per progetto prisma

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PER PROGETTO PRISMA
Come promesso nel sito della scuola Vi ho inserito le parti fondamentali
introdotte nei corsi di Fisica, Elettronica e Disegno.
Lo schema degli appunti è semplice, come richiesto da Voi stessi, ossia poca teoria e
più esercizi guidati. Gli esercizi svolti fungono da guida alle vostre esercitazioni.
Un saluto e un augurio di buone ferie a tutti Voi.
Delucca Ing. Diego
Vi ricordo che i moduli di Fisica sono 4:
Mod 1
Sistemi di unità di misura ed errori di misura;
Mod 2
Meccanica;
Mod 3
Energia, lavoro e potenza;
Mod 4
Termodinamica.
Per quanto riguarda Elettronica i moduli effettuati sono 2:
Mod 1
L’elettrotecnica in regime continuo;
Mod 2
L’elettrotecnica in regime alternato.
Infine, per la materia di Disegno Tecnico Vi invito, semplicemente, a ripassare
quanto svolto durante le lezioni, proprio per non disperdere la manualità acquisita
durante il corso stesso.
FISICA
La Fisica è la scienza che studia i fenomeni naturali, cioè i fenomeni che
possono essere direttamente osservati dall’uomo.
Il Modulo 1 presenta il Sistema Internazionale e gli errori di misura.
Perché si è iniziato da qui ?
La risposta è semplice. In un mondo completamente globalizzato, è necessario che
tutti i tecnici misurino le grandezze all’interno di un sistema universalmente
accettato. Il Sistema Internazionale o S. I, ( estensione del sistema M K S di Giorgi ),
è adatto a questo scopo. Se Noi operiamo all’interno di questo Sistema siamo
compresi da Tutti.
Abbiamo visto che il Sistema Internazionale è caratterizzato da 7 grandezze
fondamentali. Però, i primi concetti che voglio introdurre, in questo corso serale,
sono legate al tipo di GRANDEZZE, con cui noi possiamo avere a che fare.
In altri termini le grandezze con cui noi possiamo avere a che fare, sono di due tipi:
le grandezze SCALARI e le grandezze VETTORIALI.
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Le grandezze SCALARI sono univocamente rappresentate da un numero REALE; ad
esempio se dicessi: “ OGGI la temperatura è di 18°C ”, tutti capirebbero il significato
di tale affermazione. Pertanto la temperatura è una grandezza SCALARE, come ad
esempio il LAVORO, l’ENERGIA, ecc.
Gli esempi precedenti sono tutti esempi di grandezze SCALARI.
Perché si parla di grandezze scalari?
Questo perché tutti i numeri REALI sono rappresentati dai punti di una retta
orientata, ed essi sono per l’appunto rappresentati secondo un certo ORDINE o
una certa SCALA, ( una volta che si sia fissata l’unità di misura ).
In altri termini i punti di una retta sono in corrispondenza biunivoca con i
numeri REALI e viceversa, ogni punto della retta rappresenta un numero
REALE. Inoltre, si inserisce sulla retta lo ZERO, ossia l’elemento che separa i
numeri negativi da quelli positivi. VEDI FIGURA:
0
-1
+2
R
Le grandezze VETTORIALI,invece, si possono univocamente caratterizzare, se
vengono fornite tre informazioni:
MODULO,
DIREZIONE
e
VERSO.
Esse vengono rappresentate da delle frecce:, vedi esempio:
la lunghezza determina il MODULO o il VALORE NUMERICO, la RETTA esprime
la DIREZIONE,
e la punta della freccia ci indica il VERSO
seguito nella DIREZIONE. Facciamo un esempio con cui chiarire il concetto,
rivolgendoci ad una grandezza sicuramente VETTORIALE, quale lo
SPOSTAMENTO. Supponiamo che un signore si sposti per tre chilometri da casa
sua, a CASALECCHIO, al proprio Bar, a BOLOGNA. La strada PORRETTANA
esprime la DIREZIONE, poi TRACCIO UNA FRECCIA, di tre CENTIMETRI, che
mi esprima in proporzione il valore dello spostamento effettuato, ( ciò è ovvio, perché
NON POSSO tracciare su un foglio, o su una lavagna, una freccia lunga
tre chilometri ), infine il SENSO è quello che porta, il nostro signore da casa sua al
Bar, e non il contrario, e ciò costituisce il VERSO.
RAPPRESENTIAMO quanto detto graficamente:
Casa
Bar
1
direzione
2
3
verso
Lo spostamento opposto, cioè quello che porta detto signore dal Bar a Casa sua,
sarebbe caratterizzato dal vettore seguente:
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Come si può osservare questo è
vettore opposto al precedente.
LE GRANDEZZE FONDAMENTALI DEL S.I
A questo punto possiamo esprimere il modo con cui misuriamo le
GRANDEZZE FISICHE. Come abbiamo già detto Noi ci riferiamo al SISTEMA
INTERNAZIONALE, o S.I ossia salvo comunicazioni diverse NOI ci riferiremo
sempre ad esso.
Nel SISTEMA INTERNAZIONALE le grandezze fondamentali sono:
lunghezza L, che si misura in
metri,
SIMBOLO = m;
massa M, che si misura in
Chilogrammi(m) SIMBOLO = Kg;
tempo t ,che si misura in
secondi,
SIMBOLO = s;
temperatura, che si misura in gradi KELVIN SIMBOLO = K;
intensità di corrente, che si misura in AMPERE SIMBOLO = A;
intensità luminosa, che si misura in
Candela SIMBOLO = Cd;
quantità di sostanza, che si misura in mole
SIMBOLO = mole.
Tutte le grandezze fondamentali si misurano per mezzo delle unità di misura
fondamentali. Ciascuna di esse è caratterizzata da una definizione, e da un
CAMPIONE, conservati negli appositi MUSEI dei PESI e delle MISURE.
Inoltre, tutte le altre grandezze, ottenute da combinazioni opportune delle grandezze
fondamentali, costituiscono le GRANDEZZE DERIVATE.
Ovviamente le grandezze derivate si misurano mediante le unità di misura
DERIVATE, ESEMPI:
AREA = LUNGHEZZA . LUNGHEZZA, ed essa nel S.I si misura in m², mentre un
VOLUME si può pensare come LUNGHEZZA . LUNGHEZZA . LUNGHEZZA, o
anche come AREA per LUNGHEZZA, pertanto nel S.I si misura in m3.
La VELOCITA’ si esprime come rapporto fra spazio e tempo, e quindi si misura in
m / s.
Infine, la FORZA è = MASSA.ACCELERAZIONE,
che si misura in
Kg.m/s²; ed essa si indica col nome di NEWTON; simbolo = N.
Il LAVORO si esprime come: FORZA.SPOSTAMENTO, ossia
Kg.m²/s² = N.m, ma il N.m si dice JOULE, SIMBOLO J.
In definitiva il LAVORO si misura in J = Joule.
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Come ultimo esempio possiamo considerare la POTENZA, intesa come il LAVORO,
diviso il TEMPO impiegato ad effettuarlo, cioè:
LAVORO / TEMPO
JOULE / SECONDO,
ed il joule / secondo si indica col nome di WATT,
SIMBOLO W.
IL CONCETTO DI CAMPO
L’ultimo concetto, che voglio introdurre, proprio all’inizio, è il concetto di CAMPO.
DEFINIZIONE.
Per CAMPO si intende l’insieme dei valori che può
assumere una certa grandezza fisica, in una certa zona
o regione dello spazio.
Come si vede la definizione è del tutto generale; infatti se si tratta di grandezza
SCALARE il CAMPO sarà detto CAMPO SCALARE, se invece la grandezza è
vettoriale si parlerà di CAMPO VETTORIALE.
Ad esempio, se all’interno di una stanza, valutassi la temperatura, punto per punto, si
determinerebbe il campo scalare delle temperature; infatti la temperatura è una
grandezza scalare. Mentre, se all’interno di una tubatura volessi determinare la
velocità di un fluido, sempre punto per punto, si determinerebbe il campo vettoriale
delle velocità. ( Infatti la velocità è una grandezza vettoriale ).
A questo punto si comprende che è necessario determinare un’algebra capace di
trattare le operazioni con i vettori.
Come si rappresentano i vettori ?
Quali sono le possibili operazioni con i vettori?
Abbiamo visto in precedenza che il mezzo più rapido per rappresentare un
vettore è una freccia. La freccia riassume in sé ciò che ci interessa di una grandezza
vettoriale, ossia il modulo, la direzione ed il verso. Certo che la freccia è libera, ossia
ha un punto di applicazione qualsivoglia. E’ altresì vero che in fisica, spesso, i vettori
hanno punti di applicazione ben precisi, anzi l’effetto può essere diverso a seconda
del punto in cui esso è applicato, ( basti pensare ad una forza; infatti la forza è una
grandezza vettoriale con effetti, in termini di moto, distinti a seconda del punto in cui
essa viene applicata. ( Si rammenti l’esempio sugli effetti delle forze, posizionate in
diverse posizioni, su un quadro ). Infine, la retta a cui appartiene un vettore prende il
nome di retta d’azione del vettore.
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Le operazioni possibili di una grandezza vettoriale sono: SOMMA, DIFFERENZA,
PRODOTTO. Il prodotto è un insieme di diverse operazioni che prevedono:
il prodotto di un numero reale per un vettore; il prodotto scalare; il prodotto vettoriale
ed infine il prodotto misto, ( di cui noi abbiamo fatto solo un cenno ).
Prima di illustrare le operazioni indicate ricordiamo due definizioni:
 due vettori sono uguali quando hanno lo stesso modulo, la stessa direzione
e lo stesso verso;
 due vettori sono opposti quando hanno lo stesso modulo, la stessa
direzione, ma verso discorde.
SOMMA, DIFFERENZA di due vettori
Supponiamo di dovere sommare questi due vettori: V1 e V2
V2
Come si osserva i due vettori sono separati, ma “vettore” in
latino significa trasportato, ossia il vettore può scorrere lungo la
sua retta d’azione e può essere, rigidamente,spostato secondo
piani paralleli. Per sommarli, inoltre dovrò agire in modo tale
che il secondo estremo del vettore V1 coincida con il punto di
V
applicazione del secondo vettore o V2. Sposto parallelamente
sia V1 che V2, ( vedi tratto in rosso ), ottenendo quanto
V1
desiderato, ossia la coincidenza richiesta per eseguire la somma.
Il vettore SOMMA si ottiene con la regola del parallelogramma, o più
semplicemente, chiudendo la figura piana, spezzata, ottenuta dagli spostamenti
precedenti, ( vedi tratto blu ). Pertanto il vettore blu rappresenta il vettore somma dei
due vettori V1 e V2. Chiameremo tale vettore col nome di vettore risultante V.
Per effettuare la differenza fra due vettori basta ammettere che:
V1 – V2 = V1 + ( - V2 ), in altri termini aggiungo al primo vettore
l’opposto del secondo vettore. Impiegando gli stessi vettori del caso precedente,
dovrò graficamente operare in questo modo:
- V2
V1
Il vettore in blu è il vettore differenza D fra i vettori V1 e V2.
Come ci si deve comportare se si deve effettuare una somma di n vettori ?
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I vettori devono essere collocati in sequenza, in modo tale da determinare una figura
piana, più esattamente una spezzata aperta. Ebbene il vettore che chiude tale spezzata
è il vettore risultante cercato. Si osservi attentamente la seguente figura di
riferimento:
V3
V2
Vn
R
V1
Infatti, R rappresenta il vettore somma dei vettori dati, ossia:
R = V1 + V2 + V3 + ……………. + Vn.
PRODOTTO di uno scalare o di un numero reale per un vettore
Tale prodotto si può esprimere nel modo seguente:
Il prodotto stesso dà luogo ad un vettore W.
Che caratteristiche ha questo vettore W ?
m . V.
Il vettore W è caratterizzato una volta che ne fissiamo il modulo, la direzione ed il
verso.
Il modulo del vettore W è rappresentato dal prodotto del modulo di m per il modulo
di V, ossia
| m | V.
La direzione è concorde a quella del vettore di partenza V, mentre il verso è concorde
con quello di V se m è un numero reale positivo, discorde se m è un numero reale
negativo.
Esempio, sia dato il vettore V seguente e sia m = 2:
in questo caso il vettore W ha modulo doppio di V;
la direzione è quella del vettore V e il verso è il
medesimo di V, in quanto m è un numero positivo.
In definitiva il vettore risultante dal prodotto 2 V è
W
un vettore doppio di V, con medesima direzione e
V
verso. W è dunque il vettore rappresentato in rosso.
Se m fosse invece pari a – 2, il vettore dato dal
prodotto –2 V sarebbe invece il vettore O con colore blu, ossia sarebbe un vettore con
modulo doppio di V, con la medesima direzione di V, ma con verso opposto a quello
di V.
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I discorsi fin qui svolti possono essere generalizzati a vettori aventi direzioni
qualsivoglia, cioè con direzioni completamente distinte da quelle da me introdotte.
PRODOTTO SCALARE
Il prodotto scalare fra due vettori deve fornire un numero reale o, per
l’appunto, uno scalare.
Come si ottiene questo scalare ?
Questo numero reale o questo scalare si ottiene applicando una relazione, ossia il
prodotto scalare fra due vettori è un numero reale ottenuto dal prodotto del modulo
del primo vettore per il modulo del secondo vettore per il coseno dell’angolo fra essi
compreso. In simboli, dati i vettori V1 e V2, scriveremo:
V1 . V2 = V1 x V2 = | V1 | | V2 | cos , con  angolo compreso fra i due vettori
dati, ( si veda la figura di riferimento ):
V1

V2
Come a lezione vi ho detto il coseno è un operatore o una funzione che lavora sugli
angoli. Perciò, noto l’angolo , è possibile con la calcolatrice valutarne il suo coseno.
Vi ricordo che il valore del coseno è compreso fra, o al massimo eguale a, – 1 e + 1,
ossia,
– 1  cos   1.
PRODOTTO VETTORIALE
Il prodotto vettoriale fra due vettori, determina un vettore.
Tale vettore è caratterizzato se si determina il suo modulo, la sua direzione ed il suo
verso. In definitiva possiamo scrivere, adottando gli stessi vettori del caso precedente,
che: V1  V2 = V, dove il vettore V ha per modulo il numero reale ottenuto dal
prodotto fra il modulo del vettore V1, per il modulo del secondo vettore V2 per il
seno dell’angolo fra essi compreso. In simboli potremo scrivere:
| V | = | V1 | | V2 | sen .
Anche il seno è una funzione che opera sugli angoli. Assegnato l’angolo, la
macchinetta calcolatrice fornisce il valore del seno dell’angolo in questione.
Si ricordi che, anche per il seno, vale lo stesso discorso effettuato per il coseno:
-1  sen   1.
Mentre la direzione del vettore V è perpendicolare, ( ossia formante un angolo di
90° ), con il piano definito dai due vettori V1 e V2.
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Il verso del vettore V risulta concorde con quello di avanzamento di un cavatappi
fatto ruotare nel senso in cui il primo vettore, ( V1 ), si sovrappone al secondo
vettore, ( o V2 ).
Si osservi la seguente rappresentazione, che schematizza quanto detto:
Piano definito
da V1 e V2
V1

V
90°
V2
PRODOTTO TRIPLO o MISTO
Come si capisce il prodotto misto coinvolge, contemporaneamente, il prodotto
vettoriale ed il prodotto scalare. Simbolicamente tale prodotto ha la forma seguente:
V1  V2 x V3.
Tale operazione prevede dapprima l’esecuzione del prodotto vettoriale e poi il
prodotto scalare.
Perché la sequenza operativa deve essere questa ?
La sequenza deve essere questa poiché, se prima venisse effettuato il prodotto
scalare, si otterrebbe un numero che, a sua volta, dovrà essere moltiplicato
vettorialmente per un vettore. Ma, il prodotto vettoriale di un numero reale per un
vettore non ha senso. Pertanto, la sequenza operativa è quella indicata.
Il risultato sarà certamente un numero reale. Cosa rappresenta tale numero reale ?
Rappresenta il valore del volume del parallelepipedo, avente per spigoli o per lati i
tre vettori V1, V2 e V3. Si veda la figura:
V2
V1
V3
E’ possibile decomporre un vettore secondo due direzioni fondamentali ?
La risposta risulta affermativa. Allo scopo ho introdotto il concetto di vettore
unitario. Un vettore unitario è un vettore avente modulo 1 e direzione e verso
assegnati. Pertanto un vettore unitario rappresenta, nello spazio, un orientamento,
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ossia una direzione ed un verso. Spesso questi vettori si indicano col nome di versori.
I versori sono vettori unitari aventi spesso direzioni e versi assegnati:
ad esempio un piano è caratterizzato dagli assi x e y, ciascuno di essi esprime un
orientamento di riferimento. Ebbene, a questi due assi del sistema cartesiano sono
associati i due versori principali i e j. Nello spazio gli assi di riferimento sono tre e i
versori fondamentali, rappresentanti gli orientamenti corrispondenti, sono quindi i, j e
k. Sarà allora, vedi grafici:
y
j
x
z
k
i
j
y
x
i
Il primo sistema rappresenta il PIANO CARTESIANO, il secondo rappresenta lo
SPAZIO CARTESIANO.
Sorge una domanda:
un vettore nello spazio e nel piano cartesiano è decomponibile secondo vettori
aventi direzione e verso dei versori fondamentali ?
La risposta risulta affermativa. Un qualsiasi vettore si può sempre pensare
decomposto secondo due o più direzioni, ritenute privilegiate.
Come si può procedere alla decomposizione di un vettore nel piano ?
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Si segue il procedimento, grafico, descritto dal seguente esempio:
sia dato nel piano Oxy il vettore V e lo si voglia decomporre nella somma di due
vettori agenti secondo le due direzioni privilegiate dell’asse x e dell’asse y, di versori
rispettivamente i e j. Da ciò:
y
j
V
Vx = Vx i
i
x
Vy = Vy j
In definitiva è proprio vero che: V = Vx + Vy = Vx i + Vy j.
Nel caso spaziale si può dal grafico dedurre la seguente decomposizione:
z
V
Vz
Vx
Vy
y
x
Altresì nel caso spaziale risulta evidente che:
V = Vx + Vy + Vz = Vx i + Vy j + Vz k , dove i vettori Vx , Vy e Vz sono i tre vettori,
diretti secondo gli assi cartesiani, la cui somma genera il vettore nello spazio V.
110
0
MISURA e gli ERRORI
Partiamo dando la definizione di misura:
per misura si intende il rapporto fra una grandezza ed una grandezza ad essa
omogenea assunta come campione. In questa definizione per grandezza omogenea
si deve intendere dello stesso tipo. Il campione, è dunque il valore di riferimento o il
valore unitario della grandezza e la misura esprime un numero che ci dice quante
volte il campione sta nella grandezza che stiamo misurando.
Dal punto di vista fisico una misura, per quanto efficaci siano gli strumenti, non è
mai certa, ma probabile. In poche parole, non abbiamo mai la certezza del valore
misurato, in quanto si commettono, nell’atto della misura stessa degli errori.
Come abbiamo detto gli errori possono essere, principalmente, di due categorie:
errori sistematici , errori accidentali .
Gli errori sistematici sono dovuti alle caratteristiche degli strumenti e ai metodi
adottati, ( perché a seconda del tipo di grandezza da misurare esistono tecniche e
disposizioni distinte degli strumenti scelti. E’ ovvio che la disposizione degli
strumenti incide sull’errore commesso nella misura della grandezza stessa. In misure
successive gli errori sistematici conservano sempre il medesimo segno e la medesima
intensità. Si possono eliminare solo migliorando le condizioni della misura e le
caratteristiche degli strumenti. Gli errori sistematici si possono così distinguere:
ERRORI PERSONALI
STRUMENTALI
DI METODO
Derivanti
dall’abilità Derivano dalla precisione dello Derivano
dalle
dell’operatore nel preparare strumento e dai suoi eventuali imperfezioni apportate al
la misura, ( collegamenti difetti costruttivi, ( attriti, metodo di misura, ( come
fra conduttori, azzeramento precisione nel tracciamento accade per l’errore di
degli strumenti, ecc).
della scala, ecc ).
consumo ).
Gli errori accidentali sono dovuti alle condizioni nelle quali si svolge la misura e
alla maggiore o minore abilità dell’osservatore. Non hanno né segno e né valore
costante e non si possono annullare completamente. I loro effetti possono venire
ridotti, effettuando successive letture e facendo la media dei risultati.
Possono anch’essi distinguersi:
OGGETTIVI
SOGGETTIVI o di LETTURA
Derivanti dall’impossibilità dell’operatore di leggere
Derivano dalle condizioni correttamente il valore indicato dallo strumento o per
in cui si effettua la misura, parallasse o per apprezzamento. L’errore di parallasse
ossia
dalle
variazioni è causato da una lettura non effettuata sull’asse verticale
termiche, dalla pressione dell’indice.
ambientale,
dall’umidità, L’errore di apprezzamento è dovuto alla difficoltà di
ecc.
valutare esattamente le fazioni di divisione, riportate sulla
scala.
111
1
Vale la pena a questo punto, introdurre alcune considerazioni sugli strumenti di
misura; ( queste considerazioni sono utili anche per il corso di elettronica ).
Possiamo dire che esistono dal punto di vista tecnico due tipologie di strumenti:
gli strumenti analogici e gli strumenti digitali.
Gli strumenti analogici sono strumenti in cui un indice scorre su una scala graduata,
mentre quelli digitali forniscono direttamente la misura su un display.
Esaminiamo ora alcune caratteristiche fondamentali degli strumenti, tenendo conto
che dal punto di vista costruttivo hanno carattere elettromeccanico o elettronico.
Gli strumenti ELETTROMECCANICI possono essere classificati in:
 Strumenti magnetoelettrici a bobina mobile. Impiegati in corrente continua e il cui
simbolo è:
 Strumenti elettromagnetici a ferro mobile, impiegati sia in corrente continua che
in corrente alternata. Il suo simbolo è:
 Strumenti elettrodinamici, usati sia in corrente continua che in corrente alternata,
il cui simbolo è :
 Strumenti ad induzione usati solo in corrente continua, con simbolo:
112
2
Gli strumenti elettromeccanici sono generalmente di tipo ANALOGICO e la lettura
avviene su una scala graduata, mediante un INDICE che può assumere posizioni
successive in maniera continua su detta scala.
Gli strumenti elettronici possono essere invece, sia ANALOGICI che DIGITALI o
NUMERICI, dove per questi ultimi la lettura avviene, generalmente, su display
luminosi. ( Come già precedentemente anticipato )
CLASSI DI PRECISIONE
Gli strumenti vengono classificati dal Comitato Elettrotecnico Italiano, ( CEI ),
seguendo le raccomandazioni del Comitato Elettrotecnico Internazionale o IEC, in
otto CLASSI di PRECISIONE, secondo i seguenti indici:
0,05;
0,1; 0,2; 0,5; 1;
1,5; 2,5; 5.
L’indice 0,05 corrisponde alla precisione maggiore, mentre, l’indice 5 corrisponde
alla precisione minore.
Per ciascuna CLASSE l’indice di classe C è definito dalla relazione seguente:
C = 100 Vm – Vv / V0 = 100  / V0
in cui Vm rappresenta il valore misurato, Vv il valore atteso o vero, Vm – Vv è
l’errore ASSOLUTO, indicato anche con  , e V0 è la PORTATA dello
STRUMENTO, ovvero il massimo valore che è possibile misurare con lo strumento.
Le classi C con le cifre più piccole sono riservate agli strumenti da laboratorio di
maggior pregio e costo più elevato.
Supponiamo, ad esempio, di dovere eseguire delle misure di tensione in corrente
continua, con uno strumento la cui portata di fondo scala sia 50 V, e di disporre di
uno strumento di classe C = 1,5. Si eseguano due misure di tensione, ottenendo
rispettivamente: V1 = 30 V e V2 = 40 V.
Determiniamo l’errore percentuale commesso nelle due misure. Dalla definizione di
classe ricaviamo il MASSIMO ERRORE commesso nelle due misure:
 = C V0 / 100 = nel nostro caso = 1,5 . 50 / 100 = 0,75 V; si fa inoltre notare che
questo errore viene commesso in ogni punto della scala.
In definitiva gli errori relativi commessi nelle due misure, si tenga presente che per
errore relativo si intende il RAPPORTO fra errore assoluto e valore misurato,
113
3
mentre l’errore percentuale si ottiene moltiplicando per 100 l’errore relativo,
sono ottenuti dalla seguente relazione:
r1 = 100  / V1 = 100 . 0,75 / 30 = 2,500 %
r2 = 100  / V2 = 100 . 0,75 / 40 = 1,875 % .
Come si osserva l’errore di misura commesso nella prima rilevazione è maggiore di
quello commesso nella seconda rilevazione. Se ne deduce che è preferibile misurare
valori prossimi al FONDO SCALA: la scelta dello strumento deve essere fondata su
questo scopo.
ALTRE CONSIDERAZIONI SUGLI STRUMENTI DI MISURA
Gli strumenti di misura vengono usati per misurare quantità elettriche; alcuni
misurano la tensione, altri la corrente elettrica, altri la resistenza, ed altri ancora
possono eseguire tutte e tre le misure, ( MULTIMETRI ).
Altri tipi di strumenti misurano la potenza, la frequenza, la capacità, l’induttanza, ecc.
Qualunque sia la quantità elettrica che lo strumento deve misurare, il suo
funzionamento, salvo casi particolari, è in funzione della corrente che lo attraversa.
QUALITA’ E CARATTERISTICHE DEGLI STRUMENTI
Le caratteristiche fondamentali che definiscono la qualità di uno strumento di
misura sono : PORTATA, SENSIBILITA’, PRECISIONE, RESISTENZA
INTERNA, CONSUMO.
PORTATA
Ogni strumento è costruito per una o più portate, dove per PORTATA si
intende il massimo valore che lo strumento è in grado di misurare, quando l’indice
dello strumento stesso è a FONDO SCALA.
ESEMPIO:
114
4
SENSIBILITA’
Con il termine di SENSIBILITA’ di uno strumento si intende il valore
massimo della grandezza, che deve misurare lo strumento, per provocare la massima
deflessione dell’indice fino a fondo scala.
PRECISIONE
Precisione e sensibilità non sono sinonimi; la PRECISIONE dipende dalla
costruzione dello strumento e nel linguaggio tecnico si dice CLASSE dello
strumento. La classe di precisione di uno strumento ad indice, si intende il massimo
errore che lo strumento può commettere, in ogni punto della scala, espresso in
percentuale del fondo scala.
In formula, indicando con la lettera e l’errore massimo che si può commettere, si
scriverà:
e = CLASSE / 100 . ( PORTATA dello strumento ).
Per esempio, un voltmetro con portata di 50 V e classe 0,5 potrà avere in ogni punto
un errore massimo di e = 0,5 / 100 ( 50 ) = 0,25 Volt.
Visto che questo è l’errore massimo che si può commettere in ogni punto della scala è
necessario tenere conto di queste considerazioni. Supponiamo, di utilizzare sempre il
voltmetro indicato in precedenza, ed eseguire una misura, in cui si legge il valore di 5
Volt. In realtà è come dire che il valore vero della misura è compreso fra 4,75 e 5,25
Volt. In questo caso noi sappiamo che l’errore percentuale vale:
E % = 100( 0,25 / 5 ) = 5 %.
Ora supponiamo di eseguire una seconda misura in cui venga letto il valore di 42
Volt, allora, anche in questo caso il valore vero risulta compreso fra 41,75 e 42,25
Volt, e l’errore percentuale varrà in questo caso:
E % = 100 ( 0,25 / 42 ) = 0,59 %.
Si capisce che risulta più corretta la seconda misura, in quanto l’errore percentuale è
notevolmente più ridotto che il primo.
CONCLUSIONE: conviene usare sempre gli strumenti con portata corretta, in
modo tale che l’indicazione dello strumento sia oltre il 70 % della scala.
Comunque si distinguono diverse CLASSI di strumenti:
 CLASSE 0,1 rappresentano i campioni da laboratorio;
 CLASSE 0,2 strumenti normalmente usati in laboratorio;
 CLASSE 0,5 strumenti usati per misure di controllo;
 CLASSE 1; 1,5; 2 strumenti industriali o da quadro.
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RESISTENZA INTERNA E CONSUMO
Per resistenza interna di uno strumento si intende la resistenza del filo che
costituisce l’equipaggio mobile, della molla antagonista e in altri casi rappresenta la
resistenza complessiva fra bobina fissa e bobina mobile. Proprio per questa ragione,
anche una debolissima corrente produce una dissipazione di potenza, che rappresenta
il CONSUMO dello strumento per poter funzionare.( Ciò comporta anche un errore
sulla misura eseguita ).
Riprendendo il discorso, possiamo dire che dal punto di vista fisico, una misura si
esprime in modo corretto nella seguente forma:
( Vm ± Ea ) u,
dove Vm è il valore misurato con un opportuno strumento di misura, oppure, nel caso
di una serie di rilevazioni, Vm rappresenta il valore medio, ( fra un attimo il concetto
di valore medio verrà ulteriormente chiarito ), ed Ea è l’errore assoluto, commesso
nella misura. L’errore assoluto Ea può coincidere con la sensibilità dello strumento
impiegato nella misura, ( ricordiamo che per sensibilità di uno strumento intendiamo
la minima misura da esso apprezzabile; ad esempio un nastro millimetrato, ha una
sensibilità di 1 mm, poiché è la minima misura con esso rilevabile ), mentre nel caso
di una serie di misurazioni, l’errore assoluto si può determinare come differenza fra il
massimo valore delle rilevazioni e il minimo valore delle stesse, diviso per due, ( ciò
spesso si dice semioscillazione ).
ESEMPI:
Quando un sarto esegue il taglio di una stoffa per predisporre un vestito, non chiede
la collaborazione di nessuno, la sua è una misura unica,ad esempio, con un nastro
millimetrato. Quale sarà la sensibilità della misura ? Sarà equivalente alla sensibilità
del nastro, ossia 1 millimetro, ( il risultato sarà, dunque, misura del sarto ± 1 mm ).
Supponiamo, ora di essere, in un laboratorio di misure, l’insegnante richiede a tre
allievi di effettuare una misura di una certa resistenza R. I tre allievi effettuano la
misura richiesta, ottenendo i seguenti tre valori, ( espressi in  ):
17,10 
16,99 
17,08 
Come si vede, pur impiegando lo stesso strumento, le tre misure sono leggermente
diverse. Quale sarà la misura corretta ? oppure Quale delle misure effettuate posso
scegliere ? Gli allievi suggeriscono, con plauso dell’insegnante, di considerare il
valore medio. Come si calcola il valore medio di una serie di misurazioni ?
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6
Si calcola effettuando la somma di tutte le misurazioni e dividendo il
risultato per il numero delle misure fatte.
Nel nostro caso la somma delle misure è equivalente a:
( 17,11 + 16,99 + 17,08 )  = 51,18 , da cui dividendo per tre, essendo le
misurazioni effettuate complessivamente, ottengo il valore medio cercato,
51,18 / 3 = 17,06  .
Qual è l’errore assoluto della misura effettuate dai tre studenti ?
L’errore assoluto commesso in questa misura si ottiene dalla relazione seguente:
( Valore massimo della misura – Valore minimo della misura ) / 2,
dove nel nostro caso il valore massimo della misura è 17,11  e il valore minimo
della stessa è 16,99  , da cui ( 17,11 – 16,99 ) / 2 = 0,12 / 2 = 0,06.
Dal punto di vista grafico, quale interpretazione possiamo effettuare ?
La situazione grafica è la seguente:
16,99
17,06
17,11
OSCILLAZIONE COMPLETA
Ea
Valore
minimo
Ea
VALORE MEDIO
Valore massimo
L’errore assoluto Ea corrisponde, come si vede dal grafico superiore, con la
semioscillazione attorno al valore medio Vm.
Inoltre, l’intervallo compreso fra il valore massimo misurato ed il valore
minimo misurato si dice intervallo di confidenza. In pratica è l’intervallo in cui
sicuramente vi è il valore vero della misura.
Pertanto, il valore medio Vm risulta essere il valore più vicino a quello vero, ( ecco
perché la misura non è certa, ma probabile ).
Infine, dal punto di vista fisico, il modo corretto di esprimere la misura stessa è la
seguente:
( 17,06 ± 0,06 )  .
Concludendo potremo dire che il valore vero della resistenza R è compreso fra
17,06 – 0,06  valore vero  17,06 + 0,06,
ossia
17,00  valore vero  17,12  .
117
7
C’è da osservare che accanto, all’errore assoluto, è necessario considerare sia l’errore
relativo Er, che l’errore percentuale E%.
L’errore relativo Er si definisce come:
Er = Ea / Vm, mentre l’errore
percentuale
E % = 100 Er = 100 Ea / Vm.
Nel caso appena considerato, l’errore relativo nella misura della resistenza R è dato
come:
Er = Ea / Vm = 0,06 / 17,06 = 0,0035,
mentre l’errore percentuale risulta eguale a
E% = 100 Er = 100 ( 0,0035 ) = 0,35 %.
MISURA DIRETTA E MISURA INDIRETTA
Per misura diretta si intende una misura ottenuta direttamente da uno
strumento di misura, mentre una misura indiretta si desume applicando formule
matematiche.
ESEMPIO: il perimetro di un banco posso ottenerlo direttamente, misurando tutti i
lati, ossia partendo da un lato e ritornando al punto iniziale o di partenza,
ad esempio, con un nastro millimetrato
oppure,
si misura una coppia di lati e poi si moltiplica per 2, ( questo è
il metodo indiretto, poiché ho applicato una relazione matematica ).
RIPERCUSSIONE DEGLI ERRORI IN UNA SOMMA, (
DIFFERENZA ), IN UN PRODOTTO ( o in una DIVISIONE )
o in una
Si supponga che una misura, dei lati, di un banco fornisca i seguenti valori:
lato a = ( 75,0 ± 0,1 ) cm e lato b = ( 50,6 ± 0,1 ) cm.
Quanto vale il perimetro di tale banco ?
Se dovessi applicare il metodo indiretto scriverei:
P = 2 ( ( 75,0 + 50,6 ) ± 2 ( 0,1 ) ) = ( 251,2 ± 0,4 ) cm.
In questo caso gli errori assoluti si sommano, ossia nella valutazione del
perimetro sommo gli errori assoluti commessi nella valutazione di ciascun lato.
Ciò si può vedere con questa semplice configurazione mentale.
Se ad esempio, impiegassi il metodo diretto per la misura del perimetro P, per
ciascuna misura commetterei l’errore assoluto corrispondente, ( nel nostro caso
commetterei per ogni lato un errore di 0,1 cm ), questo implica che nella valutazione
del perimetro commetto un errore assoluto di 0,4 cm. Per questa ragione scriverei:
P = 2 ( 75,0 + 50,6 ) ± 2 ( 0,1 + 0,1 ) = 251,2 ± 0,4 cm.
118
8
Ne segue che nella valutazione del Perimetro l’errore relativo commesso è dato
come:
ErP = 0,4 / 251,2 = 0,00159, da cui l’errore percentuale commesso è
E% = 100 ErP = 100 ( 0,00159 ) = 0,159 %.
Nel caso del calcolo dell’AREA, sempre dello stesso banco, cosa avviene all’errore
assoluto, relativo e percentuale? o meglio quanto vale l’errore assoluto
commesso nel calcolo dell’area ? Di conseguenza quanto vale l’errore relativo e
l’errore percentuale?
Ricordiamo che i lati hanno il seguente valore:
lato a = ( 75,0 ± 0,1 ) cm
lato b = ( 50,6 ± 0,1 ) cm ed il perimetro ha valore P = ( 251,2 ± 0,4 ) cm.
Per rispondere ai quesiti posti è necessario valutare gli errori percentuali delle singole
misure dei lati a e b.
Ne risulta allora:
Era = 0,1 / 75,0 = 0,00133, da cui Ea% = 100 ( 0,00133 ) = 0,133 % e
Erb = 0,1 / 50,6 = 0,00198, da cui Eb% = 100 ( 0,00198 ) = 0,198 %.
Perché abbiamo calcolato gli errori percentuali?
Gli errori percentuali ci occorrono per determinare, proprio, l’errore assoluto
commesso nel calcolo dell’area.
Il calcolo dell’AREA del banco equivale al prodotto dei lati, ossia:
A = AREA banco = lato a . lato b = ( 75,0 ) . ( 50,6 ) = 3. 795 cm2.
Calcoliamo ora l’errore assoluto commesso sul calcolo dell’area. Per determinare tale
errore è necessario partire dagli errori percentuali, commessi nel calcolo dei due lati,
ossia Ea% = 0,133 % e Eb% = 0,198 %. Ne facciamo la SOMMA:
E% = Ea% + Eb% = 0,133 % + 0,198 % = 0, 331 % = EA%.
In definitiva l’errore percentuale determinato è equivalente all’errore percentuale
commesso nella determinazione dell’area, ( indicato con EA% ).
Dobbiamo però risalire all’errore assoluto commesso nella stessa misura. Ricordando
le definizioni precedenti siamo in grado di risalire ad EA. Infatti, Noi sappiamo che:
EA% = 100 ErA = 100 EA / Valore AREA, da cui si ottiene ,
EA = ( EA% . Valore AREA ) / 100.
Nel nostro caso risulterà EA = ( 0, 331 ) . ( 3.795 ) / 100 =12,6 cm2.
In definitiva, si avrà che l’AREA del banco, dal punto di vista corretto ha la seguente
forma:
A = ( 3. 795,0 ± 12,6 ) cm2.
In definitiva, il valore vero dell’AREA del banco risulterà compresa fra:
3.782,4  ( Vera AREA banco )  3.807,6.
119
9
Introduco ora, una serie di esercizi per ripassare quanto svolto.
Il mio consiglio, per Voi, è quello di effettuare gli esercizi senza guardare la
soluzione; dopo aver provato verificate se i passaggi portano al risultato qui riportato.
Riepilogo
Il primo MODULO come abbiamo già detto, ha affrontato il concetto di MISURA e
gli ERRORI ad essi connessi. Inoltre, nella prima parte del nostro studio, abbiamo
messo in evidenza il tipo di grandezze con cui abbiamo a che fare e quale sia il
sistema di unità di misura da noi considerato, ossia il Sistema Internazionale o S.I.
ESERCIZIO. Un ragazzo esegue una misura di lunghezza di un’asta. Per esso
l’asta misura 12,0 m con un errore percentuale del 5 %. Si determini l’intervallo
di confidenza, o l’intervallo in cui si ritiene la vera misura dell’asta.
Questo primo esercizio è guidato. Ricordiamo che le relazioni che ci
interessano sono le seguenti:
( Vm ± Ea ) u
con Vm = valore medio o valore misurato della grandezza;
Ea = errore assoluto, spesso corrisponde con la sensibilità dello strumento, oppure se
si sono eseguite numerose misure corrisponde alla differenza fra il valore massimo ed
il valore minimo diviso due; il termine u rappresenta l’unità di misura della
grandezza in questione.
Inoltre si ha che: Er = Ea / Vm; E % = e % = 100 Ea / Vm = 100 Er.
In questo esercizio conosciamo l’errore percentuale e da esso si deve procedere
all’indietro per stabilire l’errore assoluto, in quanto l’intervallo di confidenza si
definisce come: Vm – Ea  Vera misura  Vm + Ea.
Nel nostro caso considerando la definizione di errore percentuale, otteniamo Ea nel
modo seguente: Ea = e % . Vm / 100 = 5 . 12 / 100 = 0,6, pertanto l’intervallo di
confidenza è 12,0 – 0,6  Vera misura  12,0 + 0,6 m ; ossia
( 11,4  Vera misura  12,6 ) metri.
ESERCIZIO. La misura di un intervallo di tempo T ha dato come risultato 15,6 s
con un errore percentuale, nella misura stessa, del 2 %. Si calcoli l’intervallo di
confidenza associato alla misura.
In questo caso è necessario procedere in modo identico al caso superiore, ossia
è necessario tenere presente che:
Ea = e % . Vm / 100 = ( nel nostro caso ) = ( 2 . 15,6 ) / 100 = 0,312.
Pertanto, il valore di tale periodo, si esprime in modo corretto, nel modo seguente:
T = ( 15,600 ± 0,312 ) s .
In questo caso l’intervallo di confidenza risulta eguale a:
15,288  T vero  15,912 s.
220
0
ESERCIZIO. La misura relativa al periodo di un pendolo ha prodotto i seguenti
risultati, espressi in secondi:
15,21
15,45
15,43
15,61
15.32
15,24
15,50
15,55
15,61
15,48
Si calcoli il valore più attendibile della misura, con il corrispondente errore
assoluto.
In questo caso il valore più attendibile della misura del periodo T è il valore
medio delle misure indicate. L’errore assoluto si può determinare facendo la
differenza fra la rilevazione massima e la rilevazione minima, dividendo poi per due.
Da ciò si deduce che:
Vm = somma misure / numero delle misure = 154,4 / 10 = 15,44 s,
mentre l’errore assoluto si ottiene come, 15,61 – 15,21 / 2 = 0,40 / 2 = 0,20 s; poiché
15,61 è la misurazione più grande e 15,21 è la misurazione minore.
Pertanto la misura più corretta è esprimibile come:
( 15,44 ± 0,20 ) s.
E’ altrettanto vero che l’intervallo di confidenza è :
15,24  Vera misura  15,64 secondi.
ESERCIZIO. Misurando con un calibro Palmer il diametro di una moneta si
sono ricavati i seguenti valori:
Numero della misura
Diametro in millimetri
1
18,00
2
17,96
3
17,97
4
17,98
5
18,00
6
18,01
7
17,98
8
17,95
9
17,97
10
18,00
Si esprima il valore corretto della misura, l’errore assoluto, relativo, percentuale
e si desuma, infine, l’intervallo di confidenza della misura stessa.
In questo caso lascio a Voi la ricerca della soluzione. Non si applica altro che
relazioni da Noi precedentemente applicate.
221
1
ESERCIZIO. Misurando con un righello millimetrato i lati di un banco
rettangolare si sono ottenuti i seguenti valori:
lato a = lunghezza = ( 75,0 ± 0,1 ) cm;
lato b = larghezza = ( 50,6 ± 0,1 ) cm.
Come si esprime la misura del perimetro ? Come si esprime in modo corretto la
misura dell’area del bancone stesso ?
In questo caso il perimetro si può ottenere da una relazione indiretta, ossia:
P = 2 ( a + b ) ± 2 ( Ea + Eb ) avendo indicato con Ea ed Eb gli errori assoluti nella
valutazione rispettivamente del lato a e del lato b.
P = 2 ( 75,0 + 50,6 ) ± 2 ( 0,1 + 0,1 ) = 251,2 ± 0,4 cm.
Ricaviamo gli errori percentuali di tutte le misure, ossia l’errore percentuale della
misura del lato a, del lato b e del perimetro:
Ea % = 100 . 0, 1 / 75,0 = 0,133 %;
Eb % = 100 . 0,1 / 50,6 = 0,198 %;
EP % = 100 . 0,4 / 251,2 = 0,16 %.
L’area di un rettangolo si ricordi è esprimibile come:
Lunghezza per Larghezza, ossia nel nostro caso, sarà espressa dalla seguente
relazione, A = 75,0 . 50,6 = 3 795 cm2.
Per determinare l’errore assoluto di questa misura è necessario tenere conto
che, nel prodotto dei due lati sia il lato a che il lato b determinano un’incertezza
sull’area, che otteniamo in questo modo:
incertezza sull’area dovuta all’errore commesso nella valutazione del lato a =
errore assoluto di a per valore del lato b = 0,1 . 50,6 = 5,06 cm2;
incertezza sull’area dovuta all’errore commesso nella valutazione del lato b =
errore assoluto di b per valore del lato a = 0,1 . 75,0 = 7,50 cm2.
In formule questa relazione si trova scritta nel modo seguente:  A = b  a + a  b,
dove con il simbolo a si indica l’errori assoluto di a e con  b l’errore assoluto di b.
In definitiva l’errore assoluto complessivo commessa nella valutazione dell’area è
data come somme delle due incertezze precedenti, ossia:
EA % = 5,06 + 7,50 = 12,56. Pertanto l’AREA del bancone si esprime in modo
corretto, dal punto di vista fisico, nel modo seguente: ( 3 795,00 ± 12,56 ) cm2.
Allo stesso risultato si giungeva con un percorso leggermente diverso, ( che abbiamo
visto in precedenza, ma che qui ripeto ), ossia tenendo conto degli errori percentuali
con cui si ottengono le misure dei lati a e b, poi si sommano ottenendo un errore
percentuale totale. Quest’ultimo errore percentuale rappresenta l’errore percentuale
con cui si è determinata la misura dell’area A.
222
2
In poche parole è :
Ea % = 100 . 0, 1 / 75,0 = 0,1333 %;
Eb % = 100 . 0,1 / 50,6 = 0,198 % , da ciò ottengo che,
E % = Ea % + Eb % = 0,331 % e perciò a questo errore percentuale corrisponde un
errore assoluto, EA = ( corrisponde all’errore assoluto dell’area ) =
= E % . ( Valore misurato area ) / 100 = 0,331 . 3 795 / 100 = 12,56 cm2.
Come si osserva il risultato è equivalente a quello ottenuto per altra via, ( gli
eventuali scostamenti derivano dagli inevitabili arrotondamento commessi nella
determinazione degli errori percentuali ).
ESERCIZIO. Siano dati i lati di una scatola o di un parallelepipedo,
a = ( 28,9 ± 0,1 ) cm, b = ( 14,5 ± 0,1 ) cm, c = ( 9,0 ± 0,1 ) cm. Valutare il volume
ed il suo errore assoluto.
Si deve innanzitutto ricordare che il volume è espresso, per quanto riguarda un
parallelepipedo come prodotto dei suoi lati, ossia: V = a b c.
Per l’errore assoluto commesso nella valutazione del volume, si deve tenere conto
che ogni lato, con la sua incertezza, determina una quota dell’incertezza o dell’errore
assoluto totale, ossia in formule scriveremo:
 V = b c  a + a c  b + a b  c.
Applicando la relazione superiore, si ha che l’errore assoluto nella determinazione del
volume, è :
 V = ( 14,5 9 ).( 9,0 ).( 0,1 ) + ( 28,9 ).( 9,0 ).( 0,1 ) + ( 28,9 ).( 14,5 ).( 0,1 )
=
3
= 13,05 + 26,01 + 41,905 = circa = 81,0 cm , mentre il VOLUME è dato come,
V = a b c = ( 28,9 ) . ( 14,5 ) . ( 9,0 ) = 3 771, 45 = circa 3 771,5 cm3 .
In definitiva la misura corretta del volume è :
( 3 771, 5 ± 81,0 ) cm3.
Si può procedere anche qui nell’effettuare il calcolo dell’errore assoluto,
considerando la somma degli errori percentuali con cui si misurano tutti il lati del
parallelepipedo, ossia:
Ea % = 100 . 0,1 / 28,9 = 0,346 % ;
Eb % = 100 . 0,1 / 14,5 = 0,69 % ;
Ec % = 100 . 0,1 / 9,0 = 1,111 %, otteniamo allora che,
EV % = E % = Ea % + Eb % + Ec % = circa 2,147 %.
In base a questo risultato posso determinare l’errore assoluto con cui valuto il
volume; infatti basta applicare la relazione vista in precedenza, in cui
EV = EV % . ( misura del volume ) / 100 =
= ( 2,147 ).( 3 771,5 ) / 100 = circa 81 cm3, come volevasi dimostrare.
223
3
ESERCIZIO. Le dimensioni a, b , c di un parallelepipedo vengono misurate con
errore percentuale pari al 9% e la sua massa M, con un errore percentuale del
15 %. I valori misurati sono, rispettivamente, a = 0,24 m; b = 0,21 m; c = 0,28 m,
e la massa M = 14 Kg. Calcola l’incertezza relativa di ciascuna misura, l’errore
assoluto commesso in tutte le misure. Calcola inoltre la densità del
parallelepipedo con il corrispondente errore assoluto. Si ricordi che la densità di
un oggetto è dato come rapporto fra la massa ed il volume, ossia:
DENSITA’ = MASSA / VOLUME. Provate da soli a ricercare la soluzione.
ESERCIZIO. Siano date due forze, rispettivamente di 4 N e di 3 N. Si voglia
determinare la loro risultante, ( quando si parla di risultante si intende il vettore
ottenuto dalla loro somma ), quando:
a)
formano fra esse un angolo di 90°;
b)
formano fra esse un angolo di 60°.
Nel caso a) le due forze formano un angolo fra esse di 90°, ossia:
F2
F2
R
F1
Si osservi che ogni tratto equivale a 1 N. Si ricordi, per quanto detto in teoria, che
quando devo sommare due vettori, devo sempre fare in modo che, il punto di
applicazione del secondo vettore sia saldato con il secondo estremo del primo vettore,
in altri termini i due vettori devono essere consecutivi. Vedi vettore in rosso della
figura, ottenuto traslando il vettore scuro F2. Il vettore risultante R, è il vettore
colorato in blu. L’osservazione importante è che il vettore R è l’ipotenusa di un
triangolo rettangolo, in cui i vettori F1 ed F2 ne rappresentano i cateti. E’ quindi
possibile ricavare il valore del modulo del vettore R, mediante l’applicazione del
teorema di Pitagora, in quanto il valore dei due cateti sono noti; infatti conosciamo i
moduli di F1 ed F2.
Ricaviamo il valore del modulo di R, come detto:
R=
42 + 32 = 5 N .
Inoltre, il vettore risultante risulta essere inclinato, rispetto all’asse orizzontale di un
angolo ottenuto come:
Tg -1 ( 3 / 4 ) = circa = 36°,9.
224
4
Il caso b), risulta rappresentato nel modo seguente:
L
R
F2
A
H
F1
O
Il vettore risultante è sempre rappresentato con un tratto blu. Il nostro scopo è però
valutare il suo modulo. Per fare questo è necessario proiettare il vettore,
rappresentativo della forza F2, sui due assi fondamentali, ossia, in un piano i due assi
fondamentali sono l’asse delle ascisse o asse orizzontale e l’asse delle ordinate o asse
verticale. Infatti, il vettore F1 è già stato disposto lungo l’asse orizzontale. Ma per
calcolare il valore numerico di R o il modulo del vettore risultante R, ho necessità di
proiettare anche il vettore F2 sugli assi fondamentali, per fare questo devo
considerare la retta perpendicolare all’asse delle x passante per il secondo estremo del
vettore F2. ( Si veda tratto rosso nella figura di pagina precedente ).
Si osserva che il triangolo OLH è un triangolo rettangolo di cui conosciamo
l’ipotenusa, rappresentata dal modulo del vettore F2 e conosciamo anche l’angolo
compreso fra F2 e il tratto OH, ( essendo un dato dell’esercizio ), in altri termini esso
vale 60°. Per le considerazioni svolte sulla trigonometria, noi sappiamo che dalla
conoscenza dell’ipotenusa di un triangolo rettangolo e di un suo angolo, possiamo
risalire ai valori dei due cateti. Questo perché se si osserva la figura di pagina
precedente, si constata che il vettore risultante R si può pensare come l’ipotenusa di
un triangolo rettangolo di vertici AHL. Proprio per questa ragione se ricavo i valori
dei suoi due cateti posso ottenere, mediante l’applicazione del solito teorema di
Pitagora, il valore dell’ipotenusa. In poche parole per quanto riguarda il valore del
tratto OH posso dire che esso vale,per quanto detto,
OH = F2 cos 60° = 3 . 1/2 = 3 /2 = 1,5,
mentre il tratto LH = F2 sen 60° = 3 . ( 0,866 ) = circa = 2,6. A questo punto posso
determinare i cateti del triangolo rettangolo AHL; infatti
AH = AO + OH = ( ma AO coincide con il modulo del vettore F1 ) = 4 + 1,5 = 5,5 ed
infine LH = circa = 2,6. A questo punto applicando il teorema di Pitagora al triangolo
rettangolo AHL ricavo il valore di AL che è, per noi, il modulo del vettore risultante
R cercato,
5,5² + 2,6² = circa 6,08 N.
225
5
Per quanto riguarda la sua inclinazione rispetto all’asse delle ascisse basta effettuare
il seguente calcolo:
Tg -1 ( LH / AH ) = Tg -1 ( 2,6 / 5,5 ) circa = Tg -1 ( 0,4727 ) = 25°,3.
Con l’esercizio appena proposto risulta facile applicare il concetto di
decomposizione.
In altri termini spesso per studiare determinati fenomeni fisici è necessario
decomporre i vettori secondo direzioni privilegiate. Guarda caso le direzioni
privilegiate corrispondono alle direzione degli assi del sistema di riferimento.
I nostri sistemi di riferimento sono gli assi cartesiani, ossia le cui direzioni
corrispondono con l’asse del x, delle y e delle z. Nel caso dei moti piani il sistema
si riduce ai soli assi x ed y.
ESERCIZIO. Si decomponga un vettore piano V secondo gli assi cartesiani x ed
y, tenendo conto che esso forma un angolo di 30° rispetto all’asse delle ascisse.
y
Vy
V
x
30°
Vx
I DUE VETTORI IN ROSSO RAPPRESENTANO I VETTORI COMPONENTI
DEL VETTORE V, AVENTI LE DUE DIREZIONI PRIVILEGIATE , OSSIA LA
DIREZIONE DI x E DELLA y. PROPRIO PER QUESTA RAGIONE SONO
INDICATI CON Vx E Vy.
Dire che Vx e Vy sono i vettori componenti di V significa che:
Vx + Vy = V.
La domanda che ci si può porre è questa: quale valore o meglio modulo hanno i
due vettori VX e VY ?
I moduli dei due vettori, diretti secondo la direzione di x e di y si calcolano con le
considerazioni svolte a riguardo della trigonometria, ossia:
VX = V cos 30° = (  3 / 2 ) V e VY = V sen 30° = V / 2.
Le considerazioni qui svolte valgono per qualsiasi angolo introdotto.
226
6
ESERCIZIO
Provate Voi a determinare i moduli delle componenti VX e VY,
di un vettore V formante un angolo di 50° con l’asse delle
ascisse X. Sapendo che il modulo del vettore V vale 20.
Questo esercizio non è altro che una applicazione di quanto detto poco sopra. Si
rammenta che nella verifica dovrà risultare per il teorema di Pitagora che:
V² = VX² + VY² = 20.
ESERCIZIO. Siano date quattro forze complanari, ossia giacenti tutte in uno
stesso piano, rappresentate come in figura, tenendo conto che i moduli di esse
risultano eguali a: F1 = 80 N; F2 = 100 N; F3 = 110 N; F4 = 160 N, se ne calcoli
la loro RISULTANTE, ( ossia il vettore che ne rappresenti la loro somma ).
30°
F2
F3
20°
45°
F1
F4
F4
F3
R
F2
F1
ALLINEANDO i vettori è possibile, o meglio rendendoli consecutivi, siamo in grado
di risalire al vettore risultante R, ossia determiniamo R = F1 + F2 + F3 + F4.
227
7
Ricordiamo che esistono i vettori unitari,ossia i vettori aventi modulo unitario.
I vettori unitari quindi nello spazio rappresentano una direzione ed un verso, in altri
termini ciò che si dice un orientamento.
I vettori unitari diretti secondo gli assi cartesiani, a noi fondamentali, prendono il
nome di versori. Il versore diretto come X si dice versore i, il versore diretto
come l’asse y si dice versore j ed infine il versore diretto come l’asse delle Z si
dice versore k.
ESERCIZIO. Applicando semplicemente la definizione di prodotto scalare e di
prodotto vettoriale si calcoli il prodotto scalare e vettoriale proprio dei tre
versori fondamentali poco sopra indicati. Trovate Voi la soluzione, ( si tratta di
applicare le definizioni introdotte ).
ESERCIZIO. Siano dati i seguenti vettori V1 = X1 i + Y1 j + Z1 k
e
V2 = X2 i + Y2 j + Z2 k siano ricavati il vettore somma, il vettore differenza ed
il loro prodotto scalare.
In questo caso è necessario sommare, ( od eseguire la differenza ), dei componenti
vettoriali diretti secondo i corrispondenti versori, ossia:
S = V1 + V2 = ( X1 i + Y1 j + Z1 k ) + ( X2 i + Y2 j + Z2 k ) =
S = ( X1 + X2 )i + ( Y1 + Y2 )j + ( Z1 + Z2 )k.
Se, invece, si dovesse eseguire la differenza V1 – V2 si otterrebbe:
D = ( X1 - X2 )i + ( Y1 - Y2 )j + ( Z1 - Z2 )k.
Se, invece, si dovesse eseguire la differenza D0 = V2 – V1 si scriverebbe:
D0 = V2 – V1 = ( X2 – X1 )i + ( Y2 – Y1 )j + ( Z2 – Z1 )k.
ESERCIZIO. Durante una partita di calcio un giocatore colpisce il pallone che,
dopo aver strisciato sul campo per 10 metri, viene colpito da un secondo
giocatore. La direzione acquistata dal pallone forma un angolo  di 60° con la
direzione primitiva. Ora tenendo presente che dopo aver percorso, altri, 20
metri il pallone colpisce il palo della porta avversaria, si calcoli la distanza fra il
primo giocatore ed il palo.
Per risolvere questo problema occorre considerare un teorema, detto teorema di
Carnot. Questo teorema afferma che noti due lati di un triangolo può essere calcolato
il terzo lato. Indicando con a e b i due lati noti, e con c il lato incognito, allora per
effetto di questo teorema si ha:
c=
a² + b² - 2 a b cos ( 180 -  )
Proprio con l’ausilio della formula in questione è possibile ricavare la distanza
richiesta dall’esercizio. A questo punto potete proseguire Voi.
228
8
ESERCIZIO. Uno sciatore percorre 100 metri in discesa su una pista con
pendenza del 50 %. Alla fine della discesa percorre altri 100 metri
orizzontalmente, giungendo all’arrivo. Si calcoli la distanza in linea d’aria tra il
punto di partenza e quello di arrivo dello sciatore.
Anche questo esercizio si risolve con il teorema di Carnot. Si ponga attenzione sul
concetto di pendenza. Comunque questo esercizio preferisco risolverlo per Voi.
P
30°
H
150°
B
A
Per quanto detto, a lezione, sulla pendenza, potremo ammettere che:
PH = PB sen  , da ciò si deduce, sen
= PH / PB =50 / 100 ( si desume dalla
pendenza indicata ) = 0,5.
Questo implica attraverso un calcolo con la macchinetta, ( impiegando la funzione
secondaria del tasto “sin” ):
Da ciò per il teorema di Carnot è possibile risalire alla distanza in aria fra il punto di
partenza P ed il punto di arrivo A:
PA =
AB² + PB² - 2 AB PB cos ( 180° - 30° )
=
PA =
( 100)² + ( 100 )² - 2 ( 100) ( 100 ) cos 150°
= 193,2 metri.
229
9
ESERCIZI lasciati privi di soluzione per permettere le vostre prove.
ESERCIZIO. Siano dati due vettori a e b, i cui moduli sono rispettivamente 1 e 2.
Inoltre l’angolo fra essi compreso è di 60°. Si calcoli il loro prodotto scalare ed il
modulo del prodotto vettoriale.
ESERCIZIO. Un vettore a di modulo 8 forma con l’asse delle ascisse un angolo di
45°. Determinare il valore delle sue componenti cartesiane.
ESERCIZIO. Un uomo partendo da un punto O, compie successivamente i
seguenti spostamenti:
S1 = 2 i – 3 j ; S2 = - i + 2 j ; S3 = 4 i ; S4 = - 3 i + 5 j ; S5 = - 2 i – 4 j.
Dove si troverà alla fine del percorso ?
ESERCIZIO. Trovare il vettore V1 che sommato ai vettori, V2 = 2 i + 3 j – 2 k ,
V3 = 4 i – j + k dà come risultante il vettore V = 3 i + 2 j + k.
ESERCIZIO. Dati due vettori a = i + 3 j – 4 k e b = 5 i + 5 j + 6 k
Calcolare: la loro somma; la loro differenza; il loro prodotto scalare.
LA MECCANICA: cenni teorici
Come abbiamo detto la meccanica è la scienza che studia il moto ed i tre concetti
fondamentali di questa scienza sono: lo SPAZIO, il TEMPO e la MISURA.
Lo spazio deve essere inteso come entro quali limiti il fenomeno ha luogo o il luogo
in cui il fenomeno avviene;
il tempo che esprime quando il fenomeno ha luogo;
la misura occorre per stabilire, attraverso un processo di misurazione, la misura o il
valore del fenomeno in osservazione.
E’ importante ricordare che il primo collegamento con la natura, dipende
esclusivamente dai nostri sensi, ma è altresì vero che la risposta ai fenomeni naturali,
dovuta ai nostri sensi è fortemente soggettiva.
Il concetto di spazio, come quello relativo al tempo, si è sviluppato secondo un
processo lungo nei secoli. Per Platone lo spazio era un recipiente vuoto, quindi ciò
implicava l’esistenza di uno spazio vuoto, mentre per Newton lo spazio era un
contenitore, assoluto, infinito, omogeneo, ossia avente le stesse proprietà in ogni
suo punto, ed infine isotropo, ossia avente le stesse proprietà in ogni sua direzione.
330
0
Dal punto di vista fisico lo SPAZIO, deve
a) fornire una POSIZIONE nella quale sono situati gli oggetti materiali;
b) precisare il MEZZO in cui gli oggetti materiali si muovono.
Risulta dunque molto importante fissare il concetto di spazio. Esso lo si può definire,
partendo dalla constatazione che la posizione di un corpo o dei corpi è individuata se
non in riferimento ad altri corpi. Lo spazio è dunque individuato dai corpi e dalla loro
reciproca posizione o relazione. In poche parole: senza corpi materiali non è
possibile parlare di spazio, o meglio non esiste spazio.
Questo modo di vedere si dice RELAZIONALE o POSIZIONALE.
Attraverso questo modo di vedere lo spazio perde la sua assolutezza, diviene relativo,
cioè relativo ai corpi che lo definiscono.
Per quanto riguarda il concetto di tempo, i filosofi si sono sbizzarriti nel tentare di
fornirne una definizione. Il punto di partenza è rappresentato dalle nostre sensazioni,
le quali consentono di:
1. fornire la nozione di evento;
2. ordinare i vari eventi, o avvenimenti, secondo un prima ed un dopo;
3. costruire la sequenza di un continuo temporale, dotato di un verso.
Il concetto di tempo così introdotto, non può prescindere dalla PERCEZIONE degli
EVENTI e dalla loro MUTABILITA’; infatti se non esistessero i fenomeni fisici e le
loro interazioni, non ci sarebbe alcuna definizione di tempo. Gli avvenimenti, in
conclusione, non sono definiti dal tempo, ma è il tempo che risulta definito dagli
avvenimenti, ( per esempio, non si diventa vecchi, perché passa il tempo, ma il
tempo passa perché si diventa vecchi ).
Per una valutazione oggettiva del tempo o per stimare la successione degli eventi
fisici, occorre:
A) stabilire quando due intervalli di tempo sono uguali;
B)
costruire un intervallo multiplo e sottomultiplo di un altro;
C)
assumere una unità di tempo.
Infine, il verso del tempo si stabilisce secondo questo ordine:
passato, ciò che è già accaduto;
presente, ciò che si sta vivendo;
futuro, ciò che si vivrà.
Si ricorda che per EVENTO si intende un fenomeno fisico, o anche il mutamento
dello stato di un sistema fisico.
La MECCANICA può essere studiata secondo tre modalità, o meglio studia i
fenomeni del moto secondo tre punti di vista:
CINEMATICA, STATICA, DINAMICA.
La cinematica si occupa essenzialmente degli aspetti geometrici del moto. In altri
termini studia il moto prescindendo dalle cause che lo generano. Comunque, nella
cinematica vengono introdotte definizioni molto importanti, quali, sistema di
331
1
riferimento, traiettoria, velocità, accelerazione, ecc. Nella cinematica ai concetti
geometrici si associa il concetto di tempo, cioè correla le variazioni di posizione di un
corpo con le variazioni temporali.
La statica si occupa delle condizioni di equilibrio dei corpi, o meglio studia le
condizioni di equilibrio dei corpi.
La dinamica, invece, si interessa delle cause che generano i moti, ed in particolare
noto la causa del moto di un corpo, si deve prevedere quale sia la sua traiettoria,
oppure, nota la traiettoria effettuata da un corpo, si deve determinare la causa che
produce tale effetto.
SISTEMI DI RIFERIMENTO
Si dice che un corpo si muove quando varia la sua posizione, o quando varia
la sua forma, o entrambe, al passare del tempo, rispetto ad un insieme di oggetti,
fissi ed immutabili, scelti come riferimento.
Infatti, quando un oggetto si muove si deve sempre fissare rispetto a chi, o rispetto a
quale riferimento esso compie tale movimento?
In poche parole, ogni atto di moto si sviluppa nel tempo e nello spazio e quindi
studiare un moto significa trovare, attraverso opportune misurazioni, le relazioni fra
posizioni occupate dal corpo ed il tempo, rispetto ad un sistema di oggetti fissi e
immutabili, ( nel tempo ), scelti come elementi di riferimento.
Il SISTEMA DI RIFERIMENTO: un concetto relativo
E’ necessario precisare fin dall’inizio che la nozione di moto, o di quiete, di un
corpo è strettamente relativa all’insieme di oggetti scelti o assunti come riferimento.
Noi abbiamo fatto semplici esempi per capire questa affermazione. Infatti basta
pensare al vagone ferroviario fermo alla stazione, in questa situazione le pareti del
vagone sono ferme rispetto al sistema ad riferimento esterno, ( ad esempio costituito
dalla palazzina, sede degli uffici di controllo e del capo stazione ), ed anche il
passeggero di quello stesso vagone è fermo rispetto al sistema esterno, ma lo è anche
rispetto al sistema di riferimento fornito dalle pareti del vagone. Se il vagone si pone
in moto le pareti costituenti il vagone sono in movimento rispetto al sistema esterno,
mentre il passeggero del vagone risulta fermo rispetto ad esso. Ma, sempre in questa
situazione, se il passeggero del vagone comincia a muoversi lungo il corridoio, esso
risulterà in movimento sia rispetto alle pareti della cabina che rispetto al sistema
esterno. Proprio per questa ragione si dice che lo stato di moto o di quiete è legato o
relativo al sistema di riferimento scelto.
Inoltre il sistema di riferimento deve essere sempre scelto o stabilito, perché se no
non avrebbe senso parlare di moto o di quiete di un corpo.
332
2
Sorge spontanea una domanda:
Esistono sistemi di riferimento migliori di altri?
Dal punto di vista teorico non esiste un sistema di riferimento migliore di un altro,
però la scelta del sistema di riferimento, per descrivere il moto di un corpo, deve
essere effettuata per ragioni di semplicità e di opportunità, ossia la scelta deve
ricadere su sistema che conduca ad equazioni, descriventi il moto stesso,
estremamente semplici o le più semplici possibili.
Conclusione:
dal un punto di vista cinematico ogni sistema di riferimento è atto
a descrivere la soluzione di un problema di moto. Normalmente, la
scelta di esso si fonda su criteri di semplicità e comodità, suggeriti
dallo stesso problema in esame.
Inoltre, il nostro sistema di riferimento deve essere dotato di un osservatore, che
deve compiere misurazioni di tempo e di lunghezza. L’osservatore è posto
nell’origine del sistema di riferimento e solidale con esso, deve essere dotato del
metro e di una serie di orologi tutti sincronizzati fra loro.
Conclusione:
Per Noi il sistema di riferimento è sempre costituito da un insieme
di corpi, che non mutano le loro reciproche posizioni e da un
osservatore fisso rispetto a questi. L’osservatore deve essere
dotato di strumenti di misura di lunghezza e da una serie di orologi
fissi e sincronizzati fra loro.
CINEMATICA DEL PUNTO MATERIALE
Supponiamo di volere studiare il moto di un grave, ( moto di un corpo soggetto
alla gravità ), ossia di una pietra lasciata cadere da una torre. Potremmo servirci allo
scopo di una cinepresa e filmare, in modo rallentato, la caduta stessa. Visionando il
filmato ci si accorgerebbe che, il moto in osservazione, non è facile da descrivere;
infatti il corpo, durante il moto di caduta, tende a ruotare su sé stesso. Se si volesse
descrivere, in modo completo, questo moto di caduta, si incontrerebbero delle
notevoli difficoltà. Proprio per descrivere il moto di un corpo con semplicità, spesso
si ricorre ad un artifizio, ( che non altera il risultato del moto in esame ).
L’artifizio consiste nello schematizzare il corpo come un punto materiale, ossia un
punto geometrico dotato di massa.
Quando si può applicare questa schematizzazione ?
Questa schematizzazione ( o artifizio ) è possibile applicarla(/o) quando le dimensioni
dell’oggetto in moto, sono notevolmente ridotte, rispetto alle dimensioni dello spazio
in cui si muove. Ad esempio, una nave da crociera ha dimensioni notevoli, ma queste
sono notevolmente più modeste rispetto all’oceano in cui si muove. Proprio per
333
3
questa ragione nell’oceano la nave è un punto, rintracciabile fornendo la sua
latitudine e la sua longitudine.
Questa schematizzazione cade in difetto, quando le dimensioni dell’oggetto in moto
sono confrontabili con quello dello spazio in cui esso si muove.
Lo studio del moto per Noi ha due possibili sistemi di riferimento:
 il sistema cartesiano sia piano che spaziale;
 il sistema polare.
Ne vediamo la loro rappresentazione grafica
z
P = ( Px ; Py ; Pz )
Pz
Py
Px
y
x
Il punto P è un punto dello spazio individuato dalle coordinate Px , Py e Pz, dove
Px è valutato lungo l’asse delle x; Py è valutato lungo l’asse delle y ed infine, Pz è
valutato lungo l’asse delle z. Vi ricordo che l’asse x si dice anche asse delle
ascisse, l’asse delle y asse delle ordinate e l’asse delle z asse delle quote.
y
In questo esempio il punto P è un punto del Piano, individuato dalle
coordinate Px e Py. Px è valutato lungo l’asse x, Py lungo l’asse y.
P = ( Px ; Py )
Py
Px
x
334
4
Un’altra possibilità è l’uso delle coordinate POLARI, ( si veda a proposito il
seguente schema ):
P=(;M;z)
z
z
y

M
x
In altri termini per fissare il punto P, attraverso le coordinate polari è necessario
fissare l’angolo  , tra l’asse delle x ed il raggio M, uscente dal polo o
dall’origine O, ed infine, fornire il valore dell’altezza o della quota del punto P
dal piano xy,( oppure se si vuole la distanza di P dal piano xy stesso ).
La cinematica introduce altri concetti fondamentali, quali la traiettoria, l’equazione
oraria, la velocità, l’accelerazione, ecc.
La traiettoria è la curva che collega le successive posizioni occupate, al variare del
tempo, dal punto materiale, rispetto al sistema di riferimento scelto.
La legge che lega gli spostamenti con il tempo prende il nome di equazione oraria,
ed il diagramma corrispondente prende il nome di diagramma orario. Si fa notare
che l’equazione oraria è del tipo s = s ( t ).
Ricordiamo che la velocità è rappresentata dal rapporto dello spazio percorso e il
tempo impiegato a percorrerlo, ossia: v = s / t.
L’accelerazione, invece, rappresenta la variazione della velocità fratto il tempo per
effettuare tale variazione, ossia, a = Vf – Vi / t.
Con tali relazioni in realtà rappresentiamo la velocità e l’accelerazione media.
335
5
Il moto di un corpo è rettilineo quando il punto materiale percorre segmenti di retta.
I moti possono essere uniformi, ossia in tempi uguali il punto materiale
percorre le medesime distanze, pertanto un moto è uniforme se in tempi eguali
vengono percorsi tratti uguali, più precisamente si verifica quando la velocità del
moto si mantiene costante.
Nel caso del moto circolare uniforme il punto materiale descrive una circonferenza,
in modo tale che esso mantiene velocità costante. Questo tipo di moto è periodico,
poiché il punto materiale, dopo un lasso di tempo costante T, ripassa davanti agli
occhi dell’osservatore. Il lasso d i tempo costante in cui il punto materiale descrive
l’intera circonferenza una ed una sola volta, si dice periodo ed è indicato con T.
Anche in questo caso è possibile applicare le semplici formule matematiche della
cinematica: S = V t, ma in questo caso, nell’ipotesi che il punto materiale descriva
una circonferenza di raggio r, il percorso ha una lunghezza pari al perimetro della
circonferenza. Proprio per questa ragione potremo scrivere:
2 .  . r = V T, poiché la circonferenza è percorsa interamente nel periodo di tempo T
secondi. Come si osserva il modulo della velocità del punto materiale si desume dal
seguente rapporto: V = 2 .  . r / T, ma è anche vero che il reciproco del PERIODO,
ossia 1 / T = f = frequenza, perciò posso anche scrivere, V = 2 .  . r / T = 2 .  . r . f.
Si osserva che,la velocità del punto materiale, qualsiasi sia la sua posizione sulla
circonferenza,ha velocità costante; ( infatti il moto è uniforme ).
La velocità con cui un raggio spazza la circonferenza, o anche velocità angolare
risponde alla seguente catena di rapporti:  : 1 = 2  : T, ossia  = 2  / T = 2  f.
Pertanto,è possibile creare un legame fra la velocità lineare e la velocità angolare,
ossia posso scrivere: V = 2 .  . r / T = 2 .  . r . f =  . r.
Riserveremo poco più avanti ancora un discorso sulle accelerazioni.
Adesso introduciamo, le relazioni cinematiche più importanti, del moto.
La velocità media si esprime in formule nel modo seguente:
VM = S / t,
con S = spazio e t = tempo. In questo caso la relazione mette in evidenza che il
calcolo produce il valore medio della velocità, ossia V M; spesso la indichiamo solo
con V.
E’ possibile costruire il seguente triangolo della felicità del fisico, ( esso ci consente
di ricavare tutte le relazioni inverse ):
S
V
t
336
6
Vi ricordo che la retta orizzontale, interna al triangolo, rappresenta la divisione,
mentre la retta verticale, ( più corta ), rappresenta il prodotto. Per dedurre tutte le
relazioni è necessario coprire, con un dito, la lettera che si ritiene incognita ed
effettuare l’operazione deducibile dal triangolo stesso
.
Comunque, si può desumere che:
S = V x t = V . t = V t;
V=S/t;
t = S / V.
Vogliamo, ora, dedurre altre relazioni da queste già introdotte. E’ necessario tenere
presente però, che l’accelerazione media, può essere definita come rapporto fra la
variazione di velocità ed il tempo per determinare tale variazione. In poche parole è :
1) aM = ( Vf – Vi / t ) = ( ( V – V0 ) / t = a ),
cioè l’accelerazione media è data come rapporto fra la differenza tra la velocità finale
e quella iniziale ed il tempo, necessario a determinare tale variazione.
Ora, moltiplicando la 1) per il tempo t si deduce Vf – Vi = aM t, da cui si ottiene:
Vf = aM t + Vi, ( spesso scritta come V = at + V0 ).
Quest’ultima relazione è molto importante proprio nello studio dei moti accelerati.
Infatti, in un moto accelerato, nota la velocità iniziale, nota l’accelerazione e nota la
durata t, è possibile dedurre la velocità finale del corpo, che esegue tale moto.
Dal punto di vista matematico, Noi sappiamo che la velocità media, si può esprimere
anche nel modo seguente:
VM = ( Vf + Vi ) / 2, che scriveremo per comodità,
come,
VM = ( V + V0 ) / 2, tenendo presente la relazione cinematica
S = VM . t = ( V + V0 ) t / 2, ma abbiamo visto che V = at + V0 , perciò se sostituiamo
nell’equazione di S questo valore di V, otteniamo:
S = VM . t = ( V + V0 ) t / 2 = ( at + V0 + V0 ) t / 2 = ( at + 2 V0 ) t / 2 =
S = at² / 2 + V0 t = 1 / 2 at² + V0 t.
Quest’ultima è un’equazione utile per determinare lo spazio percorso da una
particella durante un moto accelerato.
Si può procedere con un’ultima osservazione. Abbiamo visto che in precedenza che:
a = V – V0 / t, da cui si può dedurre, t = V – V0 / a, da cui posso ammettere, anche
questa relazione,
S = V . t = ( ( V + V0 ) / 2) t = ( ( V + V0 ) / 2 ) ( V – V0 / a ) = ( V² – V0² ) / 2a,
dove questa relazione è utile, sempre, nei moti accelerati.
Essa ci dice che lo spazio effettuato in un moto accelerato è esprimibile come
differenza del quadrato della velocità finale raggiunta meno il quadrato della velocità
iniziale diviso il doppio dell’accelerazione. Come si è visto da semplici
considerazioni si è ottenuto le equazioni fondamentali del moto accelerato, che qui di
seguito riassumerò:
V = at + V0 ,
S = at² / 2 + V0 t = 1 / 2 at² + V0 t ,
S = ( V² – V0² ) / 2a .
337
7
A questo punto è necessario introdurre due concetti importanti, ossia il
concetto di velocità istantanea e di accelerazione istantanea. Introdurremo questi
concetti, affidandoci a degli schemi grafici.
VELOCITA’ ISTANTANEA
Si consideri questo schema:
Q
P
rP
rQ
I vettori rP ed rQ individuano la
posizione di un punto materiale negli
istanti t0 = 0 e t1 = t, pertanto il punto
materiale passa dalla posizione P alla
posizione Q in un intervallo di tempo
pari a t. A Noi interessa la velocità
che, all’istante t0 = 0, possiede il
punto materiale. In pratica vogliamo
la velocità istantanea del punto
materiale in P.
Come abbiamo detto, per ottenere tale velocità, occorre effettuare un ragionamento al
limite. Si ricorda che la differenza vettoriale rQ - rP rappresenta lo spostamento
effettuato dal punto materiale nell’intervallo di tempo t. per eseguire il ragionamento
al limite occorre matematicamente calcolare il limite seguente:
lim
rQ - rP / t, tale simbolo si interpreta verificando a quale valore tende il
t 0
rapporto quando l’intervallo di tempo si avvicina a zero.
In pratica quando lo spostamento si rimpicciolisce sempre più e Q si avvicina a P.
Se tale valore limite esiste, allora esso rappresenta il valore istantaneo del punto
materiale nel punto P.
Si ricorda che, il vettore velocità, è sempre tangente nel punto della traiettoria in cui
esso è calcolato.
338
8
ACCELERAZIONE ISTANTANEA
Anche per l’accelerazione istantanea vale lo stesso discorso svolto per la
velocità istantanea, ossia è un calcolo al limite. In questo caso è però necessario
introdurre i vettori velocità, ossia considerare la seguente schematizzazione:
Si consideri questo schema:
Q
In questa situazione vP rappresenta la
velocità assunta dal punto materiale
nell’istante t = 0, ossia in P, mentre con vQ
si indica la velocità assunta dal punto
materiale in Q, all’istante t.
Se desidero valutare l’accelerazione
istantanea nel punto P, devo ricorrere ad
un ragionamento al limite, impiegando
l’artifizio matematico visto nel caso della
velocità.
P
vP
vQ
In questo caso procederò al calcolo del seguente limite:
lim
t
vQ - vP / t, in questo caso calcolo a quale valore tende la variazione di
0
velocità, man mano che il tempo si avvicina a zero.
Se il calcolo produce un valore, esso ci rappresenterebbe proprio l’accelerazione
istantanea del punto materiale in P.
E’ importante osservare che la velocità, essendo un vettore, può variare in modulo,
ma anche in direzione. Ciò impone una domanda: quali effetti vengono prodotti
sull’accelerazione?
Possiamo semplicemente ammettere che l’accelerazione è dotata di due componenti:
( tali componenti le otteniamo graficamente )
a
aN
at
E’ possibile decomporre il vettore accelerazione a ?
La risposta è affermativa.
Quali sono le direzioni privilegiate ?
Le direzioni secondo cui decomporre il vettore accelerazione a sono:
la direzione tangente, nel punto della traiettoria, in cui l’accelerazione è applicata e
la direzione ad essa ortogonale, ( si veda la figura superiore di riferimento ).
339
9
Guarda caso, la direzione tangente, è corrispondente alla direzione della velocità in
quel punto. In definitiva si ottengono due componenti dell’accelerazione che
indicheremo rispettivamente con : aN e at , dove at è l’accelerazione tangenziale e aN
è l’accelerazione centripeta o normale.
Si è inoltre osservato che, dal punto di vista vettoriale deve risultare:
a = aN + at .
Infine, è possibile ammettere che la componente tangenziale at è legata alla
variazione in modulo della velocità, ( basti ricordare l’esempio dell’automobilista,
che su un’autostrada perfettamente diritta, si diverte a modificare il modulo della
velocità ), mentre la componente aN dipende dalle variazioni in direzione della
velocità, ( basti pensare all’esempio del moto circolare uniforme, di cui parleremo più
avanti ).
CLASSIFICAZIONE DEI MOTI
Dopo avere introdotto il concetto di velocità e di accelerazione è possibile procedere
ad una classificazione dei moti.
CASO 1
In questo caso la velocità è costante e perciò, l’accelerazione è nulla.
La velocità non cambia mai né in modulo che in direzione e
l’accelerazione è nulla. Il moto risulta su traiettoria rettilinea e si tratta di
un moto rettilineo ed uniforme.
CASO 2
Se la velocità è funzione del tempo, ma l’accelerazione è solo costituita
dalla componente tangenziale. Ciò significa che la velocità modifica solo
il proprio modulo, ma non la direzione e pertanto si tratta di un moto
rettilineo vario.
CASO 3
La velocità risulta funzione del tempo, ma l’accelerazione ha solo la sua
componente normale o centripeta. In questo caso la velocità modifica la
sua direzione, mentre mantiene costante il suo modulo. In conclusione, si
tratta di un moto uniforme su traiettoria curva. Pertanto in questo caso si
parla di moto curvo uniforme.
CASO 4
E’il caso in cui la velocità è funzione del tempo e l’accelerazione risulta
costituita da entrambe le componenti, ossia l’accelerazione è somma
della sua componente vettoriale tangenziale e normale. Pertanto si tratta
della tipologia di moti più complessa; infatti si parla di moto curvo
vario.
440
0
INTRODUZIONE ALLA DINAMICA
Una forza è una spinta o una trazione esercitata su un corpo. In altri termini
una forza è la causa di ogni movimento, oltre che essere la responsabile della
variazione dei moti o dell’alterazione dei moti eseguiti dai corpi mobili. Se su un
corpo agisce una forza non equilibrata il corpo viene accelerato nella direzione della
forza. Vi ricordo che la forza è una grandezza vettoriale, poiché dotata di modulo, di
direzione e di verso. ( Si pensi ad esempio alla forza peso).
LE LEGGI DEL MOTO DI NEWTON
Newton ha descritto, grazie alla spinta fornita da Galileo Galilei, tre equazioni
fondamentali.
1)
Un corpo mantiene il suo stato di quiete o di moto rettilineo
uniforme, a meno che non intervengano delle cause che ne alterino il
suo stato;
2)
Una forza non equilibrata che agisce su di un corpo produce una sua
accelerazione, a, nella direzione della forza applicata. Tale
accelerazione risulta direttamente proporzionale alla forza applicata
ed inversamente proporzionale alla sua massa. L’ultima
affermazione consente di scrivere la ben nota relazione: F = m a.
3)
Per ogni azione o forza corrisponde una forza uguale, ma di verso
opposto, ossia corrisponde una reazione.
MASSA e PESO
La massa m di un corpo fa riferimento alla sua inerzia, mentre il peso P di un
corpo è l’espressione della forza che la gravità esercita sul corpo.
In definitiva, la forza peso di ogni corpo si esprime come: P = m g, dove g esprime il
vettore accelerazione di gravità, il cui modulo si ritiene costante e pari a:
g = 9,8066 m / s2.
In definitiva, se un corpo di massa m si trova in caduta libera la forza risultante su di
esso è la forza peso, e perciò la sua accelerazione, durante la caduta, corrisponde
all’accelerazione di gravità.
Esempi
Se un corpo ha una massa di 5 Kg, allora il modulo del suo peso vale,
P = m . g = 5 . 9,81 = circa = 49 N.
Se un corpo ha un peso di 75 N, la sua massa m vale, m = 75 / 9,81
= circa = 7,65 Kg.
=
441
1
IL MOTO LUNGO UN PIANO INCLINATO
Esaminiamo ora il moto di un corpo lungo un piano inclinato. Come noi
sappiamo un corpo scivola lungo il piano inclinato per effetto della sua forza peso.
Ossia ? Si osservi il seguente schema grafico:
CORPO di massa m che effettua il moto lungo
il PIANO INCLINATO, ( con angolo  ).
Fa
P
Fn

La forza peso P si decompone in due componenti vettoriali, una
parallela al piano inclinato e l’altra ad essa perpendicolare. E’ ovvio che
la loro somma deve riprodurre il vettore P stesso. Le due componenti si
indicano con Fa ed Fn, dette rispettivamente Forza ATTIVA e Forza
NORMALE o PERPENDICOLARE. Inoltre sarà: P = Fa + Fn.
La componente vettoriale normale o perpendicolare Fn non ha alcune effetto ai
fini del moto, poiché risulta equilibrato dalla reazione del piano inclinato, ( tale
reazione si dice reazione vincolare, poiché il piano inclinato impone un moto
diverso da quello di caduta verticale. Infatti per vincolo si intende un oggetto o un
insieme di oggetti tali da limitare o impedire i movimenti di un corpo ).
La componente attiva, Fa invece, risulta la componente della forza peso
responsabile del moto di scivolamento del corpo di massa m lungo il piano inclinato.
Quali sono i due valori ?
I due valori, o moduli, delle due componenti sono esprimibili come:
Fa = P sen  e Fn = P cos , ma è altresì vero che
P = m g, con g = accelerazione di gravità e perciò potremo scrivere,
Fa = P sen  = m g sen 
e
Fn = P cos  = m g cos  .
442
2
Come detto è necessario accettare queste due relazioni come un atto di fede, ma sul
seno e sul coseno ritorneremo. Per il momento vi basti sapere che noto l’angolo ,
attraverso la macchinetta calcolatrice, è possibile determinare sia il sen  che il cos .
Sorge, quasi spontaneo, introdurre il MODULO relativo al LAVORO e
all’ENERGIA, perché esprime la continuità del ragionamento.
CONCETTO DI LAVORO, ENERGIA, POTENZA
Per lavoro si intende: forza per spostamento. Ossia il prodotto dell’intensità
di una forza per il valore dello spostamento, da essa prodotto, è detto LAVORO.
Il lavoro è una grandezza scalare che si misura in N . m = J, ( JOULE ).
E’ altrettanto ovvio che la forza applicata su un corpo, compie lavoro quando riesce a
vincere tutte le forza che tendono ad impedire il moto stesso.
Per meglio comprendere il concetto introdotto si considerino i seguenti esempi:
F
s
In questo caso la forza applicata risulta essere parallela alla direzione dello
spostamento impresso dalla forza stessa. Pertanto il lavoro è proprio esprimibile
come: L = F s = intensità della forza per valore dello spostamento.
Esempio, se la forza avesse un’intensità di 10 N, e lo spostamento corrispondesse a 2
metri, il lavoro sarebbe espresso come: L = 10 . 2 = 20 N . m = 20 Joule.
443
3
Consideriamo, ora il seguente caso:
F

Fn
F0
s
In questo caso la forza applicata al corpo risulta inclinata di un angolo , rispetto allo
spostamento ottenuto. In questo caso conviene decomporre la forza secondo due
direzioni, una concorde con quella dello spostamento, l’altra perpendicolare alla
direzione medesima. Tali componenti si sono indicate, rispettivamente, con Fn ed F0.
Si intuisce che la componente F0, della forza è la responsabile dello spostamento del
corpo, mentre l’altra componente tende a premere il corpo stesso, contro il piano del
moto. Esaminiamo ora quanto valgono le due componenti:
Fn = F sen  , ed F0 = F cos  .
Inoltre, il lavoro dovuto dalla forza F, è proprio dovuta a questa componente, quindi
si desume che: L = F s cos , ma l’unica operazione vettoriale che coinvolge due
vettori e il coseno dell’angolo fra essi compreso è il prodotto scalare, pertanto
L = F . s = F s cos . Si capisce che la vera definizione del lavoro di una forza, che
produce uno spostamento, è proprio inteso come il prodotto scalare fra il vettore forza
ed il vettore spostamento.
Ma, nel primo caso perché si è scritto che il lavoro si può pensare come prodotto fra
forza e spostamento ?
Perché, questo è un caso particolare, in cui la forza e lo spostamento sono paralleli e
perciò, l’angolo fra essi compreso, vale 0, ma il coseno di un angolo nullo vale 1.
In definitiva è proprio vero che in questo caso, il lavoro si può definire come:
L =F . s = F s cos 0 = F s, il cui risultato è, in questo caso, proprio il prodotto fra il
valore della forza per il valore dello spostamento.
L’ENERGIA è la capacità che un corpo ha, di produrre lavoro. Per questa
ragione sia il lavoro che l’energia si misurano con la stessa unità di misura, ossia il
Joule.
E’ altrettanto ovvio che l’energia è una quantità scalare.
444
4
ENERGIA POTENZIALE
L’energia potenziale di un corpo è la sua capacità di produrre lavoro per effetto
della sua posizione o dello stato in cui si trova. Essa si definisce come:
EP = m g z = m g h, dove m è la massa del corpo, g
l’accelerazione di gravità e z = h è l’altezza o la quota a cui si trova la massa stessa.
ENERGIA CINETICA
L’energia cinetica di un corpo è la sua capacità di produrre lavoro per effetto
del suo moto, o meglio per effetto della sua velocità. Essa si dice anche energia viva.
In definitiva, l’energia cinetica di un corpo di massa m che si muove con velocità v è
data come: EC = 1 / 2 m v².
PRINCIPIO DI CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA
Si parte dal presupposto che in natura nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto
si trasforma. Comunque per i nostri scopi possiamo dire che la somma dell’energia
potenziale e dell’energia cinetica risulta costante, o meglio:
EP + EC = m g z + 1 / 2 m v² = EM , dove EM è l’energia meccanica.
POTENZA
Per potenza si intende il rapporto fra il lavoro ed il tempo impiegato ad
eseguirlo, in definitiva è: P = L / t. Essa nel sistema Internazionale si misura in J / s,
ossia il Watt., ( simbolo W ).
Si ricordi che: 1 CV = 735,5 Watt; 1 HP = 745 W.
ESERCIZI DI MECCANICA proposti a lezione
1) Un aeroplano percorre, con moto uniforme 700 Km in 2 ore. Si determini la
sua velocità media in Km / h ed in m / s.
2) Qual è la velocità media di un ciclista che percorre 45 Km in 2,5 ore ?
3) Qual è la distanza percorsa in 10 minuti da un corpo che, partendo da fermo
abbia l’accelerazione costante di 50 cm / s² ?
4) A quale accelerazione corrisponde l’accelerazione di 7 Km / h².
5) Due punti A e B distano fra loro 505 km. Un’automobile per percorrere la
distanza A e B impiega 10 ore e 10 minuti qual è la sua velocità media
in m / s ?
445
5
6) Qual è la distanza di un cannone di cui si ode il colpo 41 s dopo aver visto la
luce ?
Si assuma come velocità del suono nell’aria un valore pari a 340 m / s.
7) Un punto materiale ha, ad un istante t0, la velocità di 10 m / s, ed esso si
muove con un’accelerazione di costante pari a 0,05 m / s². Calcolare il valore della
sua velocità dopo mezz’ora.
8) Un punto materiale si muove lungo una retta. Alla fine del 16° secondo ha una
velocità di 40 m / s ed alla fine del 25° secondo 76 m / s. qual è il valore della sua
accelerazione media ?
9) La luce del sole impiega, per raggiungere la terra, 8 minuti e 13 secondi. Sapendo
che la luce ha una velocità di 300. 000 . 000 m / s si calcoli la distanza fra la terra
ed il sole. Dopo questo calcolo, sapendo la distanza che separa la terra dal sole, si
determini il tempo che impiegherebbe un automobile, a percorrere detta distanza,
se avesse una velocità di 120 Km / h.
10) Un treno che viaggia alla velocità di 80 Km / h, viene fermato per azione dei
freni in 18 s. Si calcoli il valore dell’accelerazione e la distanza che il treno
percorre prima di fermarsi.
11) Un corpo si muove di moto uniformemente ritardato, con una velocità iniziale
di 96 m / s ed un’accelerazione di 9,8 m / s². dopo quanto tempo la sua velocità si
annulla ?
Quale sarà la distanza da esso percorsa ?
12) Una locomotiva parte da una stazione S1, verso una stazione S2, posta ad una
distanza di 20 km. Parte dalla stazione S1, da fermo e dopo un tratto di 500 m
assume la velocità costante di 70 Km / h. A partire dall’istante in cui raggiunge
questa velocità essa mantiene la velocità costante fino a 400 metri dalla stazione di
arrivo S2. In poche parole a 400 m dalla stazione S2 inizia la frenatura fino ad
arrestarsi completamente alla stazione stessa nella posizione richiesta per la
discesa e la salita dei passeggeri. Quanto tempo impiega la locomotiva ad andare
da S1 ad S2 ?
Quali sono i suoi valori di accelerazione media alla partenza ed al suo arrivo ?
13)
Qual è la velocità angolare di una ruota che compie 180 giri al minuto ?
14)
Qual è la velocità angolare del moto giornaliero della terra ?
15)
La velocità angolare di una ruota è di 10, 472 rad / s. Quanti giri al minuto
compie questa ruota ?
446
6
16)
Un corpo che si muove di moto circolare uniforme, descrive una circonferenza
di 20 cm di diametro, con frequenza pari a 2 giri / s. Qual è la sua distanza
percorsa in mezz’ora ? Qual è l’accelerazione del suo moto ?
17)
Un motore fa compiere a una puleggia di 20 cm di diametro 1200 giri al
minuto. Calcolare la frequenza in Hz, il periodo T, la velocità in m / s e
l’accelerazione centripeta in m / s², di un punto alla periferia della puleggia
stessa. Quali sono i valori delle stesse grandezze relative ad un punto posto a
metà della distanza fra centro della puleggia e periferia della puleggia ?
18)
Un’automobile viaggia alla velocità costante di 90 Km / h. quanti giri
compiono in 6 secondi le sue ruote se hanno un diametro di 60 cm ?
19)
Una biglia di acciaio viene fatta cadere da una torre, ed essa raggiunge il suolo
in 3 s.
Qual è l’altezza della torre ?
20)
Un sasso viene gettato verticalmente da un ponte con una velocità iniziale di 10
m / s, ed esso raggiunge l’acqua dopo 2 s. Trovare la velocità v con cui il sasso
incontra l’acqua e l’altezza dal ponte. Se non viene impressa alcuna velocità
iniziale quale velocità avrebbe nell’impatto con l’acqua ?
21)
Che altezza dovrebbe avere l’acqua, che proviene da una diga per colpire la
ruota di una turbina con una velocità di 40 m / s?
22)
Un proiettile antiaereo viene sparato verticalmente verso l’alto, con una
velocità di uscita di 500 m / s. Calcolare: l’altezza massima che può
raggiungere; il tempo che impiegherà per raggiungere questa altezza; la
velocità istantanea dopo 40 s, dall’inizio del moto, e dopo 60 secondi. Inoltre a
quale istante il proiettile sarà all’altezza di 10.000 metri ? Si trascuri la
resistenza dell’aria.
23)
Un corpo scivola lungo un piano inclinato, privo di attrito, con inclinazione di
30°. Calcolare la velocità v del corpo dopo essere scivolato per 8 metri,
( partendo da fermo ), ed il tempo t impiegato a percorrere questa distanza di 8
metri.
24)
Una palla di cannone viene sparata orizzontalmente alla velocità di 400 m / s,
dalla cima di una rupe a picco sul mare, alta 100 metri. In quanto tempo il
proiettile cadrà in mare ? A quale distanza dai piedi della rupe avverrà
l’impatto con l’acqua e con quale velocità v ?
447
7
25)
Un fucile spara un proiettile con una velocità iniziale di 400 m / s e con un
angolo di 30° rispetto all’orizzontale. A quale distanza x il proiettile incontrerà
il terreno ?
26)
Un blocco di massa pari a 5 Kg, viene innalzato di 2 m in 3 s. quanto vale il
lavoro in Joule e quale ne è la potenza ?
27) Una scala lunga 5 m e di 25 N di peso ha un centro di gravità situato a 2 m di
distanza dal suo estremo inferiore. Nell’estremo superiore porta un peso di 5 N.
Calcolare il lavoro necessario per sollevare la scala dalla posizione orizzontale a
quella verticale, per il suo impiego.
28)
Una slitta viene trascinata per 8 metri lungo il suolo, per mezzo della trazione
di una corda, di valore pari a 75 N. sapendo che l’angolo fra la corda ed il
terreno è di 28°, quanto vale il lavoro prodotto dalla forza ?
Un blocco si muove verso l’alto lungo un piano inclinato di 30° sotto l’azione
di tre forze indicate in figura:
Dove F1 è orizzontale con modulo di 20 N; F2è normale al piano inclinato con valore
di 10 N; F3 è parallela al piano inclinato stesso con modulo di valore pari a 15 N.
Determinare il lavoro prodotto da ciascuna forza, nell’ipotesi che il blocco muova il
suo baricentro di 3 metri lungo il piano inclinato.
29)
30)
Una massa di 2 Kg cade da 4 metri. Si trovi la sua energia potenziale perduta in
JOULE.
31)
32)
Un corpo di 5 Kg di massa si muove con una velocità di 3 m / s. Quanto vale la
sua energia cinetica ?
Una massa scende in caduta libera da un’altezza di 5 metri, trovare la sua
energia cinetica in Joule quando raggiunge il suolo e verificare che tale valore
è equivalente alla sua energia potenziale, prima che esso iniziasse a cadere.
33)
Qual’è la potenza media espressa in Watt che viene impiegata per sollevare una
massa di 50 Kg, ad un’altezza di 20 metri in 1 minuto ?
34)
Un martello di un battipalo colpisce il palo con una velocità di 8 m / s. Qual è
l’altezza da cui cade il martello, sull’estremità superiore del battipalo ? Si
trascuri la resistenza dell’aria e quella della guida del battipalo.
Completo l’esposizione dei moduli introducendo il QUARTO MODULO relativo ai
FENOMENI TERMICI e la TERMODINAMICA .
448
8
Per onestà non tutti gli argomenti sono stati curati in modo approfondito, per ragioni
di tempo, ma qui avrete l’occasione di vederli in una forma più corposa, ma snella.
LA TERMOLOGIA
La termologia è la parte della fisica che si occupa dello studio del calore e dei
fenomeni legati alle variazioni di temperatura subite dai corpi.
Essa si può distinguere in:
Termometria
studia la temperatura di un corpo e la sua misurazione;
Calorimetria
studia la quantità di calore di un corpo e la sua misurazione;
Dilatazioni termiche studia le variazioni di dimensione di un corpo a causa di una
variazione di temperatura;
Cambiamento di stato che studia il passaggio di una stessa sostanza da uno stato di
aggregazione ad un altro, a causa di un assorbimento o di una cessione di calore;
Termodinamica che studia le trasformazioni di calore in lavoro e viceversa;
Termochimica
e viceversa.
che studia le trasformazioni di energia termica in energia chimica
LA TEMPERATURA
Iniziare uno studio di termodinamica non è semplice perché si pone
immediatamente un problema metodologico, ossia per iniziare uno studio di
termodinamica occorre conoscere il concetto di temperatura e per conoscere il
concetto di temperatura è necessario conoscere molti argomenti della termodinamica.
Le sensazioni umane sono legate alla sensazione che contraddistingue un corpo
dall’essere freddo o dall’essere caldo; in altri termini confrontando due oggetti è
possibile stabilire quale dei due corpi è caldo e quale è freddo. Pertanto, fu necessario
costruire un dispositivo, che misurasse in modo oggettivo la temperatura di un corpo,
ossia misurasse quantitativamente quanto un corpo fosse caldo o fosse freddo.
449
9
Un altro fenomeno a cui possiamo dare una valutazione soggettiva, ossia legata alle
nostre sensazioni. Quando mescoliamo una bacinella di acqua fredda con una
bacinella di acqua calda ci si accorge che l’acqua fredda tende a scaldarsi, mentre
quella calda tende a raffreddarsi, in modo tale che alla fine la temperatura risulti un
compromesso delle due temperature iniziali. In altri termini l’acqua raggiunge uno
stato di equilibrio detto equilibrio termico.
Comunque, senza ulteriori introduzioni chiamiamo termometro lo strumento per la
misura oggettiva della temperatura. Per costruire il termometro Celsius, il termometro
in gradi centigradi si sono stabilite due posizioni limiti: la temperatura del miscuglio
acqua e ghiaccio e lo stato termico in cui l’acqua comincia ad evaporare, sempre alla
pressione atmosferica. Al primo stato termico si è attribuito il valore di 0°, mentre al
secondo il valore di 100°. Dopo di che si è osservato la dilatazione subita da una
colonna di mercurio in questi due stati termici e la dilatazione conseguita, si è divisa
per 100, ottenendo la scala termometrica in gradi centigradi o il termometro Celsius.
Esistono altre scale termometriche, ad esempio la scala Fahrenheit, molto usata nei
paesi Anglo Sassoni, dove:
t ( ° F ) = 32 + 1,8 t ( ° C ) = 32 + ( 9 / 5 ) t ( ° C ).
La relazione introdotta si interpreta nel modo seguente: la temperatura in gradi
Fahreneit è pari alla somma di 32 più i nove quinti della temperatura in gradi Celsius.
Ad esempio, se si volesse valutare in gradi Fahreneit, la temperatura di 25 °C, si deve
effettuare la seguente operazione:
t ( ° F ) = 32 + ( 9 / 5 ) 25 = 32 + 45 = 77 ° F. In poche parole, la nostra temperatura
di 25 °C è equivalente alla temperatura di 77 °F.
DILATAZIONE TERMICA LINEARE
Se sottoponiamo una sbarrettina a calore, ( in altri termini la scaldiamo ), allora
la sbarrettina subisce un allungamento. Questo allungamento viene indicato col nome
di fenomeno di dilatazione lineare.
Se indichiamo con L0 la lunghezza della sbarrettina alla temperatura iniziale e con Lt
la lunghezza della sbarrettina alla temperatura finale, il fenomeno della dilatazione
lineare ci consente di scrivere la seguente relazione:
Lt – L0 =  L0 t, ossia Lt = L0 ( 1 +  t ) ,
dove  si dice coefficiente di dilatazione lineare, che è diverso da sostanza a sostanza.
Nella pagina successiva ne vediamo una tabella:
550
0
SOSTANZA
 in ( ° C ) - 1
ALLUMINIO
24 x 10 - 6
DIAMANTE
1,3 x 10 - 6
FERRO
12 x 10 - 6
PIOMBO
29 x 10 - 6
RAME
16 x 10 - 6
VETRO
9 x 10 - 6
ZINCO
30 x 10 – 6
ESEMPIO. Una sbarretta di rame ha lunghezza di 1 metro alla temperatura di 800 °C
Qual è la sua lunghezza alla temperatura di 200 ° C ?
Ritenendo che L0 sia la lunghezza della sbarretta di rame alla temperatura di 0
°C, attraverso due passi è possibile rispondere alla richiesta del problema, ossia
valutare la lunghezza della sbarretta alla temperatura di 200 °C.
PASSO 1 L800 = 1 m = L0 ( 1 +  t 800 ) = L0 ( 1 + 16 x 10 - 6 x 800 ) = 1, 0128 L0.
PASSO 2
L200 = L0 ( 1 +  t 200 ) = L0 ( 1 + 16 x 10 - 6 x 200 ) = 1,0032 L0.
Impiegando il PASSO 1 ottengo il valore di L0. poiché: 1, 0128 L0 = 1 metro, da cui
L0.= 1 / 1, 0128 = 0,9874 m.
Sapendo la lunghezza iniziale risalgo quindi alla sua lunghezza alla temperatura di
200 ° C; infatti dal PASSO 2 si desume che:
L200 = 1,0032 L0 = 1,0032 . ( 0,9874 ) = 0,99 metri circaNel passare dalla temperatura di 800 °C alla temperatura di 200 °C la sbarretta si
accorcia di circa 0,01 m, cioè passa dalla lunghezza di 1 metro alla lunghezza di
0 ,99 m.
L’esperienza mostra che anche i volumi dei corpi all’aumentare della
temperatura aumentano.
551
1
In altri termini si sviluppa un fenomeno di dilatazione anche per i volumi, e ciò viene
indicato col nome di dilatazione cubica.
Supponiamo di considerare un solido, isotropo di forma parallelepipeda, e innalziamo
la sua temperatura da 0 °C alla temperatura t °C. Come si è detto esso si dilaterà
secondo le tre dimensioni e proprio per questo i suoi lati si dilateranno, portandosi al
seguente valore:
at = a0 ( 1 +  t ),
bt = b0 ( 1 +  t ),
ct = c0 ( 1 +  t ).
In definitiva il suo volume iniziale V0 = a0 b0 c0, ed il suo volume finale dopo il
riscaldamento alla temperatura t è:
Vt = at bt ct = a0b0 c0 ( 1 +  t )3 = a0b0 c0 ( 1 + 3 ² t² + 3 t + ³ t³ )
si
trascurano
Vt = at bt ct = a0b0 c0 ( 1 + 3  t ) = V0( 1 +  t ),
avendo posto  = 3 .
Il coefficiente  prende il nome di coefficiente di dilatazione cubica, ed esso è pari
al triplo prodotto del coefficiente di dilatazione lineare, della sostanza che costituisce
il volume.
SOSTANZA
 in ( ° C ) – 1
ALCOOL ETILICO
1,12 x 10 - 3
GLICERINA
0,53 x 10 – 3
MERCURIO
0,18 x 10 – 3
OLIO DI OLIVA
0,74 x 10 – 3
Sapendo inoltre che, la densità di una sostanza è il rapporto fra la massa ed il
volume, ossia  = m / V, si capisce che all’aumentare della temperatura la densità
diminuisce, poiché il volume aumenta per effetto della dilatazione.
Per i liquidi non ha senso parlare di dilatazione lineare, ma ha senso parlare di
dilatazione cubica, in effetti i volumi dei liquidi si dilatano. La legge di dilatazione
cubica dei liquidi è simile a quella dei solidi. C’è da osservare che il liquido più
comune come l’acqua, ha un comportamento differente da tutti gli altri liquidi; infatti
il volume di una massa d’acqua pura all’aumentare della temperatura da 0 °C al 3,98
°C diminuisce e perciò aumenta la propria densità, ( ciò significa che in questo
intervallo di temperatura l’acqua possiede un coefficiente di dilatazione negativo ),
mentre al di sopra di 3,98 °C, il suo comportamento è identico a tutti gli altri liquidi.
552
2
Si può praticamente dire che alla temperatura di circa 4 °C una massa d’acqua ha il
minimo volume e di conseguenza la massima densità.
Lo studio relativo alla dilatazione cubica dei gas, ha mostrato che se si mantiene
costante la pressione del gas stesso, la sua dilatazione cubica avviene con la stessa
legge con cui si dilatano solidi e liquidi. I gas rispondono tanto più a quanto detto,
quanto più essi sono rarefatti, ( cioè a bassa pressione ), e lontani dalle condizioni di
liquefazione, in altri termini in quelle condizioni in cui i gas si possono ritenere gas
perfetti o ideali. Si è infatti, scoperto, che per tutti i gas il coefficiente di dilatazione
cubica è lo stesso e vale:
 = 1 / 273,16, che viene approssimato al valore
 = 1 / 273.
A questo punto noi esamineremo la termologia dal punto di vista termodinamico.
Introduciamo però alcune definizioni importanti:
il calore è una forma di energia, essa si misura nel Sistema Internazionale con il
Joule, ma è possibile impiegare anche la caloria.
Inoltre, 1 cal è la quantità di calore necessaria per elevare di 1 °C una massa di 1
grammo massa di acqua.
Si ricordi che :
1 cal = 4, 1840 J.
Calore specifico di una sostanza è numericamente eguale al numero di calorie
necessarie per elevare 1 grammo massa, di quella stessa sostanza, di 1 °C.
Il calore specifico si esprime in cal / g °C, oppure, in J / Kg K.
Per l’acqua il calore specifico vale 1 cal / g °C o 1 kcal / Kg °C.
Capacità termica di una sostanza o di un corpo è la quantità di calore necessaria per
elevarne la temperatura di 1 °C. Essa si misura in cal / °C oppure in J / K.
In definitiva la capacità termica è esprimibile come massa del corpo o della sostanza
x calore specifico, ossia C = m c.
Calore acquistato o perduto da un corpo, in cui non avvengono cambiamenti di
stato fisico = massa x calore specifico x variazione di temperatura =
= Capacità termica x variazione di temperatura. In termini abbreviati si ottiene
che: Q = m c t = C t.
Calore di fusione di un solido è la quantità di calore necessaria per portare allo stato
liquido una unità di massa del solido senza che vari la sua temperatura.
Calore di fusione del ghiaccio = 80 cal / g o 80 kcal / Kg, a 0°C e alla pressione di
1 atm.
Calore di evaporazione di un liquido è la quantità di calore necessaria per portare
allo stato di vapore o aeriforme una unità di massa di liquido senza che vari la sua
temperatura.
553
3
Calore di evaporazione dell’acqua = 540 cal / g o 540 kcal / Kg, a 100 °C ed alla
pressione di 1 atm.
Calore di sublimazione di una sostanza solida è la quantità di calore necessaria per
portare l’unità di massa dallo stato solido allo stato gassoso o aeriforme, direttamente,
senza che vari la sua temperatura.
LA TERMODINAMICA ED I SUOI PRINCIPI
La termodinamica studia gli scambi di energia meccanica, ( LAVORO ), e di
calore fra i corpi e gli oggetti che ci circondano. In particolare si occupa delle
trasformazioni del calore in lavoro, che hanno luogo in tutti i motori termici.
Comunque il concetto di sistema termodinamico è molto più generale; infatti si
chiama SISTEMA TERMODINAMICO qualsiasi corpo o sistema di corpi il cui
comportamento può essere studiato dal punto di vista degli scambi di LAVORO e di
CALORE sia fra le diverse parti del sistema che fra queste ed altri corpi, ( vicini e
lontani ), non appartenenti al sistema stesso, che costituiscono ciò che indichiamo con
il nome di ambiente circostante o esterno o UNIVERSO.
La termodinamica è una parte della fisica, molto generale, ma ciò nonostante, essa
stabilisce poche leggi, ben precise a cui rispondono tutti i sistemi termodinamici e
qualsiasi siano i fenomeni che in essi avvengono. Dette leggi nascono da osservazioni
ed esperimenti e costituiscono i Principi della Termodinamica.
Il primo Principio è un’estensione del principio di conservazione dell’energia
meccanica. In esso viene però messa in luce una nuova forma di energia, il calore Q o
l’energia termica Q.
Il secondo Principio della termodinamica è una legge di tipo nuovo, essa stabilisce
alcune limitazioni alle possibilità di trasformare energia meccanica in energia
termica, ( ma non viceversa ).
Per potere enunciare correttamente i vari principi è necessario introdurre alcune
nozioni fondamentali, come sistema termodinamico, stato termodinamico,
trasformazione termodinamica, ecc.
C’è da osservare che termodinamica tratta questi sistemi da un punto di vista
macroscopico; infatti uno studi termodinamico che coinvolga scambi di calore e
lavoro del sistema termodinamico con l’ambiente esterno, viene effettuato valutando i
volumi, le pressioni, le temperature, ecc., delle diverse parti del sistema o del corpo.
Pertanto, il nostro interesse coinvolge un insieme di molecole e perciò non si ha un
interesse microscopico del sistema, ma un interesse macroscopico, di un gruppo o di
diversi gruppi di molecole o di atomi. In poche parole quando si studia un sistema
termodinamico si rinuncia a dare una descrizione dettagliata dei moti delle singole
molecole. La termodinamica fornisce, invece, una descrizione macroscopica dei
fenomeni, nella quale intervengono grandezze che possono essere misurate
direttamente.
554
4
SISTEMI TERMODINAMICI
Allo scopo di chiarire la definizione di sistema termodinamico ci serviremo di
alcuni esempi. Nella discussione di ciò chiariremo il concetto di stato termodinamico
e il concetto di variabili termodinamiche.
ESEMPIO Un esempio particolarmente semplice di sistema termodinamico è
costituito da un fluido omogeneo, che considereremo sempre contenuto, in un
recipiente cilindrico, chiuso superiormente, con un pistone scorrevole a tenuta, nelle
cui pareti sono inseriti un manometro, per la misura della pressione p, un termometro
per la misura della temperatura t, ed inoltre, per mezzo di un indice “ i ”, che si
muove su un’asta graduata, è possibile determinare il volume V del fluido.
Naturalmente, affinché il volume resti costante, è necessario che la pressione esterna,
sia uguale ed opposta alla pressione interna, ossia alla pressione esercitata dal fluido
sul pistone; il valore della pressione esterna risulta determinato dal peso del pistone e
dalla pressione atmosferica. Inoltre, supporremo che le pareti laterali del cilindro
siano costituite da un materiale perfettamente isolante al calore, mentre il fondo del
cilindro sia di materiale perfettamente conduttore del calore.
Se il fluido nel recipiente cilindrico è un GAS, esso costituisce un sistema
termodinamico molto semplice; inoltre, se in questo caso, il GAS fosse IDEALE,
allora ci si trova di fronte al sistema termodinamico più semplice in assoluto.
Tale semplicità è dovuta al fatto che il comportamento di un gas perfetto o ideale è
regolato dalla sua equazione di stato, ossia dall’equazione: PV = n R T.
Come si vede l’equazione di STATO dei gas perfetti, lega in modo semplice i valori
delle tre grandezze: p = pressione; V = volume; T = temperatura assoluta.
Inoltre, basta assegnare il valore a due di esse, per potere così caratterizzare
completamente lo STATO termodinamico del gas, ossia è possibile ricavare la terza
grandezza termodinamica.
In poche parole la conoscenza dei valori delle tre grandezze termodinamiche ci
consente di determinare lo STATO TERMODINAMICO del sistema. Proprio per
questa ragione risulta possibile definire, come FLUIDO OMOGENEO, qualsiasi
fluido il cui comportamento sia regolato da un’equazione di STATO, cioè da una
relazione che lega fra loro i valori delle tre grandezze: pressione, volume e
temperatura.
In conclusione lo stato termodinamico di un fluido omogeneo, è completamente
determinato se si conoscono i valori delle tre grandezze pressione, volume e
temperatura.
555
5
EQUILIBRIO TERMODINAMICO
In un diagramma P, V, ( o P, t ; V, t ), un punto A rappresenta uno stato
termodinamico del sistema, a cui corrisponde la pressione PA ed il volume VA, mentre
la temperatura dello stato A, tA , si ottiene dall’equazione di stato del fluido.
Questo stato è sempre uno stato di equilibrio termodinamico, nel senso che, dal punto
di vista macroscopico, tutto è fermo e nulla cambia al passare del tempo. Ma affinché
lo stato A sia uno stato di equilibrio è necessario che la pressione p e la temperatura
t, abbiano gli stessi valori PA e tA , in tutti i punti del fluido stesso.
Da ciò si capisce che la definizione di STATO TERMODINAMICO vale solo
nelle condizioni di EQUILIBRIO TERMODINAMICO.
Naturalmente ci si potrebbe domandare il motivo per cui si parla di equilibrio
termodinamico. La risposta è semplice, l’equilibrio termodinamico implica tre diversi
tipi di equilibrio contemporanei:
1)
2)
3)
equilibrio meccanico;
equilibrio termico;
equilibrio chimico.
EQUILIBRIO MECCANICO
Consideriamo sempre l’esempio di un fluido omogeneo, chiuso da un pistone,
all’interno di un recipiente cilindrico, ( vedi le stesse considerazioni precedenti ).
Pertanto, affinché il volume VA non vari, vi deve essere equilibrio fra la forza
esercitata dal pistone sul fluido e la forza esercitata dal fluido sul pistone. Come noi
sappiamo, se questo equilibrio viene a mancare il pistone si mette in moto, perciò il
volume del fluido si modifica.
EQUILIBRIO TERMICO
Affinché la temperatura abbia lo stesso valore in tutti i punti del fluido, il
sistema deve essere in equilibrio termico, ossia deve essere isolato termicamente
dall’ambiente circostante, oppure se è in contatto con una sorgente, ne deve avere la
stessa temperatura. In altri termini tutti i suoi punti devono essere alla stessa
temperatura.
EQUILIBRIO CHIMICO
Le condizioni devono essere tali che, la struttura interna e la composizione del
sistema rimangono costanti.
556
6
TIPI FONDAMENTALI DI TRASFORMAZIONI TERMODINAMICHE
Prendiamo in esame le trasformazioni più importanti che un fluido, o più in
generale che un sistema termodinamico può effettuare o subire. Ciò è un problema
molto importante, proprio perché, in queste circostanze, cioè nel passaggio da uno
stato di equilibrio ad un altro, viene scambiato con l’ambiente circostante calore e
lavoro meccanico.
Le trasformazioni più importanti sono:
ISOTERME o trasformazioni a temperatura costante;
ISOBARE o trasformazioni a pressione costante;
ISOCORE o trasformazioni a volume costante;
ADIABATICHE o trasformazioni senza scambio di calore.
Nei diagrammi P – V le trasformazioni isocore sono rette parallele all’asse delle
ascisse; mentre le trasformazioni isobare sono rette parallele all’asse delle ordinate,
mentre le trasformazioni isoterme sono archi di curva, ed infine nello stesso
diagramma le trasformazioni sono rappresentate da curve iperboliche:
V
VA
P
PA
TRASFORMAZIONE
SENZA SCAMBIO DI
CALORE o
ADIABATICA
TA
Oltre ai quattro tipi di trasformazioni termodinamiche introdotte ne esistono infinite
altre, anche più complesse, e ciò perché in un diagramma P – V una qualsiasi curva
che colleghi, senza interruzione due punti rappresenta una trasformazione
termodinamica del sistema.
557
7
Nel grafico seguente è mostrata una trasformazione termodinamica qualsiasi AB:
P
A
B
V
La trasformazione A B, è dunque una trasformazione generica che porta il sistema
termodinamico dallo stato di equilibrio A allo stato di equilibrio B. In tale passaggio,
visto che le tre grandezze, volume , pressione e temperatura si modificano senz’altro
con l’ambiente esterno viene scambiato lavoro e calore.
Se la curva che rappresenta la trasformazione è CHIUSA, ossia il sistema parte da
uno stato A e dopo aver raggiunto stati distinti ritorna nella situazione di partenza,
allora in questo caso la trasformazione si dice CICLICA e la curva che lo descrive
si dice CICLO.
LE TRASFORMAZIONI
CICLICHE, come vedremo sono
molto importanti nello studio
delle MACCHINE TERMICHE
A
o MOTORI TERMICI.
B
Molto importante è anche studiare le TRASFORMAZIONI CICLICHE caratterizzate
da un’opportuna combinazione delle quattro trasformazioni introdotte, ossia come
opportuna combinazione di trasformazioni isobare, isocore, isoterme ed adiabatiche.
558
8
ENERGIA INTERNA
Vogliamo ricordare che l’energia interna U di una certa massa m di una
qualsiasi sostanza, ad una certa temperatura t, è la somma delle energie cinetiche e
delle energie potenziali di tutte le sue molecole.
Riprendendo la definizione data, potremo allora ammettere che:
si chiama energia interna U di un sistema termodinamico qualsivoglia, ( solido,
liquido, gassoso, soluzione, ecc.), l’ENERGIA TOTALE di tutte le sue molecole.
L’energia interna, inoltre, è una FUNZIONE di STATO, ossia se un sistema
termodinamico passa da uno stato iniziale “ i ” ad uno stato finale “ f ”, l’ENERGIA
INTERNA dipende solo dallo stato finale ed iniziale, ossia:
 U = Uf – Ui.
Per quanto detto si capisce che anche l’ENERGIA INTERNA, dipendendo da stati di
equilibrio, dipende a sua volta dalle grandezze termodinamiche, in altri termini
dipende o da P – V, o da P – T o da V – T . Sperimentalmente, si è constatato che per
i gas perfetti l’energia interna dipende solo da T, se si ragiona per trasformazioni a
pressione costante o per trasformazioni a volume costante.
Nelle macchine termiche, il fluido deve sempre compiere un CICLO, perché deve
sempre ritornare nelle condizioni iniziali e ripetere le stesse trasformazioni, per un
tempo indefinito.
La parte espositiva che ha ripercorso i nostri moduli di fisica si ritiene qui concluso,
ma da qui inserisco la soluzione, come promesso, di molti esercizi relativi ai moduli
stessi. Queste soluzioni devono rappresentare un momento di riflessione, la
possibilità di prendere confidenza con le equazioni fondamentali e la capacità, di
crearsi le strategie risolutive nei diversi problemi di proposti.
559
9
Risoluzione esercizi proposti a lezione
ESERCIZIO 1
Un aeroplano percorre, con moto uniforme 700 Km in 2 ore. Si
determini la sua velocità media in Km / h ed in m / s.
Va ricordato che si procede al calcolo delle grandezze richieste
all’interno del Sistema Internazionale, salvo indicazioni contrarie.
In questo caso sappiamo che: velocità = spazio / tempo, pertanto la velocità
media di questo moto vale: Vmed = 700 / 2 = 350 Km / h. Nel S.I sarà allora:
350 Km / h = 350.000 / 3.600 m / s = 97,2 m / s.
ESERCIZIO 2
Qual è la velocità media di un ciclista che percorre 45 Km in
2,5 ore ?
In questo caso scriveremo:
V = spazio / tempo = 45 / 2,5 = 18 Km / h = 18.000 / 3.600 m / s = 5 m / s.
ESERCIZIO 3
Qual è la distanza percorsa in 10 minuti da un corpo che,
partendo da fermo abbia l’accelerazione costante di
50 cm / s² ?
Se si vuole esprimere il risultato nel S.I è necessario sistemare le unità di misura
all’interno del testo dell’esercizio. Possiamo dire che nel S.I l’accelerazione di
50 cm / s2 è equivalente a ( 50 ) / 100 m / s2 = 0,5 m / s2.
Inoltre, sapendo che 1 minuto = 60 secondi, 10 minuti = 10 . 60 secondi = 600 s.
A questo punto è necessario selezionare l’equazione utile alla determinazione del
risultato. Il moto è, evidentemente, accelerato e nel testo vi è l’informazione che, il
nostro corpo, parte da fermo, ossia con velocità nulla. Proprio questa considerazione
consente di accedere alla relazione necessaria per ricavare la distanza, o spazio,
percorso da un corpo in moto accelerato, con accelerazione data.
Applicheremo, dunque, la relazione:
S = 1 / 2 at² + V0 t = 1 / 2 at² = 0,5 ( 0,5 ) ( 600 )2 = 90.000 m, ( essendo V0 la
velocità iniziale del corpo che è nulla ).
( Si noti che 90.000 metri corrispondono a 90 Km ).
ESERCIZIO 4 A quale accelerazione corrisponde l’accelerazione di 7 Km / h².
Prima di procedere al calcolo è necessario sistemare le unità di misura:
7 Km = 7.000 metri; 1 h = 1 ora = 3.600 s; infatti 1 h = 60 min = 60 ( 60 ) s = 3.600 s.
Perciò 1 h2 = ( 3600 s )2 = 12.960.000 s2.
In definitiva sarà: 7km / h2 = 7.000 / 12.960.000 m / s2 = 0,00054 m / s2.
Il valore numerico è il risultato richiesto dal testo del problema.
660
0
ESERCIZIO 5 Due punti A e B distano fra loro 505 km. Un’automobile per
percorrere la distanza A e B impiega 10 ore , 10 minuti e 30 secondi,
qual è la sua velocità media in m / s ?
Sistemiamo le unità di misura, poiché Noi operiamo nel S.I:
distanza AB = 505 Km = 505.000 m, il tempo impiegato per questo viaggio deve
essere riportato in secondi, perciò scriveremo,
10 ore = 10 ( 3.600 ) s = 36.000 s; 10 min = 10 ( 60 s )= 600 s, pertanto la durata del
viaggio è espressa da ( 36.000 + 600 + 30 ) s = 36.630 s.
Per ottenere la velocità media, basta ricordare, ora, che:
V = spazio / tempo = 505.000 / 36.630 = 13,79 m / s, circa.
ESERCIZIO 6
Qual è la distanza di un cannone di cui si ode il colpo 41 s
dopo aver visto la luce ? Si assuma velocità suono aria = 340
m / s, circa.
Come sappiamo la luce di un fulmine è istantaneo, mentre il rumore, prodotto
da esso giunge, al nostro orecchio con un certo ritardo, perché la luce viaggia
nell’aria con una velocità notevolmente superiore a quella del suono.
La velocità della luce è infatti di 300.000.000 m / s.
In questo esercizio occorre applicare una relazione inversa, ottenuta dal triangolo
della felicità del fisico: spazio = velocità . tempo, che nel nostro caso equivale a,
spazio = 340 . 41 ( ( m / s ) . s ) = 13.940 metri.
ESERCIZIO 7 Un punto materiale ha, ad un istante t0, la velocità di 10 m / s,
ed esso si muove con un’accelerazione di costante pari a 0,05 m / s². Calcolare il
valore della sua velocità dopo mezz’ora.
In questo caso non interessa, di questo moto accelerato, lo spazio effettuato, ma la
velocità, ( dopo un tempo assegnato ). Si noti che il testo fornisce sia il valore
dell’accelerazione che il valore della velocità iniziale V0.
E’ inoltre: 1 / 2 h = 30 min = 30 .60 s = 1.800 s.
Pertanto ciò impone l’applicazione della relazione:
V = at + V0 = ( 0,05 . 1.800 + 10 ) = 100 m / s.
ESERCIZIO 8 Un punto materiale si muove lungo una retta. Alla fine del 16°
secondo ha una velocità di 40 m / s ed alla fine del 25° secondo 76 m / s. qual è il
valore della sua accelerazione media ?
La definizione dell’accelerazione suggerisce il calcolo di questa accelerazione media;
infatti risulta:
a media = variazione di velocità subita dal corpo / intervallo di tempo in cui si effettua tale variazione.
Nel nostro caso sarà:
accelerazione media = ( 76 – 40 ) / ( 25 – 16 ) ( ( m / s ) / s ) = 36 / 9 m / s2 =
= 4 m / s2.
661
1
ESERCIZIO 9 La luce del sole impiega, per raggiungere la terra, 8 minuti e
13 secondi. Sapendo che la luce ha una velocità di 300. 000 . 000 m / s si calcoli
la distanza fra la terra ed il sole. Dopo questo calcolo, sapendo la distanza che
separa la terra dal sole, si determini il tempo che impiegherebbe un automobile,
a percorrere detta distanza, se avesse una velocità di 120 Km / h .
Sistemiamo le unità di misura : 8 min = 8 .60 s = 480 s, perciò la luce del sole
raggiunge la terra in un tempo t = ( 480 + 13 ) = 493 s.
Si desume allora che lo spazio sole – terra vale:
spazio sole – terra = velocità per tempo = ( 300.000.000 ) . 493 = 147,9 Gm, dove G
sta per GIGA ed equivale a 109. Pertanto, 147,9 Gm equivale a
147,9 . 109 metri, ( è come dire circa 148 miliardi di metri ).
Valutiamo quale tempo impiegherebbe un’automobile a percorrere la distanza
indicata, se viaggiasse ad una velocità di 120 Km / h,
ossia a ( 120.000 / 3.600 ) m / s = 36,1 m / s.
Tale tempo o durata la ottengo come:
durata del moto = spazio / velocità = ( 147,9 / 36,1 ) . 109 secondi = 4,096 . 109 s.
( E’ equivalente ad ammetter che la durata del moto corrisponde a circa 4 miliardi di
secondi ).
Per comprendere la portata del risultato facciamo qualche ulteriore considerazione.
Noi sappiamo che ogni anno è costituito da 365 giorni, ed ogni giorno è costituito da
24 ore. Il numero di ore di un anno sono allora, date da:
24 . 365 = 8.760 ore, ma ogni ora è costituita da 3.600 s, proprio per questo ogni anno
è caratterizzato da ( 8.760 . 3.600 ) s = 31.536.000 s. In conclusione ogni anno è
costituito da 31.536.000 secondi, perciò la durata in anni del tragitto terra – sole è
dato come:
Diviene semplificando 103
durata in anni viaggio terra – sole con velocità data = 4,096 . 109 / 31,536 . 106 =
= 4,096 . 103 / 31,536 = 4.096 / 31,536 = circa 130 anni.
Diviene semplificando 1
ESERCIZIO 10 Un treno che viaggia alla velocità di 80 Km / h, viene fermato
per azione dei freni in 18 s. Si calcoli il valore dell’accelerazione e la distanza
che il treno percorre prima di fermarsi.
In questo caso il moto è decelerato. Inoltre, la velocità nel S.I è data da:
V = 80 Km / h = ( 80.000 / 3.600 ) m / s = 22,2 m / s.
Il testo ci dice che il treno si arresta in 18 secondi, ed esso si arresta, ( velocità finale
nulla ), quando esaurisce la velocità di 22,2 m / s, ( e nei 18 secondi dati ). In
definitiva il valore della decelerazione si ottiene come: V = at + V0,
ma V = velocità finale è eguale a zero, ( come già detto ), da cui si desume che,
0 = at + V0,
ossia,
at = -V0, per cui
a = decelerazione del treno = - V0 / tempo di arresto del treno = -22,22 / 18 =
662
2
= -1,234 m / s2. ( Il valore di a deve risultare negativo in quanto si tratta di una
decelerazione ). Per calcolare la distanza effettuata dal treno prima di arrestarsi
occorre applicare la relazione legata allo spazio, ossia:
S = - 1 / 2 at² + V0 t = - 0,5 . ( 1,234 ) ( 18 )2 + 22,2 . 18 = (- 199,9 + 400 ) = 200 m.
Il treno prima di arrestarsi completamente effettua circa 200 metri.
ESERCIZIO 11 Un corpo si muove di moto uniformemente ritardato, con una
velocità iniziale di 96 m / s ed un’accelerazione di 9,8 m / s². dopo quanto
tempo la sua velocità si annulla ?
Quale sarà la distanza da esso percorsa ?
Come si capisce il moto ritardato sottintende un moto decelerato. Per questa
ragione posso ammettere che il tempo di arresto è dato da: V = - at + V0, ma il treno
si arresta quando la velocità finale V è nulla. In base a quanto detto allora risulta che:
- at + V0 = 0, at = V0, da cui
t = V0 / a = ( nel nostro caso ) = 96 / 9,8 ( ( m / s ) / ( m / s2 ) ) = 9,8 s.
La distanza percorsa prima di arrestarsi completamente è data da:
S = - 1 / 2 at² + V0 t = - 0,5.( 9,8 ) ( 9,8 )2 + 96 . 9,8 = (- 470,6 + 940,8) m = 470,2 m.
ESERCIZIO 12 Una locomotiva parte da una stazione S1, verso una stazione
S2, posta ad una distanza di 20 km. Parte dalla stazione S1, da fermo e dopo
un tratto di 500 m assume la velocità costante di 70 Km / h. A partire
dall’istante in cui raggiunge questa velocità essa mantiene la velocità costante
fino a 400 metri dalla stazione di arrivo S2. In poche parole a 400 m dalla
stazione S2 inizia la frenatura fino ad arrestarsi completamente alla stazione
stessa nella posizione richiesta per la discesa e la salita dei passeggeri. Quanto
tempo impiega la locomotiva ad andare da S1 ad S2 ?
Quali sono i suoi valori di accelerazione media alla partenza ed al suo
arrivo ?
La durata del moto si può spezzare in tre parti:
parte 1 = parte in cui il treno accelera, partendo da fermo, ( dalla stazione S1 ), e si
porta, dopo 500 metri alla velocità costante di 70 km / h = 70.000 / 3.600 m / s =
19,44 m / s;
parte 2 = parte in cui mantiene costante la velocità;
parte 3 = parte in cui riduce la velocità, ( fase di decelerazione ), dal valore di 19,44
m / s a zero, per un tratto di 400 metri, ( con arresto alla stazione perfetto alla
stazione S2 ).
663
3
Calcolo della durata della fase di accelerazione o tempo t1:
in questo caso possiamo calcolare, come richiesto, l’accelerazione subita dal
treno per portarsi dalla velocità zero alla velocità V = 19,44. Posso applicare la
relazione, ( dei moti accelerati ):
a = ( V² – V0² ) / 2 S, che nel nostro caso, è caratterizzata dai seguenti valori,
a = ( ( 19,44 )² - ( 0 )² ) / 2 . ( 500 ) = 378,09 / 1.000 = 0,378 m / s².
Con il valore dell’accelerazione è possibile risalire alla durata di questa stessa fase,
applicando la relazione:
V = a . t1 + V0 ;
infatti questa relazione mi permette di determinare il tempo impiegato al treno ad
assumere la velocità finale di 19,44 m / s con l’accelerazione a calcolata, ossia:
t1 = V / a = 19,44 / 0,378 = circa 51,4 secondi.
Calcolo della durata temporale del tratto percorso con velocità costante
In questo caso è necessario definire il tratto, ( in metri ), in cui il treno
mantiene la velocità costante di 19,44 m / s. Il tratto a velocità costante si ottiene
sottraendo alla distanza complessiva delle due stazioni, i tratti in cui il treno accelera
e in cui decelera.
Ricordando che le due stazioni distano a 22 Km = 22.000 metri possiamo dedurre tale
tratto, come:
22.000 – tratto in cui treno accelera – tratto in cui decelera = 22.000 – 500 – 400
= 21.100 metri.
La durata per percorrere questi 21.100 m si ottengono dalla relazione fondamentale
della cinematica, ossia sapendo che spazio / tempo = velocità, è altresì vero che
tempo = t2 = spazio / velocità = ( nel nostro caso ) = 21.100 / 19,44 = 1.085,4 s. In
definitiva è:
t2 = 1.085,4 secondi, circa.
Calcolo della durata temporale della fase di decelerazione
Il calcolo si ottiene applicando un ragionamento analogo a quello svolto per il calcolo
del tempo t1. Infatti, dapprima calcolo il valore della decelerazione, ( fase di
frenatura del treno, per arrestarsi alla stazione S2 ), mediante la relazione:
a = ( V² – V0² ) / 2 S, in questo caso la velocità finale è zero, per cui risulta,
664
4
a = – V0² / 2 S, ( il segno meno mette in evidenza che si tratta di una decelerazione,
o meglio di una riduzione sensibile della velocità ).
Comunque, nel caso in questione risulta:
a = – V0² / 2 S = - ( 19,44 )² / 2 ( 400 ) = 378,09 / 800 = 0,473 m / s².
Da ciò si deduce che la durata della fase di decelerazione vale, ( essendo nulla la
velocità finale V ):
V = - a . t3 + V0 , da cui
a . t3 = V0 , ed infine
t3 = V0 / a = 19,44 / 0,473 = 41,2 s circa.
Calcolo del tempo impiegato dal treno a percorrere i 22 Km, fra le due stazioni
S1 ed S2.
La durata complessiva si ottiene sommando i tre tempi individuati, ossia t1, t2
e t3. In conclusione è : T = t1 + t2 + t3 = ( 51,4 + 1085,4 + 41,2 ) s = 1.178 s.
In alternativa, è possibile ammettere che il viaggio ha durata pari a
19 minuti e 38 secondi.
ESERCIZIO 13 Qual è la velocità angolare di una ruota che compie 180 giri al
minuto ?
Inizialmente, calcoliamo il numero di giri al secondo compiuti dalla stessa ruota:
180 giri / minuti = 180 / 60 giri / secondo = 3 giri / s.
I 3 giri / s rappresentano la frequenza f di questa ruota.
Inoltre, Noi sappiamo che la velocità angolare  si ottiene come:
 = 2  f = ( nel nostro esercizio ) = 2 .  . 3 = 6  = circa a 18,85 rad / s.
ESERCIZIO 14 Qual è la velocità angolare del moto giornaliero della terra ?
Il periodo T della terra è 24 ore, ossia la Terra compie un giro completo su sé
stessa in 24 ore. Calcoliamo i secondi di questo periodo T :
24 . 3.600, ( poiché ogni ora è costituita da 3.600 secondi ), da cui:
24 . 3.600 = 86.400 secondi. Sapendo inoltre che la frequenza è l’inverso del periodo
T si desume che:
f = ( frequenza giornaliera della Terra ) = 1 / T = 1 / 86.400 giri / s = 0,0000116 circa
giri al secondo. In base a questo risultato la velocità angolare, del moto giornaliero
terrestre, vale:
 = 2  f = 2 .  . 0,0000116 = circa 0,0000728 rad / s = 0,0000728 . 3.600 rad / ora
 = 0,26208 rad / h.
665
5
ESERCIZIO 15 La velocità angolare di una ruota è di 10, 472 rad / s. Quanti
giri al minuto compie questa ruota ?
La velocità angolare risulta definita come:  = 2  f = 10,472.
Proprio per questa ragione che f =  / 2  = 10,472 / 2  = 1,66667 giri / s. Ma, a Noi
interessa i giri al minuto compiuti da quella ruota, perciò sapendo che ogni secondo è
1 / 60 minuto si ottiene che:
f = 60  / 2  =
60 ( 10,472 ) / 2  = ( 1,66667 9 . 60 giri / minuto = 100 giri / minuto.
ESERCIZIO 16 Un corpo che si muove di moto circolare uniforme, descrive
una circonferenza di 20 cm di diametro, con frequenza pari a 2 giri / s.
Qual è la sua distanza percorsa in mezz’ora ?
Qual è l’accelerazione del suo moto ?
In questo caso cominciamo con convertire le grandezze, all’interno del S. I:
diametro  della ruota = 20 cm = 0,2 m; Frequenza moto = f = 2 giri / s,
1/ 2 ora = 30 minuti = 1.800 secondi. Esaminando le relazioni introdotte nel caso di
moto circolare uniforme, si ottiene la velocità del moto, attraverso la relazione:
V = 2  f ( raggio circonferenza ) = 2 .  . f . (  / 2 )= 2 .  . 2 . 0,1 = 1,257 m / s.
Lo spazio effettuato dal corpo in mezz’ora, con la velocità V indicata, vale :
S = V . tempo = 1,257 . ( 1.800 ) = circa 2.262 metri.
In un moto circolare uniforme, l’accelerazione è solo quella centripeta, ossia
l’accelerazione diretta verso il centro della circonferenza descritta dal corpo, ( in
quanto la velocità del corpo muta solo la direzione, non il modulo ).
Vi ricordo che l’accelerazione centripeta si calcola come:
aN = V2 / raggio della circonferenza = ( 1,257 )² / 0,1 = circa 15,8 m / s2.
666
6
ESERCIZIO 17 Un motore fa compiere a una puleggia di 20 cm di diametro
1200 giri al minuto. Calcolare la frequenza in Hz, il periodo T, la velocità in
m / s e l’accelerazione centripeta in m / s², di un punto alla periferia della
puleggia stessa. Quali sono i valori delle stesse grandezze relative ad un punto
posto a metà della distanza fra centro della puleggia e periferia della puleggia ?
In questo caso è:  della ruota = 20 cm = 0,2 m, raggio =  / 2 = 0,1 m, e la
frequenza della puleggia è, f = ( 1.200 / 60 ) = 20 giri / s. Il periodo T della puleggia
si desume come: T = 1 / f = 1 / 20 = 0,05 s.
La velocità di un punto alla periferia della puleggia si ottiene allora da:
V = 2  f ( raggio circonferenza ) = 2 .  . f . (  / 2 ) = 2  ( 20 ) 0,1 = 12,566 m / s.
L’accelerazione centripeta aN vale:
aN = V2 / raggio = ( 12,566 )2 / 0,1 = circa 1.579 m / s2.
Ora la velocità di un punto posto a metà del diametro, ( la frequenza non cambia ),
assume il valore dato dalla seguente relazione:
V’ = 2  f ( raggio circonferenza / 2 ) = 2  ( 20 ) 0,05 = ( 12,566 / 2 ) = 6,283 m / s.
La sua accelerazione centripeta vale:
a’N = V’2 / ( raggio / 2 ) = ( 6,283)2 / 0,05 = circa 789,5 m / s2.
Si osservi che i valori ottenuti, ossia i valori di V’ e di a’N
corrispondono
esattamente alla metà dei valori ricavati inizialmente, ( in poche parole dei valori V e
aN ).
Osservazione
Rispetto all’asse di rotazione la velocità V risulterebbe nulla,
come anche l’accelerazione centripeta.
ESERCIZIO 18 Un’automobile viaggia alla velocità costante di 90 Km / h.
quanti giri compiono in 6 secondi le sue ruote se hanno un
diametro di 60 cm ?
Anche in questo caso, se vogliamo operare nel S.I, è necessario sistemare le unità di
misura: 90 Km / h = 90.000 / 3.600 m / s = 25 m / s;
 della ruota = 60 cm = 0,6 m, raggio =  / 2 = 0,3 m.
Calcoliamo la frequenza della ruota. Noi sappiamo che,
V = 2  f ( raggio della ruota ), da cui posso ammettere:
f = V / 2  ( raggio della ruota ) = 25 / 2 .  . 0,3 = 13,263 giri / s.
Per ottenere il numero di giri dopo 6 s basta effettuare il seguente prodotto:
N° giri = tempo per frequenza = 6 f = 6 . ( 13,263 ) = circa 80 giri.
667
7
ESERCIZIO 19 Una biglia di acciaio viene fatta cadere da una torre, ed essa
raggiunge il suolo in 3 s.
Qual è l’altezza della torre ?
S o altezza da cui cade la biglia di acciaio
In questo caso è possibile applicare l’equazione dello spazio, nel caso dei
moti accelerati. Questo è un moto con accelerazione g. E’ da ritenersi che
il corpo cada dalla torre con velocità iniziale nulla. Pertanto potremo
scrivere: S = 1 / 2 gt² + V0 t . Visto che il corpo raggiunge il suolo in 3
secondi posso allora sostituire a t il valore detto, e perciò ottenere:
S = 0,5 . 9,81 . ( 3 ) 2 = circa 44,1 metri.
In conclusione il corpo è caduto da un’altezza intorno ai 44 metri.
ESERCIZIO 20 Un sasso viene gettato verticalmente da un ponte con una
velocità iniziale di 10 m / s, ed esso raggiunge l’acqua dopo 2 s.
Trovare la velocità v con cui il sasso incontra l’acqua e l’altezza dal ponte. Se
non viene impressa alcuna velocità iniziale quale velocità avrebbe nell’impatto
con l’acqua ?
Anche in questo caso è applicabile la relazione:
S = 1 / 2 gt² + V0 t = ( visto che il sasso raggiunge l’acqua in 2 secondi ) =
S = 0,5 . 9,8 . ( 2 )2 + 10 ( 2 ) = 39,6 metri.
La velocità con cui il sasso incontra l’acqua si ottiene applicando la relazione:
V = g t + V0 = 9,8 . ( 2 ) + velocità iniziale impressa al sasso = 19,6 + 10 = 29,6 m/s.
Se al sasso non fosse impressa alcuna velocità iniziale, la durata del suo moto,
( sempre nell’ipotesi che cada da un’altezza di 39,6 metri ) sarebbe data come:
S = 1 / 2 gt² + V0 t = 1 / 2 gt², da cui ottengo che, t² = 2 S / g, ossia
t=
2S/g
=
( 2 . 39,6 ) / 9,8
= circa 2,84 secondi, infine la velocità con
il sasso raggiunge l’acqua vale:
V = g t + V0 = 9,8 . ( 2,84 ) = circa a 27,9 m / s.
668
8
ESERCIZIO 21 Che altezza dovrebbe avere l’acqua, che proviene da una diga
per colpire la ruota di una turbina con una velocità di
40 m / s?
In questo esercizio è possibile applicare le relazioni del moto accelerato, in
quanto la caduta avviene per effetto gravitazionale. L’acqua partendo da ferma
accelererà, con accelerazione g fino ad urtare le pale della turbina con la velocità
richiesta. Resta da determinare il punto di partenza del moto, o meglio, l’altezza dalla
quale l’acqua deve partire.
E’ possibile applicare la relazione seguente: V = g t + V0 = 9,8 . t, dove posso
calcolare la durata complessiva del moto,
t = V / g = 40 / 9,8 = circa 4,082 secondi. Questo risultato ci consente, ora, di risalire
all’altezza da cui deve partire l’acqua, per acquistare la velocità indicata:
S = 1 / 2 gt² + V0 t = 0,5 . 9,8 . ( 4,082 )2 = 81,6 metri circa.
Allo stesso risultato si giunge se si applica il principio di conservazione
dell’energia. Questo risultato lo si è ricavato anche a lezione, se ben ricordate.
Comunque, attraverso il principio di conservazione, si è detto che l’energia
potenziale iniziale deve risultare equivalente all’energia cinetica finale, ( nulla si crea
e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma ).
Sapendo inoltre che, è :
EP( iniziale ) = m g z = m g h,
con h altezza da cui parte l’acqua con velocità iniziale nulla,
EC( finale ) = 1 / 2 m v², con v velocità finale raggiunta
dall’acqua e con cui urta le pale della turbina.
A questo punto eguagliando le due relazioni si ottiene:
EP( iniziale ) = m g z = m g h = EC( finale ) = 1 / 2 m v²,
di conseguenza si ricava,
m g h = 1 / 2 m v², la massa scompare dalle due
relazioni, infatti essa si può semplificare, rimanendo,
g h = 1 / 2 v², e da ciò, infine ne sale che,
h = ( 1 / 2g ) v² = ( 40 )2 / ( 2 . 9,8 ) = 81,6 metri, come volevasi dimostrare.
669
9
ESERCIZIO 22 Un proiettile antiaereo viene sparato verticalmente verso
l’alto, con una velocità di uscita di 500 m / s. Calcolare: l’altezza massima che
può raggiungere; il tempo che impiegherà per raggiungere questa altezza; la
velocità istantanea dopo 40 s, dall’inizio del moto, e dopo 60 secondi. Inoltre a
quale istante il proiettile sarà all’altezza di 10.000 metri ? Si trascuri la
resistenza dell’aria.
Hmax in cui il proiettile
ha velocità nulla
FASE di
salita o di
decelerazione
FASE di discesa o
di accelerazione
Come si vede dallo schizzo il moto del proiettile antiaereo si può pensare
costituito da due fasi. Nella prima fase il proiettile decelera esaurendo la sua velocità
iniziale; infatti quando raggiunge l’altezza massima, Hmax, la sua velocità è lì nulla.
A questo punto, nella fase di discesa, il proiettile risente dell’attrazione terrestre e
scende con velocità crescente fino a scontrarsi col terreno. E’ ovvio che nelle due fasi
la decelerazione e l’accelerazione avviene con valore g = 9,8 m / s2.
Per determinare l’altezza massima raggiunta dal proiettile, considero la seguente
relazione: V = - gt + V0, ( è ovvio poiché siamo nella fase di decelerazione ), inoltre
la V finale, ( raggiunta l’altezza massima), è nulla. In base a quanto detto allora
risulta: 0 = - gt + V0, da cui si deduce t = V0 / g = 500 / 9,8 = 51 secondi circa. In
poche parole la salita dura circa 51 secondi.
Con questo dato è possibile valutare la quota o l’altezza raggiunta dal proiettile,
mediante la relazione:
S = - 1 / 2 gt² + V0 t = - 0,5 . 9,8 . ( 51 )2 + 500 . ( 51 ) = circa 12.755 metri.
Si può osservare che il moto complessivo del proiettile ha una durata:
T = 2 t = 2 ( 51 ) = 102 s; infatti nelle due fasi la durata o il tempo della salita e
quello della discesa, deve essere la/lo stessa/o.
La velocità dopo 40 s, ( siamo ancora nella fase di salita, in quanto la salita ha durata
di 51 s ), si ottiene considerando la relazione:
V40 = - gt + V0 = - 9,8 . 40 + 500 = - 392 + 500 = 108 m / s.
La velocità dopo 60 s si può ottenere tenendo conto che, la durata in salita dura 51 s,
pertanto ( 60 – 51 ) s = 9 s, ossia è la velocità dopo 60 s è corrispondente alla velocità
assunta dal proiettile dopo 9 s di discesa. Proprio per questa ragione la velocità
assunta dopo 9 s di discesa è ottenuta come:
770
0
( partendo il proiettile da fermo, V0 = 0 )
V9 = V60 = gt + V0 = 9,8 . 9 = 88,2 m / s.
Dallo schizzo è evidenziato, nella pagina precedente, si capisce che il moto ha un
caratteristico andamento parabolico. Pertanto la quota dei 10.000 metri viene
raggiunta in due istanti distinti, ossia sia in un certo istante, nella fase di salita, sia in
un opportuno istante della fase di discesa. ( vedi ulteriore schizzo )
H = 10.000 METRI
t1
t2
TEMPO
Per ottenere i due tempi indicati occorre applicare la relazione seguente:
S = - 1 / 2 gt² + V0 t = - 0,5 . 9,8 . t² + 500 t =( impongo altezza ) = 10.000 m.
Otteniamo in definitiva un’equazione di secondo grado nell’incognita t, ossia
nell’incognita tempo. ( L’equazione deve essere di secondo grado, essendo due gli
istanti che si stanno cercando ).
Ritornando all’equazione si ha: - 0,5 . 9,8 . t² + 500 t = 10.000, da cui
- 0,5 . 9,8 . t² + 500 t - 10.000 = 0
Cambiando di segno si ricava: 4,9 . t² - 500 t + 10.000 = 0.
Risolvendo l’equazione di secondo grado si ottiene:
t1 = 27,3 secondi e t2 = 74,7 secondi.
In conclusione l’altezza dei 10.000 metri viene raggiunta in fase di salita dopo circa
27 secondi, mentre si raggiunge la stessa quota, dopo ( 74,7 – 51 ) s = 23,7 s, della
fase discesa. Potete Voi procedere alla verifica diretta di questa conclusione.
771
1
ESERCIZIO 23 Un corpo scivola lungo un piano inclinato, privo di attrito, con
inclinazione di 30°. Calcolare la velocità v del corpo dopo essere scivolato
per 8 metri, ( partendo da fermo ), ed il tempo t impiegato a percorrere
questa distanza di 8 metri.
8 metri
 = 30°
Noi sappiamo che in un moto di scivolamento, lungo un piano inclinato,
l’accelerazione del corpo è ridotta rispetto all’accelerazione di gravità.
Di quanto è ridotta ? Tale riduzione dipende dall’inclinazione del piano inclinato
stesso. Nel nostro caso l’accelerazione del moto è data come.
a = g sen  = 9,8 . sen 30°.
In poche parole, il seno dell’angolo di inclinazione, ci esprime di quanto viene ridotta
l’accelerazione di gravità in un moto, lungo un piano inclinato.
Nel nostro caso l’accelerazione del corpo, lungo il piano inclinato, vale:
a = 9,8 . sen 30° = 9,8 . ( 0,5 ) = 4,9 m / s2.
Dapprima, calcoliamo la durata del moto di scivolamento, del corpo, per 8 metri.
La relazione impiegata è quella dei moti accelerati, con accelerazione a, nell’ipotesi
che il corpo parta da fermo o con velocità iniziale nulla:
S = 1 / 2 at² + V0 t = 0,5 . 4,9 . t² = 8,
ne consegue che t² = 8 / 0,5 . 4,9 = 3,26 s2.
Estraendo la radice quadrata si ottiene :
t = 1,8 secondi.
La velocità V raggiunta dal corpo alla fine degli 8 metri, ( partendo da fermo,
V0 = 0 ), è data da:
V = a t + V0 = 4,9 . 1,8 = 8,85 m/ s circa.
772
2
ESERCIZIO 24 Una palla di cannone viene sparata orizzontalmente alla
velocità di 400 m / s, dalla cima di una rupe a picco sul mare, alta 100
metri. In quanto tempo il proiettile cadrà in mare ? A quale distanza dai
piedi della rupe avverrà l’impatto con l’acqua e con quale velocità v ?
h = 100 metri
Lo schizzo mette in luce un aspetto importante del moto, ossia inizialmente il moto è
quasi parallelo alla superficie dell’acqua, poi, il proiettile per effetto della gravità si
incurva, ( secondo una curva parabolica ), per impattare l’acqua ad una certa distanza
dalla rupe. Si ricorda inoltre che la velocità orizzontale e verticale sono indipendenti;
infatti il moto può studiarsi mediante il principio di sovrapposizione. In definitiva il
moto si può pensare come somma di un moto orizzontale e di un moto verticale,
( come lo stesso schizzo mostra ).
Per quanto riguarda il moto verticale è come valutare il tempo che impiega a cadere
un corpo da un’altezza di 100 metri. Perciò scriveremo:
h = 1 / 2 gt² + V0 t = ( dove si ipotizza che la velocità iniziale dell’oggetto sia nulla,
in quanto un corpo cade, verticalmente, quando ha annullato ogni velocità ) =
h = 1 / 2 gt², da cui t2 = 2 . ( 100 ) / 9,8 e perciò si desume che, estraendo la radice
quadrata t = 4,52 s, circa.
E’ evidente che, anche, il moto lungo l’asse delle x si sviluppi nello stesso tempo. In
poche parole il proiettile cade in mare dopo 4,52 secondi circa.
La velocità finale raggiunta, ( una frazione di secondo prima dell’impatto con l’acqua
del mare ), vale: Vy = g t + V0 = 9,8 . 4,52 = 44,3 m/s, circa, in direzione verticale.
A questo punto è possibile valutare il moto lungo l’asse delle x, ossia è possibile
valutare la distanza, dalla rupe, in cui avviene l’impatto con l’acqua. La velocità
773
3
iniziale nella direzione orizzontale, coincide con la velocità con cui il proiettile esce
dalla bocca del cannone, ossia i 400 m / s = Vx, indicati nel testo del problema. Per
determinare la distanza dell’impatto basta applicare la relazione della cinematica, in
cui spazio = velocità per tempo ( o durata del moto ) = 400 . 4,52 = 1.808 metri.
Proprio per questa ragione possiamo dire che la distanza, dalla rupe, in cui avviene
l’impatto è pari a 1808 metri.
Per determinare la velocità V di impatto del proiettile con l’acqua occorre applicare il
calcolo vettoriale, tenendo conto anche di questo disegno:
Vx
V
E’ vero che V = Vx + Vy, ma in realtà il testo
richiede di determinare il modulo della
velocità di impatto. Ma, dalla figura si osserva
che il triangolo, realizzato dai tre vettori, V, Vx
e Vy, è rettangolo e perciò posso applicare il
Vy
teorema di Pitagora, ottenendo:
V=
Vx² + Vy²
=
( 400 )² + ( 44,3 )² = 402,44 m / s.
L’angolo di impatto è espresso da
 = Tg - 1 ( Vy / Vx ) = Tg - 1 ( 44,3 / 400 ) = 6°, 32.
ESERCIZIO 25 Un fucile spara un proiettile con una velocità iniziale di 400
m / s e con un angolo di 30° rispetto all’orizzontale. A quale distanza x il
proiettile incontrerà il terreno ?
Il problema si risolve applicando il Principio di sovrapposizione, tenendo
presente questo disegno:
TRAIETTORIA
QUALITATIVA
proiettile
V
Vy
 = 30°
Vx
774
4
A questo punto è possibile valutare la componente della velocità lungo l’asse
delle x, ossia Vx = V cos 30° = 346,41 m / s e la componente della velocità lungo
l’asse delle y, ossia Vy = V sen 30° = 200 m / s.
La durata del moto si desume quando il proiettile raggiunge il suolo, ( è come
affermare che parte dal suolo per raggiungere il suolo ).
Una volta sparato il proiettile, quando ritorna al suolo il suo spostamento è nullo,
ossia: S = - 1 / 2 gt² + Vy t = 0 = t (- 1 / 2 gt + Vy ). Come si vede una soluzione è
ovvia, ossia porta t = 0, che è l’istante in cui il proiettile viene sparato.
L’altra soluzione si ottiene come: t = 2 Vy / g = 2 . 200 / 9,8 = 40,8 s.
In pratica il proiettile cade al suolo dopo circa 40,8 s. Ora, per determinare, la
distanza da esso percorso, lungo l’asse orizzontale, devo applicare la relazione
fondamentale della cinematica, ossia
S = componente di velocità lungo x per durata del moto =
= Vx . t = 346,41 . 40,8 = 14.140 metri, circa.
ESERCIZIO 26 Un blocco di massa pari a 5 Kg, viene innalzato di 2 m in 3 s.
quanto vale il lavoro in Joule, e quale ne la potenza ?
Ricordiamo che il lavoro si esprime come forza per spostamento. In questo
caso il lavoro corrisponde all’energia potenziale della massa m posta all’altezza di 2
metri, ossia: L = EP = m g h = 5 . 9,8 . 2 = 98 N m = 98 Joule. Il risultato è dunque
equivalente al lavoro che effettua la forza peso, sulla massa data, per spostarla, in
alto, di 2 metri. La potenza richiesta si ottiene come:
P = lavoro / tempo necessario per effettuarlo = 98 / 3 J / s = 32,7 Watt.
775
5
ESERCIZIO 27
Una scala lunga 5 m e di 25 N di peso ha un centro di gravità situato a 2 m di
distanza dal suo estremo inferiore. Nell’estremo superiore porta un peso di 5 N.
Calcolare il lavoro necessario per sollevare la scala dalla posizione orizzontale a
quella verticale, per il suo impiego.
5m
2m
Il disegno superiore vuole mettere in evidenza che il lavoro necessario per
sollevare orizzontalmente la scala, è somma di due lavori, L1 ed L2; dove con L1 si
intende il lavoro per spostare il peso del baricentro della scala, ad un’altezza pari a 2
metri, mentre con L2 si intende il lavoro per spostare il peso, ad esempio di una
vaschetta, piena di un’opportuna attrezzatura, ad un’altezza di 5 metri. In definitiva
si ottiene che: L = L1 + L2 = ( nel nostro caso ) = 25 . 2 + 5 . 5 = 75 N.
Conclusione, per sollevare la scala data, occorre un lavoro di 75 N.
776
6
ESERCIZIO 28 Una slitta viene trascinata per 8 metri lungo il suolo, per
mezzo della trazione di una corda, di valore pari a 75 N. sapendo che l’angolo
fra la corda ed il terreno è di 28°, quanto vale il lavoro prodotto dalla forza ?
Osserviamo la figura:
75 N
28°
Componente forza lungo asse y =
75 sen 28° = 35,21 N
slitta
Componente forza lungo asse x =
75 cos 28° = 66,22 N.
Si ricorda che la componente lungo l’asse verticale, non contribuisce allo
spostamento della slitta, e quindi anche al lavoro.
La forza che contribuisce al moto è quella diretta secondo l’asse delle x, anzi essa è
detta componente attiva. Pertanto, il lavoro è dovuto ad essa e sarà eguale a:
Lavoro = componente forza lungo l’asse delle x per tratto di trascinamento =
( 75 cos 28° ) . 8 = ( 66,22 ) . 8 = 529,8 Watt, circa.
ESERCIZIO 29
Un blocco si muove verso l’alto lungo un piano inclinato di 30° sotto l’azione di
tre forze indicate in figura:
F2
F3
F1
Spostamento effettuato
dalla cassa
F1n
Angoli di 30°
F1s
Dove F1 è orizzontale con modulo di 20 N; F2è normale al piano inclinato con
valore di 10 N; F3 è parallela al piano inclinato stesso con modulo di valore pari
a 15 N. Determinare il lavoro prodotto da ciascuna forza, nell’ipotesi che il
blocco muova il suo baricentro di 3 metri lungo il piano inclinato.
In questo caso, è posso ritenere il lavoro come somma dei lavori L1, L2 ed L3.
777
7
Dove L1 è il lavoro prodotto dalla forza F1, L2 è il lavoro prodotto dalla forza F2 ed
L3 il lavoro prodotto dalla forza F3. Inoltre, dalla figura si osserva che la F2 non
compie nessun lavoro; infatti il lavoro si verifica se e solo se la forza spinge nella
stessa direzione dello spostamento, ( della cassa ); ( l’effetto della F2 è dunque, solo
quello di mantenere premuta la cassa sul piano in cui si muove ). Invece, la forza F1
contribuisce allo spostamento della cassa,
per effetto della sua componente F1s,
( mentre la componente F1n non contribuisce; infatti ha una funzione analoga alla
forza F2 ). Infine, la forza F3, essendo diretta secondo lo spostamento effettuato dalla
cassa, contribuisce interamente al lavoro. In conclusione sarà:
L = F1s . valore spostamento + L2 + F3 . valore dello spostamento =
L = F1s . spostamento blocco + F3 . spostamento blocco, ( dove è necessario
tenere presente che la componente F1s è data come: F1s = F1cos 30° = 17,32 N ), e
perciò
L = 17,32 . 3 + 15 . 3 = circa 100 Joule.
ESERCIZIO 30 Una massa di 2 Kg cade da 4 metri. Si trovi la sua energia
potenziale perduta in JOULE.
La sua energia potenziale si deduce applicando la relazione: EP = m g h, con h
altezza a cui si trova il corpo di massa m. In questo caso sarà:
EP = m g h = 2 . 9,8 . 4 = 78,4 Joule.
ESERCIZIO 31 Un corpo di 5 Kg di massa si muove con una velocità di 3 m / s.
Quanto vale la sua energia cinetica ?
L’energia cinetica si calcola attraverso la seguente relazione: EC = 1 / 2 m v2.
Nel nostro caso sarà: EC = 1 / 2 m v2 = 0,5 . 5 . ( 3 )2 = 22,5 Joule.
ESERCIZIO 32
Una massa scende in caduta libera da un’altezza di 5
metri, trovare la sua energia cinetica in Joule quando raggiunge il suolo e
verificare che tale valore è equivalente alla sua energia potenziale, prima che
esso iniziasse a cadere.
La durata del suo moto si ottiene dalla seguente relazione, S = 1 / 2 gt² + V0 t,
nell’ipotesi che la massa abbia velocità iniziale nulla, l’equazione si riduce alla forma
seguente: S = 1 / 2 gt² = ( con S = 5 metri, altezza di partenza ) = 0,5 . 9,8 t2 = 5,
ossia t2 =( 2 . 5 ) / 9,8 = 1,02 s2, da cui estraendo la radice quadrata, si ottiene t,
durata del moto. In definitiva risulta t = 1,01 s. La durata ci consente di determinare
la sua velocità finale: V = gt + V0 = 9,8 . 1,01 =9,9 m/s circa. Si capisce allora che è:
EC = 1 / 2 m V2 = ( ipotizzando m = 1 Kg ) = 0,5 . ( 9,9 )2 = 49 J. La sua energia
potenziale prima che cadesse dall’altezza di 5 metri, valeva ;
EP = m g h = g h = 9,8 . 5 = 49 J. Come si constata EC = EP = 49 Joule.
778
8
ESERCIZIO 33 Qual’è la potenza media espressa in Watt che viene impiegata
per sollevare una massa di 50 Kg, ad un’altezza di 20 metri in
1 minuto ?
Sistemiamo le unità di misura, poiché ricordo, Noi operiamo nel S.I, salvo
comunicazioni diverse. Pertanto, la durata di 1 minuto deve essere trasformata in
secondi, ossia 1 min = 60 s. Inoltre, ricordo che la potenza media si esprime come
rapporto fra lavoro e tempo impiegato ad effettuarlo. Nel nostro caso il lavoro
corrisponde all’energia potenziale del corpo, ( per portarlo all’altezza di 20 metri ),
diviso il tempo necessario a portarlo a tale altezza, ( i 60 secondi indicati ).
Proprio per questa ragione sarà:
P = Lavoro / tempo = EP / t = = m g h / t = ( 50 . 9,8 . 20 ) / 60 = 163,3 Watt.
ESERCIZIO 34 Un martello di un battipalo colpisce il palo con una velocità di
8 m / s. Qual è l’altezza da cui cade il martello, sull’estremità superiore del
battipalo ? Si trascuri la resistenza dell’aria e quella della guida del battipalo.
Possiamo applicare il principio di conservazione dell’energia, ossia il battipalo
parte con energia potenziale che trasforma tutta in energia cinetica.
Calcolo dell’energia cinetica: EC = 1 / 2 m v2 = 0,5 . m . 8² = 32 m, Joule.
Ora, questa energia cinetica la eguagliamo all’energia potenziale, ottenendo:
EC = 1 / 2 m v2 = 0,5 . m . 8² = 32 m = EP = m g h = 9,8 . m . h, si osservi che il
risultato risulta indipendente dalla massa m; infatti si deduce 9,8 h = 32
ed è possibile ottenere l’altezza da cui parte l’estremità superiore del battipalo, poiché
posso scrivere, h = 3,265 metri circa.
ESERCIZIO 35 Si calcoli la velocità raggiunta da un corpo che scivola, per 25
metri, senza attrito, lungo un piano inclinato di 60°. Si
dimostri che essa è equivalente a quella raggiunta dallo stesso
corpo qualora venga fatto cadere da un’altezza pari a quella
del piano inclinato.
La soluzione la lascio a Voi.
779
9
ESERCIZI RELATIVI AL QUARTO MODULO: sui fenomeni termici
ESERCIZIO 1
Una sbarra di rame misura 8 metri a 15 °C. Qual’ è la
sua variazione di lunghezza se essa viene portata ad una
temperatura di 35 °C ?
Per procedere alla soluzione è necessario determinare la lunghezza assunta dalla
sbarra di rame alla nuova temperatura, ovviamente per effetto della dilatazione
lineare. Inoltre, per effettuare questo calcolo è necessario conoscere il valore del
coefficiente di dilatazione lineare  del rame. ( Dalla tabella proposta, vedi pagina 51,
si legge che  per il rame vale 16 . 10-6 ).
L’equazione della dilatazione lineare ci dice che:
Lt = L0 ( 1 +  t ) , con t = variazione di temperatura, da ciò nel nostro caso sarà,
Lt = 8 ( 1 + 16 . 10-6 . ( 35 – 15 )) = 8 ( 1 + 16 . 10-6 . 20 ) metri = 8 ( 1 + 0,00032 ) =
= 8 . ( 1,00032 ) = 8,00256 metri.
Per ottenere la variazione di lunghezza subita dalla sbarra, devo effettuare la
differenza fra la lunghezza Lt alla nuova temperatura e quella alla temperatura
iniziale L0 , ossia:
 L = Lt - L0 = 8,00256 – 8 = 0,00256 m = 2,56 . 10-3 m = 2,56 mm.
ESERCIZIO 2
La densità del mercurio a 0 °C è 13,60 g / cm3 e il
coefficiente di dilatazione cubico è  Hg = 1,82 . 10-4.
Calcolare la densità del mercurio a 50 °C.
La richiesta non è in contraddizione con quanto detto; infatti la densità di una
sostanza viene definita come: densità =  = massa / volume.
Pertanto, se una sostanza subisce una dilatazione cubica, per effetto di una variazione
di temperatura, la sua densità diminuisce. Indicando con
1 = la densità del
mercurio a 0 °C, 2 = la densità del mercurio a 50 °C, V1 il volume occupato dalla
massa m del mercurio a 0 °C e con V2 il volume occupato dalla stessa massa a 50 °C,
se ne ha che:
massa = densità per volume,
visto che si parla della stessa quantità di sostanza o di massa dovrà risultare,
1 V1 = 2 V2, ossia 2 = 1 V1 / V2, ma V2 è il volume occupato dalla stessa
quantità di mercurio ad una temperatura distinta da quella iniziale, ( in questo caso 0
°C ). Ricordando la relazione sull’effetto della dilatazione cubica, Noi sappiamo che:
V2 = V1 ( 1 +  Hg t ), con t variazione di temperatura subita dal mercurio.
In definitiva sarà:
2 = 1 V1 / V2 = 1 V1 / V1 ( 1 +  Hg t ) = 1 / ( 1 +  Hg t ) =
= 13,60 / ( 1 + 1,82 . 10-4 . 50 ) = 13,60 / ( 1 + 0,0091 ) = 13,60 / 1,0091 =
= circa 13,48 g / cm3.
880
0
ESERCIZIO 3
Determinare il volume occupato da m = 10 g di ossigeno, ( peso
molecolare M = 32 g / mole ), alla pressione di 4,1 atm ed alla
temperatura di 480 K.
In questo caso si dovrà applicare l’equazione di stato dei gas perfetti o ideali:
p V = n R T, con p = pressione del gas, V = volume occupato dal gas, n = numero di
moli, ( dove n si definisce dal rapporto fra la massa e il peso molecolare, ossia
n = m / M ), R = costante universale dei gas, ( il cui valore è 0,082 se si opera in litri
ed atmosfere, mentre ha valore di 8,31 se si opera nel sistema Internazionale ) ed
infine, T = temperatura del gas in gradi Kelvin o gradi assoluti.
Calcoliamo il numero di moli del gas, nel nostro caso è :
n = m / M = 10 / 32 = 0,3125 moli.
L’equazione dei gas perfetti ci consente di ammettere che: V = n R T / p, poiché in
questo esercizio l’incognita è il volume del gas, alla pressione ed alla temperatura
indicate. Si capisce che, il sistema di riferimento non è quello Internazionale, e perciò
il risultato finale sarà espresso in litri, ( e sappiamo anche quale valore attribuire alla
costante universale dei gas R ).
Vi ricordo che il legame fra il volume e la capacità sta nella relazione seguente:
1 litro = 1 dm3.
In conclusione è: V = ( 0,3125 . 0,082 . 480 ) / 4,1 = 12 ,3 / 4,1 = 3 litri.
ESERCIZIO 4
Si calcoli la variazione di energia interna U di un sistema
termodinamico che compie un lavoro di 150 J ed assorbe una
quantità di calore di 50 cal.
In questo esercizio sono le unità di misura ad essere non compatibili. Per determinare
il risultato all’interno del Sistema Internazionale è necessario convertire le calorie in
Joule. Vi ricordo che:
1 cal = 4, 1868 Joule circa.
Pertanto è: 50 cal = 50 . 4,1868 J = circa 209 J.
Il problema dato si risolve applicando il Primo Principio della Termodinamica, in cui
è : Q = L + U e da questa si deduce che, U = Q – L = 209 – 150 = 59 J.
Se ne conclude che, nella trasformazione indicata, la variazione dell’energia
interna U corrisponde a 59 Joule.
881
1
ESERCIZIO 5
Una massa m = 8 grammi di un gas perfetto occupa un
volume di 20,5 litri, alla pressione p = 0,7 atm ed alla
temperatura T = 350 K. Trovare il peso molecolare del gas.
Anche in questo caso è possibile applicare l’equazione dei gas perfetti, ossia
l’equazione p V = n R T = ( m / M ) R T, poiché il numero di moli è esprimibile
come rapporto fra massa e peso molecolare, come visto in un esercizio precedente ).
Inoltre, anche qui si opera all’esterno del sistema Internazionale, in quanto il tutto è
espresso in grammi, in litri ed in atmosfere.
E’ ovvio che si deve risalire al valore di M, perciò dall’equazione precedente deduco
che:
M = m R T / p V = ( 8 . 0,082 . 350 ) / ( 0,7 . 20,5 ) = 229,6 / 14,35 = 16 g / mole.
ESERCIZIO 6
Una massa m di 5 grammi di Idrogeno, con peso molecolare
M = 2 g / mole, alla temperatura di 300 K occupa un volume V
di 5 litri. Si determini la pressione del gas.
Trattando l’idrogeno come un gas perfetto, se ne deduce che:
p = n R T / V = ( m / M ) R T / V = ( 5 . 0,082 . 300 ) / ( 2 . 5 ) =
= 123 / 10 = 12,3 atm.
ESERCIZIO 7
Una mole di gas perfetto, inizialmente in uno stato A, a
pressione pA = 6 atm, si espande fino ad uno stato finale B,
di volume VB = 2 VA ed alla temperatura TB = ( 1 / 3 ) TA.
Trovare il valore finale della pressione.
Attraverso l’equazione dei gas perfetti è possibile inquadrare lo stato dei sistemi nelle
condizioni indicate, ossia
STATO A:
PA VA = n R TA = ( nel nostro caso, essendo n = 1 ) = R T A, da cui
deduco che:
PA = R TA / VA = 6 atm.
STATO B:
PB VB = R TB, da cui PB = R TB / VB = per le ipotesi imposte dal
problema =
= PB = R ( 1 / 3 ) TA / 2 VA = R TA / 6 VA = PA / 6 = 1 atm.
La pressione del gas nello stato B è pari ad una atmosfera.
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2
Si osservi anche questo grafico nel Sistema P – V:
V in litri
litri
Gas nello STATO B
Espansione
2 VA
Gas nello STATO A
VA
1
6
p in atm
Nel caso in cui un gas espande, come si osserva dalla figura, esso aumenta il
volume, ma diminuisce la sua pressione. Se la trasformazione fosse opposta, ossia
diminuisse il volume ed aumentasse la pressione, allora in questo caso si dice che il
sistema termodinamico ha effettuato una compressione.
ESERCIZIO 8
In un recipiente a pareti adiabatiche, ( che non consentono
scambi di calore con l’esterno ), vengono miscelate, una massa
m1 = 50 g di acqua alla temperatura di 20 °C, ed una massa
m2 = 80 g di acqua alla temperatura di 85 °C. Si calcoli la
temperatura finale di equilibrio.
In questo caso è necessario ammettere che i calori scambiati dalle due masse siano
eguali, ossia la quantità di calore ceduta dalla massa d’acqua più calda è eguale alla
quantità di calore assorbita dalla massa d’acqua più fredda. Inoltre, questo è
confermato dal fatto che il recipiente è adiabatico e quindi non vi è scambio di calore
con l’esterno. Ricordando che il calore ceduto è positivo e quello assorbito è negativo
si ha:
Q2 – Q1 = 0, ossia
Q1 = Q2.
Nel nostro caso potremo allora scrivere: Q1 = m1 . c. ( tf – t1 ), con c = calore
specifico dell’acqua e tf = valore finale di equilibrio dopo la miscelazione.
Scriveremo poi, Q2 = m2 . c . ( t2 - tf ).
Visto che deve essereQ1 = Q2, scriveremo allora:
m1 . c. ( tf – t1 ) = m2 . c . ( t2 - tf ), che implica
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3
m1 tf – m1 t1 = m2 t2 – m2 tf , e da ciò si ricava la seguente relazione,
m1 tf + m2 tf = m1 t1 + m2 t2, ossia ( m1 + m2 ) tf = m1 t1 + m2 t2, da cui si
ottiene il valore delle temperatura di equilibrio della miscela,
tf = ( m1 t1 + m2 t2 ) / ( m1 + m2 ).
Applicando al nostro caso quest’ultima relazione se ne ricava che:
tf = ( 50 . 20 + 80 . 85 ) / ( 80 + 50 ) = ( 1.000 + 6.800 ) / 130 = 7.800 / 130 = 60 °C.
La temperatura di equilibrio raggiunta, miscelando le quantità indicate, con le
corrispondenti temperature date, è di 60 °C.
ESERCIZIO 9
Calcolare il rendimento termodinamico ideale di un motore
termico che lavora fra i 100 °C e i 400 °C.
Noi sappiamo che la macchina avente rendimento ideale è la macchina di Carnot. Il
rendimento di questa macchina ideale è legata alla temperatura dei due serbatoi con
cui essa lavora, ossia
ID = 1 – ( Temperatura assoluta del serbatoio più freddo / Temperatura
assoluta del serbatoio più caldo ) = 1 – ( Tf / Tc ).
Nel nostro caso sarà:
ID = 1 – (( 100 + 273) / ( 400 + 273 )) = 1 – ( 373 / 673 ) = 0,44.
In altri termini una macchina ideale che lavora fra due serbatoi, uno a 100 °C e
l’altro a 400 °C, avrebbe un rendimento del 44 %.
Quest’ultima considerazione mette in luce un fatto importantissimo, ossia che
il rendimenti delle macchine termiche reali sono minori di quelle ideali, pertanto
nelle stesse condizioni una macchina termica reale, avrebbe un rendimento
certamente inferiore al 44 %.
ESERCIZIO 10 Quante calorie sono necessarie per riscaldare 100 g di rame da
10 °C a 100 °C ?
Sapendo che il rame ha un calore specifico cCU = 0,093. Come si è detto a lezione,
Noi sappiamo che: Q = m c t, ossia il calore scambiato, ( assorbito o ceduto ) risulta
eguale al prodotto fra la massa, il calore specifico e la variazione di temperatura.
In definitiva sarà: Q = m c t = 100 ( 0,093 ) ( 100 – 90 ) = ( 9,3 ) . ( 90 ) = 837 cal.
Concludendo, per portare 100 grammi di rame da 10 °C a 100 °C sono necessarie 837
calorie.
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ESERCIZIO 11 Se rispetto all’esercizio precedente si fornisse la stessa quantità
di calorie, a 100 grammi di alluminio, quale temperatura
raggiunge alla fine l’alluminio ? Si ricordi che l’alluminio ha
un calore specifico cAl = 0,217.
In questo caso scriviamo l’equazione nel modo seguente:
Q = m c t = m c ( tf – ti ), ( in questo modo si mette in evidenza la temperatura
finale dell’alluminio, una volta che i 100 grammi siano soggetti a quella quantità di
calore vista nell’esercizio precedente ). Si noti che ti indica la temperatura iniziale
dell’alluminio, ossia i 10 °C, visti prima. In questo caso sarà allora:
Q = m cAl ( tf – ti ), se divido ambo i membri per m cAl ottengo la seguente relazione,
( Q / m cAl ) = tf – ti , trasportando ti a primo membro, ne risulta in definitiva,
tf = ( Q / m cAl ) + ti .
Quest’ultima equazione ci consente di risalire alla temperatura finale, raggiunta dai
100 grammi di alluminio, qualora sia ad essa ceduta una quantità di calore pari a 837
calorie. Perciò risulterà : tf = ( ( 837 / 100 ( 0,217 ) ) + 10 = circa ( 38,6 + 10 ) °C =
48,6 °C.
Questo esercizio porta ad una conclusione importante, ossia se a sostanze aventi
calori specifici distinti, si fornisce la stessa quantità di calorie, le due sostanze
prendono certamente due temperature differenti. In particolare la sostanza avente
calore specifico maggiore si scalda molto meno di quella con minore calore specifico.
ESERCIZIO 12
Quanto calore si deve estrarre da 20 grammi di vapore a 100
°C, affinché condensi e si raffreddi ad una temperatura di 20
°C ?
L’esercizio si risolve seguendo due passi. Vediamoli:
PASSO 1 – devo valutare,
il calore necessario sottrarre a 20 g di vapore per condensarlo, mantenendo la sua
temperatura a 100 °C, ma ciò equivale al prodotto della massa per calore di
vaporizzazione o di condensazione della sostanza.
In formule scriveremo:
( QS ) per condensare a 100 °C = m . calore vaporizzazione.
Vi ricordo che il calore di vaporizzazione dell’acqua è pari a 540 cal / g.
Sarà allora: QS = m . calore vaporizzazione = 20 . 540 = 10.800 cal.
PASSO 2– devo valutare:
calore necessario sottrarre all’acqua condensata a 100 °C e portarla a 20 °C. In questo
caso ciò risulta eguale al prodotto della massa per il calore specifico della sostanza
per la variazione di temperatura, che la sostanza stessa effettua. In poche parole
risulterà :
( Qc ) = per portare l’acqua condensata a 100 °C a 20 °C = m . c. ( tf – ti ) =
= 20 ( 1 ) ( 100 – 20 ) = 20 . 80 = 1.600 cal.
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A questo punto il calore complessivamente sottratto, per effettuare la trasformazione
richiesta dall’esercizio, si ottiene come somma dei calori sottratti nei due passi
precedenti, ossia ( QS ) + ( Qc ) = (10.800 + 1.600 ) = 12.400 cal = 12,4 Kcal.
ESERCIZIO 13
La combustione di 5 grammi di coke, innalza la temperatura
di un litro di acqua da 10 °C a 47 °C. Si calcoli il potere
calorifero del coke in Kcal / g.
Ricordiamo che:
il calore specifico dell’acqua c = 1.000 cal / ( Kg °C ) = 1 Kcal / ( Kg °C ), inoltre
Noi sappiamo che, massa diviso volume è uguale alla densità, ma è altresì vero che
densità per volume è uguale alla massa. Proprio per questa ragione si deduce che:
massa acqua =  V = ( 1.000 ) . 10-3 ( ( Kg / m3 ) . m3 ) = 1 Kg;
infatti 1 litro di acqua corrisponde a 1 dm3, 1 dm3 è equivalente a 10-3 m3 di acqua.
I risultati confermano che ad un litro di acqua corrisponde una massa di 1 Kg.
A questo punto possiamo ammettere che:
Q = m c t = m c ( tf – ti ) = 1 . 1 . ( 47 – 10 ) = 37 ( Kg . Kcal °C / Kg °C ) =
Q = 37 Kcal.
Il potere calorifero del coke lo posso ottenere come rapporto fra la quantità di calore
necessaria alla trasformazione, e, la massa di coke impiegata nella stessa
trasformazione, cioè: Q / massa coke impiegata = 37 / 5 Kcal / g = 7,4 Kcal / g.
Conclusione: il potere calorifero Kcoke è uguale a: 7,4 Kcal / grammo.
ESERCIZIO 14
Quanto vale il lavoro in una trasformazione a pressione
costante, in cui P0 = 2 atm, e qualora il sistema
termodinamico passi da un volume iniziale V0 = 4,2 litri
a V1 = 24,2 litri ?
Trattasi di un’espansione a
pressione costante o
espansione ISOBARA
p in atm
4,2
24,2
V in litri
Il lavoro è dato come PRODOTTO fra la pressione e la variazione di volume, ossia:
LISOBARO = P0 . ( Vf – Vi ) = nel nostro caso = 2 ( 24,2 – 4,2 ) = 40 litri atmosfera.
Ricordando che 1 litro . atmosfera equivale a 101 Joule si ottiene che:
40 litri atm = 40 . 101 Joule = 4.040 Joule.
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Vi ricordo qui che il lavoro:
nelle trasformazioni isobare è P0 . ( Vf – Vi );
nelle trasformazioni isocore è nullo;
nelle trasformazioni isoterme è coincidente con il calore scambiato, Q, essendo
nulla la variazione di energia interna. Comunque, si ottiene una relazione utile per la
determinazione del lavoro stesso, attraverso le seguenti considerazioni:
Q = L = p V = ( per l’equazione dei gas perfetti ) = n R T V / V.
E’ possibile dimostrare, cosa che Noi non faremo che, Q = L si può ottenere
attraverso la seguente relazione: L = n R T ln ( Vf / Vi ). Pertanto per le
trasformazioni isoterme è impiegabile, per il calcolo del lavoro la relazione poco
sopra mostrata.
Nel caso delle trasformazioni adiabatiche, non essendoci scambi termici con
l’esterno, il lavoro è uguale ed opposto alla variazione dell’energia interna, cioè:
L + U = 0, questo implica che L = - U. Il cui calcolo spesso non è semplice.
ESERCIZIO 15
Calcolare il lavoro compiuto da 5 moli di idrogeno, che
esegue una trasformazione isoterma alla temperatura T
di 300 K, fino a raddoppiare il volume iniziale.
Si consideri l’idrogeno come un gas ideale.
Per quanto detto poco sopra si ottiene il lavoro impiegando la seguente relazione:
L = n R T ln ( Vf / Vi ) = 5 . 0,082 . 300 ln ( Volume finale / Volume iniziale ) =
= 123 ln ( 2 Vi / Vi ) = 123 ln 2 = circa 85,3 litri atmosfera.
Si osservi che “ ln ” sottintende il logaritmo naturale. Tale logaritmo è facilmente
calcolabile con la macchinetta calcolatrice.
E’ conclusa anche la carrellata relativa all’ultimo modulo di fisica.
Spero gli esercizi Vi aiutino nel ripassare e nel chiarire i vari argomenti. In ogni caso
il mio indirizzo e – mail è di vostra conoscenza e perciò, per qualsiasi dubbio o
chiarimento, poteTe contattarmi.
Un augurio di Buon lavoro, ma anche di Buone Ferie.
Seguirà anche, una scelta di esercizi relativi al corso di ELETTRONICA. Purtroppo,
non so indicarVI in quale periodo verranno inseriti nel sito della scuola. Comunque
spero di inserirli entro la prima settimana di settembre.
Un Arrivederci da Diego Delucca.
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