VALORI E MASS MEDIA: UN MODELLO DI ANALISI PER LO STUDIO DEI PROCESSI DI COMUNICAZIONE Mass-media and values: An analysis model for the study of communication processes Vincenzo Russo* , Alberto Crescentini** , Luciana Castelli* , Anna Missaglia*, e Davide Jabes* Key-words: values, mass-media, social representations. Parole chiave: valore, mass-media, rappresentazioni sociali. Summary The aim of this article is to explain the importance of mass media in the study of values and social representations; mass media can be investigated by using instruments of analysis such as quantitative content analysis. We have summarized the main contributions coming from literature about the concept of value and the mass media as driver of the process of making sense: mass media contribute to build-up values and social representation. We have presented a study in which the methodology and the results explain how mass media contribute to build-up and maintain shared values. To this aim we have pointed-out some social representations related to the phenomenon of abandoning children, and the values associated to them in mass-media communications. Riassunto Il presente contributo ha l’obiettivo di verificare come lo studio dei principali canali di comunicazione, attraverso tecniche di analisi del contenuto, possa contribuire allo studio dei valori e delle rappresentazioni sociali. Per fare questo sono stati riassunti * Università di Lingue e Comunicazione IULM, Milano e Feltre. Alta Scuola Pedagogica, Locarno. Richieste di informazioni possono essere indirizzate a Vincenzo Russo. E-mail: [email protected] ** Risorsa Uomo: Rivista di Psicologia del Lavoro e dell’Organizzazione, Vol. 13, n. 2, 2007 Risorsa Uomo, Vol. 13, n. 2 brevemente i principali contributi offerti dalla letteratura sul concetto di valore e su come i mass media guidino il processo di costruzione della realtà, contribuendo a sviluppare e a mantenere determinati valori e determinate rappresentazioni sociali. Con intento esemplificativo, è stata presentata la metodologia d’analisi e alcuni risultati di una ricerca la cui finalità principale è stata l’identificazione delle rappresentazioni sociali relative al tema dell’abbandono, dell’adozione, e dei principali valori sociali veicolati da tre diversi canali di comunicazione (carta stampata, cinema, spot). Introduzione: il ruolo dei mass media e i valori Il concetto di valore ha da sempre occupato un ruolo rilevante nella spiegazione dei comportamenti, nell’analisi psicosociale e sociologica. Si tratta di un concetto molto complesso e multiforme: uno di quei termini-ombrello (Eco, 1975) immediatamente comprensibili al pubblico ma difficilmente definibili in dettaglio. Di certo il concetto di valore è uno di quelli tra i più utilizzati dalla letteratura psicosociale e si riferisce a qualcosa di profondamente radicato nell’individuo. Quando si parla di valore inevitabilmente si fa riferimento ad una dimensione stabile (Rokeach, 1973, Rokeach e Grube, 1979): il valore è la concezione stabile di ciò che è desiderabile per un individuo e per una società (Zatti, 1997), appartiene al mondo interno dell’individuo e ha anche una dimensione meta-individuale o comunque si riferisce ad un aspetto della vita degli individui che ha valenza di riferimento strettamente connessa con l’influenza che il contesto culturale, sociale e gruppale ha sull’individuo. Nelle relazioni sociali, i valori esercitano funzioni importantissime: i valori di gruppo danno ad un membro i fini e i significati generali dell’agire nonché le leggi che ne rappresentano la codificazione (Calegari e Massimini, 1976). Questa sua natura di vettore conferisce al concetto di valore un ruolo essenzialista, nella misura in cui si vuole rimandare a dimensioni sottese ai comportamenti concreti (Siri, 1997). I valori, assicurando identità e coesione, vengono intesi come costruzione cognitivo emozionale, influenzata dalla dimensione sociale e dalle relazioni. Già Heider (1958), riferendosi al concetto di valore, ne sottolinea il carattere intersoggetivo. Con l’interazione l’individuo si rende conto che il proprio valore è condiviso dagli altri, traendo un significato oggettivo di valore in quanto costrutto condiviso e sostenuto dagli altri. “I valori che mancano di validità intersoggettiva, afferma Heider (1958), tendono ad essere riesaminati e modificati, fino a quando non viene raggiunta una maggiore obiettività ossia un più largo consenso di gruppo: una comunità di uomini non potrebbe vivere senza una comunità di valori” (Zatti, 1997, p. 61). Uno dei contributi probabilmente più significativi (se non storici) nello studio dell’influenza delle differenze culturali sui valori è quello di Hofstede (1980, 1991), così come altri studi più recenti hanno sottolineato la stretta relazione tra la cultura e valori (Ball-Rokeach, Rokeach, e Grube, 1984; Gudykunst, 1997; Kahle, Beatty, e Mager, 1994; Kang, Perry, e Kang 1999; Tan et al., 2000). In alcune ricerche i valori sono stati usati come veri e propri indicatori dei principi culturali dominanti in alcune culture come quella americana, per esempio, identificabili 244 V. Russo, A. Crescentini, L. Castelli, A. Missaglia, D. Jabes in individualismo, eguaglianza, materialismo, attenzione alla scienza e alla tecnologia, attenzione al progresso ed al cambiamento e il ruolo del lavoro (Samovar e Porter, 1995). La dimensione sociale dei valori ha, in parte, contributo al tramonto del valore euristico del concetto di valore come elemento strutturale identitario, unico e costante nel tempo. Una visione che ha caratterizzato l’età moderna (Siri, 2001) in cui i valori hanno costituito gli atomi dell’identità. Nell’età postmoderna l’approccio sistemico-ecologico pone in evidenza l’impossibilità di fare perno su una psicologia dell’identità e si sofferma sulle caratteristiche di un Sé fluido, effetto dell’esperienza continua e primaria della diversità dei contesti e delle relazioni sociali (Gergen, 1991). La postmodernità sceglie di “accettare la radicale determinatezza del soggetto, la sua contestualità, l’assenza di ancoraggi alla razionalità” (Siri, 2004, p. 67): non esistono più valori universali e le istituzioni che prima rappresentavano la guida per l’interpretazione della realtà hanno lasciato il posto alla ricerca di valori cui sembra che si aderisca sempre più a livello astratto. Ciò impone l’esigenza di vedere la mente umana e tutti i processi psichici che sottostanno ai comportamenti come punto di incontro di un ampio raggio di influenze strutturanti, la cui natura può essere raffigurata solo su una tela più ampia di quella fornita dallo studio degli organismi individuali (Harrè e Gillett, 1994). È in questo orizzonte complesso, caratterizzato da molteplicità, flessibilità, instabilità, dalla fluttuazione tra realtà e virtualità (sempre più imponente nella quotidianità), che l’analisi dei processi psicosociali deve fare riferimento alla soggettivazione individualistica, alla contestuale esperienza e alla costruzione di senso. In questo nuovo contesto epistemologico costruttivista (Gergen, 1991, Harrè e Gillett, 1994) il valore è, pertanto, sempre più inteso come espressione di una processo di costruzione, di confronto, d’influenzamento reciproco, di consenso, di co-costruzione. In questo contesto i processi di comunicazione mediatica assumono un ruolo determinante. Infatti, al di là delle semplificazioni esplicative riscontrabili in alcune storiche teorie sull’influenza della comunicazione di massa sulle opinioni, credenze ed atteggiamenti come la teoria ipodermica (così detta in quanto raffigurava il processo di persuasione come una sorta di inoculazione alla quale l’individuo deve necessariamente soccombere) (DeFleur e Ball-Rokeach, 1989; Wolf, 1985) o dell’agenda setting (McCombs e Shaw, 1993) occorre considerare la relazione tra il processo di costruzione di senso e le informazioni disponibili o rese tali dalla pervasività degli strumenti di comunicazione di massa. Ciò nasce dalla considerazione che la comunicazione è il mezzo attraverso il quale i singoli soggetti originano, conservano ed alimentano i processi sociali. Sebbene diverse ricerche abbiano dimostrato l’effetto dei meccanismi di comunicazione sulla costruzione della scala valoriale (Fujioka, 1999; Hall, Anten, e Cakim, 1999; Stilling, 1997; Ware e Dupagne, 1994; Willnat, 1996), molti studi si sono soffermati sull’analisi di un solo canale di comunicazione (la televisione) senza considerare la complessità del fenomeno. La comunicazione, pertanto, non solo ha carattere d’essenzialità per la costituzione ed il mantenimento della società, ma assume un ruolo determinante nell’influenzare la propria immagine (Mitra, 245 Risorsa Uomo, Vol. 13, n. 2 1999) e i propri valori (Kang et al., 1999; Tan et al., 2000), nonché nella formazione del pensare e del percepire. Le rappresentazioni sociali offerte dai canali di comunicazione contribuiscono alla costruzione di senso e di significato (Galli, 2006). Lungi dal considerare il pubblico passivo, influenzabile ed omogeneo, “i media (ed in particolare la televisione, il cui ruolo è divenuto negli ultimi anni d’importanza cruciale) si inseriscono a pieno titolo nell’ambito di quel complesso processo che viene definito di costruzione sociale della realtà: posto che la conoscenza del mondo e la formazione di opinioni e atteggiamenti non possano considerarsi come un semplice rispecchiamento di una qualche realtà ‘oggettiva’ bensì in larga misura come esito di una ‘lettura’ della realtà ampiamente condizionata da fattori soggettivi, i media esercitano di fatto la loro influenza essenzialmente attraverso un opportuno orientamento di tali processi di costruzione della conoscenza” (Contarello e Mazzara, 2002, p. 211). Il modo stesso in cui viene trasmessa questa conoscenza può diventare un elemento rilevante dal punto di vista della costruzione delle rappresentazioni sociali e dei valori socialmente condivisi (Farr e Moscovici, 1984; Ottaviano, 2002; Wolf, 1985). Negli studi sulla comunicazione, l’analisi del linguaggio dei media può essere utile per capire in quale modo i messaggi sono organizzati per trasmettere significati, per dare senso e per influenzare il comportamento degli individui (Arcuri e Castelli, 1996; Gasparini e Ottaviano, 2005). A partire da queste considerazioni il presente lavoro ha avuto come finalità principale l’analisi delle rappresentazioni sociali relative ad un tema sociale (l’abbandono dei minori e l’adozione) e dei principali valori sociali che possono essere espressi in relazione al tema in oggetto nei principali canali di comunicazione. Nello svolgimento di questa analisi si sono utilizzate tecniche di analisi del contenuto di tipo linguistico, psicosemiotico e psicosociale (Arcuri e Castelli 1996; Mantovani e Spagnolli, 2003), con l’intento di misurare e valutare anche l’ammontare di unità di comunicazione prodotte da diverse fonti di informazione (stampa, cinema e pubblicità). L’analisi, riproposta in questa sede solo come esempio di un processo di studio dei principiali canali di comunicazione, parte dalla considerazione che “l’era moderna è definita dalla convinzione che non ci sia un unico contenitore che possa incorporare e rappresentare davvero i sogni, le aspirazioni, le esperienze di tutti i popoli (…) potrebbero esserci non una ma molte voci, non una ma molte narrazioni, drammi, memorie, storie, autobiografie, poemi e altri testi che alimentino il nostro senso delle vicende della vita al fine di espandere la nostra comprensione dell’Altro” (Lincoln e Denzin, 1994, pp. 580 e 584). Questo orientamento giustifica l’uso dei principi della Grounded Theory (Creswell, 1998). Secondo cui “la conoscenza dei processi risiede nei dati e può emergere dai dati (con un piccolo aiuto da parte del ricercatore). Categorizzazione e teorizzazione sono semplicemente i modi in cui questi processi sono presentati in modo sistematico dal ricercatore ai lettori. I processi identificati dal ricercatore si ritiene accadano indipendentemente dal fatto che siano o no documentati dal ricercatore. In altre parole, la conoscenza potenziale è ‘là fuori’ e può essere catturata dal ricercatore” (Willing, 2001, p. 47). Lo scopo principale di questo tipo di analisi è di studiare il contenuto 246 V. Russo, A. Crescentini, L. Castelli, A. Missaglia, D. Jabes manifesto delle comunicazioni in modo da individuare l’intenzione della fonte, partendo dalla considerazione che i comportamenti, i valori, gli atteggiamenti sono in parte influenzati dal modo in cui la fonte associa ad un problema o alla categoria rappresentata concezioni e significati logici ed affettivi. Metodo Il lavoro è identificabile come analisi di caso (Eisenhardt, 1989) in quanto le informazioni raccolte separatamente sono analizzate con lo scopo di costruire un profilo quanto più soddisfacente ed esplicativo possibile. La caratteristica che rende problematico l’uso della definizione alla presente ricerca è la mancanza di un’unità di “territorio” evidente (Miles e Huberman, 2003) già definita fondamentale da Boas (1896) per poter gestire in maniera adeguata le informazioni. La definizione del territorio è la fase intermedia tra la definizione della domanda di ricerca e la possibilità di avviare una raccolta delle informazioni. L’interrogativo della presente ricerca è stato definito in collaborazione con l’istituzione committente e situa il lavoro nell’ambito delle ricerche esplorative: quale rappresentazione del fenomeno dell’abbandono viene comunicata dai media. In questa analisi la prima domanda che si è posta è quali fossero le fonti d’informazione pubblica adeguate per poter produrre una risposta al problema di conoscenza proposto. L’importanza del ruolo giocato dalla comunicazione sociale nella proporzione di certi stili di vita, di certi valori e di certe rappresentazioni sociali appare già dalla letteratura centrale nella loro strutturazione e conservazione (Jodelet, 1992). La domanda operativa è quindi diventata: quali mezzi d’informazioni contribuiscono maggiormente alla costruzione di una rappresentazione condivisa del tema dell’abbandono? Quali sono i valori sui cui si fa affidamento (in maniera più o meno consapevole) nella trattazione di questo tema? Si è ritenuto che un panel di mezzi differenti potesse fornire questa informazione. Accettando l’impossibilità di avere un’informazione completa su un qualsivoglia fenomeno (Silvermann, 2000) si è ritenuto di poter procedere con un processo di triangolazione (Denzin, 1978; Miles e Huberman, 2003), che richiede l’uso di diversi tipi di dati per l’analisi di uno stesso fenomeno e la triangolazione dei ricercatori che richiede la presenza sul campo di diversi ricercatori che discutono di somiglianze e differenze di approccio al fine di individuare punti di convergenza e di divergenza (Mantovani e Spagnolli, 2003). Le fonti di informazione utilizzate sono state: quotidiani a diffusione nazionale, film e spot pubblicitari. Nel procedere nelle analisi si è dovuto tener conto, come ricordano Pedon e Gnisci (2004) del fatto che nessuna di queste fonti è stata costituita con l’obiettivo di diventare strumento di analisi, sono quindi state utilizzate tutte le cautele proprie di qualsiasi ricerca di archivio. L’utilizzo di metodi e tecniche differenti si è reso necessario per potere: a) ottenere informazioni confrontabili; b) preservare lo specifico di ogni media; c) sfruttarne le particolarità. La scelta della metodologia di analisi, difatti, più che essere legata alle informazioni in posses- 247 Risorsa Uomo, Vol. 13, n. 2 so dell’analizzatore è legata agli obiettivi dell’analisi (Trentini, 1995). Le tipologie di canali comunicativi utilizzati dai tre mezzi, la letteratura presente in materia e le strumentazioni attualmente disponibili hanno guidato la scelta. Le tre analisi sono state condotte in modo indipendente con lo scopo di porle poi a confronto per verificare l’esistenza di convergenze o divergenze (Figura 1). La presa di posizione dell’equipe di ricerca è che i tre mezzi, pur nelle loro differenze di obiettivi e riferimenti, contribuiscano alla costruzione di una rappresentazione in quanto comunicano ad un pubblico relativamente identificato. Figura 1 – Rappresentazione del processo di triangolazione È così nato un approccio all’analisi di tipo misto che racchiude al suo interno metodologie di analisi di tipo quantitativo e metodologie più propriamente qualitative secondo quanto indicato da Gibbs (2004). A livello internazionale molti studi coniugano, infatti, metodologie qualitative e quantitative nell’analisi del contenuto dei media. Secondo Arcuri e Castelli (1996) l’analisi del contenuto è riconducibile ad un complesso di tecniche di ricerca basate sulla “[...] registrazione, misurazione e valutazione dell’ammontare di unità di comunicazione prodotte dalla fonte circa un dato problema o una data categoria di persone” (Arcuri e Castelli, 1996, p. 50). Pedon e Gnisci (2004, p. 105) la identificano come un “[...] approccio quantitativo che si applica principalmente a materiale verbale [...]”, ovvero come “[...] una tecnica che serva ad estrarre le informazioni desiderate da un corpus di materiale, identificandone sistematicamente e oggettivamente determinate caratteristiche”. Sebbene utilizzata prevalentemente per fini descrittivo-interpretativi, l’analisi del contenuto si presta anche come strumento utile per la costruzione di teorie attraverso la verifica di ipotesi precedentemente formulate: la definizione data da Rositi (1988) la identifica con “un insieme di metodi che sono orientati al controllo di determinate ipotesi su fatti di comunicazione, e che a tale scopo utilizzano procedure di scomposizione analitica e di classificazione, normalmente a definizione statistica, di testi e altri insiemi simbolici” (Rositi, 1988, p. 60). 248 V. Russo, A. Crescentini, L. Castelli, A. Missaglia, D. Jabes Strumenti e analisi dei dati Carta Stampata Relativamente alla carta stampata, è stata effettuata un’analisi del contenuto quantitativa (Mantovani e Spagnolli, 2003) degli articoli pubblicati sul tema dell’abbandono in un arco temporale di circa un anno. Hanno costituito oggetto di analisi 137 articoli di quotidiani nazionali (La Repubblica, Il Corriere della Sera, Il Giornale, La Stampa, Il Messaggero) estrapolati da circa 1.000 articoli dedicati al tema dell’infanzia e pubblicati dai principali quotidiani dal gennaio del 2005 al giugno del 2006 e selezionati tra quelli inseriti nella banca dati dell’Istituto degli Innocenti di Firenze1. Gli articoli analizzati non costituiscono un campione adeguatamente rappresentativo di quanto pubblicato sulla stampa italiana nel periodo preso in esame; tuttavia, i criteri di selezione applicati risultano essere coerenti con l’intento esplorativo/descrittivo della ricerca. L’analisi degli articoli è stata effettuata con il supporto del software T-LAB al fine di fornire al ricercatore gli elementi necessari per un’interpretazione dei significati contenuti nelle parole del testo. Il software consente d’individuare all’interno di un contesto di esplorazione definito dal ricercatore dei parametri quantitativi riferiti alle singole frasi (unità di contesto), sulla base di calcoli effettuati sulle singole parole (unità lessicali). È così possibile analizzare le occorrenze delle parole all’interno del testo, le co-occorrenze tra parole diverse all’interno dello stesso testo ed i raggruppamenti (nuclei tematici) significativi all’interno dello stesso testo. Il percorso di analisi utilizzato è quello proposto dall’analisi psicosemiotica del testo (Titscher, Mayer, Wodak, e Vetter, 2000): − identificazione di interrogativi pertinenti ai testi in quanto tali; − selezione di un corpus testuale da analizzare, raccogliendo documenti naturali in cui si possano trovare dei resoconti sull’argomento; − individuazione delle regolarità, non applicando categorie predeterminate ai testi da analizzare si è cercato di riconoscere certi segmenti o aspetti ricorrenti che abbiano rilevanza per gli interrogativi da cui si parte; − elaborazione delle ipotesi capaci di fare comprendere il senso di tali regolarità, mostrando la coerenza interna tra le congetture proposte e le conferme 1 La selezione è stata effettuata seguendo tre criteri paralleli: a) criterio cronologico: sono stati selezionati tutti gli articoli pubblicati nel periodo compreso fra il 01/01/05 e il 28/02/06; b) criterio di diffusione: sono stati selezionati gli articoli provenienti dalla stampa a diffusione nazionale, e tra questi quelli a maggior tiratura; c) criterio di pertinenza: sono stati selezionati tutti gli articoli individuati dal motore di ricerca della banca dati dell’Istituto degli Innocenti di Firenze, indicizzati secondo le parole chiave. 249 Risorsa Uomo, Vol. 13, n. 2 provenienti dai segmenti testuali. È la fase decisiva dell’interpretazione per la quale non è possibile predefinire un modulo generalizzabile e dagli esiti certi (Mantovani e Spagnolli 2003); − redazione del testo che presenta i risultati. L’approccio diatestuale (Titscher et al., 2000) mira in questo caso ad evidenziare le specifiche modalità con cui ogni testo mette in scena un dialogo costruttivo di soggettività, attraverso l’analisi funzionale del discorso che è finalizzata ad individuarne le tracce d’intenzionalità e attraverso l’analisi stratificazionale (Mantovani e Spagnolli, 2003) che guida il ricercatore sulle tracce di espressività reperibili nei vari moduli di organizzazione retorica del testo. Un’ulteriore strategia interpretativa ha spinto a rilevare l’assenza, nell’ipotesi che in alcuni eventi comunicativi possa risultare significativo ciò che non c’è. Spot Per quanto concerne l’analisi effettuata sugli spot pubblicitari è stata applicata una metodologia di analisi del contenuto di tipo qualitativo a 25 campagne di comunicazione relative a “adozione” e “sostegno a distanza” italiane (14) e straniere (11) esalate da una banca dati IULM di circa 26 mila spot. La complessità e la ricchezza del materiale da analizzare ha, infatti, fatto porre in secondo piano l’interesse per la quantificazione e propendere per un approccio interpretativo ed inferenziale. L’analisi delle rappresentazioni e dei valori veicolati dalle campagne di comunicazione sociale è avvenuta seguendo un approccio assimilabile a quello della Grounded Theory (GT; Glaser e Strauss, 1967; Locke, 2002; Mazzara, 2002; Strauss e Corbin, 1990). L’obiettivo di ricerca risiede “nell’identificazione (e categorizzazione) di elementi e nell’esplorazione delle loro connessioni” (Tesch, 1990, p. 72). Il meta obiettivo è stato quello di mantenere in contatto gli analizzatori con il materiale oggetto di analisi. Nei confronti della GT sono state formulate numerose critiche (Coffey, Holbrook, e Atkinson, 1996; Lee e Fielding, 1996) ma vi è una condivisione a riguardo della sua capacità nel mantenere le teorie ancorate ai dati. La Grounded Theory si basa su di una metodologia induttiva. L’induzione (vale la pena segnalare su questo tema Bruschi, 1999 e Giuliano, 2003) è la via per cui si conosce a partire dalla realtà studiata, la teoria deriva dai dati di ricerca, la costruzione teorica emerge dall’analisi empirica tenendo comunque presente che “una mente aperta non è una testa vuota” (“an open mind is not an empty head”, Dey, 1993, p. 229). I dati non sono registrati mediante una descrizione: sono, invece, trasformati in concetti che li riassumono sinteticamente (Strauss e Corbin, 1990). Le fasi principali che sono state seguite sono: − una visione approfondita degli spot al fine d’individuare gli elementi significativi e creare le prime categorie di classificazione. Tali schemi sono stati modificati più volte in un movimento costante dalle categorie ai dati e 250 V. Russo, A. Crescentini, L. Castelli, A. Missaglia, D. Jabes − − − − viceversa seguendo un approccio iterativo dialettico al confronto con i dati (Mason, 1996); un confronto tra i membri dell’equipe delle proprie osservazioni e delle categorie individuate per giungere ad una griglia di analisi comune, definendo gli indicatori che determinano l’appartenenza di un’unità di classificazione ad una certa categoria; la definizione di una griglia di analisi ad hoc con precise categorie di significato con alta convergenza interna e divergenza esterna; l’applicazione della griglia di analisi ad ogni singolo spot; la definizione di un resoconto finale e formulazione delle ipotesi interpretative inerenti le caratteristiche comuni e le differenze emerse. Sono stati considerati elementi propri dello strumento comunicativo come l’analisi delle variabili visive e sonore per poi procedere ad un’analisi psicologica delle dinamiche emotive e razionali attivate nel fruitore del messaggio. Per fare ciò si è fatto riferimento al modello di analisi della pubblicità proposto da Siri (2004)2 e sulle teorie psicosociali di analisi dell’identità (Tajfel, 1972; per una presentazione aggiornata anche ai temi organizzativi (Hogg e Terry, 2001). Cinema Sono stati presi in considerazione 12 film italiani e stranieri estratti da una banca dati di almeno 700 tra film e documentari scelti (progetto CAMERA, Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza Istituto degli Innocenti, Ministero del lavoro e delle politiche sociali). Il periodo di riferimento è quello che va dagli anni ’80 alle recenti produzioni cinematografiche. I film scelti sono stati: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. PARIS, TEXAS, W. Wenders, 1984; LA DEA DELL’AMORE, Woody Allen, 1995; SEGRETI E BUGIE, Mike Leigh, 1996; L’ALBERO DELLE PERE, Francesca Archibugi, 1998; LA REGINA DEGLI SCACCHI, Claudia Florio, 2002; MI CHIAMO SAM, Jessie Nelson, 2002; WHITE OLEANDER, Peter Kosminky, 2002; CERTI BAMBINI, Fratelli Frazzi, 2003; LA PICCOLA LOLA, Bertrand Tavenier, 2004; MYSTERIOUS SKIN, Gregg Araki, 2004; 2 Il modello prevede l’analisi della pubblicità su quattro livelli: 1) modalità persuasiva/gioco relazionale utilizzato: evasione o persuasione; 2) istanze di personalità attivate: Es, Io, Super-Io, Io ideale; 3) motivazioni su cui lo spot fa leva; 4) tipo di relazione con il fruitore: simmetrica o complementare. 251 Risorsa Uomo, Vol. 13, n. 2 11. ALL THE INVISIBLE CHILDREN, AA.VV., 2005; 12. LA GUERRA DI MARIO, Antonio Capuano, 2005. Il modello di analisi applicato fa riferimento agli studi relativi alle letture narrative (Gee, 1986; Gee e Grosjean, 1983, 1984; Lehnert, 1981) trasposte in ambito cinematografico con l’ausilio della letteratura in materia (Berretto, 2002). Nell’analisi, svolte da due diversi esperti, sono stati seguiti i seguenti criteri: − individuare il problema, le cause, lo sviluppo delle problematiche all'interno del racconto filmico e l'eventuale epilogo; − analizzare i protagonisti del mondo dell’adozione e dell'abbandono: i bambini, le istituzioni, la famiglia e il ruolo materno e paterno; − sottolineare le modalità narrative e i topoi cinematografici rinvenuti nelle pellicole. Risultati In questa sede verranno riportati esclusivamente alcuni risultati a scopo esemplificativo. Il riferimento ad alcuni valori sociali è stato oggetto di studio del fenomeno dell’abbandono in genere. I riferimenti più o meno espliciti al valore della famiglia, della genitorialità, della paternità, del lavoro pubblico, sono stati elementi utilizzati per lo studio richiesto dalla committenza. Pertanto in un’ottica esclusivamente esplicativa di quanto può essere utilizzato per l’analisi dei valori in altri contesti come quelli organizzativi, vengono riportati i principali valori rappresentati nei prodotti di comunicazione analizzati. Il valore della famiglia La famiglia adottiva viene rappresentata negli spot come luogo solido, sereno, positivo. È però da notare come in tutti gli spot analizzati il valore della paternità deve fare i conti con il fatto che la presenza maschile risulta nella maggior parte delle volte assolutamente marginale, così come si vedrà anche nel cinema. Il padre è presente se inserito in una famiglia. Tuttavia è raro che nella gestione di questo fenomeno sia l’uomo\il padre ad attivarsi in prima persona. Negli spot il maschile non viene rappresentato visivamente, tuttavia emerge, in prevalenza, attraverso la voce narrante. La voce narrante è, infatti, maschile nella quasi totalità dei casi, ed è la voce che esorta all’azione, la voce della nostra coscienza che si fa sentire. Procedendo ad un’analisi di più ampio respiro emerge una differenza significativa nella rappresentazione della famiglia tra gli spot italiani e quelli stranieri (Figura 2). Negli spot italiani la famiglia viene rappresentata come luogo dell’accoglienza e momento di soluzione del problema. Negli spot 252 V. Russo, A. Crescentini, L. Castelli, A. Missaglia, D. Jabes stranieri invece la scena si focalizza sulla rappresentazione del bambino e del suo dramma; la soluzione del problema (famiglia) non viene in genere mostrata. Questi si caratterizzano per uno stile comunicativo più diretto, crudo, a forte impatto emotivo, non filtrato. Il proposito è prevalentemente quello di generare un senso di colpa: laddove rappresentata la famiglia è il luogo in cui il senso di colpa può essere superato. Il senso di colpa nelle pubblicità sociali esclude l’identificazione con gli adulti, ma favorisce l’identificazione con il bambino, generando sentimenti di angoscia. Alcuni di questi aspetti sono riscontrabili anche nella carta stampata. Secondo quanto emerge dalla lettura dei risultati di questa, la famiglia è al centro di un sistema di associazioni che riporta altri elementi pregnanti nel considerare le soluzioni al problema, come ad esempio “istituto”. Figura 2 – Rappresentazione della famiglia negli spot Le associazioni rivelano la centralità del ruolo della famiglia come luogo di “accoglienza” del “bambino” da parte di un “genitore”; la famiglia significa inoltre “adozione”, ma anche “affidamento”. L’assenza di vocaboli affettivamente connotati, tradisce una rappresentazione della famiglia non come luogo di un possibile recupero della dimensione affettiva, persa o violata con l’atto dell’abbandono, ma soltanto come contesto in cui è possibile mettere in atto una reale politica di adozione, offrendo una concreta alternativa all’istituzionalizzazione. Un’ultima riflessione meritano le differenze di ruolo rilevate per le figure maschili e per quelle femminili anche nel caso della carta stampata. Per quanto 253 Risorsa Uomo, Vol. 13, n. 2 concerne questi ruoli, sono possibili alcune considerazioni interessanti: la parola “madre” infatti compare 94 volte, la parola “padre” compare invece in un numero inferiore a 9. Nella logica dell’analisi delle assenze di cui si è detto questo valore assume un interessante significato. Nel caso della figura maschile paterna, il filo comune che lega i tre media su questo tema è quello dell’assenza. Questo dato segnala, infatti, una modalità di rappresentazione del sistema degli attori che vede in primo piano la famiglia e la coppia e, all’interno di questa, il ruolo del genitore si declina più come maternità. La paternità stereotipicamente è un valore secondario nella gestione del fenomeno e comunque sempre connotato di valenze affettive minori: sia negli spot che nel cinema sembra significativo che il valore della paternità sia associato al valore del materialismo. Il padre adottivo nel film “La guerra di Mario” (così come l’unico spot italiano preso in esame in cui vi è la figura paterna) rappresenta la figura che aiuta esclusivamente il bambino adottato a traghettare dal mondo del disagio e della mancanza al ricco mondo del benessere della società dei consumi. Nel cinema non sempre la famiglia è rappresentata come la soluzione ai problemi di adattamento, anzi spesso è la causa dell’abbandono se non addirittura un fattore peggiorativo per il bambino, basti pensare a White Oleander in cui l'unico nucleo familiare sano per Astrid è il suo fidanzato Paul. A volte la famiglia viene vista come un vero e proprio miraggio sia per l'adulto che per il minore, un luogo verso cui tendere per iniziare un percorso (come in Paris Texas), altre volte, invece, è un punto di arrivo come in Segreti e bugie dove finalmente la madre si ricongiunge con le figlie. Può anche essere una meta che alla fine del film non si raggiunge ma che si ha la speranza di raggiungere, come in La Guerra di Mario, dove l’immagine finale del film (si osserva attraverso gli occhi di Mario un aeroplano fare delle capriole nel cielo) dimostra che la fantasia e la voglia di ricominciare e di sperare non sono state distrutte nel piccolo ma continuano a sopravvivere nonostante l’abbiano allontanato dall’unica donna che lo stava capendo e che stava imparando ad entrare in contatto con lui. Il cinema rappresenta il valore della maternità quasi sempre con una figura di madre archetipica e complessa, emotiva e a volte fragile. Sembra che sia sulla pelle della donna che le tematiche dell’abbandono e dell’adozione risveglino sentimenti e problemi che, sempre lei, affronta di petto e in prima persona. La madre è, spesso, costretta a lasciare il figlio perché si sente inadeguata (Paris Texas, La dea dell’amore) oppure è la protagonista della lotta fra geni che si instaura fra lei e un bambino che non ha partorito ma che vorrebbe adottare (La guerra di Mario, Mi chiamo Sam) o, ancora, è incapace di assumersi il ruolo di educatrice che la natura le impone perché schiava di mancanze che la rendono egoista (L’albero delle pere). In ogni caso è il centro dell’azione anche quando risiede nel luogo dell’assenza. Il ruolo del padre è in ombra rispetto a quello femminile, fatta eccezione per Mi chiamo Sam in cui Sam, appunto, lotta per restare con sua figlia o, anche, Paris Texas, in cui Travis riunisce suo figlio alla madre tentando di rimediare agli errori del passato. La figura maschile di riferimento nella famiglia biologica non è attiva ma resta dietro le quinte e, spesso, è anche connotata negativa- 254 V. Russo, A. Crescentini, L. Castelli, A. Missaglia, D. Jabes mente (L’albero delle pere), oppure è di supporto e di sostegno alla compagna (La piccola Lola). Il valore delle istituzioni È difficile ritrovare negli spot presi in esame un ruolo chiaro delle istituzioni e delle figure che dovrebbero rappresentarle. Eppure il valore del lavoro pubblico e delle istituzioni è abbastanza evidente anche analizzando il testo narrato alla ricerca delle assenze significative. Se si identificano le istituzioni con lo Stato, a diversi livelli (assistenti sociali, psicologi, educatori, mediatori familiari…) colpisce l’assenza di una qualsiasi di queste figure tra le possibili soluzioni del problema (spot) ed una visione estremamente negativa e di controdipendenza con la dimensione affettiva rappresentata dalla famiglia adottiva nei film. Se il valore dello Stato viene rappresentato con una sostanziale freddezza o persino impotenza, le Associazioni si presentano come le uniche accreditate a risolvere il problema, o prendendo in carico il fenomeno o rimandando ai cittadini fruitori dello spot la risoluzione del medesimo. Il valore del lavoro pubblico viene in questo caso ridotto a formalità burocratica. Anche nei film la figura che rappresenta il valore delle istituzioni è spesso fredda, burocratica, incapace di mediare tra le richieste paradossali di una burocrazia incatramata in vecchie abitudini e il valore della relazione affettiva e del bisogno. Anche dall’analisi delle singole testate (Tabella 1) emerge una presenza debole delle istituzioni, che sono prevalentemente rappresentate da parole come “legge” e “ente”; accanto ad esse fanno eco i riferimenti alle alternative non-istituzionali, come “associazione” e “presidente”. Tabella 1 – Risultati dell’analisi delle singole testate PAROLE CHIAVE (N>100) lemma N. bambino 1021 adozione 436 famiglia 394 genitore 377 Coppia 283 Anni 238 Figlio 232 minore 183 Paese 149 Nuovo 143 lemma piccolo bimbo adottivo proprio figli legge vita casi mese ente 255 N. 143 132 126 125 124 122 118 111 106 104 Risorsa Uomo, Vol. 13, n. 2 Il riferimento alle istituzioni nei testi analizzati è debole. Si può affermare che le istituzioni siano scarsamente rappresentate quando al centro della narrazione c’è il problema (abbandono) e chi vive in prima persona questo problema (famiglia) cercando di porvi un rimedio (adozione). Dall’analisi del contenuto e delle relazioni semantiche delle parole riportate nella Figura 3 risulta che il bisogno è un fatto prevalentemente privato, “proprio”. Anche in questo caso le istituzioni sono assenti: piuttosto si narra una storia in cui genitori e figli hanno bisogno di aiuto, e in cui si mettono in gioco parole come “desiderio”, consapevolezza, comprensione, necessità di “superare” il “passato”. Si rileva inoltre che accanto al problema della legge vi è il problema dei tempi di attesa e degli “anni” che le famiglie attendono per portare a termine il percorso di adozione. Figura 3 – Risultati dell’analisi del contenuto e delle relazioni semantiche relativi al bisogno Sulla stessa linea è il cinema che, tendenzialmente, denuncia le istituzioni perchè fredde, impersonali, lente, burocratizzate ed in alcuni casi corrotte (La Piccola Lola). L'orfanotrofio o i vari istituti sono visti come luoghi in cui si sfoga la violenza e la solitudine interiore (White Oleander), spesso sovraffollati (La piccola Lola), in cui vengono soddisfatti unicamente i bisogni primari e dove l'unico modo per ricevere affetto o sostegno è quello di ricercarlo nel gruppo dei pari. In un unico caso, quello di All the Invisible Children, le istituzioni incarnano qualcosa di positivo come la speranza (la scuola nell’episodio Song Song and the little cat), l'alternativa alle violenze (il carcere nell’episodio Bluegypsy) 256 V. Russo, A. Crescentini, L. Castelli, A. Missaglia, D. Jabes o il luogo in cui rifugiarsi, sentirsi protetti e poter tornare ad essere bambini (la scuola nell’episodio Tanza). Discussione e conclusioni Questo tipo di analisi qualitativa psicosemiotica e dei contenuti dei processi di comunicazione contribuisce a spiegare come vengono costruite le rappresentazioni sociali ed i valori di una comunità. La ricerca in oggetto ha, infatti, riscontrato interessanti sovrapposizioni con quanto analizzato con una ricerca quantitativa (campione di circa 800 persone). I vissuti e le rappresentazioni riscontrate erano pressoché sovrapponili. L’analisi ha permesso pertanto di individuare modalità di rappresentazione del fenomeno molto coerente con quanto riportato da altre analisi. Il ruolo dei canali di comunicazione nella costruzione dei criteri di lettura di un fenomeno sociale è risultato determinante. Ciò pone all’attenzione degli esperti un’attenta riflessione sul ruolo della comunicazione. Tuttavia è opportuno sottolineare che dall’analisi e dal confronto dei diversi canali di comunicazione non risulta facile trarre conclusioni comuni ai tre campi di indagine per due ordini di problemi connessi tra loro: − ogni forma di comunicazione nasce e si sviluppa a partire dai suoi specifici obiettivi e dal suo target di riferimento; − le metodologie utilizzate per studiare i campioni sono diverse, pensate e costruite per quel particolare medium. Di certo le immagini e i testi analizzati incidono sul modo di leggere un particolare fenomeno e i valori che ad esso sono connessi. Questa analisi solleva quindi ulteriori esigenze di indagine per potere ampliare l’area di studio ed individuare in maniera più fattiva la relazione tra rappresentazione del fenomeno, valori e comportamenti agiti. Da questa prima fase di ricerca la sovrapposizione di alcuni temi nei tre canali di comunicazione e la coerenza con quanto poi rilevato quantitativamente si rileva una certa influenza reciproca che non può non essere presa in considerazione. Si è voluto riportare i risultati di questa indagine soffermandosi prevalentemente sulla metodologia poiché si crede che possa essere utile anche in altri campi applicativi come lo studio dei processi organizzativi e dell’analisi culturale di un’impresa. La possibilità, infatti, di utilizzare l’analisi dei contenuti in relazione ai processi di comunicazione interna ed esterna può dare un ulteriore (anche se non esaustivo) contributo nell’analisi delle rappresentazioni sociali e dei valori che caratterizzano la cultura di un’organizzazione. 257 Risorsa Uomo, Vol. 13, n. 2 Bibliografia Arcuri, L., e Castelli, L. (1996). La trasmissione dei pensieri. Un approccio psicologico alle comunicazioni di massa. Bologna: Zanichelli. 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