9 foglioline, queste obovate, ovate od oblunghe, di 1-5×1-3 cm, con margine seghettato e apice acuto oppure ottuso; stipole caratteristicamente sfrangiate sul margine. Fiori profumati portati in cime corimbiformi; pedicelli lunghi 1.5-2.5 cm; sepali 5, decidui, lanceolati, con margine intero o con 2 lobi mediani; petali generalmente 5, bianchi, obovati, con apice smarginato; stili fusi in una colonna emergente. Frutto consistente in un pometo (tradizionalmente noto come cinorrodio) rosso-bruno, subgloboso, di 6-8 mm di diametro, costituito da un involucro carnoso di origine ricettacolare (ipanzio) e da una cavità interna ospitante numerosi pericarpi legnosi, monospermi, immersi in una “imbottitura” di peli setoliformi. Periodo di fioritura: maggio-giugno. Area d’origine: Asia orientale (Cina, Corea e Giappone). Habitat: Boschi degradati, in particolare di tipo mesofilo; presso gli abitati. Distribuzione nel territorio: Non molto frequente, ma localmente spesso abbondante ed esuberante, dalla fascia planiziale sino a quella prealpina (100-550 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (INV), Lecco (NAT), Monza e Brianza (INV), Milano (NAT), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1862. Segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia da Banfi & Costalonga (1984) al Parco delle Groane. Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: È in grado di formare estese coperture monofitiche, ricoprendo il terreno e avvinghiandosi tipicamente ad alberi e arbusti sino a notevoli altezze. Espleta quindi un notevole impatto per quanto riguarda la perdita in biodiversità, nonché produce modificazioni paesaggistiche a carico delle formazioni boschive invase. Azioni di contenimento: Taglio selettivo, ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi, quindi provvedere all’impianto di arbusti autoctoni ad elevata capacità ricoprente. Evitare assolutamente la fruttificazione. Pronta rimozione delle giovani piante in aree di neo-invasione. Note: R. multiflora è facilmente riconoscibile dalle rose autoctone in quanto possiede caratteristiche stipole sfrangiate. Occorre sottolineare come spesso venga coltivata per le esuberanti e profumate fioriture, che, tra le non rifiorenti, ne fanno una delle rose di maggior pregio ornamentale. Bibliografia: Banfi & Costalonga, 1984; Banfi & Galasso, 1998; Danini et al., 2004; Macchi, 2005 lampone asiatico Famiglia: Rosaceae Nome scientifico: Rubus phoenicolasius Maxim. Nome volgare: lampone asiatico Tipo biologico: nPcaesp Descrizione: Arbusto alto 1-2 m; fusti arcuati, con sparse spine esili, setole e caratteristici peli ghiandolari rossi, presenti anche nell’infiorescenza e sul picciolo fogliare. Foglie caduche, alterne, composte da 3(-5) foglioline, le laterali subsessili, la terminale (spesso lobata) con peduncolo di 2-3 cm; lamina delle foglioline ovale o rombica, di 4-8×2-5 cm, apice acuto o acuminato, base arrotondata o subcordata, margine irregolarmente seghettato, pagina inferiore grigio-tomentosa, pagina superiore glabra o sparsamente pubescente, di colore verde; stipole lineari, di 5-8 mm. Infiorescenza composta da racemi terminali o ascellari, lunghi 6-10 cm; brattee 5-8 mm; pedicelli 0.5-1.5 cm; fiori 6-10 mm in diametro; sepali eretti dopo la fioritura, lanceolati; petali biancastri, obovato-spatolati. Il frutto, subgloboso, del diametro di circa 1 cm, rosso scuro a piena maturazione e ricoperto di peli ghiandolari, è costituito da un’aggregazione di piccole drupe (drupeto), ognuna derivante da un carpello di un ovario multicarpellare. Periodo di fioritura: maggio-giugno. Area d’origine: Asia orientale (Cina, Corea e Giappone). Habitat: Boschi, spesso abbondante in quelli acidofili di pino e castagno (es. Terrazzo di Brenna, CO) e nelle faggete (es. Monte Sette Termini, VA). Cresce, come altre specie congeneri, soprattutto dove il bosco è meno fitto. Inoltre si rinviene ai margini stradali oppure nei pressi di vecchie baite, probabilmente come residuo di precedenti coltivazioni. Distribuzione nel territorio: Non molto frequente, ma localmente spesso abbondante ed esuberante, dalla fascia planiziale sino a quella montana (200-850 m s.l.m.). Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Como (INV), Lecco (INV), Monza e Brianza (NAT), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1876. In Italia segnalata per il Friuli-Venezia Giulia da Melzer & Bregant (1992), che la raccolsero nel 1990; in Lombardia segnalata per la prima volta da Aeschimann et al. (2004). Modalità d’introduzione: Deliberata, per frutticoltura. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: È in grado di formare estese coperture monofitiche, ricoprendo il terreno e quindi reprimendo la crescita del sottobosco. Non è ancora nota la competitività di questa pianta rispetto alle specie autoctone di Rubus presenti sul territorio. Azioni di contenimento: Taglio selettivo, ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi, quindi impianto di arbusti autoctoni ad elevata capacità ricoprente. Evitare assolutamente la fruttificazione. Pronta rimozione delle giovani piante in aree neo-invase. Note: Può essere confusa con altre specie di rovi, dai quali però differisce vistosamente per la fitta copertura rossastra di peli ghiandolari, più lunghi delle spine, su quasi tutta la pianta. Oltre a ciò, come nelle altre specie della sect. Idaeobatus Focke (tra cui, per esempio, il comune lampone, R. idaeus L.), il frutto si stacca facilmente dal ricettacolo. Diffusamente coltivata per i frutti commestibili, che però risultano meno sapidi di quelli di R. idaeus e insolitamente glutinosi a causa del rivestimento ghiandolare. In campo orticolo la specie ha assunto un’importanza particolare nella produzione dei ceppi coltivati di lampone, ottenuti in prevalenza dall’ibridazione tra R. phoenicolasius e R. idaeus, ma anche del primo con specie affini, sia eurasiatiche sia americane. Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Melzer & Bregant, 1992 118 119 sorbaria Famiglia: Rosaceae Nome scientifico: Sorbaria sorbifolia (L.) A.Braun Nome volgare: sorbaria, spirea a foglie di sorbo Basionimo: Spiraea sorbifolia L. Tipo biologico: nPcaesp Descrizione: Arbusto alto sino a 2 m. Foglie decidue, alterne, composte da 11-17 foglioline di forma lanceolata oppure ovatolanceolata, di 5-7×2-2.5 cm, con margine doppiamente seghettato, base arrotondata o largamente cuneata, apice acuminato o mucronato. Infiorescenza composta da una pannocchia di 10-12×5-12 cm; pedicelli lunghi 5-8 mm; fiori di 10-12 mm di diametro; sepali 5, persistenti e riflessi nel frutto, triangolari, con apice ottuso o acuto; petali 5, oblunghi oppure obovati, 5-7 mm, di colore bianco; stami 40-50, lunghi 1.5-2 volte i petali. Frutto costituto da 5 follicoli cilindrici di circa 3 mm, ciascuno con numerosi semi; pedicelli fruttiferi eretti. Periodo di fioritura: luglio-agosto. Area d’origine: Asia orientale (Cina, Mongolia, Corea, Russia orientale e Giappone). Habitat: Boschi e muri, anche in pietra naturale, in posizioni sia assolate sia ombreggiate. Distribuzione nel territorio: Sporadica nella facia collinare-montana (350-550 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia alla fine del secolo XVIII. Segnalata per la prima volta in natura da Arcangeli (1882a) per l’Appennino ligure, in Lombardia da Banfi & Galasso (2005). Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini floricolturali. Status: Naturalizzata. Dannosa: Sì. Impatto: È in grado di colonizzare i muri, radicando nelle fessure e contribuendo in tal modo al deterioramento di questi manufatti. Azioni di contenimento: Immediata rimozione delle piante radicate sui muri mediante pulitura meccanica accompagnata dall’uso localizzato di erbicidi sistemici. spirea del Giappone Famiglia: Rosaceae Nome scientifico: Spiraea japonica L.f. Nome volgare: spirea del Giappone Sinonimi: Spiraea callosa Thunb. Tipo biologico: nPcaesp Descrizione: Arbusto deciduo alto fino a 1-2 m, a portamento eretto. Foglie alterne con lamina da ovata a ovato-lanceolata, di circa 10×4 cm, acuta all’apice e irregolarmente dentata, pubescente sui nervi. Fiori in corimbi larghi fino a 12 cm; pedicelli pubescenti; sepali 5, deflessi; petali 5, rosa, più brevi degli stami; ovario supero, apocarpico (5 carpelli liberi). Il frutto è un follicolo glabro a deiscenza ventrale, eretto, contenente numerosi, minuti semi. Periodo di fioritura: giugno-agosto. Area d’origine: Asia orientale (Giappone). Habitat: Sponde, margini viari, cespuglieti, boschi e boscaglie. Distribuzione nel territorio: Dall’alta pianura alla media montagna. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (INV), Lecco (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (NAT), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1870. Segnalata in Italia a Intra (Piemonte, Verbania, VB) da Gola (1928), in Lombardia da Giacomini (1950) e Stucchi (1952). Modalità d’introduzione: Deliberata (mercato ortofloricolo). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Determina un impoverimento floristico delle comunità in cui si insedia, a scapito delle specie autoctone. Azioni di contenimento: Il taglio degli individui può risultare efficace soltanto per piccole popolazioni o nelle aree ambientali sensibili. Un taglio ripetuto permetterà di controllare la pianta, ma non di eliminarla, per il qual fine è necessaria l’eradicazione. In ogni caso, il taglio va effettuato il più possibile a livello del colletto, per indebolire l’apparato radicale. Sarebbe opportuno rinunciare all’impiego orticolturale di questa specie per evidenti motivi di prevenzione. Bibliografia: Brusa et al., , 2008b; Giacomini, 1950; Gola, 1928; Stucchi, 1952 Note: Come nel caso di altre esotiche arbustive (per es. Buddleja davidii, vedi scheda), sembra prediligere i substrati artificiali (manufatti murari), fatto che non esclude la possibilità di insediamento su substrati litici in ambiente naturale e il conseguente rischio di interferenza con vegetazioni casmofitiche rupestri di notevole pregio fitogeografico e conservazionistico. Bibliografia: Arcangeli, 1882a; Banfi & Galasso, 2005 120 121 spirea a foglie di salice Famiglia: Rosaceae Nome scientifico: Spiraea salicifolia L. Nome volgare: spirea a foglie di salice Tipo biologico: nPcaesp Descrizione: Arbusto deciduo alto 1-2 m, con rami eretti, pubescenti da giovani. Foglie alterne con lamina ellittica, di circa 4-8×1-2 cm, acuta all’apice, marcatamente e talvolta doppiamente dentata, glabra. Fiori in pannocchie dense, lunghe 4-12 cm, spesso un po’ lobate; pedicelli pubescenti; fiori del diametro di 8 mm circa; sepali 5, triangolari-ovati, eretti; petali 5, rosa o, raramente, bianchi; stami 15-60, circa 2 volte più lunghi dei petali; ovario supero, apocarpico (5 carpelli liberi). Il frutto è un follicolo a deiscenza ventrale, eretto, contenente numerosi, minuti semi. Periodo di fioritura: maggio-giugno. Area d’origine: Dall’Europa sudorientale all’Asia nordorientale. Habitat: Margini di strade campestri, boscaglie luminose. Distribuzione nel territorio: Sporadica, dall’alta pianura alla fascia collinare. Bergamo (CAS), Brescia (CAS), Lecco (NAT), Milano (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia sin dal Settecento. Segnalata in Italia sulla riva piemontese del Verbano da Gola (1928), in Lombardia da Ugolini (1933), che la osservò nel 1931 e 1932 nelle Groane, e da Tagliaferri (1994) in Val di Scalve. Modalità d’introduzione: Deliberata (mercato ortofloricolo). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Azioni di contenimento: Finora non necessarie, ma data l’espansione minacciosa della congenere S. japonica (vedi scheda), questa specie va parimenti monitorata e, se necessario, contenuta con le stesse modalità operative. Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Gola, 1928; Tagliaferri, 1994; Ugolini, 1933 olivagno pungente Famiglia: Elaeagnaceae Nome scientifico: Elaeagnus pungens Thunb. Nome volgare: olivagno pungente Tipo biologico: nPscap Descrizione: Arbusto intricato, alto sino a 4 m. Sui rametti presenta rade spine. Foglie sempreverdi, alterne; picciolo di 5-15 mm; lamina in genere oblunga, di 5-10×1.8-3.5 cm, pagina superiore glabra, verde lucente, pagina inferiore brunastroargentea, con lepidomi (peli a forma di squama o scudo appiattito, che riflettono la luce come una superficie argentata) e nervature scure; base arrotondata, margine caratteristicamente ondulato, apice ottuso o acuto. Fiori riuniti all’ascella delle foglie, di solito in triadi; pedicelli di 5-8 mm; calice biancastro-argenteo, con tubo imbutiforme di 6-7 mm e 4 lobi ovati, lunghi circa la metà del tubo; corolla assente; stami 4, inseriti tra i lobi del calice; stilo lineare, non sporgente. Frutto costituito da una drupa oblunga, di 1.2-1.5 cm, rossa con ammassi di lepidomi brunastri, commestibile. Periodo di fioritura: settembre-novembre. Area d’origine: Asia orientale (Giappone e Cina orientale). Habitat: Ambienti boschivi, soprattutto di carattere termofilo. Presente anche nel sottobosco di impianti artificiali, soprattutto di conifere. Distribuzione nel territorio: Frequente e localmente abbondante in tutta l’area collinare, naturalizzata soprattutto in quella prealpina occidentale presso i Grandi Laghi Insubrici e nelle località con giardini e parchi storici, casuale altrove (100-600 m s.l.m.). Bergamo (CAS), Cremona (CAS), Lecco (NAT), Mantova (CAS), Pavia (CAS), Sondrio (NAT), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XIX; segnalata per la prima volta in Lombardia da Fornaciari & Consonni (1990). Modalità d’introduzione: Deliberata (classica pianta da siepe, di moda soprattutto nella prima metà del ‘900). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Specie a rapido accrescimento, è in grado di formare folti e impenetrabili popolamenti nel sottobosco, alterandone le proprietà ecosistemiche e la percezione paesaggistica. Azioni di contenimento: Immediata rimozione delle plantule nelle aree di neo-invasione. Tollera bene la potatura, pertanto sono necessari più interventi di controllo meccanico; a supporto di tale azione di contenimento, si rende necessario l’uso localizzato di erbicidi sistemici ai fini di una sicura eradicazione. Note: Questa specie è tuttora coltivata per siepi informali, talvolta in cultivar a foglie variegate, che non ricompaiono nel ferale. Le drupe, commestibili e dal gusto piacevolmente acidulo, maturano in tarda primavera e sono fortemente appetite dall’avifauna, che pertanto costituisce il principale mezzo di dispersione della specie. Bibliografia: Barnes & Whiteley, 1997; Cerabolini et al., 2008; Fornaciari & Consonni, 1990; Kleih, 2007 122 123 olivagno cinese Famiglia: Elaeagnaceae Nome scientifico: Elaeagnus umbellata Thunb. Nome volgare: olivagno cinese, goumi Sinonimi: Elaeagnus multiflora auct., non Thunb. Tipo biologico: nPscap Descrizione: Arbusto con rami arcuati, alto sino a 3-4 m, nelle parti giovani ricoperto da lepidomi, peli a forma di squama o scudo appiattito, che riflettono la luce come una superficie argentata. Foglie decidue, alterne; picciolo di 3-5 mm; lamina obovata o ellittico-obovata, di 2-8×1-2.5 cm, pagina superiore con sparsi lepidomi da giovane, pagina inferiore argentea, completamente ricoperta di lepidomi; base cuneata, apice ottuso. Fiori fascicolati in numero di 1-3(-7); pedicelli di 3-6 mm (più lunghi nei frutti); calice biancastro-argenteo, con tubo imbutiforme di 5-7 mm e 4 lobi triangolari-ovati, lunghi circa 3 mm; corolla assente; stami 4, inseriti tra i lobi del calice; stilo lineare, non sporgente. Frutto costituito da una drupa globosa, di (6-)8-9 mm, rossa con fitte punteggiature argentate (gruppi di lepidomi), commestibile. Periodo di fioritura: aprile-maggio. Area d’origine: Asia centro-orientale (dall’Afghanistan sino al Giappone). Habitat: Ambienti boschivi marginali. Distribuzione nel territorio: Sinora localizzata nei siti di introduzione, in particolare nella parte occidentale della regione (250-500 m s.l.m.). Rinvenuta ferale unicamente presso il Lago di Ganna (VA), casuale altrove. Como (CAS), Milano (CAS), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XIX; segnalata per la prima volta in Lombardia da Macchi (2005) col nome errato di E. multiflora e da Banfi et al. (2009) col nome corretto. Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura; frutta minore). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Azioni di contenimento: Immediata rimozione delle plantule nelle aree di neo-inavasione. Tollera bene la potatura, pertanto sono necessari più interventi di controllo meccanico; a supporto di tale azione di contenimento, si rende necessario l’uso localizzato di erbicidi sistemici ai fini di una certa eradicazione. Note: La specie compare su diversi cataloghi di vendita orticola per il frutto commestibile (fresco, per marmellate ecc.), ricco di vitamina C come tutte le eleagnacee. Talvolta viene confusa con specie affini, tra cui E. angustifolia L. (olivagno di Boemia) segnalata casuale in Lombardia da Arietti (1950), alta fino a 7 m, con foglie strettamente ellittico-lanceolate e lepidomi persistenti anche sulla faccia adassiale della lamina, ed E. multiflora Thunb., dai frutti più grandi e decisamente peduncolati. È in genere coltivata presso gli appostamenti fissi di caccia (roccoli), per il richiamo autunnale degli uccelli frugivori. Le segnalazioni di E. multiflora per la provincia di Varese di Macchi (2005) e genericamente per la Lombardia (in comune di Milano) di Banfi et al. (2009) sono erronee e da ricondurre a E. umbellata. olmo cigliato Famiglia: Ulmaceae Nome scientifico: Ulmus laevis Pall. Nome volgare: olmo cigliato Sinonimi: Ulmus ciliata Ehrh., nom. illeg. Ulmus effusa Willd. Ulmus pedunculata Foug. Tipo biologico: Pscap Descrizione: Albero deciduo alto fino a 35 m, con grande chioma arrotondata; rametti dell’anno mollemente pubescenti o glabri. Foglie alterne, da suborbicolari a ovate, glabre o pubescenti sulla faccia abassiale, subacuminate all’apice, con margine a dentatura semplice o doppia, base asimmetrica e 12-19 nervi secondari paralleli per lato. Fiori sorretti da peduncoli lunghi 3-6 volte i fiori stessi (6-18 mm), in cime glomeruliformi condensate, sui rami del secondo anno, sviluppantisi prima delle foglie; perianzio monoclamide a 4 lobi; stami numerosi, con filamento rosso-violaceo; ovario supero. I frutti sono samare discoidali di 10-12 mm, incise all’apice, cigliate al margine, pendule su lunghi peduncoli; seme in posizione centrale. Periodo di fioritura: marzo-aprile. Area d’origine: Europa centrale, orientale e sudorientale. Habitat: Boscaglie degradate, margini ruderali. Distribuzione nel territorio: Sporadica nelle fasce planiziale e collinare, presso i centri abitati. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Como (CAS), Cremona (NAT), Lecco (CAS), Monza e Brianza (CAS), Milano (CAS), Mantova (CAS), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombardia e Italia da Comolli (1835) per comasco e lecchese. Modalità d’introduzione: Deliberata (vivaistica). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Questa specie è essenzialmente coltivata nei parchi urbani e delle ville campestri, ma non è l’unico olmo esotico presente nel territorio regionale. Molto più frequente, specialmente nelle alberature stradali, è l’olmo siberiano (U. pumila, vedi scheda), che si distingue facilmente per le foglie da ovato-ellittiche a ellittico-lanceolate, con base poco o per nulla asimmetrica e 9-16 nervi secondari per lato; inoltre per le samare addensate, non cigliate al margine e dotate di un peduncolo molto breve (1-2 mm). Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Banfi & Galasso, 1998; Bonali et al., 2006a; Comolli, 1835; Frattini, 2008; Zanotti, 1991b Bibliografia: Arietti, 1950; Banfi et al., 2009; Barnes & Whiteley, 1997; Macchi, 2005 124 125 olmo siberiano Famiglia: Ulmaceae Nome scientifico: Ulmus pumila L. Nome volgare: olmo siberiano Tipo biologico: Pscap Descrizione: Albero deciduo alto 5-10 m, con ritidoma rugoso. Foglie alterne, semplici, con picciolo pubescente di 4 mm e lamina da ovato-ellittica a ellittico-lanceolata, provvista di dentatura marginale semplice, glabra o subglabra, lunga 2.5-8 cm, da acuta ad acuminata, più o meno cordata con lobi basali poco differenziati e simili fra loro e 9-16 nervi secondari per lato. Fiori sviluppantisi prima delle foglie, brevemente peduncolati (1-2 mm), in glomeruli, a calice campanulato di 4-5 sepali, corolla nulla, androceo di circa 5 stami rossastro-violacei, ovario bicarpellare supero, uniloculare. Il frutto è una samara circolare od obovata, lunga circa 1 cm, non cigliata al margine, incisa all’apice. Periodo di fioritura: marzo-aprile. Area d’origine: Asia settentrionale e orientale (Cina, Siberia, Manciuria, Corea). Habitat: Boschi, boscaglie, siepi, margini stradali. Distribuzione nel territorio: Planiziale, soprattutto presso i centri abitati. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1860. Segnalata per la prima volta in Lombardia da Giordana (1995). Modalità d’introduzione: Deliberata, per il verde urbano, le alberature stradali e i rimboschimenti (oggi non più proponibili), in quanto resistente all’agente della grafiosi (Ceratostomella ulmi), che colpisce a ondate l’autoctono olmo campestre (U. minor Mill.). Status: Naturalizzata. Dannosa: Potenzialmente sì. Impatto: Al momento non sembrerebbe una specie pericolosa per la biodiversità, ma il suo potenziale per diventarlo è molto alto, in quanto intensamente utilizzata nei rimboschimenti, anche a fini naturalistici (Grandi Foreste di Pianura), e in quanto già invasiva nel Nordamerica. Azioni di contenimento: Interromperne l’utilizzo. Note: Si confonde con l’olmo comune (Ulmus minor), autoctona con cui probabilmente potrebbe anche ibridarsi; si rendono quindi indispensabili studi che ne permettano il riconoscimento e l’allontanamento. L’altro olmo esotico presente in Lombardia è l’olmo cigliato (Ulmus laevis, vedi scheda), che si distingue facilmente per le foglie da suborbicolari a ovate, con base asimmetrica e 12-19 nervi secondari per lato; inoltre per le samare non addensate, cigliate al margine e dotate di un lungo peduncolo (6-18 mm). Bibliografia: Ansaloni, 1934; Banfi & Galasso, 1998; Bonali, 2000; Bonali et al., 2006a; Frattini, 2008; Giordana, 1995 Luppolo del Giappone Famiglia: Cannabaceae Nome scientifico: Humulus japonicus Siebold & Zucc. Nome volgare: luppolo del Giappone Sinonimi: Humulus scandens auct., non (Lour.) Merr. Antidesma scandens auct., non Lour. Tipo biologico: Tlian Descrizione: Pianta erbacea annuale rampicante, alta 1-7 m, con fusti erbacei, scabri, gracili, attorcigliati di norma ad altre piante. Foglie opposte con stipole ovate, picciolo e nervi principali spinulosi, lamina palmato-lobata a contorno circolare, con 5(-7) lobi acuti, di colore verde vivo. Infiorescenze unisessuali (pianta dioica): le maschili a pannocchia con fiori a perianzio di 6 segmenti giallo-verdognoli e 6 stami ciondolanti, a filamento molle; le femminili pendule, ovate, con i fiori ridotti a semplici ovari provvisti di 2 stigmi allungati e protrusi, circondati dal perianzio accrescente, inseriti all’ascella di brattee verde chiaro. Il frutto è un achenocono, una sorta di “pigna” formata dalle brattee (non accrescenti), ciascuna ascellante un singolo pericarpio involucrato dal proprio perianzio, con i caratteri di un achenio. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Asia orientale (Giappone). Habitat: Boscaglie, siepi, colture estive e lungo i fiumi su suoli ± umidi, tendenzialmente ipertrofici e a tessitura fine. Distribuzione nel territorio: Diffusa nell’area planiziale e collinare di tutto il territorio (0-600 m s.l.m.), particolarmente frequente nel milanese, lungo fiumi e canali. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia alla fine del XIX secolo; in natura osservata per la prima volta nel 1903 in Toscana (Fiori, 1905b; Fiori & Paoletti, 1907), in Lombardia nel 1941 (Stucchi, 1949b). Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: È tra le aliene più condizionanti la qualità della vegetazione e del paesaggio in territorio regionale. Infatti arriva a rivestire completamente siepi, arbusti, piccoli alberi, cumuli di detriti e manufatti d’ogni genere (staccionate, reti, muri, palificazioni ecc.), nonché è in grado di formare fitti ed estesi tappeti sul terreno degli argini, sul suolo umido delle boscaglie o al margine dei campi coltivati, spingendosi anche in modo nocivo all’interno delle colture. Determina dunque pesanti cadute di biodiversità, opprimenti banalizzazioni del paesaggio e danni all’agricoltura. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia. Azioni di contenimento: Specie di difficile controllo in relazione al vigore e all’aggressività. Se ne consiglia il taglio (almeno 3-4 volte all’anno, ripetuto per diversi anni), coadiuvato dall’impiego di erbicidi (da applicare solo sulla porzione al suolo). Occorre rimuovere accuratamente le parti tagliate e distruggerle, poiché possono sparpagliare disseminuli. È necessario comunque predisporre una copertura stabile di vegetazione autoctona, eliminando anche le cause di degrado che facilitano l’ingresso e l’espansione della specie. La vendita di questa pianta nei centri di giardinaggio, sebbene non comune perché di modesto interesse, deve essere tassativamente vietata per non aggiungere danno al danno. Note: Potrebbe venire superficialmente confusa con il luppolo nostrano (Humulus lupulus L.), con il quale spesso compete per l’habitat, che si distingue per essere perenne, robusto, con fusti legnosi e per possedere foglie generalmente trilobate e brattee dell’infiorescenza femminile ghiandolose (di qui l’uso per aromatizzare la birra), accrescenti (saccate) nel frutto. Bibliografia: Fiori, 1905b; Fiori & Paoletti, 1907; Stucchi C., 1949b 126 127 gelso da carta Famiglia: Moraceae Nome scientifico: Broussonetia papyrifera (L.) Vent. Nome volgare: gelso da carta Basionimo: Morus papyrifera L. Sinonimi: Papyrius papyrifera (L.) Kuntze Tipo biologico: Pscap Descrizione: Albero alto sino a 20 m, ma in genere non superante 10 m, con chioma larga, quasi tabulare. Foglie decidue, alterne, con picciolo di 2-8 cm e lamina da ovata a ellittico-ovata, intera o con 3-5 lobi (soprattutto nei turioni e nei giovani esemplari), delle dimensioni di 6-18×5-9 cm, pubescente sulla pagina inferiore e scabra su quella superiore; base cordata e asimmetrica, apice acuminato, margine grossolanamente seghettato. Fiori unisessuali, maschili e femminili su individui separati (pianta dioica); infiorescenze maschili ad amento lungo 3-8 cm, pendulo, con fiori a calice 4-lobato, senza corolla e 4 stami inflessi nel boccio; infiorescenze femminili a capolino globoso, con i singoli fiori ridotti a un perianzio di 4 minuti denti, contornanti l’ovario. Frutto rosso-aranciato, globoso, di 1.5-3 cm di diametro, pubescente e con sparse setole rigide, costituito dall’accrescimento dei perianzi fusi, come nel gelso, in un sincarpio carnoso (sorosio). Periodo di fioritura: aprile-maggio. Area d’origine: Asia orientale (dalla Corea fino alla Malesia, incluse alcune isole del Pacifico). Habitat: Si rinviene soprattuto in ambienti antropizzati, dove cresce in particolare nei ruderati e presso i margini stradali, di solito su suolo ben drenato. Di rado si inserisce in ambiti più naturali, per esempio in boschi termofili o subtermofili, attestandosi in prevalenza ai loro margini ed eccezionalmente entra anche in contatto con i prati magri. Distribuzione nel territorio: In tutta la regione, diffusa in prevalenza nell’area planiziale e collinare (0-500 m s.l.m.), ma con una distribuzione largamente discontinua. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (NAT), Cremona (INV), Lecco (NAT), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nella seconda metà del secolo XVIII; in Lombardia coltivata almeno dal 1793 dal conte Alfonso Castiglioni (Anonimo, 1793; Giacomini, 1950) e naturalizzata almeno dal 1897 (Ugolini, 1897). Modalità d’introduzione: Deliberata (industria cartiera). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Specie a rapido accrescimento, fortemente pollonante, può alterare la biodiversità e il paesaggio. È infatti in grado di soffocare la vegetazione soggiacente con le sue fronde esuberanti; inoltre può creare problemi di manutenzione stradale. È specie inserita tra le specie esotiche a carattere infestante e dannose per la conservazione della biodiversità riportate nel r.r. 5/2007 della Lombardia. Azioni di contenimento: Si consiglia il taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi); se possibile, provvedere ad un ombreggiamento dell’habitat, tramite la piantagione di specie arboree o alto-arbustive indigene a rapido accrescimento. Pronta rimozione delle giovani piante in aree di neo-invasione. Da evitare accuratamente la fruttificazione, che per altro nel nostro territorio è un evento raro perché in genere sussiste una forte separazione spaziale tra i cloni dei due sessi. ramié Famiglia: Urticaceae Nome scientifico: Boehmeria nivea (L.) Gaudich. Nome volgare: ramié, ortica argentata Basionimo: Urtica nivea L. Sinonimi: Ramium niveum (L.) Small Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne robusta, alta sino a 2.5 m, con fusto poco o per nulla ramificato. Foglie alterne, con picciolo lungo 2.5-10 cm; lamina da orbicolare ad ampiamente ovata, di 7-15×4-13 cm, verde e ruvida sulla pagina superiore, bianco-candida su quella inferiore per la presenza di un denso tomento; base cordata, margine crenulato o dentellato, apice acuminato o cuspidato. Fiori in glomeruli unisessuali, maschili e femminili su individui differenti (pianta dioica), larghi circa 2.5 mm, inseriti all’ascella delle foglie; glomeruli maschili pauciflori, con fiori tetrameri, i femminili multiflori, a fiori sempre tetrameri. Frutto costituito da un achenio ovoide di circa 0.6 mm, avvolto dal perianzio, con 2-3 denti. Periodo di fioritura: maggio-agosto. Area d’origine: Asia orientale e sudorientale (dall’India al Giappone e all’Indonesia). Habitat: Ambienti antropizzati, spesso residuo di coltivazione. Distribuzione nel territorio: Presente unicamente in ambito planiziale a ovest di Milano (Cisliano, MI). Milano (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia a Roma da Pignatti (1982) e Anzalone (1984), dove era presente dal 1964; in Lombardia da Banfi & Galasso (2005). Modalità d’introduzione: Deliberata (industria tessile). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Eventuale controllo mediante rimozione diretta delle piante (sradicamento, sfalcio, erbicidi ecc.). Note: Taxon caratterizzato da diversità infraspecifica, le cui piante presenti in territorio lombardo sembrano corrispondere al tipo nominale della specie. Si tratta di coltura devoluta alla produzione di fibra naturale (ramié), utilizzata soprattutto nel passato e oggi praticamente abbandonata. Non sembra capace di diffondersi attivamente né per via vegetativa né per seme. Bibliografia: Anzalone, 1984; Banfi & Galasso, 2005; Pignatti, 1982 Note: Questa specie era già fonte di cellulosa nella sua area d’origine. Bibliografia: Anonimo, 1793; Giacomini, 1950; Ugolini, 1897 128 129 quercia rossa Famiglia: Fagaceae Nome scientifico: Quercus rubra L. Nome volgare: quercia rossa Sinonimi: Erythrobalanus rubra (L.) O.Schwarz Quercus borealis F.Michx. Quercus rubra L. var. borealis (F.Michx.) Farw. Tipo biologico: Pscap Descrizione: Albero deciduo a chioma espansa e arrotondata, alto 10-25(-35) m, con tronco robusto; ritidoma relativamente liscio e uniforme, grigio-brunastro e rami glabri, rossastri. Foglie con picciolo di 2-4 cm e lamina a contorno obovatooblanceolato, di 12-17×8-12 cm, profondamente incisa in 3-5 paia di lobi triangolari od ovati, acuti, a margine irregolarmente dentato e apice spesso acuminato; denti e apice più o meno terminati da una seta filiforme lunga fino a 4 mm. Fiori unisessuali (pianta monoica); i maschili in amenti penduli, giallo-verdognoli, provvisti di perianzio a 4-7 lobi e androceo di 4-6(-12) stami, con i rudimenti di un ovario; i femminili solitari o a 2-3 in spighe raccorciate, con perianzio a 6 minuti lobi e ovario infero, triloculare, sormontato da 3 stili. Il frutto è una ghianda con cupola appiattita a baschetto, ricoprente il pericarpio per 1/3 o meno, quest’ultimo ovoidale, lungo 2-3 cm e largo poco meno, bruno chiaro, più scuro verso l’apice. Periodo di fioritura: aprile-maggio. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Boschi planiziali (alta pianura). Distribuzione nel territorio: Soprattutto nell’alta pianura. Bergamo (NAT), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (CAS), Lecco (INV), Lodi (CAS), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1724. In Italia è stata introdotta fin dal 1860 e sperimentata a fini forestali dal 1922; ha subito mostrato una elevata capacità a diffondersi naturalmente e in Lombardia è stata segnalata in natura da Pepe (1966). Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini sperimentali per rimboschimenti e come pianta da parchi, giardini e alberature stradali. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Nei boschi planiziali (querco-carpineti), specialmente su base acidificata, è causa della perdita di biodiversità in quanto impedisce il normale sviluppo delle specie legnose autoctone. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia; è inoltre inserita tra le specie esotiche a carattere infestante e dannose per la conservazione della biodiversità riportate nel r.r. 5/2007. Azioni di contenimento: Al Bosco Fontana presso Mantova sono stati praticati interventi sulla quercia rossa e sul platano, finalizzati a incrementare la necromassa (Cavalli & Mason, 2003). noce nero Famiglia: Juglandaceae Nome scientifico: Juglans nigra L. Nome volgare: noce nero, noce americano Tipo biologico: Pscap Descrizione: Albero deciduo alto fino a 35 m (40-50 m nel suo habitat originario), con chioma ampia e tronco diritto; ritidoma grigio più o meno scuro o brunastro, con l’età profondamente inciso in solchi longitudinali stretti e rugosi. Foglie alterne, imparipennate, lunghe 20-60 cm, con (9-)15-19(-23) segmenti lanceolati od ovato-lanceolati, simmetrici o debolmente falcati, di (3-)6-15×1.5-5.5 cm, a margine seghettato e apice acuminato; segmento terminale ridotto o, spesso, mancante (quindi foglia paripennata). Fiori unisessuali (in pianta monoica), con perianzio monoclamide 3-5-lobato; i maschili in amenti lunghi 5-10 cm, con 17-50 stami ciascuno; i femminili in racemi terminali pauciflori, con ovario infero e stimma bifido. Il frutto è una pseudodrupa (pericarpio indeiscente incluso nell’accrescimento carnoso del perianzio, noto come “mallo”) globosa o subellissoidale, lunga 3-4 cm, con scanalature longitudinali fitte e profonde, separate da superficie fortemente verrucosa. Periodo di fioritura: aprile-maggio. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Boscaglie, margini boschivi degradati, ambienti ruderali freschi. Distribuzione nel territorio: Sporadica in tutta la regione, soprattutto presso i centri abitati, dove è casuale. Veramente naturalizzata soltanto in Oltrepo pavese lungo il Torrente Versa, nel lecchese al Parco di Montevecchia e della Valle del Curone e lungo il Po nel lodigiano. Bergamo (CAS), Brescia (CAS), Cremona (CAS), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (CAS), Milano (CAS), Mantova (CAS), Pavia (NAT), Sondrio (CAS). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dalla seconda metà del XVIII secolo. In Lombardia segnalata da Giordana (1995). Modalità d’introduzione: Deliberata (produzione legnosa). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante (estetico locale). Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Il noce nero fornisce legname di pregio, ben noto in America, dove tale produzione riveste un’importanza economica di primo piano; in Europa, invece, la sua coltivazione non ha dato i frutti sperati, in quanto se ne ricava un legno di qualità inferiore. Un po’ alla volta, perciò, la pianta è passata dalla selvicoltura produttiva alla parchicoltura, diventando una delle specie symbol delle alberature e dei polmoni verdi artificiali. Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Giordana, 1995 Bibliografia: Cavalli & Mason, 2003; Pepe, 1966; Sartori et al., 1988 130 131 sicio Famiglia: Cucurbitaceae Nome scientifico: Sicyos angulatus L. Nome volgare: sicio Tipo biologico: Tlian Descrizione: Pianta rampicante erbacea, annuale, con fusti lunghi 2-5 m, provvisti di cirri ramosi, pubescenti e più o meno vischiosi. Foglie con lamina cuoriforme lunga 5-7 cm, divisa fino a 1/3-2/5 della larghezza in 5 lobi palmati, acuti. Fiori unisessuali (pianta monoica), i maschili in racemi ascellari, i femminili in capolini pauciflori lungamente peduncolati; calice profondamente 5-fido con lobi strettamente triangolari; corolla giallastra di 5-6 mm, divisa come il calice in 5 lobi triangolarisubacuti; stami (fiori maschili) di regola 3; ovario (fiori femminili) infero, con stimma subsessile. Frutto ad achenio di 1.5 cm, ovoide, compresso, coriaceo, giallastro, lanoso e irto di setole spinescenti. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Argini, greti, sponde fluviali, ambienti golenali (soprattutto nei saliceti e nei pioppeti), boscaglie planiziali e colture estive. Distribuzione nel territorio: Ovunque, in ambito planiziale. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (NAT), Cremona (INV), Lecco (NAT), Lodi (INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal principio del Settecento; in Lombardia coltivata almeno dal 1785 (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785; Scopoli, 1785) e naturalizzata almeno dal 1974 nel pavese (Soldano, 1977a). Modalità d’introduzione: Deliberata, come curiosità ad uso ortofloricolo. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Negativo, in quanto l’aliena determina un impoverimento floristico delle comunità in cui s’insinua, soprattutto lungo i fiumi, a scapito delle rampicanti indigene, in particolare Silene baccifera (L.) Durande, sempre più rara e localizzata e Bryonia dioica Jacq., un tempo frequente, oggi complessivamente rarefatta. Nei confronti di quest’ultima specie il danno bioecologico comporta anche una “beffa tassonomica”, con la sostituzione di una cucurbitacea da parte di un’altra cucurbitacea. Può inoltre essere dannosa per le colture. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia. Note: Possibile confusione con la citata Bryonia dioica, rampicante provvisto di viticci e fiori simili a quelli di Sicyos angulatus, tuttavia riconoscibile per i frutti a bacca rosso vivo con riflessi satinati. Bibliografia: Hortus regius botanicus ticinensis, 1785; Scopoli, 1785; Soldano, 1977a acetosella rizomatosa Famiglia: Oxalidaceae Nome scientifico: Oxalis articulata Savigny Nome volgare: acetosella rizomatosa Sinonimi: Acetosella articulata (Savigny) Kuntze Acetosella platensis (A.St.-Hil. ex Naudin) Kuntze Acetosella violacea auct., non (L.) Kuntze Oxalis arechavaletae Herter Oxalis articulata Savigny var. sericea Progel Oxalis dumicula Arechav. Oxalis floribunda Lehm. / Oxalis guttata Osten ex Arechav. Oxalis halophila Arechav. Oxalis platensis A.St.-Hil. ex Naudin / Oxalis rivalis Arechav. Oxalis sericea (Progel) Arechav., non L.f., nom.illeg. Oxalis violacea auct., non L. Tipo biologico: Grhiz Descrizione: Pianta erbacea perenne acaule (cespuglietto cupoliforme), alta 10-30 cm, con rizoma articolato in segmenti carnosi, lunghi fino a 2 cm, facilmente disarticolabili. Foglie trifogliolate; picciolo di 5-30 cm con pelosità breve e appressata (sericea); segmenti obovato-obcordati, lunghi 1-5 cm, bilobi con incisione mediana stretta, poco profonda e apice arrotondato. Fiori in cime ombrelliformi di poco superanti le foglie; calice di 5 brevi lacinie lanceolate; corolla campanulata a 5 petali obovato-spatolati, ricoprentisi per metà lunghezza, lunghi 10-20 mm, viola vivo (raramente bianchi) con fauce porpora scuro; stami 10 in due verticilli, inclusi; ovario supero, 5-loculare. Il frutto (difficile da osservare) è una capsula ellissoidale od ovoidale lunga 8-10 mm, pentagonale in sezione, a deiscenza esplosiva, con numerosi, piccoli semi bruno scuro. Periodo di fioritura: giugno-agosto. Area d’origine: Sudamerica (Paraguay). Habitat: Aiuole, margini erbosi, marciapiedi, generalmente come coltura residua. Distribuzione nel territorio: Ovunque, soprattutto presso i centri abitati, nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in un periodo imprecisabile. Segnalata in Lombardia da Fornaciari (1983) e Galasso (1991). Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Estetico locale. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: A differenza di altre entità dello stesso genere, questa specie si diffonde poco nel territorio lombardo, mentre in area mediterranea (specialmente sul versante ligure-tirrenico) diventa spesso invasiva e incontrollabile. Può essere confusa con O. corymbosa (vedi scheda), che si riconosce agevolmente per essere bulbosa e presentare pelosità patente sui piccioli fogliari. Le flore ufficiali italiane e lombarde riportano come occasionali altre due acetoselle esotiche a foglie trifogliolate e fiori rosati, O. purpurata Jacq. (acetosella rossa, segnalata da Arietti & Crescini, 1980; Pavan Arcidiaco et al., 1990) e O. purpurea L. (acetosella purpurea, segnalata da Giacomini 1950); entrambe sudafricane (Provincia del Capo), presentano foglie simili a quelle già descritte (però con picciolo e lamina un po’ più consistenti) e corolle da viola-porpora a carminio con fauce giallo-verde; la prima presenta più fiori in cime ombrelliformi superanti in altezza il fogliame, mentre la seconda ha infiorescenze ridotte a un singolo fiore sbocciante in mezzo alle foglie. Se anche queste due specie sono coltivate in Lombardia, non costituiscono alcun rischio in termini di naturalizzazione. Bibliografia: Arietti & Crescini, 1980; Fornaciari, 1983; Galasso, 1991; Giacomini, 1950; Pavan Arcidiaco et al., 1990 132 133 acetosella corimbosa Famiglia: Oxalidaceae Nome scientifico: Oxalis corymbosa DC. Nome volgare: acetosella corimbosa Sinonimi: Acetosella debilis auct., non (Kunth) Kuntze Acetosella martiana (Zucc.) Kuntze Acetosella violacea auct., non (L.) Kuntze Ionoxalis martiana (Zucc.) Small Oxalis bipunctata A.St.-Hil. Oxalis bipunctata Grahm Oxalis bulbillifera Herter / Oxalis debilis auct., non Kunth Oxalis debilis Kunth subsp. corymbosa (DC.) O.Bolòs & Vigo Oxalis debilis Kunth var. corymbosa (DC.) Lourteig Oxalis macrophylla Kunth Oxalis martiana Zucc. / Oxalis multibulbosa Turcz. Oxalis urbica A.St.-Hil. / Oxalis violacea auct., non L. Tipo biologico: Gbulb Descrizione: Pianta erbacea perenne acaule, più o meno pubescente per tricomi bianchi, patenti, alta 10-25 cm, con bulbo sotterraneo di 1.5-3 cm a squame lasse, cartacee, trinervie e bulbilli sessili, numerosi. Foglie trifogliolate; picciolo di 5-30 cm con peli patenti; segmenti obcordati di 1-4.5×1.5-6 cm, adassialmente, soprattutto presso il margine, provvisti di punteggiature rosso scuro (calli), con apice arrotondato e bilobato, a incisione mediana breve e stretta. Fiori in cime corimbose 8-15flore su peduncolo di 10-40 cm o più; pedicelli fiorali di 0.5-2.5 cm; sepali 5, lanceolati (4-7 mm), con apice segnato da due calli; petali formanti una corolla campanulata, ma sovrapposti solo nel tratto inferiore, roseo-lilacini con venature più scure visibili alla fauce; stami 10 in due verticilli; ovario supero a 5 loculi. Frutto (molto raro) a capsula pentagonale. Periodo di fioritura: marzo-dicembre. Area d’origine: Sudamerica (SE-Brasile, Argentina). Habitat: Aiuole, margini erbosi, incolti, ruderati, marciapiedi, vasi di piante. Distribuzione nel territorio: Ovunque (spesso poco osservata o confusa con O. articulata), soprattutto presso i centri abitati, nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in un periodo imprecisabile. Segnalata in Lombardia da Giordana (1995). Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura). Status: Naturalizzata, parzialmente invasiva. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Eventuale diserbo. Note: L’invasività di questa specie si manifesta più che altro in ambito floricolturale, anche se è una comune coinquilina dei vasi su terrazzi e balconi. È molto simile a Oxalis debilis (non presente in Lombardia), dalla quale si differenzia soprattutto per la disposizione dei cristalli di ossalato all’interno della lamina fogliare (Lourteig, 2000). Può essere invece confusa con O. articulata (vedi scheda), che si riconosce agevolmente per essere rizomatosa e presentare pelosità appressata sui piccioli fogliari. Tra le acetoselle aliene naturalizzate in Italia vale la pena ricordare ancora O. pes-caprae L. (= O. cernua Thunb.; acetosella gialla, segnalata in Lombardia da Giacomini, 1950), specie sudafricana (Provincia del Capo), invasiva nelle colture mediterranee (olivo, agrumi, vite) e diffusa negli ambienti ruderali non lontani dalle coste. Condivide con O. corymbosa la presenza di calli rosso scuro sulla lamina fogliare, che in questo caso sono ben visibili come punteggiature sparpagliate; i fiori sono grandi, giallo oro, campanulati, penduli in cime ombrelliformi lungamente sopravanzanti le foglie. È presente saltuariamente lungo il Lago di Garda, dove non sembra però a rischio di espansione. Diverse altre specie sono coltivate qua e là nei giardini o nei vasi; tra queste merita menzione O. bowiei Lindl., con bulbi allungati a bottiglietta, rivestiti da una tunica liscia, giallo-bruna e foglie un po’ carnose, a segmenti arrotondati, lunghi fino a 5 cm, verde chiaro; i fiori, a 3-12 in cime umbelliformi, sono larghi circa 4 cm, campanulato-imbutiformi, cremisi o rosa intenso, con fauce vistosamente gialloverde. Per il suo vigore di crescita e propagazione è un’aliena potenzialmente pericolosa, anche se per fortuna finora non è stata trovata allo stato spontaneo. Infine, anche O. tetraphylla Cav. (= O. deppei Lodd. ex Sweet; falso quadrifoglio), del Messico, è venduta di frequente, ma non appare così vigorosa come la precedente, cui somiglia per i fiori, e non sembra in grado di stabilizzarsi; si riconosce per essere l’unica acetosella con foglie a quattro segmenti, evocanti il quadrifoglio anche per la presenza sugli stessi di una banda a V rosso-scura, con la punta rivolta verso l’apice; è stata osservata casuale nel pavese. acetosella maggiore Famiglia: Oxalidaceae Nome scientifico: Oxalis latifolia Kunth Nome volgare: acetosella maggiore Sinonimi: Acetosella violacea auct., non (L.) Kuntze Acetosella violacea (L.) Kuntze subsp. latifolia (Kunth) Kuntze Ionoxalis intermedia (A.Rich.) Small Ionoxalis latifolia (Kunth) Rose Ionoxalis vespertilionis (Zucc.) Rose Oxalis chiriquensis Woodson / Oxalis intermedia A.Rich. Oxalis lilacina Klotzsch / Oxalis mauritiana Lodd. Oxalis vespertilionis Zucc. Oxalis violacea auct., non L. Tipo biologico: Gbulb Descrizione: Pianta erbacea perenne, acaule, alta 7-25 cm, con bulbetti sotterranei. Foglie trifogliolate; picciolo lungo 8-25 cm; segmenti quasi perfettamente triangolari (deltoidi), di 5-6 cm di lato, con apice piatto a larga e superficiale incisione mediana e lobi rotondato-subacuti. Infiorescenza cimosa, umbelliforme, 6-32-flora, con fiori del diametro di 1.5-2 cm; calice a 5 lacinie lanceolato-lineari; corolla infundibuliforme di 5 petali lilla chiaro, con fauce nettamente giallo-verde; stami 10 in due verticilli, inclusi; ovario supero, 5-loculare. Il frutto (difficilmente osservabile) è una capsula pentagonale allungata. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: America centro-meridionale (dal Messico al Perù). Habitat: Siti erbosi freschi e ombreggiati, anche nei vasi. Distribuzione nel territorio: Pianura, soprattutto presso i centri abitati. Bergamo (CAS), Brescia (CAS), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in un periodo imprecisabile. In Lombardia segnalata per la prima volta da Giordana (1995). Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura). Status: Naturalizzata, parzialmente invasiva. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Eventuale diserbo. Note: Vale quanto osservato per O. corymbosa (vedi scheda). In coltivazione è diffusa anche la specie sudamericana O. regnellii Miq. (= O. triangularis auct., non A.St.-Hil.), molto simile a O. latifolia, ma con segmenti fogliari a incisione apicale brevissima, di colore nero violaceo sia sopra che sotto, oppure verde scuro solo di sopra, o ancora interamente verde scuro; presenta inoltre una corolla di dimensioni maggiori, campanulato-substellata, lilla pallido o bianca, a fauce leggermente iscurita. Finora non è stata osservata fuori coltura. Bibliografia: Giordana, 1995 Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Bonali et al., 2006a; Giacomini, 1950; Giordana, 1995; Lourteig, 2000 134 135 acetosella di Dillenius Famiglia: Oxalidaceae Nome scientifico: Oxalis dillenii Jacq. Nome volgare: acetosella di Dillenius Sinonimi: Acetosella stricta auct., non (L.) Kuntze Oxalis corniculata L. var. dillenii (Jacq.) Trel. Oxalis corniculata L. subsp. navierei (Jord.) Tourlet Oxalis diffusa Boreau, non Boenn. / Oxalis boreaui P.Fourn. Oxalis navierei Jord. Oxalis stricta auct., non L. Xanthoxalis dillenii (Jacq.) Holub Xanthoxalis stricta auct., non (L.) Small Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne di breve durata, con fusti esili, cespitosi, alti fino a 20(-30) cm, ascendenti, provvisti di peli unicellulari, spesso ginocchiati ma non radicanti ai nodi. Stipole presenti, oblunghe, caduche; foglie verde chiaro, prevalentemente opposte o in verticilli, con picciolo di 10-25 mm e lamina divisa in 3 segmenti largamente obcordati, di 1013×7-9 mm, spesso ripiegati in basso verso il picciolo. Infiorescenza (cima) umbellata; peduncoli fiorali lunghi 1-2 cm, patenti o eretti, allungantisi nel frutto; brattee di 0.8-2 mm; calice di 5 sepali lanceolati, lunghi 4 mm; petali 5, gialli, obovato-spatolati, lunghi 4-8 mm; stami 10 in due verticilli; ovario supero, 5-loculare. I frutti sono capsule (deiscenza esplosiva) prismatiche, a sezione pentagonale, di 8-20×2-3 mm, erette all’estremità di peduncoli ripiegati verso il basso, con cui si articolano ad angolo acuto; semi con 8-10 creste trasversali segnate da una linea bianca. Periodo di fioritura: aprile-ottobre. Area d’origine: Nordamerica orientale. Habitat: Incolti erbosi, campi, orti, margini, ruderati, marciapiedi ecc. Distribuzione nel territorio: Ovunque, nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (NAT), Lecco (INV), Lodi (NAT), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV). [O. stricta: Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in un periodo non noto in quanto spesso confusa con O. stricta (conosciuta in Italia dal Cinquecento). Segnalata per la prima volta in Lombardia da Zucchetti et al. (1986). Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Invasiva. Dannosa: No. Impatto: Infestante delle colture sarchiate e negli orti. Azioni di contenimento: Eventuale diserbo nelle colture. Note: Questa specie è stata spesso confusa, anche sul piano nomenclaturale, con l’acetosella minore, O. stricta L. (= O. fontana Bunge, = O. europaea Jord.), anch’essa invasiva in Lombardia e proveniente dalla stessa area geografica di partenza. Si distingue inequivocabilmente per i seguenti piccoli, ma consistenti caratteri (Young, 1958; Stace, 1997): 1) stipole assenti (osservare sempre esemplari giovani!); 2) alcuni peli del fusto settati (pluricellulari); 3) infiorescenza cimosa, non umbellata; 4) peduncoli fruttiferi e capsule in asse (articolazione a 180° o poco meno), generalmente eretti o patenti, mai riflessi; 5) creste trasversali dei semi senza o con debole linea bianca; 6) presenza facoltativa di stoloni sotterranei biancastri molto fragili; 7) fusti facoltativamente radicanti ai nodi. Per la corretta applicazione dell’epiteto dillenii si veda Watson (1989). acalifa meridionale Famiglia: Euphorbiaceae Nome scientifico: Acalypha australis L. Nome volgare: acalifa meridionale Sinonimi: Acalypha indica auct., non L. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale alta 20-50 cm, con fusto eretto e rametti pelosi. Foglie con stipole lanceolate, lunghe 1.5-2 mm; picciolo di 2-6 cm; lamina da oblungo-ovata a ovato-rombica o anche largamente lanceolata, di 3-9×1-5 cm, pelosa lunga le nervature abassialmente, adassialmente glabra, con base cuneata (raramente ottusa), margine crenato e apice brevemente acuminato. Fiori unisessuali (pianta monoica) in infiorescenze bisessuali di norma ascellari, lunghe 1.5-5 cm, su peduncoli di 0.5-3 cm; brattee femminili 1-2(-4), prossimali, ovate, cordate, accrescenti nel frutto fino a 1.4-2.5×1-2 cm, pelose, con margine crenato, ciascuna sottendente 1-3 fiori sessili a 3 sepali strettamente ovati, pelosi e ovario triloculare, peloso, con 3 stili lunghi circa 2 mm, sfrangiati in 5-7 lacinie; brattee maschili condensate nella porzione distale, ovate, piccole (0.5 mm), ognuna sottendente 5-7 fiori su peduncoli di 0.5 mm; fiori maschili a 4 sepali di circa 0.5 mm e (7-)8 stami. Il frutto è una capsula triloculare, globosa, del diametro di circa 4 mm, pelosa e tubercolata; semi subovoidi, lisci, di 1.5-2 mm. Periodo di fioritura: aprile-dicembre. Area d’origine: Asia orientale. Habitat: Margini erbosi, marciapiedi, zone ruderali. Distribuzione nel territorio: Presenze sporadiche in ambito planiziale. Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia a Genova (Minuto, 1993b). In Lombardia è stata segnalata per la prima volta da Banfi & Galasso (1998) come A. indica e con questo nome errato (in seguito rettificato da Banfi & Galasso, 2005; Zanotti, 2008) indicata anche da Tagliaferri (2000) per il bresciano; la prima raccolta (sia lombarda che italiana) è del 1985 a Monza (campione conservato nell’erbario del Museo di Storia Naturale di Milano, MSNM). Modalità d’introduzione: Accidentale (probabilmente con l’attività vivaistica). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Al momento non necessarie. Note: Si distingue da A virginica (vedi scheda) per le brattee femminili intere, solamente crenate. Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998, 2005; Minuto, 1993b; Tagliaferri, 2000; Zanotti, 2008 Bibliografia: Conti et al., 2007; Stace, 1997; Watson, 1989; Young, 1958; Zucchetti et al., 1986 136 137 acalifa della Virginia Famiglia: Euphorbiaceae Nome scientifico: Acalypha virginica L. Nome volgare: acalifa della Virginia Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-30 cm, con fusto eretto, inferiormente ramificato, spesso arrossato, finemente peloso. Foglie con picciolo arcuato, lungo 1 cm e lamina ovato-lanceolata di 17-30×9-14 mm, a margine dentellato. Fiori unisessuali (pianta monoica) in brevi spighe bisessuali ascellari, i prossimali femminili, all’ascella di una brattea 5-9 lobata a forma di ventaglio, con perianzio monoclamide di circa 3 mm di larghezza, formato da 4 segmenti verdastri, ovato-acuminati; fiori distali maschili, numerosi all’ascella di piccole brattee, con 8-16 stami. Il frutto è una capsula loculicida a 3 valve, con numerosi, piccoli semi ovoidi. Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: Nordamerica orientale. Habitat: Colture sarchiate, campi, orti, margini, strade rurali e urbane. Distribuzione nel territorio: Ovunque, soprattutto in ambito planiziale. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (NAT), Lodi (INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel Settecento; nel 1842 compare nell’Orto Botanico di Verona, dove si inselvatichisce (Parlatore, 1869), anche fuori dell’Orto e in Liguria (Cesati et al., 1872); nel 1890 è segnalata per la prima volta in Lombardia a Romano di Lombardia (BG) e Milano (Goiran, 1890a), nel 1896 a Pavia (Traverso, 1897, 1899). Modalità d’introduzione: Deliberata (Orti botanici). Status: Invasiva. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Si distingue da A. australis (vedi scheda) per le brattee femminili profondamente divise in 5-9 lobi. Bibliografia: Cesati et al., 1872; Goiran, 1890a; Parlatore, 1869; Traverso, 1897, 1899 138 euforbia a semi solcati Famiglia: Euphorbiaceae Nome scientifico: Chamaesyce glyptosperma (Engelm.) Small Nome volgare: euforbia a semi solcati Basionimo: Euphorbia glyptosperma Engelm. Tipo biologico: Trept Descrizione: Pianta erbacea annuale con fusti prostrati e numerosissimi rami ascendenti o prostrati, glabri, lunghi fino a 15 cm, contenenti un latice bianco. Foglie opposte, usualmente oblungo-lineari, spesso falciformi, lunghe 5-9 mm, fino a 4 volte più lunghe che larghe, asimmetriche alla base, da debolmente seghettate distalmente a intere, glabre; presenza di stipole laciniate. Infiorescenza a ciazio: un ricettacolo a coppa provvisto sul margine di 4-5 ghiandole nettarifere sporgenti all’esterno mediante un’appendice allargata, purpurea, con evidente funzione vessillare; fiori senza perianzio, uno femminile centrale costituito da un ovario supero, triloculare, con 3 stili, gli altri maschili, disposti in una serie circolare attorno al primo, ridotti a 1 singolo stame ciascuno. Il frutto è una capsula a 3 loculi convessi e sporgenti (tricocca), 1.2-1.5×1.2-1.8 mm, glabra; un seme per loculo, ovoide, subquadrangolare, grigio-biancastro o bruno chiaro, con 4-7 solchi trasversali evidenti. Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Incolti calpestati, marciapiedi, selciati, greti fluviali. Distribuzione nel territorio: Nella fascia planiziale, sinora conosciuta dal pavese al cremonese. Cremona (NAT), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Europa nel 1911 e segnalata in Italia (Piemonte ed EmiliaRomagna) da Hügin & Starlinger (1998) e Hügin & Hügin (1999), dove è stata raccolta per la prima volta nel 1996; in Lombardia è conosciuta dal 2009 ed è stata segnalata da Verloove et al. (2010b). Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Note: Pianta interamente glabra (incluse le capsule) come C. humifusa, dalla quale può essere facilmente distinta per i semi provvisti di 4-7 solchi trasversali evidenti. Bibliografia: Hügin, 1998, 1999; Hügin & Hügin, 1999; Hügin & Starlinger, 1998; Verloove et al., 2010b 139 euforbia sdraiata Famiglia: Euphorbiaceae Nome scientifico: Chamaesyce humifusa (Willd. ex Schlecht.) Prokh. Nome volgare: euforbia sdraiata Basionimo: Euphorbia humifusa Willd. ex Schlecht. Sinonimi: Anisophyllum humifusum (Willd. ex Schlecht.) Klotzsch & Garcke Tithymalus humifusus (Willd. ex Schlecht.) Bubani Tipo biologico: Trept Descrizione: Pianta erbacea annuale con fusti prostrati e numerosissimi rami ascendenti o prostrati, glabri, lunghi fino a 15 cm, contenenti un latice bianco. Foglie opposte, da oblunghe a oblanceolate, 4-6(-8.5)×2-3(-5) mm, asimmetriche alla base, seghettate distalmente, glabre, con apice ottuso o arrotondato; presenza di stipole laciniate. Infiorescenza a ciazio: un ricettacolo a coppa provvisto sul margine di 4-5 ghiandole nettarifere sporgenti all’esterno mediante un’appendice allargata, purpurea, con evidente funzione vessillare; fiori senza perianzio, uno femminile centrale costituito da un ovario supero, triloculare, con 3 stili, gli altri maschili, disposti in una serie circolare attorno al primo, ridotti a 1 singolo stame ciascuno. Il frutto è una capsula a 3 loculi convessi e sporgenti (tricocca), 1.2-1.5×1.2-1.8 mm, glabra; un seme per loculo, ovoide, subquadrangolare, grigio-biancastro o bruno chiaro, finemente smerigliato, non solcato. Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: Asia. Habitat: Incolti calpestati, marciapiedi, selciati, massicciate ferroviarie. Distribuzione nel territorio: In tutto il territorio, planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, presente in Italia almeno dall’Ottocento; in Lombardia naturalizzata almeno dal 1907 a Malgrate nel lecchese (Fiori & Paoletti, 1907) e già comune nel 1929 (Stucchi, 1929a). Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Pianta interamente glabra (incluse le capsule) come C. glyptosperma, dalla quale può essere facilmente distinta per i semi finemente smerigliati e privi di solchi trasversali. Bibliografia: Benedí & Orell, 1992; Chiovenda, 1895; Fiori & Paoletti, 1907; Hügin, 1998, 1999; Stucchi, 1929a euforbia macchiata Famiglia: Euphorbiaceae Nome scientifico: Chamaesyce maculata (L.) Small Nome volgare: euforbia macchiata Basionimo: Euphorbia maculata L. Sinonimi: Anisophyllum maculatum (L.) Haw. Chamaesyce engelmannii auct., non (Boiss.) Soják Euphorbia engelmannii auct., non Boiss. Tithymalus maculatus (L.) Moench Tipo biologico: Trept Descrizione: Pianta erbacea annuale con fusto appressato al suolo, ramosissimo, pubescente, contenente un latice bianco; rami lunghi fino a 30 cm. Foglie opposte, da oblunghe a obovate, raramente falcate, 6-12×2-6 mm, asimmetriche alla base, seghettate distalmente, pubescenti (maggiormente sulla pagina inferiore), generalmente con una macchia rossa al centro della faccia adassiale (pagina superiore), con apice ottuso, arrotondato o apiculato; presenza di stipole laciniate. Infiorescenza a ciazio: un ricettacolo a coppa provvisto sul margine di 4-5 ghiandole nettarifere sporgenti all’esterno mediante un’appendice allargata, purpurea, con evidente funzione vessillare; fiori senza perianzio, uno femminile centrale costituito da un ovario supero, triloculare, con 3 stili, gli altri maschili, disposti in una serie circolare attorno al primo, ridotti a 1 singolo stame ciascuno. Il frutto è una capsula a 3 loculi convessi e sporgenti (tricocca), 1.1-1.4×1.2-1.5 mm, regolarmente pelosa su tutta la superficie per peli appressati; un seme per loculo, ovoide, quadrangolare, grigio o bruno-rossastro, con 3-5 solchi trasversali. Periodo di fioritura: maggio-ottobre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Incolti calpestati, marciapiedi, selciati, massicciate ferroviarie, greti fluviali. Distribuzione nel territorio: In tutto il territorio, planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nell’Ottocento in alcuni Orti botanici ed in seguito naturalizzatasi; in Lombardia, abbondantissima nell’Orto Botanico di Pavia nel 1876 (Chiovenda, 1895) e naturalizzata almeno dal 1895 sul Lago di Como (Chiovenda, 1895 sub E. engelmannii). Modalità d’introduzione: Deliberata (Orti botanici). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Nei greti fluviali compete con le specie autoctone deteriorando la biodiversità delle comunità vegetali caratteristiche di quell’habitat. Note: Pianta densamente pelosa come C. nutans e C. prostrata, dalle quali può essere facilmente distinta per le capsule con peli appressati su tutta la superficie e i semi provvisti di 3-5 solchi trasversali. Le forme pubescenti dell’autoctona C. canescens (L.) Prokh. si distinguono per la presenza di peli patenti distribuiti su tutta la superficie della capsula. La segnalazione di Euphorbia engelmannii per il Lago di Como (Chiovenda, 1895) in base a Thellung è erronea e da riferirsi a C. maculata (Fiori & Paoletti, 1907). Bibliografia: Benedí & Orell, 1992; Chiovenda, 1895; Fiori & Paoletti, 1907; Hügin, 1998, 1999 140 141 euforbia prostrata Famiglia: Euphorbiaceae Nome scientifico: Chamaesyce prostrata (Aiton) Small Nome volgare: euforbia prostrata Basionimo: Euphorbia prostrata Aiton Sinonimi: Anisophyllum prostratum (Aiton) Haw. Tithymalus prostratus (Aiton) Samp. euforbia delle ferrovie Famiglia: Euphorbiaceae Nome scientifico: Chamaesyce nutans (Lag.) Small Nome volgare: euforbia delle ferrovie Basionimo: Euphorbia nutans Lag. Sinonimi: Chamaesyce indica auct., non (Lam.) Croizat Chamaesyce maculata auct., non (L.) Small Chamaesyce preslii (Guss.) Arthur Euphorbia hypericifolia L. subsp. indica auct., non (Lam.) Pignatti, comb. inval. Euphorbia indica auct., non Lam. Euphorbia maculata auct., non L. Euphorbia preslii Guss. / Euphorbia trinervis Bertol. Tithymalus nutans (Lag.) Samp. Tipo biologico: Trept Descrizione: Pianta erbacea annuale con fusto appressato al suolo, ramosissimo, pubescente (di solito glabro alla basse), contenente un latice bianco; rami lunghi fino a 35 cm. Foglie opposte, da ellittiche a oblunghe, 5.6-9×4-6 mm, asimmetriche alla base, seghettate distalmente, generalmente pubescenti (maggiormente sulla pagina inferiore), con apice ottuso; presenza di stipole laciniate. Infiorescenza a ciazio: un ricettacolo a coppa provvisto sul margine di 4-5 ghiandole nettarifere sporgenti all’esterno mediante un’appendice allargata, purpurea, con evidente funzione vessillare; fiori senza perianzio, uno femminile centrale costituito da un ovario supero, triloculare, con 3 stili, gli altri maschili, disposti in una serie circolare attorno al primo, ridotti a 1 singolo stame ciascuno. Il frutto è una capsula a 3 loculi convessi e sporgenti (tricocca), 1.2-1.6×1-1.5 mm, con peli patenti solo sulle carene; un seme per loculo, ovoide, quadrangolare, grigio, con 5-7 solchi trasversali. Periodo di fioritura: maggio-ottobre. Area d’origine: America (probabilmente della regione caraibica). Habitat: Incolti calpestati, marciapiedi, selciati, massicciate ferroviarie, greti fluviali. Distribuzione nel territorio: In tutto il territorio, planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia almeno dal principio dell’Ottocento in alcuni Orti botanici ed in seguito naturalizzatasi; in Lombardia segnalata per la prima volta da Arietti & Crescini (1980), ma presente già dal 1914 a Milano (Zucchetti et al., 1986). Modalità d’introduzione: Deliberata (Orti botanici). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Nei greti fluviali compete con le specie autoctone deteriorando la biodiversità delle comunità vegetali caratteristiche di quell’habitat. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale alta 10-40(-55) cm, tomentosa, ramosissima alla base, eretto-ascendente. Foglie opposte, oblunghe, 13-30(-35)×6-10(-16) mm, asimmetriche, seghettate distalmente, da glabresecnti a sparsamente pelose, con tre nervature evidenti alla base e spesso con una caratteristica chiazza rossa al centro della faccia adassiale (pagina superiore), con apice subacuto od ottuso; presenza di stipole laciniate. Infiorescenza a ciazio: un ricettacolo a coppa provvisto sul margine di 4-5 ghiandole nettarifere sporgenti all’esterno mediante un’appendice allargata, rosea, con evidente funzione vessillare; fiori senza perianzio, uno femminile centrale costituito da un ovario supero, triloculare, con 3 stili, gli altri maschili, disposti in una serie circolare attorno al primo, ridotti a 1 singolo stame ciascuno. Il frutto è una capsula a 3 loculi convessi e sporgenti (tricocca), 1.8-2.5×1.8-2.5 mm, glabra; un seme per loculo, subovoide, subquadrangolare, grigio-nerastro o brunonerastro, irregolarmente rugoso. Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Incolti calpestati, marciapiedi, selciati, massicciate ferroviarie, greti fluviali. Distribuzione nel territorio: In tutto il territorio, planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (INV), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel Settecento in alcuni Orti botanici ed in seguito naturalizzatasi; in Lombardia naturalizzata almeno dal 1825 nel mantovano (Lanfossi, 1825, sub E. maculata). Modalità d’introduzione: Deliberata (Orti botanici). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Nei greti fluviali compete con le specie autoctone deteriorando la biodiversità delle comunità vegetali caratteristiche di quell’habitat. Note: Pianta densamente pelosa come C. nutans e C. maculata, dalle quali può essere facilmente distinta per le capsule con peli patenti soltanto sulle carene e i semi provvisti di 5-7 solchi trasversali. Le forme pubescenti dell’autoctona C. canescens (L.) Prokh. si distinguono per la presenza di peli patenti distribuiti su tutta la superficie della capsula. Note: Pianta ± pelosa come C. nutans e C. prostrata, dalle quali può essere facilmente distinta per le capsule glabre e i semi rugosi, non solcati. Le forme pubescenti dell’autoctona C. canescens (L.) Prokh. si distinguono per la presenza di peli patenti distribuiti su tutta la superficie della capsula. La segnalazione di Euphorbia indica per il lecchese da parte di Pignatti (1955), ripresa da Pignatti (1982) e da Banfi et al. (2009, sub Chamaesyce hypericifolia), è erronea e da riferirsi a C. nutans (Hügin, 1998). In passato era erroneamente indicata, anche tra gli autori americani, col nome di E. maculata. Bibliografia: Arietti & Crescini, 1980; Benedí & Orell, 1992; Chiovenda, 1895; Hügin, 1998, 1999; Zucchetti et al., 1986 Bibliografia: Banfi et al., 2009; Benedí & Orell, 1992; Chiovenda, 1895; Hügin, 1998, 1999; Lanfossi, 1825; Pignatti, 1955, 1982 142 143 euforbia di David Famiglia: Euphorbiaceae Nome scientifico: Euphorbia davidii Subils Nome volgare: euforbia di David Sinonimi: Anisophyllum dentatum auct., non (Michx.) Haw. Euphorbia dentata auct., non Michx. Euphorbia dentata Michx. var. gracillima Millsp. Euphorbia dentata Michx. var. lancifolia Farw. Poinsettia dentata auct., non (Michx.) Klotzsch & Garcke Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-50(-70) cm, con fusti solitari, eretti, spessi fino a 4 mm alla base; ramificazioni opposte, arcuato-ascendenti, con pelosità in due strati, il superiore di peli sparsi, allungati, più o meno patenti, l’inferiore di peli brevi, addensati, diretti verso il basso; peli, anche quelli delle foglie, ingrossati alla base. Foglie opposte, con picciolo di 7-15 (-25) mm e lamina di 1-10×0.5-3.5 cm, da lanceolata a largamente ellittica, attenuata alla base, da acuta ad acuminata all’apice, con margine crenato-dentato, densamente e brevemente strigosa su entrambe le facce. Sinflorescenza umbellata, a profilo piatto o leggermente convesso, costituita da numerose infiorescenze (ciazi); brattee strettamente ellittiche o lanceolate, con breve picciolo, giallastre alla base; ciazi a involucro subcilindrico di 2.5-3×1.3-1.8 mm, con lobi a loro volta suddivisi in 5-7 lacinie lineari terminanti con una piccola ghiandola; ghiandole (nettari) solitarie, di 0.9-1.3 mm, a coppa con fauce oblunga, giallo pallido; fiori maschili a 5-8 in fascetto; fiore femminile su peduncolo lungo fino a 3 mm, eccedente il ciazio, con ovario glabro o striguloso; stimma trifido a ramificazioni biforcate. Frutto a capsula triloculare, largamente ovoide, larga 4-4.5 mm, con semi ovoidi o triangolari-ovoidi, spigolosi, di 2.4-3 mm di larghezza, grigi o nerastri, irregolarmente tubercolati, provvisti di caruncola reniforme-triangolare, peltata, larga 0.9-1-1 mm. Periodo di fioritura: agosto-settembre. Area d’origine: Nordamerica e Mesoamerica. Habitat: Massicciate ferroviarie, margini erbosi asciutti, incolti. Distribuzione nel territorio: Sinora osservata nella porzione occidentale della regione, dalla Brianza all’Oltrepo pavese, nelle fasce planiziale e collinare. Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta la prima volta in Italia nel 1995 in Friuli-Venezia Giulia e Veneto (Poldini et al., 1996; sub E. dentata), in Lombardia conosciuta dal 2004 (Galasso et al., in stampa a). Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Nessuno. Azioni di contenimento: Al momento non necessarie. pepe d’acqua minore Famiglia: Elatinaceae Nome scientifico: Elatine ambigua Wight Nome volgare: pepe d’acqua minore Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, semiacquatica, alta 1.5-3 cm, con fusti gracili, nelle piante sommerse striscianti, a internodi allungati e nodi radicanti, nelle piante emerse molto raccorciati e densamente cespitosi. Foglie opposte, picciolate, con lamina lineare-spatolata di 2-5×0.7 mm. Fiori isolati, ascellari, su peduncoli di 1.5-2.5 mm (lunghi quanto i petali o il doppio), con 3 piccoli sepali e 3 petali ovato-acuti, lunghi 1-1.5 mm, cioè il doppio o il triplo dei sepali, talora mancanti nei fiori più direttamente soggetti a sommersione, bianchi o rosei. Il frutto è una capsula setticida contenente caratteristici semi cilindrico-ricurvi (a banana), con testa reticolata. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: Asia sudorientale. Habitat: Risaie. Distribuzione nel territorio: Zona delle risaie, dalla Lomellina al milanese. Milano (NAT), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, già presente e diffusa nelle risaie dell’Italia settentrionale nel 1951 (Cook, 1973). Modalità d’introduzione: Accidentale (presumibilmente con ceppi asiatici di riso). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Eventuale diserbo selettivo in risaia. Note: Delle altre 5 specie italiane di Elatine, tutte autoctone o archeofite (E. hexandra (Lapierre) DC.), solo E. triandra Schkuhr (circumboreale) può creare confusione con l’aliena, dato che ne condivide sia l’habitat (risaia) sia i principali tratti morfologici; essa è tuttavia distinta per le foglie di 3-10×1.5-3 mm e per i fiori sessili o brevemente pedicellati (fino a 0.3-0.4 mm nel frutto), con pedicello più breve dei petali. Bibliografia: Cook, 1973; Desfayes, 2005; Quiner & Tucker, 2007 Note: Descritta come specie endemica di alcune montagne argentine (Subils, 1984), oggi è ritenuta originaria dell’America settentrionale e centrale analogamente all’affine E. dentata (Mayfield, 1997), con la quale è stata da sempre confusa in Italia e in Europa (oltre che in patria). Da quest’ultima, assente in Italia, si distingue per i peli delle nervature fogliari con pareti rugose (vs. lisce) e base allargata (vs. non allargata), le lacinie dei lobuli del ciazio con ghiandole apicali (vs. senza ghiandole) e quelle delle bratteole senza ghiandole (vs. ghiandolose), i semi pressoché isodiametrici (vs. più lunghi che larghi) con spigoli evidenti (rotolano difficilmente sul tavolo) (vs. subcilindrici, che rotolano facilmente) e caruncola reniforme (vs. umbonata), il fusto con peli a pareti rugose (vs. lisce) in massima parte brevi (2-3-cellulari) (vs. lunghi, 7-10-cellulari) e retrorsi (vs. flessuosi) frammisti ad alcuni più lunghi (5-6-cellulari) (vs. mascheranti da meno frequenti peli brevi 2-4-cellulari); i caratteri più evidenti sono quelli dei semi e della pelosità del fusto al di sotto dell’infiorescenza. Bibliografia: Galasso et al., in stampa a, b; Mayfield, 1997; Poldini et al., 1996; Subils, 1984 144 145 pioppo ibrido Famiglia: Salicaceae Nome scientifico: Populus ×canadensis Moench, pro sp. Nome volgare: pioppo ibrido, pioppo euroamericano, pioppo canadese Sinonimi: Populus deltoides W.Bartram ex Marshall × Populus nigra L. Tipo biologico: Pscap Descrizione: Albero slanciato, a chioma arrotondata, alto fino a 30 m, con tronco diritto e ritidoma liscio, grigiastro, fessurato longitudinalmente solo nei vecchi esemplari. Foglie alterne, largamente ovato-triangolari a base piatta, lunghe fino a 10 cm, crenato-seghettate, brevemente cigliate, con 1-2 piccole ghiandole sessili presso l’apice del picciolo (oltre a quelle sui denti basali della lamina). Fiori anemofili, unisessuali, penduli in amenti peduncolati sviluppantisi prima delle foglie, i maschili e i femminili su individui distinti (pianta dioica); perianzio assente; ricettacolo a coppa; stami (fiori maschili) 15-25 a filamento molle; ovario (fiori femminili) bicarpellare. Il frutto è una capsula a 2 o 4 valve, liberante minutissimi semi immersi in una massa cotonosa di fibre che viene trasportata a distanza dal vento. Periodo di fioritura: marzo-aprile. Area d’origine: Ibrido originatosi spontaneamente in Francia tra l’autoctono P. Nigra L. e l’americano P. deltoides W.Bartram ex Marshall. Habitat: Ambienti ruderali su base umida, terreni denudati e smossi. Distribuzione nel territorio: Ovunque, in pianura e nei fondivalle. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, originatasi spontaneamente in Francia verso la metà del Settecento. Segnalata per la prima volta in Lombardia da Piazzoli Perroni (1957). Modalità d’introduzione: Deliberata (pioppicoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: Sì. Impatto: Estetico-paesaggistico, ma localizzato. Più importante è il contributo allergenico che questo pioppo, in aggiunta agli altri Populus diffusi sul territorio, fornisce sia attraverso il polline (marzo-aprile) sia attraverso i peli cotonosi dei frutti (maggio-giugno), provocando fastidiose reazioni nelle persone sensibili. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Il pioppo euroamericano è un complesso di notocloni (cultivar clonali contrassegnate da sigle alfanumeriche) derivanti dalla selezione degli F1 di ripetute ibridazioni tra l’autoctono pioppo nero (P. nigra) e P. deltoides (pioppo americano) degli Stati Uniti sudorientali. Quest’ultimo, che è ugualmente coltivato negli impianti sperimentali, dove si riconosce per le foglie molto grandi (fino a 18 cm di lunghezza), decisamente deltoidi e per gli stami in numero di 30-60, non mostra tendenza a sfuggire ed è stato osservato casuale soltanto una volta nel pavese da Nicola Ardenghi (in verbis). Il pioppo nero si distingue per le foglie più piccole, a base generalmente cuneata e, soprattutto, per la mancanza delle ghiandole sessili all’apice del picciolo (presenti, invece, sui denti basali della lamina). La pioppicoltura rappresenta ancora una base dell’industria cartiera, ma la sua importanza economica raggiunse il massimo nella seconda metà del passato secolo e oggi appare in progressivo declino. violetta americana Famiglia: Violaceae Nome scientifico: Viola cucullata Aiton Nome volgare: violetta americana, mammola americana Sinonimi: Viola obliqua auct., non Hill Viola palmata L. var. cucullata (Aiton) A.Gray Viola papilionacea auct., non Pursh Tipo biologico: Grhiz Descrizione: Pianta erbacea perenne, alla fioritura alta sino a circa 20 cm, acaule, con rizomi ingrossati e carnosi, spessi più di 5 mm. Foglie con stipole lanceolate, brevemente sfrangiate e papillose; lamina triangolare, di solito lunga oltre 2 cm, pressoché glabra, con base cordata o leggermente tronca e apice acuto. Fiori riuniti al centro della rosetta fogliare; sepali con appendici allungate (2-6 mm) e apice ottuso; corolla azzurro-violetta, più di rado bianca, del diametro di circa 2 cm, con sperone breve; ovario con stigma capitato. Frutto costituito da una capsula ovato-cilindrica, lunga 1-1.5 cm. Periodo di fioritura: aprile-maggio. Area d’origine: Nordamerica centro-orientale. Habitat: Prevalentemente boschi, soprattutto degradati, dove spesso forma cospicue colonie lungo i sentieri, le strade e al margine del bosco stesso. Inoltre incolti, argini, prati di servizio ecc., comunque in situazioni con discreto disturbo. Distribuzione nel territorio: Pressoché in tutto il territorio regionale (50-600 m s.l.m.), sebbene con maggior frequenza in pianura. Bergamo (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Sondrio (NAT),Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XIX secolo. Nel 1905 inselvatichita nell’Orto Botanico di Torino (Trinchieri, 1905; Béguinot & Mazza, 1916a). In Lombardia osservata per la prima volta in natura nel 1927 nel milanese da Stucchi (1929b). Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini floricoli. Status: Invasiva. Dannosa: No. Impatto: Il reale impatto di questa specie è ancora poco conosciuto, quantunque si possa valutare approssimativamente come non elevato. Sembrerebbe infatti che il principale aspetto negativo possa essere ricondotto alla concorrenza con le specie autoctone del genere Viola. Azioni di contenimento: Rimozione manuale, facendo attenzione ad estirpare anche il rizoma. Note: Abbastanza diffusamente coltivata in parchi e giardini, in particolare in quelli storici. Si riconosce facilmente dalle specie autoctone del genere Viola, che spesso vivono assieme, per la presenza di un rizoma ingrossato, le foglie praticamente glabre e l’ovario con stimma capitato. Sebbene il nome Viola obliqua sia prioritario è da considerarsi ambiguo e quindi inutilizzabile (Gil-Ad, 1997). Bibliografia: Béguinot & Mazza, 1916a; Gil-Ad, 1997; Stucchi, 1929b, 1949b; Trinchieri, 1905 Bibliografia: Piazzoli Perroni, 1957 146 147 iperico americano Famiglia: Hypericaceae Nome scientifico: Hypericum mutilum L. Nome volgare: iperico americano Sinonimi: Sarothra blentinensis Pi.Savi Sarothra mutila (L.) Y.Kimura Tipo biologico: Tscap (Hscap) Descrizione: Pianta erbace annuale (raramente pluriennale), glabra, alta 20-50 cm, con fusto eretto, divaricatamente ramoso nella metà superiore. Foglie opposte, sessili, da ovate a oblunghe o lanceolate, di 7-20×3-8 mm, glaucescenti, alla base da arrotondato-subamplessicauli a largamente cuneate, percorse da 3-5 nervature. Fiori in cima terminale fogliosa, provvisti di calice a 5 sepali lanceolato-lineari, acuti e corolla (a volte ridotta o mancante) di 5 petali stretti, lunghi fino a 2 mm, gialli con punteggiature scure; stami 5 o più numerosi, in 5 gruppi irregolari; ovario supero con 3-5 stili liberi e numerosi ovuli. Il frutto è una capsula setticida. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: Nordamerica orientale. Habitat: Siti umidi di brughiera, su suolo povero, argilloso; sponde di canali in risaia. Distribuzione nel territorio: Groane e zona delle risaie. Milano (NAT), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia nel 1834 in Toscana da Pietro Savi, che la descrisse come una specie nuova; in Italia settentrionale segnalata da Tosco (1953) nel torinese, in Lombardia da Banfi (1977). Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: È l’unica specie aliena naturalizzata di Hypericum, nonostante in coltivazione siano largamente diffuse cultivar e notocultivar di specie esotiche da giardino, utilizzate in bordure e tappeti verdi (la più nota è H. calycinum L. del SE-Europa e della Turchia, iperico calicino, osservata casuale nelle province di Bergamo, Brescia e Varese). Queste, tuttavia e fortunatamente, non sembrano predisposte ad affermarsi in ambiente naturale; d’altra parte H. mutilum, che non ha rilievo alcuno in campo floricolturale, si è naturalizzata per cause del tutto accidentali. Bibliografia: Banfi, 1977; Tosco, 1953 ammannia arrossata Famiglia: Lythraceae Nome scientifico: Ammannia coccinea Rottb. Nome volgare: ammannia arrossata Sinonimi: Ammannia auriculata auct., non Willd. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale glabra, alta 10-50 cm, con fusti eretti, tetragoni. Foglie decussate, sessili; lamina oblungo-lineare, acuta o acuminata, cordato-auricolata alla base (semiamplessicaule), di norma più lunga del corrispondente internodo. Fiori tetrameri in glomeruli ascellari compatti, da sessili (1-)3-flori a lungamente peduncolati 3-5(-14)-flori, riconducibili a dicasi raccorciati; pedicello lungo 0-4(-9) mm, robusto; ipanzio subgloboso, largo fino a 5 mm nel frutto e leggermente eccedente quest’ultimo; epicalice di 4 segmenti pressoché uguaglianti i 4 sepali del calice, tutti superanti di poco 2 mm; corolla di 4 minuti petali rosa-porpora scuro, molto fugaci e spesso assenti; stami 4; ovario semiinfero; stilo lungo 2-3 mm. Il frutto è un pissidio a deiscenza irregolare o un carcerulo (pissidio indeiscente), di 3.5-5 mm; semi numerosi, minutissimi. Periodo di fioritura: agosto-settembre. Area d’origine: Neotropica. Habitat: Risaie, fanghi, golene. Distribuzione nel territorio: Planiziale, nella zona delle risaie e lungo il Po. Cremona (NAT), Lodi (INV), Milano (INV), Mantova (CAS), Pavia (INV). [A. verticillata: Brescia (EST), Mantova (EST), Pavia (EST).] Periodo d’introduzione: Neofita, osservata per la prima volta in Italia nelle risaie di Vespolate (NO) nel 1957 (Fenaroli, 1960, sub A. auriculata); in Lombardia segnalata da Banfi & Galasso (1998) come frequente nelle risaie milanesi. Modalità d’introduzione: Accidentale (con i risi). Status: Invasiva. Dannosa: Sì, solo alla produzione risicola. Impatto: Infestante delle risaie, con scarso disturbo alla biodiversità delle comunità vegetazionali (risaie e fanghi golenali). Azioni di contenimento: Eventuale diserbo in risaia. Note: Specie di origine ibridogena (A. auriculata Willd. × A. robusta Heer & Regel: Graham, 1979). Secondo Soldano (1986) tutte le segnalazioni italiane di Ammannia gruppo coccinea, a partire da quella di Fenaroli (1960) per A. auriculata, sono da ricondurre, in base ai caratteri messi in luce dalle revisioni di Graham (1979, 1985), ad A. coccinea. È tuttavia opportuno rivedere tutto il materiale d’erbario e compiere accurate osservazioni di campagna poiché non è escluso che si possano ritrovare sia A. auriculata (peduncolo dell’infiorescenza lungo 3-9 mm, filiforme; fiori 3 o più per glomerulo, con petali rosa-porpora scuro; frutti 2.5 mm o meno) sia A. robusta (infiorescenza sessile; fiori 1-3 per glomerulo, con petali lavanda chiaro, a volte con venature purpuree; frutti 4-6 mm). A. verticillata (Ard.) Lam. (= Cornelia verticillata Ard.; ammannia a fiori sessili), indicata da lungo tempo (es. Bertoloni, 1835; Cesati, 1844) anche per le risaie della Lombardia e ancora frequente fin dopo la metà del secolo scorso (Ciferri et al., 1949; Pirola, 1964b), in realtà sembra estinta dal territorio (Cook, 1973; Banfi & Pirola, 1997); originaria dell’Asia sudoccidentale, si distingue per lo stilo lungo al massimo 0.5 mm, l’ipanzio e i sepali pubescenti e i segmenti dell’epicalice che superano i sepali. Fenaroli (1960), segnalando la nuova comparsa in Italia (nel novarese) di A. auriculata, riporta anche una vecchia segnalazione di Welden per A. baccifera L. (subsp. aegyptiaca (Willd.) Koehne, entità non distinta dal tipo della specie) per il lago Sant’Orsola presso Pavia, peraltro senza riportare la fonte bibliogarfica del dato. Si può tuttavia intuire che egli riporti la segnalazione di Fiori & Paoletti (1900, 1907), che a sua volta si basa su due lavori dello specialista Koehne (1884, 1903). In effetti Koehne parla di una raccolta di Welden di detta pianta, non più ritrovata in seguito, nella località di cui sopra. Purtroppo però commette un errore nella trascrizione dei dati dello stesso Welden: il lago Sant’Orsola era già stato in passato località di raccolta di specie del genere Ammannia (cfr. Pollini, 1822a, 1824; Bertoloni, 1835), solo che viene sempre citato come una località in “agro patavino” o “Patavia”, cioè presso Padova, non Pavia! Questa località si trovava alla periferia di Padova (Camin) ai tempi del Béguinot e, attualmente, al suo posto sorge il parco delle Roncajette (Noemi Tornadore, in verbis). Il dato di questa specie, quindi, non è riferibile alla Lombardia ma al Veneto. Simile ad A. verticillata, si distingue agevolmente per l’ipanzio e i sepali glabri e per i segmenti dell’epicalice assenti; è stata recentemente trovata in Emilia-Romagna lungo il Po (Galasso & Morelli, in stampa) ed è da ricercare in Lombardia. Il genere Ammannia L. è morfologicamente affine a Rotala L. (si veda la scheda di R. densiflora), dal quale si differenzia soprattutto per le capsule mature non striate, ma ben separato dal punto di vista filogenetico. Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Banfi & Pirola, 1997; Bertoloni, 1835; Cesati, 1844; Ciferri et al., 1949; Cook, 1973; Fenaroli, 1960; Fiori & Paoletti, 1900, 1907; Galasso & Morelli, in stampa; Graham, 1979, 1985; Koehne, 1884, 1903; Pirola, 1964b; Pollini, 1822a, 1824; Soldano, 1986; Zanotti, 2010 148 149 rotala asiatica Famiglia: Lythraceae Nome scientifico: Rotala densiflora (Roth) Koehne Nome volgare: rotala asiatica Basionimo: Ammannia densiflora Roth Sinonimi: Ditheca densiflora (Roth) Miq. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale glabra, di 5-40 cm, con fusto prostrato-ascendente e foglie decussate, lineari o linearilanceolate, di 5-30×1.5-5 mm, via via ridotte verso l’alto. Fiori singoli all’ascella delle foglie, sessili; calice di 1.5-2 mm, con tubo campanulato e (4-)5 denti; segmenti dell’epicalice generalmente lunghi sino al doppio dei denti calicini, raramente rudimentali o assenti; corolla di (4-)5 petali bianchi o rosei, più o meno bilobi e dentellati al margine, lunghi 0.5-1 mm cioè almeno il doppio dei denti del calice; stami (3-)5; ovario semiinfero alloggiato in un ipanzio largamente campanulato. Il frutto è una capsula setticida con numerosi, minuti semi. Periodo di fioritura: luglio-agosto. Area d’origine: Asia tropicale. Habitat: Risaie e relativi arginelli fangosi. Distribuzione nel territorio: Lomellina; casuale nel lecchese. Lecco (CAS), Pavia (NAT). [R. filiformis: Brescia (EST), Milano (CAS), Mantova (NAT), Pavia (NAT).] [R. indica: Lodi (NAT), Milano (NAT), Pavia (NAT).] [R. ramosior: Milano (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, in Italia naturalizzata almeno dal 1972 in Piemonte nel vercellese (Cook, 1973, 1979). In Lombardia segnalata da Pignatti (1982). Modalità d’introduzione: Accidentale (flora risicola). Status: Naturalizzata. Dannosa: Sì, solo in ambito agricolo. Impatto: Infestante di risaia. Azioni di contenimento: Eventuale diserbo in risaia. Note: Segnalata per la prima volta in Lombardia da Pignatti (1982) senza precisazione di località, è sicuramente presente in Lomellina (PV) (campioni raccolti nel 2002 e conservati nell’erbario del Museo di Storia Naturale di Milano, MSNM). Inoltre è segnalata da Consonni (1997, 1999) per la provincia di Lecco nella zona del Monte Legnone (Colico verso Madonna del Pozzo); in questa località è sicuramente da considerarsi casuale.Sono altre tre le specie di questo genere esotico ben noto alla risicoltura lombarda. Si tratta di R. ramosior (L.) Koehne (= Ammannia r. L.; rotala americana), R. filiformis (Bellardi) Hiern (= Suffrenia f. Bellardi; rotala minore) e R. indica (Willd.) Koehne (= Peplis i. Willd.; rotala comune): la prima, di provenienza neotropica, si distingue per i fiori tetrameri con calice di 2.5-5 mm e segmenti dell’epicalice lunghi 0.5-1(2) mm, mentre la seconda (Africa tropicale) e la terza (Asia tropicale) hanno fiori privi di epicalice e presentano foglie, rispettivamente, prive di margine cartilagineo lunghe fino a 10 mm con larghezza massima nella metà prossimale e con evidente margine cartilagineo lunghe 4-20 mm con larghezza massima nella metà distale. Sono tutte commensali del riso, introdotte con i movimenti intercontinentali di questa coltura. Il genere Rotala L. è morfologicamente affine ad Ammannia L. (si veda la scheda di A. coccinea), dal quale si differenzia soprattutto per le capsule mature densamente striate orizzontalmente, ma ben separato dal punto di vista filogenetico. epilobio cigliato Famiglia: Onagraceae Nome scientifico: Epilobium ciliatum Raf. Nome volgare: epilobio cigliato Sinonimi: Epilobium adenocaulon Hausskn. Epilobium americanum Hausskn. Epilobium argentinum Sam. Epilobium chilense Hausskn. Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne, con rosette fogliari compatte e fusti alti (10-)25-90(-150) cm, ramosi, di rado semplici, densamente ricoperti (tranne inferiormente) di peli ghiandolari patenti e tricomi non ghiandolari arricciati. Foglie opposte, le basali ovato-lanceolate con picciolo di 1-3 mm e lamina lunga fino a 15 cm, le cauline sessili, strettamente ovato-lanceolate, di 2.5-6(-7)×0.6-1.5(-2) cm, subglabre, strigulose sui nervi e al margine, con base arrotondata, raramente subcordata, margine a 20-30 denti per lato e apice da acuto a subacuminato. Infiorescenza terminale, spiciforme, con fiori eretti; calice di 4 sepali carenati, lunghi 2.4-3.5 mm; corolla a 4 petali bianchi o lilacini con venature più scure, profondamente bilobi (in apparenza doppi), lunghi 3.5-5(-7) mm; stami 8; ovario infero, 4-loculare, con una fila di ovuli per loculo; stimma clavato o subcapitato. Il frutto è una capsula loculicida lineare lunga 4.5-7 cm, sorretta da un peduncolo di 0.5-0.8(-1.4) cm, deiscente in 4 valve, con numerosi semi bruni di 0.08-0.1 mm, provvisti di un ciuffo caduco di lunghi peli bianchi. Periodo di fioritura: luglio-agosto(-settembre). Area d’origine: America. Habitat: Siti umidi disturbati lungo i corsi d’acqua, margine di stagni e acquitrini, erbosi umidi. Distribuzione nel territorio: Lombardia centro-orientale, casuale in pianura, naturalizzata in collina. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (CAS), Mantova (CAS). Periodo d’introduzione: Neofita, in Italia segnalata per la prima volta da Brilli Cattarini (1990) senza specificazione di località, conosciuta dal 1936 nelle Valli di Fiemme e Fassa (Prosser, 1994). In Lombardia segnalata per la prima volta da Bonali et al. (2006a). Modalità d’introduzione: Accidentale (probabilmente con il commercio di piante ornamentali). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Condivide l’habitat con E. hirsutum L. ed E. parviflorum Schreb., autoctone a comportamento sinantropico, enormemente più comuni e diffuse dell’aliena, che si riconoscono subito per lo stigma diviso in 4 lobi anziché intero e per l’assenza di pelosità ghiandolare, sostituita da villosità patente; la prima ha foglie semiamplessicauli e fiori grandi (petali >1 cm), la seconda foglie attenuate sul nodo e fiori piccoli (petali <1 cm). Le specie più simili, però, sono gli autoctoni E. tetragonum L., privo di pelosità ghiandolare patente nella parte superiore del fusto, ed E. roseum Schreb., con foglie più larghe e un po’ più lungamente picciolate e con un colore generale maggiormente grigiastro. Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Brilli Cattarini, 1990; Prosser, 1994 Bibliografia: Consonni, 1997, 1999; Cook, 1973; Cook, 1979; Pignatti, 1982 150 151 porracchia gigante Famiglia: Onagraceae Nome scientifico: Ludwigia hexapetala (Hook. & Arn.) Zardini, H.Y.Gu & P.H.Raven Nome volgare: porracchia gigante Basionimo: Jussiaea hexapetala Hook. & Arn. Sinonimi: Ludwigia grandiflora auct., non (Michx.) Greuter & Burdet Ludwigia grandiflora (Michx.) Greuter & Burdet subsp. hexapetala (Hook. & Arn.) G.L.Nesom & Kartesz Ludwigia uruguayensis auct., non (Cambess) H.Hara Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne, glabra o sparsamente pelosa, con fusti di 20-200 cm, in parte eretti, in parte sdraiati e flottanti nell’acqua, radicanti ai nodi. Foglie alterne, da strettamente ellittiche a largamente obovate, lunghe 1-11 cm, intere, le cauline di 5.5-13×0.9-1.8 cm. Fiori singoli, ascellari, su peduncoli che in frutto raggiungono la lunghezza di 9 cm, attinomorfi, con ipanzio privo di tubo; calice di 5(-6) sepali lunghi (10-)11-19 mm a maturità; corolla di 5(-6) petali gialli, obovato-spatolati, lunghi (15-)20-30 mm; stami 10(-12) ripartiti disugulamente in 2 gruppi, con antere di 0.5-2.2 mm; ovario semiinfero, 4-5-loculare. Il frutto è una capsula riflessa, a deiscenza irregolare, circolare-subpentagonale in sezione, lunga 1230 mm, attenuata nel peduncolo, con semi numerosi e minuti. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: Sudamerica. Habitat: Margini di corpi d’acqua stagnante o a lento flusso. Distribuzione nel territorio: Planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Mantova (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata almeno dal 1934 a Brescia e introdotta sperimentalmente con successo nelle “lame d’Iseo” nel 1939 da Luigi Grandi (Arietti, 1942). L’esatta identità delle popolazioni italiane è stata chiarita da Galasso (2007a). Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura acquatica). Status: Naturalizzata. Dannosa: Sì. Impatto: Minaccia la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce, in alcuni casi con coperture prossime al 100%. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia. 152 porracchia di Montevideo Famiglia: Onagraceae Nome scientifico: Ludwigia peploides (Kunth) P.H.Raven subsp. montevidensis (Spreng.) P.H.Raven Nome volgare: porracchia di Montevideo Basionimo: Jussiaea montevidensis Spreng. Sinonimi: Ludwigia grandiflora auct. p.p., non (Michx.) Greuter & Burdet Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne con pelosità patente, più o meno glutinosa nel fresco; fusti lunghi 10-300 cm, tappezzanti il suolo o flottanti nell’acqua, questi ultimi spesso con pneumatafori bianchi evidenti. Foglie alterne, da oblunghe a rotonde, lunghe meno di 10 cm, subintere, ghiandolose all’apice, le inferiori con picciolo lungo (-5)8-16 mm. Fiori singoli, ascellari, su peduncoli che in frutto possono raggiungere la lunghezza di 9 cm, attinomorfi, con ipanzio privo di tubo; calice di 5(-6) sepali lunghi 3-12 mm; corolla di 5(-6) petali gialli, obovato-spatolati, lunghi 7-24 mm; stami 10(-12) ripartiti disugulamente in 2 gruppi, con antere di 0.5-2.2 mm; ovario semiinfero, 4-5-loculare. Il frutto è una capsula riflessa, a deiscenza irregolare, circolare in sezione, lunga 25-40 mm, con semi numerosi e minuti. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: Sudamerica. Habitat: Margini dei corpi d’acqua stagnante o a lento flusso. Distribuzione nel territorio: Fascia planiziale. Brescia (NAT), Cremona (INV), Lodi (INV), Mantova (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XX secolo. Segnalata in Italia in Emilia-Romagna a partire dal 2001 (Romani & Alessandrini, 2001 sub L. grandiflora), in Lombardia dal 2004 (Petraglia & Antoniotti, 2004 sub L. peploides; Assini et al., 2004 sub L. grandiflora) dove è stata raccolta per la prima volta nel 1998. L’esatta identità della sottospecie presente in Italia è stata chiarita da Galasso (2007a). Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura acquatica). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Minaccia la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce, in alcuni casi con coperture prossime al 100%. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia. Note: Specie decaploide, comunemente venduta nei garden center, con fiori di dimensioni maggiori rispetto all’esaploide L. grandiflora (Zardini et al., 1991; Nesom & Kartesz, 2000). È simile a L. peploides subsp. montevidensis (vedi scheda), che si distingue per i fusti prostrati (oltre a quelli flottanti), i sepali di 3-12 mm e i petali di 7-24 mm non o poco sovrapposti. Note: Simile a L. hexapetala (vedi scheda), che si distingue per i fusti ascendenti o eretti (oltre a quelli flottanti), i sepali di (10-)11-19 mm e i petali di (15-)20-30 mm largamente sovrapposti. Bibliografia: Arietti, 1942; Galasso, 2007a; Nesom & Kartesz, 2000; Zardini et al., 1991 Bibliografia: Assini et al., 2004; Bonali et al., 2006b; Galasso, 2007a; Petraglia & Antoniotti, 2004; Raven, 1963; Romani & Alessandrini, 2001 153 enagra comune Famiglia: Onagraceae Nome scientifico: Oenothera biennis L. Nome volgare: enagra comune Tipo biologico: Hbienn Descrizione: Pianta erbacea bienne, alta 80-150 cm, con fusto semplice o poco ramificato, verde, talvolta rossastro nelle parti inferiori. Foglie alterne, ellittiche o ellittico-lanceolate, con margine dentato superficialmente e nervo mediano arrossato, almeno nella parte basale. Fiori attinomorfi riuniti in infiorescenza a racemo, con asse dell’infiorescenza, ovario e sepali totalmente sprovvisti di punteggiature o colorazione rossi; brattee brevi; peduncolo di 25-40 mm; 4 petali gialli di (15-)20-30 mm, decisamente più larghi che lunghi; stami 8 in due verticilli; ovario semiinfero; stilo sempre incluso tra le antere; peluria ghiandolare ben sviluppata già nelle prime fioriture. Il frutto è una capsula lineare loculicida, a 4 valve, lunga 25-40 mm, contenente abbondanti, piccoli semi irregolarmente cubici e privi di ali o con ali appena rilevate. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: Europa e Siberia, non conosciuta in Nordamerica. Habitat: Incolti, margini stradali, greti fluviali. Distribuzione nel territorio: Più o meno in tutto il territorio, ma più rara rispetto all’Ottocento in quanto non ha ricevuto vantaggi dalla crescente antropizzazione e ha sofferto della concorrenza delle congeneri successivamente stabilitesi. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, presumibilmente originatasi spontaneamente nell’area eurosiberiana da piante introdotte dall’America. Le date relative alla sua diffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della confusione tra le diverse specie: le prime raccolte in Italia risalgono al 1807 (Toscana), quelle lombarde al 1837 (Milano); la prima segnalazione certa per la Lombardia è di Soldano (1993). Modalità d’introduzione: Ignota. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Estetico-paesaggistico locale. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Il genere Oenothera sect. Oenothera subsect. Oenothera è americano e tutte le specie presenti in Europa si riconducono direttamente o indirettamente a un’iniziale introduzione dal Nordamerica di due o pochi ceppi, la cui identità tassonomica non è ancora stata ricostruita. I particolari meccanismi genetici alla base della riproduzione sessuale in queste piante sono basati sul controllo da parte di geni letali bilanciati e sulla formazione di anelli cromosomici alla meiosi, grazie ai quali ad ogni generazione vengono eliminati i genomi omozigoti. Si tratta perciò di eterozigoti obbligati e complessi in cui il grado di affinità tra i genomi materno e paterno e l’accumulo di mutazioni proprio di ogni genoma determinano, attraverso le varie combinazioni gametiche, la comparsa di fenotipi morfologicamente distinti, che in alcuni casi si fissano stabilmente nel tempo generando nuove specie, il tutto secondo un modello di speciazione estremamente rapido definito “eterogametico”. Ciò è appunto quanto si ritiene sia successo a 8 delle 9 entità presenti in Lombardia, formatesi molto probabilmente in Europa, se non (almeno 5) in Italia o addirittura in situ, a partire da lontani progenitori importati dal Nordamerica. Paradossalmente esse si possono definire indigene di origine esotica! Le altre 8 specie lombarde si distinguono per differenti combinazioni dei caratteri, includenti la punteggiatura rossa, le dimensioni dei petali, l’epoca di comparsa dei peli ghiandolari, la colorazione del nervo mediano della foglia ecc. Infine segnaliamo che nel varesino e nel lecchese sono stati raccolti alcuni campioni di una Oenothera a fiore piccolo che non si inquadrano in nessuna delle specie conosciute in Europa. enagra di Bartlett Famiglia: Onagraceae Nome scientifico: Oenothera chicaginensis de Vries ex Renner & Cleland var. bartlettii Soldano Nome volgare: enagra di Bartlett Tipo biologico: Hbienn Descrizione: Pianta erbacea bienne, alta 100-180 cm, con fusto ramoso e arrossato. Foglie alterne, ellittico-lanceolate, dentate, con nervo mediano arrossato, almeno nella parte basale. Fiori attinomorfi riuniti in infiorescenza densa; asse dell’infiorescenza con sparse punteggiature rosse (a metà agosto); sepali verdi, talvolta punteggiati di rosso (a metà agosto); 4 petali gialli di 17-27 mm; stami 8 in due verticilli; ovario semiinfero; stilo sempre incluso tra le antere; totale assenza o quasi di peluria ghiandolare lungo l’ipanzio. Il frutto è una capsula lineare loculicida, a 4 valve, lunga 30-45 mm, contenente abbondanti, piccoli semi con spigoli acuti o debolmente alati. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Nordamerica; la varietà si sarebbe originata in Italia centro-settentrionale. Habitat: Greti fluviali, margini ruderali. Distribuzione nel territorio: Pianura. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, presumibilmente originatasi spontaneamente in Italia centro-settentrionale da ceppi americani. Le date relative alla sua diffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della confusione tra le diverse specie: le prime raccolte in Italia risalgono al 1976 (Toscana), quelle lombarde al 1983 (Valcamonica, BS); la prima segnalazione per la Lombardia è di Soldano (1993). Modalità d’introduzione: Originatasi in loco (vedi: Periodo di introduzione). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Estetico-paesaggistico locale. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis. In Lombardia si incontrano, casuali, altre tre specie del genere Oenothera L., appartenenti però ad altra sezione: O. gaura W.L.Wagner & Hoch (= Gaura biennis L.; gaura) nel milanese (Stucchi, 1929b), O. speciosa Nutt. (enagra speciosa) nel lecchese e bresciano, O. tetragona Roth (enagra tetragona) nel lecchese. Una quarta specie, O. rosea L’Hér. ex Aiton (enagra rosea), è stata osservata avventizia soltanto all’interno dell’Orto Botanico di Pavia (Fiori, 1925b) e non è quindi da annoverarsi tra la flora esotica lombarda. Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Dietrich et al., 1997; Fiori, 1925b; Mihulka et al., 2003; Soldano, 1993; Stucchi, 1929b Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Soldano, 1993 154 155 enagra di Royfraser Famiglia: Onagraceae Nome scientifico: Oenothera royfraseri R.R.Gates Nome volgare: enagra di Royfraser Sinonimi: Oenothera parviflora auct., non L. Oenothera turoviensis Rostański Tipo biologico: Hbienn Descrizione: Pianta erbacea bienne, simile a O. chicaginensis var. bartlettii (vedi scheda), da cui si distingue per le foglie più strette, per una più densa punteggiatura dell’asse dell’infiorescenza, per i sepali sempreverdi, per i petali di 6-12 mm, per i frutti minori (19-26 mm) e per i semi debolmente alati. La pelosità ghiandolare, assente sull’ipanzio alle prime fioriture, prevale dalla metà di agosto in poi. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Nordamerica orientale (E-Canada). Habitat: Incolti, margini stradali, greti fluviali. Distribuzione nel territorio: Sporadica nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Milano (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita. Le date relative alla sua diffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della confusione tra le diverse specie: le prime raccolte in Italia sono lombarde (Valcamonica, BS) e risalgono al 1984; segnalata la prima volta da Zanotti (1991b). Modalità d’introduzione: Ignota. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Estetico-paesaggistico locale. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis. Non avendo potuto controllare gli exsiccata, la segnalazione di Pomi (1994) per Oe. parviflora, assente in Italia (Soldano, 1993), è qui ricondotta a Oe. royfraseri. Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Pomi, 1994; Soldano, 1993; Zanotti, 1991b enagra fallacoide Famiglia: Onagraceae Nome scientifico: Oenothera fallacoides Soldano & Rostański Nome volgare: enagra fallacoide Tipo biologico: Hbienn Descrizione: Pianta erbacea bienne, robusta, con fusto eretto, ramoso, alto 80-150(-200) cm, completamente rosso o striato di rosso. Foglie alterne, sessili, lanceolate, lunghe fino a 15 cm, piane, debolmente dentate al margine, con nervo mediano arrossato o bianco. Infiorescenza terminale a spiga fogliosa allungata, con asse fittamente punteggiato di rosso, uniformemente rosso nel tratto apicale già all’apertura dei primi bocci; sempre sull’asse, a partire dalla seconda metà di luglio, compaiono peli ghiandolari che si ritrovano anche sui frutti acerbi nella porzione inferiore dell’infiorescenza. Fiori profumati, ad apertura notturna, attinomorfi, del diametro di (3-)4-6.5 cm, con ipanzio a tubo allungato; calice di 4 sepali riflessi all’antesi, fortemente arrossati, apicolati per una lunghezza di 2-7 mm; corolla a 4 petali gialli, largamente obovato-triangolari di (15-)2032×22-37 mm; stami 8 in due verticilli; ovario semiinfero. Il frutto è una capsula lineare loculicida, a 4 valve, lunga (15-)20-35 mm, contenente abbondanti, piccoli semi bruni, spigolosi. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: Italia centro-settentrionale occidentale. Habitat: Incolti, margini stradali, greti fluviali. Distribuzione nel territorio: Porzione occidentale della regione, nelle fasce planiziale e collinare. Lecco (NAT), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, presumibilmente originatasi spontaneamente in Italia centro-settentrionale da ceppi nordamericani introdotti deliberatamente a fini floricolturali. Le date relative alla sua diffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della confusione tra le diverse specie: le prime raccolte in Italia risalgono al 1927 (Toscana), quelle lombarde al 1975 (Cava Manara, PV); la prima segnalazione per la Lombardia è di Soldano (1983a). Modalità d’introduzione: Originatasi in loco (vedi: Periodo di introduzione). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Estetico-paesaggistico locale. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis. Bibliografia: Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Soldano, 1983a, 1993 156 157 enagra di Oehlkers Famiglia: Onagraceae Nome scientifico: Oenothera oehlkersil Kappus Nome volgare: enagra del Sesia Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne con fusto semplice o poco ramificato, di altezza medio-bassa, superando raramente i 150 cm. Foglie alterne, le inferiori ellittiche, spesso a margine increspato; le altre ellittico-lanceolate, generalmente con nervo mediano bianco o incolore. Fiori attinomorfi riuniti in infiorescenza allungata; già dalle prime fioriture è presente un’accentuata glandolosità; peduncoli lunghi fino a 50-55 mm; 4 petali gialli medio-grandi, di 35-50 mm; stami 8 in due verticilli; ovario semiinfero; stilo che si protende al di sopra delle antere. Il frutto è una capsula lineare loculicida, a 4 valve, lunga 10-25 mm, contenente abbondanti, piccoli semi con evidente espansione alare sugli spigoli. Periodo di fioritura: maggio-luglio. Area d’origine: Europa (probabilmente Europa centro-orientale). Habitat: Incolti, margini stradali, greti fluviali. Distribuzione nel territorio: Pianura occidentale. Cremona (NAT), Lecco (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, derivata dall’ibridazione tra Oe. glazioviana e una stirpe di Oe. suaveolens oppure direttamente da Oe. glazioviana. Le date relative alla sua diffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della confusione tra le diverse specie: le prime raccolte in Italia risalgono al 1969 (Toscana), quelle lombarde al 1982 (Lomellina, PV); la prima segnalazione per la Lombardia è di Soldano (1980b). Modalità d’introduzione: Ignota. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Estetico-paesaggistico locale. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis. enagra di Glaziou Famiglia: Onagraceae Nome scientifico: Oenothera glazioviana Micheli Nome volgare: enagra di Glaziou Sinonimi: Oenothera erythrosepala Borbás Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne, simile a Oe. oehlkersi (vedi scheda) ma con asse dell’infiorescenza, ovario e frutti cosparsi di minuti ma abbondanti punti rossi, apice dell’asse stesso, calice e, di norma, nervo mediano fogliare totalmente arrossati. I giovani frutti presentano una caratteristica banda rossa sulle facce. Periodo di fioritura: maggio-luglio. Area d’origine: Europa (Inghilterra). Habitat: Incolti, margini stradali, greti fluviali. Distribuzione nel territorio: Sporadica in quasi tutto il territorio, nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), Pavia (CAS), Sondrio (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, ottenuta presumibilmente attorno al 1860 dall’incrocio artificiale tra Oe. biennis e una stirpe americana non identificata. Le date relative alla sua diffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della confusione tra le diverse specie: le prime raccolte in Italia risalgono al 1889 (Piemonte), quelle lombarde al 1956 (Como); la prima segnalazione per la Lombardia è di Soldano (1980b). Modalità d’introduzione: Deliberata (mercato ortofloricolo). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Estetico-paesaggistico locale. Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis. A questa specie è sicuramente da ricondurre anche la segnalazione di Arietti & Crescini (1980) di Oe. suaveolens per il bresciano (Soldano, 1993); lo stesso potrebbe valere per quella di Stucchi (1949b). Bibliografia: Arietti & Crescini, 1980; Bonali et al., 2006a; Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Soldano, 1980b, 1993; Stucchi, 1949b; Zanotti, 1991b Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Soldano, 1980b, 1983b, 1993 158 159 enagra del Sesia Famiglia: Onagraceae Nome scientifico: Oenothera sesitensis Soldano Nome volgare: enagra del Sesia Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 100-160(-200) cm, con fusto ramoso, leggermente rosseggiante. Foglie alterne, ellittico-lanceolate, a margine dentato e nervo mediano arrossato. Fiori attinomorfi in infiorescenza con asse minutamente punteggiato di rosso e apice completamente maculato (in genere dalla seconda metà di agosto); calice inizialmente verde, ma arrossato non prima di agosto; ipanzio di 30-40 mm, inizialmente ricoperto da peli acuminati, sui quali i peli ghiandolari prendono il sopravvento non prima della seconda metà di agosto; 4 petali gialli di 18-28 mm; stami 8 in due verticilli; ovario semiinfero; stilo sempre incluso tra le antere. Il frutto è una capsula lineare loculicida, a 4 valve, lunga (35-)40-48 mm, contenente abbondanti, piccoli semi non o appena alati. Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: Italia nordoccidentale. Habitat: Incolti, margini stradali, greti fluviali. Distribuzione nel territorio: Pianura occidentale. Lecco (NAT), Pavia (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, presumibilmente originatasi spontaneamente in Italia nordoccidentale da ceppi americani. Le date relative alla sua diffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della confusione tra le diverse specie: le prime raccolte in Italia risalgono al 1975 (Piemonte), quelle lombarde al 1977 (Lomellina, PV) ; la prima segnalazione per la Lombardia è di Soldano (1980b). Modalità d’introduzione: Originatasi in loco (vedi: Periodo di introduzione). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Estetico-paesaggistico; inoltre minaccia la biodiversità delle comunità di greto in cui si afferma. Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis. Bibliografia: Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Soldano, 1980b, 1993 enagra di stucchi Famiglia: Onagraceae Nome scientifico: Oenothera stucchii Soldano Nome volgare: enagra di Stucchi Sinonimi: Oenothera elata auct., non Kunth Oenothera renneri auct., non H.Scholz Tipo biologico: Hbienn Descrizione: Pianta erbacea bienne, alta 120-220(-300) cm, con fusto verde, ramificato, striato di rosso o totalmente soffuso di rossastro. Foglie alterne, ellittico-lanceolate grandi, con marcata dentatura marginale e nervo mediano bianco e incolore. Fiori attinomorfi riuniti in infiorescenza con asse profondamente picchiettato di rosso, lungo il quale le brattee mediane mantengono una buona dentatura marginale, spesso con lembo ondulato; ; 4 petali gialli di 20-30 mm; ipanzio lungo 50-70 (-75) mm che all’inizio dell’antesi (metà luglio) manca totalmente o quasi di peli ghiandolari (questi prendono il sopravvento dalla seconda metà di agosto); stami 8 in due verticilli; ovario semiinfero; stilo sempre incluso tra le antere. Il frutto è una capsula lineare loculicida, a 4 valve, lunga 23-35(-40) mm, contenente abbondanti, piccoli semi con spigoli distintamente alati. Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: Italia nordoccidentale. Habitat: Incolti, margini stradali, greti fluviali. Distribuzione nel territorio: Pressoché ovunque, nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, presumibilmente originatasi spontaneamente in Italia nord-occidentale da ceppi americani. Le date relative alla sua diffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della confusione tra le diverse specie: le prime raccolte in Italia sono lombarde e risalgono al 1952 (Sesto Calende, VA); la prima segnalazione per la Lombardia è di Stucchi (1956, sub O. elata). Modalità d’introduzione: Originatasi in loco (vedi: Periodo di introduzione). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Estetico-paesaggistico; inoltre minaccia la biodiversità delle comunità di greto in cui si afferma. Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis. La segnalazione di Stucchi (1956) per Oe elata, successivamente rettificata in Oe. renneri (Raven, 1968; Stucchi, 1972) è da ricondurre a Oe. stucchii (Soldano, 1980b). Bibliografia: Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Raven, 1968; Soldano, 1980b, 1993; Stucchi, 1956, 1972 160 161 enagra a petali larghi Famiglia: Onagraceae Nome scientifico: Oenothera latipetala (Soldano) Soldano Nome volgare: enagra a petali larghi Basionimo: Oenothera suaveolens Desf. ex Pers. var. latipetala Soldano Tipo biologico: Hbienn Descrizione: Pianta erbacea bienne, alta 80-150(-200) cm, con fusto ramoso, arrossato nella parte più bassa, superiormente verde e senza punteggiature rosse lungo l’asse dell’infiorescenza. Foglie alterne, lanceolate, a nervo mediano bianco o incolore, acuminate e a margine intero o appena ondulato. Pelosità non ghiandolare, abbastanza fitta su fusto, foglie, ovario, frutti, sepali e ipanzio; i peli ghiandolari si sviluppano e diventano prevalenti dall’inizio di agosto, se non più tardi. Fiori attinomorfi, notturni, fortemente odorosi, con 4 petali gialli lunghi 19-32 mm e larghi 26-40 mm; stami 8 in due verticilli; ovario semiinfero; stilo sempre incluso tra le antere. Il frutto è una capsula lineare loculicida, a 4 valve, lunga 30-45 mm. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: Italia. Habitat: Greti fluviali, margini ruderali. Distribuzione nel territorio: Pressoché in tutto il territorio, nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (INV), Cremona (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (NAT), Pavia (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, presumibilmente originatasi spontaneamente in Italia da piante speciate in Europa e introdotte deliberatamente da noi (piante da giardino). Le date relative alla sua diffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della confusione tra le diverse specie: le prime raccolte in Italia risalgono al 1869 (Piemonte), quelle lombarde al 1882 (Revere, MN); la prima segnalazione certa per la Lombardia è di Soldano (1981). Modalità d’introduzione: Originatasi in loco (vedi: Periodo di introduzione). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Estetico-paesaggistico; inoltre minaccia la biodiversità delle comunità a bassa competizione in cui si afferma. sommacco maggiore Famiglia: Anacardiaceae Nome scientifico: Rhus typhina L. Nome volgare: sommacco maggiore Sinonimi: Datisca hirta L., nom. rej. Rhus hirta (L.) Sudw. Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis. Tipo biologico: Pscap Descrizione: Alberello caducifoglio o grosso arbusto con stoloni sotterranei e fusti spesso in cerchio, arcuato-ascendenti, alti 2-10 m; rami ricoperti di una fitta pubescenza bruno-rossiccia o purpurea. Foglie alterne, imparipennate, con picciolo densamente rugginoso-pubescente e lamina raggiungente i 50 cm, composta di 11-31 segmenti lunghi fino a 11 cm, oblungo-lanceolati, seghettati al margine, fittamente pubescenti, verdi, viranti al rosso vivo in autunno. Fiori pentameri, piccoli, verdastri, in pannocchie terminali, erette, piramidali, molto compatte e lobulate, ispido-pubescenti per peli rosso ruggine e lunghe la metà delle foglie. Frutti a drupa con epicarpo ricoperto di lunghi peli purpurei. Periodo di fioritura: giugno-luglio. Area d’origine: Nordamerica orientale. Habitat: Incolti solatii. Distribuzione nel territorio: Frequentemente coltivata e a volte casuale, naturalizzata nel lecchese e bergamasco. Bergamo (NAT), Brescia (CAS), Cremona (CAS), Lecco (NAT), Monza e Brianza (CAS), Milano (CAS), Mantova (CAS), Pavia (CAS), Sondrio (CAS), Varese (CAS). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal Seicento e avventizia dalla seconda metà dell’Ottocento nel trevigiano (Saccardo, 1863); in Lombardia segnalata da Giacomini (1950). Modalità d’introduzione: Deliberata (commercio ortofloricolo). Status: Naturalizzata. Dannosa: Potenzialmente sì. Impatto: Può formare popolamenti densi, deteriorando la vegetazione locale; la sua notevole e problematica diffusione in Canton Ticino costituisce una minaccia anche per il nostro territorio. Azioni di contenimento: Evitarne l’uso nei giardini e nei parchi; non utilizzare terriccio contenente radici di sommacco; non tagliarlo (data la sua notevole capacità pollonifera), ma estirpare i turioni fino a completa eliminazione della pianta. Bibliografia: Bonali, 2008; Bonali et al., 2006a; Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Soldano, 1981, 1993, 2010; Zanotti, 2010 Note: È specie della lista nera elvetica e va quindi tenuta sotto osservazione. Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Bonali et al., 2006a; Banfi & Galasso, 1998; Consonni, 1997, 1999; Giacomini, 1950; Saccardo, 1863 162 163 acero negundo Famiglia: Aceraceae Nome scientifico: Acer negundo L. Nome volgare: acero negundo, negundo Sinonimi: Negundo aceroides Moench Negundo negundo (L.) H.Karst., comb. illeg. Tipo biologico: Pscap Descrizione: Albero caducifoglio di 5-20 m di altezza, poco longevo ma di crescita rapida. Ha tronco eretto, con scorza di colore bruno-cenerino e chioma irregolarmente globosa. I giovani rami sono glauco-pruinosi, flessibili ma fragili. Foglie lunghe 15-25 cm, imparipennate, composte da 3-5(-7) segmenti lanceolati o variamente ellittici, con denti e lobature irregolari; i 3 segmenti apicali spesso confluenti e connati. Fiori prodotti prima della fogliazione, unisessuali, privi di perianzio, maschili e femminili su individui distinti (pianta dioica); i maschili riuniti in corimbi, a 8 stami; i femminili con ovario supero, bicarpellare, in lunghi amenti. Il frutto è un samario costituito da due mericarpi con ala piuttosto stretta e falcata, divergenti tra loro ad angolo acuto. Periodo di fioritura: aprile-maggio. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Boscaglie (radure e margini), soprattutto lungo le aste fluviali, pioppeti, rimboschimenti, cedui e fustaie abbandonate di robinia, ruderati. Distribuzione nel territorio: Si rinviene spontaneizzata in tutto il territorio, soprattutto lungo i corsi d’acqua, dalla fascia collinare alla planiziale (0-500 m s.l.m.); per il resto largamente coltivata in parchi, giardini e alberature stradali. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia verso la fine del Settecento. In Lombardia è stata segnalata la prima volta prima nel 1863 (Anonimo, 1863) come coltivata e da Omati (1884) come naturalizzata. Modalità d’introduzione: Deliberata (orticoltura, vivaicoltura, sperimentazione forestale). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Modifica sensibilmente il paesaggio naturale e riduce la biodiversità delle cenosi boschive, particolarmente in ambiente ripariale; ha esigenze ecologiche identiche a quelle di diverse latifoglie autoctone dei suoli freschi, particolarmente diffusi nelle aree alluvionali, dove cresce velocemente e fruttifica in abbondanza. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia; è inoltre inserita tra le specie esotiche a carattere infestante e dannose per la conservazione della biodiversità riportate nel r.r. 5/2007. Azioni di contenimento: Taglio selettivo ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi in caso di ripollonamento; provvedere quindi a sottopiantagione. Pronta rimozione del novelleto. Evitare circostanze favorevoli alla fruttificazione, per esempio eliminando per primi gli individui femminili. Bibliografia: Anonimo, 1863; Omati, 1884 albero del Paradiso Famiglia: Simaroubaceae Nome scientifico: Ailanthus altissima (Mill.) Swingle Nome volgare: albero del Paradiso, ailanto, sommacco falso, sommacco americano Basionimo: Toxicodendron altissimum Mill. Sinonimi: Ailanthus glandulosa Desf. Pongelion glandulosum (Desf.) Pierre Tipo biologico: Pscap Descrizione: Albero caducifoglio dell’altezza massima di 20 m, con radici superficiali turionanti, ritidoma liscio, grigiastro e chioma ombrelliforme, estesa orizzontalmente, negli individui monumentali tabulare. Giovani rami e gemme grigio-vellutati, fortemente ghiandolosi e puzzolenti come le foglie, che sono imparipennate, con rachide lunga 20-50 cm e 13-31 segmenti lanceolati di 5-7×2-4 cm, irregolarmente dentati e asimmetrici alla base. Fiori poligamo-dioici (pianta funzionalmente dioica), molto odorosi, in grandi pannocchie terminali lunghe 10-20 cm, verdastri, privi di calice, con 5 petali subacuminati; disco nettarifero a 10 lobi; 10 stami nei fiori maschili, 2-3 i quelli bisessuali; ovario (fiori femminili) supero, con stimma 5-lobato. Il frutto è una samara lanceolata, ritorta, con seme in posizione centrale, rossastra da acerba, poi paglierina. Periodo di fioritura: giugno-luglio. Area d’origine: Asia orientale (Cina temperata). Habitat: Ruderati, incolti, boscaglie, argini e alvei fluviali, margini stradali e ferroviari, infraspazi urbani, muri, cortili, edifici abbandonati. Distribuzione nel territorio: Comunissima in tutto il territorio, dalla fascia planiziale a quella montana. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Italia verso il 1760 all’Orto Botanico di Padova. In Lombardia coltivata almeno dal 1825 nell’Orto Reale di Monza (Rossi, 1826) e naturalizzata almeno dal 1884 sulle mura di Milano (Omati, 1884) e dal 1897 nel bresciano (Ugolini, 1897). Modalità d’introduzione: Deliberata (collezioni di Orti botanici). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Pesante sulla biodiversità, sul paesaggio e sui manufatti antropici (mura, aree archeologiche, maciapiedi ecc.). È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia; è inoltre inserita tra le specie esotiche a carattere infestante e dannose per la conservazione della biodiversità riportate nel r.r. 5/2007. Azioni di contenimento: Taglio, eradicazione, eliminazione delle radici isolate e correnti con relativi turioni e gemme; monitoraggio continuato e prolungato, con interventi ripetuti ad ogni manifestazione pur minimale della pianta. L’uso di erbicidi è di scarso aiuto. Note: Dopo l’introduzione (1760), la pianta rimase per un certo tempo confinata ai giardini di appassionati che se ne scambiavano i semi e, forse, già allora qualche individuo si era affermato all’esterno. Ma fu la seconda metà dell’Ottocento a decretarne l’invasione, poiché, a causa della moria del comune baco da seta (Bombyx mori), venne sostituita al gelso e diffusa in tutti i territori delle filande, per l’allevamento di Philosamia cynthia, baco da seta più resistente alle malattie. La sperimentazione si rivelò presto un insuccesso economico e non ebbe seguito, ma bastò per innescare una delle più micidiali invasioni vegetali dell’occidente. L’ailanto, infatti, in ambito temperato, è forse l’aliena arborea più competitiva e aggressiva, capace oltretutto di alterare allelopaticamente il suolo, impedendo alle legnose autoctone di recuperare i legittimi spazi. La sua forza sta principalmente nel vigore vegetativo ed espansivo, nell’incredibile velocità di allungamento radicale con relativa pollonazione e nell’elevatissima efficienza disseminativa, sostenuta dai movimenti d’aria. Ricordiamo, per quanto attiene il territorio nazionale, il grave caso dell’isola di Montecristo, letteralmente invasa da questa aliena, dove sono stati necessari costosi e faticosi interventi di eliminazione, che non hanno risolto completamente il problema e costringono a un continuo, attento monitoraggio. Il danno bioecologico procurato dall’ailanto è di gran lunga superiore a quello della robinia (vedi scheda), perché comporta una pesante alterazione del chimismo del suolo e dei rapporti di competizione nelle cenosi legnose, con vistosa caduta di biodiversità e omologazione del paesaggio. Bibliografia: Giacomini, 1950; Omati, 1884; Rossi, 1826; Ugolini, 1897 164 165 ibisco palustre Famiglia: Malvaceae (= Malvaceae subfam. Malvoideae) Nome scientifico: Hibiscus moscheutos L. subsp. palustris (L.) R.T.Clausen Nome volgare: ibisco palustre Basionimo: Hibiscus palustris L. Sinonimi: Hibiscus aquaticus DC. Hibiscus moscheutos L. subsp. roseus (Thore ex Loisel.) P.Fourn. Hibiscus roseus Thore ex Loisel. Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne, multiassiale, alta 50-120 cm, con fusti semplici, diritti, cespitosi. Lamina fogliare subrotonda o largamente ovata, di 8-15×4-9 cm, a margine denticolato, spesso inciso in 3 lobi poco profondi; pagina inferiore tomentosa per peli stellati soffici; apice acuminato. Fiori ascellari su peduncoli di 4-6 cm; epicalice con circa 11 lacinie lineari; calice a 5 sepali saldati nella metà prossimale; corolla di 5 petali uniformemente rosa, di rado bianchi, ricoprentisi ai margini, lunghi 4-7 cm. Frutto costituito da una capsula a 5 valve, subsferica, larga 1-2 cm; semi reniformi. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Nordamerica orientale (dal Massachusetts al North Carolina e, verso ovest, fino all’Indiana). Habitat: Entità di habitat palustre, dove cresce soprattutto al margine dei canali e nel canneto. Distribuzione nel territorio: In Lombardia è naturalizzata unicamente nelle Valli del Mincio (Laghi di Mantova) e alla Palude Brabbia (VA), in quest’ultima stazione anche nella forma a fiori bianchi; casuale nel bergamasco e bresciano. Bergamo (CAS), Brescia (CAS), Mantova (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XVI. In Lombardia conosciuta già da Cesati (1844) e Bertoloni (1847) per il mantovano. Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante sul piano bioecologico, più consistente su quello estetico e paesaggistico. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: L’entità nominale (subsp. moscheutos), distribuita in Virginia, Georgia, Florida, Alabama, Tennessee e Kentucky negli stessi ambienti umidi, pur essa in vendita nei nostri garden center in cultivar dai fiori spesso giganti, unicolori o bicolori, si distingue per le foglie superiori mai lobate e per i petali di norma bianchi, macchiati di porpora alla base. Sebbene Linneo avesse distinto i due taxa a rango specifico, i termini di passaggio fra l’uno e l’altro sono ampiamente rappresentati in natura nei punti di contatto degli areali e la maggior parte degli autori americani è oggi propensa a ritenere che i due morfotipi siano gli estremi geografici della variazione di una sola specie. ibisco vescicoso Famiglia: Malvaceae (= Malvaceae subfam. Malvoideae) Nome scientifico: Hibiscus trionum L. Nome volgare: ibisco vescicoso Sinonimi: Hibiscus africanus Mill. Hibiscus hispidus Mill. Hibiscus ternatus Cav. Hibiscus vesicarius Cav. Ketmia trionum (L.) Scop. Trionum annuum Medik. Trionum trionum (L.) Wooton & Standl., comb. illeg. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 20-40 cm, con fusto gracile, eretto-ascendente. Picciolo fogliare lungo 2-4 cm. Foglie larghe 3-6 cm, dimorfe, quelle alla base del fusto orbicolari, le superiori palmate con 3-5 lobi, a loro volta grossolanamente lobati; pagina superiore della lamina ispida, sparsamente irsuta o glabrescente l’inferiore. Fiori solitari, ascellari; pedicelli lunghi circa. 2.5 cm; epicalice di 12 lobi filiformi; calice con 5 lobi triangolari, verdastro, campanulato, membranoso e dopo la fioritura rigonfio; corolla giallo pallido con centro porpora scuro, di 2-3 cm di diametro; stami monadelfi (saldati per i filamenti a formare un tubo che avvolge l’ovario); ovario supero con stilo allungato e stimma capitato. Frutto consistente in una capsula a 5 valve, oblungo-globosa, larga circa 1 cm, irsuta; semi neri, reniformi. Periodo di fioritura: agosto-settembre. Area d’origine: Africa, Asia (temperata e tropicale) ed Europa orientale (dai Balcani alla Russia). Habitat: Infestante dei campi, soprattutto di quelli lasciati temporaneamente incolti, oppure ai margini degli stessi. Predilige suolo umido con elevata componente argillosa. Distribuzione nel territorio: Soprattutto in ambito planiziale, dove è presente in modo molto sporadico e incostante, con popolazioni costituite di norma da pochi individui. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia dall’inizio del Cinquecento; in Lombardia coltivata almeno dal 1531 a Cremona (Bonali, 2009). Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: La specie ha un modesto rilievo agroeconomico, perché come infestante è assai contenuta e poco competitiva. Note: La fioritura è vistosa e intrigante, tuttavia nel suo habitat passa pressoché inosservata. Bibliografia: Bonali, 2009 Bibliografia: Banfi, 1983; Bertoloni, 1847; Bird, 1997; Cesati, 1844 166 167 polanisia Famiglia: Cleomaceae Nome scientifico: Polanisia trachysperma Torr. & A.Gray Nome volgare: polanisia Sinonimi: Polanisia dodecandra (L.) DC. subsp. trachysperma (Torr. & A.Gray) Iltis Polanisia dodecandra (L.) DC. var. trachysperma (Torr. & A.Gray) Iltis Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 30-50 cm, viscoso-appicicaticcia al tatto, con fusto violaceo, eretto, semplice o ramificato, densamente provvisto di peli ghiandolari. Foglie trifogliate con picciolo di 3-8 cm e segmenti ellittico-oblunghi o lanceolati, lunghi 3-7 cm, ottusi, spesso acuminati. Nervi chiari, sporgenti sulla faccia abassiale. Infiorescenza a racemo terminale allungato, provvisto di numerose brattee ellittiche, intere. Fiori su peduncoli eretti di 1-2 cm, con 4 sepali caduchi e 4 petali bianco-rosei, spatolato-bifidi, lunghi 8-12 mm; stami 12-16; ovario supero, sessile o sorretto da un brevissimo ginoforo. I frutti sono capsule lineari od oblunghe, appiattite, spesso falcate, lunghe 30-70 mm, con valve reticolate; semi discoidali, bruno-nerastri. Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Incolti, scarpate, greti sabbiosi dei fiumi. Distribuzione nel territorio: Dalla fascia planiziale a quella collinare (0-500 m s.l.m.), soprattutto lungo il Po e i suoi affluenti. Bergamo (CAS), Brescia (CAS), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombardia nel pavese da Pirola (1964a). Modalità d’introduzione: Deliberata (giardinaggio). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Attualmente irrilevante, sebbene sussista il rischio di una certa concorrenza con le specie autoctone nei siti di colonizzazione. Azioni di contenimento: Monitoraggio periodico per valutare l’evoluzione demografica delle popolazioni sul territorio; rimozione manuale in caso di necessità. Bibliografia: Pirola, 1964a borsa del pastore a fiori grandi Famiglia: Brassicaceae Nome scientifico: Capsella grandiflora (Fauché & Chaub.) Boiss. Nome volgare: borsa del pastore a fiori grandi Basionimo: Thlaspi grandiflorum Fauché & Chaub. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta fino a 75 cm, con pelosità sparsa. Foglie basali in rosetta, con lamina intera, più o meno lirata o pennatifida; foglie cauline sagittato-amplessicauli. Fiori profumati in racemo terminale nudo, con 4 sepali eretti, non saccati, 4 petali bianchi, obovato-spatolati, lunghi 4-5 mm (2.5 volte i sepali); stami 6, tetradinami (4 lunghi, 2 brevi); ovario supero, bicarpellare. Il frutto è una siliqua angustisettata (a concamerazioni larghe quanto i semi), di forma triangolare-obcordata, a lati diritti e lobi apicali arrotondati, all’apice profondamente smarginata (stilo lungo 0.25-0.7 mm), arrotondato-attenuata alla base. Periodo di fioritura: aprile-giugno. Area d’origine: Penisola Balcanica, Egeo (Albania, Grecia). Habitat: Incolti aridi su base calcarea. Distribuzione nel territorio: Pianura, soprattutto nella zona del Lago d’Iseo (BG e BS). Bergamo (INV), Brescia (INV), Lecco (CAS), Milano (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia a fine Ottocento in Friuli-Venezia Giulia; naturalizzata in Lombardia almeno dal 1939 (Arietti, 1974; Arietti & Crescini, 1980). Modalità d’introduzione: Non conosciuta, probabilmente deliberata per fini ornamentali. Status: Invasiva. Dannosa: No. Impatto: Paesaggistico di rilevanza locale (vistosa fioritura bianca). Azioni di contenimento: Finora non necessarie. Note: Nell’area d’origine, la nicchia primaria della specie è rappresentata da pendii rocciosi calcarei, ma da qui essa si spinge in ambienti secondari antropogenici, quali incolti e ruderati. È grazie a tale adattabilità che la pianta ha potuto affermarsi nel nostro territorio, inserendosi in habitat secondari a bassa competizione. Dello stesso genere sono ben note le due specie autoctone C. bursa-pastoris (L.) Medik. e C. rubella Reut., spesso difficili da distinguere tra loro e a volte poste in sinonimia, ma ben separabili dall’aliena per i fiori inodori, assai meno vistosi (petali di 1.5-3 mm, lunghi non più del doppio dei sepali) e per il frutto decisamente triangolare a base cuneata e lobi apicali da subacuti a ottusi, mai arrotondati, con smarginatura mediana appena apprezzabile. Sono tutte entità ruderali. Bibliografia: Arietti, 1974; Arietti & Crescini, 1980 168 169 lappolina americana Famiglia: Brassicaceae Nome scientifico: Lepidium didymum L. Nome volgare: lappolina americana Sinonimi: Carara didyma (L.) Britton Coronopus didymus (L.) Sm. Senebiera didyma (L.) Pers. Senebiera pinnatifida DC., nom. illeg. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 5-25 cm, con fusti cilindrici ramosissimi, striscianti al suolo. Foglie alterne, le inferiori bipennatosette, lunghe 3-8 cm, perlopiù con 9 segmenti lunghi 2-3 mm, interi, oppure con 1-2 denti sul lato rivolto verso l’apice; le cauline semplicemente pennatosette e grigio-verdastre. Fiori piccoli, bianchi, riuniti in brevi racemi sessili, poco appariscenti. Peduncoli lunghi 1.5-3.5 mm; sepali di 1 mm; petali di 2 mm; stami 6, didinami (2 lunghi, 4 brevi). Il frutto è una siliqua rugosa di 1.5×2-3 mm, smarginata all’apice, contenente semi reniformi, giallastri o arancioni. Periodo di fioritura: marzo-luglio. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Siti ruderali e semiruderali (sentieri, strade rurali, macerie, aree abbandonate, base dei muri ed edifici, marciapiedi, ferrovie e scarpate), tappeti erbosi, parchi, giardini, viali e cimiteri; generalmente in aree a forte calpestio. Distribuzione nel territorio: Dalla pianura alla bassa montagna (0-950 m s.l.m.), soprattutto nelle città. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Sondrio (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Italia alla fine del XVIII secolo, in Lombardia raccolta per la prima volta nel 1914 (campione raccolto da P. Rossi a Mandello Lario (LC) e conservato nell’Erbario dell’Università di Pavia, PAV) e segnalata da Cobau (1916) a Milano. Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Non necessarie. Bibliografia: Cobau, 1916 lepidio della Virginia Famiglia: Brassicaceae Nome scientifico: Lepidium virginicum L. Nome volgare: lepidio della Virginia Sinonimi: Crucifera virginica (L.) E.H.L.Krause Iberis virginica (L.) Fisch. & C.A.Mey. Nasturtium virginicum (L.) Kuntze Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta annuale erbacea, alta 20-50 cm, con fittone sottile e fusto eretto, spesso arrossato alla base, ramoso, corimboso in alto, peloso per peli riflessi. Foglie alterne, le basali lunghe fino a 8 cm, con lamina lirata, brevemente setolosa; le cauline più brevi, intere, in genere con 3-7 denti apicali. Fiori in racemi terminali cilindrici; sepali 4, lunghi 0.6-1 mm; petali 4, talora assenti, bianchi, superanti i sepali in lunghezza; stami 6, tetradinami (4 lunghi, 2 brevi); ovario supero, bicarpellare. I frutti sono silique suborbicolari di 2-4×2-4 mm, con stretta ala marginale verso l’apice, che è debolmente retuso, e con 2 logge contenenti ciascuna un seme. Periodo di fioritura: maggio-novembre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Ambienti ruderali e semiruderali (sentieri, strade rurali, macerie, aree abbandonate, base dei muri ed edifici, ferrovie e scarpate, marciapiedi e luoghi calpestati), lungo i fiumi, incolti e coltivi. Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla fascia planiziale alla bassa montagna (0-800 m s.l.m.). Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). [L. densiflorum: Bergamo (EST), Brescia (NAT), Lecco (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia a metà del XVII secolo (Ugolini, 1923); in Lombardia presente almeno dal 1785 (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Scopoli, 1785) come pianta coltivata e dal 1882 come naturalizzata presso Cassano d’Adda (Micheletti, 1889). Modalità d’introduzione: Deliberata (pianta officinale). Status: Invasiva. Dannosa: In modo limitato. Impatto: Localizzato, sulla diversità delle comunità ruderali e sul relativo paesaggio; unisce capacità competitiva a una biostrategia di tipo ruderale (autoimpollinazione, abbondanza di semi per individuo ecc.), con il risultato di formare, per lunghi tratti di superficie e in breve tempo, densi popolamenti quasi monofitici, specialmente in abbondanza di nutrienti. Azioni di contenimento: Occorre evitare azioni che ne esaltino la diffusione, come lasciare denudato il suolo, o movimentare incontrollatamente il terreno, facilitando in entrambi i casi l’insediamento dei semi. Il contenimento si effettua tramite sfalcio selettivo (da ripetere 2-3 volte prima della fioritura), eventualmente coadiuvato dall’impiego di erbicidi; se possibile, provvedere al più presto alla semina di specie indigene o alla piantumazione di arbusti autoctoni ombreggianti. Note: Nel territorio si rinviene un’altra aliena neofita naturalizzata del genere Lepidium, L. densiflorum Schrad. (= L. neglectum Thell.; lepidio densifloro), nota in Lombardia dal 1922. Si riconosce per i petali più brevi dei sepali e per i frutti più piccoli (2.5×1.5-2 mm). Dal punto di vista ecologico, anch’essa si rinviene prevalentemente in ambito urbano (edificati e infrastrutture), ma pure in situazioni ruderali e di generico disturbo antropico, più comunemente in montagna e fino alla quota di 1˙750 m s.l.m. Qua e là, nei pressi dei luoghi di coltivazione (aliena casuale), si può trovare anche un’archeofita originaria di Asia occidentale e India, L. sativum L. (crescione inglese), facilmente riconoscibile per i petali di 2-3 mm e i frutti di 5-6 mm. Bibliografia: Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Micheletti, 1889; Scopoli; Ugolini, 1922a, 1923 170 171 crescione austriaco Famiglia: Brassicaceae Nome scientifico: Rorippa austriaca (Crantz) Besser Nome volgare: crescione austriaco Basionimo: Nasturtium austriacum Crantz Sinonimi: Brachiolobos austriacus (Crantz) Schur Camelina austriaca (Crantz) Pers. Cochlearia austriaca (Crantz) Ledeb. Myagrum austriacum (Crantz) Jacq. Radicula austriaca (Crantz) Small Rorippa austriaca (Crantz) Spach, comb. superfl. erba cornacchia di Loesel Famiglia: Brassicaceae Nome scientifico: Sisymbrium loeselii L. Nome volgare: erba-cornacchia di Loesel Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne, robusta, alta 30-100 cm, con rizoma stolonifero e fusto eretto, ramoso, a volte lignificato alla base. Foglie intere, ellittiche o lanceolate, irregolarmente dentate o seghettate ai margini, le cauline amplessicauli con evidenti orecchiette. Infiorescenze terminali a racemo corimbiforme; peduncoli fiorali lunghi 7-15 mm, ascendenti, talvolta ricurvi all’estremità. Fiori con calice di 4 sepali e corolla di 4 petali lunghi 2-4 mm, gialli, circa una volta e mezza più lunghi dei sepali; stami 6, tetradinami (4 lunghi e 2 corti). I frutti sono silique subglobose, 2.5-3.5×1.5-2.5 mm, meno di una volta e mezza più lunghe che larghe, sormontate dallo stilo persistente, lungo 1-2 mm. Periodo di fioritura: maggio-luglio. Area d’origine: Europa centrale e orientale (esclusa l’Italia). Habitat: Ambienti ± umidi, anche temporaneamente inondati, quali stagni, fossi, rive e solchi nei campi. Si rinviene anche in ambiente ruderale e semiruderale (sentieri, lungo le strade, macerie, aree abbandonate, base dei muri ed edifici, ferrovie e scarpate), oltre che in talune aiuole urbane. Distribuzione nel territorio: Presenza sporadica su tutto il territorio regionale, soprattutto dalla fascia planiziale a quella bassomontana, tra 0 e 700 m s.l.m. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). [R. armoracioides Lecco (CAS), Milano (NAT), Pavia (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta al principio del XIX secolo; segnalata per la prima volta in Italia presso Parma da Bertoloni (1854), ma raccolta per la prima volta da Giorgio Jan sempre a Parma, nel 1818 e 1832 (Ugolini, 1922b). In Lombardia raccolta per la prima volta a Brescia nel 1969 (Arietti & Crescini, 1975). Modalità d’introduzione: Accidentale, probabilmente con le truppe austriache (Béguinot & Mazza, 1916a). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Attualmente irrilevante. Azioni di contenimento: Monitoraggio periodico per valutare l’evoluzione demografica delle popolazioni sul territorio. Dove necessario si può procedere all’estirpazione manuale o alla sarchiatura. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 20-100(-150) cm, a fusto eretto, con rami alterni, ispida per peli riflessi. Foglie pennatosette, lirate o sinuate, con lobo terminale triangolare-ovato o triangolare - oblungo. Fiori in racemo terminale allungantesi alla fruttificazione, con 4 sepali eretto-patenti di 2.5 mm e 4 petali liberi, gialli, interi e spatolati, lunghi 4-7 mm; stami 6, tetradinami (4 interni a lungo filamento e due esterni a filamento raccorciato); ovario lineare, supero, con stilo molto breve e stimma bilobato. I frutti sono silique lineari di 15-45×0.7-1 mm, eretto-patenti, portate da pedicelli più sottili di esse (0.3-0.6 mm), con setto mediano ialino (replo), su cui poggiano in fila verticale i semi, piccoli e brunastri, placentati alternatamente ai margini dei carpelli. Periodo di fioritura: maggio-giugno. Area d’origine: Europa centrale e orientale. Habitat: Ruderi, macerie, incolti. Distribuzione nel territorio: Collinare e planiziale, nella porzione centro-orientale del territorio (province di Lecco, Bergamo, Brescia e Mantova). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Lecco (NAT), Mantova (NAT). [S. volgense: Brescia (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in periodo imprecisato. Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Note: Nel territorio si rinviene un’altra aliena neofita naturalizzata del genere Rorippa, R. armoracioides (Tausch) Fuss (= Nasturtium armoracioides Tausch; crescione a foglie di cren), ibrido fissato tra l’esotica Rorippa austriaca e l’autoctona × R. sylvestris (L.) Besser; sebbene sia stata segnalata per la prima volta già dal Cesati (1844), non si è sicuri della correttezza della sua determinazione e la sua prima raccolta certa in Lombardia è del 1985 (Soldano, 1986). Si riconosce per le foglie fortemente lobate e i frutti più di una volta e mezza più lunghi che larghi (lunghi 3-9 mm). Bibliografia: Zanotti, 2010 Note: Questo genere nel nostro territorio comprende diverse specie autoctone, tutte a comportamento sinantropico (ruderi, incolti, margini ecc.), la più diffusa delle quali è S. officinale (L.) Scop., riconoscibile per i fiori molto piccoli e le silique a forma di cono allungato, lunghe non più di 16 mm, pubescenti, strettamente appressate all’asse dell’infiorescenza. Di recente, nella pianura bresciana è comparsa un’altra aliena naturalizzata appartenente a questo genere (Zanotti, 2010); si tratta dell’erba-cornacchia del Volga o senape russa (S. volgense M.Bieb. ex E.Fourn.), simile a S. loeselii, ma perenne e rizomatosa. Infine, tra le aliene dubbie vi è l’erba-cornacchia orientale (S. orientale L.), con silique lunghe (2.5-)5-12 cm e portate da pedicelli spessi circa quanto queste (ca. 1 mm). Bibliografia: Arietti & Crescini, 1975; Béguinot & Mazza, 1916a; Bertoloni, 1854; Cesati, 1844; Soldano, 1986; Ugolini, 1922b 172 173 poligono russo Famiglia: Polygonaceae Nome scientifico: Fallopia baldschuanica (Regel) Holub Nome volgare: poligono russo, velo di sposa Basionimo: Polygonum baldschuanicum Regel Sinonimi: Fallopia aubertii (L.Henry) Holub Polygonum aubertii L.Henry Tipo biologico: Plian Descrizione: Liana perenne, non rizomatosa, con fusti legnosi, rampicanti, lunghi 3-10 m. Foglie alterne, provviste di fascetti ascellari, con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 3-8 mm, generalmente decidua, membranosa, brunastra, da obliqua a troncata all’apice, non fimbriata; lamina opaca, ovato-lanceolata, 3-10×1-5 cm, acuta all’apice, subcordata alla base, intera o irregolarmente crenata; picciolo di 1-4 cm, alla base con una fossetta nettarifera sul lato esterno. Infiorescenze panicoliformi, lunghe 3-15 cm, ascellari e terminali; tepali 5, bianco-verdastri con ala bianca o rosati, raramente rosa, i 3 esterni alati e accrescenti nel frutto; stami 6-8. Il frutto è un achenio marrone scuro o nero, trigono, lungo 2-4 mm, liscio e lucido. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: Asia centrale (Sichuan, Tagichistan, Uzbechistan). Habitat: Boschi e cespuglieti. Distribuzione nel territorio: Coltivata per ornamento e naturalizzata in gran parte del territorio (0-500 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (CAS), Sondrio (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, scoperta nel 1883 nel Bukhara (Uzbechistan) e portata nel Giardino botanico di San Pietroburgo, dove ha fiorito e fruttificato nel 1896; da qui i semi sono stati distribuiti in vari Orti botanici europei. Presente in Lombardia almeno dal 1928 come pianta coltivata (campione raccolto da L. Ceroni a Canneto Pavese -PV- e conservato nell’Erbario di Pavia, PAV) e almeno dal 1982 come naturalizzata (Pignatti, 1982). Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Data la modesta diffusione di questa specie l’impatto è attualmente trascurabile. Tuttavia, a causa dell’elevato vigore la pianta è potenzialmente invasiva e va mantenuta sotto controllo. Azioni di contenimento: Taglio dalla base e rimozione delle radici. Note: Piante con fiori più piccoli e bianchi o verdastri (a volte leggermente rosati, ma non chiaramente rosa), assi delle infiorescenze maggiormente papillosi o scabri, margini fogliari maggiormente ondulati e acheni più piccoli sono descritte come F. aubertii; tuttavia rientrano nella normale variabilità di F. baldschuanica. In Lombardia sono presenti anche due specie del genere Fagopyrum, coltivate per l’alimentazione (utilizzate per la preparazione di piatti tradizionali come i pizzoccheri e la polenta taragna) e raramente osservate casuali. Hanno foglie con base astata, relativamente simili a quelle del genere Fallopia, ma sono annuali e presentano un achenio lungo 2-3 volte i tepali. Sono: • F. esculentum Moench (= Polygonum fagopyrum L.; grano saraceno comune), con acheni nettamente trigoni, a facce e spigoli lisci; tepali (2.5-)3-5 mm, da bianco-crema a rosa chiaro; infiorescenze panicoliformi, lunghe 1-4 cm, terminali e ascellari, generalmente raggruppate all’apice del fusto; peduncoli non articolati; • F. tataricum (L.) Gaertn. (= Polygonum t. L.; grano saraceno siberiano), con acheni debolmente trigoni, a facce irregolarmente rugose e spigoli spesso sinuato-dentati; tepali 1.5-3 mm, verdi con margine biancastro; infiorescenze racemiformi, lunghe 2-10 cm, ascellari, non raggruppate all’apice del fusto; peduncoli articolati, circa a metà. poligono multifloro Famiglia: Polygonaceae Nome scientifico: Fallopia multiflora (Thunb.) Haraldson Nome volgare: poligono multifloro Basionimo: Polygonum multiflorum Thunb. Sinonimi: Fallopia multiflora (Thunb.) Czerep., comb. superfl. Pleuropterus cordatus Turcz., nom. illeg. Pleuropterus multiflorus (Thunb.) Nakai Tipo biologico: Plian Descrizione: Liana perenne, rizomatosa, con fusti erbacei, legnosi soltanto alla base, rampicanti (generalmente avvolti verso destra), lunghi 2-10 m. Foglie alterne, senza fascetti ascellari, con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 3-5 mm, persistente o decidua, membranosa, brunastra, obliqua all’apice, non fimbriata; lamina lucida, ovata, 3-15×2-7 cm, acuminata all’apice, cordata alla base, intera; picciolo di 1-7 cm, alla base con una fossetta nettarifera sul lato esterno. Infiorescenze panicoliformi, ampie e ramificate, lunghe 10-20 cm, ascellari e terminali; tepali 5, bianchi, i 3 esterni alati e accrescenti nel frutto; stami 8. Il frutto è un achenio marrone scuro o nero, trigono, lungo 2.5-3 mm, liscio e lucido. Periodo di fioritura: ottobre. Area d’origine: Asia orientale (Cina). Habitat: Boschi e cespuglieti. Distribuzione nel territorio: Coltivata per ornamento e naturalizzata nelle fasce planiziale e collinare (50-500 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Milano (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa probabilmente alla fine del XIX secolo; in passato spesso confusa con Fallopia baldschuanica o Reynoutria japonica. Segnalata per la prima volta in Italia e Lombardia da Galasso et al. (2006b). Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Data la modesta diffusione di questa specie l’impatto è attualmente trascurabile. Tuttavia, a causa dell’elevato vigore la pianta è potenzialmente invasiva e va mantenuta sotto controllo. Azioni di contenimento: Taglio dalla base e rimozione dei rizomi. Note: Specie tradizionalmente confusa con F. baldschuanica dalla quale è facilmente riconoscibile, oltre che per la fioritura tardiva, per i fusti legnosi soltanto alla base, la presenza di rizomi e per le foglie più grandi (lamina fino a 15×7 cm), nettamente cordate alla base, acuminate all’apice e prive di fascetti ascellari. In passato confusa anche con Reynoutria japonica. Bibliografia: Galasso, 2009; Galasso & Ceffali, 2008; Galasso et al., 2006b Bibliografia: Crescini & Tagliaferri, 1994a; Galasso, 2009; Pignatti, 1982 174 175 poligono filiforme Famiglia: Polygonaceae Nome scientifico: Persicaria filiformis (Thunb.) Nakai Nome volgare: poligono filiforme Basionimo: Polygonum filiforme Thunb. Sinonimi: Antenoron filiforme (Thunb.) Roberty & Vautier Polygonum virginianum (L.) Raf. var. filiforme (Thunb.) Nakai Sunania filiformis (Thunb.) Raf. Tovara filiformis (Thunb.) Nakai Tovara virginiana (L.) Raf. var. filiformis (Thunb.) Steward Tipo biologico: Grhiz Descrizione: Erba perenne, rizomatosa, alta fino a 130 cm, eretta, simile a P. virginiana con la quale spesso convive. Foglie alterne con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 10-20 mm, bruna, ialina, troncata all’apice, fimbriata; lamina obovata, 5-17.5×2-10 cm, con apice ottuso brevemente acuminato, sessile o con picciolo lungo fino a 2 cm. Infiorescenze spiciformi, strettamente lineari, lunghe (5-)10-35 cm, terminali e ascellari, con fiori distanziati; perianzio rosa o rossastro; stili persistenti nel frutto, induriti e ricurvi a uncino. Il frutto è un achenio biconvesso, marrone, lungo 3.5-4 mm. Periodo di fioritura: agosto-settembre. Area d’origine: Asia orientale. Habitat: Margini di sentieri boschivi, radure. Distribuzione nel territorio: Brianza (150-300 m s.l.m.). Como (INV), Monza e Brianza (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in periodo imprecisato, probabilmente nella prima metà del XX secolo; nell’erbario del Museo di Storia Naturale di Milano (MSNM) è conservato un campione di una pianta coltivata in Lombardia risalente al 1935. Segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia da Galasso & Brusa (2007), i primi campioni raccolti in natura sono del 2006, ma, data la sua abbondanza nelle stazioni segnalate, il suo arrivo risale sicuramente a numerosi anni prima. Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Forma popolamenti monofitici o misti con la congenere P. virginiana, lunghi centinaia di metri ma soltanto nelle radure e ai margini dei sentieri boschivi. Note: Specie morfologicamente e filogeneticamente affine a P. virginiana, con la quale spesso convive (ma i loro areali primari sono completamente distinti); tuttavia non sono mai stati osservati ibridi, forse anche a causa del leggero sfasamento del periodo di fioritura. Si distingue da quest’ultima per le foglie obovate, ottuse all’apice e per i tepali rosa o rossastri. In commercio si trovano comunemente le cultivar ‘Painter’s Palette’ (variegata di crema, verde chiaro e rosso) e ‘Variegata’ (macchiata di crema). poligono della Virginia Famiglia: Polygonaceae Nome scientifico: Persicaria virginiana (L.) Gaertn. Nome volgare: poligono della Virginia Basionimo: Polygonum virginianum L. Sinonimi: Antenoron virginianum (L.) Roberty & Vautier Tovara virginiana (Thunb.) Raf. Tipo biologico: Grhiz Descrizione: Erba perenne, rizomatosa, alta fino a 130 cm, eretta. Foglie alterne con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 10-20 mm, bruna, ialina, troncata all’apice, fimbriata; lamina ovata, 5-17.5×2-10 cm, con apice acuto o acuminato, sessile o con picciolo lungo fino a 2 cm. Infiorescenze spiciformi, strettamente lineari, lunghe (5-)10-35 cm, terminali e ascellari, con fiori distanziati; perianzio bianco o bianco-verdastro, raramente rosa; stili persistenti nel frutto, induriti e ricurvi a uncino. Il frutto è un achenio biconvesso, marrone, lungo 3.5-4 mm. Periodo di fioritura: luglio-agosto. Area d’origine: Nordamerica orientale. Habitat: Margini di sentieri boschivi, radure. Distribuzione nel territorio: Brianza (150-300 m s.l.m.). Como (INV), Lecco (INV), Monza e Brianza (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in periodo imprecisato, probabilmente nel XX secolo. Segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia da Banfi & Galasso (2005); in seguito ne è stato precisato l’areale (Galasso et al., 2006d; Galasso & Brusa, 2007). I primi campioni raccolti risalgono al 1995. Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Forma popolamenti monofitici o misti con la congenere P. filiformis, lunghi centinaia di metri ma soltanto nelle radure e ai margini dei sentieri boschivi. Note: Specie morfologicamente e filogeneticamente affine a P. filiformis, con la quale spesso convive (ma i loro areali primari sono completamente distinti); tuttavia non sono mai stati osservati ibridi, forse anche a causa del leggero sfasamento del periodo di fioritura. Si distingue da quest’ultima per le foglie ovate, acute all’apice e per i tepali verdastri o bianchi, raramente rosa. Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Galasso, 2009; Galasso & Brusa, 2007; Galasso et al., 2006d Bibliografia: Galasso, 2009; Galasso & Brusa, 2007 176 177 poligono cespitoso Famiglia: Polygonaceae Nome scientifico: Persicaria longiseta (Bruijn) Kitag. Nome volgare: poligono cespitoso Basionimo: Polygonum longisetum Bruijn Sinonimi: Persicaria blumei (Meisn. ex Miq.) H.Gross Persicaria caespitosa (Blume) Nakai var. longiseta (Bruijn) C.F.Reed Persicaria longiseta (Bruijn) Moldenke, comb. superfl. Polygonum blumei Meisn. ex Miq. Polygonum caespitosum Blume var. longisetum (Bruijn) Steward Tipo biologico: Tcaesp Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 30-80 cm, densamente cespitosa, con fusti ramificati dalla base, glabri, con rami decombenti e ascendenti, radicanti ai nodi basali. Foglie alterne con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 5-12 mm, ialina o bruno chiara, troncata all’apice, fimbriata; lamina a forma di rombo allungato, 2-8×1-3 cm, pagina inferiore senza ghiandole e superiore senza macchia nera, subsessile o con breve picciolo lungo fino a 0.1-0.3(-0.6) cm. Infiorescenze spiciformi, terminali e ascellari, lasse e interrotte, lunghe 1-4(-8) cm; perianzio rosa. Il frutto è un achenio trigono, lungo 1.6-2.3 mm, marrone scuro o nero, lucido. Periodo di fioritura: maggio-ottobre. Area d’origine: Asia orientale. Habitat: Margini di sentieri boschivi. Distribuzione nel territorio: Brianza (150-300 m s.l.m.). Monza e Brianza (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in periodo imprecisato, probabilmente verso la fine del XX secolo. Segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia da Galasso (2007), i primi campioni raccolti in natura sono del 2006. Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Data la modesta diffusione di questa specie, l’impatto è attualmente trascurabile. Note: Simile alle autoctone P. dubia, P. hydropiper e P. minor, si distingue agevolmente da queste per l’assenza di ghiandole sui tepali e per essere densamente cespitosa e ramificata, con lunghi rami prostrati e radicanti ai nodi basali. Bibliografia: Galasso, 2007, 2009 poligono del Nepal Famiglia: Polygonaceae Nome scientifico: Persicaria nepalensis (Meisn.) H.Gross Nome volgare: poligono del Nepal Basionimo: Polygonum nepalense Meisn. Tipo biologico: Tcaesp Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 5-40 cm, con fusti prostrato-diffusi e ascendenti, ramosissimi, spesso radicanti alla base. Foglie alterne con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 4-10 mm, bruna o ialina, cartacea, obliqua all’apice, non fimbriata; lamina triangolare-ovata, 1.5-5×1-4 cm, punteggiata di ghiandole sulla pagina inferiore; foglie inferiori con picciolo lungo fino a 3 cm, alato e auricolato alla base, le superiori subsessili o abbraccianti il fusto. Infiorescenze capitate, terminali e ascellari, sottese da una brattea fogliacea; perianzio bianco, rosa o rosso. Il frutto è un achenio biconvesso, lungo 1.5-2 mm, opaco. Periodo di fioritura: agosto-settembre. Area d’origine: Asia. Habitat: Margini di sentieri freschi, greti. Distribuzione nel territorio: Prealpi occidentali (varesino, 200-300 m s.l.m.). Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in periodo imprecisato, probabilmente nel XX secolo. Segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia da Becherer (1966), che l’ha raccolta nel 1964 sulle rive del Lago di Varese; sebbene nel 1972 fosse qui in regresso (Stucchi, 1972) oggi è divenuta invasiva in gran parte del varesino. Modalità d’introduzione: Probabilmente deliberata, per floricoltura. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Forma popolamenti quasi monofitici, lunghi centinaia di metri ma soltanto ai margini dei sentieri boschivi e dei torrenti. Note: Raramente è coltivata P. microcephala (D.Don) H.Gross (= Polygonum m. D.Don), perenne, più alta e con foglie più lunghe; in commercio è diffusa la cultivar ‘Red Dragon’ con foglie rosse. Sinora non ha mostrato tendenza ad avventiziare. Simile è anche P. capitata (Buch.-Ham. ex D.Don) H.Gross (= Polygonum c. Buch.-Ham. ex D.Don; poligono capitato). È una pianta perenne, legnosa alla base, con pagina inferiore delle foglie provvista di peli ghiandolari e con acheni trigoni, lucidi; coltivata per ornamento, è naturalizzata sulla riva piemontese del Lago Maggiore ma non è stata ancora osservata in Lombardia. Bibliografia: Becherer, 1966; Galasso, 2009; Stucchi, 1972 178 179 poligono della Pennsylvania Famiglia: Polygonaceae Nome scientifico: Persicaria pensylvanica (L.) M.Gómez Nome volgare: poligono della Pennsylvania Basionimo: Polygonum pensylvanicum L. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-200 cm, con fusto ascendente o eretto, glabro o distalmente provvisto di pubescenza appressata o peli ghiandolari. Foglie alterne con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 5-20 mm, brunastra, troncata all’apice, non fimbriata (o con fimbrie brevissime); lamina lanceolata, 4-17(-23)×(0.5-)1-4.8 cm, a volte con una chiazza scura a V rovesciata sulla pagina superiore e con ghiandole sull’inferiore, subsessile o con breve picciolo lungo fino a 0.1-2(-3) cm. Infiorescenze spiciformi, terminali e ascellari, dense, erette o raramente nutanti, lunghe 0.5-5 cm, con ghiandole stipitate; perianzio da bianco-verdastro a rosato. Il frutto è un achenio discoidale, raramente trigono, lungo 2.1-3.4 mm, marrone o nero, lucido. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Sabbia umida, ciottoli e pietrisco, sui greti. Distribuzione nel territorio: In espansione lungo il Ticino, il Po e i principali fiumi (0-500 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Cremona (NAT), Milano (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia (Friuli-Venezia Giulia) da Melzer (1988), in Lombardia da Banfi & Galasso (2005); in seguito Brusa & Galasso (2006) ne hanno precisato l’areale lombardo. Le prime osservazioni regionali risalgono al 2002. Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Invasiva. Dannosa: Potenzialmente. Impatto: Deprime la biodiversità delle cenosi in cui si insedia, a scapito delle specie autoctone. Azioni di contenimento: Le uniche azioni proponibili rientrano nel quadro di un recupero generale degli ambienti umidi. Note: Specie allotetraploide e morfologicamente variabile, al cui interno gli autori nordamericani hanno spesso accettato 3-4 varietà, che risultano tuttavia basate su caratteri non costanti (sia fra le popolazioni sia al loro interno) e quindi sistematicamente non significative (Hinds & Freeman, 2005). Può essere confusa con l’autoctona P. lapathifolia (L.) Delarbre, dalla quale si distingue agevolmente per i fiori più grandi, le infiorescenze pressoché erette e la presenza di evidenti peli ghiandolari (col peduncolo > del diametro della ghiandola) sulla parte superiore del fusto, sui rami dell’infiorescenza e sui pedicelli fiorali; inoltre i tepali esterni hanno nervature non prominenti e non terminanti ad ancora. In Lombardia è stata osservata come casuale P. orientalis (L.) Spach (= Polygonum o. L.; poligono orientale), coltivata per ornamento e avventizia presso le abitazioni, che si distingue per le foglie ovate, larghe 3-17 cm, con l’ocrea all’apice espansa in un’ala fogliacea verde. Nel limitrofo Veneto è presente anche P. bungeana (Turcz.) Nakai (= Polygonum b. Turcz.; poligono di Bunge), infestante le colture di mais, caratterizzata dal fusto provvisto di spinule ricurve (Galasso & Tomasi, 2007). Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Brusa & Galasso, 2006; Galasso, 2009; Galasso & Tomasi, 2007; Hinds & Freeman, 2005; Melzer, 1988 poligono di Boemia Famiglia: Polygonaceae Nome scientifico: Reynoutria bohemica Chrtek & Chrtková, pro hybr. Nome volgare: poligono di Boemia Sinonimo: Fallopia bohemica (Chrtek & Chrtková) J.P.Bailey, pro hybr. Polygonum bohemicum (Chrtek & Chrtková) Zika & Jacobson, pro hybr. Reynoutria ×vivax auct., non J.Schmitz & Strank Fallopia japonica × sachalinensis Tipo biologico: Grhiz Descrizione: Pianta erbacea perenne, rizomatosa, alta fino a 2-3(-3.5) m, con fusti eretti e ramificati. Foglie alterne con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 4-6(-10) mm, bruna, obliqua all’apice, non fimbriata; lamina ovata, (15-)20-25(-30)×12-20(-23) cm, leggermente cordata o cordato-troncata alla base e lungamente acuminata all’apice, non o solo leggermente cuspidato-caudata; nervature della pagina inferiore con peli unicellulari, corti e rigidi, ingrossati alla base; nervature terziarie e quaternarie poco visibili sulla pagina superiore; picciolo di 1-3 cm, alla base con una fossetta nettarifera sul lato esterno. Infiorescenze panicoliformi, lunghe 4-12 cm, ascellari e terminali; fiori funzionalmente unisessuali (su una stessa pianta possono essere presenti entrambi i tipi di fiori o soltanto quelli femminili); tepali 5, bianchi o bianco-verdastri, i 3 esterni leggermente alati e accrescenti nel frutto; stami 8, sporgenti dai tepali (nei fiori maschili) o più brevi e ridotti a staminodi (in quelli femminili). Il frutto è un achenio marrone scuro, trigono, lungo 2.6-3.2 mm, liscio e lucido. Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: Sconosciuta, probabilmente orticola (in Europa). Habitat: Fiumi, margini, incolti. Distribuzione nel territorio: Lombardia occidentale, nelle fasce planiziale e collinare (50-600 m s.l.m.). Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Pavia (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta od originatasi in Europa a fine Ottocento: esiste un campione raccolto in Inghilterra nel 1872 (Bailey & Conolly, 2000). In Italia è naturalizzata forse già dal 1933, anche se i primi campioni d’erbario visti sono del 1977; i primi campioni lombardi sono del 2006 (Vaccaneo 1933, Padula et al., 2008). Segnalata per la prima volta in Italia (e in Lombardia) da Gariboldi et al., (2007) e Padula et al. (2008). Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: I popolamenti densi che forma costituiscono ovunque una minaccia per le flore e le vegetazioni indigene, causando una perdita di biodiversità. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia. Azioni di contenimento: È specie difficile da eliminare, in quanto ogni pianta produce rizomi in un raggio di 7 m e fino a una profondità di 3 m. Bisogna cercare innanzitutto di non diffondere i rizomi: piccoli frammenti possono dare vita a nuovi individui. Tutte le parti della pianta devono essere incenerite, in nessun caso compostate. Secondo quanto riportato sul sito svizzero CPS (http://www.cps-skew.ch/), le strategie per impedire l’espansione dei poligoni comprendono la lotta meccanica (con tagli mensili per almeno 5 anni consecutivi che indeboliscano i rizomi), il pascolo caprino e ovino, la lotta chimica. Note: Il genere Reynoutria è estremamente variabile per morfologia e numero cromosomico, originando così una confusione tassonomica e una difficoltà nel determinare i limiti tra le specie; inoltre l’ibridazione infraspecifica è relativamente comune. Il carattere diacritico principale per il riconoscimento delle specie è quello relativo alla forma delle lamine delle foglie mediane del fusto, che purtroppo solo raramente sono raccolte e conservate negli erbari. Inoltre può essere presa in considerazione la pelosità della pagina inferiore, mentre quella della superiore e dei margini non è diagnostica. I peli possono essere osservati agevolmente fin verso metà settembre, soprattutto lungo le nervature della metà inferiore della lamina; in seguito tendono a cadere. Tuttavia, in alcuni casi (probabilmente nelle aree meno piovose o maggiormente soleggiate) questa caduta è molto precoce, realizzandosi già all’inizio di agosto. Questa entità è generalmente considerata un ibrido. In effetti deriva da R. japonica × sachalinensis e si riproduce prevalentemente per via vegetativa (fusti e rizomi) essendo per lo più sterile; tuttavia ha ormai raggiunto un comportamento autonomo completamente svincolato dalle specie parentali e maggiormente invadente di esse nelle comunità naturali, mostrando quindi le caratteristiche di una vera e propria specie. Bibliografia: Bailey, 2008; Bailey & Conolly, 2000; Barney et al., 2006; Beerling et al., 1994; Gariboldi et al., 2007; Padula et al., 2008; Vaccaneo, 1933 180 181 poligono del Giappone Famiglia: Polygonaceae Nome scientifico: Reynoutria japonica Houtt. Nome volgare: poligono del Giappone Sinonimi: Fallopia japonica (Houtt.) Ronse Decr. Polygonum cuspidatum Siebold. & Zucc. Tipo biologico: Grhiz Descrizione: Pianta erbacea perenne, rizomatosa, alta 0.7-2(-2.5) m, con fusti eretti e ramificati. Foglie alterne con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 4-6(-10) mm, bruna, obliqua all’apice, non fimbriata; lamina ovata, 7-17(-18)×8-12 cm, troncata alla base, evidentemente cuspidato-caudata e lungamente acuminata all’apice; nervature della pagina inferiore glabre, minutamente scabre per la presenza di protuberanze tanto larghe quanto lunghe; nervature terziarie e quaternarie poco visibili sulla pagina superiore; picciolo di 1-3 cm, alla base con una fossetta nettarifera sul lato esterno. Infiorescenze panicoliformi, lunghe 4-12 cm, ascellari e terminali; fiori funzionalmente unisessuali (su una stessa pianta possono essere presenti entrambi i tipi di fiori o soltanto quelli femminili); tepali 5, bianchi o biancoverdastri, i 3 esterni leggermente alati e accrescenti nel frutto; stami 8, sporgenti dai tepali (nei fiori maschili) o più brevi e ridotti a staminodi (in quelli femminili). Il frutto è un achenio marrone scuro, trigono, lungo 2.3-3.6 mm, liscio e lucido. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Asia orientale. Habitat: Fiumi, margini, incolti. Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutta la Lombardia, dalla pianura sino alla fascia montana (0-1˙200 m s.l.m.). Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (NAT), Lecco (INV), Lodi (NAT), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (NAT), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa (Gran Bretagna) nel 1825 (Bailey & Conolly, 2000); in Italia coltivata nel 1858 all’Orto botanico di Padova e naturalizzata a Torino in Piemonte nel 1891 (Vaccaneo, 1933). In Lombardia è coltivata almeno dal 1921 e conosciuta in natura almeno dal 1932 (Padula et al., 2008); segnalata per la prima volta da Stucchi (1949b). Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Il poligono del Giappone è inscritto nella lista delle 100 specie esotiche più invasive e più dannose del mondo (lista dell’IUCN, Unione Internazionale per la Conservazione della Natura). I popolamenti densi che forma costituiscono ovunque una minaccia per le flore e le vegetazioni indigene, causando una perdita di biodiversità. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia. Azioni di contenimento: È specie difficile da eliminare, in quanto ogni pianta produce rizomi in un raggio di 7 m e fino a una profondità di 3 m. Bisogna cercare innanzitutto di non diffondere i rizomi: piccoli frammenti possono dare vita a nuovi individui. Tutte le parti della pianta devono essere incenerite, in nessun caso compostate. Secondo quanto riportato sul sito svizzero CPS (http://www.cps-skew.ch/), le strategie per impedire l’espansione dei poligoni comprendono la lotta meccanica (con tagli mensili per almeno 5 anni consecutivi che indeboliscano i rizomi), il pascolo caprino e ovino, la lotta chimica. poligono di Sakhalin Famiglia: Polygonaceae Nome scientifico: Reynoutria sachalinensis (F.Schmidt) Nakai Nome volgare: poligono di Sakhalin, poligono gigante Basionimo: Polygonum sachalinense F.Schimdt Sinonimo: Fallopia sachalinensis (F.Schmidt) Ronse Decr. Polygonum ×vivax J.Schmitz & Strank, nom. inval. Reynoutria ×vivax J.Schmitz & Strank, nom. inval. Tipo biologico: Grhiz Descrizione: Pianta erbacea perenne, rizomatosa, alta fino oltre 4 m, con fusti eretti e ramificati. Foglie alterne con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 6-12 mm, bruna, obliqua all’apice, non fimbriata; lamina da strettamente ovata a ellittico-oblunga, 25-35(-40)×(10-)20-25 cm, profondamente cordata alla base e assottigliata in un apice smussato o brevemente acuto; pagina superiore verde-grigiastro; pagina inferiore verde pallido, con peli pluricellulari flessuosi lunghi fino a 1 mm, soprattutto lungo le nervature; queste ultime spesso arrossate, quelle terziarie e quaternarie ben visibili sulla pagina superiore; picciolo di 1-4 cm, alla base con una fossetta nettarifera sul lato esterno. Infiorescenze panicoliformi, lunghe 3-8 cm, ascellari e terminali; fiori funzionalmente unisessuali (su una stessa pianta possono essere presenti entrambi i tipi di fiori o soltanto quelli femminili); tepali 5, bianco-verdastri, i 3 esterni leggermente alati e accrescenti nel frutto; stami 8, sporgenti dai tepali (nei fiori maschili) o più brevi e ridotti a staminodi (in quelli femminili). Il frutto è un achenio marrone, trigono, lungo 2.8-4.5 mm, liscio e lucido. Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: Asia orientale (Isola di Sakhalin, Giappone, Corea). Habitat: Margini boschivi, incolti. Distribuzione nel territorio: Prealpi occidentali (province di Varese e Como). Como (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa al Giardino botanico di San Pietroburgo in tre volte successive, nel 1855, nel 1861 e nel 1864 (Bailey & Conolly, 2000). In Italia raccolta nel 1897 a Castel di Guido in comune di Roma (presumibilmente coltivata, Padula et al., 2008) e nel 1903 a Gries in comune di Bolzano (in natura, Padula et al., 2008), sicuramente naturalizzata almeno dal 1969 in Toscana (Campolmi & Lanza, 1990). Segnalata per la prima volta in Italia da Abbà (1983), in Lombardia da Padula et al. (2008), dove è presente da prima del 2006. Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura. Status: Naturalizzata. Dannosa: Potenzialmente. Impatto: Sinora in Italia non si è ancora mostrata invasiva; è comunque inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia. Note: Si confonde facilmente con le altre specie del genere Reynoutria, dalle quali si distingue per i caratteri delle foglie mediane del fusto (vedi la nota a Reynoutria bohemica). La segnalazione di Macchi per il varesino (2005) corrisponde a R. bohemica (Padula et al., 2008). Bibliografia: Abbà, 1983; Bailey & Conolly, 2000; Campolmi & Lanza, 1990; Macchi, 2005; Padula et al., 2008 Note: Si confonde facilmente anche con le altre specie del genere Reynoutria, dalle quali si distingue per i caratteri delle foglie mediane del fusto (vedi la nota a R. bohemica). Specie fortemente vigorosa e produttiva, tollera la presenza di metalli pesanti nel suolo e alte concentrazioni atmosferiche di SO2; i suoi tessuti sono straordinariamente ricchi di resveratrolo, una fitoalessina dotata di potente attività antiossidante, antitumorale e cardioprotettiva, contenuta in quantità 400 volte superiori a quelle dell’uva e dei sui derivati. Raramente si coltiva R. compacta (Hook.f.) Nakai (= Polygonum c. Hook.f., = Fallopia japonica (Houtt.) Ronse Decr. var. c. (Hook.f.) J.P.Bailey, = Reynoutria japonica Houtt. var. c. (Hook.f.) Moldenke, = Reynoutria japonica Houtt. var. c. (Hook.f.) Buchheim, comb. superfl.; poligono compatto), più piccola (alta 0.5-1.3 m), con lamine fogliari minori e tondeggianti (5-7×5-7 cm), troncate o leggermente cuneate alla base, fiori femminili rossastri e fiori maschili generalmente biancastri; è stata osservata casuale nel varesino (Padula et al., 2008). Bibliografia: Bailey, 2008; Bailey & Conolly, 2000; Barney et al., , 2006; Beerling et al., 1994; Frattini, 1988; Padula et al., 2008; Stucchi, 1949b; Vaccaneo, 1933 182 183 poligono dell’ Himalaya 184 Famiglia: Polygonaceae Nome scientifico: Rubrivena polystachya (Wall. ex Meisn.) M.Král Nome volgare: poligono dell’Himalaya Basionimo: Polygonum polystachyum Wall. ex Meisn. Sinonimo: Aconogonum polystachyum (Wall. ex Meisn.) Haraldson, comb. superfl. Aconogonum polystachyum (Wall. ex Meisn.) M.Král, comb. superfl. Aconogonum polystachyum (Wall. ex Meisn.) Small Persicaria polystachya (Wall. ex Meisn.) H.Gross, non Opiz, nom. illeg. Persicaria wallichii Greuter & Burdet amaranto bianco Famiglia: Amaranthaceae Nome scientifico: Amaranthus albus L. Nome volgare: amaranto bianco Tipo biologico: Grhiz Descrizione: Erba perenne, rizomatosa, a volte suffruticosa, alta 70-120(-250) cm. Fusto eretto, robusto, ± ramificato, spesso marrone-rossastro. Foglie alterne con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 1-4 cm, bruno-rossastra, membranosa, obliqua all’apice, facilmente lacerabile, non fimbriata; lamina lanceolata, (7.5-)9-22(-27)×2.8-7.8 cm, auricolata o subcordata alla base, ± ondulata e ciliolata al margine; picciolo di 3-20(-35) mm. Infiorescenze panicolate, ampie, lunghe 4-11 cm, terminali e ascellari, fogliose alla base; tepali 5, gli esterni (2) oblunghi, gli interni (3) obovati, bianchi o rosa; stigmi (pianta eterostila) con stili evidenti (0.4-1.6 mm). Il frutto è un achenio trigono, lungo 2.1-2.5 mm, marrone, opaco. Periodo di fioritura: settembre-ottobre. Area d’origine: Himalaya. Habitat: Margini boschivi e radure. Distribuzione nel territorio: Coltivata per ornamento e naturalizzata nel varesino. L’unica stazione lombarda sinora conosciuta è a Ostino (Montegrino Valtravaglia -VA-) a circa 500 m s.l.m. Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Gran Bretagna dal principio del XX secolo (Conolly, 1977). In Italia, coltivata in Piemonte almeno dal 1964 e qui naturalizzata almeno dal 1983; segnalata per la prima volta in Lombardia da Galasso et al. (2006c). Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura. Status: Naturalizzata. Dannosa: Sì. Impatto: Trascurabile. Nel limitrofo Piemonte (sempre nella zona del Verbano), dove è naturalizzata almeno dal 1983, non mostra tendenza ad espandersi. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-100 cm, con fusto da eretto a prostrato, ramosissimo, bianco-gialliccio, glabro, subglabro o viscido-pubescente. Foglie obovate o strettamente spatolate, prevalentemente 0.5-1.5×0.5 cm (le prime lunghe sino a 8 cm), all’apice ottuse e con un breve mucrone subspinescente bianchiccio o giallastro, con margine intero e piano o increspato; picciolo lungo la metà della lamina o maggiore nelle foglie basali. Pianta monoica con fiori unisessuali in glomeruli ascellari verdi, verde-biancastri o giallastri. Fiori femminili con brattee subulate o lineari-lanceolate, spinescenti, lunghe il doppio del perianzio, 2-3 mm; tepali 3, tra loro leggermente diseguali, strettamente ovati o lineari, lunghi 1-1.5 mm, acuti all’apice. Frutto a capsula deiscente (pissidio), ovato-ellittico, 1.5 mm, eguagliante o eccedente i tepali, liscio alla base e rugoso all’apice. Periodo di fioritura: agosto-settembre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Abitati, stazioni calpestate, massicciate ferroviarie, colture estive su suoli aridi. Distribuzione nel territorio: Planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Lombardia almeno dal 1785 (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Scopoli, 1785) e naturalizzata almeno dal 1916 a Milano (Cobau, 1916). Modalità d’introduzione: Acclimatazione sperimentale in orti botanici e successiva diffusione accidentale. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Minimale. Bibliografia: Abbà, 1990; Conolly, 1977; Galasso, 2009; Galasso et al., 2006c Bibliografia: Cobau, 1916; Costea & Tardif, 2003; Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Mosyakin & Robertson, 2003; Scopoli, 1785 185 amaranto blitoide Famiglia: Amaranthaceae Nome scientifico: Amaranthus blitoides S.Watson Nome volgare: amaranto blitoide Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale alta, 20-60(-100) cm, con fusti prostrati o ascendenti, molto ramificati, glabri. Foglie obovate, ellittiche o spatolate, 1-2(-4)×0.5-1(-1.5) cm, all’apice ottuse o arrotondate e con un breve mucrone, con margine intero e piano o, raramente, leggermente ondulato, con evidente nervatura marginale bianchiccia; picciolo lungo la metà della lamina. Pianta monoica con fiori unisessuali in glomeruli ascellari verdi. Fiori femminili con brattee strette, lunghe circa ± come il perianzio o leggermente maggiori, 1.5-5 mm; tepali (3-)4-5, tra loro diseguali o subeguali, da strettamente ovati a largamente lineari, lunghi 1.5-3 mm, acuti o acuminati all’apice. Frutto a capsula deiscente (pissidio), largamente ovato, 1.7-2.5 mm, eguagliante i tepali, prevalentemente liscio (leggermente verrucoso o rugoso nelle piante secche). Periodo di fioritura: agosto-settembre. Area d’origine: Nordamerica centrale e orientale. Habitat: Abitati, stazioni calpestate, greti fluviali. Distribuzione nel territorio: Planiziale. Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, naturalizzata in Italia dalla fine dell’Ottocento: segnalata per la prima volta da Zodda (1954) a Roseto degli Abruzzi (TE), ma già raccolta nel 1889 a Genova (Anzalone, 1956). In Lombardia osservata per la prima volta nel 1979 nel pavese da Soldano (1980a). Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Contenuto. Bibliografia: Anzalone, 1956; Berselli et al., 2002; Bonali, 2000; Bonali et al., 2006a; Costea & Tardif, 2003; Crescini & Tagliaferri, 1994b; Giordana, 1995; Mosyakin & Robertson, 2003; Persico, 1998; Soldano, 1980a; Zodda, 1954 amaranto prostrato Famiglia: Amaranthaceae Nome scientifico: Amaranthus deflexus L. Nome volgare: amaranto prostrato Sinonimo: Albersia deflexa (L.) Fourr. Albersia prostrata Kunth Euxolus deflexus (L.) Raf. Glomeraria deflexa (L.) Cav. Tipo biologico: Hscap, Tscap Descrizione: Pianta erbacea pluriennale o annuale, generalmente alta 20-50 cm, con fusto ascendente o prostrato, ramosissimo, pubescente nella parte superiore, glabrescente a maturità. Foglie ovato-rombiche, ovate o lanceolate, 1-2×0.51 cm, all’apice subacute, ottuse, retuse o leggermente smarginate, mucrunolate, con margine intero e piano o leggermente ondulato; picciolo lungo la metà della lamina o quanto essa. Pianta monoica con fiori unisessuali disposti in infiorescenze piramidali terminali ai rami o anche in glomeruli ascellari, verdi, verde-argento o rossastri. Fiori femminili con brattee lineari, lunghe la metà del perianzio, 0.5-1 mm; tepali 2-3, tra loro uguali o subeguali, strettamente ellittici od oblanceolati, lunghi 1.2-2 mm, largamente acuti all’apice. Frutto a otricello indeiscente, con 2(-3) linee verdi evidenti che, passando per l’apice, lo dividono in due metà o in più spicchi, ellissoidale, 2-3 mm, distintamente più lungo dei tepali, liscio (ondulato o rugoso nelle piante secche). Periodo di fioritura: agosto-settembre. Area d’origine: Sudamerica. Habitat: Lungo i muri, i marciapiedi, le massicciate ferroviarie, negli orti ecc. Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutto il territorio. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombardia da Cesati (1838); Soldano (1994) riporta dati inediti di Cesati del 1830-1840, anni nei quali era già naturalizzata. Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Invasiva. Dannosa: No, in quanto competitiva soltanto nelle cenosi erbacee a elevato degrado antropico. Impatto: Irrilevante. Bibliografia: Cesati, 1838; Costea & Tardif, 2003; Mosyakin & Robertson, 2003; Soldano, 1994 186 187 amaranto dei campi Famiglia: Amaranthaceae Nome scientifico: Amaranthus hybridus L. Nome volgare: amaranto dei campi Sinonimo: Amaranthus chlorostachys Willd. Amaranthus cruentus auct., non L. Amaranthus patulus Bertol. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale alta, 30-200(-250) cm, con fusto eretto, verde o raramente rosso-porpora, semplice o ramoso, glabro o subglabro, a volte in alto leggermente pubescente da giovane. Foglie ovate, ovato-rombiche o lanceolate, (2-)4-15×(1-)2-6 cm, all’apice acute od ottuse, mucronate, con margine intero; picciolo lungo la metà della lamina o quanto essa. Pianta monoica con fiori unisessuali disposti in infiorescenze terminali ai rami e ascellari, verdi, a volte con sfumature argentee o porporine, generalmente lasse e con rami divaricati e flessuosi. Fiori femminili con brattee da lanceolato-lineari a subulate, lunghe 1.2-2 volte il perianzio, 2.5-4(-6) mm, spinescenti all’apice; tepali 5, tra loro subeguali o diseguali, lanceolati o lanceolato-lineari, lunghi 1.5-3 mm, acuti o acuminati all’apice, gradualmente ristretti in una punta aristata. Frutto a capsula deiscente (pissidio), obovato od ovato-allungato, 1.5-2.5 mm, più breve dei tepali, liscio alla base e verrucoso o rugoso nell’opercolo. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Nordamerica orientale, Mesoamerica. Habitat: Ruderi, incolti, greti fluviali e infestante le colture. Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutto il territorio. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (NAT), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Italia in periodo imprecisabile, a causa della confusione con le specie simili. Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Minaccia la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce; inoltre è una temibile infestante delle colture estive. Azioni di contenimento: Diserbo nei coltivi. Note: Il gruppo di Amaranthus hybridus comprende diverse specie spontanee molto simili tra loro, dalle quali sono derivate diverse entità coltivate per la granella o come ornamentali. Oltre ad A. retroflexus, le entità spontanee sono A. hybridus, A. powellii (incl. A. bouchonii) e A. quitensis Kunth (assente in Italia), mentre quelle domesticate (tutte con brattee brevi) sono A. caudatus, A. cruentus e A. hypochondriacus, i cui rapporti filogenetici sono stati messi in luce da Xu & Sun (2001). Le segnalazioni relative alle specie cultigene sono in genere da riferirsi esclusivamente ad avventiziati effimeri, se non (in particolare per A. cruentus) a errori di determinazione (Costea et al., 2001; Mosyakin & Robertson, 2003) e/o di applicazione dei nomi. In particolare si ricorda che all’interno di A. hybridus vi è una variabilità continua, priva di valore sistematico, tra forme con brattee lunghe il doppio dei tepali e infiorescenze dense e ramificate (A. hybridus s.s.) e altre con brattee lunghe 1-1.5 volte i tepali e infiorescenze più lasse e meno ramificate (chiamate A patulus); al contrario, il vero A. cruentus è caratterizzato da un’infiorescenza molto densa e riccamente ramificata, spesso vivacemente colorata, da brattee strettamente spatolate, lunghe 2-3 mm, cioè quanto il perianzio o poco più, e da semi generalmente chiari (scuri in A. hybridus). Per la determinazione delle specie è utile la chiave della flora del Nordamerica (Mosyakin & Robertson, 2003). amaranto di Powell Famiglia: Amaranthaceae Nome scientifico: Amaranthus powellii S.Watson Nome volgare: amaranto di Powell Sinonimo: Amaranthus bouchonii Thell. Amaranthus chlorostachys auct., non Willd. Amarantus chlorostachys Willd. var. powellii (S.Watson) Priszter Amaranthus hybridus auct., non L. Amaranthus hypochondriacus auct., non L. Amarantus hybridus L. subsp. bouchonii (Thell.) O.Bolòs & Vigo Amarantus hybridus L. subsp. powellii (S.Watson) Karlsson Amarantus hybridus L. var. bouchonii (Thell.) Lambinon Amarantus hypochondriacus L. var. powellii (S.Watson) Pedersen Amarantus powellii S.Watson subsp. bouchonii (Thell.) Costea & Carretero Amarantus retroflexus L. var. powellii (S.Watson) B.Boivin Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 30-150(-200) cm, con fusto eretto, verde o raramente rosso-porpora, quasi semplice o ramoso, soprattutto in alto, da glabro a moderatamente pubescente verso l’apice, glabrescente a maturità. Foglie ovato-rombiche o largamente lanceolate, 4-8×2-3 cm, occasionalmente maggiori in piante robuste, all’apice cuneate, ottuse o subsmarginate, mucronate, con margine intero; picciolo generalmente lungo quanto la lamina o maggiore. Pianta monoica con fiori unisessuali disposti in infiorescenze terminali ai rami (prevalentemente) e ascellari, verdi o verde-argento, a volte con sfumature rossastre, generalmente dense e con rami eretti e rigidi. Fiori femminili con brattee da lanceolato a subulato-lineari, lunghe 2-3(-4) volte il perianzio, 4.5-6(-8) mm, rigide; tepali 3-5, tra loro diseguali, gli esterni strettamente ovato-ellittici o ellittici, lunghi 1.5-3.5 mm, aristati. Il frutto è un pissidio a deiscenza ritardata (A. powellii s.s.) o un otricello indeiscente (nelle forme chiamate A. bouchonii), subgloboso od ovato-compresso, 2-3 mm, eguagliante i tepali o più breve, liscio o leggermente verrucoso o rugoso nell’opercolo. Periodo di fioritura: giugno-ottobre. Area d’origine: Nordamerica sudoccidentale e limitrofo Messico. Habitat: Ruderi, macerie, greti fluviali e infestante le colture. Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutto il territorio. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (NAT), Pavia (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, osservata per la prima volta in Lombardia nel 1979 nel pavese da Soldano (1980a). Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Minaccia la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce; inoltre è una temibile infestante delle colture estive. Azioni di contenimento: Diserbo nei coltivi. Note: Le popolazioni attribuite al taxon A. bouchonii sarebbero il semplice risultato di una mutazione monoallelica (pissidiootricello) di A. powellii, per altro priva di valore sistematico (cfr. Carretero, 1990; Wilkin, 1992; Aellen & Akeroyd, 1993; Mosyakin & Robertson, 2003). Si veda inoltre la nota ad A. hybridus. Bibliografia: Aellen & Akeroyd, 1993; Aeschimann et al., 2004; Bonali, 2000; Bonali et al., 2006a; Carretero, 1990; Costea et al., 2001; Costea & Tardif, 2003; Giordana, 1995; Mosyakin & Robertson, 2003; Soldano, 1980a; Wilkin, 1992; Zanotti, 1990 Bibliografia: Costea et al., 2001; Costea & Tardif, 2003; Mosyakin & Robertson, 2003; Xu & Sun, 2001 188 189 amaranto comune Famiglia: Amaranthaceae Nome scientifico: Amaranthus retroflexus L. Nome volgare: amaranto comune, amaranto ripiegato Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 20-150(-200) cm, con fusto eretto, rossastro alla base, semplice o ramoso superiormente, da densamente a moderatamente pubescente. Foglie ovate od ovato-rombiche, 2-15×1-7 cm, all’apice acute, ottuse o subsmarginate, mucronate, con margine intero, piano o leggermente ondulato; picciolo lungo la metà della lamina o quanto essa. Pianta monoica con fiori unisessuali disposti in infiorescenze terminali ai rami e ascellari, verdi o verdeargento, a volte con sfumature rossastre o giallastre, erette o riflesse, generalmente brevi e dense. Fiori femminili con brattee da lanceolate a subulate, maggiori del perianzio, (2.5-)3.5-5(-6) mm, acuminate all’apice e con nervo mediano sporgente; tepali 5, tra loro subeguali o diseguali, spatolato-obovati o lanceolato-spatolati, lunghi (2-)2.5-3.5(-4) mm, smarginati od ottusi all’apice, mucronati. Frutto a capsula deiscente (pissidio), largamente obovato o largamente ellittico, 1.5-2.5 mm, più breve dei tepali o subeguale, liscio o leggermente rugoso. Periodo di fioritura: giugno-ottobre. Area d’origine: Nordamerica orientale e centrale. Habitat: Ruderi e macerie, infestante le colture estive, greti fluviali. Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutto il territorio. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia dal 1532 per un campione dell’Erbario Cibo conservato a Roma; si tratta della prima segnalazione di una specie neofita diffusasi spontaneamente in Italia (Celesti-Grapow et al., 2009b). La prima segnalazione per la Lombardia è probabilmente quella di Nocca & Balbis (1821). Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Minaccia la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce; inoltre è una temibile infestante delle colture estive. Azioni di contenimento: Diserbo nei coltivi. amaranto tubercolato Famiglia: Amaranthaceae Nome scientifico: Amaranthus tuberculatus (Moq.) J.D.Sauer Nome volgare: amaranto tubercolato Basionimo: Acnida tuberculata Moq. Sinonimo: Amaranthus rudis J.D.Sauer Amaranthus tamariscunus auct., non Nutt. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta (10-)100-200(-300) cm, con fusto eretto, verde o rossastro, ramificato. raramente semplice. Foglie ovate od obovate, oblunghe o ellittiche fino a strettamente lanceolate verso l’apice, 1.5-15×0.5-3 cm, all’apice ottuse, arrotondate o acute, con margine intero e piano; picciolo lungo da un quarto a metà della lamina. Pianta dioica con fiori unisessuali disposti in infiorescenze terminali ai rami, spiciformi-lineari o panicoliformi, raramente interrotte o globose. Fiori femminili con brattee lunghe 1-2 mm; tepali assenti (A. tuberculatus s.s.) o 1-2 (nelle forme chiamate A. rudis), spesso rudimentali, lunghi 1-3 mm. Fiori maschili con brattee lunghe 1-2 mm; tepali 5, tra loro eguali o diseguali, gli interni con nervo mediano prominente o non prominente, a volte formante una spina rigida, lunghi 2-3 mm, ottusi, acuti, acuminati o leggermente mucrunolati all’apice. Frutto a otricello indeiscente (A. tuberculatus s.s.) o a pissidio deiscente (nelle forme chiamate A. rudis), obovato o subgloboso, da marrone scuro a marrone rossastro, 1.5-2 mm, quasi liscio o irregolarmente rugoso. Periodo di fioritura: settembre-ottobre. Area d’origine: Nordamerica centrale. Habitat: Greti fluviali, infestante le colture. Distribuzione nel territorio: Planiziale, soprattutto lungo il Po. Brescia (INV), Cremona (INV), Lodi (INV), Mantova (INV), Pavia (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia nel pavese da Soldano (1982), che l’ha osservata almeno dal 1975. Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Minaccia la biodiversità delle comunità in cui si stabilisce, con coperture pari al 100% lungo il greto del Po. L’abbondantissimo polline prodotto in fioritura potrebbe essere allergenico. Azioni di contenimento: Eventuale diserbo nei coltivi. Note: Si veda la nota ad A. hybridus. Bibliografia: Costea et al., 2001; Costea & Tardif, 2003; Celesti-Grapow et al., 2009b; Mosyakin & Robertson, 2003; Nocca & Balbis, 1821 Note: Amaranthus rudis (= A. tamariscinus auct.) è stato distinto da A. tuberculatus per la presenza di almeno un segmento perianziale nei fiori femminili e per i frutti deiscenti. Un recente lavoro di Pratt & Clark (2001) mostra come questi caratteri non siano costanti e riduce in sinonimia le due specie, analogamente alla successiva trattazione della Flora del Nord America (Mosyakin & Robertson, 2003). Probabilmente si tratta del semplice risultato di una mutazione monoallelica o pauciallelica (pissidio ›› otricello; 0 tepali ›› 1-2 tepali), analoga a quella avvenuta in A. powellii (vedi nota). Si ricorda inoltre che il nome A. tamariscinus, sebbene prioritario, non può essere utilizzato poiché il suo tipo non corrisponde a questa specie, bensì a un ibrido sterile, probabilmente tra A. tuberculatus e un’altra specie non identificata (Sauer, 1972; Pratt & Clark, 2001). Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Mosyakin & Robertson, 2003; Pratt & Clark, 2001; Sauer, 1972; Soldano, 1982; Zanotti, 1990 190 191 amaranto verde 192 Famiglia: Amaranthaceae Nome scientifico: Amaranthus viridis L. Nome volgare: amaranto verde Sinonimo: Albersia caudata (Jacq.) Boiss. Amaranthus gracilis Desf. ex Poir. Chenopodium caudatum Jacq. Euxolus caudatus (Jacq.) Moq. Euxolus viridis (L.) Moq. Glomeraria viridis (L.) Cav. Pyxidium viride (L.) Moq. erba-cimice di Marshall Famiglia: Chenopodiaceae Nome scientifico: Corispermum marschallii Steven Nome volgare: erba-cimice di Marshall Sinonimo: Corispermum volgicum Klokov Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale (pluriennale nelle aree tropicali e subtropicali), generalmente alta 20-100 cm, con fusto eretto, semplice o ramificato, glabro. Foglie ovato-rombiche od ovate, 1-7×0.5-5 cm, all’apice ottuse, arrotondate o smarginate, mucronate, con margine intero e piano; picciolo lungo da metà della lamina sino a una volta e mezzo. Pianta monoica con fiori unisessuali disposti in infiorescenze panicolate terminali ai rami, composte da spighe sottili, verdi. Fiori femminili con brattee ovate o lanceolate, più brevi del perianzio, 1 mm; tepali 3, tra loro subeguali, strettamente ellittici, obovato-ellittici o spatolati, lunghi 1.2-1.7 mm, arrotondati o subacuti all’apice, a volte mucronati. Frutto a otricello indeiscente, ovato od ovatocompresso, 1-1.6 mm, lungo quanto i tepali o poco maggiore, ± rugoso. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Sudamerica. Habitat: Aree urbane e ruderali. Distribuzione nel territorio: Planiziale occidentale. Bergamo (CAS), Cremona (NAT), Milano (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombardia da Banfi & Galasso (1998) per la città di Milano. Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 30-40 cm, densamente pubescente, poi glabra; fusto eretto, con rami lunghi alla base. Foglie strettamente lanceolate o lineari, lunghe 2-3 cm. Spighe fogliose alla base, di norma brevi e dense, talora allungate e interrotte in gruppetti densi di fiori; fiori isolati all’ascella delle brattee; segmenti del perianzio 0-2; stami 1-5; ovario supero con 2 stigmi. Frutto ad achenio fortemente compresso, ovato-subrotondo, di 4-5×3-4 mm, più largo ma più breve della corrispondente brattea, dotato di un’ala marginale larga 1/3-1/2 dell’achenio stesso, membranosa, eroso-smarginata, cordata alla base. Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: Regione pontica (Mar Nero settentrionale). Habitat: Greti fluviali sabbiosi. Distribuzione nel territorio: In pianura, soprattutto lungo il Po. Brescia (CAS), Cremona (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata in Italia dal principio del XIX secolo; per la Lombardia riportata da Bertoloni (1833) in base a campioni provenienti dal corso del Po nelle province di Pavia e Mantova. Modalità d’introduzione: Accidentale, attraverso gli spostamenti umani del passato. Status: Naturalizzata. Dannosa: Sì. Impatto: Compromette, peggiorandola, la biodiversità delle cenosi di greto, a danno della componente autoctona. Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Costea & Tardif, 2003; Mosyakin & Robertson, 2003 Bibliografia: Bertoloni, 1833 193 cicloloma comune Famiglia: Chenopodiaceae Nome scientifico: Cycloloma atriplicifolium (Spreng.) J.M.Coult. Nome volgare: cicloloma comune, spinacetto americano Basionimo: Salsola atriplicifolia Spreng. Sinonimo: Chenopodium atriplicifolium (Spreng.) A.Ludw. ex Asch. & Graebn. Cycloloma platyphyllum (Michx.) Moq. Kochia atriplicifolia (Spreng.) Roth Salsola platyphylla Michx. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale con habitus emisferico, alta fino a 80 cm; fusto eretto o ascendente, pubescente e abbondantemente ramoso. Foglie alterne, lanceolate, lunghe 3-6 cm, sinuato-dentate, caduche alla maturazione dei frutti. Pannocchia sparsamente fogliosa; stami 5; ovario supero a 2 stigmi; perianzio fruttifero con diametro di 2 mm, a 5 lobi segnati esternamente da un’ala trasversale che circonda interamente il frutto ed è larga 0.5 mm. Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Greti fluviali sabbiosi. Distribuzione nel territorio: In pianura, soprattutto lungo il Po. Brescia (CAS), Cremona (INV), Lodi (NAT), Milano (CAS), Mantova (INV), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia da Cesati et al. (1874) lungo il Po, senza precisazione di località e Regione; Cavara (1894) la definisce comune nel pavese. Modalità d’introduzione: Accidentale, per contaminazione di semi. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Condiziona, peggiorandola, la biodiversità della vegetazione di greto a danno della componente autoctona. Azioni di contenimento: Le uniche azioni proponibili rientrano nel quadro di un recupero generale degli ambienti umidi. Bibliografia: Cavara, 1894; Cesati et al., 1874 farinello aromatico Famiglia: Chenopodiaceae Nome scientifico: Dysphania ambrosioides (L.) Mosyakin & Clemants Nome volgare: farinello aromatico Basionimo: Chenopodium ambrosioides L. Sinonimo: Ambrina ambrosioides (L.) Spach Atriplex ambrosioides (L.) Crantz / Blitum ambrosioides (L.) Beck Botrys ambrosioides (L.) Nieuwl. Chenopodium album L. subsp. ambrosioides (L.) H.J.Coste & A.Reyn. Chenopodium ambrosioides L. fo. suffruticosum (Willd.) Aellen Chenopodium ambrosioides L. subsp. suffruticosum (Willd.) Thell. Chenopodium ambrosioides L. var. suffruticosum (Willd.) Aellen, comb. superfl. Chenopodium ambrosioides L. var. suffruticosum (Willd.) Graebn. Chenopodium ambrosioides L. var. suffruticosum (Willd.) P.Fourn., comb. superfl. Chenopodium integrifolium Voroc.Chenopodium suffruticosum Willd. Orthosporum ambrosioides (L.) Kostel. Teloxys ambrosioides (L.) W.A.Weber Vulvaria ambrosioides (L.) Bubani Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale (perennante solo in area mediterranea), alta 30-80 cm, dall’odore aromatico gradevole e marcato, con fusti eretti, molto ramificati, visibilmente striati, spesso arrossati, cosparsi di brevi setole e peli ghiandolari sessili. Foglie lanceolate, di 2-8(-12)×0.5-4(-5.5) cm, le maggiori spesso dentate, molto raramente laciniate, di norma verde chiaro. Infiorescenza a pannocchia fogliosa, costituita di cime sessili disposte lungo le ramificazioni terminali, accompagnate da brattee lanceolato-lineari. Perianzio monoclamide di 5 segmenti verdastri, saldati al massimo fino a metà lunghezza; stami 5 ad antere gialle; ovario supero con 2-5 stigmi. Il frutto è un achenio globoso involucrato dal perianzio, del diametro di 0.5-0.8 mm; semi prevalentemente orizzontali. Periodo di fioritura: agosto-ottobre. Area d’origine: America tropicale. Habitat: Siti ruderali, su substrati ricchi di calcare (nelle regioni costiere alofila facoltativa), greti. Distribuzione nel territorio: Pressoché in tutta la regione, soprattutto in pianura e nei fondovalle. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, giunta accidentalmente in Europa nel 1619 e naturalizzata dalla fine del Seicento in quasi tutta Italia; in Lombardia coltivata almeno dal 1785 (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Scopoli, 1785) e naturalizzata almeno dal 1816 (Nocca & Balbis, 1816). Modalità d’introduzione: Accidentale, in seguito coltivata per uso farmaceutico (proprietà antielmintiche). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Specie molto variabile all’interno della quale sono state riconosciute diverse entità; tuttavia Clemants & Mosyakin (2003) non ne riconoscono l’autonomia. Tutte le specie del genere Dysphania R.Br., recentemente separato da Chenopodium L. su base filogenetica, sono accomunate da sinapomorfie includenti alcuni metaboliti secondari, gli stessi presenti anche in diverse specie di Artemisia (Asteraceae) come puro fatto di parallelismo evolutivo (omoplasia); sono tali sostanze a esercitare l’azione vermifuga nota in medicina e al contempo a contribuire alla caratteristica aromaticità di queste piante. Bibliografia: Clemants & Mosyakin, 2003; Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Nocca & Balbis, 1816; Scopoli, 1785 194 195 farinello minore Famiglia: Chenopodiaceae Nome scientifico: Dysphania pumilio (R.Br.) Mosyakin & Clemants Nome volgare: farinello minore Basionimo: Chenopodium pumilio R.Br. Sinonimo: Ambrina pumilio (R.Br.) Moq. Blitum glandulosum Moq. Blitum pumilio (R.Br.) C.A.Mey. Teloxys pumilio (R.Br.) W.A.Weber Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta al massimo fino a 40 cm, ad habitus in prevalenza prostrato, con odore simile a quello di D. ambrosioides (vedi scheda). Fusti molto ramosi, ricoperti di peli pluricellulari bianchi e peli ghiandolari sessili. Foglie lanceolate, di 0.5-2.7×0.3-1.5 cm, sinuate, con 3-4 lobi per lato, verde chiaro. Infiorescenza a pannocchia, costituita di glomeruli sessili, ascellari, portati da ramificazioni terminali. Perianzio monoclamide di 5 segmenti verdastri, liberi fin quasi alla base, arrotondati dorsalmente; stami 5 ad antere gialle; ovario supero con 2-5 stimmi. Il frutto è un achenio globoso scarsamente involucrato dal perianzio, bruno rossastro, lucido, del diametro di 0.5-0.8 mm; semi verticali. Periodo di fioritura: agosto-ottobre. Area d’origine: Australia. Habitat: Siti ruderali, marciapiedi. Distribuzione nel territorio: Sporadica in pianura (province di Milano, Lecco, Bergamo e Brescia). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Lecco (NAT), Milano (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombardia da Banfi et al. (2009), ma già presente a Milano almeno dal 1994 e inizialmente scambiata con D. botrys (Banfi & Galasso, 1998). Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: In Lombardia è presente un’altra specie esotica del genere Dysphania, D. multifida (L.) Mosyakin & Clemants (= Chenopodium m. L.; farinello multifido), sudamericana, che si distingue per i segmenti del perianzio saldati fin quasi all’apice e avvolgenti quasi completamente il frutto e per le foglie da profondamente pennatifide a pennatosette. È stata osservata casuale quà e là nelle province di Pavia (Pollini, 1824), Bergamo e Brescia. L’autoctona D. botrys (L.) Mosyakin & Clemants, inizialmente confusa con questa specie, si riconosce per le foglie più grandi (1.3-4×0.6-2.7 cm), lirato-sinuate o pennatifide (raramente le superiori intere) e i semi prevalentemente orizzontali. cremesina Famiglia: Phytolaccaceae Nome scientifico: Phytolacca americana L. Nome volgare: cremesina, uva turca, uva dei merli Sinonimo: Phytolacca decandra L. Phytolacca vulgaris Bubani, nom. illeg. Phytolacca vulgaris Crantz Tipo biologico: Hscap Descrizione: Robusta erba perenne, alta 1-3 m, completamente glabra, con radice verticale ingrossato-carnosa e fusto eretto, piuttosto succulento, verso l’alto diviso in rami largamente divaricati o subpatenti, spesso di colore rosso-violaceo. Foglie alterne, semplici, con picciolo di 1-2 cm e lamina da ovato-lanceolata a oblungo-lanceolata, di 10×3-5 cm. Racemi fioriferi ascellari, eretti o patenti alla fioritura, penduli nel frutto, lunghi 10-15(-20) cm; perianzio costituito dal solo calice di 5 sepali largamente ovati, lunghi 2.5 mm, bianco-verdognoli in fioritura, quindi arrossati; stami 10-20; ovario supero con 10 carpelli disposti a “spicchi”. Bacca subglobosa, depressa all’apice, nero-lucida, con mesocarpo sugoso, rosso-violaceo scuro, tingente e numerosi piccoli semi neri, lenticolari, lucidi. Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Orti, incolti, ruderati, margini boschivi, boscaglie luminose ecc. Distribuzione nel territorio: Ovunque, in ambito prevalentemente planiziale. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia sin dal Seicento. In Lombardia segnalata da Nocca & Balbis (1816) nel pavese, ma naturalizzata già nel 1763 nel milanese (Provasi, 1924). Modalità d’introduzione: Deliberata, per l’interesse orticolo del soggetto e per le bacche usate come tintorio e succedaneo dell’inchiostro. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Diffusa soprattutto ai margini e nelle chiarìe boschive, ne compromette pesantemente la biodiversità, abbassando la qualità del paesaggio. Note: Questa specie è stata immortalata da Alessandro Manzoni nei “Promessi Sposi” (capitolo 33), quando Renzo, di ritorno dal lungo soggiorno milanese, ritrova la sua vigna in stato di totale abbandono e fra le erbacce che dominano la scena spicca, appunto, l’uva turca, descritta alla stregua di una scheda botanica. Dal punto di vista tossicologico, l’uva turca è spesso causa di avvelenamento per incauti “asparagari” che, allettati dalla radice napiforme, carnosa, candida al taglio, la raccolgono e la consumano con serie conseguenze gastrointestinali. Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Banfi et al., 2009; Pollini, 1824; Zanotti, 2010 Bibliografia: Nocca & Balbis, 1816; Provasi, 1924 196 197 bella di notte comune Famiglia: Nyctaginaceae Nome scientifico: Mirabilis jalapa L. Nome volgare: bella di notte comune Sinonimo: Nyctago jalapa (L.) DC. bella di notte minore Famiglia: Nyctaginaceae Nome scientifico: Mirabilis nyctaginea (Michx.) MacMill. Nome volgare: bella di notte minore, allionia comune Basionimo: Allionia nyctaginea Michx. Sinonimo: Calymenia nyctaginea (Michx.) Nutt. Oxybaphus nyctagineus (Michx.) Sweet Tipo biologico: Gbulb Descrizione: Pianta erbacea perenne un po’ carnosa, con radice ingrossato-bulbosa, alta 40-100 cm; fusto ascendente, ramosissimo e ingrossato ai nodi, glabro o scarsamente pubescente. Foglie opposte con picciolo di 1-2 cm e lamina ovatolanceolata, intera, di 6-10×3-4 cm, acuminata all’apice, troncata o cordata alla base. Fiori in cime terminali raccorciate, a pollinazione notturna (apertura serale), più o meno profumati; involucro di 5 brattee sepaloidi; perianzio monoclamide, imbutiforme, con tubo di 25-35 mm e lembo del diametro di 25 mm, viola, rosso, giallo, bianco o maculato. Frutto, un antocarpo (pericarpio rivestito dal tubo perianziale) involucrato dal falso calice accresciuto, globoso o ellissoidale, con parete sottile, coriacea, bruno-nerastra a maturità, segnata da deboli coste longitudinali e rugosità, con 1 seme all’interno. Periodo di fioritura: maggio-ottobre. Area d’origine: Sudamerica (Perù). Habitat: Muri, margini dei sentieri, presso i giardini, greti. Distribuzione nel territorio: In tutta la regione, planiziale; in molti luoghi soltanto casuale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (CAS), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (CAS), Milano (CAS), Mantova (CAS), Pavia (CAS), Sondrio (CAS), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia sin dal Cinquecento; in Lombardia coltivata almeno dal 1785 (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789) e ritrovata in natura almeno dal 1923 (Cozzi, 1923). Modalità d’introduzione: Deliberata, per uso floricolo. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Tipo biologico: Gbulb Descrizione: Pianta erbacea perenne, glabra, con radice napiforme ingrossata, alta 20-60 cm e fusto eretto con abbondanti ramificazioni dicotome. Foglie opposte, ovato-cuoriformi, di 5-10×4-8 cm, acute, di un verde glaucescente, intere al margine. Infiorescenze costituite da cime pauciflore, ascellari e terminali; fiori circondati a gruppi di 3-5 da un involucro largamente conico, 5-lobato, membranoso, percorso da venature, largo fino a 2 cm nel frutto. Perianzio monoclamide, imbutiforme, di dimensioni fino a 12×8 mm, con tubo basale racchiudente l’ovario e lembo di 5 lobi rosei o violetti, bilobati all’apice; stami 3-5, sporgenti, con filamento rosso-violaceo tendente a ripiegarsi a U; ovario supero, uniovulato. Il frutto è un antocarpo (pericarpio ricoperto dalla parete del tubo perianziale) monospermo, finemente tomentoso, con costolature longitudinali. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Ruderi, macerie, bordi di strade urbane e campestri, ferrovie. Distribuzione nel territorio: Planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata nell’Orto Botanico di Padova nel 1831; in Lombardia osservata a Pavia nel 1882 da Bozzi (1888) e, prima ancora, da Maestri (1883, sub Oxybaphus glabrifolius). Modalità d’introduzione: Deliberata (interesse ornamentale); le popolazioni lombarde derivano probabimente dalla dispersione casuale delle piante coltivate nell’orto agrario di Pavia, dove era stata introdotta volonraiamente o accidentalmente (Bozzi, 1888). Status: Naturalizzata. Dannosa: Sì. Impatto: Limitato ai margini stradali, dove compromette la biodiversità delle cenosi erbacee. Note: È una specie largamente naturalizzata lungo le coste mediterranee, che non tende a diffondersi all’interno, sebbene qua e là possa insediare qualche piccolo popolamento naturalizzato, per esempio in Lombardia nell’area benacense o in provincia di Varese. Note: I fiori prodotti nella prima parte della stagione presentano sviluppo normale, con elementi vessillari (perianzio e filamenti staminali) al massimo della loro visibilità, poi i fiori successivi si fanno via via più piccoli e meno appariscenti. Tutti i tipi di fiore sono autoimpollinanti grazie al ripiegamento degli stami sullo stilo, ma i primi, nella fase iniziale della loro apertura, possono venire impollinati da piccoli insetti. La pianta in questo modo produce semi di due tipi genetici: clonali per autoimpollinazione e ricombinanti grazie alla parziale esoimpollinazione garantita dai fiori primaverili, salvaguardando così una piccola quota di diversità genetica, indispensabile -non si sa mai- per le generazioni del futuro. Bibliografia: Cozzi, 1923; Giacomini, 1950; Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789 Bibliografia: Bozzi, 1888; Maestri, 1883; Viola, 1952 198 199 mollugine verticillata Famiglia: Molluginaceae Nome scientifico: Mollugo verticillata L. Nome volgare: mollugine verticillata Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 5-15 cm, con fusto prostrato o ascendente, ramificato e glabro. Foglie a 3-5, psudoverticillate, con lamina obovato-lanceolata o spatolata, larghe 3-10 mm. Fiori piccoli, pedicellati, in fascetti ascellari; segmenti del perianzio acuti, con margini scariosi; stami 5; stigmi 3, ovario supero. Frutto a capsula trivalve, con semi privi di strofiolo. Periodo di fioritura: giugno-luglio. Area d’origine: America tropicale. Habitat: Selciati, marciapiedi, greti. Distribuzione nel territorio: Planiziale. Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata fin dal 1772 nell’Orto Botanico di Torino e dal 1793 in quello di Pavia. In Lombardia segnalata come naturalizzata nei dintorni di Pavia da Chiovenda (1897) e Traverso (1897). Modalità d’introduzione: Deliberata (orti botanici). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: La sua diffusione pregiudica la biodiversità dei siti di greto in cui si insedia. Bibliografia: Chiovenda, 1897; Traverso, 1897 fico d’India di Engelmann Famiglia: Cactaceae Nome scientifico: Opuntia engelmannii Salm-Dyck ex Engelm. Nome volgare: fico d’India di Engelmann Sinonimo: Cactus dillenii auct., non Ker Gawl. Cactus tuna auct. non L. Opuntia dillenii auct., non (Ker Gawl.) Haw. Opuntia jamaicensis auct., non Britton & Harris Opuntia tuna auct. non (L.) Mill. Tipo biologico: nPsucc Descrizione: Pianta arbustiva alta fino a 60 cm, molto ramosa. Gli articoli sono verde glauco, obovati, attenuati alla base, di 10-30×8-22 cm, con areole larghe, interdistanziate di circa 2.5 cm; glochidi giallastri, lunghi fino a 2 cm nella parte apicale del cladodio; spine giallo chiaro, con base sfumata di rosso da giovani, subulate, in gruppi da 1 a 5, mediamente 2, lunghe 1-4 cm. Fiori solitari, larghi circa 7 cm, con perianzio formato da numerosi segmenti gialli, gli esterni abassialmente verdastri, imbricati, gli interni sfumati di verde alla fauce; stami numerosi; ovario infero con stilo allungato e stigma di colore verde, a lobi radianti. Il frutto è un acrosarco (bacca la cui buccia esterna deriva dalla fusione della parete ovarica con quella dell’ipanzio) di forma obovoide, lungo 3.5-4.5 cm, viola scuro e sublucido a maturità; semi numerosi, discoidali, nerastri. Periodo di fioritura: maggio-giugno. Area d’origine: Nordamerica sudoccidentale e Mesoamerica settentrionale. Habitat: Alte rupi, pendii e prati aridi con affioramento calcareo o siliceo, muretti in pietra. Distribuzione nel territorio: Comasco e Bresciano: Val Camonica e laghi prealpini centro-orientali (100-500 m s.l.m.). Brescia (NAT), Como (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata in Lombardia per la prima volta da Arietti (1965), ma già presente nel bresciano da oltre quarant’anni (Crescini, 1968). Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura, sperimentazione agraria in campo fruttifero). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Paesaggistico, di portata locale. Azioni di contenimento: Non necessarie, perché la specie è ininfluente sulla biodiversità della vegetazione ospitante. Note: In Guiggi (2008) e Banfi et al. (2009) la specie era stata erroneamente segnalata come O. jamaicensis (Guiggi, 2010); in precedenza come O. dillenii (Arietti, 1965; Crescini, 1968; Bazzoli, 1999) oppure O. tuna (Guarino & Sgorbati, 2004; Banfi & Galasso, 2005; Guiggi, 2005). Tra le entità del medesimo genere naturalizzate in Italia, questa e O. humifusa (vedi scheda) sono le sole ad aver dimostrato la loro piena adattabilità al clima lombardo. In Lombardia si incontrano, casuali, altre sei specie del genere Opuntia (L.) Mill.: O. chlorotica Engelm. & J.M.Bigelow (fico d’India giallastro), O. ficusindica (L.) Mill. (= Cactus f.-i. L.; fico d’India), O. microdasys (Lehm.) Pfeiff. (= Cactus m. Lehm.; orecchie di topolino), O. monacantha Haw. (fico d’India sudamericano), O. scheeri F.A.C.Weber (fico d’India di Scheer) e O. stricta (Haw.) Haw. (= Cactus Haw.; fico d’India minore). Bibliografia: Arietti, 1965; Banfi & Galasso, 2005; Banfi et al., 2009; Bazzoli, 1999; Crescini, 1968; Guarino & Sgorbati, 2004; Guiggi A., 2005, 2008, 2010 200 201 fico d’India nano Famiglia: Cactaceae Nome scientifico: Opuntia humifusa (Raf.) Raf. Nome volgare: fico d’India nano Basionimo: Cactus humifusus Raf. Sinonimo: Cactus compressus auct., non Salisb. Opuntia compressa auct., non J.F.Macbr. Opuntia vulgaris auct., non Mill. Opuntia vulgaris Mill. subsp. rafinesquii P.Fourn. Tipo biologico: Chsucc Descrizione: Arbusto nano articolato, prostrato e ricadente, alto meno di 30 cm, con radici spesso ingrossate. Gli articoli sono appiattiti, verdi, arrossati in inverno, da rotondi a obovati o ellittici, lunghi normalmente 2.5-12.5 cm, con areole piccole, larghe 0.15-0.25 cm, interspaziate di 1-3 cm; glochidi giallastri o brunastri; spine generalmente assenti o in numero di 1-5 nella porzione distale del cladodio, bianche ad apice brunastro, lunghe 1.5-2.5 cm. Il fiore (vedi scheda di O. engelmannii) non è più largo di 6 cm e presenta uno stigma di colore bianco. Il frutto è un acrosarco (bacca la cui buccia esterna deriva dalla fusione della parete ovarica con quella dell’ipanzio) rosso porpora o violaceo, da obovoide a oblungo, lungo 2.5-5 cm; semi nerastri. Periodo di fioritura: giugno-luglio. Area d’origine: Nordamerica centro-orientale. Habitat: Rupi, dossi, affioramenti silicei o calcarei, arene fluviali, prati aridi, pendii terrosi, muretti a secco. Distribuzione nel territorio: Insubria dal Lago Maggiore al Garda, Val Chiavenna, Valtellina e lungo il tratto milanese del Ticino (100-500 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Lecco (NAT), Milano (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia dal principio del Settecento, in Lombardia era già naturalizzata in Valtellina nel 1825 (Rusconi, 1825). Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Debole, sul paesaggio. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Si tratta dell’opunzia acquisita da più lungo tempo in territorio lombardo, dove è anche la più estesamente naturalizzata. Come tante altre aliene che provengono dagli stati nordamericani gravitanti sul lato atlantico del continente, ha dimostrato piena acclimatazione, mantenendo la specifica esigenza di un’elevata aerazione del substrato (grado 5 di dispersività secondo Landolt). Ciò spiega il successo della pianta sui suoli a granulometria grossa (sabbia, pietrisco, rupi ecc.) e a tessitura leggera. Infine la specie mostra grande flessibilità anche rispetto al fattore luce. La segnalazione di O. macrorhiza Engelm. (Guiggi, 2008) è da riferire a una forma anomala di questa specie, cresciuta su un substrato particolarmente ricco (Guiggi, 2010). Bibliografia: Crescini, 1968; Fornaciari, 1967; Guiggi, 2008, 2010; Rusconi, 1825 deuzia comune Famiglia: Hydrangeaceae Nome scientifico: Deutzia scabra Thunb. Nome volgare: deuzia comune Tipo biologico: nPscap Descrizione: Arbusto alto 1-3 m con chioma espansa. Foglie decidue, opposte; picciolo di 3-8 mm; lamina ovata od ovatolanceolata, di 5-8×1-3 cm, scabra per la presenza di sparsi peli rigidi, stellati su entrambe le pagine, quelli della faccia abassiale a 3-4 punte; base arrotondata o largamente cuneata, margine serrulato e leggermente revoluto, apice in genere acuminato. Infiorescenza a pannocchia, terminale; pedicelli di 3-5 mm; calice con tubo di ca. 2.5×2 mm e 5 lobi ovati, di circa 1.2×1 mm; petali 5, bianchi, strettamente ellittici, di 0.8-1.5×0.6 cm; stami 10, in due serie, gli esterni con filamenti bidentati all’apice, gli interni più corti; stili in numero di 3-4, più lunghi degli stami; ovario supero, biloculare. Frutto costituito da una capsula emisferica di circa 4 mm di diametro, con sparsi peli stellati; semi piccoli, numerosi, oblunghi, compressi. Periodo di fioritura: aprile-maggio. Area d’origine: Asia orientale (Giappone, parte temperata). Habitat: Ambienti antropizzati, soprattutto su manufatti, come ad esempio vecchi muri; più di rado in ambienti naturali disturbati, soprattutto boscaglie degradate di tipo generalmente termofilo. Distribuzione nel territorio: Abbastanza frequente in tutta l’area collinare e soprattutto prealpina (150-600 m s.l.m.); particolarmente diffusa presso i Grandi Laghi Insubrici e nelle aree adiacenti a giardini e parchi storici. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (CAS), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XIX; in Lombardia osservata a partire dal 1943 (Arietti, 1950). Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: Sì. Impatto: È in grado di colonizzare i muri, radicando nelle fessure e contribuendo in tal modo al deterioramento di questi manufatti. Negli ambiti seminaturali, al momento, non sembra destare particolari preoccupazioni. Azioni di contenimento: Immediata rimozione dai manufatti delle piante radicate mediante intervento meccanico, eventualmente abbinato all’impiego locale di erbicidi sistemici. Note: Esiste incertezza sull’esatta identità delle piante naturalizzate nel nostro territorio (Celesti - Grapow et al., 2009a), giacché queste presentano alcuni caratteri un po’ differenti da quelli sopra descritti, precisamente i filamenti staminali non o impercettibilmente dentati all’apice e i peli stellati sulla faccia fogliare abassiale con 4-6 punte. Si tratterebbe, in effetti, di D. crenata Siebold & Zucc. (= D. scabra var. crenata (Siebold & Zucc.) Maxim., = D. crenata var. typica C.K.Schneid.), la cui congruenza sistematica è tuttora oggetto di discussione fra gli specialisti. Comunque questo morfotipo è quello regolarmente venduto nei nostri vivai e garden center sotto il binomio D. scabra. Di rado si osservano esemplari inselvatichiti di una cultivar a fiore pieno (‘Plena’), in uso nei giardini, che vanno tuttavia interpretati quali relitti a perdere della coltura. Infatti questa variante cultigena è maschio-sterile (stami trasformati in petali), senza o con scarsissime possibilità di produrre semi. In ogni caso, la facilità di autoinsediamento della pianta è dovuta all’estrema leggerezza dei semi, che vengono agevolmente trasportati dalle masse d’aria in movimento. Del genere Deutzia si commerciano altre specie (D. discolor Hemsl. (= D. vilmoriniae Lemoine & Bois), D. gracilis Siebold & Zucc., D. parviflora Bunge, D. purpurascens (Franch. ex L.Henry) Rehder, ecc.), delle quali finora non ci sono fortunatamente segnalazioni di fuga, ma che tuttavia vanno preventivamente tenute sotto controllo. Bibliografia: Arietti, 1950; Banfi & Galasso, 1998; Bonali et al., 2006a; Celesti - Grapow et al., 2009a; Jintang et al., 2001; Macchi, 2005; McKean, 1995 202 203 balsamina himalayana Famiglia: Balsaminaceae Nome scientifico: Impatiens balfourii Hook.f. Nome volgare: balsamina himalayana, balsamina di Balfour Sinonimo: Impatiens insignis auct., non DC. Impatiens insubrica Beauverd Impatiens mathildae Chiov. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 40-120 cm, con fusto ascendente, un po’ traslucido, radicante ai nodi inferiori e spesso arrossato alla base, ramosissimo, ingrossato ai nodi. Foglie alterne, con picciolo alato, lungo 1-2 cm e lamina ovatolanceolata di 3-7×2-5 cm, lungamente acuminata all’apice, con base cuneata e brevemente decorrente sul picciolo, provvista di 20-40 dentelli per lato terminanti in una ghiandola arrossata. Fiori a 3-8 su racemi ascellari corimbiformi, zigomorfi (3 sepali di cui l’inferiore petaloide, saccato-speronato, 5 petali di cui gli inferiori saldati a 2 a 2), roseo-porporini con fauce bianca, lunghi (sperone compreso) 30-40 mm; sperone leggermente ricurvo o diritto, lungo 12-18 mm. Capsule glabre, di 20-25×2 mm, ad apertura esplosiva. Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: Himalaya. Habitat: Incolti, greti, bordi strade. Distribuzione nel territorio: In tutto il territorio soprattutto nella zona insubrica. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (NAT), Lecco (INV), Lodi (NAT), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata nei giardini dell’Italia settentrionale sin dal 1814 (Chiovenda, 1928) e raccolta per la prima volta in natura nel 1916 in Piemonte (Mattirolo, 1919). In Lombardia è stata raccolta in natura nel 1932 a Milano (Giacomini, 1950). Modalità d’introduzione: Volontaria (pianta ornamentale da giardino). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Ha un impatto negativo sulla biodiversità che viene compromessa qualitativamente. Note: Si può confondere con I. glandulifera che, tuttavia, ha foglie opposte o verticillate a 3 (I. balfouri ha foglie alterne). Bibliografia: Chiovenda, 1928; Giacomini, 1950; Mattirolo, 1919 balsamina ghiandolosa Famiglia: Balsaminaceae Nome scientifico: Impatiens glandulifera Royle Nome volgare: balsamina ghiandolosa Sinonimo: Impatiens roylei Walp., nom. illeg. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 1-2 m, con fusto robusto, fistoloso, un po’ traslucido, semplice o con scarsi rami, ingrossato ai nodi. Foglie opposte o in verticilli di 3, lanceolate o ellittiche, lunghe fino a 18 cm, con apice acuminato, base cuneata brevemente decorrente sul picciolo e margine dentato per (18-)25-50 denti mucronati su ogni lato. Fiori zigomorfi (3 sepali di cui l’inferiore petaloide, saccato-speronato, 5 petali di cui gli inferiori saldati a 2 a 2), roseo-porporini, lunghi 2.5-4 cm, con sperone di 2-7 mm, disposti in racemi ascellari (3-)5-12-flori. Frutto a capsula allungata di 1.5-3 cm; apertura esplosiva. Periodo di fioritura: giugno-agosto. Area d’origine: Himalaya. Habitat: Incolti, margini boschivi, greti, ripe. Distribuzione nel territorio: In tutta la Lombardia, in area collinare. Bergamo (NAT), Brescia (INV), Como (NAT), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia nel 1909 in Piemonte (Chiovenda, 1917, 1928); in Lombardia segnalata per la prima volta da Giacomini (1950), in seguito da Soldano (1980a). Modalità d’introduzione: Deliberata, per uso floricolo. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Deprime la biodiversità delle cenosi in cui si insedia. Azioni di contenimento: Non diffondere né semi né piante; rinunciare all’uso mellifero del fiore. È relativamente facile da sradicare, dato che le radici sono poco sviluppate: l’ideale è eseguire il lavoro poco prima della fioritura, per evitare la disseminazione. Bruciare il materiale tagliato o estirpato contenente infiorescenze oppure consegnarlo ai sevizi di incenerimento rifiuti; non depositare in giardino, non gettare nel compost e non mescolare con i rifiuti verdi. Se le superfici da trattare sono estese si possono tagliare le piante raso terra. Seminare specie indigene nei terreni aperti in continuità con le superfici occupate dall’aliena. Note: Le foglie opposte e verticillate distinguono agevolmente questa specie dalle altre presenti in Italia, tutte a foglie alterne. Bibliografia: Chiovenda, 1917, 1928; Da Trieste, 1991; Giacomini, 1950; Pyšek & Hejda, 2006; Pyšek & Prach, 1995; Soldano, 1980a 204 205 balsamina minore Famiglia: Balsaminaceae Nome scientifico: Impatiens parviflora DC. Nome volgare: balsamina minore Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-100 cm, con fusto cavo, flaccido, ingrossato ai nodi. Foglie alterne, ellittiche od ovato-ellittiche, le superiori in media più grandi, con lamina di 4-20×2-9 cm, recanti (13-)20-35 denti mucronati per lato; apice acuminato e base cuneata, decorrente sul picciolo. Fiori zigomorfi in racemi ascellari 3-10-flori, i primi spesso cleistogami, i successivi lunghi 6-18 mm; calice a 3 sepali di cui l’inferiore petaloide, giallo pallido come i petali, saccato, provvisto di uno sperone diritto, lungo 1-7 mm; corolla di 5 petali, i 4 inferiori connati in 2 coppie laterali; stami 5, alterni ai petali, con antere connate; ovario supero, a 5 loculi. I frutti sono capsule glabre di 10-25×2 mm, a deiscenza esplosiva per contrazione elastica delle valve; semi piccoli, globosi. Periodo di fioritura: luglio-agosto. Area d’origine: Asia orientale. Habitat: Boschi, incolti, greti, margini di strade. Distribuzione nel territorio: In tutta la regione, soprattutto nelle fasce collinare e montana. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia alla fine del XIX secolo. Conosciuta in Lombardia almeno dal 1898 come pianta naturalizzata (campione raccolto da M. Longa a Sant’Antonio Valdisotto -SO- e conservato nell’Erbario di Pavia, PAV); in seguito ivi segnalata da Fiori (1925b) e da Fenaroli & Longa (1926). Modalità d’introduzione: Volontaria, orticola. Status: Invasiva. Dannosa: Attualmente in modo limitato. Impatto: Modifica la fisionomia della vegetazione marginale, specialmente in ambiente boschivo. Bibliografia: Credaro & Pirola, 1988; Fenaroli & Longa, 1926; Fiori, 1925b albero di sant’Andrea Famiglia: Ebenaceae Nome scientifico: Diospyros lotus L. Nome volgare: albero di sant’Andrea, legno santo, falso guaiaco, falso loto Tipo biologico: Pscap Descrizione: Piccolo albero raggiungente una dozzina di metri d’altezza, con chioma espansa orizzontalmente. Foglie caduche, alterne; picciolo 0.7-1.5 cm; lamina ellittica od ovato-oblunga, nella pagina inferiore verde glauco; base arrotondata o cuneata, apice da acuto ad acuminato. Fiori unisessuali sullo stesso individuo (pianta monoica); i maschili di 6-7 mm, riuniti a 1-3 su pedicelli lunghi fino a 6 mm, con calice a 4(-5) lobi, corolla a 4(-5) lobi da rossastri a giallo pallidi e 16 stami; i femminili di circa 5 mm, subsessili, con calice a 4 lobi, corolla a 4 lobi verdastri o rossastri lunghi 2-3 mm e 4 stili su un ovario supero, 4-12-loculare. Frutto costituito da una bacca brunastro-aranciata, a piena maturazione bluastra e pruinosa, subglobosa, con diametro di 1-2 cm. Semi bruni, compressi, di circa 10×6 mm. Periodo di fioritura: maggio-giugno. Area d’origine: Asia sudoccidentale, ma con distribuzione incerta. Habitat: Si rinviene tipicamente in boscaglie pioniere di ambienti degradati in prossimità di aree antropizzate, dove occasionalmente può essere anche abbondante. Si tratta comunque di una specie termicamente esigente. Impiegata come richiamo nei roccoli di caccia, si rinviene spontaneizzata anche nei dintorni degli stessi. Distribuzione nel territorio: Relativamente frequente dalla zona planiziale a quella collinare, in minor misura in quella submontana (100-800 m s.l.m.), a oriente soltanto casuale. Bergamo (CAS), Brescia (CAS), Como (NAT), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (CAS), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XVI. Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura, sperimentazione forestale, frutto commestibile). Status: Naturalizzata. Dannosa: In modo limitato, per sottrazione competitiva di spazio. Impatto: Trascurabile. Azioni di contenimento: Immediata rimozione del novelleto. Controllo ed eventuale eradicazione degli esemplari fruttificanti mediante controllo meccanico (taglio alla base o cercinatura), da ripetersi sui polloni, eventualmente coadiuvato dall’uso localizzato di erbicidi sistemici. Evitare assolutamente la fruttificazione. Note: Il kaki comune, D. kaki Thunb., in Lombardia soltanto coltivato, differisce per le dimensioni di gran lunga maggiori del frutto (risultato della domesticazione), che è di comune interesse alimentare, e per quelle dei fiori femminili (>1 cm). D. lotus è spesso impiegato come portainnesto per D. kaki. Infine, nei parchi si coltiva raramente anche il kaki americano (D. virginiana L.), albero alto fino a 20 m con foglie adassialmente verde scuro lucido, glabre sulla faccia abassiale (tranne sui nervi), con base più ampia e subcordata e picciolo maggiore di 1.8 cm; fiori maschili di 8-10 mm, i femminili di circa 12 mm con lobi corollini lunghi 7-8 mm, con tubo bianco e lobi gialli; bacca matura arancione, del diametro di 1-2.5 cm. Anch’essa non spontaneizza. Bibliografia: Fiori, 1926a; Fiori & Paoletti, 1902 206 207 pianta della seta Famiglia: Apocynaceae Nome scientifico: Asclepias syriaca L. Nome volgare: pianta della seta, lino d’India Sinonimo: Asclepias cornuti Decne., nom. illeg. buglossa sempreverde Famiglia: Boraginaceae Nome scientifico: Pentaglottis sempervirens (L.) Tausch ex L.H.Bailey Nome volgare: buglossa sempreverde Basionimo: Anchusa sempervirens L. Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta perenne erbacea, alta 100-150 cm, con rizoma strisciante e fusti diffusi, eretti, semplici, glaucescenti. Foglie opposte, con picciolo di 1 cm e lamina ellittica o lanceolata di 15-23×5-9 cm, acuminata, alla base arrotondata, grigiotomentosa sulla faccia abassiale. Ombrelle fiorifere contratte, su peduncoli ascellari di 5-10 cm, formate da fiori lunghi 6-8 mm sorretti da pedicelli di 3-6 cm, con corolla roseo-porporina a 5 lobi riflessi all’antesi e corona interna di 5 segmenti liberi, ognuno provvisto di appendice adassiale centrale ricurva sopra un’antera (5 stami); ovario supero, bicarpellare, con 2 stili inferiormente liberi, uniti per gli stigmi. Frutti: follicoli fusiformi di 8-11×2-3 cm, biancastro-pubescenti, solcati, spinosi; semi bruni, appiattiti, ovoidali, con un ciuffo di lunghi peli argentei all’apice. Periodo di fioritura: giugno-agosto. Area d’origine: Nordamerica orientale. Habitat: Boschi umidi ripariali e siepi, più raramente margini dei campi e incolti. Distribuzione nel territorio: In pianura, soprattutto lungo il Ticino e sporadicamente lungo il Po e altri fiumi. Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia sin dalla prima metà del secolo XVII; in Lombardia segnalata lungo il Ticino presso Pavia da Fiori & Paoletti (1902). Modalità d’introduzione: Deliberata, per la fibra tessile estratta dai fusti quale surrogato della seta (era il periodo delle morie del baco da seta). Status: Naturalizzata, localmente abbondante. Dannosa: Potenzialmente sì. Impatto: Lungo le sponde del Ticino, nel suo corso inferiore e alla confluenza con il fiume Po, forma popolamenti fitti ed estesi di un certo rilievo. Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 40-80 cm, con fusto ispido per setole di 1-2.5 mm. Foglie inferiori svernanti, provviste di picciolo lungo 2-15 cm e lamina ovata di 7-20×3-10 cm, intera; foglie superiori sessili e più piccole (lunghe 5-12 cm). Infiorescenza terminale, costituita da cincinni peduncolati inseriti ciascuno all’ascella di una brattea; fiori pentameri, con calice a 5 denti lungo 2.5-5 mm; corolla azzurro chiaro, con tubo di 4-5×3.5-4.8 mm e lembo a 5 lobi, del diametro di 8-10 mm, con fauce provvista di un’appendice linguiforme alla base di ogni lobo; stami 5, inseriti alternatamente alle appendici, di poco più brevi di queste; ovario supero a 4 loculi. Il frutto è un microbasario, cioè uno schizocarpo formato da 4 nucule (mericarpi) ovoidi, inserite obliquamente sulla base comune. Periodo di fioritura: maggio-giugno. Area d’origine: Europa sudoccidentale (atlantica). Habitat: Scarpate ombreggiate. Distribuzione nel territorio: Pianura comasca; l’unica stazione lombarda sinora conosciuta è sita a 270 m s.l.m. Como (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal Cinquecento, in natura raccolta con certezza, nel passato, solo sui Colli Euganei (Veneto) nel 1835 (Bertoloni, 1835) e 1842 (Trevisan, 1842), dove non è stata più ritrovata (Selvi & Bigazzi, 1998); recentemente osservata in Lombardia, ove appare naturalizzata almeno dal 2003 (Galasso & Selvi, 2007). Modalità d’introduzione: Deliberata (interesse ornamentale). Status: Naturalizzata. Nel sito di ritrovamento si riproduce regolarmente, ma la sua permanenza è legata alla presenza di siepi ombreggianti; infatti dove queste sono state rimosse la pianta è scomparsa repentinamente. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Finora non necessarie. Note: È una specie da tenere sotto controllo, inserita nella Watch List della Svizzera (http://www.cps-skew.ch/italiano/lista_nera.htm). Note: Neofita di recentissima segnalazione per il territorio lombardo, nel passato già nota per un altro sito dell’Italia settentrionale; non può essere confusa con boraginacee affini presenti in Lombardia, per la combinazione unica dei caratteri, tra i quali spicca la persistenza invernale delle foglie basali. Bibliografia: Fiori & Paoletti, 1902 Bibliografia: Bertoloni, 1835; Galasso & Selvi, 2007; Selvi & Bigazzi, 1998; Trevisan, 1842 208 209 cuscuta dei campi Famiglia: Convolvulaceae Nome scientifico: Cuscuta campestris Yunck. Nome volgare: cuscuta dei campi Sinonimo: Cuscuta arvensis auct., non Beyr. ex Engelm. Cuscuta arvensis Beyr. ex Engelm. var. calycina (Engelm.) Engelm. Cuscuta cesattiana auct., non Bertol. / Cuscuta gronovii auct., non Willd. ex Schult. Cuscuta pentagona auct., non Engelm. Cuscuta pentagona Engelm. var. calycina Engelm. Cuscuta racemosa Mart. var. chiliana auct. p.p., non Engelm Cuscuta suaveolens auct. p.p., non Ser. Grammica campestris (Yunk.) Hadač & Chrtek Tipo biologico: Tpar Descrizione: Pianta annuale oloparassita, costituita da un intrico di fusti capillari giallo-rossastri provvisti di austori con i quali si tiene saldamente ancorata ai tessuti della pianta ospite. Fiori regolari di (1.9-)2.1-3.6 mm, bianco crema da freschi, crema o giallo dorati da secchi, riuniti in glomeruli densi (diametro 10-12 mm); peduncoli brevi; calice giallo, campanulato, più breve del tubo corollino, a 5 lobi deltoidi, spesso a margini sovrapposti; corolla di 5 lobi acuti, ovato-triangolari, più o meno acuminati con l’apice solitamente inflesso, precocemente riflessi, più brevi del tubo o raramente lunghi quanto questo; stami 5, sporgenti; squame ipostaminali lunghe, fittamente e ± regolarmente fimbriate, mai bifide, sporgenti tra i lobi corollini; ovario supero, globoso, con 2 sottili stili con stigmi capitati. Capsula indeiscente o irregolarmente deiscente, 1.3-2.8×1.9-3.8 mm, globoso-depressa, giallastro-pallida, circondata alla base dalla corolla persistente, contenete 4 semi di 1.12-1.54×0.9-1.1 mm. Periodo di fioritura: maggio-settembre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Su numerose specie di centinaia di generi appartenenti a varie famiglie, tra le quali Asteraceae, Brassicaceae, Chenopodiaceae, Convolvulaceae, Euphorbiaceae, Fabaceae, Polygonaceae, Solanceae, Urticaceae, Verbenaceae. Distribuzione nel territorio: In tutto il territorio, prevalentemente in pianura e nei fondivalle. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, naturalizzata in Italia dal 1876 (Cesati et al., 1876, sub C. racemosa var. chiliana), segnalata per la prima volta in Lombardia da Campanile & Traverso (1923, sub C. pentagona). Modalità d’introduzione: Accidentale (contaminazione delle sementi, probabilmente di erba medica e/o trifoglio). Status: Invasiva. Dannosa: Solo per le colture. Impatto: Parassita delle colture erbacee. Azioni di contenimento: Solo in ambito agrario. dicondra Famiglia: Convolvulaceae Nome scientifico: Dichondra micrantha Urb. Nome volgare: dicondra Tipo biologico: Hrept Descrizione: Pianta erbacea perenne, strisciante e tappezzante, con fusti lunghi fino a 50 cm, radicanti ai nodi. Foglie con picciolo di 5-50 mm e lamina da orbicolare a reniforme, intera, con pubescenza appressata, larga e lunga 5-30 mm. Fiori ascellari, solitari; corolla incisa in 5 lobi eretti, lunga 2-2.5 mm, biancastro-verdognola; stami 5, inseriti presso il limite superiore del tubo corollino, più o meno inclusi. Ovario supero, biloculare, con due stili a stigma capitato. Capsula bilobata, disperma. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Asia orientale. Habitat: Tappeti erbosi, luoghi calpestati. Distribuzione nel territorio: In quasi tutto il territorio, soprattutto nei centri urbani, planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta probabilmente nel secolo scorso. Modalità d’introduzione: Deliberata, per aiuole e tappeti erbosi perennanti. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Specie a lungo confusa con C. cesattiana, C. gronovii e, in parte, C. suaveolens (= C. racemosa var. chiliana): sebbene Campanile & Traverso (1923) e Campanile (1926) segnalino l’errore già al principio del secolo scorso, tale confusione è perdurata sino ai nostri giorni poiché i lavori della Campanile sono indicati soltanto nelle note finali della “Flora” del Fiori (1928). C. gronovii e C. suaveolens sono assenti in Italia; mentre le segnalazioni della prima sono da ricondurre a C. campestris, quelle della seconda sono da ripartire tra C. campestris e C. cesattiana. Cuscuta cesattiana, invece, è presente in Italia e in Lombardia e si distingue da C. campestris per il calice più lungo del tubo corollino, a 5 lobi ovati (che spesso sporgono tra i lobi della corolla), a margini non sovrapposti; i lobi della corolla largamente ovati, mai acuminati e con l’apice non inflesso, riflessi solo occasionalmente e solo a inizio fruttificazione, più lunghi del tubo; le squame ipostaminali, irregolarmente fimbriate, con un numero inferiore di lacinie, spesso bifide. La vera C. cesattiana, rara (segnalata per la prima volta in Italia in Piemonte almeno dal 1847 da De Notaris (1849, sub C. polygonorum) e Bertoloni (1850)), è sicuramente presente nelle province di Mantova (Visiani & Saccardo, 1869a; Cesati et al., 1876), Cremona (Caruel, 1886; Bonali, 1998, 2002a), Pavia (Campanile & Traverso, 1923) e Brescia (Giacomini, 1950; la nomenclatura utilizzata fa capire che Giacomini si riferisce ai lavori della Campanile e non alle consuete Flore). In passato C. campestris è stata anche male identificata con la congenere C. pentagona (mai segnalata in Italia e anch’essa di origine americana), che solo recentemente è stata definitivamente separata da C. campestris (Costea et al., 2006). In Lombardia è inoltre presente un’altra specie esotica del genere Cuscuta, archeofita, C. epilinum Weihe (strozzalino), caratterizzata però da stigmi non clavati, simile all’autoctona C. europaea L. ma da quest’ultima distinguibile per i fusti semplici o quasi e la corolla generalmente pentamera con lobi lunghi quanto il tubo. Essa è in via di estizione poiché legata al lino (e alle sue infestanti), coltura ora rarefatta e localizzata. Infine si fa presente che la segnalazione di C. scandens Brot. (= C. australis R.Br., = C. tinei Inzenga; cuscuta di Tineo) per il bresciano (Zucchi, 1979), non più ritrovata, è da considerarsi dubbia. 210 Bibliografia: Bertoloni, 1850; Bonali, 1998, 2002a; Campanile, 1926; Campanile & Traverso, 1923; Caruel, 1886; Cesati et al., 1876; Costea et al., 2006; De Notaris, 1849; Fiori, 1928; Giacomini, 1950; Stucchi, 1929a, 1949b; de Visiani & Saccardo, 1869a; Zucchi, 1979 211 stramonio Famiglia: Solanaceae Nome scientifico: Datura stramonium L. Nome volgare: stramonio Sinonimo: Datura inermis Juss. ex Jacq. Datura stramonium L. subsp. tatula (L.) Nyman Datura stramonium L. var. inermis (Juss. ex Jacq.) Fernald Datura stramonium L. var. tatula (L.) Torr. Datura tatula L. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale dall’odore marcato, alta 50-200 cm, con fusto prostrato, suberetto o ascendenteramificato, pubescente, di norma verde (purpureo-violaceo nella var. tatula). Foglie alterne, con picciolo di 2-4 cm e lamina da ampiamente ovata a ellittica, di 10-15×6-13 cm, lobato-dentata o sinuato-dentata con grossi denti acuti, a base tronca o subcordata. Fiori solitari, ascellari, su peduncoli di 3-10 mm; calice tubuloso lungo 3-5 cm, spigoloso, con 5 denti disuguali lunghi 5-10 mm; corolla imbutiforme di 5-10 cm, a 5 denti subcaudati, candida o soffusa di violaceo (var. tatula); stami 5, non sporgenti, inseriti alla base del tubo corollino; ovario supero, biloculare. Frutto a capsula deiscente in 4 valve, grande poco più di una noce (3-5 cm) e irta di aculei lunghi fino a 15 mm; semi neri, appiattiti, di 3 mm. Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: Mesoamerica. Habitat: Ruderi, macerie, campi abbandonati. Distribuzione nel territorio: Fascia plano-collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (CAS). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dalla seconda metà del secolo XVI. In Lombardia già presente in natura nel 1763 (Provasi, 1924), segnalata la prima volta da Nocca & Balbis (1816). Modalità d’introduzione: Deliberata (per uso medicinale, successivamente da giardino). Status: Naturalizzata. Dannosa: Ecologicamente no, sanitariamente sì (pianta molto velenosa). Impatto: Esclusivamente estetico. Azioni di contenimento: Estirpazione manuale. Note: È causa di gravi intossicazioni, facilmente letali, dovute ad abusi come il “fai da te” erboristico e nei ragazzi, a volte, persino spinelli che, invece di procurare lo sballo, procurano l’immediato ricovero ospedaliero. Arietti & Crescini (1980) e Giordana (1995) segnalano Datura stramonium var. tatula; tuttavia, in base a quanto dimostrato da un’analisi genetica condotta sugli AFLP (Mace et al., 1999), le suddivisioni infraspecifiche di D. stramonium (var. inermis, var. stramonium e var. tatula) non hanno significato sistematico. Bibliografia: Arietti & Crescini, 1980; Giordana, 1995; Mace et al., 1999; Nocca & Balbis, 1816; Provasi, 1924 morella della Carolina Famiglia: Solanaceae Nome scientifico: Solanum carolinense L. Nome volgare: morella della Carolina Tipo biologico: Grhiz Descrizione: Pianta erbacea perenne provvista di rizoma strisciante; fusti eretti, alti fino a 1 m, con rada pubescenza di peli stellati e sottili spine gialle. Foglie a lamina ovata, lunga 7-12 cm, con 2-5 lobi o larghi denti per lato, giallo-pubescente per peli stellati, provvista di gracili spine gialle lungo le nervature. Infiorescenza racemosa di 2-7 fiori a corolla rotata, con 5 denti (contorno pentagonale), di 2-3.5 cm di diametro, bianca o appena soffusa di violaceo; stami con antere scarsamente conniventi. Il frutto è una bacca giallo-aranciata di 1-1.5 cm, contenente semi appiattiti, biancastri. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: Nordamerica sudorientale. Habitat: Campi, incolti. Distribuzione nel territorio: Pianura, dal pavese al bresciano. Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Europa per l’Orto botanico di Montpellier nel 1855 (Thellung, 1911-1912). In Italia, osservata la prima volta negli anni ’70 del secolo scorso in Toscana a Montignoso (MS) lungo la via Aurelia (Banfi, oss. pers.) e segnalata per la Lombardia da Zanotti (1993a), che la raccolse dal 1987. Modalità d’introduzione: Accidentale, con gli scambi intercontinentali in ambito di pratiche agrarie. Status: Naturalizzata. Dannosa: Sì. Impatto: Esclusivamente agricolo, nelle colture sarchiate. Azioni di contenimento: Eventuale diserbo delle colture agrarie. Note: In Lombardia si incontra di frequente il pomodoro, Solanum lycopersicum L. (= Lycopersicon esculentum Mill., nom. cons.; = Lycopersicon lycopersicum (L.) H.Karst., nom. rej.), che fu domesticato dagli Indios messicani a partire da un selvatico riferibile, presumibilmente, alla specie S. pimpinellifolium L. I primi pomodori coltivati dovevano avere i caratteri di quella che oggi è nota come var. cerasiforme (Alef.) Fosberg (pomodoro ciliegino), variazione a frutto edule forse già spontanea e prelevata direttamente in natura all’epoca delle prime selezioni colturali; nel DNA del ciliegino, infatti, oltre a una quota di ascendenza diretta per tutte le forme coltivate a frutto rosso, si trova la testimonianza di iniziali, ripetuti incroci tra domestico e selvatico (Ranc et al., 2008). Coltivato almeno dal 1531 a Cremona (Bonali, 2009), è indicato come avventizio nella prima metà dell’Ottocento da Cesati (1844). Gli avventiziati del pomodoro nel nostro territorio sono del tutto occasionali, anche se localmente abbondanti al punto da far credere a una sorta di naturalizzazione della specie lungo i fiumi dovuti all’abbandono accidentale di semi fuori coltura (o allo scarico delle fognature) e concludentisi nel singolo ciclo individuale o, al massimo, in un ciclo di seconda generazione. L’incapacità del pomodoro di sfuggire stabilmente alla coltivazione è intuibile: a) si tratta di un domestico che ha perso tutte le prerogative biologiche di “autogestione” presenti nel selvatico, quindi incapace di insediarsi nell’ambiente e fondarvi popolazioni; b) derivando da un progenitore tropicale perenne, è stato forzato a diventare annuale perché solo così sarebbe stato compatibile con la coltivazione in clima temperato; l’accorciamento del ciclo, però, non ha avuto un riscontro selettivo naturale delle sue capacità competitive (come avviene in natura quando una specie perenne si trasforma in annuale), per cui la pianta non è in grado di eludere né di sostenere la convivenza con la nostra vegetazione spontanea. Bibliografia: Bonali, 2009; Bonali et al., 2006a; Cesati, 1844; Picco, 2001; Ranc et al., 2008; Thellung, 1911-1912; Zanotti, 1993a 212 213 morella farinaccio Famiglia: Solanaceae Nome scientifico: Solanum chenopodioides Lam. Nome volgare: morella farinaccio Sinonimo: Solanum gracile Dunal, non Sendtn., nom. illeg. Solanum ottonis Hyl. Solanum sublobatum Willd. ex Roem. & Schult. Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne, ramosa, con fusti alti fino a 1.2 m, finemente cenerino-pubescenti per corti peli semplici. Foglie alterne, pelose come i fusti, da ovate a lanceolate, talvolta impercettibilmente lobate, per altro intere al margine. Fiori in cime umbellate, con corolla stellata a 5 lacinie bianche, acute, larga fino a 2 cm; stami ad antere regolarmente conniventi. Il frutto è una bacca ovoide, lunga 7-12 mm, purpureo-nerastra e “satinata” a maturità. Periodo di fioritura: maggio-ottobre. Area d’origine: Sudamerica sudorientale (Brasile, Paraguay, Uruguay, Argentina). Habitat: Conurbi e suburbi (pianura), margini di boscaglie (collina). Distribuzione nel territorio: Sporadica nelle fasce planiziale e collinare, invasiva nel varesino. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Pavia (NAT), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia nel 1939 in Campania (Fiori, 1940); in seguito riscoperta da Banfi (1987) per diverse regioni. In Lombardia segnalata la prima volta da Banfi & Galasso (2005) e Macchi (2005). Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Invasiva. Dannosa: No. Impatto: Nessuno. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Questa specie può essere confusa di primo acchito con la comune morella (S. nigrum L.), infestante autoctona a sviluppo prevalentemente tardoestivo, ben distinta per la pelosità mai uniformemente cenerina, per la lamina fogliare subdecorrente da una base tendenzialmente cuneata, con margini spesso incisi e variamente dentati od ondulati, per le cime fiorifere lasse, corimbose anziché umbellate, per le corolle leggermente più piccole (diametro eccezionale di 18 mm) con lacinie un po’ meno acute e profonde, e per le bacche rotonde o subglobose, perfettamente nere a maturità. Bibliografia: Banfi, 1987; Banfi & Galasso, 2005; Bonali et al., 2006a; Fiori, 1940; Macchi, 2005; Zanotti, 2008 gelsomino primulino Famiglia: Oleaceae Nome scientifico: Jasminum mesnyi Hance Nome volgare: gelsomino primulino Sinonimo: Jasminum primulinum Hemsl. Tipo biologico: Pscap Descrizione: Arbusto sempreverde, con fusti verdi (frutice), lunghi fino a 5 m; rami dell’anno tetragoni, glabri. Foglie opposte, trifoliolate, spesso semplici alla base dei rametti; picciolo di 0.5-1.5 cm; lamina delle foglie semplici da ellittica a largamente ovata, talvolta suborbicolare, di 3-5×1.5-2.5 cm, subcoriacea; quella dei segmenti delle foglie trifoliolate strettamente ovata, ovato-lanceolata o strettamente ellittica, cuneata alla base, ottusa e mucronulata all’apice. Il segmento terminale misura 2.56.5×0.5-2.2 cm e alla base decorre in un breve picciolo, mentre i segmenti laterali sono sessili e misurano 1.5-4×0.6-2 cm. Fiori di norma solitari, ascellari, di rado terminali, sottesi da brattee fogliacee, obovate o lanceolate; peduncoli di 3-8 mm; calice campanulato a 5-8 lobi; corolla imbutiforme, gialla, larga (diam.) fino a 4.5 cm, a 6-8 lobi nel selvatico, doppia nelle piante coltivate, con tubo di 1-1.5 cm. Il frutto è una bacca ellissoidale, verdastra e secca a maturità, con 1-2 semi, lunga 6-8 mm. Periodo di fioritura: febbraio-maggio. Area d’origine: Asia orientale (Cina centro-occidentale: province Guizhou, Sichuan, Yunnan). Habitat: Boscaglie e scoscendimenti presso i laghi insubrici (forre e boschi collinari in patria). Distribuzione nel territorio: Lago di Garda, lungo la Gardesana. Brescia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia al principio del XX secolo, epoca della moda orientalistica in orticoltura. Segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia da Banfi & Galasso (2005); in seguito ne è stato precisato l’areale (Galasso & Ceffali, in stampa). Le prime osservazioni risalgono ai primissimi anni del presente secolo. Modalità d’introduzione: Deliberata (importazione orticola). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Lieve rilevanza paesaggistica nel periodo di fioritura. Note: È simile al conterraneo gelsomino di San Giuseppe J. nudiflorum Lindl. (Cina centro-occidentale), da più lungo tempo coltivato in Italia (metà del XIX secolo), deciduo d’inverno, in fiore da febbraio ad aprile, con fusti sottili, ginestriformi, lungamente ricadenti, angolosi, foglie più piccole e fiori minori (2-2.5 cm), giallo limone, mai doppi. Questa specie permane negli ex-siti di coltivazione (giardini abbandonati, muretti di recinzione ecc.), ma non tende a naturalizzarsi; osservata casuale qua e là (la prima volta da Giacomini, 1950). Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Chang et al., 1996; Galasso & Ceffali, in stampa; Giacomini, 1950 214 215 ligustro lucido Famiglia: Oleaceae Nome scientifico: Ligustrum lucidum W.T.Aiton Nome volgare: ligustro lucido, ligustro arboreo Tipo biologico: nPscap Descrizione: Albero alto sino a 10(-15) m. Foglie opposte, sempreverdi, coriacee; picciolo di 1-3 cm; lamina da ovata a ovatolanceolata, di 6-17×3-8 cm, verde scuro lucente sulla pagina superiore, verde più chiaro inferiormente; margine intero, base arrotondata o talvolta attenuata, apice acuto o acuminato. Infiorescenza in larga pannocchia terminale ai rami, di 8-25×5-20 cm; fiori subsessili; calice lungo 1.5-2 mm; corolla di 4-5 mm, bianco crema, con tubo lungo circa quanto i lobi, che sono 4. Frutto rappresentato da una bacca nero-azzurrognola, pruinosa, obovoide, spesso un po’ falcata, di 7-10×4-6 mm, con 1-4 semi. Periodo di fioritura: giugno-luglio. Area d’origine: Asia orientale (Cina). Habitat: Boschi a carattere termofilo, quasi sempre in posizioni calde e riparate; di rado e soltanto con plantule o giovani esemplari in altri tipi di formazioni forestali. Forma un bosco quasi puro su una rupe calcarea (Sasso Poiano, Caravate, VA), dove però sembra risentire dell’aridità edafica estiva. Distribuzione nel territorio: In Lombardia è presente allo stato naturalizzato soprattutto lungo i principali laghi insubrici (Verbano, Lario, Benaco) e territori limitrofi, ove è invasiva (150-450 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (CAS), Lecco (INV), Milano (CAS), Mantova (CAS), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1794, in Italia presumibilmente un po’ più tardi e inizialmente scambiata come curiosità da giardino fra aristocratici proprietari di ville signorili, quindi estesa al verde pubblico in parchi e alberature stradali. In Lombardia segnalata come naturalizzata da De Carli et al. (1999). Modalità d’introduzione: Deliberata (parchi, giardini, alberature). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Questa specie è in grado di costituire formazioni quasi pure e quindi di alterare il tipico paesaggio forestale lombardo nei luoghi invasi, dove il bosco sarebbe invece dominato da latifoglie decidue. Modifica inoltre la biodiversità del sottobosco, con riflessi anche sui processi biogeochimici nel suolo. Azioni di contenimento: Taglio selettivo, ripetuto per alcuni anni, nel caso di forte infestazione coadiuvato dall’impiego di erbicidi sui polloni; quindi provvedere alla piantagione di arbusti indigeni. Pronta rimozione delle giovani piante in aree di neo-invasione. Evitare assolutamente la fruttificazione. Note: Impiegata in parchi e giardini, viene talvolta utilizzata anche per le alberature stradali. La diffusione è caratteristicamente ornitocora. Può essere confusa con un altro ligustro coltivato, L. japonicum Thunb., che però si distingue per la taglia (arbusto non superante i 3 m in altezza), per le foglie da ovate a largamente ellittiche, lunghe al massimo 8 cm e, infine, per la corolla complessivamente più lunga (almeno 6 mm); in Lombardia non è mai stato trovato in natura. Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Cerabolini et al., 2008; De Carli et al., 1999; Frattini, 2008; Green, 1997; Kleih, 2007; Macchi, 2005 ligustro da siepe Famiglia: Oleaceae Nome scientifico: Ligustrum ovalifolium Hassk. Nome volgare: ligustro da siepe, martello Tipo biologico: nPscap Descrizione: Arbusto semideciduo alto 2-3 m, glabro in ogni parte, con ritidoma liscio, grigio scuro. Foglie con picciolo di 3-4 mm e lamina ovata, subcoriacea, lunga 3-7 cm, verde scuro con riflessi satinati sulla faccia adassiale, verde chiaro opaco su quella abassiale, a margine intero e non ondulato, nervo mediano visibile. Fiori numerosi in pannocchie di 5-10 cm, fortemente odorosi; corolla bianco panna, con tubo di 5-6 mm (più lungo dei lobi) e lembo a 4 lobi lunghi 2-3 mm; stami 2; ovario supero. Il frutto è una drupa subglobosa, nera e lucida, di 5-7 mm di diametro. Periodo di fioritura: giugno-luglio. Area d’origine: Asia orientale (Giappone settentrionale e centrale). Habitat: Siepi abbandonate, margini di boscaglie. Distribuzione nel territorio: È presente in tutto il territorio regionale (50-650 m s.l.m.), anche se con discontinuità. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (INV), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (NAT), Pavia (CAS), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1847, in Italia presumibilmente un po’ più tardi; in Lombardia segnalata per la prima volta da Giordana (1995). Modalità d’introduzione: Deliberata: commercio vivaistico, come soggetto da siepe; diffusa in natura da merli e altri passeriformi frugivori. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Questo ligustro può formare un denso mantello arbustivo, alterando la biodiversità del sottobosco, con riflessi anche sui processi biogeochimici del suolo. Di minor peso l’impatto sul paesaggio, in quanto la specie forma cespuglieti complessivamente piuttosto diafani. Azioni di contenimento: Taglio selettivo, ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi; provvedere quindi alla piantagione di arbusti indigeni. Pronta rimozione delle giovani piante in aree di neo-invasione. Prevenire in ogni modo la fruttificazione. Note: Il ligustro cinese (L. sinense, vedi scheda) si distingue per il ritidoma (“corteccia”) grigio chiaro, ma soprattutto per le foglie decidue, sottili, verde opaco di sopra (senza riflessi satinati), da ellittiche a ellittico-oblunghe, con i margini talvolta ondulati, e per i rametti dell’anno ricoperti di una densa pubescenza giallo-grigiastra; i fiori presentano tubo corollino meno allungato rispetto al lembo e sono meno intensamente odorosi. Anche questa specie denota efficiente autodisseminazione sviluppando plantule sia intorno alle piante madri sia a notevole distanza da queste. Bisogna però osservare che difficilmente viene raggiunta la maturità riproduttiva e solo occasionalmente si arriva alla fondazione di piccoli nuclei popolazionali isolati. Entrambi questi ligustri esotici vengono tuttora confusi con il vero ligustro nostrano (L. vulgare L.), entità eurasiatica propria dello strato arbustivo delle cenosi boschive meso-termofile, che si riconosce dalle foglie (decidue) ellittiche o lanceolate, lunghe fino a 4 cm, opache. Infine non possiamo dimenticare il ligustro lucido (L. lucidum, vedi scheda), anch’esso di origine Est-asiatica, un inconfondibile grosso arbusto o alberello sempreverde con tronco di tutto rispetto, che può raggiungere 12 m d’altezza in esemplari monumentali: ha foglie coriacee, lunghe 8-12 cm, ovate, lungamente acuminate, lucenti su entrambe le facce, verde scuro sopra, più chiare sotto; sviluppa in piena estate, all’apice dei rami, grandi pannocchie piramidali con numerosissimi fiori bianco-giallognoli, seguiti da drupe obovoidi, nero-azzurre in inverno per la presenza di pruina sull’epicarpo; si tratta di entità naturalizzata in varie parti del territorio nazionale, Lombardia compresa. Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Bonali et al., 2006a; Cerabolini et al., 2008; De Carli et al., 1999; Giordana, 1995; Green, 1997; Kleih, 2007 216 217 ligustro cinese Famiglia: Oleaceae Nome scientifico: Ligustrum sinense Lour. Nome volgare: ligustro cinese Sinonimo: Ligustrum ovalifolium auct., non Hassk. Tipo biologico: nPscap Descrizione: Arbusto alto, al massimo, 4 m; rametti dell’anno pubescenti. Foglie tardodecidue (la maggior parte cade appena prima dell’inizio della nuova fogliazione), opposte; picciolo di 2-8 mm; lamina da ovata a ellittica, di 2-7×1-3 cm, verde opaco; margine intero, spesso ondulato, base cuneata o pressoché arrotondata, apice ottuso oppure mucronato. Infiorescenza a pannocchia, solitamente terminale, di 4-11×3-8 cm, moderatamente odorosa; pedicelli di 1-5 mm; calice a 5 denti, lungo 1-1.5 mm; corolla lunga 3.5-5.5 mm, bianca, con tubo leggermente più corto dei lobi, che sono 4. Frutto rappresentato da una bacca di colore nero opaco, subglobosa, di 5-8 mm, con 1-4 semi. Periodo di fioritura: maggio-giugno. Area d’origine: Asia orientale (Cina e Vietnam). Habitat: Boscaglie e boschi, senza particolari preferenze edafiche, anche se di preferenza moderatamente termofili e piuttosto aperti. Più frequente intorno alle aree antropizzate, ma anche, purtroppo, in siti destinati alla riqualificazione ambientale, dove è stato erroneamente mescolato alle specie autoctone (al posto di L. vulgare). Frequente anche quale invasiva negli impianti di conifere. Distribuzione nel territorio: È presente in tutto il territorio regionale (50-650 m s.l.m.), anche se con discontinuità. Bergamo (INV), Brescia (NAT), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (NAT), Pavia (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1852, in Italia presumibilmente un po’ più tardi, ma come pianta da siepe divenne di moda soltanto attorno alla metà degli anni Sessanta del passato secolo. In Lombardia è stata segnalata come naturalizzata da Banfi & Galasso (1998). Modalità d’introduzione: Deliberata (florovivaistica). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Questo ligustro può formare un denso mantello arbustivo, alterando la biodiversità del sottobosco, con riflessi anche sui processi biogeochimici del suolo. Di minor peso l’impatto sul paesaggio, in quanto la specie forma cespuglieti complessivamente piuttosto diafani. Azioni di contenimento: Taglio selettivo, ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi; provvedere quindi alla piantagione di arbusti indigeni. Pronta rimozione delle giovani piante in aree di neo-invasione. Prevenire in ogni modo la fruttificazione. serenella Famiglia: Oleaceae Nome scientifico: Syringa vulgaris L. Nome volgare: serenella, lillà, fior di maggio Tipo biologico: nPscap Descrizione: Arbusto deciduo, glabro, alto 2-6 m. Foglie opposte, con picciolo di 1-3 cm e lamina ovato-cuoriforme, di 6-9×5-7 cm, acuminata, verde scuro, opaca. Fiori tubulosi, odorosi, in pannocchie generalmente terminali di 10-20 cm; calice di 2 mm, a 4 denti; corolla lilla scuro nel boccio, poi lilla vivo, quindi via via sbiadente con l’invecchiamento (rossa, rosa, viola o bianca nelle cultivar), con tubo di 8-10 mm e lembo di 4 lobi patenti di circa 8×5 mm; stami 2, inclusi nel tubo corollino; ovario bicarpellare, biloculare, supero, con 2 ovuli per loculo; stilo filiforme, più breve degli stami. Il frutto è una capsula bivalve, lateralmente compressa, acuminata, di 8-12 mm, contenente 4 semi appiattiti, con stretta ala marginale. Periodo di fioritura: aprile-maggio. Area d’origine: Balcani. Habitat: Boscaglie, siepi. Distribuzione nel territorio: Planiziale-collinare. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Cremona (CAS), Lecco (CAS), Milano (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (CAS), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Francia nel XVI secolo, quindi in Italia dove è coltivata dalla metà dello stesso secolo. In Lombardia coltivata almeno dal 1785 (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789) e naturalizzata almeno dal 1816 presso Godiasco e Fortunago nel pavese (Nocca & Balbis, 1816). Modalità d’introduzione: Deliberata, per uso ornamentale. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Note: Le naturalizzazioni di questa oleacea in Italia sono di gran lunga più numerose di quelle ufficialmente segnalate, per il fatto che, verificandosi spesso nei pressi di o in continuità con giardini e orti nei quali la specie è coltivata, vengono scambiate per piante in coltura o resti delle stesse. Pignatti (1982) ricorda una vecchia segnalazione di Nicola Terracciano, ripresa dal Gavioli, relativa alla Basilicata (Muro Lucano, al Pianello), secondo cui la specie appare inserita in un contesto del tutto naturale, slegato da qualsiasi ambiente secondario o artificiale, con il sospetto che possa trattarsi di presenza autoctona e non di naturalizzazione. Fatto che non sarebbe poi tanto inverosimile, tenendo conto delle forti affinità biogeografiche che legano l’Appennino meridionale alla penisola balcanica e che sono notoriamente testimoniate dagli areali di numerose specie della nostra flora e della nostra fauna. Bibliografia: Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Nocca & Balbis, 1816; Pignatti, 1982 Note: L. ovalifolium (ligustro da siepe, martello), originario del Giappone (vedi scheda), è coltivato da più lungo tempo, utilizzato per siepi più di ogni altra specie fino agli anni ‘60 dello scorso secolo. Presenta una complessiva maggior robustezza, con foglie subsempreverdi, un po’ coriacee, regolarmente ovate, lisce e intere al margine, verde scuro con riflessi “satinati” sulla faccia adassiale, più chiare inferiormente; rametti glabri; fioritura più tardiva (giugno-luglio), fortemente odorosa, fiori con tubo corollino più lungo dei lobi e bacche lucide a maturità. Sebbene localmente invasiva, ha minore tendenza a sfuggire e si mantiene nelle vicinanze della coltura. Entrambe le specie qui considerate vengono tuttora confuse con il vero ligustro nostrano, L. vulgare L., entità eurasiatica propria dello strato arbustivo delle cenosi boschive meso-termofile, che si riconosce dalle foglie (decidue) ellittiche o lanceolate, lunghe fino a 4 cm, opache. Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Bonali et al., 2006a; Cerabolini et al., 2008; Frattini, 2008; Green, 1997 218 219 veronica filiforme Famiglia: Plantaginaceae Nome scientifico: Veronica filiformis Sm. Nome volgare: veronica filiforme Sinonimo: Veronica tournefortii C.C.Gmel., non Vill., nom. illeg. Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta generalmente sino a 20 cm, con fusti prostrati e radicanti, formanti un denso tappeto. Foglie alterne, brevemente picciolate; lamina subrotonda, 5-13 mm, sparsamente pelosa, margine crenato con piccoli denti ottusi, base cordata, apice arrotondato. Fiori singoli all’ascella di brattee simili alle foglie; alla fioritura pedicelli lunghi almeno il doppio della corrispondente foglia bratteale; calice con 4 lobi; corolla azzurra o lilla-biancastra, rotata, di 5-14 mm. Frutto raro, costituito da una capsula obcordata, compressa, più ampia che lunga. Periodo di fioritura: marzo-maggio. Area d’origine: Asia occidentale (Iran, Turchia e Caucaso) ed Europa orientale (Russia e Ucraina). Habitat: Cresce tipicamente in prati regolarmente falciati, in particolare se moderatamente ombreggiati, e su suoli con buona disponibilità idrica. Distribuzione nel territorio: Presenza frammentaria su tutto il territorio regionale, soprattutto nella fascia planiziale (con l’esclusione della bassa pianura) e collinare (100-650 m s.l.m.); sembra più frequente nella Lombardia occidentale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia e in Lombardia (Monte Resegone nel lecchese e Varese) da Viola (1955) nel 1954. Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura. Status: Invasiva. Dannosa: No. Impatto: Pur essendo localmente piuttosto diffusa e con popolazioni consistenti (invasiva), la sua presenza non sembra attualmente destare particolari preoccupazioni. Note: Coltivata come tappezzante e per le attraenti fioriture. Può essere confusa con V. persica (vedi scheda), che però è una pianta annuale, con fusti ascendenti, foglie spesso di forma ovale e con denti più incisi e acuti, e pedicelli lunghi alla fioritura al massimo poco più della corrispondente foglia bratteale. Bibliografia: Viola, 1955 occhi della Madonna Famiglia: Plantaginaceae Nome scientifico: Veronica persica Poir. Nome volgare: occhi della Madonna Sinonimo: Veronica buxbaumii Ten., non F.W.Schmidt, nom. illeg. Tipo biologico: Trept Descrizione: Pianta erbacea annuale a fusti lunghi 5-50 cm, prevalentemente decombenti e radicanti ai nodi. Foglie alterne, da ovate a subrotonde, di 10-20×9-18 mm, con margine piano, crenato-seghettato, da brevemente picciolate a subsessili, verde chiaro, le superiori ± bruscamente ridotte. Fiori solitari, ascellari, su peduncoli allungantisi fino a 22 mm nel frutto, superanti le brattee; calice profondamente diviso in 4(-5) lacinie ovato-lanceolate lunghe (4-)6-7 mm; corolla debolmente zigomorfa, di 8-12 mm di diametro, a 4 lobi azzurro-cielo con fauce sbiancata e venature più scure; stami 2, sporgenti e divergenti; ovario supero. Il frutto è una capsula loculicida bilobata, di 4-5×7-10 mm, a lobi molto divergenti separati da un seno largo e poco profondo, fortemente carenata; stilo di 2.5-3 mm, visibilmente sporgente dal seno; semi appiattiti, largamente ellittici, concavi su una faccia. Periodo di fioritura: (febbraio)-marzo-ottobre. Area d’origine: Asia sudoccidentale. Habitat: Margini erbosi, incolti, prati disturbati, aiuole, campi, colture (eliofila). Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla fascia planiziale a quella montana. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia da metà del Cinquecento. In Europa osservata per la prima volta in natura nel 1805: sfuggita alla coltura nei dintorni di Karlsruhe, si diffuse nella gran parte dei paesi europei nella seconda metà dell’Ottocento. In Lombardia già citata da Cesati (1844). Modalità d’introduzione: Deliberata (usi floricoli). Status: Invasiva. Dannosa: Relativamente. Impatto: Paesaggistico (gradevole), evidente nel periodo di massima fioritura. Inoltre condiziona negativamente la biodiversità delle cenosi segetali legate alla vegetazione cerealicola, sottraendo spazio a molte specie della classe Stellarietea mediae Tüxen, Lohmeyer & Preising in Tüxen 1950 e degli ordini Centaureetalia cyani Tüxen, Lohmeyer & Preising in Tüxen 1950 (su suoli ricchi in basi) e Chenopodietalia albi Tüxen (1937) 1950 (su suoli poveri di basi). Azioni di contenimento: Eventuale uso degli erbicidi comunemente impiegati in agricoltura per l’eliminazione delle dicotiledoni annuali. Note: Può essere confusa con V. filiformis (vedi scheda), che però è una pianta perenne, con fusti prostrati formanti un denso tappeto, foglie subrotonde con piccoli denti ottusi e pedicelli lunghi alla fioritura almeno il doppio della corrispondente foglia bratteale. Bibliografia: Cesati, 1844 220 221 veronica pellegrina Famiglia: Plantaginaceae Nome scientifico: Veronica peregrina L. Nome volgare: veronica pellegrina Sinonimo: Veronica chilensis Kunth Veronica peregrina L. var. xalapensis (Kunth) Pennell Veronica xalapensis Kunth Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 5-25 cm, con fusti, rami e foglie glabri. Foglie opposte, sessili; le inferiori oblanceolate, le superiori strettamente oblunghe, 1-2.5×0.2-0.6(-0.8) cm, con margine intero o dentato. Infiorescenze in racemi terminali e ascellari; brattee simili alle foglie, ma leggermente più piccole; pedicelli lunghi meno di 2 mm; calice con 4 lobi; corolla in genere bianca, rotata, di circa 2 mm. Frutto costituito da una capsula obcordata, fortemente compressa, più ampia che lunga. Periodo di fioritura: maggio-giugno. Area d’origine: Nordamerica centro-orientale. Habitat: Preferisce suoli umidi, in posizioni soleggiate o solo parzialmente ombreggiate. Di solito si rinviene in pozze temporaneamente umide presso aree boscate, comunque in aree soggette a disturbo antropico e con disponibilità di suolo nudo. È presente anche come infestante nei giardini. Distribuzione nel territorio: Presenza sporadica su tutto il territorio regionale, soprattutto nella fascia planiziale (50-400 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, naturalizzata in Italia dal Settecento. Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Tramite estirpazione manuale o sarchiatura. Note: Popolazioni con peli ghiandolari sono state rinvenute nel bresciano e cremonese (Zanotti, 2008); esse sono state descritte come var. xalapensis, ma sono prive di valore sistematico. Bibliografia: Viola, 1955 buddleja Famiglia: Scrophulariaceae Nome scientifico: Buddleja davidii Franch. Nome volgare: buddleja, buddleia, albero delle farfalle, lillà dell’estate Sinonimo: Buddleja variabilis Hemsl. Tipo biologico: nPcaesp Descrizione: Arbusto di 1-5 m di altezza, con fusti ramosi, piuttosto fragili, pubescenti da giovani e quasi tetragoni; corteccia bruno-grigiasta suddivisa in lunghe fibre longitudinali. Foglie picciolate o subsessili, opposte, lanceolate od ovato-lanceolate, lunghe 10-25 cm, acute e seghettate, verde scure di sopra e bianco-cotonose di sotto; le nervature sono infossate di sopra e sporgenti di sotto. Fiori numerosissimi, piccoli, tubulosi, lilla o porpora, con fauce arancione, molto profumati e riuniti in appariscenti grappoli terminali ai rami, stretti (cilindrici), lunghi 10-30 cm e penduli; il calice è bianco-tomentoso e piccolo, di 2.5 mm. I frutti sono delle piccole capsule contenenti numerosi semi alati. Periodo di fioritura: maggio-settembre. Area d’origine: Asia orientale (Cina). Habitat: Rive, vicinanze di corsi d’acqua, alluvioni, ghiaie, greti, ambienti ruderali e semiruderali (cave di ghiaia, pietra o marne), arbusteti meso-termofili e boschi ripariali (pioppeti, ontaneti, frassineti umidi e saliceti arborei). Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla fascia planiziale a quella submontana (0-1˙100 m s.l.m.), soprattutto lungo i fiumi e intorno ai laghi (Maggiore, Garda ecc.). Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (NAT), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1896; in Lombardia coltivata almeno dal 1920 e naturalizzata almeno dal 1931 a Brescia (Fiori, 1935). Modalità d’introduzione: Deliberata (coltivata per ornamento in parchi e giardini). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: È una specie fortemente invasiva, soprattutto su terreni degradati, aridi o ben drenati (ambienti fluviali o ruderali e perturbati dall’uomo), in quanto forma popolamenti densi che soppiantano la vegetazione indigena riducendo così la biodiversità delle comunità preesistenti e modificando la fisionomia del paesaggio naturale. L’estrema e capillare diffusione sul territorio regionale si deve al suo comportamento da pioniera: è, infatti, pianta rustica, che si adatta molto bene ad ogni tipo di suolo (pur preferendo quello calcareo), non teme il gelo sopportando temperature fino a -15°, ha un accrescimento rapido e si propaga vegetativamente grazie a stoloni sotterrranei e sessualmente mediante un’abbondante produzione di semi (fino a 3 milioni per pianta), che il vento riesce a trasportare a lunghe distanze. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia; è inoltre inserita tra le specie esotiche a carattere infestante e dannose per la conservazione della biodiversità riportate nel r.r. 5/2007. Azioni di contenimento: Taglio selettivo prima della fioritura, ripetuto per alcuni anni e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi, soprattutto in caso di ripollonamento; quindi si deve non lasciare il terreno nudo, ma favorire la vegetazione spontanea con la semina di specie indigene. Visto che sopporta molto bene anche le drastiche potature, che anzi la ringiovaniscono rendendola così più vigorosa, l’azione di contenimento migliore sarebbe quella di sradicare ogni singola pianta. Si dovrebbe anche intervenire preventivamente, soprattutto in vicinanza di zone sensibili, invitando i giardinieri e la popolazione a rinunciare al suo uso ornamentale sostituendola con altre specie o cultivar meno invasive, o addirittura con specie autoctone; in alternativa si potrebbe suggerire di potare la pianta prima della fruttificazione e bruciare la parte tagliata, evitando così la dispersione dei semi. Note: Nonostante sia nota come l’albero delle farfalle, in realtà è dannosa anche per loro poiché attira e nutre solo quelle cosiddette “generaliste”, mentre le farfalle “specialiste”, cioè quelle che per il loro ciclo vitale necessitano di determinate specie vegetali indigene, non sopravvivono se le loro piante nutrici si rarefanno in seguito all’invasività della buddleja. 222 Bibliografia: Fiori, 1935 223 vandellia delle risaie Famiglia: Linderniaceae Nome scientifico: Lindernia dubia (L.) Pennell Nome volgare: vandellia delle risaie, lindernia delle risaie Basionimo: Gratiola dubia L. Sinonimo: Capraria gratiolioides L. Gratiola anagallidea Michx. / Gratiola inaequalis Walter Ilysanthes attenuata (Muhl. ex Elliott) Small Ilysanthes dubia (L.) Barnhart Ilysanthes gratiolioides (L.) Benth. Ilysanthes inaequalis (Walter) Pennell Ilysanthes riparia Raf. Lindernia anagallidea (Michx.) Pennell Lindernia attenuata Muhl. ex Elliott Lindernia dubia (L.) Pennell var. anagallidea (Michx.) Cooperr Lindernia dubia (L.) Pennell var. riparia (Raf.) Fernald Lindernia gratiolioides (L.) J.Lloyd & Foucaud Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, glabra, alta 5-12 cm, con fusto eretto o prostrato, ramoso specialmente nella parte superiore. Foglie opposte, da ovate a obovate, di 8-25×5-15 mm, attenuate o arrotondate alla base, con margine dentellato. Fiori solitari all’ascella delle foglie, su peduncoli di 5-12 mm, di cui gli inferiori più brevi della foglia ascellante; calice regolarmente diviso in 5 lacinie lineari di 3-5 mm; corolla lunga 7-8 mm, bianco-rosea, con tubo strettamente campanulato e lembo bilabiato a labbro superiore minore, piano, eretto, bilobato e labbro inferiore maggiore, patente, a 3 lobi; stami 4, di cui 2 sterili (staminodi) e speronati alla base; ovario supero. Il frutto è una capsula setticida ovato-appuntita, subeguale al calice o più breve, contenente numerosi semi a testa foveolata. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Nordamerica sudorientale. Habitat: Risaie, greti, fanghi in ambito golenale. Distribuzione nel territorio: Planiziale, nella zona delle risaie e lungo il Po. Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Francia probabilmente con le navi da commercio nel 1850; in Italia e in Lombardia osservata per la prima volta nel 1927 nelle risaie del milanese (Stucchi, 1949a). Modalità d’introduzione: Accidentale (presumibilmente con i risi). Status: Invasiva. Dannosa: Sì, ma solo alla produzione risicola. Impatto: Infestante, che crea soltanto uno scarso disturbo alla biodiversità delle comunità vegetazionali di risaia. Azioni di contenimento: Eventuale diserbo in risaia. stregonia cigliata Famiglia: Lamiaceae Nome scientifico: Elsholtzia ciliata (Thunb.) Hyl. Nome volgare: stregonia cigliata Basionimo: Sideritis ciliata Thunb. Sinonimo: Elsholtzia cristata Willd. Elsholtzia patrinii (Lepech.) Garcke Mentha patrinii Lepech. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 30-70 cm, con fusti eretti, subglabri o puberuli. Foglie opposte, ovato-ellittiche, di 2-10×1-4 cm, acute, crenato-seghettate. Fiori in verticillastri biflori su spighe compatte, unilaterali, con brattee di 4-5(-7) mm, obovato-orbicolari, cuspidate, intere, leggermente più lunghe dei fiori; calice campanulato a 5 nervi, con 5 denti subeguali, lungo 1.5-2 mm, pubescente, accrescente nel frutto; corolla bilabiata, lilacina, lunga 3-4 mm, con tubo diritto, labbro superiore a cappuccio e labbro inferiore trilobato; stami 4, divergenti, con antere nero-purpuree, di poco eccedenti in lunghezza il labbro superiore; ovario supero. Il frutto è un trimario, cioè uno schizocarpo costituito da 4 nucule, nella fattispecie lisce o rugose esternamente. Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: Asia centro-orientale. Habitat: Incolti ruderali. Distribuzione nel territorio: Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dalla fine del Settecento. Segnalata per la prima volta in Italia in FriuliVenezia Giulia (Poldini, 1991), in Lombardia osservata dal 2002 (Macchi, 2005). Modalità d’introduzione: Deliberata (erboristeria). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante Azioni di contenimento: Non necessarie. Bibliografia: Macchi, 2005; Poldini, 1991 Note: Una variante dai peduncoli inferiori maggiori della foglia ascellante, dalle foglie inferiori ovate con base arrotondata o cordata e dalla capsula superante in lunghezza il calice venne identificata nel 1972 (Cook, 1973) sotto il binomio L. anagallidea (vandellia bellichina), risultando presente nelle risaie pavesi (oltre che vercellesi); anche questa specie appartiene al contingente floristico nordamericano. Una recente revisione del complesso di L. dubia (Lewis, 2000) riduce L. anagallidea a rango varietale; tuttavia secondo Brent & Wayne (2005), che hanno esaminato oltre 2200 campioni, esiste un ampio campo di variabilità che non sostiene le suddivisioni sistematiche di L. dubia. Del resto anche le recenti Standardliste della Germania (Fischer, 1998) e la Flora della Cina (Deyuan et al., 1998) sinonimizzano completamente queste specie. A fronte dell’entità esotica, ricorderemo L. procumbens (Krocker) Borbás (vandellia comune), autoctona a distribuzione eurasiatica, propria dei suoli fangosi meso-eutrofici, temporaneamente inondati. Si distingue facilmente per i fiori piccoli (corolla inferiore a 6 mm), provvisti di 4 stami funzionali e può essere anch’essa presente in ambiente di risaia. Bibliografia: Brent & Wayne, 2005; Cook, 1973; Deyuan et al., 1998; Fischer, 1998; Lewis, 2000; Pirola, 1964b; Stucchi, 1949a 224 225 mimolo macchiato Famiglia: Phrymaceae Nome scientifico: Mimulus guttatus DC. Nome volgare: mimolo macchiato Sinonimo: Mimulus luteus auct., non L. Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 20-50 cm, glabra (salvo peli ghiandolari sull’infiorescenza), con fusto ascendente, robusto, internamente cavo. Foglie opposte, le inferiori brevemente picciolate, le superiori sessili, largamente ovate, lunghe fino a 5 cm, irregolarmente dentate al margine, con apice acuto od ottuso. Fiori in racemi terminali 3-7-flori, ciascuno all’ascella di brattee, su peduncoli di 12-25 mm; calice lungo 15-20 mm, a 5 denti disuguali, il superiore dei quali più lungo e più largo degli altri; corolla di circa 40×30 mm, giallo vivo, con tubo cilindrico-campanulato e lembo bilabiato, ± punteggiata di rosso alla fauce, che è occlusa da una doppia linea di lunghi peli inseriti sul labbro inferiore; stami 4, didinami, inclusi nel tubo; ovario supero; stigma brevemente bilobo. Il frutto è una capsula loculicida con numerosi semi. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: Nordamerica (dall’Alasca al Messico). Habitat: Boscaglie, forre. Distribuzione nel territorio: Pavese (Valle della Vernavola in comune di Pavia). Pavia (NAT), Varese (CAS). [Mazus miquelii: Cremona (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia in Trentino-Alto Adige nel 1926 (Fiori, 1928, sub M. luteus), in Lombardia nel 1978 nel pavese (Gardini Peccenini, 1980). Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Estetico-paesaggistico, ma assai localizzato. Azioni di contenimento: Non necessarie. Note: Della stessa famiglia è stata recentemente segnalata (Zanotti, 1996 sub M. japonicus), come naturalizzata, Mazus miquelii Makino (= M. japonicus auct., non (Thunb.) Kuntze, = M. reptans N.E.Br.; mazus perenne), introdotta dal Giappone quale tappezzante da giardino. È un’erbacea perenne dai fusti ascendenti lunghi 10-15 cm, collegati da stoloni lunghi fino a 20 cm, radicanti o no ai nodi. Si riconosce subito per i fiori violetti o bianchi punteggiati di viola, lunghi 1.5-2 cm, bilabiati, con caratteristico labbro inferiore allargato orizzontalmente, trilobo, a lobo mediano obovato, più breve dei lobi laterali e labbro superiore eretto, breve. Non è nota un’eventuale potenzialità invasiva di questa specie. In Lombardia si trova ancora, casuale, Mazus pumilus (Burm.f.) Steenis (= Lobelia pumila Burm.f., = Mazus japonicus (Thunb.) Kuntze; mazus annuale), osservato a Villareale in comune di Cassolnovo (PV) (Desfayes, 1997) ed all’interno del Parco Regionale dell’Adda Sud in comune di Castiglione d’Adda (LO) (Francesco Zonca, in verbis), oltre che all’interno dell’Orto Botanico di Pavia (Peccenini Gardini, 1985). Bibliografia: Desfayes, 1997; Fiori, 1928; Gardini Peccenini, 1980; Peccenini Gardini, 1985 226 paulownia Famiglia: Paulowniaceae Nome scientifico: Paulownia tomentosa (Thunb.) Steud. Nome volgare: paulownia, paulonia Basionimo: Bignonia tomentosa Thunb. Sinonimo: Incarvillea tomentosa (Thunb.) Spreng. Paulownia imperialis Siebold & Zucc., nom. illeg. Paulownia tomentosa (Thunb.) Britton, comb. superfl. Tipo biologico: Pscap Descrizione: Albero alto sino a 20 m. Foglie maleodoranti, decidue, opposte oppure occasionalmente in verticilli di 3; lamina largamente ovata, lunga fino a 40 cm, sparsamente o densamente pubescente, con margine intero, a volte leggermente ondulato, apice acuto e base cordata. Infiorescenza formata da un’ampia pannocchia piramidale, eretta (tipo ippocastano), lunga sino a 50 cm; peduncolo dell’infiorescenza e peduncoli fiorali lunghi 1-2 cm; calice lungo circa 1.5 cm, campanulato, con 5 lobi lunghi da metà a poco più del tubo; corolla profumata, bilabiata e campanulata, ghiandolosa, di un vistoso lilla violetto, lunga 5-7.5 cm. Frutto costituito da una capsula biloculare, ovoide-appuntita, lunga 3-4.5 cm, appiccicoso-ghiandolosa, contenente semi alati, lunghi 2.5-4 mm. Periodo di fioritura: aprile-maggio. Area d’origine: Asia orientale (Cina). Habitat: Negli ambienti antropizzati, dove è maggiormente diffusa, cresce soprattutto lungo i margini stradali e nelle spaccature dei vecchi muri, qualche volta sui vecchi tetti. In ambienti a maggior naturalità si rinviene nelle boscaglie aperte e sulle rupi. Sembra prediligere suoli asciutti in posizione calda e soleggiata. Distribuzione nel territorio: Sporadicamente diffusa su tutto il territorio regionale (50-800 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia verso la metà del secolo XIX. In Lombardia segnalata da Giacomini (1950). Modalità d’introduzione: Deliberata, per parchi, giardini e alberature stradali. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Attualmente la specie non presenta popolazioni di consistenza numerica tale da comportare alterazioni della biodiversità e del paesaggio. Azioni di contenimento: Immediata rimozione del novellame. Controllo e possibile eradicazione degli esemplari fruttificanti mediante intervento meccanico (taglio alla base o cercinatura), da ripetersi sui polloni, eventualmente coadiuvato dall’uso localizzato di erbicidi sistemici. Note: È un albero coltivato diffusamente in parchi e giardini; inoltre come coltura legnosa a rapido accrescimento. La posizione sistematica delle Paulowniaceae è molto isolata, lontana sia dalle Bignoniaceae, nelle quali una volta erano incluse, sia dalle altre famiglie dell’ordine Lamiales. Bibliografia: Giacomini, 1950 227 catalpa cinese Famiglia: Bignoniaceae Nome scientifico: Catalpa ovata G.Don Nome volgare: catalpa cinese, albero dei sigari cinese Tipo biologico: Pscap Descrizione: Albero che può raggiungere 15 m d’altezza, con chioma espansa, largamente convessa nei vecchi esemplari. Foglie decidue, opposte, talvolta in parte verticillate; picciolo di 6-18 cm; lamina ampiamente ovata, di 25×25 cm, scabra, da sparsamente pubescente a glabra; margine intero o sinuoso, di norma con tre lobi; base cordata; apice acuminato. Fiori in larghe pannocchie terminali; peduncolo dell’infiorescenza sparsamente pubescente, lungo 12-28 cm; calice bilabiato, lungo 6-8 mm; corolla campanulata, giallo pallido (colore di fondo), di 2.5×2 cm, bilabiata; labbro superiore con 2 lobi, l’inferiore trilobo; fauce punteggiata di porpora, con due strie giallo scuro; stami didinami, i due fertili inclusi nella corolla; stilo filiforme, stigma bilobato. Il frutto è una capsula lineare allungata (“sigaro”), di 20-30×0.5-0.7 cm, pendula, con semi ellissoidali, piatti, di 6-8×3 mm circa, contornati da un’ala scariosa, brunastra. Periodo di fioritura: maggio-giugno. Area d’origine: Asia orientale (Cina). Habitat: Greto sassoso, in boscaglia con Populus nigra e Salix purpurea. Distribuzione nel territorio: Sinora rinvenuta spontanea solamente in una stazione planiziale lungo il Fiume Ticino, a ca. 160 m s.l.m. (Cascina Gaggio, Tornavento -VA-). Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XIX. Segnalata per la prima volta in Italia e in Lombardia da Banfi et al. (2009). Modalità d’introduzione: Deliberata, per ornamento. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Nell’unica località di rinvenimento, la specie sembra un componente naturale della boscaglia ripariale di colonizzazione del greto. La rinnovazione è abbondante, in particolare nei tratti scoperti del greto fluviale ciottoloso; l’accrescimento si mostra veloce e concorrenziale nei confronti delle essenze autoctone. Impatto e potenzialità invasiva dovranno quindi essere monitorati nell’immediato futuro. Azioni di contenimento: Immediata rimozione del novelleto. Controllo ed eventuale eradicazione degli esemplari fruttificanti mediante taglio alla base o cercinatura, da ripetersi sui polloni, eventualmente coadiuvato dall’uso locale di erbicidi sistemici. campanula serba Famiglia: Campanulaceae Nome scientifico: Campanula poscharskyana Degen Nome volgare: campanula serba Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne con pubescenza appressata; fusti numerosi, lunghi 15-20(-30) cm, lassi e spesso sdraiati. Foglie alterne, all’inizio densamente ispido-grigiatre, quindi glabrescenti, le basali picciolate, ovato-cordate, a margine doppiamente dentato, le cauline seghettate o intere, subsessili. Fiori lungamente peduncolati, riuniti in una pannocchia ampia e lassa; denti calicini 5, lanceolati, setoloso-cigliati, lunghi circa 4 volte il sottostante ovario; corolla largamente imbutiforme, violetta con fauce più o meno sbiancata, larga 20-25 mm; stami 5; ovario infero; stilo trifido. Il frutto è una capsula poricida contenente numerosi, minuti semi. Periodo di fioritura: luglio-agosto. Area d’origine: Europa sudorientale (ex-Jugoslavia occidentale). Habitat: Muri (in patria basi di rupi e pareti rocciose). Distribuzione nel territorio: Comasco (Lezzeno) e lecchese (Cernusco Lombardone). Como (NAT), Lecco (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, immessa recentemente sul mercato floricolo. Segnalata qui per la prima volta in Lombardia e in Italia (osservata da Graziano Cattaneo nel 2008 e da Silviana Mauri nel 2009). Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Estetico-paesaggistico locale. Azioni di contenimento: Eventuale eradicazione. Note: Diverse campanule di questo gruppo sono vendute nei garden center, la più in voga delle quali, dopo la specie in questione, è C. portenschlagiana Schult. (campanula dalmata). Quest’ultima, che proviene dalla medesima area geografica, si distingue facilmente per la corolla campanulata, non svasata, e per i margini fogliari sinuato-crenati anziché dentati o seghettati. Finora è stata osservata casuale a Pavia e Maresso (Missaglia, LC), ma non sembra essere stata capace di affermarsi fuori coltura; segnalata qui per la prima volta in Lombardia e in Italia (osservata da Nicola Ardenghi e Silviana Mauri nel 2009). Note: Altre due specie di Catalpa vengono ampiamente coltivate (spesso in cultivar diverse) dalla metà del XVIII secolo in parchi, giardini, alberature ecc. e non di rado sono state osservate casuali in natura; si tratta di: C. bignonioides Walter (catalpa comune, albero dei sigari), originaria degli USA sudorientali e caratterizzata da foglie puzzolenti, corolla lunga 3-3.5 cm e capsula larga 9 mm o più; C. speciosa (Warder) Engelm. (= C. bignonioides Walter var. speciosa Warder, = C. bignonioides auct., non Walter; catalpa vistosa, albero dei sigari), originaria degli USA nordorientali e caratterizzata da foglie non puzzolenti, corolla lunga 4-5 cm e capsula larga 13-18 mm. Le due specie sono molto simili tra loro anche dal punto di vista molecolare e a volte sono state trattate come conspecifiche (Li, 2008); entrambe si distinguono da C. ovata per la corolla più lunga (> 2.5 cm), dal colore di fondo bianco o roseo, e per la capsula più larga (> 7 mm). I popolamenti esotici casuali rinvenuti in Lombardia e in Italia sono stati sempre confusi e attribuiti esclusivamente a C. bignonioides. In Lombardia sono presenti entrambe (a differenza di quanto riportato da Banfi et al., 2009), ma al momento non è possibile precisarne la distribuzione. Dai pochi dati disponibili sembra che C. speciosa sia la più diffusa (almeno nelle province di Cremona, Lodi e Milano: Banfi & Galasso, osservazioni personali; Giordana, in verbis), mentre la vera C. bignonioides sarebbe presente almeno in provincia di Pavia (Ardenghi, in verbis 2009). Bibliografia: Banfi et al., 2009; Paclt, 1952 228 229 ambrosia comune Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Ambrosia artemisiifolia L. Nome volgare: ambrosia comune Sinonimo: Ambrosia elatior L. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta sino a 60 cm, eccezionalmente oltre 1 m. Foglie opposte alla base del fusto, nel resto alterne; picciolo lungo 25-35 mm; lamina largamente triangolare, lanceolata o ellittica, di 2.5-5.5(-10)×2-3 cm, 1-2 volte pennata con lacinie larghe 1-5 mm, sparsamente pelose; base cuneata. Fiori maschili tubulosi, riuniti in capolini unisessuali, composti da 12-20 o più fiori, raggruppati in racemi terminali eretti; stami singenesii, a dispersione pollinica anemofila; capolini femminili uniflori, all’ascella delle foglie poste immediatamente al di sotto dei capolini maschili. Frutto composto da un involucro monospermo, fusiforme, di 3(-5)×2 mm, con in genere 4-5 tubercoli inseriti all’apice. Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Ambienti disturbati, a copertura del suolo instabile, come margini stradali, binari ferroviari, discariche, cantieri, aree abbandonate, campi set-aside e campi incolti (stoppie), post-colture ecc. Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutta la regione, soprattutto in pianura e nei fondivalle fino a circa 500 m s.l.m.; in Pianura Padana localmente infestante e abbondantissima, spesso attorno alle metropoli. A quote crescenti si fa via via più rara, rifugiandosi in posizioni calde e riparate. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV). [A. psilostachya: Cremona (NAT), Lodi (NAT), Pavia (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, osservata per la prima volta in Europa nel 1863 a Pfaffendorf presso Beeskow nel Brandeburgo (Germania) e poi diffusasi in Gran Bretagna, Belgio, Olanda, Francia ecc.; il primo esemplare raccolto in Italia, ad Alba, è del 1902 (Vignolo-Lutati, 1935). Presente in Lombardia almeno dal 1940 (Stucchi, 1949b). Modalità d’introduzione: Accidentale, probabilmente con le colture (trifoglio, medica, patate ecc.). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Il principale aspetto negativo di questa pianta è di natura medico-sanitaria e deriva dall’enorme produzione di polline, quale causa molto seria di allergie (Dal Bo, 1980). È infatti una specie anemofila che, affidando il polline al vento, ne deve produrre in quantità elevatissime e caso vuole che questo polline sia uno tra i più allergenici che si conoscano. Le allergie che essa provoca sono particolarmente fastidiose e inabilitanti e sicuramente in aumento anche per il continuo peggioramento della qualità dell’aria; il problema sanitario è rilevante anche dal punto di vista del numero delle persone coinvolte (nelle zone infestate circa il 10% della popolazione). Inoltre è un competitore infestante, in grado di deprimere la biodiversità delle cenosi erbacee e di degradare il paesaggio. Costituisce anche un gravissimo problema economico: ad esempio, la stima della spesa sanitaria correlata all’allergopatia da ambrosia complessivamente sostenuta a livello della sola A.S.L. n° 1 della Provincia di Milano (2006) è risultata per l’anno 2005 pari a € 1˙610˙884.00. Allo stato attuale A. artemisiifolia non è sicuramente in fase di regressione, sia per l’estrema diffusione della specie, sia per l’inefficacia dei metodi di lotta adottati sinora, ma soprattutto per l’inadeguatezza dei controlli diretti al rispetto dell’ordinanza regionale. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia. Azioni di contenimento: Data l’estrema diffusione della pianta e l’intolleranza al suo polline, la Direzione Generale Sanità della Regione Lombardia nel 1997 ha istituito un apposito gruppo di studio e nel 1999 ha emanato un’ordinanza del Governatore (29 marzo 1999, n. 25˙522) contro la diffusione di questa specie tramite l’obbligo di tre sfalci da effettuarsi nelle terze decadi dei mesi di giugno, luglio e agosto. Con un successivo decreto del 2004 (4 maggio 2004, n. 7˙257) ha infine approvato le linee guida per la prevenzione delle sue allergopatie, che prevedono anche l’adozione di Ordinanze Sindacali che ne impongano il taglio periodico. Occorre tuttavia notare come esemplari in fioritura di A. artemisiifolia alti soltanto pochi centimetri, sopravissuti allo sfalcio, siano stati osservati di frequente. Ove possibile si rende necessario il mantenimento di una copertura vegetale stabile del suolo; in alternativa, si raccomanda l’uso di erbicidi, ovvero il sovescio estivo delle stoppie nei campi (Alleva, 2008). assenzio annuale Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Artemisia annua L. Nome volgare: assenzio annuale Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta fino a 150 cm, glabra e intensamente profumata di vermouth. Fusti eretti e striati, ramosi, spesso arrossati. Foglie 2-3-pennatosette, tenui, lunghe 3-4 cm, divise in lacinie larghe 0.5-0.8 mm, revolute al margine. Infiorescenza terminale, formata da numerosissimi piccoli capolini (calatidi) del diametro di 2 mm, subsessili, perlopiù penduli, con fillari (brattee) paglierini, verdi sulla nervatura, provvisti di largo margine ialino, disposti in ampia pannocchia fogliosa. Fiori tutti a corolla tubulosa, con 5 denti regolari, giallognola. I frutti sono minuscoli acheni senza pappo. Periodo di fioritura: agosto-ottobre. Area d’origine: Asia (Cina continentale steppica). Habitat: Sentieri, strade rurali, macerie, basi di muri ed edifici, ferrovie, scarpate, aree industriali abbandonate, infrastrutture edilizie, campi, colture, incolti ghiaiosi e sabbiosi. Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla pianura alla collina (0-500 m s.l.m.), localmente infestante e abbondantissima. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV). [A. scoparia: Cremona (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel Settecento; in Lombardia coltivata almeno dal 1785 (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785; Scopoli, 1785). Raccolta per la prima volta in natura al Viminale (Roma) nel 1890 (Chiovenda, 1897), in Lombardia è stata segnalata per la prima volta da Ugolini (1933) nel bresciano dove la raccolse già nel 1925 (Bianchini, 1967). Modalità d’introduzione: Deliberata (pianta medicinale ad azione antimalarica). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Deprime la biodiversità delle comunità vegetali invase riducendone la componente autoctona; modifica la percezione locale del paesaggio; contribuisce alle pollinosi allergiche del periodo estivo-autunnale. Azioni di contenimento: Falciature distribuite nei mesi di agosto, settembre e ottobre, per impedire la fioritura e la formazione di semi; eradicazione manuale in caso di infestazione circoscritta; erbicidi mirati per uso locale. Ove possibile provvedere al più presto a stabilizzare una copertura vegetale del suolo mediante semina o impianto di specie autoctone. Note: L’attuale presenza incontrollata della specie sul territorio nasce da coltivazioni tuttora in esercizio per l’estrazione dell’artemisinina, molecola di interesse medicinale in quanto dotata di azione antimalarica. Lungo il Po in provincia di Cremona (Isola Pescaroli e Isola Santa Maria) è stata trovata naturalizzata anche A. scoparia Waldst. & Kit. (assenzio da scope)(Petraglia & Antoniotti, 2004; Bonali et al., 2006a), neofita di origine esteuropea, introdotta in Italia all’inizio dell’Ottocento, simile ad A. annua ma bienne, alta 30-100 cm, con fusti eretti, subglabri e foglie glabre a segmenti terminali lineari, filiformi o setacei. Le calatidi, ovoidi o subsferiche, non maggiori di 2 mm, presentano fillari lucidi e sono disposte in racemo o pannocchia piramidale, con fiori profumati, a corolla rossastra. Bibliografia: Bianchini, 1967; Bonali et al., 2006a; Caramiello et al., 1987; Chiovenda, 1897; Hortus regius botanicus ticinensis, 1785; Petraglia & Antoniotti, 2004; Scopoli, 1785; Ugolini, 1933 Note: Occorre accennare alla presenza sul territorio regionale di un altra specie naturalizzata di ambrosia, A. psilostachya DC. (= A. coronopifolia Torr. & A.Gray; ambrosia delle sabbie), che differentemente da A. artemisifolia, è una pianta erbacea perenne, con foglie semplicemente pennate e porzione centrale indivisa della lamina fogliare larga 5-15 mm (in A. artemisifolia soltanto 1-5 mm). È stata osservata per la prima volta in Lombardia nel 1979 nel pavese da Soldano (1980a) ed è presente lungo il Po nelle province di Pavia, Lodi e Cremona. Infine si ricorda che A. trifida L. (ambrosia trifida) è stata osservata casuale in provincia di Pavia (Viola, 1953) e di Brescia (Zanotti, 1988a). 230 Bibliografia: Alleva, 2008; Arietti & Crescini, 1975; A.S.L. della Provincia di Milano N°1, 2006; Dal Bo, 1980; Soldano, 1980a; Stucchi, 1942, 1949b; Vignolo-Lutati, 1935; Viola, 1953; Zanotti, 1988a 231 assenzio dei fratelli Verlot Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Artemisia verlotiorum Lamotte Nome volgare: assenzio dei fratelli Verlot Sinonimo: Artemisia selengensis auct., non Turcz. ex Besser Artemisia umbrosa auct., non (Turcz. ex Besser) Turcz. ex DC. Artemisia vestita Wall. Artemisia vulgaris L. subsp. verlotiorum (Lamotte) Bonnier Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 50-200 cm, con intenso odore aromatico (vermouth); fusto eretto, ramoso, con lunghi rizomi o stoloni orizzontali striscianti. Foglie 1-2-pennatosette, verde scuro e glabrescenti di sopra, verde-grigiastro chiaro e pelose inferiormente, con lacinie intere; foglie superiori con segmenti di primo ordine interi. Capolini (calatidi) numerosi, ovoidi, subsessili, più lunghi che larghi, con fillari (brattee) glabrescenti, costituiti da numerosi fiori tubulosi a corolla bruna o rossastra; infiorescenza a pannocchia strettamente piramidale, fogliosa. I frutti sono acheni lunghi 2-3 mm, bruni, senza pappo. Periodo di fioritura: settembre-novembre. Area d’origine: Asia orientale (Cina). Habitat: Incolti, campi, vigne, sentieri, strade rurali, macerie, zone residenziali, base dei muri ed edifici, ferrovie, scarpate, suoli industriali abbandonati, margini e radure delle boscaglie, boschi ripariali disturbati (pioppeti, ontaneti, frassineti umidi, saliceti), fanghi e alvei fluviali. Distribuzione nel territorio: Ovunque, da 0 a 600 m s.l.m., soprattutto in pianura, lungo i fiumi, nelle città e, in generale, negli ambienti coltivati e ruderali condizionati dall’uomo. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta a Grenoble e Clermont-Ferrand (Francia) nel 1873, da dove si è rapidamente diffusa in tutta Europa, Italia inclusa (Pampanini, 1923, 1925, 1933). In Italia raccolta per la prima volta in Piemonte nel 1906 (Gola, 1910), ma forse già nel 1902 o anche nel 1896 in Veneto (Ugolini, 1923); in Lombardia raccolta nel 1910 (Cozzi, 1922), nel 1929 era già «universalmente diffusa» (Stucchi, 1929a). Modalità d’introduzione: Accidentale, a seguito alle guerre francesi in Cina di fine Ottocento. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Forte competitore allelopatico, caratterizzato da esuberanza espansiva (rapido allungamento e frazionamento dei rizomi), capace in breve tempo di stabilizzare popolamenti monofitici densi ed estesi, che impediscono o limitano fortemente la crescita delle altre specie erbacee. Tale aggressività, massimale sui suoli ricchi a umidità variabile, da leggeri a pesanti, da subacidi a subalcalini, è favorita da episodi ricorrenti di disturbo, fra cui incendi, scassi e movimenti terra in generale. È perciò dannosa per le superfici agricole e i seminativi, oltre, ovviamente, ad abbattere la biodiversità delle comunità vegetali visitate; è pure decisamente deleteria sul paesaggio, che banalizza fortemente monotonizzandolo. Infine, anche il polline è causa di guai, rientrando tra i più comuni fattori allergenici dell’aria di fine stagione. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia. Azioni di contenimento: La lotta contro questa aliena è molto difficile, perché eliminarne i rizomi è non soltanto un’impresa improponibile in termini di costi, ma anche il risultato non darebbe garanzie; inoltre l’uso degli erbicidi in questo caso va bandito in considerazione dell’estensione dei popolamenti e del fatto che questi sono per lo più compenetrati con le superfici agricole, urbane e boscate. Si può ipotizzare che tagli ripetuti prima della fioritura possano far progressivamente perdere vigore ai rizomi e portare lentamente la pianta a esaurimento, ma non esiste esperienza consolidata al riguardo. forbicina bipennata Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Bidens bipinnatus L. Nome volgare: forbicina bipennata Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 30-80 cm, con fusto striato, subtetragono, talvolta densamente ramificato, glabro. Foglie in prevalenza opposte, bipennatosette a contorno ovato, con segmenti laterali profondamente lobati, larghi 5-7 mm, il terminale lesiniforme e lungo fino a 22 mm; picciolo lungo fino a 10 cm, strettamente alato. Capolini (calatidi) cilindrici, del diametro di 1 cm, con 4-5 fiori periferici ligulati, gialli, gli altri tubulosi con corolla regolare a 5 denti, gialla; involucro lungo 6 mm, con 7-11 fillari (brattee) esterni, più corti degli interni. I frutti maturi sono acheni di colore nerastro, compressi, lunghi circa il doppio dell’involucro del capolino (9 mm), con 2-3(-4) reste apicali retrorsamente setolose, lunghe 3 mm. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Colture, campi, vigneti, incolti, rupi, muri, ripari sotto roccia, bordi stradali, marciapiedi, binari ferroviari e dei tram. Distribuzione nel territorio: Presenza ± sporadica su tutto il territorio regionale, soprattutto nella fascia planiziale e collinare (0-500 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). [B. subalternans: Como (NAT), Milano (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in coltivazione in Italia agli inizi del XVIII secolo e naturalizzata poco dopo. Già citata da Pollini (1822b) per il bresciano. Modalità d’introduzione: Volontaria (pianta coltivata in Orto botanico) e successiva diffusione accidentale (adesione dei disseminuli a qualsiasi tipo di tessuto o imballaggio). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante Azioni di contenimento: Estirpazione manuale o sarchiatura. Predilige le esposizioni calde, apprezzando le isole di calore delle città, per cui non tende a inserirsi nel contesto rurale né in altre situazioni direttamente condizionate dal mesoclima. Tenendo conto, tuttavia, dell’invasività di questa specie in patria (Nordamerica) e del processo di riscaldamento globale, che interessa anche il nostro territorio, è opportuno un periodico monitoraggio. Note: Una neofita affine, parimenti naturalizzata (rara) in Lombardia, è B. subalternans DC. (= B. bipinnatus auct., non L.; forbicina sudamericana), che si distingue per lo sviluppo maggiore (fino a 160 cm), le foglie con un profilo strettamente triangolare e i segmenti più stretti quasi lineari (foglie con profilo largamente triangolare e segmenti larghi in B. bipinnatus), in genere pelosi sulla pagina inferiore anche tra i nervi (in B. bipinnatus solo al margine e lungo i nervi), le reste degli acheni perfettamente erette (leggermente piegate all’infuori in B. bipinnatus). Allo stato attuale non crea problemi. Si fa presente che, sebbene Linneo abbia trattato il genere Bidens come femminile, in base all’art. 62.2(a) del Codice Internazionale di Nomenclatura Botanica (McNeill et al., 2006) deve essere considerato maschile. Vi è stata tuttavia una proposta di conservarlo al femminile (Harriman, 1998), che, anche se inizialmente accolta e raccomandata dal Comitato per le Spermatophyta (Brummitt, 2000), non è stata in seguito recepita nell’elenco dei nomi generici conservati (McNeill et al., 2006, App. III). Bibliografia: Brummitt, 2000; Harriman, 1998; McNeill et al., 2006; Pollini, 1822b Note: Può essere confusa con il falso assenzio (Artemisia vulgaris L.), specie autoctona propria delle comunità di erbe perenni in ambiente secondario, che si distingue per l’assenza quasi totale di aroma, per non possedere rizomi o stoloni evidenti (pianta cespitosa) e per le foglie superiori con segmenti di 1° ordine dentati o pennatosetti, visibilmente bianco-tomentosi o cenerino-tomentosi sulla faccia abassiale. Nel territorio è stato rinvenuto anche l’abrotano (A. abrotanum L.), neofita di area mediterranea dal caratteristico odore di limone, con fusti legnosi ramosissimi (frutice), glabri, foglie completamente divise in lacinie filiformi e capolini subsferici (2-5 mm), con ricettacolo glabro. Era coltivata nei secoli passati (orti dei semplici) per le proprietà medicinali e aromatiche e ora si ritrova in territorio lombardo in forma di relitto casuale e precario nei pressi di orti, coltivi e in aree ruderali. 232 Bibliografia: Bini Maleci & Bagni Marchi, 1983; Caramiello et al., 1987; Cobau, 1940; Cozzi, 1922; Gola, 1910; Pampanini, 1923, 1925; Pampanini, 1933; Stucchi, 1929a; Ugolini, 1923 233 forbicina peduncolata Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Bidens frondosus L. Nome volgare: forbicina peduncolata Basionimo: Bidens melanocarpus Wiegand Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta fino a 150 cm, con fusto eretto o ascendente, liscio, cavo, ramificato, glabro ed oscuramente quadrangolare, spesso arrossato. Foglie picciolate, opposte, le basali semplici a contorno lanceolato, le cauline maggiori e divise in 3 segmenti lanceolati, di cui il centrale sorretto da un piccioletto lungo fino a ½ della lamina; il margine dei segmenti è dentato, l’apice acuto. Capolini (calatidi) con fillari (brattee) brevi, membranosi, non raggianti, delineanti un involucro ovato o cilindrico; i fiori hanno tutti corolla tubulosa, con 5 denti, giallo-aranciata. I frutti sono acheni nerastri di 6-12 mm, strettamente rettangolari, a base attenuata, appiattiti, con setole erette ai margini e 2 reste apicali, a loro volta provviste di setole retrorse (per l’aggancio al vettore di disseminazione). Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Ambienti umidi secondari e di degrado, di norma su base fangosa, soggetti a inondazioni temporanee: fossi, alvei, sponde di cave e stagni, solchi umidi nei campi e nei prati, depressioni nei sentieri, strade rurali e urbane, pioppeti, boschi ripariali. Distribuzione nel territorio: Comune in tutta la regione, dalla fascia planiziale alla collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XVIII secolo, in Lombardia è presente almeno dal 1943 (Stucchi, 1949b). Modalità d’introduzione: Volontaria (pianta coltivata in Orto botanico) e successiva diffusione accidentale (adesione dei disseminuli a qualsiasi tipo di tessuto o imballaggio). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Elevata competitività vegetativa e riproduttiva (semi) caratterizzano il successo incondizionato di questa aliena nelle aree umide disturbate ed eutrofizzate. In particolare, i formidabili appigli del disseminulo garantiscono alla pianta una diffusione della massima efficienza, che si realizza per epizoocoria attraverso il pelo degli animali e gli abiti umani, oltre, naturalmente, a qualsiasi opportunità di trasferimento “non protocollare”, come l’acqua di ruscellazione piovana o quella dei corsi d’acqua, sulla quale i disseminuli galleggiano (idrocoria). Nel complesso la specie condiziona soprattutto la diversità floristica delle comunità vegetali igrofile, mentre è meno determinante sul paesaggio. Il peggior danno, dai più ignorato, la forbicina peduncolata, americana, l’ha perpetrato nei confronti della forbicina europea (B. tripartitus L.), spodestandola letteralmente dal suo habitat e relegandola a piccoli popolamenti residui, precari e sparpagliati (Gruberová et al., 2001; Gruberová & Prach, 2003). Il fenomeno ha registrato un’impennata a partire dagli anni ‘60 del passato secolo, in concomitanza con la fine dell’agroeconomia tradizionale e l’espansione urbanisticoindustriale. Infine ricordiamo che i frutti di B. frondosus, analogamente a quelli di certe graminacee dei generi Anisantha, Hordeum, Stipa ecc., possono provocare infezioni dolorose nei cani (specialmente cani da caccia), infilandosi sotto la cute attraverso la pelliccia, nelle orecchie, nelle narici e anche in gola. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia. Azioni di contenimento: Pensare di eliminare la pianta con interventi mirati come quelli generalmente suggeriti per le altre aliene è del tutto illusorio, perché B. frondosus è ormai integrata nelle comunità erbacee d’ambiente umido di tutto il territorio, in buona parte avendo preso il posto di B. tripartitus. Non resta che tentare di agire nel quadro di un recupero generale degli ambienti umidi, dove il miglior intervento proponibile non può che nascere da un insieme di azioni volte ad abbassare il grado di eutrofizzazione in direzione delle comunità meso-oligotrofiche; questa nuova condizione abbasserebbe anche la competitività dell’aliena, risolvendo il problema della sua invasività. cotula neozelandese Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Cotula australis (Sieber ex Spreng.) Hook.f. Nome volgare: cotula neozelandese Basionimo: Anacyclus australis Sieber ex Spreng. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta fino a 20 cm, villoso-cenerina, con fusti eretti o decombenti. Foglie alterne, 2-pennatifide. Capolini (calatidi) terminali e ascellari, peduncolati, del diametro di 4-5 mm; involucro con fillari (brattee) in 2 serie; ricettacolo piano, privo di pagliette; fiori peduncolati (peduncoli persistenti sul ricettacolo dopo la caduta dei frutti), i periferici femminili, privi di corolla, portati da lunghi peduncoli, gli interni bisessuali o funzionalmente maschili, su brevi peduncoli, con corolla compresso-tubulosa a 4 denti. Acheni (cipsele) dei fiori femminili compressi, quelli dei fiori bisessuali piano-convessi; pappo assente. Periodo di fioritura: giugno-luglio. Area d’origine: Australia meridionale, Nuova Zelanda. Habitat: Lastricati stradali. Distribuzione nel territorio: Fascia planiziale, termofila. Cremona (EST). Periodo d’introduzione: Neofita, arrivata in Italia probabilmente nel XX secolo. Segnalata in Lombardia per il centro storico di Cremona da Galasso & Bonali (2008) e Bonali (2008); successivamente scomparsa in seguito ad azioni di diserbo. Modalità d’introduzione: Ignota, probabilmente accidentale col commercio della lana. Status: Estinta. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Note: In ordine temporale è la seconda specie di Cotula naturalizzatasi in Italia, la prima essendo C. coronopifolia L. (Sudafrica), ben distinta per l’altezza maggiore, per le foglie intere o con pochi denti o lobi e per i capolini più grandi (5-10 mm). Per fortuna quest’ultima non interessa nemmeno potenzialmente la Lombardia, in quanto legata in modo significativo agli ambienti umidi subsalsi. Bibliografia: Bonali, 2008; Galasso & Bonali, 2008 Note: Relativamente al genere grammaticale del genere Bidens si veda la nota a B. bipinnatus. Bibliografia: Giacomini, 1950; Gruberová et al., 2001; Gruberová & Prach, 2003; Stucchi, 1949b 234 235 radicchiella di Terrasanta Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Crepis sancta (L.) Bornm. subsp. nemausensis (Gouan) Babc. Nome volgare: radicchiella di Terrasanta Basionimo: Crepis nemausensis Gouan Sinonimi: Crepis sancta auct., non (L.) Bornm. Lagoseris sancta (L.) K.Malý subsp. nemausensis (Gouan) Thell Trichocrepis nemausensis (Gouan) Bubani Tipo biologico: Tscap Descrizione: Erba annuale di piccole dimensioni, alta 5-20(-40) cm. Foglie basali ravvicinate a rosetta, oblanceolato-spatolate, di 2-10×0.5-2 cm, picciolate, con margine dentellato; foglie cauline ridotte, squamiformi. Scapi con 0-2 ramificazioni terminate da 2-10 capolini (calatidi) disposti in cime corimbose; questi ultimi con involucro cilindrico di 8-11×6-8 mm, formato da fillari (brattee) in più serie, dei quali, alla fioritura e all’inizio della fruttificazione, gli interni (più grandi) larghi (1.2-)1.5-1.8(-2) mm, più o meno rigonfi in frutto; fiori gialli, tutti ligulati; acheni affusolati, lunghi 5-7 mm, gli esterni con 3 ali longitudinali. A di cui le 2 laterali eccedenti in larghezza lo spessore dell’achenio stesso. Periodo di fioritura: aprile-maggio. Area d’origine: Mediterraneo-turanica. Habitat: Vigneti, ruderati, margini stradali assolati. Distribuzione nel territorio: Fasce planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (INV), Cremona (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (CAS). Periodo d’introduzione: Neofita, arrivata in Italia alla fine del Settecento; raccolta per la prima volta in Lombardia nel 1897 a Luino (Becherer, 1951). Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Invasiva. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante, infestante nei vigneti. Note: L’unica sottospecie di Crepis sancta sinora segnalata in Italia è la subsp. nemausensis (= subsp. sancta auct.), come anche evidenziato dalle integrazioni alla Checklist italiana (Conti et al., 2007). I caratteri distintivi sono quelli, ad esempio, presenti nella flora dello Zangheri (1976), che riprende Babcock (1947): subsp. nemausensis: acheni periferici da oblunghi a lanceolati, dorsalmente striati, con ali laterali larghe; brattee involucrali interne all’estremità larghe (1.2-)1.5-1.8(-2) mm durante la fioritura, poi più o meno rigonfie in frutto; involucro di 6-8 mm di diametro nel mezzo, in frutto; corolla di 8-12 mm. subsp. sancta: acheni periferici lineari-lanceolati, dorsalmente lisci, con ali laterali strette; brattee involucrali interne all’estremità larghe (0.8-) 1-1.1(-1.5) mm durante la fioritura, poi di rado un po’ rigonfie nel frutto; involucro di 4-5 mm di diametro nel mezzo, in frutto; corolla di 7-13 mm. Entità mediterranea in senso ampio, attualmente è in espansione anche verso nord. Bibliografia: Babcock, 1947; Banfi & Galasso, 1998, 2005; Becherer, 1951; Bonali & D’Auria, 2005; Bonali et al., 2006a; Conti et al., 2007; Crescini et al., 1992; Crosato et al., 1988; Tagliaferri & Perico, 2002; Zangheri, 1976; Zanotti, 1993b; Zodda, 1957 cespica comune Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Erigeron annuus (L.) Desf. Nome volgare: cespica comune, cespola Basionimo: Aster annuus L. Sinonimi: Erigeron annuus (L.) Desf. s ubsp. septentrionalis (Fernald & Wieg.) Wagenitz Erigeron annuus (L.) Desf. subsp. strigosus auct., non (Mühl. ex Willd.) Wagenitz Erigeron annuus (L.) Pers., comb. superfl. Erigeron ramosus (Walter) Britton, Sterns & Poggenb., non Raf., var. septentrionalis Fernald & Wieg. Erigeron strigosus auct., non Mühl. ex Willd. Stenactis annua (L.) Cass. ex Less. / Stenactis annua (L.) Nees, comb. superfl. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta fino a 150 cm, ispida per peli patenti, raramente appressati, con fusto eretto, semplice o ramoso nella parte superiore. Foglie basali in rosetta, obovate, lungamente picciolate, grossolanamente dentate; foglie cauline sessili, lanceolate o lineari e perlopiù intere, con margine cigliato, progressivamente raccorciate, alterne, verde chiaro, provviste di 3-5 denti per lato, pubescenti su entrambe le facce. Capolini (calatidi) numerosi, del diametro di 15 mm, terminali ai rami, con involucro a forma di coppa, largo 7 mm; fiori periferici ligulati, da bianchi a più o meno soffusi di violaceo, lunghi fino a 9 mm, quelli del disco gialli, con corolla tubulosa, regolare, a 5 denti patenti a stella. I frutti sono acheni subcilindrici provvisti di pappo con peli in 2 serie, di cui gli esterni più brevi. Periodo di fioritura: giugno-novembre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Ambienti ruderali e semiruderali (città, sentieri, strade rurali, macerie, aree abbandonate, base dei muri ed edifici, ferrovie e scarpate), prati e pascoli aridi, luoghi pietrosi, greti, margini erbosi di boscaglie, campi, colture, incolti, aree incendiate, pioppeti e ambienti umidi in genere. Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutto il territorio regionale (0-1˙200 m s.l.m.), soprattutto nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia sin dal principio del Settecento e già largamente naturalizzata alla fine del medesimo secolo; in Lombardia è sicuramente naturalizzata da prima del 1791 (Scannagatta & Maderna, 1793). Modalità d’introduzione: Volontaria (pianta ornamentale). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Un’elevata competitività consente a questa specie di formare densi popolamenti monofitici, anche molto estesi; la sua diffusione è favorita da episodi di disturbo ricorrente, fra cui principalmente i movimenti terra. Nel complesso questa specie è essenzialmente deleteria sulla biodiversità vegetale e sul paesaggio, risultando talora problematica anche in ambito agrario. Azioni di contenimento: Occorre innanzitutto evitare azioni che facilitano la diffusione della specie, come lasciare il suolo denudato, favorendo la colonizzazione via seme, o movimentazioni del suolo, che possono determinare il trasloco incontrollato di plantule. Si interviene con falciature selettive (da ripetersi 2-3 volte prima della fioritura), accompagnate da eventuale impiego di erbicidi (soprattutto per i campi coltivati); provvedere immediatamente, ove possibile, alla semina di specie indigene erbacee oppure arbustive a fine di ombreggiamento. Note: In base a una recente indagine morfologica e citologica (Frey et al., 2003) Erigeron annuus subsp. septentrionalis rientra nella variabilità morfologica del tipico E. annuus; spesso nel corso dell’anno si assiste, nello stesso individuo, a un graduale passaggio dal morfotipo annuus a quello septentrionalis. Al contrario, E. strigosus (cespica setolosa) merita autonomia a rango di specie. E. annuus è triploide e apomittico, mentre E. strigosus è prevalentemente diploide (raramente tetraploide) e anfimittico. Inoltre, studi sulle sequenze geniche (Noyes, 2000) mostrano che E. annuus ed E. strigosus hanno ITS diversi: E. strigosus appare sister di E. tenuis Torr. & A.Gray; entrambi, poi, sono sister di E. annuus. Sempre secondo Frey et al. (2003) non ci sono prove della effettiva presenza in Europa di E. strigosus e pertanto le varie segnalazioni, come quella di Arietti & Crescini (1980) o di Aeschimann et al. (2004), sono da riferirsi a E. annuus. 236 Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Arietti & Crescini, 1980; Frey et al. 2003; Noyes, 2000; Scannagatta & Maderna, 1793 237 saeppola di Buenos Aires Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Erigeron bonariensis L. Nome volgare: saeppola di Buenos Aires Basionimo: Crepis nemausensis Gouan Sinonimi: Conyza ambigua DC. Conyza bonariensis (L.) Cronquist Conyza linifolia (Willd.) Täckh. Conyzella linifolia (Willd.) Greene Erigeron ambiguus (DC.) Sch.Bip. Erigeron crispus Pourr. Erigeron linifolius Willd. Leptilon bonariense (L.) Small Leptilon linifolium (Willd.) Small Marsea bonariensis (L.) V.M.Badillo Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 5-60 cm, con fusto eretto, striato, provvisto di peli eretti e appressati. Foglie uninervie, pubescenti per pelosità ispida, con margine da grossolanamente dentato a intero, verdi-grigiastre, le inferiori con breve picciolo, lineari-lanceolate (30-80×10 mm), le superiori amplessicauli, alterne, strettamente lineari (30-50×2-10 mm) e progressivamente più brevi verso l’alto. Capolini (calatidi) del diametro di 5-6 mm, più o meno globosi (a botticella), riuniti in pannocchie o racemi corimbosi all’apice del fusto; involucro formato da fillari (brattee) ispidi, imbricati in 2 serie; ricettacolo piano, con diametro di 3.5 mm. Fiori bianco-giallastri, i periferici femminili, privi di corolla. Acheni con pappo giallo-rossastro. Periodo di fioritura: giugno-settembre. Area d’origine: Sudamerica tropicale (Argentina settentrionale). Habitat: Campi, colture, vigne, incolti aridi, ambienti ruderali e semiruderali (sentieri, strade rurali, macerie, aree abbandonate, base dei muri ed edifici, ferrovie e scarpate). È la più termofila delle specie di Erigeron presenti in territorio regionale. Distribuzione nel territorio: Pianura e collina (0-600 m s.l.m.), nelle zone più calde. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Lecco (NAT), Milano (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XVIII secolo; in Lombardia coltivata almeno dal 1785 (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Scopoli, 1785) e naturalizzata almeno dal 1982 (Pignatti, 1982). Modalità d’introduzione: In Europa sembra essere stata introdotta involontariamente attraverso il commercio della lana (Sanz Elorza et al., 2004). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Pianta non problematica, predilige terreni eutrofici, smossi e con buona dispersione d’aria, quindi ambienti disturbati (ruderati), sabbie fluviali e coltivi. Azioni di contenimento: Al momento non sembrano necessarie. Note: Fra le tre saeppole presenti in Lombardia, questa è certamente la meno diffusa a causa delle esigenze termiche, che la vedono distribuita principalmente nelle regioni mediterranee della nostra penisola e nelle isole. Bibliografia: Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Pignatti, 1982; Sanz Elorza et al., 2004; Scopoli, 1785 saeppola canadese Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Erigeron canadensis L. Nome volgare: saeppola canadese Sinonimi: Aster canadensis (L.) E.H.L.Krause, non (L.) Kuntze, nom. illeg. Conyza canadensis (L.) Cronquist Conyzella canadensis (L.) Rupr. Erigeron myriocephalus Rech.f. & Edelb. Erigeron paniculatus Lam., nom. illeg. Erigeron pusillus Nutt. Erigeron ruderalis Salisb., nom. illeg. Leptilon canadense (L.) Britton & A.Br. Leptilon pusillum (Nutt.) Britton Marsea canadensis (L.) V.M.Badillo Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta fino a 150 cm, con fittone sottile e fusto eretto, cilindrico, provvisto di peli patenti, ramificato apicalmente nell’infiorescenza. Foglie glabre o provviste di corti peli, più o meno dentate, generalmente di color verde tenero o verde-giallo, le basali lineari-subspatolate, in rosetta, con evidente picciolo, le cauline lineari-lanceolate (30×2 mm), uninervie, con ciglia setolose patenti al margine. Capolini (calatidi) numerosissimi, piccoli (3-5 mm), cilindrico-piriformi, riuniti in ampia pannocchia piramidata o corimbosa; fillari (brattee) su 3 serie largamente spiralate; fiori periferici femminili, con ligula breve ma evidente, biancastra o rosata, gli interni regolari, a corolla tubulosa con 5 denti apicali, in quelli centrali biancastra o giallognola. I frutti sono acheni minuti (1 mm) provvisti di un pappo lungo 3 mm, bianco sporco. Periodo di fioritura: giugno-ottobre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Incolti aridi, campi, vigne, ambienti ruderali e semiruderali (città, strade, ferrovie, sentieri, macerie, aree abbandonate, base dei muri ed edifici, scarpate), tagli rasi forestali, schiarite, zone incendiate, cave di ghiaia, greti dei fiumi, affioramenti rocciosi, ambienti sabbiosi e pietraie. Distribuzione nel territorio: In tutto il territorio regionale (0-1˙200 m s.l.m.), dalla fascia planiziale a quella montana. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dalla prima metà del Seicento si è presto naturalizzata; in Lombardia è naturalizzata almeno dal 1763 (Provasi, 1924). Modalità d’introduzione: Deliberata all’interno degli Orti botanici, da dove si è diffusa accidentalmente. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: È caratterizzata da un’elevata competitività, che si manifesta in ogni situazione di degrado con la formazione stagionale di densi popolamenti, estesi fino a parecchie centinaia di metri quadrati. Tale aggressività è negativa specialmente nei confronti delle colture agrarie e dei pascoli (la specie non è appetita dal bestiame), come pure della biodiversità e del paesaggio. I fiori sono facoltativamente autogami ed entomofili, per cui difficilmente rilasciano polline nell’aria, tuttavia si è dimostrato che lo stesso polline può provocare dermatiti da contatto in soggetti sensibili. Il successo invasivo della pianta è garantito dall’incredibile numero di semi (200.000) prodotti da ogni individuo di dimensioni medie, i quali viaggiano e si distribuiscono su ampi spazi con i movimenti d’aria, combinato con la continua esposizione di suolo determinata dall’azione antropica. La saeppola canadese predilige, infatti, i terreni smossi o a granulometria grossolana, con forte dispersione d’ossigeno. Azioni di contenimento: Occorre evitare azioni promuoventi la diffusione della specie, come l’abbandono di suolo nudo, che ne favorisce l’insediamento, gli incendi e i movimenti di terra in genere. Si può intervenire meccanicamente (lavorazione del terreno e sfalcio selettivo da ripetersi più volte prima della fioritura) o con l’impiego di erbicidi. Ove possibile, provvedere immediatamente alla semina di specie indigene erbacee, oppure arbustive a fini di ombreggiamento. Bibliografia: Provasi, 1924 238 239 saeppola biancastra Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Erigeron sumatrensis Retz. Nome volgare: saeppola biancastra Sinonimi: Conyza albida Willd. ex Spreng. [1826] Conyza altissima Naudin & Debeaux ex Debeaux Conyza floribunda Kunth Conyza naudinii Bonnet Conyza sumatrensis (Retz.) E.Walker Erigeron albidus (Willd. ex Spreng.) A.Gray Erigeron floribundus (Kunth) Sch.Bip Erigeron naudinii (Bonnet) Humbert, comb. superfl. Erigeron naudinii (Bonnet) P.Fourn. Erigeron sumatrensis Retz. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale verde-grigiastra o più o meno cenerina, di dimensioni a volte ragguardevoli (fino a 200 cm), con fusto robusto, eretto, ispido, cilindrico, a volte ramoso dalla base. Foglie: le basali in rosetta, le cauline inferiori, che persistono secche all’antesi, oblanceolato-lineari (15×10 cm), con scarsi dentelli al margine e nervature laterali evidenti; le cauline superiori lineari-lanceolate, generalmente più piccole, alterne, subintere e pubescenti su entrambe le facce. Capolini (calatidi) numerosi, cilindrico-piriformi, > 5 mm, riuniti in ampia pannocchia terminale, piramidata o corimbosa. Fillari (brattee) in 3 serie, lineari-lanceolati, acuti; fiori tutti tubulosi con corolla a 5 denti, bianco-giallastra, zigomorfa e con un dente bifido (rudimento di ligula). Frutti ad achenio di piccole dimensioni, provvisto di un pappo bianco sporco, rossastro a maturità. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: America tropicale. Habitat: Incolti aridi e ambienti ruderali e semiruderali (sentieri, strade rurali, macerie, aree abbandonate, base dei muri ed edifici, ferrovie, scarpate e luoghi calpestati), greti dei fiumi. Distribuzione nel territorio: Distribuita su tutto il territorio regionale (0-600 m s.l.m.), dalla fascia planiziale a quella collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, diffusasi in Europa a partire dall’Orto Botanico di Collioure in Francia nel 1878, ove era giunta accidentalmente; segnalata per la prima volta in Italia (Lombardia inclusa) da Anzalone (1964, 1965), che afferma essere conosciuta dal 1940 se non prima nei dintorni di Pesaro, in precedenza confusa con altre specie (E. canadensis ed E. bonariensis). Modalità d’introduzione: Accidentale. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Ha soprattutto un’influenza negativa sulla diversità vegetale e sul paesaggio. Il suo ingresso e la sua diffusione sono favorite dall’enorme numero di semi leggeri prodotti (più di 200˙000 per ogni pianta di buone dimensioni), che sono poi facilmente dispersi dal vento (disseminazione anemocora), ma anche dai ricorrenti episodi di disturbo antropogeno, come sfalci e movimenti terra, preferendo, infatti, gli ambienti urbani e ruderali e gli ambienti fluviali, dove il terreno è arido o ben drenato. Azioni di contenimento: Occorre innanzitutto evitare azioni che ne facilitano la diffusione, come la presenza di suolo nudo, che ne favorisce l’insediamento da seme, e i movimenti di terra. Il contenimento può avvenire attraverso azioni meccaniche (la lavorazione del terreno e lo sfalcio selettivo da ripetere più volte prima della fioritura) coadiuvate da azioni chimiche, come l’impiego di erbicidi. Dove possibile si può provvedere immediatamente alla semina con specie indigene o alla piantumazione di arbusti ombreggianti. cespica di Karvinski Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Erigeron karvinskianus DC. Nome volgare: cespica di Karvinski, vittadinia Sinonimi: Erigeron karvinskianus DC. var. mucronatus (DC.) Asch. Erigeron karvinskianus DC. var. mucronatus (DC.) Hieron., comb. superfl. Erigeron mucronatus DC. Vittadinia triloba hort., non DC. Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta perenne erbacea, alta 20-40 cm, con fusti prostrati o arcuato-ascendenti, ramosissimi, con ramificazioni erette. Foglie d’inizio stagione spatolato-subrotonde, in rosette, le successive lanceolate, acute, di 15×5 mm, con un dente su ciascun lato; foglie cauline spatolato-lineari, lunghe 13-22 mm, acute, uninervie. Capolini (calatidi) numerosi, del diametro di 1.5 cm, con involucro cilindrico; fiori del raggio disposti in più serie, con ligule patenti di 6-7 mm, da bianche a roseo-vinose; fiori del disco a corolla tubulosa, regolare, 5-dentata, gialla. Frutti, acheni provvisti di pappo bianco sporco. Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: Nordamerica e America tropicale. Habitat: Rupi umide, muri, ripari sotto roccia, ingressi di grotte, parchi, giardini, viali, monumenti e cimiteri. Distribuzione nel territorio: Fino alla fascia montana, più rara in pianura. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (INV), Cremona (CAS), Lecco (INV), Monza e Brianza (NAT), Milano (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia alla fine del XIX secolo (all’Orto Botanico di Napoli almeno dal 1880); in Lombardia naturalizzata almeno dal 1896 (Lenticchia 1896; Micheletti, 1901). Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Influisce negativamente sulla biodiversità degli habitat rupestri, inclusi manufatti come muri e muretti umidi, dove la specie si comporta da competitore aggressivo. Azioni di contenimento: Taglio selettivo, da effettuarsi prima della fioritura e da ripetersi per alcuni anni, eventualmente coadiuvato dall’impiego di erbicidi, oppure eradicazione completa. Si dovrebbe intervenire in via preventiva soprattutto attorno alle aree naturalisticamente rilevanti (aree protette), promuovendo una cultura della eliminazione di questa specie nel giardinaggio e nel mercato ortofloricolo. Bibliografia: Lenticchia, 1896; Micheletti, 1901 Note: È l’Erigeron più alto tra quelli esotici presenti in Lombardia, differenziandosi dagli altri anche per i capolini più grandi e le foglie più larghe con nervature laterali evidenti. E. bonariensis, anch’esso con fiori tutti tubulosi è, infatti, più basso (10-60 cm) e con capolini più piccoli, mentre E. canadensis, ha fiori periferici brevemente ligulati; E. annuus ed E. karvinskianus hanno, invece, capolini con ligule lunghe. Bibliografia: Anzalone, 1964, 1965 240 241 galinsoga comune Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Galinsoga parviflora Cav. Nome volgare: galinsoga comune Sinonimi: Galinsoga quinqueradiata Ruiz & Pav. Wiborgia parviflora (Cav.) Kunth Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-50 cm, a fusto eretto, striato, ramificato, nella parte superiore con peli semplici, eretto-patenti o appressati e radi peli ghiandolari. Foglie opposte, semplici, con picciolo di 1-2 cm e lamina ovato-rombica o rombico-lanceolata, scabra, grossolanamente dentata, verde-giallastra, acuminata all’apice, percorsa da 3 nervi evidenti. Capolini (calatidi) del diametro di circa 5 mm, con involucro emisferico, su peduncoli glabri o con rari peli ghiandolari; fiori periferici 5-6, ligulati, bianchi, tridentati, quelli del disco tubulosi e gialli; i fiori alla base sono involucrati da una squama (paglietta) lineare, tridentata all’apice. Frutti consistenti in acheni pelosi, con pappo dei fiori tubulosi formato da numerose scaglie frangiate, più brevi o subeguali alla corolla. Periodo di fioritura: agosto-dicembre. Area d’origine: Sudamerica. Habitat: Colture (mais, patata, vigneti ecc.), campi abbandonati, incolti, margini, aree urbane. Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla fascia planiziale a quella montana. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (INV), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, citata per l’Orto Botanico di Padova nel 1801 ed in seguito diffusasi rapidamente in tutta la penisola. Conosciuta in Lombardia almeno dal 1847 (Rota, 1847). Modalità d’introduzione: Deliberata (Orti Botanici), con successiva diffusione accidentale. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Riduce la produttività delle colture agrarie estive e modifica il paesaggio naturale, determinando un decremento di biodiversità delle comunità erbacee strutturate. È pianta di grande adattabilità e alligna su qualsiasi tipo di suolo, in particolare su quelli profondi, più o meno umidi e ricchi di nutrienti. Azioni di contenimento: Consigliate solo in ambito agrario. Note: Molto simile a e spesso convivente con G. quadriradiata (vedi scheda), distinta per la pubescenza e la pelosità ghiandolare abbondanti, per i capolini maggiori (6-7 mm) e per le pagliette acute, intere all’apice. Bibliografia: Camoletto Pasin & Dal Vesco, 1992; Canne, 1977, 1978; Giacomini, 1950; Rota, 1847 galinsoga ispida Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Galinsoga quadriradiata Ruiz & Pav. Nome volgare: galinsoga ispida Sinonimi: Adventina ciliata Raf. Galinsoga ×mixta Murr Galinsoga ×plikeri Giacom., nom. nud. Galinsoga aristulata E.P.Bicknell Galinsoga hispida (DC.) Hieron., non Benth., nom. illeg. Galinsoga hispida Benth. Galinsoga parviflora Cav. subsp. quadriradiata (Ruiz. & Pav.) Pers Galinsoga parviflora Cav. var. hispida DC. Galinsoga parviflora Cav. var. quadriradiata (Ruiz. & Pav.) Poir. Galinsoga quadriradiata Ruiz & Pav. subsp. hispida (DC.) Thell. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-50 cm, con fusti eretti, striati, ramificati, pubescenti e con densi peli ghiandolari nella parte superiore. Foglie opposte, semplici, con picciolo di 1-2 cm, con lamina rombico-lanceolata, ruvida, grossolanamente dentata, verde-giallastra, tutte con apice acuminato e con 3 nervature principali. Capolini (calatidi) di diametro pari a 6-7 mm; peduncolo ghiandoloso; involucro emisferico; fiori periferici (5-6) ligulati, bianchi, tridentati, quelli del disco tubulosi e gialli; i fiori sono accompagnati alla base da una squama (paglietta) lineare, intera all’apice. Frutti ad achenio peloso, quelli derivanti dai fiori tubulosi con un pappo di squame sfrangiate, più brevi della corolla o della stessa lunghezza. Periodo di fioritura: agosto-dicembre. Area d’origine: Sudamerica. Habitat: Colture, ambienti ruderali e semiruderali (sentieri, strade rurali, macerie, aree abbandonate, base dei muri ed edifici, ferrovie e scarpate), orti, parchi, tappeti erbosi, giardini, viali e lungo i fiumi. Distribuzione nel territorio: Ampiamente diffusa nel territorio regionale, dalla fascia planiziale a quella montana. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia a metà del XIX secolo: coltivata nell’Orto Botanico di Firenze nel 1854, in quello di Padova nel 1893 ove si era inselvatichita. In Italia diffusasi in natura (Italia settentrionale) negli anni ‘40 del secolo scorso, probabilmente in seguito ai movimenti delle truppe tedesche; conosciuta in Lombardia almeno dal 1945 (Giacomini, 1946). Modalità d’introduzione: Deliberata (Orti Botanici), con successiva diffusione accidentale. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Riduce la produttività delle colture agrarie estive e modifica il paesaggio naturale, determinando un decremento di biodiversità delle comunità erbacee strutturate. È pianta di grande adattabilità e alligna su qualsiasi tipo di suolo, in particolare su quelli profondi, più o meno umidi e ricchi di nutrienti. Azioni di contenimento: Consigliate solo in ambito agrario. Note: Molto simile a e spesso convivente con G. parviflora (vedi scheda), che possiede peli semplici e appressati nella parte superiore del fusto, non ha che pochissimi peli ghiandolari, presenta capolini più piccoli (diametro intorno a 5 mm) e pagliette dei fiori con apice tridentato. Il genere Galinsoga è stato revisionato da Canne (1977, 1978), anche se tali lavori non sono stati presi in considerazione da numerose flore successive; per un riassunto relativo alle uniche due specie infestanti in tutti i paesi temperati sinora raggiunti si veda Camoletto Pasin & Dal Vesco (1992). Pertanto, oltre a riaffermare la completa sinonimia tra G. ciliata e G. quadriradiata, con priorità per il secondo binomio, si ricorda che le diverse forme, varietà e ibridi descritti e segnalati in Italia e Lombardia (es. Giacomini, 1950; Zanotti, 2003) non sono accettabili. Nella zona d’origine non sono mai stati osservati veri ibridi, ma tutte le forme presumibilmente intermedie sono risultate rientrare nell’ampia variabilità del poliploide G. quadriradiata; anche l’entità descritta da Giacomini (1950) come presunto ibrido col nome di G. ×plikeri (tra l’altro priva di diagnosi latina; il nome corretto è Galinsoga ×mixta) rientra, in base alla descrizione in italiano, in G. quadriradiata (Canne, 1977). Bibliografia: Bonali, 2008; Galasso & Bonali, 2008 242 243 canapicchio della Pennsylvania Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Gamochaeta pensylvanica (Willd.) Cabrera Nome volgare: canapicchio della Pennsylvania Basionimo: Gnaphalium pensylvanicum Willd. Sinonimi: Gnaphalium spathulatum Lam., non Burm.f. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Erba annuale, alta 10-40 cm, con fusto eretto, per lo più indiviso. Foglie basali spatolato-oblanceolate, le cauline piane, diritte, di 1-4×0.5-1.5 cm, lanceolato-spatolate, sulla faccia adassiale glabrescenti, tomentose su quella abassiale. Infiorescenza costituita da capolini (calatidi) in glomeruli sottesi ciascuno da una foglia bratteale, disposti a formare una sorta di spiga terminale più o meno fogliosa, a volte interrotta inferiormente, lunga circa 4 cm, occupante non più di 1/4 della lunghezza dello scapo; capolini di 4-5×4-5 mm; fillari (brattee) imbricati, brunastri, gli esterni ovato-lanceolati, acuminati. Fiori con corolla tubulosa, 5-dentata, rossastro-porporina all’apice, i periferici femminili, gli interni bisessuali. Acheni (cipsele) lisci, lunghi 0.4-0.9 mm, mucillaginosi da umidi; pappo di peli saldati in un anello basale. Periodo di fioritura: maggio-giugno. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Marciapiedi, margini di aiuole, lastricati stradali. Distribuzione nel territorio: Fascia planiziale, per ora nel settore occidentale. Milano (NAT), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita di recente comparsa; raccolta per la prima volta in Italia nel 1989 (nel napoletano e a Massa), in Lombardia nel centro storico di Pavia nel 1993 (Soldano, 2000). Modalità d’introduzione: Accidentale, probabilmente coi flussi turistici. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Non necessarie. Bibliografia: Alessandrini & Galasso, 2008; Soldano, 2000 topinambur Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Helianthus tuberosus L. Nome volgare: topinambur, girasolino, tartufo di canna Tipo biologico: Grhiz Descrizione: Pianta erbacea perenne a fusti eretti, gregari, alti 1-2 m, ispidi nella porzione superiore, inseriti su rizomi segnati da ingrossamenti fusiformi dello spessore di circa 3-5 cm. Foglie superiori alterne, le inferiori più o meno opposte; lamina verde scuro di sopra, ispido-biancastra inferiormente, da ovata a ovato-lanceolata, di 10-25×7-15 cm, acuminata, finemente dentata al margine, con base attenuata in un picciolo alato, lungo ¼ della stessa. Calatidi del diametro di 4-8 cm, erette; fillari lunghi quanto l’involucro, più o meno divaricati, lanceolati, acuminati, cigliati, verde scuro; ricettacolo convesso; fiori ligulati in numero di 12-15, di 30-40×6-9 mm; fiori del disco gialli. Acheni di 5-6 mm, glabri o peloso-sericei. Periodo di fioritura: agosto-ottobre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Incolti, ripe, greti fluviali. Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutto il territorio, soprattutto in pianura con risalite in ambito collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (NAT), Lecco (INV), Lodi (NAT), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). [H. cfr. decapetalus: Cremona (NAT), Pavia (NAT).] Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta nel secolo XVII. In Lombardia conosciuta almeno dal 1834 come pianta coltivata (Massara, 1834) e almeno dal 1897 come naturalizzata (Ugolini, 1897). Modalità d’introduzione: Deliberata, quale soggetto di sperimentazione alimentare legata all’economia del periodo coloniale e di interesse ortofloricolo. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Deleteria per la biodiversità: lungo le sponde fluviali e negli alvei dei fossi forma estese comunità paucispecifiche, che rimpiazzano le fitocenosi autoctone. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia. Note: Delle numerose entità perenni di Helianthus coltivate in Europa (8 specie e almeno 2 ibridi), soltanto H. tuberosus, spesso confuso con H. decapetalus L. e H. pauciflorus Nutt., si è stabilmente inserito nelle comunità naturali (Řehořek, 1997). H. ×laetiflorus Pers. è l’ibrido (Heiser, 1960) tra H. tuberosus (fiori del disco gialli, foglie superiori alterne) e H. pauciflorus (fiori del disco marroneporpora, foglie superiori opposte). È il girasolino più comunemente coltivato nei giardini, almeno in Inghilterra e si distingue da H. tuberosus per i seguenti caratteri: H. ×laetiflorus: rizomi senza tuberi rigonfi; fusto raramente superiore ai 2 m; fillari strettamente appressati al ricettacolo (spesso, almeno in Inghilterrra, gela prima della fioritura); H. tuberosus: rizomi con tuberi rigonfi; fusto spesso superiore a 2 m; fillari non o solo lassamente appressati al ricettacolo. H. pauciflorus (= H. rigidus (Cass.) Desf., = Harpalium rigidum Cass.; girasolino rigido) è conosciuto casuale per le province di Milano (Stucchi, 1949), Brescia (Giacomini, 1950) e Bergamo, mentre H. ×laetiflorus è stato osservato casuale nel lecchese (Milena Villa, in verbis 2007). In questi ultimi anni è stata notata un’altra specie di Helianthus naturalizzata lungo il Po (province di Pavia e Cremona), simile a H. tubersosus ma caratterizzata da fillari molto più lunghi dell’involucro. La sua identificazione è ancora in corso: potrebbe corrispondere a H. decapetalus (girasolino a dieci petali), ma a differenza di questo presenta il fusto ispido e non liscio. Bibliografia: Giacomini, 1950; Heiser, 1960; Massara, 1834; Řehořek, 1997; Ugolini, 1897 244 245 camomilla di montagna Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Matricaria discoidea DC. Nome volgare: camomilla di montagna Sinonimi: Artemisia matricarioides auct., non Less. Chamomilla suaveolens (Pursh) Rydb. Matricaria matricarioides auct., non (Less.) Porter Matricaria suaveolens (Pursh) Buchenau, non L., comb. illeg. Santolina suaveolens Pursh Tipo biologico: Tscap Descrizione: Erbacea annuale, alta al massimo 40 cm, con fusto ramificato sin dalla base. Foglie aromatiche, alterne, di 1065×2-20 mm; lamina lanceolata, tripennatosetta, suddivisa in lacinie larghe 1 mm. Infiorescenza formata da una calatide portata da un peduncolo lungo 2-30 mm; brattee dell’involucro 29-47, in 3 serie, con margine per lo più intero; fiori del raggio assenti; disco largo 4-10 mm, con 120-500 fiori tubulosi, giallo-verdastri. Frutto costituito da un achenio brunastro, lungo 1-1.5 mm, sormontato da un pappo consistente in una breve coroncina. Periodo di fioritura: giugno-novembre. Area d’origine: Asia nordorientale (Russia e Giappone) e Nordamerica occidentale (costa Pacifica, dall’Alaska sino al Messico settentrionale). Habitat: Ambienti aperti, in genere antropizzati e con presenza di suolo nudo e spesso anche soggetti a calpestio (margini stradali, massicciate, marciapiedi, campi e giardini in particolare se abbandonati, rive dei corsi d’acqua ecc.). Distribuzione nel territorio: Presente soprattutto nella fascia montana (800-1˙600 m s.l.m.), dove localmente può essere anche piuttosto comune; a quote inferiori e superiori diviene sporadica. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Lodi (CAS), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia da prima della metà del XIX secolo: coltivata a Padova nel 1842, osservata selvatica a Trieste nel 1896. Naturalizzata in Lombardia almeno dal 1948 (Giacomini, 1950). Modalità d’introduzione: Volontaria (pianta medicinale). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Colonizzando ambienti già intrinsecamente degradati, l’impatto di questa specie è di fatto trascurabile, se escludiamo il danno estetico che può provocare (ad esempio, quando invade marciapiedi e vialetti nei giardini). Azioni di contenimento: Utilizzo di erbicidi, sarchiatura. rudbeckia comune Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Rudbeckia laciniata L. Nome volgare: rudbeckia comune Tipo biologico: Grad Descrizione: Pianta erbacea radicigemmata, alta 50-250 cm con rizoma ingrossato, fusiforme. Foglie alterne, le inferiori a lamina intera o più o meno incisa, le superiori, lunghe 10-20 cm, profondamente incise o completamente divise in 3-5 segmenti pennati, lanceolato-acuminati e più o meno dentati al margine. Calatidi del diametro di 7-12 cm, lungamente peduncolate; fiori periferici generalmente 5-8 (in coltura anche molte decine in calatidi simili a quelle delle dalie), con ligula gialla; fiori centrali tubulosi, bruni. Frutti ad achenio di 5 mm, con pappo costituito da una corona di dentelli. Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Sponde dei fossi. Distribuzione nel territorio: Planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Milano (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia sin dal Seicento e naturalizzata dalla seconda metà dell’Ottocento. In Lombardia nel 1890 già naturalizzata da tempo lungo l’Olona, da dove è stata portata all’Orto Botanico di Brera, e a Treviglio (BG) (Micheletti, 1890). Modalità d’introduzione: Deliberata, per il mercato ortofloricolo. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Estetico, localizzato. Bibliografia: Micheletti, 1890 Note: La camomilla di montagna potrebbe essere confusa con la camomilla comune, M. chamomilla L., che differisce, oltre per l’aroma tipico e decisamente più gradevole rispetto a quello di M. discoidea, soprattutto per la presenza nei capolini dei fiori del raggio (ligulati e di colore bianco). Bibliografia: Giacomini, 1950 246 247 senecione sudafricano Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Senecio inaequidens DC. Nome volgare: senecione sudafricano Sinonimi: Senecio harveianus auct., non MacOwan Senecio linifolius auct., non L. Senecio reclinatus auct., non L.f. Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 40-60(-100) cm, con fusto eretto, glabro, striato, ramoso dalla base e talora suffruticoso. Foglie alterne, lineari-lanceolate o ellittico-lanceolate, lunghe 60-70 mm, carenate, intere, ad apice acuto e con brevi tubercoli cartilaginei puntiformi o dentelli irregolari, come ricorda il nome specifico. Capolini (calatidi) numerosi, larghi 1.8-2.5 cm, reclinati prima dell’antesi, riuniti in cime corimbose irregolari, con involucro piriforme e fillari (brattee) lanceolati, gli interni in numero di circa 21, brunastri all’apice, gli esterni 10-12, purpurei; fiori gialli, i periferici ligulati, lunghi 14 mm. I frutti sono acheni cilindrici, pubescenti tra le nervature, provvisti di pappo bianco. Periodo di fioritura: luglio-dicembre. Area d’origine: Sudafrica (Lesotho, Port Elisabeth). Habitat: Incolti sassosi, campi, vigne, ambienti ruderali e semiruderali (strade, sentieri, macerie, aree abbandonate, base dei muri ed edifici, ferrovie e scarpate, luoghi calpestati), rupi, muri, greti dei fiumi e pascoli. Distribuzione nel territorio: Diffuso in tutta la regione, soprattutto nella fascia planiziale tra 0 e 1˙000 m s.l.m. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (NAT), Lecco (INV), Lodi (NAT), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia a fine Ottocento (es. Orto Botanico di Firenze). Osservata per la prima volta in natura nel 1947 nei bassi Lessini veronesi (Carrara Pantano & Tosco, 1959), giunta in Lombardia almeno dal 1969 (Arietti & Crescini, 1975). Modalità d’introduzione: Accidentale; secondo Carrara Pantano & Tosco (1959), i semi sarebbero arrivati in Italia attraverso gli imballaggi di merci provenienti dal Sudafrica e destinate alle truppe americane stanziate in Veneto nelle fasi conclusive della seconda guerra mondiale o nell’immediato dopoguerra. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Ha effetti negativi sui raccolti (vigne), sulla biodiversità, riduce il valore dei pascoli ed è tossica per gli animali a sangue caldo (incluso l’uomo; a volte letale per i cavalli), contenendo alcaloidi pirrolizidinici. Tali sostanze possono passare al latte o persino al miele attraverso il nettare. Modifica inoltre il paesaggio, rimanendo in fioritura per 6-7 mesi all’anno e danneggia le infrastrutture, interferendo sul recupero delle aree rurali dismesse. Il principale impatto di questa specie è legato alla sua elevata competitività; ha, infatti, un tasso riproduttivo elevato, ogni pianta potendo sviluppare 80-100 infiorescenze e producendo 30˙000 semi all’anno, capaci di rimanere vitali fino a 40 anni; si adatta facilmente a situazioni climatiche differenti ed è indifferente al substrato. Tutte queste caratteristiche ne favoriscono la sopravvivenza e l’espansione. La dispersione naturale avviene tramite gli spostamenti d’aria, ma anche ad opera degli uccelli, dei mammiferi domestici e dell’uomo. Azioni di contenimento: Occorre innanzitutto evitare azioni che ne facilitino la diffusione, come lasciare il suolo nudo, esposto all’insediamento dei semi, o rimuovere il terreno, con il rischio di traslocare propaguli da un luogo all’altro. Il miglior controllo si esercita eliminando la pianta in tempo reale, al momento della sua comparsa. Il contenimento si effettua con lo sfalcio selettivo (da ripetere 2-3 volte prima della fioritura) o, meglio, l’eradicazione manuale degli individui (da ripetersi per diversi anni consecutivi), ma anche l’eventuale impiego di erbicidi; quando possibile, provvedere immediatamente alla semina dei suoli nudi con specie indigene a forte ricoprimento (trifoglio, sementi per prato polifita) o alla piantumazione di arbusti ombreggianti (controllo biologico). Nei campi coltivati si può procedere con sarchiature e arature. pioggia d’oro canadese Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Solidago canadensis L. Nome volgare: pioggia d’oro canadese Sinonimi: Aster canadensis (L.) Kuntze Doria canadensis (L.) Lunell Solidago altissima L. Tipo biologico: Grhiz Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a circa 2 m, dotata di un rizoma lungamente strisciante; fusti eretti, pubescenti o talvolta progressivamente pubescenti dalla base. Foglie basali assenti; le inferiori di solito avvizzite alla fioritura; le medie e le superiori progressivamente minori, 3-5(-o più)×1 (circa) cm, sessili, lanceolate; margine seghettato oppure intero nelle foglie distali, apice acuminato. Infiorescenza formata da calatidi disposte in una sorta di corimbo; peduncoli 3-3.5 mm; brattee dell’involucro in 3-4 serie, acute oppure ottuse, le esterne lanceolate e le interne lineari-lanceolate; fiori del raggio in genere 8-14, con ligula lunga 0.5-1.5 mm, giallo pallido; fiori del disco in genere 3-6, con corolla di circa 2-3 mm. Frutto formato da un achenio di 1-1.5 mm, sormontato da un pappo di circa 2 mm. Periodo di fioritura: agosto-ottobre. Area d’origine: Nordamerica centro-orientale. Habitat: Diffusa in diversi tipi di ambienti, sembra avere un’ecologia simile a quella di S. gigantea, sebbene appaia meno tollerante alle condizioni ecologiche estreme sopportate dalla congenere. Talvolta le due specie si rinvengono insieme in popolamenti misti. Distribuzione nel territorio: Presenta una distribuzione più ristretta rispetto a S. gigantea (200-800 m s.l.m.), rimanendo soprattutto ristretta nella fascia collinare. La distribuzione di S. canadensis, in particolare nella fascia planiziale dove è presente in poche stazioni di alta pianura, sembra rivelare minore capacità invasiva rispetto alla congenere. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (INV), Lecco (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XVIII. Conosciuta in Lombardia almeno dal 1785 come pianta coltivata (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789) e almeno dal 1855-1915 come naturalizzata (Cobau, 1920). Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini floricolturali e melliferi. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Paesaggistico e bioecologico; sebbene in misura inferiore rispetto a S. gigantea, abbassa la biodiversità delle cenosi erbacee di cui invade il territorio e altera i caratteri del paesaggio. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia. Azioni di contenimento: La dispersione di S. canadensis e le tecniche per contenerla sono le medesime indicate per S. gigantea. Note: S. canadensis è tutt’oggi coltivata sia per la formazione di bordure sia per il fiore reciso, anche se meno frequentemente di S. gigantea; quest’ultima ragione è forse correlata alla sua minor diffusione sul territorio regionale. Le due specie vengono spesso confuse, ma sono facilmente distinte per la differente pelosità del fusto, per il colore dei fiori (giallo intenso in S. gigantea) e per le dimensioni delle calatidi; inoltre le ramificazioni dell’infiorescenza in S. canadensis sono più estese, ma più lasse, quindi complessivamente meno appariscenti di quelle di S. gigantea. Sia pure raramente, anche da noi viene coltivata qua e là una terza specie, Euthamia graminifolia (L.) Nutt. (= Solidago g. (L.) Salisb., = Chrysocoma g. L.), sempre del Nordamerica, che è simile alle precedenti ma con foglie lineari lunghe e larghe fino a 15×2 cm, a margine intero e 2-4 nervi laterali rilevati; si tratta di entità naturalizzata in diverse parti dell’Europa centrale, con potenzialità di “fuga” analoghe alle specie precedenti. Finora, fortunatamente, è conosciuta soltanto in Piemonte (Soldano & Sella, 1988) e non sembra sfuggire nel nostro territorio. Bibliografia: Cobau, 1920; Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Soldano & Sella 1988; Stevens et al., 2001; Weber, 2001; Weber & Schmid, 1998 Note: In Inghilterra, ai fini della lotta biologica, è allo studio il comportamento di un coleottero (Longitarsus jacobaeae, Chrysomelidae, Alticini), che sembra nutrirsi anche di questa pianta. Bibliografia: Arietti & Crescini, 1975; Bornkamm, 2002; Carrara Pantano & Tosco, 1959; Lafuma et al., 2003 248 249 pioggia d’oro maggiore Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Solidago gigantea Aiton Nome volgare: pioggia d’oro maggiore Sinonimi: Aster latissimifolius (Mill.) Kuntze var. serotinus Kuntze Solidago gigantea Aiton subsp. serotina (Kuntze) McNeill Solidago gigantea Aiton var. serotina (Kuntze) Cronquist Solidago serotina Aiton, non Retz., nom. illeg. Solidago serotinoides Á.Löve & D.Löve Tipo biologico: Grhiz Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a circa 2 m, dotata di un rizoma lungamente strisciante; fusti eretti, glabri o con sparsi peli rigidi appressati, glaucescenti (soprattutto verso l’apice). Foglie basali assenti; le inferiori di solito avvizzite alla fioritura; le medie e le superiori progressivamente minori, 5.5-7.5×1 (circa) cm, sessili, lanceolate; margine seghettato, apice acuminato. Infiorescenza formata da calatidi disposte in una sorta di corimbo; peduncoli 1.5-3 mm; brattee dell’involucro in 3-4 serie, acute, le esterne lanceolate e le interne lineari-lanceolate; fiori del raggio in genere 9-15, con ligula lunga 1-3 mm, giallo intenso; fiori del disco in genere 7-12, con corolla di circa 3-3.5 mm. Frutto formato da un achenio di circa 1-1.5 mm, sormontato da un pappo di 2-2.5 mm. Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: Nordamerica nordorientale. Habitat: È soprattutto presente in ambienti ruderali (margini stradali e di sentieri, cantieri abbandonati, discariche ecc.). Pur tollerando suoli moderatamente aridi, preferisce quelli umidi, affermandosi anche in quelli con falda d’acqua alta; in queste ultime situazioni, compare peculiarmente in vegetazioni di aree umide, in particolare nelle comunità con Phragmites australis o Filipendula ulmaria. Sopporta pure un moderato ombreggiamento, penetrando anche in aree boschive degradate, sfruttando le strade di accesso. Colonizza campi e prati abbandonati, precedendo la ricolonizzazione del bosco e in particolare della robinia. Distribuzione nel territorio: Distribuita su tutto il territorio regionale (50-1˙000 m s.l.m.), soprattutto nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia all’inizio del secolo XIX. Conosciuta in Lombardia almeno dal 1891 come pianta naturalizzata (campione raccolto da O. Balzerini a Cremona e conservato nell’Erbario di Pavia, PAV); Cavara (1894) la segnala naturalizzata, almeno dal 1892. Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini floricolturali e melliferi. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: La sua notevole capacità competitiva la porta a formare densi popolamenti monofitici, anche su superfici di parecchie centinaia di metri quadrati. Tale aggressività è sostenuta da allelopatia, cioè dalla capacità della pianta di annullare la competizione delle altre inibendone la crescita mediante molecole (della famiglia delle coline) immesse nel suolo attraverso le radici. Questa performance esercita un’influenza negativa soprattutto nelle aree umide, dove la specie si mostra particolarmente virulenta. Comparsa e diffusione della pianta sono favorite dagli episodi ricorrenti di disturbo quali lo sfalcio, l’incendio o le movimentazioni di terreno. Nel complesso questa specie è una minaccia abbastanza seria per la biodiversità delle cenosi autoctone e una causa di indiscusso degrado paesaggistico. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia. Azioni di contenimento: Occorre innanzitutto evitare azioni che ne facilitano la diffusione, come la presenza di suolo nudo, che ne favorisce l’insediamento da seme, e i movimenti di terra, che possono traslocare parti di rizomi. Il contenimento avviene tramite lo sfalcio selettivo (da ripetere 2-3 volte prima della fioritura) e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi; se possibile, provvedere immediatamente alla semina con specie indigene o alla piantumazione di arbusti ombreggianti. Note: Questa specie, introdotta per scopi floricolturali, è ancor oggi largamente coltivata, sia per la formazione di bordure che per l’impiego del fiore reciso. Spesso si fa riferimento alla var. serotina, con foglie completamente glabre, quale unico morfotipo presente sul nostro territorio, mentre la varietà nominale (var. gigantea), finora mai segnalata, presenterebbe nervature fogliari sparsamente pubescenti. Studi recenti hanno dimostrato che le due variazioni rappresentano solo estremi morfologici di un carattere (pelosità) ad espressione popolazionale, del tutto ininfluente sulla congruità sistematica della specie, confermando la necessità di porre in sinonimia i due taxa (Semple & Cook, 2006). 250 Bibliografia: Cavara, 1894; Gabi et al., 2004; Semple & Cook, 2006; Weber, 2001; Weber & Jakobs, 2005; Weber & Schmid, 1998 astro lanceolato Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Symphyotrichum lanceolatum (Willd.) G.L.Nesom Nome volgare: astro lanceolato Basionimo: Aster lanceolatus L. Sinonimi: Aster tradescantii auct., non L. Symphyotrichum tradescantii auct., non (L.) G.L.Nesom Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a circa 2 m, dotata di un lungo rizoma; fusto eretto, glabrescente. Foglie basali assenti alla fioritura; foglie cauline con lamina ovato-lanceolata, oblanceolata o lineare-lanceolata, (4-)5-15×(0.3-)1-2(-3.5) cm (le inferiori scomparse alla fioritura, le superiori solo leggermente ridotte), margine intero o seghettato, base cuneata ± decorrente, apice acuto o acuminato. Capolini con diametro di 6-15 mm, inseriti tutt’attorno a ciascun ramo e in genere sino a un massimo di 20; involucro di 3.5-5 mm, con squame esterne lunghe ¹/3 - 2/3 di quelle interne; fiori del raggio 17-47, con ligule lunghe 3-8 mm e di colore biancastro oppure porpora-bluastro; fiori del disco tubulosi 16-38, di colore giallo e con lobi della corolla eretti o solo talvolta patenti. Frutto costituito da un achenio lungo 0.5-1.5 mm, sormontato da un pappo di circa 3-5 mm. Periodo di fioritura: agosto-ottobre. Area d’origine: Nordamerica (dal Canada al Messico). Habitat: Si rinviene soprattutto in ambienti ruderali (margini stradali e di sentieri, cantieri abbandonati, discariche ecc.). Distribuzione nel territorio: Distribuito pressoché in tutta la Lombardia (50-1˙000 m s.l.m.), soprattutto nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (NAT), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XVIII. La prima segnalazione lombarda correttamente determinata è quella di Soldano (1980a); in precedenza indicata da Stucchi (1949b) come Aster salignus (vedi il capitolo specie dubbie e da escludere). Probabilmente è da ricondurre a questa specie anche la segnalazione di Aster tradescantii di Forti (1928) per il porto di Bellagio (CO). Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Questa specie forma densi popolamenti estesi qualche decina di metri quadrati, in cui soppianta tutte le altre piante erbacee. Azioni di contenimento: Occorre innanzitutto evitare azioni che ne facilitino la diffusione, come lasciare i suoli denudati favorendone l’insediamento per seme in assenza di competizione, o smuovere il terreno che conteneva in precedenza la pianta, con rischio di trasloco di frammenti del rizoma. Il contenimento avviene tramite lo sfalcio selettivo (da ripetere 2-3 volte prima della fioritura) e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi; se possibile, provvedere immediatamente alla semina con specie indigene o alla piantumazione di arbusti. Note: Questa specie, come altre congeneri, è diffusamente coltivata in orti e giardini di tutto il territorio regionale. Rispetto alle altre specie di astri esotici, S. lanceolatum è sicuramente quella più competitiva e invasiva. La sistematica infraspecifica di S. lanceolatum è piuttosto complessa nell’area di origine; tuttavia, sembra che le popolazioni spontanee in Lombardia appartengano di fatto alla var. lanceolatum. In passato S. lanceolatum era stato confuso con S. tradescantii (Nordamerica), che si distingue in quanto pianta cespitosa dotata di un rizoma corto e circoscritto e, inoltre, per i fiori del raggio sempre bianchi, a riscontro di quelli del disco giallo-pallidi. Questa specie è inoltre facilmente confondibile con altri Symphyotrichum spontanei o coltivati in Lombardia. S. novi-belgii (naturalizzata, vedi scheda) presenta foglie abbraccianti e capolini di maggiori dimensioni; S. pilosum (naturalizzata, vedi scheda) presenta calatidi con squame ad apice involuto, formante una caratteristica spinula ialina; S. novae-angliae (L.) G.L.Nesom (= Aster n.-a. L.; astro del New England, casuale), è facilmente riconoscibile per i peli ghiandolari che ricoprono la parte superiore dei fusti, i peduncoli fiorali e le squame dei capolini. Più difficoltosa è la distinzione da alcuni ibridi, presenti in coltivazione e segnalati per errore come spontaneizzati, S. ×salignum (Willd.) G. L.Nesompro sp. (= Aster s. Willd., = S. lanceolatum × S. novi-belgii; astro salicino), simile a S. novi-belgii ma riconoscibile per la base fogliare non amplessicaule, e S. ×versicolor (Willd.) G.L.Nesompro sp. (= Aster v. Willd., = S. laeve (L.) Á.Löve & D.Löve × S. novi-belgii), caratterizzato da foglie lunghe non più di 2(-5) volte la larghezza, a contorno quasi ovato. Bibliografia: Brouillet et al., 2006; Chmielewski & Semple, 2001a; Forti, 1928; Hoffmann, 1996; Soldano, 1980a; Stucchi, 1949b; Yeo, 2000 251 astro di New York Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Symphyotrichum novi-belgii (L.) G.L.Nesom Nome volgare: astro di New York Basionimo: Aster novi-belgii L. Sinonimi: Aster laevigatus Lam. Aster novi-belgii L. subsp. laevigatus (Lam.) Thell. astro ericoide Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Symphyotrichum pilosum (Willd.) G.L.Nesom Nome volgare: astro ericoide Basionimo: Aster pilosus Willd. Sinonimi: Aster ericoides auct., non L. Aster ericoides L. var. pilosus (Willd.) Porter Aster lateriflorus auct., non (L.) Britton Aster vimineus auct., non Lam. Solidago lateriflora auct., non L. Symphyotrichum ericoides auct., non (L.) G.L.Nesom Symphyotrichum lateriflorum auct., non (L.) Á.Löve & D.Löve Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a circa 1.5 m, dotata di rizoma; fusto eretto, glabrescente. Foglie basali assenti alla fioritura; foglie cauline con lamina ovato-lanceolata, obovato-lanceolata, ellittica o lineare-lanceolata, 4-20×0.4-4 cm (le inferiori scomparse alla fioritura, le superiori via via ridotte), margine da intero a seghettato, sessili o con picciolo largamente alato e abbracciante il fusto, apice acuto o acuminato. Capolini portati in racemi con rami divaricati o ascendenti; involucro di 6-9 mm, con squame esterne lunghe almeno la metà di quelle interne; fiori del raggio 15-35, con ligule lunghe 1-2 cm e di colore blu-viola, di rado biancastre; fiori del disco tubulosi 28-68 e di colore giallo (poi brunastri). Frutto costituito da un achenio lungo 2-4 mm, sormontato da un pappo di 4-6 mm. Periodo di fioritura: settembre-novembre. Area d’origine: Nordamerica orientale. Habitat: Si rinviene soprattutto in ambienti ruderali (margini stradali e di sentieri, cantieri abbandonati, discariche ecc.), spesso come residuo di precedenti coltivazioni. Non sembra avere una notevole capacità di dispersione in ambienti a maggior naturalità. Distribuzione nel territorio: Distribuito pressoché in tutta la Lombardia (50-1˙000 m s.l.m.), soprattutto nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (CAS), Sondrio (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XVIII. Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Data la modesta diffusione di questa specie, l’impatto è attualmente trascurabile. Azioni di contenimento: Il contenimento avviene tramite lo sfalcio selettivo (da ripetere 2-3 volte prima della fioritura) e/o coadiuvato dall’impiego di erbicidi; se possibile, provvedere immediatamente alla semina con specie indigene o alla piantumazione di arbusti ombreggianti. Tipo biologico: Hscap Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a circa 1.5-2 m, dotata di un rizoma più o meno lungo; fusto eretto, da glabro a densamente irsuto. Foglie basali assenti alla fioritura; foglie cauline con lamina ellittico-lanceolata, lineare-oblunga, linearelanceolata o lineare-oblanceolata, 4-10.2×0.5-2.5 cm (le inferiori scomparse alla fioritura e spesso con ciuffetti ascellari di piccole foglie; le superiori via via ridotte), margine da intero a seghettato, peduncolate o subsessili (picciolo strettamente o largamente alato, abbracciante), base da attenuata a cuneata ± abbracciante, apice attenuato e involuto, formante una spinula ialina. Capolini disposti in infiorescenza piramidale o panicolata, spesso unilaterali; involucro di (2.5-)3.5-5.1(-6.5) mm, con squame ad apice involuto, formante una caratteristica spinula ialina; fiori del raggio (10-)16-28(-38), con ligule lunghe (4-)5.4-7.5(-11) mm e di colore usualmente bianco (raramente rosate o bluastre); fiori del disco tubulosi (13-)17-39(-67), di colore giallo chiaro, porpora-rossastri o marroni a maturità. Frutto costituito da un achenio lungo 1-1.5 mm, sormontato da un pappo di 3.5-4 mm. Periodo di fioritura: agosto-ottobre. Area d’origine: Nordamerica orientale. Habitat: Si rinviene soprattutto in ambienti ruderali (margini stradali e di sentieri, cantieri abbandonati, discariche ecc.). In habitat a maggior naturalità è presente nelle fasce erbose dei campi oppure in boscaglie degradate. Ha comunque un carattere sinantropico e predilige le posizioni ben soleggiate. Distribuzione nel territorio: Sinora conosciuto per la Lombardia centrale e occidentale, soprattutto nelle fasce planiziale e collinare. Brescia (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in periodo imprecisato. In Lombardia conosciuto in natura dall’inizio del XXI secolo e segnalato per la prima volta da Banfi et al. (2009) sotto il nome erroneo di S. lateriflorum. Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Data la modesta diffusione di questa specie, l’impatto è attualmente trascurabile. Note: Questa specie, come altre congeneri, è diffusamente coltivata su tutto il territorio regionale a scopo ornamentale. Nell’area d’origine la sistematica infraspecifica di S. novi-belgii è piuttosto articolata, sebbene le popolazioni spontanee in territorio lombardo sembrino doversi effettivamente attribuire alla varietà nominale della specie. Aster novi-belgii subsp. laevigatus (= A. laevigatus), segnalato in Lombardia da Fiori (1927a), Giacomini (1950) e Arietti & Crescini (1980), non si distingue dal tipo della specie (Hoffmann, 1996). Facilmente confondibile con altri Symphyotrichum: rispetto a S. lanceolatum, l’entità di gran lunga più diffusa allo stato spontaneo, presenta foglie abbraccianti e capolini di maggiori dimensioni. Note: Specie tradizionalmente confusa con S. ericoides o altre specie simili (Hoffmann, 1996; Chmielewski & Semple, 2001b; Brouillet et al., 2006); in Lombardia precedentemente confusa con S. lateriflorum. La cultivar ‘Monte Cassino’, afferente alla var. pringlei (A.Gray) G.L.Nesom, è largamente coltivata e venduta come fiore reciso. Bibliografia: Banfi et al., 2009; Brouillet et al., 2006; Chmielewski & Semple, 2001b; Hoffmann, 1996; Yeo, 2000 Bibliografia: Arietti & Crescini, 1980; Brouillet et al., 2006; Fiori, 1927a; Giacomini, 1950; Hoffmann, 1996; Yeo, 2000 252 253 astro squamoso Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Symphyotrichum squamatum (Spreng.) G.L.Nesom Nome volgare: astro squamoso Basionimo: Conyza squamata Spreng. Sinonimi: Aster squamatus (Spreng.) Hieron. Aster subulatus auct., non Michx. Conyzanthus squamatus (Spreng.) Tamamsch. Mesoligus subulatus auct., non (Michx.) Raf. Symphyotrichum subulatum (Michx.) G.L.Nesom subsp. squamatum (Spreng.) S.D.Sundb. Symphyotrichum subulatum auct., non (Michx.) G.L.Nesom Tripolium subulatum auct., non (Michx.) DC. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta sino a circa 1 m, con fusti eretti e ramificati. Foglie inferiori assenti alla fioritura, di forma lanceolato-lineare, fino a 9×1.4 cm, acute; foglie dei rami fiorali ridotte, lineari-lesiniformi, (20-)100-200×1.5-10(-20) mm. Capolini aventi un diametro di circa 8 mm, portati numerosissimi su rami corimbosi; involucro conico, lungo 5-7(-8) mm; squame lesiniformi, in numero di 18-24(-30), con una porzione verde scuro di forma ampiamente lanceolata e non raggiungente la base della squama; fiori del raggio 21-28(-38) in (2-)3 serie, ligulati e di colore biancastro (poi violetto); fiori del disco (3-)7-14, tubulosi e giallastri. Frutto costituito da un achenio lungo 1.5-2.5 mm, sormontato da un pappo roseo di 4-5 mm. Periodo di fioritura: settembre-ottobre. Area d’origine: Sudamerica. Habitat: Sponde erbose, ambienti ruderali, umidi almeno nella prima parte della stagione. Distribuzione nel territorio: Distribuito in quasi tutta la Lombardia (50-800 m s.l.m., soprattutto nelle fascia planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (INV), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lodi (NAT), Monza e Brianza (NAT), Milano (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta sin dal 1908 nel giardino dell’Istituto Botanico di Panisperma a Roma, dove mostrava la tendenza a diffondersi nei luoghi più umidi; raccolta in natura per la prima volta nel 1927, sempre nel Lazio (Chiovenda, 1930, 1931; Fiori, 1931). In Lombardia è conosciuta come naturalizzata almeno dal 1985 (Crescini, 1987). Modalità d’introduzione: Deliberata, in Orto botanico. Status: Invasiva. Dannosa: No. Impatto: Scarso. Note: Entità tetraploide (2n = 20) affine alla diploide S. subulatum, alla quale è a volte subordinata come varietà (Sundberg, 2004; Brouillet et al., 2006); al contrario, Nesom (1994, 2005) preferisce il rango specifico. Considerata la diversità del numero cromosomico, la separazione morfologica e geografica e la elevata sterilità degli ibridi artificiali optiamo per la trattazione di Nesom. Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Banfi & Galasso, 1998; Bonali, 2000; Bonali et al., 2006a; Brouillet et al., 2006; Chiovenda, 1930, 1931; Consonni, 1997; Crescini, 1987; Fiori, 1931; Frattini, 1993; Guarino, 1995; Nesom, 1994, 2005; Sundberg, 2004; Zanotti, 1991b nappola comune Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Xanthium italicum Moretti Nome volgare: nappola comune Sinonimi: Xanthium cavanillesii Schouw Xanthium echinatum Murray subsp. italicum (Moretti) O.Bolòs & Vigo Xanthium macrocarpum DC. subsp. italicum (Moretti) Nyman Xanthium nigri Ces., Pass. & Gibelli Xanthium orientale L. subsp. italicum (Moretti) Greuter Xanthium saccharatum Wallr. Xanthium saccharatum Wallr. subsp. italicum (Moretti) Hayek Xanthium strumarium L. subsp. cavanillesii (Schouw) D.Löve & Dans. Xanthium strumarium L. subsp. italicum (Moretti) D.Löve Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, abbastanza robusta, alta 30-120 cm, ruvida su fusto e foglie; fusti eretti, ramosissimi alla base e formanti un cespuglio emisferico, talora arrossati. Foglie con picciolo di 5-15 cm e lamina triangolare di 7-12×8-12 cm, palmato-trinervia, dentata e crenata sul bordo, troncato-cuneata alla base. Fiori in infiorescenze particolari (vedi scheda di X. spinosum), le maschili di 6-8 mm su brevi peduncoli, le femminili biflore, delimitate da un involucro indurito e irto di spine retrorsamente dentellate; spine apicali (becchi) ripiegate a uncino e formanti quasi un semicerchio; tutte le spine con setole e peli ghiandolari alla base. Frutto (disseminulo) costituito dall’involucro persistente e indurito contenente 2 semi di cui 1 solo normalmente funzionale. Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: America. Habitat: Incolti, ruderi, greti fluviali (spesso su sabbia), infestante le colture estive. Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutta la regione, soprattutto nella fascia planiziale. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (NAT), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV). [X. orientale: Bergamo (DUB), Pavia (DUB).] Periodo d’introduzione: Neofita (a dispetto dell’epiteto specifico), conosciuta in Italia almeno dal 1745. Modalità d’introduzione: Accidentale: queste piante si diffondono con grande efficienza teledispersiva grazie alla facilità con cui i loro frutti restano saldamente e, spesso, inosservatamente attaccati al pelo degli animali e ai tessuti in genere (per es. sulla yuta dei sacchi, sulla lana degli ovini, sul pelo dei cani ecc.). Pertanto, al di là del problema di dove si sia originata la specie in oggetto, è ovvio che l’introduzione iniziale degli Xanthium è il risultato di contaminazioni casuali e ripetute attraverso gli scambi commerciali transoceanici, che -lo ricordiamo- divennero particolarmente significativi in epoca coloniale, a cavallo tra i secoli XVII e XIX. Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Ha un impatto negativo sulla biodiversità, in quanto, diffondendosi ampiamente lungo i greti fluviali, ne determina un deterioramento floristico a scapito delle specie autoctone; qui infatti essa forma comunità in cui diventa dominante (associazione Polygono-Xanthietum italici)(Pirola & Rossetti, 1974). È inoltre una infestante delle colture estive. Note: Il genere Xanthium subgen Xanthium è composto da entità prevalentemente autogame, suddivisibili in due gruppi principali: X. strumarium L. s.l. autoctono: disseminulo di 12-17×10-14 mm (incluse le spine), con spine di 2-3 mm e due becchi brevi (2-3 mm), ± dritti ed espansi alla base (2 mm); foglie generalmente con 3-5 lobi ben marcati; pianta non o debolmente aromatica; X. orientale L. s.l. esotico: disseminulo di 20-26×15-21 mm (incluse le spine), con spine di 4-5 mm e due becchi lunghi (5-6 mm), arcuati e poco dilatati alla base; foglie con 3(-5) lobi poco marcati; pianta aromatica. Questi due gruppi sono alla base di numerose razze morfologiche che persistono localmente per lungo tempo; tuttavia, a causa delle attività umane o per motivi naturali, ogni tanto avviene la fecondazione incrociata tra due razze e i caratteri si rimescolano. I caratteri di strumarium e orientale (incl. X. italicum) sono quelli che persistono maggiormente (Löve & Dansereau, 1959; Wisskirchen, 1995; Jeanmonod, 1998a, 1998b). Alcuni autori, soprattutto europei, considerano numerose specie; Strother (2006) una sola entità, di rango specifico, Löve (1974, 1976) due entità, di rango sottospecifico, Wisskirchen (1995) e Jeanmonod (1998a, 1998b) considerano un numero limitato di specie. Noi qui consideriamo solo tre entità, X. strumarium (autoctono), X. orientale s.s. (esotico) e X. italicum (esotico, prudentemente mantenuto distinto da X. orientale). Bibliografia: Jeanmonod, 1998a, 1998b; Löve, 1974, 1976; Löve & Dansereau, 1959; Pirola & Rossetti, 1974; Strother, 2006; Widder, 1923; Wisskirken, 1995 254 255 nappola spinosa Famiglia: Asteraceae Nome scientifico: Xanthium spinosum L. Nome volgare: nappola spinosa Sinonimi: Acanthoxanthium spinosum (L.) Fourr. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 20-80 cm, con fusti prostrato-ascendenti, spesso pubescenti e portanti spine dorate, triforcate alla base, lunghe 1-2 cm. Foglie con picciolo di 2-4 cm e lamina pennato-partita di 3-5×2-3 cm oppure lineare e intera di 6-8×1 cm, grigio-tomentosa sulla faccia abassiale. La pianta è monoica, con infiorescenze a calatide (“capolino”), le maschili subglobose con fillari (“brattee”) in una sola serie, ricettacolo cilindrico provvisto di pagliette e numerosi fiori a 5 stami, questi connati per i filamenti, ma ad antere libere, uncinate all’apice; ovario e stilo rudimentali. Calatidi femminili ovoidali, con fillari in 2 serie, gli esterni (prossimali) liberi, piccoli ed erbacei, gli interni (distali) più grandi, connati, coriaceospinescenti, terminati da 2 becchi (raramente 1) legnosi all’apice della calatide; fiori 2, alloggiati ciascuno in una cavità interna della struttura sopra descritta, nudi, ridotti a semplici ovari con lungo stilo sporgente da un’apertura posta alla base dei becchi, sul loro lato interno. Il frutto, che è anche disseminulo (disseminazione teriocora-antropocora) e consiste dell’intera calatide femminile, è ellissoidale, di 10-12×4-5 mm, con spine uncinate di 3 mm, rossastre. Periodo di fioritura: luglio-ottobre. Area d’origine: Sudamerica. Habitat: Incolti aridi, ruderi. Distribuzione nel territorio: Planiziale-collinare. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Mantova (CAS), Pavia (CAS). Periodo d’introduzione: Neofita, arrivata in Italia al principio del Settecento. Conosciuta in Lombardia almeno dal 1785 come pianta coltivata (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789) e dal 1819 in natura (campione raccolto nel pavese e conservato nell’Erbario di Pavia, PAV); Nocca & Balbis (1821) la segnalano per la prima volta. Modalità d’introduzione: Accidentale, con imballi di merci o altro (vedi anche X. italicum). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Note: In Pianura è rara, mentre è comune in area mediterranea. Bibliografia: Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Löve, 1975; Nocca & Balbis, 1821 leycesteria Famiglia: Caprifoliaceae (= Caprifoliaceae subfam. Caprifolioideae) Nome scientifico: Leycesteria formosa Wall. Nome volgare: leycesteria Tipo biologico: Pscap Descrizione: Arbusto (frutice) deciduo, eretto-espanso, con fusti lunghi fino a 2 m e oltre, ramificati dalla base; rametti, piccioli, peduncoli, brattee e calici con pubescenza appressata. Foglie con picciolo di 5-12(-15) mm e lamina ovato-lanceolata, ovato-oblunga o largamente ovata, alla base da largamente cuneata a subcordata, di 4-13x2-6 cm, intera, remotamente denticolata o irregolarmente sinuata al margine, da acuminata a lungamente caudata all’apice, verde scuro sulla faccia adassiale, pelosa su quella abassiale, specialmente sulla nervatura principale. Racemi terminali e ascellari, formati da 1-molti verticilli di 6 fiori, con peduncolo dell’infiorescenza lungo (8-)10-25(-30) mm; brattee fogliacee vistose, verdi, rosa e rossoporpora; bratteole molto piccole (<1 mm). Calice con tubo di 3-4 mm, densamente peloso-ghiandoloso e lembo 5-lobato a lobi da uguali a disuguali (2 lunghi e 3 corti); corolla bianca, rosea o raramente purpurea, imbutiforme, lunga (1.2-)1.4-1.8 cm, pubescente esternamente, con lobi suborbicolari di 5 mm. Bacca dapprima rossa, poi nero-violacea, ovoidale o subglobosa, 5-7 mm in diametro, coronata all’apice dai lobi calicini persistenti; semi numerosi, brunastri, un po’ appiattiti. Periodo di fioritura: maggio-settembre. Area d’origine: Asia (dal Pakistan alla Cina sudoccidentale) . Habitat: Boscaglia submontana di ripa (foreste aperte, margini boschivi e arbusteti in patria). Distribuzione nel territorio: Val Trompia nel bresciano, lungo il torrente Bavorgo. Brescia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta all’inizio del XIX secolo in Inghilterra, dove esplose in età vittoriana, quindi successivamente importata in Italia in alcuni orti botanici e parchi privati al centro-nord, rimanendo qui, tuttavia, praticamente ignorata dalla floricoltura ufficiale. Segnalata per la prima volta in Lombardia (e in Italia) da Crescini & Tagliaferri (1994c), che l’hanno osservata naturalizzata a partire dal 1992. Modalità d’introduzione: Volontaria (importazione orticola). Status: Naturalizzata. Dannosa: Apparentemente no. Impatto: Nessuno. Note: I frutti maturi sono commestibili, sebbene di sapore piuttosto forte, non a tutti gradito, graditissimo invece agli uccelli, che sono certamente i responsabili della diffusione della pianta nel sito lombardo rilevato. Si tratta dunque di un classico caso di “fuga” da giardino. Bibliografia: Crescini & Tagliaferri, 1994c 256 257 caprifoglio giapponese Famiglia: Caprifoliaceae (= Caprifoliaceae subfam. Caprifolioideae) Nome scientifico: Lonicera japonica Thunb. Nome volgare: caprifoglio giapponese Sinonimi: Caprifolium japonicum (Thunb.) D.Don, comb. superfl. Caprifolium japonicum (Thunb.) Dum.Cours. Lonicera flexuosa Thunb. Nintooa japonica (Thunb.) Sweet Tipo biologico: Plian Descrizione: Liana raggiungente un’altezza di 6 m e oltre. Foglie opposte, persistenti, subcoriacee; picciolo di 3-10 mm; lamina da ovata a oblunga, di 3-9×2-5 cm, di un verde più o meno scuro, con margine intero (salvo nelle foglie dei giovani getti, il cui margine può essere lobato), base da arrotondata a subcordata, apice acuto oppure ottuso. Fiori fortemente profumati, appaiati all’ascella di 2 foglie ridotte, libere alla base, pentameri, zigomorfi, portati da peduncoli lunghi 3-15 mm; tubo del calice conico; corolla bilabiata lunga 3-5 cm, pubescente esternamente, bianca o talvolta leggermente rosata, virante al giallo crema dopo la pollinazione, con labbro superiore a 4 lobi stretti, ricurvi all’indietro e labbro inferiore lineare, intero, ugualmente ricurvo; stami 5, stilo con stigma capitato, tutti lungamente sporgenti dal tubo corollino; ovario infero. Il frutto è una bacca globosa, nera, lucida, larga 3-4 mm. Periodo di fioritura: maggio-settembre. Area d’origine: Asia orientale (Giappone e Cina). Habitat: Principalmente in boschi degradati, da mesofili a spiccatamente termofili, ma assente in condizioni di marcata aridità. Si rinviene anche in arbusteti, siepi, recinzioni presso le abitazioni ecc. Tollera abbastanza bene l’ombreggiamento, pur prediligendo ambienti a luminosità decisa. Può tappezzare il suolo, ma solo dove le condizioni di luce lo permettono. Distribuzione nel territorio: Diffusa su tutto il territorio regionale (50-1˙000 m s.l.m.), anche se in maggior misura nell’area planiziale e collinare, mentre in quella submontana soltanto in stazioni particolarmente calde e riparate. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lodi (INV), Monza e Brianza (INV), Milano (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XIX secolo. In Lombardia coltivata almeno dal 1886 (campione raccolto da F. Sordelli a Milano e conservato nell’Erbario dell’Università di Milano, MI) e naturalizzata almeno dal 1920 a Milano (Cobau, 1920), dal 1927 (Fiori, 1927a) a Mandello Lario (LC) e da prima del 1929 (Stucchi, 1929a) a Tornavento (Lonate Pozzolo, VA). Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura). Status: Invasiva. Dannosa: Sì. Impatto: Sempre largamente coltivata come rampicante profumato, L. japonica è tra le specie più invasive attualmente presenti sul territorio regionale ed anche tra le specie più impattanti. Infatti, è in grado di avviluppare interamente arbusti e piccoli alberi, numerosi tipi di supporti artificiali (staccionate, muri ecc.), nonché formare un fitto tappeto che ricopre completamente il sottobosco. Provoca dunque danni alla biodiversità, al paesaggio, ai processi biogeochimi del suolo ed anche ai manufatti. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto di monitoraggio, contenimento o eradicazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombardia. Azioni di contenimento: Specie di difficile controllo, in relazione all’incredibile capacità di autopropagazione e all’inconsueto vigore. Nel caso di invasioni localizzate sono necessari tagli selettivi (alla base dei fusti nei mesi di maggio e settembre, ripetuti per alcuni anni), mentre per invasioni diffuse tagli più frequenti e impiego di erbicidi (solo sulla porzione al suolo). È necessario comunque predisporre una copertura stabile nella vegetazione, rimuovendo anche i fattori di degrado che facilitano l’ingresso di questa specie. Occorre eliminare accuratamente le parti tagliate e distruggerle (si moltiplica facilmente per via vegetativa). Evitare assolutamente la fruttificazione degli esemplari (i frutti sono appetiti dall’avifauna, che ne facilita la dispersione). lonicera pileata Famiglia: Caprifoliaceae (= Caprifoliaceae subfam. Caprifolioideae) Nome scientifico: Lonicera pileata Oliv. Nome volgare: lonicera pileata Sinonimi: Caprifolium pileatum (Oliv.) Kuntze Lonicera ligustrina Wall. var. pileata (Oliv.) Franch. Tipo biologico: nPcaesp Descrizione: Piccolo cespuglio alto sino a circa 50 cm, con rami arcuati e radicanti. Foglie sempreverdi, opposte; lamina lunga generalmente 12-32 mm, da oblunga a lanceolata, verde scuro lucido e coriacea, più chiara inferiormente; apice ottuso, base cuneata, con nervatura mediana sporgente sulla faccia adassiale (superiore). Fiori attinomorfi, sessili in coppie singole all’ascella delle foglie; calice a 5 denti, con appendice basale a forma di collare ricoprente il margine del profillo (cupola); corolla lunga 6-8 mm, imbutiforme, di colore giallo pallido, pubescente esternamente, con 5 denti; stami 5, sporgenti; ovario infero. Frutto costituito da una bacca globosa, violetta, lucente e traslucida (effetto “porcellana”), di 5 mm di diametro, contenente 2-4 semi appiattiti. Periodo di fioritura: maggio-giugno. Area d’origine: Asia orientale (Cina). Habitat: Sinora rinvenuta spontanea in una forra, tra le fessure di una parete calcarea, dove sembra propagarsi soprattutto vegetativamente. Distribuzione nel territorio: Coltivata in tutto il territorio regionale, è stata rinvenuta spontanea soltanto lungo il Torrente San Giulio (loc. Pianella, Cittiglio, VA), a ca. 300 m s.l.m. Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel Novecento; segnalata per la prima volta in Lombardia (e in Italia) da Banfi et al. (2009), che l’hanno osservata a partire dal 2007. Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Finora irrilevante. Note: La specie si mostra sessualmente autoincompatibile e poiché viene regolarmente propagata per via vegetativa, sul nostro territorio si mantiene clonale, cioè non fruttifica, a meno che a impollinarsi siano cultivar diverse, come di fatto non si osserva. Ciò ostacola la sua diffusione spontanea, facendo presumere che i rischi di una vera invasione siano piuttosto remoti. Può essere confusa con la simile L. ligustrina Wall. subsp. yunnanensis (Franch.) P.S.Hsu & H.J.Wang (= var. yunnanensis Franch., = L. nitida E.H.Wilson; lonicera ligustrina), ugualmente coltivata, che si distingue solo per le foglie più piccole (lunghe 6-16 mm), a perimetro ovato, con base arrotondata o leggermente cordata e con nervatura mediana non sporgente sulla faccia adassiale (superiore). Bibliografia: Banfi et al., 2009; Li, 2000 Note: Può essere superficialmente confusa con il caprifoglio nostrano (L. caprifolium L.), diffuso, sebbene infrequente e sempre più minacciato, nei boschi delle fasce planiziale e collinare. Questo però è presto distinto per lo sviluppo decisamente minore (rampicante discreto e poco vistoso), per le foglie da ovato-ellittiche a subrotonde, sottili, decidue, glauche inferiormente, per i fiori in 1-2(-3) verticilli terminali sovrapposti, involucrati ciascuno da una coppia di foglie bratteali connate a formare un collare, per la corolla maggiore e per le bacche pruinose, aranciate a maturità. Va detto che il gruppo naturale di specie afferenti al caprifoglio giapponese (sect. Nintooa (Sweet) Maxim.) è tutto asiatico ad eccezione di un’entità con distribuzione SW-mediterraneo-montana, L. biflora Desf., presente anche in Italia; è l’unica che assomiglia veramente a L. japonica. 258 Bibliografia: Cobau, 1920; Fiori, 1927a; Stucchi, 1929a 259 lacrime d’Italia Famiglia: Caprifoliaceae (= Caprifoliaceae subfam. Caprifolioideae) Nome scientifico: Symphoricarpos albus (L.) S.F.Blake Nome volgare: lacrime d’Italia Basionimo: Vaccinium album L. Sinonimi: Symphoricarpos albus (L.) S.F.Blake fo. laevigatus (Fernald) G.N.Jones Symphoricarpos albus (L.) S.F.Blake subsp. laevigatus (Fernald) Hultén Symphoricarpos albus (L.) S.F.Blake var. laevigatus (Fernald) S.F.Blake Symphoricarpos racemosus Michx. Symphoricarpos racemosus Michx. var. laevigatus Fernald Symphoricarpos rivularis Suksd. Tipo biologico: Pscap Descrizione: Arbusto alto sino a circa 1 m, che si propaga tramite rizomi sotterranei. Foglie decidue, opposte; picciolo 3-5 mm; lamina ovale o ellittica, di 4-6×3-5 cm, verde scuro, con margine intero o irregolarmente lobato. Fiori in cime abbreviate all’ascella delle foglie; corolla campanulata, lunga 6 mm, di colore roseo. Frutto costituito da una bacca ovoide o sferica, di 1-1.5 cm di diametro, bianca; bacche riunite in glomeruli e lungamente persistenti. Periodo di fioritura: giugno-luglio. Area d’origine: Nordamerica. Habitat: Boschi disturbati, presso le abitazioni. Distribuzione nel territorio: Coltivata su tutto il territorio regionale, è stata rinvenuta spontanea qua e là. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (CAS), Lecco (CAS), Monza e Brianza (NAT), Mantova (CAS), Pavia (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nella seconda metà del XVIII secolo. Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Allo stato attuale della sua diffusione, questa specie non pone particolari problemi. edera algerina Famiglia: Araliaceae Nome scientifico: Hedera algeriensis Hibberd Nome volgare: edera algerina Sinonimi: Hedera canariensis auct., non Willd. Tipo biologico: Plian Descrizione: Liana legnosa con radici aggrappanti e fusti lunghi fino a 3 m. Foglie sempreverdi, alterne; lamina ovata, trilobata o intera, di circa 19×20 cm, con minuti peli squamiformi, solitamente rosso-brunastri (meglio visibili sulle giovani foglie, ma anche sui rametti), verde scuro brillante su entrambe le pagine; base delle foglie giovanili tronca o solo leggermente cordata. Fiori in ombrelle, spesso riunite in pannocchie racemose; calice a 5 lobi; petali 5, giallo-verdastri; stami 5, prominenti; stili riuniti in una breve colonna; ovario 5-loculare, con disco apicale nettarifero cupuliforme e stilo al centro. Frutto consistente in una drupa violaceo-nerastra. Periodo di fioritura: settembre-novembre. Area d’origine: Nordafrica (costa mediterranea algerina e tunisina). Habitat: Ambienti antropizzati, soprattutto su manufatti e in formazioni forestali antropogene, dove spesso si abbarbica sugli alberi; talvolta presso microdiscariche abusive di materiale vegetale. Distribuzione nel territorio: Specie termicamente piuttosto esigente, è presente in modo sparso su tutto il territorio regionale, anche se spesso solo casuale (100-350 m s.l.m.). Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Lecco (CAS), Milano (NAT) Varese (CAS). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XIX. Segnalata per la prima volta in natura in Lombardia da Conti et al. (2007). Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante. Azioni di contenimento: Immediata asportazione delle piante radicate sui manufatti. Note: Considerata un tempo conspecifica di H. canariensis Willd., differisce in effetti da quest’ultima, la quale ha foglie giovanili decisamente cordate e meno lucide, nonché leggermente più piccole (McAllister, 1988; McAllister & Rutherford, 1997; Ackerfield, 2001; Ackerfield & Wen, 2002). H. algeriensis è in genere coltivata come ricoprente, soprattutto nella cultivar ‘Gloire de Marengo’ (o ‘Souvenir de Marengo’), a foglie variegate di bianco. Bibliografia: Ackerfield, 2001; Ackerfield & Wen, 2002; Conti et al., 2007; McAllister, 1988; McAllister & Rutherford, 1997 260 261 edera irlandese Famiglia: Araliaceae Nome scientifico: Hedera hibernica (G.Kirchn.) Bean Nome volgare: edera irlandese Basionimo: Hedera helix L. var. hibernica G.Kirchn. Sinonimi: Hedera helix L. subsp. hibernica (G.Kirchn.) D.C.McClint. Tipo biologico: Plian Descrizione: Liana legnosa aggrappante tramite radici aeree, con fusti alti sino a parecchi metri. Foglie coriacee, sempreverdi, alterne; lamina ovata, di norma triloba, occasionalmente con 5(-7) lobi, larghe e lunghe 6-10 cm, con minuti peli stellati biancastri o talvolta brunastri (maggiormente visibili sulle giovani foglie e sui rametti), verde scuro sublucido sulla faccia adassiale, un po’più chiaro su quella abassiale; base cordata. Fiori in ombrelle, spesso riunite in pannocchie racemose terminali; calice 5-lobato; petali 5, giallo-verdastri, acuti; stami 5, prominenti; stili riuniti in una breve colonna; ovario a 5 loculi, sormontato da un disco nettarifero cupuliforme, con lo stilo al centro. Frutto costituito da una drupa viola-nerastra con scarso mesocarpo e semi bruno chiaro. Periodo di fioritura: settembre-novembre. Area d’origine: Europa (coste atlantiche europee, dall’Irlanda attraverso il sud-ovest di Inghilterra e Francia, fino alla Spagna). Habitat: Ambienti antropizzati e boschi, in particolare presso le abitazioni. Distribuzione nel territorio: Data la confusione, protrattasi fino a poco tempo fa, con la comune edera autoctona (H. helix L.), la distribuzione regionale dell’aliena è ancora in buona parte sconosciuta. Essa è comunque coltivata in tutto il territorio regionale, dalle Prealpi sino alle colline dell’Oltrepò ed entro un’escursione altimetrica che dal Fiume Po arriva sino a circa 450 m s.l.m. Como (NAT), Milano (CAS), Pavia (NAT), Varese (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in un periodo imprecisabile. Segnalata per la prima volta in natura in Lombardia da Brusa et al. (2007). Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura). Status: Naturalizzata e apparentemente prossima a diventare invasiva. Dannosa: Potenzialmente sì. Impatto: Apparentemente più aggressiva di H. helix, l’edera irlandese sembra occuparne la stessa nicchia ecologica. Nelle finora poche stazioni osservate in cui le due specie crescono assieme, H. hibernica sembra soverchiare con esuberanza di vegetazione la nostra edera, per poi rimpiazzarla; forma inoltre una spessa copertura sul terreno, più compatta di quella di H. helix. Azioni di contenimento: Immediata asportazione delle piante, evitando di lasciare materiale vegetativo in loco. Trattamento localizzato con diserbanti. soldinella delle Mascarene Famiglia: Araliaceae Nome scientifico: Hydrocotyle sibthorpioides Lam. Nome volgare: soldinella delle Mascarene Sinonimi: Hydrocotyle japonica Makino Hydrocotyle monticola Hook.f. Hydrocotyle nitidula A.Rich. Hydrocotyle rotundifolia Roxb. Hydrocotile yabei Makino Tipo biologico: Hrept Descrizione: Minuta erba perenne, tappezzante, alta 10-30 mm, con fusti sottilissimi, striscianti e radicanti ai nodi. Foglie con picciolo di spessore inferiore a 1 mm e lamina suborbicolare o reniforme, spesso a base cordata, larga 1 cm, crenata al margine, con reticolo di nervature evidente. Fiori pentameri, subsessili in ombrelle 3-8(-10)-flore, sorrette da peduncoli di 2 cm. Il frutto è una drupa secca (endocarpo legnoso), ellissoidale, fortemente compressa, con coste laterali prominenti. Periodo di fioritura: giugno-luglio. Area d’origine: Presumibilmente paleotropica (isole Mascarene?). Habitat: Aiuole fresche, prati dei cortili e giardini interni, specialmente di vecchie case e ville in città. Distribuzione nel territorio: Città di Milano e di Pavia. Milano (NAT), Pavia (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta a Milano da Cattorini (1952) e successivamente reidentificata da Viola (1954); è presente in città almeno dagli anni ’20 del secolo scorso. Modalità d’introduzione: Ignota. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Irrilevante (estetico locale). Azioni di contenimento: Non sembra sensato intervenire, in quanto la specie si insedia in condizioni più che accettabili di convivenza artificiale, contribuendo positivamente alla a-diversità cittadina, che è l’unica forma di biodiversità in ambito urbano. Note: Entità termofila, incapace di affermarsi fuori dai microclimi protetti delle infrastrutture urbane. Il genere Hydrocotyle, con oltre 75 specie proprie di ambiente umido, era fino a poco tempo fa ascritto alla famiglia delle ombrellifere (Apiaceae) assieme a Trachymene (= Didiscus), Homalosciadium, Neosciadium e pochi altri. Gli studi biomolecolari dell’ultimo decennio hanno confermato definitivamente che questo gruppo (subfam. Hydrocotyloideae) è invece annidato all’interno delle Araliaceae, dove condivide alcuni caratteri sinapomorfici, tra cui l’endocarpo legnoso, assente nel frutto delle ombrellifere. Bibliografia: Cattorini, 1952; Viola, 1954 Note: H. hibernica, commercialmente non distinta da H. helix o al più considerata semplice cultivar della stessa, trova largo impiego ornamentale, soprattutto come tappezzante. Può essere confusa di primo acchito con H. helix: la differenza principale e certa fra i due taxa consiste nei peli stellati (lente!), i cui raggi in H. hibernica sono disposti parallelamente alla superficie di inserzione del pelo (orizzontali), mentre si presentano eretti o eretto-patenti in H. helix; tale differenza si riflette macroscopicamente sul tipo di pelosità (da osservare su foglie giovani e rametti), che appare sericea o subsericea nell’edera irlandese, setoloso-ispida nell’edera comune. Inoltre le foglie di H. hibernica sono mediamente maggiori (3-6 cm in H. helix) e maggiore è pure la profondità del seno fogliare prossimale (1-2 cm in H. helix); infine, il reticolo biancastro di fondo delle nervature fogliari che contraddistingue la faccia adassiale in H. helix, è del tutto irrilevante in H. hibernica. Bibliografia: Ackerfield, 2001; Ackerfield & Wen, 2002; Brusa et al., 2007; Ceraboldini et al., 2008; Clarke et al., 2006; Grivet & Petit, 2002; McAllister & Rutherford, 1990, 1997 262 263 cerfoglio bulboso Famiglia: Apiaceae Nome scientifico: Chaerophyllum bulbosum L. Nome volgare: cerfoglio bulboso Sinonimi: Myrrhis bulbosa (L.) All. Tipo biologico: Hbienn Descrizione: Pianta erbacea robusta, alta 1-2 m, con radice a fittone ingrossato (larga fino a 6 cm) e fusto eretto, fistoloso, peloso nella porzione inferiore. Foglie a perimetro triangolare, 2-4-pennatosette, con segmenti terminali da lanceolati a lineari, larghi 0.5-2 mm. Fiori in ombrelle a 15-20 raggi, prive di involucro o con poche brattee precocemente caduche; involucretti presenti, formati da bratteole lanceolato-lineari, acuminate; petali 5, trilobati (lobo mediano inflesso), bianchi; stami 5, divaricati, con filamento ricurvo all’apice; ovario infero, con 2 stili divergenti a base conica (stilopodio). Il frutto è un polachenario (più noto come diachenio), cilindrico-conico, lungo 5-7 mm, costituito da 2 mericarpi percorsi da sottili coste longitudinali, dorsali e laterali tutte simili tra loro. Periodo di fioritura: giugno-agosto. Area d’origine: Europa centro-orientale e Asia occidentale. Habitat: Boscaglie golenali. Distribuzione nel territorio: Cremonese, lungo il Po. Cremona (NAT). Periodo d’introduzione: Possibile neofita, la cui introduzione in Italia e Lombardia è difficilmente databile. Segnalata per la prima volta in Lombardia da Bonali (2002b); la precedente segnalazione di Nocca & Balbis (1816) per il Monte Penice (a cavallo tra le province di Pavia e Piacenza) è stata successivamente esclusa da Rota (1847). Modalità d’introduzione: Deliberata (pianta da orto per la radice commestibile). Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Inesistente. sedanella americana Famiglia: Apiaceae Nome scientifico: Cyclospermum leptophyllum (Pers.) Sprague ex Britton & P.Wilson Nome volgare: sedanella americana Basionimo: Pimpinella leptophylla Pers. Sinonimi: Apium leptophyllum (Pers.) F.Muell. ex Benth. Cyclospermum leptophyllum (Pers.) Sprague, comb. inval. Tipo biologico: Tscap Descrizione: Erba annuale, alta 20-50 cm, a fusti gracili e sottili, ramosi, con rami largamente divergenti. Foglie bitripennatosette a segmenti lineari, capillari, larghi 1 mm o meno. Fiori in ombrelle composte ridottissime, generalmente a 2(-3) raggi; involucro e involucretti assenti; fiori molto piccoli, con 5 petali bianchi ad apice trilobo (lobo mediano riflesso); stami 5; ovario infero, con 2 stili divergenti. Frutto (polachenario) costituito da 2 mericarpi globosi. Periodo di fioritura: maggio-giugno. Area d’origine: Sudamerica. Habitat: Aiuole, ruderi, macerie. Distribuzione nel territorio: Planiziale orientale. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Lecco (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombardia da Perico (2004) nel lecchese. Modalità d’introduzione: Accidentale, per probabile contaminazione di merci. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Nullo. Note: È pianta individualmente effimera, che forma popolamenti “mobili” all’interno delle aree da essa colonizzate. Bibliografia: Perico, 2004 Note: Questa pianta di interesse alimentare, con gli stessi usi della carota, era coltivata in Europa fino al secolo XIX, specialmente nel territorio compreso fra Austria e Ungheria (area pannonica). Oggi tale coltura è stata rilanciata ed è localmente in ripresa. In Italia si coltivava di riflesso in aree limitate del Piemonte, ma l’uso della pianta rimase confinato a tale situazione, fino ad estinguersi lasciando sparse tracce di naturalizzazione. La recente segnalazione lombarda fa presumere che qualcuno ne abbia ripreso la coltura in territorio regionale. Ricordiamo infine che l’habitus, le foglie e le infiorescenze rendono la pianta facilmente confondibile con la cicuta maggiore (Conium maculatum L.), nota per la pericolosità, che tuttavia si distingue per le macchie porpora violaceo del fusto, confluenti nella metà inferiore e per i frutti subglobosi, nerastri a maturità. Bibliografia: Bonali, 2002b; Bonali & D’Auria, 2007; Bonali et al., 2006a; Nocca & Balbis, 1816; Rota, 1847 264 265 panace di Mantegazza Famiglia: Apiaceae Nome scientifico: Heracleum mantegazzianum Sommier & Levier Nome volgare: panace di Mantegazza Tipo biologico: Hscap, Hbienn Descrizione: Pianta erbacea di dimensioni ragguardevoli, perenne o talora bienne, con fusto robusto, del diametro di 5-10 cm alla base, di norma con larghe macchie violacee, alta fino a 5 m. Foglie lunghe 1-3 m, profondamente e variamente tripartite oppure completamente divise in 3-7 segmenti lunghi fino 1.3 m, pennato-lobati, pubescenti sulla faccia abassiale; margine dei segmenti dentellato, con denti maggiori lungamente acuminati. Infiorescenze a ombrella composta, le maggiori fino a 50 cm in diametro, con 50-150 raggi; fiori attinomorfi con calice a 5 piccoli denti e corolla di 5 petali bianchi o rosei, trilobati all’apice (lobo mediano ripiegato), quelli dei fiori esterni radianti e lunghi fino a 12 mm; stami 5; ovario infero, bicarpellare; stilo a base ingrossata (stilopodio); stigmi 2, divergenti. Frutti (polachenari a 2 mericarpi) obovati, di 6-8×9-11 mm, glabri o villosi; ogni mericarpio presenta 2 coste laterali largamente alate e 3 coste dorsali poco sporgenti, intercalate da vitte (canali resiniferi) fortemente rigonfie, larghe fino a 1 mm se non di più. Dopo la fioritura e la fruttificazione la pianta muore (apaxantìa). Periodo di fioritura: luglio-settembre. Area d’origine: Caucaso. Habitat: Rive dei fiumi, scarpate umide, incolti e margini stradali. Distribuzione nel territorio: Montano-subalpina, casuale in pianura. Giungendo a 2173m s.l.m. sulle pendici del Monte Bianco, è la specie esotica rinvenuta a quota più alta in Europa. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (CAS). Periodo d’introduzione: Neofita. Una Fotografia dell’agosto 1899 documenta la prima presenza di questa pianta in Italia, coltivata ai Bagni Nuovi di Bormio (SO)(Celesti-Grapow et al., 2009b); Emil Levier e Stephan Sommier ne hanno portato in Europa i semi dopo un viaggio sulle montagne del Caucaso compiuto nel 1890. Segnalata per la prima volta in Lombardia da Galasso et al. (2007b). Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini floricolturali. Status: Naturalizzata. Dannosa: Sì. Impatto: Al momento non risulta dannosa per la biodiversità, ma per l’uomo quale nuova, rilevante causa di Fotodermatiti producenti piaghe anche gravi sulle parti del corpo venute a contatto con la pianta, dopo esposizione al sole. Azioni di contenimento: Si consiglia l’eradicazione dei pochi e piccoli nuclei sinora segnalati in Lombardia. finocchio acquatico di Giava Famiglia: Apiaceae Nome scientifico: Oenanthe javanica (Blume) DC. Nome volgare: finocchio acquatico di Giava Basionimo: Sium javanicum Blume Tipo biologico: Hscap Descrizione: Erba perenne di 10-80 cm, con radici fibrose e fusti decombenti. Piccioli delle foglie basali lunghi 5-10 cm; lamine a perimetro oblungo-ovato, 1-2 pennate, con segmenti d’ultimo ordine ovati od ovato-rombici, di 5-20x5-50 mm, a margine seghettato; foglie cauline più piccole delle basali, via via ridotte verso l’alto e via via più sessili, fino alle superiori con lamina inserita direttamente su un’espansione della guaina. Ombrelle fiorifere larghe 3-5 cm, su peduncoli di 2-16 cm; brattee 0(-1); raggi 6-16(-30), lunghi 1-3 cm, subeguali o disuguali; bratteole lineari, 2-8, lunghe 2-4 cm, in media quanto i raggi; ombrellette con circa 20 fiori su peduncoli di 1.5-4 mm; denti calicini di circa 0.5 mm; stili patenti di 1.2-2 mm. Frutto subgloboso od ovoide, di circa 2x2.5 mm, con coste dorsali e laterali leggermente ispessito-coriacee. Periodo di fioritura: giugno-luglio. Area d’origine: Asia temperato-calda e tropicale. Habitat: Fossi, sponde, suoli fangosi umidi. Distribuzione nel territorio: Una sola stazione conosciuta a Casalpoglio, al confine tra le province di Brescia e Mantova. Mantova (NAT). Periodo d’introduzione: Neofita di introduzione recentissima (fine secolo XX-inizio secolo attuale). Segnalata per la prima volta in Lombardia da Banfi & Galasso (2005), che riportano osservazioni di Filippo Prosser del 2003 successivamente confermate (Banfi et al., 2007). Modalità d’introduzione: Commercio ortofloricolo. Status: Naturalizzata. Dannosa: No. Impatto: Nessuno, se non fisionomico locale. Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Banfi et al., 2007 Note: Appartiene a un gruppo di tre specie affini introdotte in Europa a scopo ornamentale e qui diffusesi spontaneamente (Jahodová et al., 2007): oltre a essa (specie perenne apaxantica originaria del Grande Caucaso occidentale), l’unica sinora segnalata in Italia, vanno ricordate H. sosnowskyi Manden. (perenne apaxantica originaria del Caucaso centrale e orientale, Transcaucasia e Turchia nordorientale) e H. persicum Desf. ex Fisch., C.A.Mey. & Avé-Lall. (perenne pleonantica originaria di Turchia, Iran e Iraq). In Svizzera è inclusa nella Lista Nera (http://www.cps-skew.ch/italiano/lista_nera.htm) perché invasiva e pericolosa per l’uomo; quindi si tratta di specie da tenere sotto controllo. La diffusione di questa specie è favorita nelle zone densamente popolate e con gli inverni freddi (Pyšek et al., 1998). Bibliografia: Celesti-Grapow et al., 2009b; Galasso et al., 2007b; Jahodová et al., 2007; Pyšek et al., 1998, 2007 266 267 Contributi Fotografici Pag. 26 : azolla maggiore Pag. 27: felce di fortune Pag. 28: cedro dell’Himalaya Pag. 29: pino rosso americano Pag.30: strobo Pag. 31: tuia orientale Pag. 32: ninfea da giardino Pag. 33: coda di lucertola Pag.34: falso canforo Pag.35: lenticchia d’acqua minuscola Pag.36: lenticchietta d’acqua Pag. 37: sagittaria americana Pag. 38: peste d’acqua maggiore Pag. 39: peste d’acqua comune Pag. 40: peste d’acqua di Nuttall Pag. 41: peste d’acqua arricciata Pag. 42: ranocchina delle risaie Pag. 43: ranocchina tropicale Pag. 44: falsa mestolaccia Pag. 45: tulipano di Clusius Pag. 46: tulipano precoce Pag. 47: giglietto blu Pag. 48: giglio di San Giuseppe Pag. 49: agave comune Pag. 50: yucca comune Pag. 51: palma cinese Pag. 52: erba-miseria asiatica Pag. 53: erba-miseria delle risaie Pag. 54: erba-miseria sudamericana Pag. 55: eterantera reniforme Pag. 56: eterantera dei fanghi Pag. 57: eterantera soldina Pag. 58: pontederia Pag. 59: giunco gracile Pag. 60: falsa carice volpina Pag. 61: zigolo cinese Pag. 62: zigolo delle risaie Pag. 63: zigolo ferrugineo Pag. 64: zigolo giapponese Pag .65: zigolo pavese Pag. 66: zigolo americano Pag. 67: giunchina delle risaie Pag. 68: forasacco di Willdenow Pag .69: panico delle brughiere Pag. 70: sanguinella cigliata Pag. 71: sanguinella violacea Pag. 72: panicella fascicolata Pag. 73: panicella fosca Pag. 74: giavone peloso Pag .75: gramigna indiana Pag. 76: gramigna a tre spighe Pag. 77: panicella pettinata Pag. 78: mulembergia di Schreber Pag.79: panico dei campi Pag. 80: panico di Philadelphia Pag. 81: panico capillare Pag. 82: panico brasiliano Pag .83: panico acquatico Pag. 84: pabbio di Faber Pag. 85: pabbio gigante Pag. 86: gramigna tenacissima Pag. 87: gramigna a foglie guainanti Pag. 88 : crespino di Beale Pag. 89: maonia comune Pag. 90: clematide himalayana Pag. 91: fior di loto Pag.92: platano comune Pag. 93: sassifraga dei Pirenei Pag. 94: borracina caucasica Pag. 95: borracina sarmentosa Pag. 96: millefoglio d’acqua Pag. 97: vite del Canada Pag. 98: vite riparia Pag. 99: vite rupestre Pag. 100: indaco bastardo Foto di: E. Zanotti; G.Ceffali; L. Gariboldi Foto di: S. Mauri; G.Sardi; S. Mauri Foto di: S. Mauri Foto di: G. Ceffali; G. Ceffali; V. Arrigoni Foto di: G. Ceffali; S. Mauri; S. Mauri Foto di: S. Mauri; G. Brusa; G. Ceffali Foto di: L. Gariboldi Foto di: A. Sessi Foto di: L. Gariboldi Foto di: A. Truzzi; G. Sardi; F. Giordana Foto di: A. e R. Truzzi Foto di: G. Ceffali; L. Gariboldi; E. Zanotti Foto di: G. Ceffali; E. Zanotti; S. Assini Foto di: G.Sardi; S. Mauri; S. Mauri Foto di: L. Gariboldi; G. Brusa; G. Brusa Foto di: G. Ceffali; F. Giordana; F. Giordana Foto di: G. Brusa; G. Brusa; Erbario MSNM Foto di: Erbario MSNM Foto di: P. Picco; Erbario MSNM; P. Picco Foto di: G. Ceffali; G. Ceffali; A. Marzorati Foto di: G. Ceffali Foto di: L. Cassanego; Erbario MSNM; L. Cassanego Foto di: S. Mauri; S. Mauri; L. Gariboldi Foto di: F. Giordana; F. Giordana; G. Ceffali Foto di: A. Truzzi Foto di: S. Mauri; S. Mauri; L. Gariboldi Foto di: G. Sardi; S. Mauri; S. Mauri Foto di: G. Marconi; P. Picco; E. Haug Foto di: S. Peccenini; S. Mauri; S. Peccenini Foto di: G. Galasso; G. Brusa; F. Giordana Foto di: G. Brusa Foto di: G. Brusa; L. Gariboldi; S. Assini Foto di: S. Mauri; S. Mauri; G. Ceffali Foto di: S. Mauri; V. Frigati; L. Gariboldi Foto di: C. Argenti Foto di: G. Ceffali Foto di: G. Brusa; E. Zanotti; E. Zanotti Foto di: F. Giordana; L. Gariboldi; S. Mauri Foto di: N. Ardenghi Foto di: G. Brusa; G. Ceffali; G. Ceffali Foto di: L. Gariboldi Foto di: L. Gariboldi; L. Gariboldi; E. Zanotti Foto di: L. Gariboldi; S. Mauri; L. Gariboldi Foto di: L. Gariboldi; G. Brusa; G. Brusa Foto di: G. Galasso Foto di: E. Zanotti Foto di: Erbario MSNM Foto di: Erbario MSNM Foto di: G. Brusa Foto di: S. Mauri; S. Mauri; S. Mayer Foto di: F. Giordana Foto di: S. Mauri Foto di: M. Villa Foto di: S. Mauri; G. Sardi; S. Mauri Foto di: E. Zanotti; F. Giordana; E. Zanotti Foto di: G. Sardi; A. Truzzi; S. Mauri Foto di: G. Sardi; G. Sardi; S. Mauri Foto di: A. Truzzi; E. Zanotti; A. Truzzi Foto di: E. Zanotti Foto di: F. Giordana; L. Gariboldi; F. Giordana Foto di: M. Villa Foto di: L. Gariboldi Foto di: L. Gariboldi; G. Brusa; L. Gariboldi Foto di: A. e R. Truzzi; G. Brusa; S. Mauri Foto di: G. Ceffali; T. Wilhalm; T. Wilhalm Foto di: A. Truzzi; L. Gariboldi; A. Truzzi Foto di: G. Ceffali; L. Gariboldi; S. Mauri Foto di: K. Stueber; L. Michels; L. Michels Foto di: L.Cassanego; D. Longo; D. Longo Foto di: L. Gariboldi; L. Gariboldi; S. Mauri Foto di: G. Brusa Foto di: S. Mauri; G. Sardi; L. Gariboldi Foto di: G. Sardi; S. Mauri; S. Mauri Foto di: N. Ardenghi Foto di: L. Gariboldi 269 Contributi Fotografici Pag. 101: fagiolino sotterraneo Pag. 102: glicine tubersoso Pag. 103: spino di Giuda Pag. 104: lupino americano Pag. 105: pueraria Pag. 106: robinia Pag. 107: robinia vischiosa Pag. 108: pero corvino canadese Pag. 109: cotognastro prostrato Pag. 110: cotognastro salicino Pag. 111: azzeruolo americano Pag. 112: kerria Pag. 113: spirea americana Pag. 114: fragola matta Pag. 115: cinquefoglio di Norvegia Pag. 116: lauroceraso Pag. 117: ciliegio tardivo Pag. 118: rosa polianta Pag. 119: lampone asiatico Pag. 120: sorbaria Pag. 121: spirea del Giappone Pag. 122: spirea a foglie di salice Pag. 123: olivagno pungente Pag. 124: olivagno cinese Pag. 125: olmo cigliato Pag. 126: olmo siberiano Pag .127: luppolo del Giappone Pag. 128: gelso da carta Pag. 129: ramié Pag. 130: quercia rossa Pag .131: noce nero Pag. 132: sicio Pag. 133: acetosella rizomatosa Pag.134: acetosella corimbosa Pag. 135: acetosella maggiore Pag. 136: acetosella di Dillenius Pag .137: acalifa meridionale Pag. 138: acalifa della Virginia Pag. 139: euforbia a semi solcati Pag. 140: euforbia sdraiata Pag. 141: euforbia macchiata Pag. 142: euforbia prostrata Pag. 143: euforbia delle ferrovie Pag. 144: euforbia di David Pag .145: pepe d’acqua minore Pag. 146: pioppo ibrido Pag. 147: violetta americana Pag. 148: iperico americano Pag. 149: ammannia arrossata Pag .150: rotala asiatica Pag. 151: epilobio cigliato Pag. 152: porracchia gigante Pag. 153: porracchia di Montevideo Pag. 154: enagra comune Pag. 155: enagra di Bartlett Pag. 156: enagra di Royfraser Pag. 157: enagra fallacoide Pag. 158: enagra di Oehlkers Pag. 159: enagra di Glaziou Pag. 160: enagra del Sesia Pag. 161: enagra di Stucchi Pag. 162: enagra a petali larghi Pag. 163: sommacco maggiore Pag. 164: acero negundo Pag. 165: albero del Paradiso Pag. 166: ibisco palustre Pag. 167: ibisco vescicoso Pag. 168: polanisia Pag. 169: borsa del pastore a fiori grandi Pag. 170: lappolina americana Pag. 171: lepidio della Virginia Pag. 172: crescione austriaco Pag. 173: erba-cornacchia di Loesel Pag. 174: poligono russo Pag. 175: poligono multifloro Pag. 176: poligono filiforme Pag. 177: poligono della Virginia Pag. 178: poligono cespitoso Pag. 179: poligono del Nepal Pag. 180: poligono della Pennsylvania Pag. 181: Poligono di Boemia Pag. 182: poligono del Giappone Pag. 183: poligono di Sakhalin Pag. 184: poligono dell’Himalaya 270 Contributi Fotografici Foto di: G.Cattaneo; L. Gariboldi; G. Galasso Foto di: G. Brusa Foto di: E. Zanotti; S. Mauri; S. Mauri Foto di: L. Gariboldi; L. Gariboldi; G. Ceffali Foto di: S. Gomarasca; S. Mauri; G. Cattaneo Foto di: G. Sardi; S. Mauri; L. Gariboldi Foto di: S. Mauri; G. Brusa; G. Brusa Foto di: A. Mologni; S. Mauri; L. Gariboldi Foto di: F. Giordana; S. Mauri; F. Giordana Foto di: L. Gariboldi Foto di: L. Gariboldi; S. Mauri; L. Gariboldi Foto di: L. Gariboldi Foto di: Erbario MSNM; R. H. Mohlenbrock; Foto di: G. Sardi; L. Gariboldi; S. Mauri Foto di: L. Cassanego Foto di: G. Sardi; S. Mauri; A. e R. Truzzi Foto di: S. Mauri; S. Mauri; L. Gariboldi Foto di: G. Brusa; S. Mauri; S. Mauri Foto di: S. Mauri; G. Bardelli; L. Gariboldi Foto di: G. Galasso; G. Brusa; G.Brusa Foto di: A. Mologni; G. Sardi; S. Mauri Foto di: V. Frigati; V. Frigati; S. Mauri Foto di: S. Mauri; S. Mauri; G. Brusa Foto di: A. Truzzi; G. Brusa; A. Truzzi Foto di: G. Ceffali; G. Ceffali; G. Brusa Foto di: G. Ceffali; L. Gariboldi; Sconosciuto Foto di: S. Mauri; G. Sardi; A e R. Truzzi Foto di: L. Gariboldi; S. Mauri; A. Truzzi Foto di: G. Brusa; G. Brusa; G. Ceffali Foto di: G. Sardi; S. Mauri; G. Sardi Foto di: S. Mauri; S. Mauri; G.Sardi Foto di: L. Gariboldi Foto di: G. Brusa; G. Brusa; A e R. Truzzi Foto di: F. Giordana Foto di: G. Trombetti Foto di: L. Gariboldi; F. Gilardelli; G. Sardi Foto di: G. Sardi Foto di: S. Mauri; G. Sardi; S. Mauri Foto di: N. Ardenghi Foto di: S. Mauri Foto di: A. Truzzi; S. Mauri; S. Mauri Foto di: A. Truzzi; A. Truzzi; G. Sardi Foto di: M. Villa; M. Villa; L. Gariboldi Foto di: N. Ardenghi; S. Mauri; N. Ardenghi Foto di: G. Ceffali Foto di: G. Ceffali; G. Ceffali; E. Zanotti Foto di: P. Arrigoni; G. Ceffali; G. Ceffali Foto di: L. Gariboldi Foto di: F. Giordana; F. Giordana; A. Truzzi Foto di: Erbario MSNM Foto di: F. Prosser Foto di: G. Brusa Foto di: L. Gariboldi Foto di: L. Gariboldi Foto di: S. Mauri Foto di: E. Zanotti Foto di: S. Mauri; L.Gariboldi; L.Gariboldi Foto di: S. Mauri Foto di: Sconosciuto; S. Mauri; S. Mauri Foto di: S. Mauri; S. Mauri; A. Soldano Foto di: S. Mauri; L. Cassanego; S. Mauri Foto di: G. Brusa; G. Brusa; L. Gariboldi Foto di: S. Mauri; S. Mauri; S. Tomiolo & C. Vavassori Foto di: G. Sardi; G. Sardi; L. Gariboldi Foto di: G. Sardi; A. Truzzi; G. Sardi Foto di: A. & R. Truzzi; L. Gariboldi; R. Truzzi Foto di: A. & R. Truzzi; G. Brusa; G. Ceffali Foto di: P. Ferrari; P. Ferrari; L. Gariboldi Foto di: S. Mauri Foto di: G. Sardi; G. Sardi; F. Giordana Foto di: S. Mauri; G. Sardi; S. Mauri Foto di: E. Romani; L. Gariboldi; L. Gariboldi Foto di: Erbario MSNM Foto di: S. Mauri; A. Truzzi; L. Gariboldi Foto di: S. Mauri; G. Sardi; G. Ceffali Foto di: L. Gariboldi; G. Ceffali; L. Gariboldi Foto di: G. Sardi; L. Gariboldi; L. Gariboldi Foto di: L. Gariboldi Foto di: G. Brusa Foto di: L. Gariboldi; Sconosciuto; L. Gariboldi Foto di: L. Gariboldi; L. Gariboldi; R. Appiani Foto di: G. Sardi; G. Sardi; R. Appiani Foto di: G. Marconi; G. Brusa; R. Appiani Foto di: G. Ceffali; M. Kleih Pag. 185: amaranto bianco Pag. 186: amaranto blitoide Pag. 187: amaranto prostrato Pag. 188: amaranto dei campi Pag. 189: amaranto di Powell Pag. 190: amaranto comune Pag. 191: amaranto tubercolato Pag. 192: amaranto verde Pag. 193: erba-cimice di Marschall Pag. 194: cicloloma comune Pag.195: farinello aromatico Pag. 196: farinello minore Pag. 197: cremesina Pag. 198: bella di notte comune Pag. 199: bella di notte minore Pag. 200: mollugine verticillata Pag. 201: fico d’India di Engelmann Pag. 202: fico d’India nano Pag. 203: deuzia comune Pag. 204: balsamina himalayana Pag. 205: balsamina ghiandolosa Pag. 206: balsamina minore Pag. 207: albero di sant’Andrea Pag. 208: pianta della seta Pag. 209: buglossa sempreverde Pag. 210: cuscuta dei campi Pag. 211: dicondra Pag. 212: stramonio Pag. 213: morella della Carolina Pag. 214: morella farinaccio Pag. 215: gelsomino primulino Pag. 216: ligustro lucido Pag. 217: ligustro da siepe Pag. 218: ligustro cinese Pag. 219: serenella Pag. 220: veronica filiforme Pag. 221: occhi della Madonna Pag. 222: veronica pellegrina Pag. 223: buddleja Pag. 224: vandellia delle risaie Pag. 225: stregonia cigliata Pag. 226: mimolo macchiato Pag. 227: paulownia Pag. 228: catalpa cinese Pag. 229: campanula serba Pag.230: ambrosia comune Pag.231: assenzio annuale Pag.232: assenzio dei fratelli Verlot Pag. 233: forbicina bipennata Pag. 234: forbicina peduncolata Pag. 235: cotula neozelandese Pag. 236: radicchiella di Terrasanta Pag. 237: cespica comune Pag. 238: saeppola di Buenos Aires Pag. 239: saeppola canadese Pag. 240: saeppola biancastra Pag. 241: cespica di Karvinski Pag. 242: galinsoga comune Pag. 243: galinsoga ispida Pag. 244: canapicchio della Pennsylvania Pag. 245: topinambur Pag. 246: camomilla di montagna Pag. 247: rudbeckia comune Pag. 248: senecione sudafricano Pag. 249: pioggia d’oro canadese Pag. 250: pioggia d’oro maggiore Pag. 251: astro lanceolato Pag. 252: astro di New York Pag. 253: astro ericoide Pag. 254: astro squamoso Pag. 255: nappola comune Pag. 256: nappola spinosa Pag. 257: leycesteria Pag. 258: caprifoglio giapponese Pag. 259: lonicera pileata Pag. 260: lacrime d’Italia Pag. 261: edera algerina Pag. 262: edera irlandese Pag. 263: soldinella delle Mascarene Pag. 264: cerfoglio bulboso Pag. 265: sedanella americana Pag. 266: panace di Mantegazza Pag. 267: finocchio acquatico di Giava Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: Foto di: E. Romani; E. Romani; N. Ardenghi N. Ardenghi; N. Ardenghi; E. Zanotti G. Sardi; G. Sardi; A. & R. Truzzi S. Mauri; G. Sardi; S. Mauri L. Gariboldi A. Truzzi; S. Mauri; S. Mauri A. Truzzi R. Guarino A. Truzzi L. Gariboldi L. Gariboldi; L. Gariboldi; Sconosciuto S. Mauri G. Sardi; G. Sardi; L. Gariboldi S. Mauri F. Giordana; F. Giordana; L. Gariboldi F. Giordana G. Stablum; A. Guiggi; A. Guiggi A. Guiggi G. Brusa S. Mauri; L. Gariboldi; L. Gariboldi G. Galasso; G. Ceffali; P. Alleva S. Mauri, L. Gariboldi; L. Gariboldi S. Mauri G. Brusa; G. Ceffali; G. Brusa SP. Arrigoni; G. Ceffali; G. Ceffali M. Villa; S. Mauri; M. Villa G. Bedoschi; L. Gariboldi; G. Bedoschi G. Sardi; S. Mauri; L. Gariboldi S. Mauri; S. Mauri; E. Zanotti G. Brusa; G. Brusa; E. Zanotti G. Ceffali S. Mauri; S. Mauri; G. Ceffali A. e R. Truzzi; G. Sardi; A. e R. Truzzi S. Mauri; G. Sardi, L. Gariboldi S. Mauri G. Brusa; P. Arrigoni; P. Arrigoni G. Sardi F. Giordana L. Gariboldi; L. Gariboldi; A. e R. Truzzi A. Truzzi; L. Gariboldi; A. Truzzi G. Brusa F. Prosser; F. Prosser; L. Michels S. Mauri; S. Mauri; L. Gariboldi G. Brusa G. Cattaneo; S. Mauri; S. Mauri S. Mauri; S. Mauri; L. Gariboldi G. Sardi G. Sardi; L. Gariboldi; G. Sardi L. Gariboldi; F. Giordana; E. Zanotti G. Sardi; S. Mauri; L. Gariboldi G. Galasso A. e R. Truzzi; G. Ceffali; A. e R. Truzzi L. Gariboldi; G. Sardi; L. Gariboldi L. Gariboldi A. e R. Truzzi; L. Gariboldi; L. Gariboldi L. Gariboldi; S. Mauri; L. Gariboldi G. Sardi; S. Mauri; G. Sardi S. Mauri; S. Mauri; G. Sardi S. Mauri; S. Mauri; A. Truzzi F. Giordana; G. Galasso; F. Giordana G. Sardi, G. Sardi, E. Zanotti G. Ceffali; G. Brusa; G. Brusa G. Ceffali G. Sardi; G. Sardi; L. Gariboldi S. Mauri; S. Mauri; G. Sardi L. Gariboldi; L. Gariboldi; S. Mauri L. Gariboldi G. Sardi; S. Mauri; G. Sardi F. Giordana; F. Giordana; M. Villa P. Ferrari; P. Ferrari; F. Giordana S. Mauri; S. Mauri; G. Sardi G. Nicolella; A. e M. Marzorati; G.Galasso S. Mauri G. Ceffali; S. Mauri; L. Gariboldi L. Gariboldi S. Mauri; G. Ceffali; G. Cattaneo Erbario MSNM; G. Ceffali G. Brusa; L. Gariboldi; G. Brusa G. Galasso; L. Gariboldi; L. Gariboldi F. Bonali Erbario MSNM; Erbario MSNM; F. Giordana A. e M. Marzorati; A. e M. Marzorati; G. Brusa G. Ceffali; L. Gariboldi; G. Ceffalii 271 La Flora Esotica Lombarda PROGETTO REALIZZATO GRAZIE A: Responsabile del progetto Pietro Lenna Coordinamento e supporto tecnico Anna Rampa A cura di Enrico Banfi, Gabriele Galasso Coordinamento editoriale Luca Gariboldi [email protected] Autori dei testi Silvia Assini, Enrico Banfi, Guido Brusa, Gabriele Galasso, Luca Gariboldi, Alessandro Guiggi Dati su presenza e distribuzione provinciale Nicola Ardenghi (Università degli Studi di Pavia) Pierfranco Arrigoni (Valmadrera - Lecco) Silvia Assini (Università degli Studi di Pavia) Enrico Banfi (Museo di Storia Naturale di Milano), Innocenzo Bona (Capo di Ponte - Brescia) Fabrizio Bonali (Sesto ed Uniti - Cremona) Guido Brusa (Università degli Studi dell’Insubria) Graziano Cattaneo (Verano Brianza - Monza e Brianza) Giorgio Ceffali (Milano) Alberto Colatore (Vergiate - Varese) Germano Federici (Seriate - Bergamo) Franco Fenaroli (Brescia) Roberto Ferranti (Milano) Silvio Frattini (Brescia) Gabriele Galasso (Museo di Storia Naturale di Milano), Luca Gariboldi (Museo di Storia Naturale di Milano), Franco Giordana (Crema - Cremona), Gruppo Botanico Milanese Gruppo Flora Alpina Bergamasca Gruppo Bresciano di Ricerca Floristica Alessandro Guiggi (Castellanza - Varese) Michael Kleih (Ranco - Varese) Fabrizio Martini (Università degli Studi di Trieste) Silviana Mauri (Osnago - Lecco) Gilberto Parolo (Università degli Studi di Pavia) Mimmo Perico (Torre Boldone - Bergamo) Filippo Prosser (Musei Civici di Rovereto) Paolo Rovelli (Parco del Molgora) Francesco Sartori (Università degli Studi di Pavia) Andrea Truzzi (Suzzara - Mantova) Milena Villa (Rovagnate - Lecco) Eugenio Zanotti (Orzinuovi - Brescia) Editato da Museo di Storia Naturale di Milano Milano, 2010 Coordinamento grafico Efficere, far sì che. www.efficere.it Copyright © 2010 Regione Lombardia e Museo Storia Naturale di Milano Grafica e impaginazione Francesco Franciosi si ringrazia: Alice Bonaiti 273 www.regione.lombardia.it www.comune.milano.it/museostorianaturale