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Christine Delport
LEON PANCALDO
IL ROTEIRO DI
Nuovo e-book di Christine Delport
GENERE: SAGGISTICA
Monografia biografica
Christine Delport
IL ROTEIRO DI LEON PANCALDO Christine Delport
LEON PANCALDO
IL ROTEIRO DI
PREFAZIONE
Questo libro, la cui autrice Christine Delport , nata in Belgio il giorno di Natale
del 1946, definisce "un testo scolastico di storia delle grandi scoperte destinato
agli istituti tecnici nautici europei" è nato da alcuni ritrovamenti bibliografici negli
archivi di Bruxelles (rispettivamente nella Bibliothèque Nationale de Belgique" e
nello storico palazzo della "Bibliothèque des Riches Claires" i cui dirigenti hanno
messo a disposizione della loro connazionale, ricercatrice di avvenimenti legati
alla vita di Ferdinando Magellano, il grande navigatore portoghese, una ricca ed
inedita documentazione in lingua francese.
L'autrice aveva già scritto, precedentemente, due romanzi sotto forma di e-books
destinati, quindi, ad un mercato digitale in piena evoluzione, destinato a
soppiantare, in futuro, l'editoria della carta stampata. Negli Stati Uniti gli e-books
hanno vasta diffusione. In Italia, sia un bene o sia un male, il processo appare
più lento. Ma sul fatto che il libro digitale sia irreversibile tutti gli editori
concordano. Biblioteche digitali ben rifornite di e-books. In Francia le chiamano
“bibliothèques numeriques”.
Due romanzi di Christine Delport appaiono già “on line” nel vasto oceano di
Internet, offerti alla “navigazione” di ogni paese , ma scritti in lingua italiana. Si
tratta del romanzo, basato su fonti storiche “Pier Paolo Rubens e la strega dalle
chiome rosse” e de “Il manoscritto antico e le Centurie di Nostradamus”.
Sposata ad un giornalista italiano, l'autrice si è basata sul suo ausilio per tradurre
dal francese i testi acquisiti a Bruxelles.
La relazione del vicentino Antonio Pigafetta del viaggio fatto attorno al mondo era
già stata offerta, a Parigi, da egli stesso a Luisa di Savoia, la madre di Francesco
I di Francia, il grande nemico di Carlo V che era stato il commissionario ed il
garante della storica spedizione, tesa ad accertare i diritti della corona spagnola
sulle Molucche ( in contrasto con il re di Portogallo, Manuel I detto il Fortunato).
Beninteso, Pigafetta aveva offerto la sua relazione, in primis, a Carlo V. Ma sul
suo diario di bordo originale permane un mistero. Venne sicuramente censurato
e ridotto alla corte di Valladolid, perché Carlo V intendeva oscurare la versione di
Pigafetta sulla rivolta dei capitani spagnoli di San Julian (Patagonia). Ribellione
repressa nel sangue dall'ammiraglio portoghese. Vi sono altre cose che le
corone di Spagna e di Portogallo avevano interesse a celare, ad esempio la fine
misteriosa di Magellano a Mactan, ucciso da un gruppo di selvaggi, nettamente
superiori in numero, guidati da Silapulapu. Un'impresa, quella di Magellano,
considerata suicida da numerosi storici. Nessuno è mai riuscito a spiegare i veri
motivi di quella che più che una spedizione punitiva appare un'imboscata ben
Christine Delport
IL ROTEIRO DI
LEON PANCALDO
coordinata dalle popolazioni molucchesi d'intesa con i portoghesi e , forse, con
gli stessi spagnoli.
“Il Roteiro di Leon Pancaldo – spiega Christine Delport – è interessante sotto
svariati punti di vista perché aiuta forse a chiarire molti lati oscuri e nemmeno
citati dalla lacunosa (e censurata) relazione di Pigafetta. Diversi altri scrissero
“Diari di bordo”, ma nessuno è così esplicito quanto il “Roteiro” di Pancaldo
nell'assicurarci che Henrique, il servo malese di Magellano “cadde a fianco del
suo ammiraglio “ nella fatale battaglia di Mactan . Ad Henrique, l'ammiraglio
portoghese aveva promesso la libertà, una volta compiuta la storica impresa
navale.
Orbene, la versione ufficiale degli spagnoli – in estrema sintesi – fu invece la
seguente:dopo la morte di Magellano, Henrique venne trattato male dai nuovi
capi delle caravelle. Per tale motivo, si vendicò e tradì tessendo le trame
dell'agguato in cui caddero comandanti ed ufficiali a Cebu, ad opera del reuccio
dell'isola Humaubon.
Pancaldo, nel suo Roteiro depone invece il peso della sua personale
testimonianza sulla lealtà di Henrique, morto a fianco di Magellano e fa sorgere
dubbi sulla versione ufficiale data dagli spagnoli sull'agguato di Cebu.
La vendetta di Humaubon fu dovuta, invece, alla gelosia degli indigeni, furiosi per
il fatto che i naviganti avevano molestato le loro donne.
Christine Delport che ha messo, insieme con la documentazione raccolta a
Bruxelles, praticamente tutti i pezzi dell'intricatissimo puzzle spiega: “il marinaio
savonese Martino De Judicibus, appartenente ad una nobile casata della città
ligure ha fornito la spiegazione più convincente dell'agguato di Cebu, in cui
perirono ventisei uomini, tra i quali Juan Serrano, Duarte Barbosa, parente dello
stesso Magellano, Francisco de la Mazquita, Andres De San Martin.
“I motivi del massacro, durante una specie di ultima cena offerta agli equipaggi,
quasi in memoria della scomparsa del loro comandante supremo fu dovuta in
realtà – asserisce Martino De Judicibus – a questa esauriente e definitiva
spiegazione: Feminarum stupra causam perturbationis dedisse arbitrantum”.
Insomma, come direbbero in Belgio ed in Francia ed in tutti i paesi francofoni,
conclude l'autrice: “Cherchez la femme...”. Anche nel caso di Magellano e dei
suoi naviganti. Un detto che vale per risolvere i “gialli” della storia anche in Italia
ed in genere in tutti i paesi latini. Come non essere d'accordo da buoni italiani
con quel detto conosciuto in tutto il mondo ? A proposito, gli italiani di Magellano
erano ventisei in tutto, di cui diciotto “genovesi”. Ma spagnoli e portoghesi
chiamavano “genovesi” tutti i liguri anche se erano nati a Savona, a Varazze, ad
Albenga oppure a Sestri o Ventimiglia. Ad esempio, sulla caravella Santiago
c'era il savonese Agustin (Agostino Bone). Il bravo Agustin, naufragata la
Christine Delport
IL ROTEIRO DI
LEON PANCALDO
Santiago venne preso a bordo della Sant' Antonio, i cui comandanti, proprio nello
stretto di Magellano, mentre avveniva la scoperta, decisero di ammutinarsi di
invertire la rotta e di tornarsene a Siviglia il 6 maggio del 1521. Non prima di
avere scoperto le Isole Malvine. Agustin era con loro.
Martino De Judicibus (altro possibile nome modernizzato: Martino Giudici) se ne
rientrò, assieme ad Antonio Pigafetta, sulla Victoria a San Lucar De Barrameda
(Siviglia) il 6 settembre 1522.
Erano gli unici due italiani sopravvissuti sulla Victoria. In tutto diciannove uomini.
Ma per ora, conclude la scrittrice italo-belga, fermiamoci qui.
In un prossimo libro parleremo degli uomini di Magellano – senza distinzione di
nazionalità e di regione o città, pur citandone di tutti la provenienza.
Parleremo -assicura Christine Delport – di quel “capitale umano” imbarcato su
cinque gusci di noce: in tutto 237 per Pigafetta e Anghiera, non più di 240 per
Pancaldo, 250 per Ayamonte, Castanheda e Barros. Insomma un “capitale
umano fluttuante” per la Casa de Contractation, per l'imperatore Carlo V e re
Manuel del Portogallo. Per questi signori, il capitale in spezie
(pepe,cannella,noce moscata, chiodi di garofano: le preziosissime spezie), le
sete pregiate, le perle, l'oro valeva molto di più del “fluttuante” capitale umano.
Oggi, non vale come valeva un tempo la via della seta e la via delle spezie. Vi
sono le vie del petrolio.
Ma per fortuna, ai tempi nostri, i valori sono mutati. Oppure no ?
INTRODUZIONE
Questo libro fa seguito all 'Odissea di Leon Pancaldo , romanzo storico, scritto
assieme al giornalista Franco Ivaldo. Si tratta, per l'essenziale, del diario di
bordo (il Roteiro) di Pancaldo che ho ritrovato, scritto in lingua francese, negli
archivi storici di Bruxelles (Bibliothéque des Riches Claires). Non si è mai
conosciuto l'originale italiano di questo testo, attribuito con il nome di “Carnet de
bord du pilote génois” al grande navigatore savonese. Anche Pancaldo veniva
chiamato dagli spagnoli e dai portoghesi col termine di “genovese” che stava ad
indicare – in genere – tutti i liguri. Ecco, quindi, un argomento ulteriore per gli
storici revisionisti, i quali sostengono che anche Cristoforo Colombo fosse nativo
di Savona, ma definito “genovese” da portoghesi e castigliani (così come del
resto Giovanni Caboto, divenuto in seguito cittadino veneziano ma “genovese”
secondo i racconti di suo figlio Sebastiano fatti a Bristol agli armatori inglesi).
Genovesi, quindi, liguri poiché Genova dominava. Ma torniamo a Pancaldo. Il
suo diario di bordo presenta delle similitudini con un documento scritto da
Antonio de Brito, governatore di Ternate, nella cui fortezza il navigatore venne
recluso assieme ad altri marinai, dopo la cattura della caravella “Trinidad”
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IL ROTEIRO DI
LEON PANCALDO
(l'ammiraglia di Magellano) da parte dei portoghesi dopo che Ferdinando
Magellano era stato ucciso dagli indigeni , guidati da Silapulapu nell'isola di
Mactan.
Tutto induce a credere che il Roteiro, scritto da Pancaldo nella sua lingua madre,
sia stato tradotto dai portoghesi, proprio a Ternate.
Esistono tre versioni manoscritte di questo “carnet” di bordo. Il Roteiro è
custodito negli archivi della Bnf (Banca Nazionale Francese) a Parigi e sembra
essere la versione manoscritta più attendibile. Un altro manoscritto si trova negli
archivi della Torre do Tombo (Lisbona) ed un'altra all'Accademia di Storia di
Madrid. Max Justo Guedes segnala l'esistenza di un quarto manoscritto che
apparteneva ad un privato cittadino portoghese, ma del quale è dubbia sia
l'origine che l'autenticità. La versione di riferimento,con le varianti, è stata
successivamente perfezionata e tradotta sempre in portoghese e , quindi, in
italiano da Luigi Avonto da fonti argentine (Pancaldo morì , come si è accertato,
nella città di Buenos Aires, appena fondata dai conquistadores spagnoli. Lui ed il
varazzino Pietro Vivaldi furono i primi italiani ad arrivare a Ciudad del Buen
Aires) .
Il giornale di bordo, per la verità, venne anche attribuito a Giovanni Battista de
Ponzoroni (GB.de Poncero) nato a Sestri Ponente ed uno dei compagni di
prigionia nelle Molucche di Leon Pancaldo. Giovanni Battista de Ponzoroni era
anch'egli a bordo della “Trinidad”. Ma questo navigatore morì verso la fine del
1525 sull'isola di Mozambico, dove era giunto assieme a Pancaldo, nel tentativo
di sfuggire alla prigionia dei portoghesi e tornare in Europa. I due si erano
imbarcati clandestinamente su un vascello , la Reina Caterina,diretto a Lisbona.
Quindi, sembra certo che la paternità del Roteiro sia da attribuirsi definitivamente
a Leon Pancaldo.
Il testo completa e chiarisce molti punti e lacune del diario di bordo di Antonio
Pigafetta con il racconto della avventura della circumnavigazione del globo
terrestre.
Il primo storico a parlarci del grande navigatore, suo concittadino, è il “cronista”
savonese Giovanni Vincenzo Verzellino (1562-1638), nella sua opera
monumentale “Delle memorie particolari e specialmente degli uomini illustri della
Città di Savona”. Il lavoro del Verzellino rimase inedito sino al 1886 quando
finalmente venne pubblicato a cura di Andrea Astengo dall'editore Bertolotto e
Isotta.
Su Pancaldo, Verzellino non è molto preciso. Segno evidente che le informazioni
a sua disposizione erano di seconda mano. Non può aver conosciuto di persona
il grande navigatore che era morto ventidue anni prima della sua nascita in quella
che è oggi la città di Buenos Aires.
“Leone Pancaldo, famoso nocchiero – scrive il Verzellino – era uno dei superstiti
della nave Victoria approdata il 22 settembre del 1522 con diciotto compagni
Christine Delport
IL ROTEIRO DI
LEON PANCALDO
solamente...”
In realtà, quando i superstiti della “Victoria”, tornarono in patria, Pancaldo che
era rimasto sulla “Trinidad”, catturata dai portoghesi, era prigioniero a Ternate,
assieme ad altri compagni, tra i quali uno particolarmente importante Giovanni
Battista de Ponceroni (gli spagnoli lo chiamavano semplicemente Poncero) un,
genovese di Sestri Ponente, col quale tenterà la fuga dalla prigionia dalle
Molucche. De Ponceroni morirà durante la fuga e Pancaldo tornerà in patria
solo tre anni più tardi.
Comunque, Verzellino è preciso sul fatto che Pancaldo soggiornò nelle isole
Molucche (non dice però da prigioniero del Portogallo) “celebri per le loro
drogarie, cioé Ternate, Tidore, Mutiz, Machian, Basciau, quali si vedono dipinte
in una sua casa in Savona, appresso al pozzo del terreno nella cui facciata si
mirano le dette isole, la sfera del mondo, l'arma regia, il suo ritratto, un astrolabio
in mano e la seguente ottava:
“Io sono Leon Pancaldo Savonese ch'il mondo tutto rivoltai a tondo;
Le grand'Isole Incognite ed il Paese d'Antipodi già vidi;
e ancor giocondo pensava rivederlo;
ma comprese l'invitto re del Portogallo, che al mondo di ciò lume daria:
perciò con patti ch'io non torni mi diè due mil ducatti...”
“ I quali ducati, precisa il Verzellino, sborsati gli furono da Gaspare Palia, agente
di Dom Giovanni I, re del Portogallo l'anno 1531 addi 30 settembre in scudi
1600 d'oro larghi del sole, nel quale erano compresi scudi cento avuti dal Regno
di Francia . Condizioni: non ricevere stipendi da qualsivoglia re o principe per i
quali potesse essere indotto a navigare.
Questo contratto – precisa ancora lo storico savonese – venne redatto negli atti
del notaio Simone Cappello ed impegnava Pancaldo a non rivelare carte
nautiche delle terre da lui visitate, in particolare le Molucche.
Ma col tempo, cessata la disputa tra la Castiglia ed il Portogallo (i matrimoni
dinastici : la sorella del re del Portogallo, donna Giovanna con l'imperatore Carlo
V e di donna Catarina, sorella dell'Imperatore con Dom Giovanni, al quale si
impegnò per 350 ducati nel 1529, quando Carlo V si incoronò in Bologna)
Pancaldo fu libero di accettare l'offerta del re di Spagna nell'anno 1535 per un
nuovo viaggio verso lo Stretto di Magellano. Lasciati suoi procuratori in Savona
Bernardo Grasso e Giacomo Richermo.”
Verzellino allude al giornale di bordo (il Roteiro) di Pancaldo, ma secondo lui, il
diario del navigatore “pervenuto in mano di persona giovine e poco studiosa si
smarrì...”
In questo, Verzellino si sbagliava perché Pancaldo si porterà il Roteiro con sé nel
nuovo viaggio dal quale non tornerà più in patria. Evidentemente, per la sua
Christine Delport
IL ROTEIRO DI
LEON PANCALDO
gente, il navigatore era nuovamente sparito dalla circolazione e di lui nel testo
dello storico si perdono le tracce. Verzellino allude, tuttavia, senza fornire
ulteriori dettagli di cui evidentemente non era in possesso, alla seconda impresa
nominando anche Pietro Vivaldo, genovese, come compagno di Pancaldo nella
spedizione verso il Perù.. Saranno fonti spagnole, portoghesi ed argentine –
Desventuras en la historia - a darci nuovamente sue notizie, sulla sua fine da
povero rovinato nella città di Buenos Aires. Verzellino, invece, conclude
parlandoci dei suoi eredi nella città della Torretta: un certo Pietro Trucchiello,
nipote di sua sorella (il presunto giovane “poco studioso” che avrebbe smarrito il
Roteiro, verosimilmente). L'eredità di Pancaldo venne reclamata in Savona da
protettori dell'Ospedale degli incurabili di San Paolo, lasciato erede per
testamento prima di partire.
“Testamento rogato da persona pubblica”. Ancora a dire di Verzellino vi furono
controversie. “Era Pancaldo ascritto tra i confratelli dell'Oratorio di Santa Caterina
in Savona dove fece dipingere un quadro come eredità per l'oratorio, lasciando
allo stesso la metà della sua casa e l'altra metà ai Padri francescani, affinché
pregassero per l'anima sua.”
“Fu più degno Pancaldo – conclude con ammirazione ed un certo lirismo lo
storico – d'essere celebrato che gli Argonauti. La sua nave più degna di essere
collocata tra le stelle che non quella di Argo.”
LA VERA BIOGRAFIA DI LEON PANCALDO
Siamo oggi in grado di scrivere la vera biografia del navigatore che è la seguente: Nasce, Leone , nella città di Savona intorno allʹanno 1482. Eʹ figlio di Battistina Repusseno e di Manfrino Pancaldo, un lanaiolo che aveva conosciuto Domenico Colombo, il padre di Cristoforo ed abitava in via Scarzeria. Sposò Teresa Romano, detta la Selvaggia, almeno stando ad informazioni raccolte negli archivi di Storia Patria Savonese, da Guido Mazzitelli, il quale cita altri savonesi partecipanti alla spedizione di Magellano. A questo proposito daremo in un successivo libro lʹelenco completo dei navigatori italiani che fecero parte dello storico viaggio attorno al mondo, a cominciare da Antonio Pigafetta e dallo stesso Pancaldo, i quali fecero della grande avventura, assieme a Ferdinando Magellano, una relazione particolareggiata nei loro diari di bordo. Poco è noto degli anni giovanili di Pancaldo. Egli stesso dichiara, in alcuni documenti di aver vissuto parecchio tempo in Spagna ed in Portogallo. Christine Delport
IL ROTEIRO DI
LEON PANCALDO
Gli storici si interrogano sulla possibilità che il navigatore savonese, in una sorta di vite parallele con un altro marittimo ligure, il genovese Giovanni Battista de Ponzoroni, da Sestri Ponente – avesse già navigato con i portoghesi in India, durante spedizioni alle quali partecipò, distinguendosi per fatti dʹarmi, lo stesso ammiraglio Ferdinando Magellano. Ma questo fatto non è accertato. Pancaldo, per la storia, appare soltanto a Siviglia quando viene ingaggiato come semplice marinaio sulla “Trinidad” la nave ammiraglia di Magellano che veleggerà sempre in testa alle altre quattro caravelle (la Santa Maria, la Santiago, la Conception e la SantʹAntonio). Le sue capacità di navigazione lo fanno notare a Magellano e, dopo lʹammutinamento dei capitani spagnoli a San Julian, questʹultimo lo nominerà nocchiero timoniere della Trinidad. Si comincia ad avvertire dai resoconti lʹimportanza di Leon Pancaldo, accresciuta durante il viaggio. Eʹ evidente che conoscerà, a bordo, il vicentino Antonio Pigafetta, viaggiatore pagante divenuto uomo di fiducia dellʹammiraglio portoghese, il suo criado. Dopo lʹuccisione di Magellano sullʹisola di Mactan ad opera dei selvaggi di Silapulapu, per tutti i marinai la tragedia ha inizio.
Ma, in realtà le avvisaglie del dramma si erano già avute nella baia di rio San Julian, con lʹammutinamento dei capitani spagnoli, nella domenica delle Palme. Alvaro de Mesquita viene fatto prigioniero. Elcano lo sostituisce come comandante della SantʹAntonio. Gaspar de Quesada ferisce Juan de Elorriaga di diversi colpi di pugnale. Fallisce lʹammutinamento e la risposta di Ferdinando Magellano verso i ribelli è spietata. Luis de Mendoza muore sotto i colpi di pugnale del sicario di Magellano, Gonzalo Gomez de Espinosa. Gaspar de Quesada viene condannato alla decapitazione ed allo squartamento. Un altro degli ammutinati Juan de Cartagena ed il prete Pedro Sanchez de la Reina, entrambi potenti protetti del Vescovo di Bourgos, vengono abbandonati a terra e condannati ad una fine atroce. Magellano sapeva, a questo punto, di non avere possibilità di ritorno in Spagna ed era costretto ad andare avanti. Lo farà anche dopo la diserzione della SantʹAntonio che virerà di bordo e tornerà in Spagna con 55 marinai. Ma torniamo a Mactan ed allʹuccisione di Magellano. Alcuni giorni dopo il massacro di Cebu. Ventisei navigatori cadono nellʹimboscata del “re” di Cebu, Humaubon. I superstiti incendiano volontariamente la Conception. Si separano le due Christine Delport
IL ROTEIRO DI
LEON PANCALDO
caravelle Victoria e Trinidad. Pancaldo resta sulla Trinidad che viene successivamente catturata dai portoghesi. Come prigioniero viene portato a Ternate, dove era in costruzione una fortezza agli ordini del governatore Antonio de Brito. Sarà lʹultimo della spedizione di Magellano a poter tornare in patria. Vedremo in quali circostanze. Pancaldo sarà anche lʹunico marinaio della spedizione di Magellano a tentare di ripercorrere la stessa rotta. Guiderà egli stesso, assieme al varazzino Pietro Vivaldi, il tentativo commerciale di portare due caravelle verso i conquistadores del Perù. Ma il tentativo fallirà. Una caravella andrà perduta e lʹaltra si insabbierà nel Rihauelo, vicino alla città di Buenos Aires, dove Pancaldo troverà in seguito la morte. Avrà anche dovuto rispondere ai tribunali locali per la perdita delle caravelle, in seguito a cause giudiziarie intentate dalla Casa de Contractation. Un fatto ormai accertato che gli storici hanno dimenticato di rilevare è il seguente: il savonese Leon Pancaldo è stato lʹuomo di mare che ha percorso il più lungo percorso sugli oceani dellʹintera storia universale della navigazione. In termini moderni, lo si potrebbe definire il primatista mondiale quanto alle miglia marine percorse. Il calcolo è presto fatto: lui ha compiuto la circumnavigazione del globo, essendo tornato in patria sulla stessa rotta degli altri (quelli della Victoria) ma con una serie interminabile di deviazioni di rotta sulla Trinidad. Poi, il tentativo di fuga dalle Molucche, assieme sulla Reina Caterina. Quindi, il rimpatrio definitivo, circumnavigando lʹAfrica. A questo va aggiunto la sua seconda spedizione sulla “rotta di Magellano” diretto in Perù (il naufragio) e lʹarenamento della seconda caravella sul Rihauelo (Buenos Aires). Questi percorsi, basterebbero ad assegnargli il titolo della più lunga navigazione quanto a durata ed a miglia marine percorse. Se a tutto ciò si unisce come probabile il suo servizio coi portoghesi nelle spedizioni marittime in Asia, prima della grande impresa compiuta da Ferdinando Magellano, il primato di Pancaldo diventa incolmabile per qualsiasi marinaio concorrente dellʹepoca delle grandi scoperte. Ma, adesso, diamo la parola allo stesso Pancaldo leggendo il suo ROTEIRO, il diario di bordo (documento storico accertato della grande avventura, compiuta agli ordini di Ferdinando Magellano). IL ROTEIRO DEL NOSTROMO GENOVESE Precisazione: il diario di bordo di Leon Pancaldo è scritto in terza persona plurale Christine Delport
IL ROTEIRO DI
LEON PANCALDO
(salparono, navigarono, attraccarono, scesero a terra etc.). Eʹ come se lui non avesse fatto parte della spedizione, parlando di terzi. Per questo motivo, nella traduzione dal francese, ho usato la prima persona plurale (salpammo, navigammo, attraccammo, scendemmo a terra e così via). Per dare una migliore comprensione al testo e facendo lo scrivente del “Roteiro” più partecipe agli avvenimenti come in realtà, Pancaldo, testimone oculare dei fatti descritti, fu in posizione privilegiata di nostromo (timoniere) della caravella ammiraglia, comandata direttamente da Magellano, la Trinidad poi catturata dai portoghesi, dopo lʹuccisione di Magellano a Mactan, ad opera degli indigeni guidati da Silapulapu. Ecco il testo completo ed originale“Roteiro”, quale esso appare anche in unʹopera onnicomprensiva, in lingua spagnola e portoghese, edita dal barona Xavier de Castro,Jocelyne Hamon e Luis Felipe Thomaz (con prefazione di Carmen Bernard) intitolata “Le voyage de Magellan (1519‐1522” con la relazione di Antonio Pigafetta ed altre testimonianze. IL ROTEIRO DI LEON PANCALDO F ERDINANDO MAGELLANO partì da Siviglia il 10 agosto dellʹanno del Signore 1519 e navigò sempre in vista della costa fino al 21 settembre. Quando fu in alto mare, mise la prua a Sud Ovest verso lʹIsola di Tenerife, che toccammo il 29 settembre, giorno di San Michele. Egli fece poi rotta verso le Isole di Capo Verde che passammo senza vedere né le Isole né il Capo.
Al di là, Magellano fece vela in direzione dellʹaltro versante dellʹOceano per approdare nella terra del Brasile e – dal momento in cui scorse questo territorio, governò a Sud Ovest, costeggiando la riva fino a cabo Frio.situatoa 23° Sud. In seguito mise il capo verso ovest durante circa 30 leghe per guadagnare Rio de Janeiro, sito alla stessa latitudine. I nostri uomini entrarono in questa baia il 13 dicembre, giorno della Santa Lucia. Vi fecero provviste di legname e vi soggiornarono fino al primo giorno dellʹottavia di Natale, il 26 dicembre. Navigammo in seguito in vista della costa alla ricerca del Capo di Santa Maria, situato a 34° 40ʹ S. Alla sua vista, seguirono in direzione Ovest‐Nord‐Ovest, ritenendo di aver incontrato un passaggio, ma erano invece penetrati in un fiume, quindi in acqua dolce, di grandi dimensioni che venne battezzato Rio de San Crystovam sito a 34° (Sud) dove rimasero fino al 2 febbraio 1520. Christine Delport
IL ROTEIRO DI
LEON PANCALDO
Lasciammo il fiume di San Crystovam il 2 febbraio e proseguirono la rotta lungo la costa. Più avanti scoprirono una punta, situata su questo grande fiume a 36° in direzione sud che venne chiamata Punta di SantʹAntonio. Da lì, seguendo un capo S‐O per 25 leghe e doppiarono un altro capo che chiamarono di Santa Apollonia. Situata a 36° e da quel posto direzione Ovest‐Sud Ovest, verso bassi fondali che vennero ribattezzati baixos das Correntes. A 39°, prima di riprendere nuovamente lʹalto mare e di perdere la terra di vista durante circa due o tre orni. Ritornammo in seguito verso il continente e toccammo una baia che sondammo tutto il giorno nella speranza di trovare un passaggio verso le Molucche. Al crepuscolo, notammo che il posto non offriva punti dʹuscita verso lʹOceano Mar del Sur, visto da Nunez de Balboa. Abbandonammo la baia quella stessa notte e ritornammo sul cammino precedente. Questa baia è situata a 34° ed è chiamata Baia di San Matheus. Navigammo allora lungo la costa fino ad entrare in una nuova baia dove catturarammo una grande quantità di lupi marini e diverse varità di uccelli. Questa terra, situata a 37° venne chiamata bahia dos Trabalhos, e fu in questo luogo che la “Trinidad” sembrò perdersi durante una tempesta. Riapparve e continuò a procedere lungo la costa. Arrivammo tutti nellʹultimo giorno del mese di marzo dellʹanno 1520 al porto di San Julian, a 49° 20ʹ di latitudine sud. Là decidemmo di trascorrere lʹinverno e conoscemmo una giornata che non durava più di otto ore . Fu nel porto di San Julian che tre navi si ribellarono contro lʹammiraglio della flotta; i loro capitani affermavano di volerlo fare prigioniero e di ricondurlo in Castiglia poiché pensavano che li conducesse tutti quanti alla loro perdizione. Per la sua abilità e grazie allʹappoggio ed al favore che egli, Magellano, godeva presso i marinai stranieri che viaggiavano sulla sua nave, lʹammiraglio sottomise i rivoltosi. Un capitano, chiamato Luis de Mendoza, che era il tesoriere della flotta fu ucciso a bordo a colpi di pugnale dal prevosto‐generale che Magellano aveva inviato a tale scopo con altri tre marinai. Le tre navi ribelli vennero riconquistate e, cinque giorni più tardi, Magellano fece decapitare e poi squartare Gaspar de Quesada, capitano di una delle caravelle dei rivoltosi.* •
Curiosamente, Pancaldo non fa menzione alcuna della punizione inflitta da Magellano a Juan de Cartagena, abbandonato a riva con poche provviste assieme al sacerdote Pedro Sanchez de la Reina e condannato,quindi, ad una fine atroce. Christine Delport
IL ROTEIRO DI
LEON PANCALDO
Lʹepisodio – riferito, invece, nella relazione di Pigafetta è cruciale per comprendere le cause dellʹammutinamento di San Julian e la durissima repressione esercitata dallʹAmmiraglio della flotta. Juan de Cartagena era protetto dal potente vescovo di Burgos ed era tra i capitani allʹorigine della ribellione. Magellano aveva già fatto mettere ai ferri Alvaro de Mesquita. Pigafetta, la cui relazione originale venne sicuramente censurata alla corte di Carlo V è più dettagliato sulla rivolta di San Julian rispetto a Pancaldo. Il nostromo savonese prosegue: Le navi vennero riparate nel porto di San Julian e lʹammiraglio della flotta nominò capitano Alvaro de Mesquita, un portoghese come lui. Soltanto quattro caravelle lasciarono questo luogo il 24 agosto perché la più piccola (la Santiago) inviata in avanscoperta si era perduta durante una tempesta andando ad infrangersi contro una scogliera. Si pervenne, tuttavia, a salvare i suoi membri dellʹequipaggio, i viveri, lʹartiglieria e le sementi. Trascorsero ancora cinque mesi e ventiquattro giorni durante la brutta stagione in quel porto, sito a 72° 50ʹ S. Ripresero il viaggio il 24 agosto dellʹanno succitato, costeggiando per ventiquattro leghe prima di penetrare in un fiume, chiamato Santa Cruz. Raccolsero quanti più viveri furono in grado di trovare. Lʹequipaggio della Santiago perduta era riuscito a raggiungere lʹaccampamento di Magellano per via terrestre e venne imbarcato, suddividendosi, a bordo delle altre navi. Gli equipaggi misero insieme le mercanzie salvate dal naufragio fino al 18 settembre. Fecero provviste dʹacqua e pescarono grandi quantitativi di pesce in quelle acque fluviali. In questi posti dove svernarono vivevano varie sorte di selvaggi: gli uomini sono altri dai nove ai dieci “empans” ben fatti nei loro corpi e molto alti con grandi piedi. Non hanno case ma vanno in giro come bestie, mangiano carne a metà cruda. Sono abili con gli archi e le frecce e danno la caccia ad animali ai quali tolgono le pelli per farsene indumenti. Ammorbidiscono le pelli allʹestremo e poi le tagliano per ricoprirsene legandole alla cintura. Ma spesso vanno a torso nudo. Portano scarpe di pelli che rimontano fino al collo del piede e, nella stagione fredda, li rivestono di paglia per tenersi caldi. Non conoscono utensili di ferro né altre sorte di armi. Usano pietre per fabbricare le punte delle loro frecce e delle loro accette, così come dei machete e delle stecche di pesce per cucire scarpe e vestiario. Eʹ un popolo molto agile e pacifico, che accompagna ai pascoli il Christine Delport
IL ROTEIRO DI
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proprio bestiame. Sosta e fa il proprio giaciglio nei posti dove è sorpreso dalla notte e le donne seguono gli uomini con tutti i beni in loro possesso. Queste donne sono piccole di taglia e portano sulla schiena pesanti fardelli. Esse usano praticamente le stesse vesti che usano gli uomini. I membri dei nostri equipaggi si sono impadroniti di tre o quattro di questi indigeni, imbarcandoli. Ma tutti hanno trovato la morte ad eccezione di uno di loro che – apprendemmo dopo – si trovava sulla caravella San Antonio, quando essa virò di bordo e tornò in Castiglia, lasciando il resto della flotta.(nota dellʹautrice: questo indio patagone morì, anchʹegli, nel viaggio di ritorno della caravella che aveva disertato (la San Antonio) durante il viaggio di ritorno). Il 18 ottobre, le navi della spedizione lasciarono il fiume di Santa Cruz. Navigando sempre in vista della costa fino a quando il giorno 21 scoprirono un capo chiamato “Virgenes” di cui si celebrava il giorno anniversario. Poi a distanza di due o tre leghe da quel punto abbiamo trovato un estuario. Abbiamo proceduto verso la riva fino allʹimboccatura dello stretto dove abbiamo gettato le ancore. Magellano inviò scialuppe in avanscoperta e scorgemmo tre canali due verso il sud ed un altro che avrebbe permesso il passaggio verso le terre delle Molucche. Ma ancora non lo sapevamo. Magellano scorgendo le tre vie dʹacqua aperte inviò le scialuppe, che ritornarono riferendo ciò che avevano scorto negli stretti. Magellano decise allora di inviare due caravelle per esplorare gli stretti. Una tornò verso la nave ammiraglia. Lʹaltra comandata da Alvaro de Mesquita, penetrò in una delle bocche verso sud e non fece ritorno. Magellano decise allora di proseguire sulla “Trinidad”, prendendo una via dʹacqua che correva verso Nord‐Ovest, lasciando messaggi e segnali per lʹaltra nave, in modo che essa potesse seguire il suo cammino, una volta ritornata indietro. Penetrarono infine in un canale largo a volte tre, due leghe e mezzo. La navigazione proseguì fino a quando si poté gettare lʹancora al calar delle tenebre. Di notte, vennero nuovamente inviate scialuppe. Le navi seguirono allʹalba e si videro le scialuppe ritornare per dare lʹannuncio: esisteva un passaggio e si scorgeva la grande apertura del Mar del Sur, lʹOceano. Magellano, che appariva raggiante, fece dare dellʹartiglieria, in segno di giubilo, per annunciare a tutte le navi che il passaggio era stato trovato nello Stretto. Prima di lasciarsi alle spalle lo Stretto, scoprimmo due isolette. Una piuttosto grande di taglia e lʹaltra inferiore, ma più vicina al passaggio ed alla riva. Christine Delport
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Lo Stretto è lungo circa cento leghe . Entrata ed uscita sono a 52° di latitudine sud. Le navi erano rimaste nello Stretto dal 21 ottobre al 26 novembre dellʹAnno del Signore 1520. Vale a dire per trentasei giorni. Dopo aver riguadagnato il mare aperto, ci rendemmo conto che la San Antonio mancava allʹappello. Aveva virato di bordo. Le restanti caravelle, la Trinidad, la Victoria e la Conception proseguirono il viaggio, puntando su un capo Ovest‐Nord‐Ovest. Dopo diversi giorni di navigazione, avvistammo unʹisola, circa a 18 o 19° Sud, poi unʹaltra nelle immediate vicinanze. Si trattava di isole deserte. Proseguimmo fino a raggiungere la linea dellʹequatore e Magellano dichiarò alla ciurma di essere ormai nelle vicinanze di Maluco (le Isole Molucche). Siccome immaginava che non vi fossero risorse in quei luoghi desertici, volle rimontare più verso Nord fino a 10 o 12°. Salimmo verso Nord, dunque, prima di cambiare rotta, nuovamente con le prue rivolte ad Ovest, dopo aver percorso circa cento leghe. Il 6 marzo 1521, toccammo due isole molto popolate e gettammo le ancore in una rada, situata a 12° Nord. Gli abitanti sono poco affidabili, gente di poca fede. Gli indigeni montarono a bordo delle navi; i marinai non vi prestarono attenzione fino a quando notarono che il battello della “Trinidad” era scomparso. Gli indigeni avevano tagliato il cavo e se lo stavano portando via indisturbati. Chiamammo quel posto “Le Isole dei Ladroni”. Vedendo che il suo battello era stato rubato, Magellano non volle rimanere più a lungo, poiché stava calando la notte e temeva qualche altro colpo di mano da parte di quella gente infida. Fece, quindi, alzare le vele e approfittò del vento favorevole fino al mattino seguente. Andammo a gettare le ancore nel punto stesso dove gli indigeni erano andati a nascondere il battello rubato alla “Trinidad”. Magellano fece equipaggiare due scialuppe con a bordo una cinquantina di uomini. Andò egli stesso a terra. Bruciarono il villaggio, uccisero sette o otto indigeni, uomini e donne e recuperarono il canotto. Tornando sulle caravelle, videro una quarantina di giunche che si lanciavano verso le navi, gridando a squarciagola. Grida di dolore e di vendetta. Avevamo nel frattempo fatto rifornimento di acqua dolce e Magellano non volle attardarsi più a lungo in quei luoghi. Fece alzare subito le vele e salpammo, lasciandoci alle spalle i paraos, le giunche malesi. Christine Delport
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Seguimmo la rotta Ovest‐ i quarto Sud Ovest. Approdammo, a meno 11° unʹisola, ma lʹAmmiraglio ordinò di non fermarsi in quel posto e preferì gettare le ancore davanti ad unʹaltra isola più grande e ricca di vegetazione che si scorgeva dalla prima. Magellano inviò una scialuppa per scoprirne la configurazione. Nel momento in cui toccavano terra, i nostri scorsero due giunche , sbucate da una punta, lanciando grida per richiamare gli altri selvaggi loro compagni. Cominciarono a darci la caccia, ma riuscimmo a salpare senza danni maggiori, dopo aver atteso il ritorno della scialuppa inviata ad ispezionare lʹisola. Gettammo le ancore su una terza isola, non lungi dalla altre due. Situata a 10°. Parve più ospitale e fu battezzata “Isola dei Buoni Auguri”. Vi trovammo persino un poʹ di oro. Eravamo in quel luogo, quando due paraos ci vennero incontro: i loro equipaggi non erano ostili, ci portarono noci di cocco e del pollame e ci dissero che avevano già visto uomini della nostra razza, simili a noi. Li chiamavano Lequios o Mogores. Una nazione di gente chiamata così. Forse erano dei Cinesi. Riprendemmo il viaggio e toccammo delle isole situate più avanti. Le chiamammo “Isole va senza pericolo” e “San Lazzaro”. Avevamo navigato una ventina di leghe, a partire dallʹisola situata a 10° ed approdammo sullʹisola di Maçangor (Limasawa) a9°. Fummo ben ricevuti dagli indigeni e vi piantammo la Santa Croce. Il re di questa terra (si trattava del re di Cebu, Humaubon e tutto questo peregrinare è confermato dalla Relazione di Pigafetta e di Albo. Nda) ci guidò nella sua Isola di Cebu, distante una trentina di leghe. Magellano poté agire a Cabo (Cebu) secondo la sua volontà e oltre ottocento indigeni si convertirono alla fede cristiana, in un sol giorno e di loro libera scelta. Magellano volle per questo motivo che tutti gli altri signori della regione si facessero vassalli di Humaubon, re cristiano di Cebu. Ma questi signorotti rifiutarono. Vedendo ciò, Magellano fece sveltamente armare delle scialuppe per dare battaglia e bruciò tutti i villaggi che avevano rifiutato di prestare ubbidienza. Una decina di giorni dopo, chiese al popolo di un villaggio situato a circa mezza lega dal villaggio bruciato, che si chiama Matan (Mactan) di fargli pervenire tre capre, tre porcelli, sacchi di riso e di miglio per lʹapprovvigionamento degli equipaggi. Gli risposero che tutte queste richieste andavano per tre. Loro però non volevano soddisfarne che due; se si accontentava di rifornimenti inferiori a quelli pretesi erano anche disposti a fargli avere le derrate. Altrimenti, non ne Christine Delport
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avrebbero tenuto alcun conto. Siccome avevano rifiutato di obbedire alle sue richieste, Magellano fece salire 50 o 60 uomini a bordo di tre scialuppe. Attaccarono il villaggio nel mattino del 27 aprile: si trovarono di fronte tremila o quattromila indigeni che si difesero così aspramente che Magellano venne ucciso con gli uomini che si trovavano con lui. Era lʹanno 1521. Dopo la morte del comandante, i cristiani risalirono in tutta fretta sulle navi e decisero di nominare come persone alle quali ubbidire due capitani e governatori. Fatto ciò, gli equipaggi tennero consiglio e venne deciso che i due capitani dovessero recarsi nelle terre, recentemente convertite al Cristianesimo (lʹisola di Cebu. Nda) per chiedere dei piloti che cii avrebbero dovuto condurre a Borneo (Brunei). Tutto ciò avvenne il 1° maggio 1521. I due capitani, con altri uomini dellʹequipaggio, si recarono di concerto a concludere quanto era stato deciso , ma gli indigeni che erano stati fatti cristiani si erano armati. Li lasciarono sbarcare in apparente sicurezza come era avvenuto nei giorni precedenti, ma a questo punto gli indigeni si abbatterono su di loro e massacrarono i due capitani e ventisei uomini di equipaggio, cavalieri della loro compagnia . Gli altri sbarcati assieme a costoro dovettero la loro salvezza grazie ad una fuga precipitosa verso le caravelle. Ci ritrovammo sulle navi ancora senza comandanti. E fu allora deciso di comune accordo, morte le persone di massima autorità, di nominare Joao Lopez Carvalho, che era allora tesoriere in qualità di capitano generale e Gonzalo Gòmez de Espinosa capitano di una delle navi. Proseguimmo il nostro viaggio per venticinque leghe con le tre restanti caravelle. Facendo lʹappello dei sopravvissuti, notammo che restavano 108 naviganti per condurre le imbarcazioni e per di più la maggior parte dei marinai erano feriti o ammalati. Venne così deciso di dare alle fiamme la caravella più danneggiata (la Concéption) e di suddividere il rimanente degli equipaggi sulle altre due (la Victoria e la Trinidad). Queste operazioni ebbero luogo in alto mare, senza alcuna terra in vista. Diversi paraos ci vennero incontro e gli indigeni volevano conversare con noi, ma non poterono farlo perché il nostro interprete (Henrique) aveva trovato la morte a fianco di Magellano.* •
*Questo particolare – che possiamo leggere nel Roteiro di Leon Pancaldo – è di una fondamentale importanza perché nei resoconti castigliani degli avvenimenti sullʹisola di Cebu, il tradimento di re Humaubon viene attribuito ad una cospirazione di Henrique dopo la morte di Magellano. Henrique era il servitore dellʹAmmiraglio. Christine Delport
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Questʹultimo, che contava servirsi di lui anche come interprete (conosceva i linguaggi molucchesi) gli aveva promesso la libertà ed una adeguata ricompensa ad avventura conclusa. Ma dopo la sua morte, secondo altre versioni ufficiali, i nuovi comandanti castigliani avrebbero trattato male Henrique, negandogli le prospettive di essere reso libero e ricompensato. Così avrebbero indotto lo schiavo a tradirli ed a fomentare contro di loro lʹagguato avvenuto sullʹisola che fece almeno ventisei morti. Ma secondo il Roteiro di Pancaldo, il presunto tradimento di Henrique non ebbe, invece, luogo. In quanto, egli “sarebbe morto a fianco di Magellano, nellʹisola di Mactan, ad opera del ribelle Silapulapu. Ciò lascia aperto un interrogativo: chi tradì i due capitani portoghesi, uccisi assieme ad altri ventisei uomini durante lʹagguato a Cebu, deciso dal sovrano dellʹIsola – precedentemente convertitosi al cristianesimo e poi autore, assieme alla sua gente, della strage ? Anche il savonese Martino de Judicibus – come Pancaldo – non accusa Henrique ( lo fanno soltanto fonti castigliane). Per Martino de Judicibus era stato il comportamento scorretto di alcuni naviganti verso le donne degli indigeni di Cebu a suscitare la loro gelosia e la tremenda vendetta). PROSEGUE IL ROTEIRO DI LEON PANCALDO: Sempre navigando intorno a 8° abbordammo unʹisola chiamata Quype. Vi trovammo un poʹ dʹoro. Gettate le ancore nella rada di Quype, riuscimmo a comunicare con le popolazioni indigene ed a concludere un trattato di pace. Carvalho, che era capitano generale, diede loro una scialuppa della caravella che aveva bruciato. Questa isola è circondata da tra isolotti. Caricammo a bordo rifornimenti dʹacqua prima di proseguire il viaggio, con rotta Ovest1\2 Sud Ovest. Scorgemmo, quindi, lʹisola di Cacayam a 7° . Ancora più in avanti – direzione Ovest‐Sud Ovest – vedemmo una grande isola (Palawan) e la costeggiammo mettendo le prue verso Nord‐Est fino a 9° 30ʹ. Un giorno, ci recammo a terra in cerca di provviste perché nelle stive ci rimanevano viveri soltanto per otto giorni; ma quando stavamo avvicinandoci a riva, gli indigeni ci fecero una brutta accoglienza , scagliandoci contro frecce lanciate con canne, annerite sul fuoco. Rientrammo senza aver potuto raccogliere i viveri che eravamo andati a cercare. Fu allora deciso che le caravelle avrebbero riguadagnato i luoghi precedentemente visitati, dove si erano trovati rifornimenti. Ma siccome i venti erano contrari, dovemmo accontentarci di gettare le ancore ad una lega circa dai posti nei quali speravamo di scendere a terra. Notammo, allora, la presenza di altri indigeni, i quali ci facevano dei segni per invitarci ad andare loro più vicini. Christine Delport
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Ci scambiammo gesti con le mani, perché non conoscevamo il loro linguaggio. Del resto, temevamo di scendere a terra per timore di imboscate, non potendoci fidare di quelle genti. Un nostro marinaio di nome Juan de Campos chiese allora al comandante il permesso di poter sbarcare da solo, dicendo che senza provviste a bordo non si poteva rimanere e forse gli indigeni avrebbero finito per aiutarci. Disse coraggiosamente che se lui fosse stato ucciso dagli indigeni, in fondo, non sarebbe stata una grossa perdita. Chiese a Dio di salvare la sua anima. Ma se fosse stato risparmiato dai selvaggi avrebbe trovato il modo di portare sulle nostre navi i viveri necessari a proseguire il viaggio. Venne così deciso che il marinaio coraggioso si recasse a terra da solo. Giunto sulla riva venne condotto in un villaggio a circa una lega allʹinterno dellʹisola. Tutti gli abitanti gli si fecero attorno per osservarlo. Gli diedero del cibo e gli fecero una buona accoglienza. Fu ricevuto ancora meglio quando quella gente si accorse che egli mangiava carne di porco: in effetti quegli uomini commerciavano con i mori del Borneo e, siccome essi dipendevano da questi ultimi ed i mori proibivano loro di mangiare carne di maiale e di allevare questi animali loro si erano impoveriti. Questa terra si chiamava Gyguacam ed è situata a 9°. Il cristiano, favorevolmente ricevuto e ben trattato dagli indigeni dellʹisola, fece intendere a segni e gesti di portare viveri a porto delle caravelle, dicendo loro che ne ricaverebbero un buon prezzo. Non avevano altro che riso da mondare. Così gli indigeni lavorarono unʹintera notte per preparare il riso da vendere e la mattina, in compagnia del marinaio, salirono a bordo a portarcelo. Vennero ricevuti con tutti gli onori; i marinai pagarono il riso e gli indigeni tornarono nella loro isola. Mentre il nostro marinaio si trovava a terra, altri indigeni che vivevano in un luogo più lontano vennero a bordo a parlare con i nostri equipaggi e, facendosi capire, ci chiesero di seguirli nei loro villaggi che ci avrebbero dato molti viveri in cambio di denaro. Al ritorno di Juan de Campos, le caravelle andarono a gettare le ancore nel posto che era stato indicato dagli indigeni, chiamato Vay palay cucara canbam. Carvalho concluse una sorta di trattato di pace con il signore del luogo e negoziò lʹacquisto di riso: gli abitanti versavano due misure di riso che pesavano 114 libbre, contro tre tele di cotone di Bretagna. Gli equipaggi presero tutto il riso che desideravano, capre e porcelli. In quel frangente, un moro che si trovava in quella terra di Dyguacam, che Christine Delport
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apparteneva ai mori di Borneo, come detto precedentemente, ci venne incontro, poi riguadagnò terra. Un negro chiamato Bastiam venne ugualmente a trovarci a bordo di un parao per chiederci uno stendardo ed un documento scritto per il governatore di Dyguacam. Tutto ciò gli venne consegnato assieme ad altri regali. Venne chiesto a questo Bastiam, che parlava abbastanza bene il portoghese , perché aveva vissuto a Maluco (Ternate) dove si era fatto cristiano, se voleva accompagnarci per indicarci la rotta del Borneo (Brunei). Acconsentì volentieri, ma – fatto strano – al momento della partenza rimase a terra e sparì. Le caravelle lasciarono la baia di Dyguacam il 21 giugno del 1521 per dirigersi verso Borneo. Un parao venne loro incontro al momento della partenza. A bordo vi erano tre mori che si dissero piloti e si offrirono di condurre le navi a Borneo. Gli equipaggi accettarono. Con i mori, costeggiammo la riva a sud‐ovest e scorgemmo le isole situate alla punta: quella del nord si chiama Boleva e quella del sud Bamdil. Seguendo una rotta Ovest‐ Sud Ovest su 14 leghe, trovammo un fondo bianco, erano scogliere coperte dallʹacqua, i negri che ci accompagnavano ci dissero di avvicinarci alla costa dove le acque erano più profonde e da quella posizione si poteva già scorgere lʹisola di Borneo. Quello stesso giorno, gettammo le ancore presso alcuni isolotti che chiamammo “isole di San Paolo”, distanti circa tre leghe dalla grande isola di Borneo. Vi è su questʹisola una grande montagna che venne chiamata “Monte di San Paolo”. Da lì seguimmo la costa, facendo vela verso un isolotto e la stessa isola di Borneo. Andammo sempre dritti, mantenendo il capo fino a raggiungere i paraggi della città di Borneo (Brunei): i mori che avevamo a bordo ci dissero che i venti contrari ci avrebbero impedito di approdare. Dovemmo gettare le ancore a otto leghe da quel porto. La mattina seguente, facemmo vela verso lʹisola la più vicina al porto di Borneo, ma scorgemmo tanti scogli affioranti che preferimmo gettare le ancore dove eravamo e inviare a terra i mori,scortati da un cristiano. Costoro abbandonarono la loro scialuppa a terra per raggiungere la città che era distante tre leghe e si fecero condurre presso il shabandar, il comandante del porto. Questʹultimo chiese loro chi fossero e perché fossero venuti; furono poi presentati al re di Borneo con il nostro marinaio. Intanto noi sulle navi cercavamo di sondare le acque per poterci avvicinare maggiormente. Scorgemmo allora tre giunche, provenienti dal porto di Borneo. Ma appena videro le navi, tornarono Christine Delport
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indietro. Noi finimmo per trovare un canale che conduceva verso il porto. Le navi ripresero la loro corsa ed andarono lì a gettare le ancore. Non volemmo avvicinarci di più, in attesa di notizie da terra. Il giorno dopo, due paraos muniti di cannoncini di metallo vennero a recare un messaggio. Si ciascun parao si trovavano oltre cento uomini, delle capre, galline, due mucche, fichi ed altra frutta del genere. Noi chiedemmo il permesso di entrare nel porto, tra due isolette vicine che sono il vero ingresso del porto. Da lì alla città vera e propria correvano da 3 a 4 leghe. Scambiammo molti segni di pace con gli indigeni e offrimmo di acquistare i loro prodotti, soprattutto della cera. Risposero che ci avrebbero dato quanto chiedevamo in cambio di denaro. Il porto di Borneo è situato a 8° Nord. Quando venne ricevuto il messaggio del re, Gonzalo Gomez de Espinosa, capitano della Victoria, si recò a terra per offrirgli dei doni. Il re gli diede in cambio stoffe di Cina. Trattammo una ventina di giorni con questa gente e avevamo cinque marinai a terra quando cinque giunche degli indigeni vennero ad ancorarsi accanto alle nostre caravelle intorno allʹora dei vespri. Rimasero a fianco delle nostre navi per tutta la notte ed allʹalba vedemmo 200 paraos, a remi ed a vela, che lasciavano la riva della città. Davanti a questo spiegamento di imbarcazioni pensammo che stavano preparando qualche imboscata ai nostri danni . Per prevenire il tradimento lanciammo le prue delle nostre navi verso le giunche indigene che alzarono subito le vele e fuggirono grazie ai venti favorevoli. Le caravelle andarono a cercare rifugio presso lʹisola dei mirabolanti, Tenendo una giunca ammarata alla poppa della Trinidad. I paraos avevano riguadagnato la riva; al tramonto si levò una tempesta dal lato di ponente che provocò il naufragio della giunca che andò perduta. Il mattino seguente, scorgemmo in lontananza una vela e ci dirigemmo verso di essa. Si trattava di una grande giunca. Decidemmo di catturarla. Il capitano dellʹimbarcazione era il figlio del re di Luçon, aveva una scorta di 90 uomini. Alcuni degli indigeni fatti prigionieri vennero inviati presso il re del Borneo per chiedergli di restituire sette dei nostri marinai che erano rimasti a terra e presi come ostaggi. In cambio avremmo liberato tutti i suoi uomini. Soltanto due dei nostri marinai vennero liberati e rinviati alle caravelle su un parao. I nostri comandanti ordinarono che fossero liberati anche gli altri cinque. Attendemmo invano per altri tre giorni. Poi venne deciso di rinviare trenta indigeni su un Christine Delport
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parao al re del Borneo. Ma i nostri ostaggi non vennero liberati. Così riprendemmo la navigazione portando con noi 14 uomini e 3 donne (16 uomini e 3 donne nella relazione di Antonio Pigafetta. Nda). Costeggiammo passando da nord‐est tutta lʹisola di San Paolo e la grande isola di Borneo. La Trinidad toccò la punta dellʹisola e rimase agli ormeggi per quattordici ore; ripartì con il ritorno dellʹalta marea che durava appunto tutto quel tempo. Proseguimmo la nostra rotta quando il vento si mise a girare a nord‐est. Raggiunto lʹalto mare, scorgemmo una vela: virammo di bordo e gettammo le ancore mandando le nostre scialuppe per catturare lʹimbarcazione. Si trattava di una piccola giunga che trasportava solo noci di cocco. Ci impadronimmo del carico e delle tavole del ponte superiore della giunca. Poi riprendemmo la nostra rotta, lungo la costa al NE fino a raggiungere la punta dellʹisola. Scorgemmo unʹisola più piccola, con una rada ospitale dove fummo in grado di riparare le nostre navi. Era il giorno di Nostra Signora, in agosto. Potemmo rabberciare le caravelle perché il porto era ospitale. Lo chiamammo “porto di Santa Maria di Agosto”. Lʹisola è situata a più di 7° Nord. Non appena terminata la carenatura, mettemmo le vele in direzione Sud‐Ovest fino a quando giungemmo in vista dellʹisola di Camja (Cayan), dopo un percorso di circa una quarantina di leghe. Poi governammo a Sud Ovest per raggiungere unʹaltra isola chiamata Solloque, ricca di perle. Eravamo in vista dellʹisola delle perle, quando subimmo un colpo di vento a poppa. Non potemmo seguire la rotta voluta, ma riuscimmo a determinare la nostra posizione a 6°. In piena notte, si giunse allʹisola di Quipe (penisola di Zamboanga), costeggiando sempre in direzione Sud‐Ovest e poi passammo tra questʹisola ed unʹaltra dal nome di Tamgym (Basilan). Mentre veniva mantenuta questa rotta, incontrammo un parao, carico dei frutti di un albero chiamato cajare, che tiene luogo del pane per quegli indigeni (lʹalbero del pane). Vi erano 21 indigeni a bordo del parao ed il loro capo veniva da Ternate. Apprendemmo in seguito che era stato servitore nella casa di Francisco Serrao, il grande amico del nostro ammiraglio Ferdinando Magellano che venne misteriosamente ucciso (si presume per avvelenamento) poche settimane dopo la morte dello stesso Magellano a Mactan. Le caravelle giunsero così in vista di certe isole chiamate Semrym (Sarangani) a circa 5° Nord. Gli abitanti vennero a riva a guardarci, incuriositi. Potemmo in qualche modo farci capire da quella gente ed uno degli anziani si offrì di guidarci fino a Maluco, ( Ternate). Christine Delport
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Ci mettemmo dʹaccordo col vecchio indigeno che venne pagato per farci da guida, ma al momento di salpare cercò di fuggire. Venne così smascherato e fatto prigioniero assieme agli uomini che lo accompagnavano e che dicevano di conoscere lʹarte della navigazione. Decidemmo di salpare subito con i nostri prigionieri. Ma quando gli abitanti videro che partivamo misero in acqua dei paraos per inseguirci. Soltanto due delle loro imbarcazioni riuscirono quasi a raggiungerci ed a lanciarci delle frecce. Ma il vento soffiava fortissimo e gli indigeni non riuscirono a raggiungerci. A mezzanotte, con lʹausilio degli indigeni catturati che avevano accettato di pilotarci, giungemmo in vista di un piccolo arcipelago; proseguendo il cammino, giungemmo allʹalba in vista di unʹisola più grande. Ci trovavamo molto vicini a questʹisola verso il crepuscolo. Il vento aveva cessato di soffiare e le correnti ci precipitarono rapidamente verso terra. Il vecchio indigeno che coi compagni ci aveva pilotato si gettò in mare ed andò a trovare rifugio sullʹisola. Proseguimmo la navigazione e scorgemmo unʹaltra isola, un altro dei mori catturati ci disse che Maluco si trovava più avanti. Il giorno dopo, scorgemmo tre alte colline. Gli abitanti, apprendemmo in seguito, si chiamavano Calibes. Vedemmo unʹisola più piccola dove ci fermammo per fare provviste di acqua potabile, temendo di non poterci rifornire a Maluco. Ma dovemmo rinunciare alla nostra intenzione perché il moro ci disse che in quella terra vivevano circa 400 selvaggi cattivi e sleali, che avrebbero potuto nuocere a tutti noi (lui compreso) se fossimo andati a riva. Insomma, ci sconsiglio con gesta e pianti di sbarcare. Tanto più che, a suo dire, Maluco non era più così lontana. Ci disse anche che i re delle Molucche erano buoni con gli stranieri ed ospitali. Finalmente, giungemmo in vista di Maluco e per la gioia, in segno di giubilo facemmo fuoco con i nostri cannoni. Giungemmo a Tidore lʹ8 novembre 1521. Avevano viaggiato da Siviglia verso le Molucche durante la bellezza di due anni, due mesi e ventotto giorni, la flotta era infatti partita il 10 agosto 1519. Giunti, infine, a Tidore situata a 0° 30ʹ Nord, fummo ricevuti con tutti gli onori dagli abitanti e dal loro re. Negoziammo lʹacquisto di merci ed il re promise di venderci i rifornimenti richiesti ed altre varie derrate. Concludemmo un accordo secondo il quale avremmo acquistato preziosi chiodi di garofano, drappi pregiati, stoffe vermiglie per diversi cruzado. Insomma, furono convenuti i prezzi e gli abitanti ci informarono che un altro portoghese viveva in unʹisola Christine Delport
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poco distante. (doveva trattarsi di certo Pedro de Lourosa nda). Questʹaltra isola, chiamata Ternate si trova a due leghe da Tidore. Eʹ la principale piazza delle Molucche. Vi si stava costruendo una fortezza. (Si tratta della fortezza di Ternate, esattamente quella che il governatore portoghese Antonio de Brito stava facendo costruire in quellʹisola delle Molucche, dopo la partenza dellʹaltra caravella, la Victoria da Tidore il 21 dicembre 1521. Sarà proprio Antonio de Brito che catturerà lʹintero equipaggio della “Trinidad” con a bordo Leon Pancaldo e tutti i suoi compagni, compreso il genovese De Ponzoroni che poi, assieme a Pancaldo, tenterà di fuggire dalle Molucche nda). Scrivemmo a questo personaggio portoghese – prosegue il Roteiro – chiedendogli se poteva venire a Tidore per negoziare lʹacquisto delle mercanzie necessarie a proseguire il nostro viaggio. De Brito rispose che non poteva fare nulla senza prima ottenere lʹautorizzazione del re del Portogallo, Manuel I . Con lʹautorizzazione regale sarebbe venuto a trattare con noi. Cosa che fece con i suoi emissari. Ma quando apprese il prezzo convenuto con gli abitanti, si stupì moltissimo e disse che il sovrano portoghese gli aveva ordinato di non lasciare trapelare con nessuno i prezzi delle spezie praticati alle Molucche. A questo punto il Roteiro di Pancaldo lascia intravvedere lʹacuta concorrenza esistente tra Castiglia e Portogallo sul traffico estremamente lucrativo delle spezie delle Molucche ed i contrasti sullʹappartenenza di queste terre secondo il Trattato di Tordesillas. Appartenevano allʹimperatore Carlo V oppure al Regno del Portogallo ? Il nostromo di Savona, naturalmente, non può dare una risposta e si limita a fornire particolari marginali, testimonianza della sua presenza alle Molucche. Proprio lì tornerà come prigioniero del governatore di Ternate, dopo la separazione delle due caravelle, la Victoria e la Trinidad. “Malgrado queste incertezze nel negoziato, mentre gli abitanti di Tidore preparavano il carico, un re di Bargao (Bacan) terra vicina venne ad annunciarci che egli intendeva farsi vassallo del re di Castiglia e che aveva in serbo per noi un intero carico di chiodi di garofano, per il quale il re del Portogallo aveva già offerto una certa somma, ma che non erano ancora stati consegnati. Ma i nostri capitani rendendosi conto di poter suscitare un grave incidente diplomatico tra Portogallo e Castiglia, data la loro posizione delicatissima, decisero di prendere tempo. Sospettavano qualche tranello. Molti dei nostri apparivano inquieti, non Christine Delport
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fidandosi, né degli indigeni né della possibile reazione dei portoghesi. Chiesero ai capitani di ripartire al più presto portando con sé i viveri necessari per tornare in patria e lasciando perdere la pericolosa ingerenza negli affari delle spezie, mercanzie costosissime e ricercate che potevano scatenare rischiose controversie. Tutti erano di questo parere e chiedevano di abbandonare al più presto le Molucche, temendo qualche tradimento. Ci stavamo preparando ad abbandonare la trattativa sulle spezie ed ad alzare le vele, quando il re di Bargao tornò a bordo della Trinidad a chiedere con aria sospettosa il perché di questa improvvisa partenza al suo capitano. Pensava di aver concluso un accordo e voleva che fosse rispettato il contratto. Il nostro capitano gli ripeté per filo e per segno quel che temevano i nostri marinai, le voci di un possibile tradimento, il risentimento dei portoghesi per i trattati commerciali violati sulle preziosissime spezie. Per quel che lo riguardava, disse con forza il re, nessun tradimento. Chiese subito che gli portassero il libro sacro, il Corano, per giurare solennemente su quel testo la sua buona fede. Poi disse al capitano della Trinidad di stare tranquillo di calmare gli equipaggi, fugando i loro ingiustificati timori. Promise che le merci inizialmente richieste sarebbero state consegnate il giorno 15 dicembre 1521. Cosa che fece esattamente come pattuito. Le due caravelle, Victoria e Trinidad erano già cariche ed avevano le vele spiegate, quando una enorme falla si aprì sulla Trinidad. Il re , apprendendo da terra lʹaccaduto, inviò esperti nuotatori sottomarini per verificare lʹentità dei danni. Ma non ci fu niente da fare. Venne così deciso che la Victoria sarebbe ripartita per la rotta tracciata dai portoghesi (circumnavigazione dellʹAfrica doppiando il Capo di Buona Speranza, come aveva fatto per primo Vasco da Gama) tentando di rientrare in patria, cioé a Siviglia, mentre la Trinidad costeggiando la terra ferma delle Antille avrebbe puntato la prua in quella direzione, per raggiungere le Antille (lʹistmo di Darien, o lʹattuale Panama, dove Vasco Nunez de Balboa, nel 1515, attraversandolo, aveva visto per la prima volta il Mar del Sur,cioè lʹOceano Pacifico n.d.a.). In tal modo, avremmo potuto riparare alle Antille i danni subiti dalla Trinidad. La Victoria partì il 21 dicembre. Si diresse verso Timor con lʹintenzione di aggirage Java, a 2055 leghe dal capo di Buona Speranza verso il quale era diretta. Noi sullaTrinidad riparammo i danni alla meno peggio ricaricammo i rifornimenti e le merci durante quattro mesi e 16 giorni di sosta forzata. Christine Delport
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Ripartimmo il 6 aprile 1522, volendo raggiungere la terra ferma delle Antille o verso lo stretto che avevamo scoperto. Puntammo verso Nord, lasciandoci alle spalle Ternate e Tidore, poi lungo la costa di Batechina a Nord Est per un percorso di 10 o 11 leghe; quindi, nuovamente a nord‐est per altre venti leghe. Giungemmo in prossimità di unʹisola chiamata Domy (Doy) situata a 3° 30ʹ dal lato sud‐est. Di là navigammo verso Est su 3 o 4 leghe fino a scorgere due isole. Battezzammo quella più grande Chaol e la più piccola Pyliam, poi attraversammo quello stretto fra le due isole e Batechina, situata a tribordo. Toccammo allora un capo che ribattezzammo Cabo de Ramos (capo delle Palme) perché la vedemmo, appunto, nel santo giorno delle Palme. Eʹ situata a 2°30ʹ. Discendemmo, quindi, verso Sud per raggiungere Quimor (si suppone trattarsi di un porto della costa orientale della penisola nord di Halmahera, forse di Kau nda). Questa terra apparteneva al re di Tidore. Il re che aveva dato lʹordine di darci tutto ciò che volevamo in cambio di denaro: prendemmo, dunque, dei porcelli, delle capre, delle galline, delle noci di cocco e acqua potabile. Il porto di Camarfa, dove soggiornammo otto o nove giorni è situato a 1° 45 N. Lasciammo questi posti il 20 aprile, attraverso un canale situato tra lʹisola di Batechina e lʹisola di Chao e navigammo per 17 leghe. Vedemmo allora che lʹisola di Batechina si estendeva verso sud‐est per la lunghezza di circa venti leghe. Non era la rotta che volevamo seguire che si trovava ad Est ‐ ¼ Nord Est. Seguimmo questo capo qualche giorno, sotto venti contrari. Il 6 maggio toccammo due isole piccole, a circa 5°, che battezzammo “isole di SantʹAntonio”. Proseguimmo sempre in avanti verso Nord e raggiungemmo unʹaltra isola, chiamata Chyquom, situata a 19°. Era lʹ11 di giugno. Facemmo salire a bordo un indigeno, che conosceva quelle acque per farci da guida. Continuammo sulla stessa rotta, ma con fortissimo rullio, a causa di forti venti contrari e risalimmo a latitudine 42° N. In quei paraggi, ci mancarono del tutto pane, vino, carne ed olio. Avevamo solo acqua e riso. Faceva molto freddo e non avevamo praticamente nulla per coprirci in modo adeguato. Alcuni marinai morirono di fame e di freddo. Così decidemmo di invertire la rotta e tornare indietro verso Maluco. Le condizioni della Trinidad si erano ulteriormente deteriorate e si rischiava il naufragio ad ogni momento. Maluco, calcolammo, era distante circa 500 leghe. Arrivammo vicini ad unʹisola chiamata Magrega, ma giungemmo durante la notte e Christine Delport
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rinunciammo a sbarcare. Attendemmo il levar del sole, ma non vi fu modo di attraccare e rinunciammo definitivamente. Lʹindigeno che avevamo preso a bordo ci disse di continuare su quella rotta perché avremmo trovato, più avanti tre isole ed un porto sicuro. Il negro, in realtà, mentiva. Voleva fuggire , cosa che infatti fece alla prima occasione. Comunque, noi arrivammo alle isole, non senza grandi pericoli, e gettammo le ancore. La più grande delle isole è Mao (lʹisola di Maug, 20°). Trovammo gruppetti di indigeni , uomini e donne. Facemmo provviste di acqua piovana perché fu lʹunica acqua che potemmo trovare laggiù. Qui, fuggi il negro che fungeva da guida, assieme a tre marinai che disertarono. Andammo in seguito verso la terra di Camafo e quando fummo in vista di questi luoghi rimanemmo praticamente fermi per la bonaccia e senza correnti marine di rilievo. Alla fine, grazie ad un poʹ di vento riuscimmo a dirigerci verso quei luoghi inesplorati, ma non vi fu modo di attraccare e dovemmo gettare le ancore tra lʹisola di Domi e quella di Batechina. A quel punto, fummo incrociati da un parao sul quale navigavano sudditi del re di Geilolo. Ci dissero che vi erano portoghesi a Maluco che erigevano una fortezza. Noi, ormai sfiniti e senza prospettive di fuga, inviammo lo scrivano della Trinidad presso il governatore, Antonio de Brito, per supplicarlo di darci soccorso e condurre le navi fino a Ternate, dove veniva eretto il nuovo forte portoghese. Lʹequipaggio era ormai allo stremo delle forze, parecchi erano morti e tutti eravamo malati. Quanto il governatore Antonio de Brito lesse il messaggio inviò Gonçalo Garcia Henriques, capitano della nave San Jorge con dei paraos per portarci soccorso. Condussero poi la nostra nave alla fortezza e, mentre scaricavano le merci, imperversò il cattivo tempo, dal lato nord che mando ad arenarsi la nave contro la costa. Essa era tornata a Maluco,dopo aver percorso circa 1050 o 1100 leghe dalla sua partenza dallʹIsola di Tidore, più o meno. Queste pagine sono state trascritte dal diario del pilota genovese, che era sulla nave suddetta e che scrisse lungo tutto il viaggio questo resoconto. Ritornò in Portogallo nel 1524 con Henrique de Meneses. Deo Gracias. Ciò che il Roteiro di Leon Pancaldo non dice fu il susseguente trattamento, nellʹIsola di Ternate, dato dai portoghesi a quelli che considerarono i prigionieri della “Trinidad”. Giovanni Battista de Ponzoroni e Leon Pancaldo decisero di Christine Delport
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fuggire dalla prigionia e si imbarcarono – lʹuno allʹinsaputa dellʹaltro – sulla nave Santa Caterina, diretta dalle Molucche a Lisbona. Ma vennero entrambi scoperti e sbarcati a forza sullʹisola di Mozambico. Vennero allora consegnati alla nave di Diego de Melo che aveva ricevuto lʹincarico di ricondurli a Goa, ma il cattivo tempo impedì la partenza della nave. Equipaggio portoghese e prigionieri furono obbligati a restare otto mesi a Mozambico .Durante la sosta forzata, i due prigionieri scrissero una lettera a Carlo V per implorarlo di liberarli. D Ponceroni morirà sullʹisola,mentre Pancaldo riuscirà a salire clandestinamente a bordo di unʹaltra nave capitanata da Francisco Pereiro e rientrerà a Lisbona Ma ecco il testo della lettera di Pancaldo e Ponzoroni a Carlo V, imperatore . LETTERA A CARLO V DI GIOVANNI BATTISTA PONZORONI E DI LEON PANCALDO SCRITTA DAL MOZAMBICO IL 25 OTTOBRE 1525 “Vostra Maestà Imperiale apprenderà le cose che ci sono capitate dopo che la Victoria fu salpata da Maluco. Noi sbarcammo il carico della nostra nave Trinidad, poi la riparammo come potemmo con lʹaiuto del re di Tidore, il quale, per rispetto a Vostra Maestà, ci riservò grandi onori ed un trattamento che non poteva essere migliore. Quando la nave fu riparata, finalmente, portammo a bordo il carico e partimmo dallʹisola di Tidore il 6 aprile 1522. Mantenemmo la nostra rotta alla ricerca della terra ferma, in quel Mar del Sud, laddove Andrés Nino a portato le sue caravelle. Vostra Maestà saprà che tra le Molucche e la Terra Ferma (Panama) vi sono 2000 leghe al più. Dalla nostra partenza da Tidore alla terraferma subimmo ogni sorta di traversie , senza tregua e senza risparmiare tutti i possibili sforzi. Ma i venti contrari ci obbligarono ad andare fino a 42°30ʹ di latitudine Nord, dove ci aspettavano grandi tempeste ed una temperatura glaciale. E i nostri uomini, perché non avevano più di che mangiare né di che vestirsi, caddero malati ed alcuni morirono, senza che noi potessimo essere loro di alcun aiuto. Per quindici mesi non avevamo da mangiare altro che riso ed i malati erano presi da disgusto, prima di soccombere. Vedendo che i venti continuavano ad esserci contrari ed i nostri marinai morivano uno ad uno, decidemmo allora di attraccare in un porto. Maluco si trovava a più di 1300 leghe. Su questa rotta. A circa 500 leghe da Maluco Christine Delport
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abbiamo scoperto quattordici isole, situate tra 20° e 10° longitudine Nord. Ci rimettemmo in rotta verso quelle isole. Laggiù, il terrore cominciò a diffondersi a bordo. Vedendo che i membri dellʹequipaggio morivano, gli altri marinai – presi dal panico – cominciarono a disertare. Quattro tra essi (i più sani che vi erano a bordo) fuggirono terrorizzati dalla morte incombente si tutti noi. Uno soltanto dei fuggiaschi venne ripreso, i tre altri rimasero nellʹisola di Mao (Maug) che si trova a 20° e non conta più di una ventina di abitanti indigeni. Le altre isole sono popolate da innumerevoli genti di Sunda, ad Est di Giava, che hanno la pelle dello stesso colore di quelli delle Indie. Di là alla fine partimmo per Maluco, ma 37 uomini morirono, prima che potessimo raggiungere le terre del re di Maluco. A bordo, rimanemmo in sei in condizioni di lavorare e gli altri dovettero a noi se ebbero salva la vita. Il giorno in cui giungemmo finalmente a Maluco, unʹimbarcazione vi venne incontro, dallʹequipaggio della quale apprendemmo che i portoghesi erano giunti con sette caracche a vela da Ternate e laggiù stavano costruendo una fortezza. Appresa la notizia, inviammo uno dei nostri uomini presso il capitano generale portoghese, chiamato Antonio de Brito , con una lettera in cui, in nome del re del Portogallo e dellʹImperatore Carlo V, Vostra Maestà nostro signore, gli chiedevamo , perché i nostri erano gravemente malati, di inviarci alcuni uomini per darci soccorso ed aiutarci a condurre la nave fino al loro porto. Il suddetto capitano generale inviò allora una caravella, con altre imbarcazioni a remi, agli ordini di dom Garcia Henrique. Appena furono giunti alla nostra nave, ne presero possesso e ci condussero fino allʹisola di Ternate, dove essi stavano costruendo una fortezza. La ci condussero a terra, tutti assieme – sani e malati – si impadronirono definitivamente della Trinidad , che era stata lʹammiraglia di Ferdinando Magellano (il portoghese che i suoi compatrioti consideravano un “rinnegato” ed al quale Re Manuel I aveva ordinato di dare la caccia sui mari. n.d.a) con tutte le merci e ci inviarono, come prigionieri, alle isole Banda che fanno parte, Sire, della vostra reale corona. Da Banda, fummo condotti a Malacca, dove rimanemmo cinque mesi, poi di là in India. Rimanemmo dieci mesi nella città di Cocin, dove si cambiano di spezie pregiate, senza che ci fosse mai dato da mangiare: eravamo privati di tutto, e se alcuni stranieri non ci avessero portato soccorso, saremmo tutti morti di fame. (i prigionieri, fra cui Pancaldo e Poncero, erano in tutto diciassette uomini. Altri quattro, tra i quali un esperto carpentiere, erano stati trattenuti a Ternate da De Christine Delport
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Brito per aiutare i portoghesi nella costruzione della fortezza nda.) Quando vedemmo che rifiutavano di liberarci e lasciarci ripartire, ci imbarcammo entrambi clandestinamente su una delle navi che partivano alla volta del Portogallo, in modo da informare Vostra Maestà Imperiale che vi appartengono le terre delle Molucche che noi abbiamo visto con i nostri occhi. Eʹ per impedire che vi informassimo che, per lʹappunto, ci tenevano prigionieri. Adesso, Vostra Maestà Imperiale deve sapere che questa nave sulla quale eravamo saliti clandestinamente allʹinsaputa lʹuno dellʹaltro ( la Santa Caterina.nda) non potendo raggiungere il Portogallo, fu costretta di sostare allʹisola di Mozambico per trascorrervi la stagione invernale. Laggiù arrivò, approdandovi, unʹaltra imbarcazione portoghese. Noi fummo scoperti, catturati e costretti ad imbarcare sulla nuova nave per essere ricondotti indietro al punto di partenza. Fummo messi ai ferri per essere dapprima condotti al governatore dellʹIndia. Vostra Maestà imperiale deve però sapere che la nuova nave non riuscì a raggiungere lʹIndia e dovette invertire la rotta, durante la navigazione. Così fummo nuovamente riportati in Mozambico. Ci siamo rimasti otto mesi, durante i quali abbiamo creduto di morire tanto che il clima vi è malsano. Abbiamo sofferto la fame, perché i pochi abitanti che ci davano da mangiare se nʹerano andati altrove. Siamo in questa condizione attualmente: senza adeguati vestiti, senza cibo sufficiente e senza alcun amico. Per questi motivi, supplichiamo Vostra Maestà Imperiale, per i servigi che vi abbiamo fedelmente reso e per i quali fummo catturati, di reclamare la nostra liberazione presso il re del Portogallo. In modo che noi possiamo tornare in patria a sostegno delle nostre rispettive mogli e delle figlie che dobbiamo maritare. ( Eʹ interessante questo riferimento alle mogli ed alle figlie da maritare. Risulta che prima di intraprendere la grande avventura Leon Pancaldo si sposò con Teresa Romano, detta “la Selvaggia”. Ma non si conoscevano di lui eredi né maschi, né femmine. Può darsi che le figlie fossero invece di Poncero e di sua moglie. Nda.) Proseguono i due naviganti liguri, prigionieri dei portoghesi, in questa accorata supplica a Carlo V : “ Se Vostra Maestà Imperiale, ci apporterà soccorso noi potremmo partire con le prime navi in arrivo perché una sola ora trascorsa qui ci pare cento ore. Se saremo liberati potremo darvi conto delle ricchezze che appartengono alla vostra imperiale corona, le terre più ricche che esistono al mondo, vale a dire le isole di Christine Delport
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Maluco per i chiodi di garofano, Banda per la noce moscata ed il macis e Timor per il Santal, in più numerose isole vicine ricche in oro ed in perle, le quali appartengono alla vostra corona. Ci infliggono tante pene per impedirci di portarvi a conoscenza dei vostri possedimenti. Assicuriamo che ci troviamo attualmente in unʹisola chiamata Nassara Sanguin (Sarangani), dove i portoghesi commerciano in oro ed in perle chiamate margaritas che valgono poco in Spagna. Non scriviamo troppo a lungo, se non su questa esigua pergamena. Sempre preghiamo Nostro Signore Gesù Cristo affinché preservi in buona salute Vostra Maestà Imperiale. Firmato: Giovanni Battista de Ponzoroni e Leon Pancaldo, ufficiale in prima e nocchiero timoniere della caravella ammiraglia, catturata alle isole di Maluco. Quando questa accorata missiva giunse infine alla corte di Carlo V e nelle sue mani , il compagno di Pancaldo, de Ponceroni era già morto, in Mozambico, dopo gli stenti inenarrabili che aveva subito. La fibra più forte e davvero eccezionale di Leon Pancaldo aveva resistito ed egli poté alla fine tornare in patria. Dei sopravvissuti della “Trinidad” (scomparso il genovese “Poncero”) tre poterono prestare testimonianze della loro avventura, a Valladolid, in una Commissione dʹInchiesta aperta su ordine del Consiglio delle Indie , in Spagna, nel 1527. Si tratta dei testi degli interrogatori resi da Gonzalo Gomez de Espinosa, Leon Pancaldo e Ginés de Mafra sulla sorte toccata alla “Trinidad” alle Molucche. Comunque, pur possedendo i testi integrali con le deposizioni di questi tre sopravvissuti davanti al Consiglio delle Indie, una sorta di inchiesta iniziata a Valladolid il 2 agosto 1527, non riteniamo di pubblicarli in quanto non si tratta altro che di una ripetizione di avvenimenti di cui ha già reso conto Pancaldo sia nel “Roteiro” che nella missiva inviata assieme a Giovan Battista de Ponzoroni allʹimperatore Carlo V. Si trattava, insomma, si accertare se realmente le Isole delle Spezie, le Molucche, appartenessero alla Spagna oppure al Portogallo. Eʹ bene lasciare la conclusione di questa vicenda di potere e di morte che è costata tante vite umane e inenarrabili sacrifici al celebre scrittore austriaco Stefan Zweig, il quale nel suo libro immortale, intitolato “Magellano” annota questa amara constatazione allʹintera avventura che contrappose gli interessi delle due grandi potenze marittime: Portogallo e Spagna: “...Persino lʹimpresa cui Magellano ha tutto sacrificato sembra risultare praticamente vana. Magellano voleva assicurare alla Spagna le Isole delle Spezie e le altre conquiste con la posta della sua vita. Ma quello che aveva cominciato come unʹimpresa eroica finisce in un misero baratto: lʹimperatore Carlo V rivende le Molucche al Portogallo per trecentocinquantamila ducati. La via di Ponente scoperta da Magellano Christine Delport
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non viene quasi più percorsa, lʹitinerario da lui segnato non porta né guadagni né oro. Anche dopo la sua morte la sventura continua a perseguitare chiunque fidasse in Magellano. Quasi tutte le flotte spagnole che vollero ripetere la sua spedizione perirono nello stretto che porta il suo nome... “ Fu appunto ciò che capitò alle due caravelle, comandate da Leon Pancaldo e da Pietro Vivaldo, dirette in Perù, sulla “rotta di Magellano”. La caravella di Vivaldo si schiantò contro una scogliera. Lʹaltra, comandata da Pancaldo – che, naturalmente, aveva raccolto i superstiti al naufragio, si arenò al Rihauelo, davanti alla città di Buenos Aires, appena fondata dai “conquistadores”. Pancaldo e Vivaldo subirono processi da parte degli spagnoli e dalla Casa de Contractacion. Trovarono entrambi la morte nella città di Buenos Aires. Erano stati i primi italiani a giungervi. FINE 
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