teoria politica - Aracne editrice

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TEORIA POLITICA

Direttore
Natascia M
Università degli Studi di Macerata
Comitato scientifico
Cristiano Maria B
Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”
José Francisco J D
Universidad Pablo de Olavide
Julien P
Université de Liège
Matteo T
Università di Parma
Gianluca V
Università degli Studi di Macerata
La collana è stata codiretta da Carla Amadio e Natascia Mattucci fino al volume numero , La
critica tra scienza e politica.
TEORIA POLITICA
L’apoliticità non esiste. Tutto è politica
— Thomas Mann
La collana di Teoria politica si propone di accogliere e pubblicare ricerche e studi,
in particolare monografie e volumi collettanei, dedicati alle trasformazioni del “politico” analizzato attraverso le pratiche, le istituzioni, il lessico, le teorie e la storia
delle idee. Si intende offrire spazio anche a lavori inediti che ricostruiscano i mutamenti dello spazio politico attraverso temi quali la sfera pubblica, i cambiamenti che
investono le soggettività politiche (con riferimento alle capacità e ai diritti), la fenomenologia rappresentativa, il simbolismo e la comunicazione politica. Con questa
iniziativa editoriale ci si rivolge a quanti seguono le metamorfosi contemporanee del
“politico” con l’intento critico proprio degli studiosi, teso a intercettare le dinamiche
che si intrecciano nel rapporto società–politica–diritto, e con l’attenzione vigile di
quei lettori che vogliano orientarsi nella comprensione dei fenomeni politici con
strumenti concettuali adeguati alle sfide di un mondo che esige uno sguardo locale,
nazionale e globale.
Opera pubblicata con contributo del Dipartimento di Scienze Umane per la formazione “R.
Massa” dell’Università degli Studi di Milano–Bicocca.
Marco Vanzulli
Teoria e pratica della scienza
del mondo civile
Scritti su Vico
Copyright © MMXVI
Aracne editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Quarto Negroni, 
 Ariccia (RM)
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: dicembre 
Indice

Introduzione

Capitolo I
Caso e necessità nella nuova scienza vichiana
.. Tempo e scienza,  – .. Idea e fenomeno,  – .. La provvidenza,  – .. La posizione della filosofia nella scienza delle nazioni, .

Capitolo II
Leggi e conflitto sociale in Vico

Capitolo III
L’ideale e il fattuale. Sul passaggio in Vico dal De uno alla
Scienza nuova
.. Giustizia e utilità nel De uno,  – .. Ragione ed eguaglianza,  –
.. Natura è nascimento, .

Capitolo IV
Scienza nuova della storia? Il carattere meta–antropologico della
Scienza nuova
.. La nozione di metafisica nella Scienza nuova,  – .. Una meta–antropologia: l’unità del sapere e il sistema delle scienze,  –
.. Il sistema della Scienza nuova e la comparazione,  – .. Le due
sapienze: la sapienza volgare e la sapienza riposta, .

Capitolo V
La natura umana nella Scienza Nuova
.. La “natura umana” nella Scienza nuova,  – .. La natura e il
nascimento,  – .. La comune natura delle nazioni, .

Indice


Capitolo VI
Repubblica popolare e monarchia. La presenza intermittente
della ragion di Stato nel pensiero politico vichiano
.. Monarchia, repubblica popolare e popolo,  – .. La ragion di
Stato,  – .. Monarchia o repubblica popolare, .

Capitolo VII
Il sacro, il mito e il mondo civile. Vico versus il modello archetipico
.. Schelling e Cassirer,  – .. Antropologia irrazionalista. Un
confronto con la posizione vichiana,  – .. Le ragioni di un confronto,  – .. La questione dell’autonomia del sacro e del mito, .

Capitolo VIII
Sentimenti umani naturali e storico–politici. Vico e Rousseau
.. Sentimenti naturali e sentimenti storici nel Discorso sulla disuguaglianza,  – .. Natura e umanità, .

Capitolo IX
La soglia invalicabile della politica. Su Machiavelli e Vico
.. La determinazione del bene civile: politica e scienza,  – .. La
soglia invalicabile della politica: la politica senza scienza,  – .. La
discronia di politica e processo storico, .

Appendice

Bibliografia
Introduzione
I saggi raccolti in questo volume sono stati scritti nell’arco di oltre un
decennio e seguono due linee di ricerca: la prima, che si ritiene fondamentale, verte sulla specificità epistemologica della Scienza nuova,
cioè sull’oggetto e sul metodo del capolavoro vichiano; la seconda
indaga la filosofia politica in essa contenuta. La “scienza nuova” è
tradizionalmente (e sbrigativamente) identificata con la “storia”. Vico
dice però, a chiare lettere, e fin dal titolo, che la “comune natura delle
nazioni”, e non la storia, è l’oggetto inedito di cui si danno i principi
di “scienza nuova”. Non coincidente con nessuna specifica scienza
umana, la «scienza delle nazioni» si costituisce come meta–sapere del
mondo civile, i cui principi fondano tutti gli sparsi oggetti dell’arte
filologica seicentesca e settecentesca — la religione, il mito, il linguaggio, le istituzioni politico–giuridiche, e le loro origini — in un
dominio conoscitivo sistematico, attraverso un’unificazione che è al
tempo stesso ontologica e metodica. Un nuovo sistema delle scienze
si costituisce, infatti, sulla base di un principio ontologico dal valore
universale. Imprescindibile è, sotto questo riguardo, la Degnità XIV
(e le connesse Degnità XV e CVI), con l’indicazione che “natura” è
“nascimento”. Una Degnità che a Croce appariva “confusa”, perché —
scriveva ne La filosofia di Giambattista Vico — «appaiono messi insieme le guise e i tempi, la genesi ideale e la genesi empirica». Proprio
di questo si trattava però, di un esplicito e chiaro abbandono di ogni
eternismo di categorie trascendentali, di ogni logica aprioristica. Su
queste basi si può cogliere il significato dell’unione di “filosofia” e
di “filologia”, della “storia ideal eterna” e delle altre nozioni portanti
della Scienza nuova.
Intrecciata con la determinazione dei principi del sapere, si sviluppa la riflessione storico–politica vichiana, indagine per niente
secondaria all’interno dell’opera del pensatore napoletano, che ha
come centro il conflitto, le sue potenzialità e i modi del suo controllo,
attraverso il grande esempio dell’aspro dissidio secolare della plebe
romana contro la parte aristocratica. L’esito finale che privilegia la
stabilità delle monarchie illuminate della sua epoca, riflesso della


Introduzione
forma di governo dominante nel XVIII secolo europeo, in analogia con l’età augustea, se indagato nelle sue pieghe argomentative,
rivela, al di là della sua apparente linearità, tensioni che restituiscono la drammaticità sottesa alle dinamiche, non solo delle forme di
governo, ma di tutto il “corso di cose umane civili”. La pace delle
monarchie comprende infatti in sé anche forme di acquiescenza, che
contrastano con il carattere delle repubbliche popolari nel momento
in cui fioriscono, ancora forti della generosità e magnanimità delle
fasi finali del conflitto eroico da cui sorgono.
Affermare che l’opera matura vichiana ha come centri nevralgici
la riflessione sulla scienza e quella sulla politica conduce necessariamente ad individuare un terzo tema, e cioè il nesso, delicatissimo,
tra teoria e pratica della Scienza nuova. Un rapporto intensamente
problematico per lo stesso Vico, che, nelle tre edizioni del suo capolavoro, ,  e , riformulerà il motivo della pratica della
teoria, fino agli esiti, se non rassegnati, certo assai meno propositivi
di un ruolo politico dei sapienti, dell’ultima edizione. Un confronto
con Machiavelli sul nesso tra la riflessione e l’azione storico–politica
permette di cogliere in filigrana le specificità della posizione vichiana,
incastonata tra la prima e la piena modernità.
Tutti i saggi precedentemente pubblicati sono stati rivisti e riscritti
per il presente volume. In alcuni casi, le modificazioni sono state
consistenti. Di seguito si indicano le edizioni originali.
Caso e necessità nella nuova scienza vichiana, in «Quaderni Materialisti» 
(), pp. –. Rielaborando questo testo, sono stati abbandonati i cenni di apparentamento della scienza vichiana a una proto–antropologia,
che l’autore non considera più soddisfacenti, non solo per evitare l’equivoco della riconduzione della posizione vichiana a tendenze culturali contemporanee, ma soprattutto per la diminuzione che così si fa
della complessità della Scienza nuova. Si è dunque cercato di mostrare,
più ancora di quanto si fosse già fatto nella versione originale di questo
saggio, tutta la distanza esistente tra la concezione vichiana del sapere
e l’antropologia contemporanea.
Leggi e conflitto sociale in Vico, in «Quaderni Materialisti»  (), pp. –.
Sulla relazione di ideale e fattuale nel passaggio dal «De uno» alla «Scienza nuova», in «Bollettino del Centro di Studi Vichiani»  (), pp. –.
Scienza nuova della storia? Il carattere meta–antropologico della «Scienza nuova».
Questo testo costituiva il terzo capitolo del mio La scienza di Vico. Il sistema del mondo civile, M. V, La scienza di Vico. Il sistema del mon-
Introduzione

do civile, Milano, Mimesis, . Lo si ripubblica qui perché si ritiene
la discussione sull’oggetto scientifico della Scienza nuova la base imprescindibile di ogni ulteriore discussione su quest’opera, e anche perché,
fin dal momento della sua pubblicazione, il volume risultò inspiegabilmente non disponibile, “esaurito” nelle librerie, anche in quelle online.
Una prima pubblicazione del testo si è avuta col titolo Le caractère méta–anthropologique de la Scienza Nuova, in Actes du Colloque «Giambattista
Vico et ses interprétations en France» (Paris–Sorbonne,  et  juin ),
«Revue des Études Italiennes», – (janvier–juin ), pp. –.
La natura umana nella «Scienza Nuova», in «Quaderni Materialisti»  (),
pp. –.
Repubblica popolare e monarchia. La presenza intermittente della ragion di Stato nel pensiero politico vichiano, in M. Vanzulli (a cura di), Razionalità
e modernità in Vico. Atti del convegno internazionale. Università di Milano–Bicocca, – giugno , Mimesis, Milano , pp. –.
Il sacro, il mito e il mondo civile. Vico versus il modello archetipico, appendice del
mio La scienza di Vico. Il sistema del mondo civile, Mimesis, Milano ,
poi, ridotto e modificato in Rosario Diana (a cura di), Le «borie» vichiane
come paradigma euristico. Hybris dei popoli e dei saperi fra moderno e contemporaneo, ISPF Lab, Consiglio Nazionale delle Ricerche, pp. – (ISBN
), pubblicato on–line in data //: http://www.ispflab.cnr.it/system/files/ispf_lab/quaderni/_q/index.html.
Sentimenti umani naturali e storico–politici. Vico e Rousseau è inedito.
La soglia invalicabile della politica. Su Machiavelli e Vico, pubblicato il  aprile
 sul sito di filosofia dell’Università degli Studi di Urbino «Carlo Bo»,
all’indirizzo http://www.uniurb.it/Filosofia/isonomia/storica.htm.
Pubblicato poi come estratto delle pubblicazioni del  di «Isonomia.
Rivista di Filosofia», pp. .
I molti e i pochi in Machiavelli (e oggi) è inedito.
Capitolo I
Caso e necessità nella nuova scienza vichiana
.. Tempo e scienza
Nella congerie degli studi vichiani raramente è stato messo a fuoco quale fosse il tipo di orientamento epistemologico che guidava
la ricerca vichiana. Questo sembra però l’aspetto fondamentale nel
caso di un’opera che si pensava come una Scienza nuova. Prendendo
spunto da un’applicazione delle categorie di necessità e caso allo sviluppo storico delle “nazioni” quale si trova nel capolavoro vichiano,
si cerca qui proprio di chiarire questo tema. A tal fine, il confronto
con l’interpretazione idealistica sarà, ancora una volta, assai utile,
perché, tentando di riportare Vico “a se stesso”, lo si considererà,
non tanto un precursore o un anticipatore, ma un pensatore altamente significativo anche per il pensiero contemporaneo . È pertanto
indispensabile la precisa identificazione delle motivazioni conoscitive
che mossero e animarono il pensiero vichiano, rispetto alle esigenze
di definizione e di costruzione del sapere che — per quanto certo
non riconducibili ad univocità né ad omogeneità d’intenti e di metodi
— furono operanti nella sua epoca.
Ora, la legalità della storia, che si attribuisce comunemente a Vico,
sembra richiamare il concetto di accadere necessario più che quello
di accadere casuale. Nel corso di un’analisi intorno alla natura della
provvidenza vichiana, Karl Löwith ha infatti scritto:
I principi della provvidenza e della libertà sono entrambi parimenti veri
e importanti. Tuttavia è evidente che nella concezione vichiana essi non
hanno lo stesso peso. Il semplice fatto ch’egli consideri la provvidenza
. Sarebbe piuttosto lungo l’elenco degli studiosi che, nei loro lavori, hanno respinto
la caratterizzazione crociana del genio isolato ed incompreso, ricollocando l’opera vichiana
all’interno del contesto culturale in cui si formò e a cui appartenne. Alcuni di loro saranno
comunque menzionati nel corso del presente articolo. Ci permettiamo di rimandare per il
momento a M. V, La scienza delle nazioni e lo spirito dell’idealismo. Su Vico, Croce, Hegel,
Milano, Guerini e Associati, .


Teoria e pratica della scienza del mondo civile
dimostrabile presuppone che essa diriga con necessità incondizionata ciò
che sembra essere prodotto dell’arbitrio e del caso [. . . ]. Egli concepì il
corso della storia [. . . ] come un mondo creato dall’uomo, ma al tempo
stesso culminante in qualcosa che si avvicina più alla necessità del fato che
alla libera scelta. La storia non è soltanto azione libera e decisione, ma è
anche e soprattutto accadimento ed evento. Perciò essa non è univoca, ma
ambigua. La rappresentazione vichiana di questa dialettica di necessità e
libertà nel divenire è efficacissima.
Löwith mette in gioco varie categorie, e non tutte forse sono
pertinenti, sono cioè proprie del discorso vichiano. Il motivo della
libera scelta e della decisione, in particolare, forse non ha posto negli
argomenti della scienza inaugurata da Vico, benché, e lo si citerà più
avanti, Vico tenga presente il fare degli uomini con «intelligenza»
e con «elezione». Comunque sia, la nozione di “storia ideal eterna”
inerisce certo direttamente alla questione della legalità della storia.
Vi è «una storia ideal eterna, sopra la quale corron in tempo le storie
di tutte le nazioni ne’ loro sorgimenti, progressi, stati, decadenze e
fini» .
Questa intera espressione ricorre più volte nelle pagine della
Scienza nuova, e fa riferimento a due piani, distinti e collegati, uno, al
singolare, della “storia ideal eterna”, e un altro, al plurale, delle “storie
delle nazioni”. Com’è da intendersi la natura di questo dualismo?
Come ontologica, quale appare nell’interpretazione idealistica, in
quanto distinzione del piano dell’essenza e di quello del fenomeno?
Oppure, come ci si propone di mostrare, tale distinzione è di natura
prettamente metodologica, in quanto la “storia” ideale eterna si
dissolve, in ultima analisi, senza residui nelle “storie” delle nazioni,
emergendone soltanto come scienza?
La storia ideale eterna trova espressione nelle Degnità, che ne
costituiscono i principi e ne forniscono al tempo stesso i contenuti. Degnità, in quanto traduzione letterale di “assioma”, indica una
verità immediatamente evidente, relativa però non all’ordine delle
conoscenze matematico–geometriche, ma a quello delle conoscenze
antropologiche e storico–sociali. Vico non sta parodiando le scienze
. K. L, Weltgeschichte und Heilgeschehen, Zur Kritik der Geschichtsphi losophie, in I.,
Sämtliche Schriften, Stuttgart, J.B. Metzlersche Verlagsbuchhandlung, Band , , pp. –,
tr. it. di F. T N, Significato e fine della storia. I presupposti teologici della filosofia della
storia, Milano, Il Saggiatore,  (Edizioni di Comunità, ), pp. –.
. G.B. V, Scienza nuova (), in I., Opere, a cura di A. B, Milano, Mondadori,
, p. .
. Caso e necessità nella nuova scienza vichiana

esatte. Intende davvero costruire una nuova scienza — i cui criteri
gnoseologici non possono essere mutuati dalle scienze naturali. Occorre trovarli nella loro specificità. E però il progetto vichiano ha
un’estensione immensa perché la nuova scienza fonda in principio
un campo che dà conto del processo di costituzione dell’umanità
civile e della stessa formazione di tutti i saperi, costumi e istituzioni
in cui essa si realizza. Va a questo proposito menzionato un dato su
cui ci si soffermerà maggiormente in seguito, e cioè che il titolo
completo dell’opera recita: Principi di Scienza nuova d’intorno alla
comune natura delle nazioni. È questa “eterna comun civile natura”
delle cose umane che viene descritta nelle degnità, gli “elementi”
della nuova scienza . Alcune Degnità hanno un carattere universale, si
riferiscono cioè agli uomini in quanto tali, altre si soffermano invece
sulla mentalità di epoche storiche specifiche, altre ancora espongono
il corso tipico delle cose umane. È a queste ultime che qui si deve
ora far cenno. La Degnità LXV afferma: «L’ordine delle cose umane
procedette: che prima furono le selve, dopo i tuguri, quindi i villaggi,
appresso le città, finalmente l’accademie» ; e la successiva Degnità
LXVI: «Gli uomini prima sentono il necessario, dipoi badano all’utile,
appresso avvertiscono il comodo, più innanzi si dilettano del piacere,
quindi si dissolvono nel lusso, e finalmente impazzano in istrappazzar
le sostanze» ; ancora, la successiva Degnità LXVII: «La natura de’
popoli prima è cruda, dipoi severa, quindi benigna, appresso dilicata,
finalmente dissoluta» ; infine, la Degnità LXVIII:
Nel gener umano prima sorgono immani e goffi, qual’i Polifemi; poi magnanimi ed orgogliosi, quali gli Achilli; quindi valorosi e giusti, quali gli Aristidi,
gli Scipioni affricani; più a noi gli appariscenti con grand’immagini di virtù
che s’accompagnano con grandi vizi, ch’appo il popolo fanno strepito di
vera gloria, quali gli Alessandri e i Cesari; più oltre i tristi riflessivi, qual’i
Tiberi; finalmente i furiosi dissoluti e sfacciati, qual’i Caligoli, i Neroni, i
Domiziani [. . . ]. E questa con l’antecedenti Degnità danno una parte de’
princìpi della storia ideale eterna, sulla quale corrono in tempo tutte le
nazioni ne’ loro sorgimenti, progressi, stati, decadenze e fini.
.
.
.
.
.
.
Ivi, p. .
Cfr. ivi, pp.  e .
Ivi, p. .
Ivi, pp. –.
Ivi, p. .
Ibidem. E l’elenco potrebbe continuare. Si vedano in particolare le Degnità LIII e XCII.
Teoria e pratica della scienza del mondo civile

La storia ideale eterna indica dunque la successione delle varie posizioni e la connessione regolare della trasformazione storica,
ossia lo “sviluppo tipico” di qualsiasi civiltà. Secondo le sue linee
storico–politiche generali, tale “ordo” — che è insieme ordo rerum et
idearum — si trova tracciato anche nella Conchiusione dell’opera: per
comprendere la repubblica di Platone, «nella quale gli uomini onesti e dabbene fussero supremi signori», occorre prendere le mosse
«da’ primi incominciamenti delle nazioni». E partendo dai “giganti”,
dispersi “nell’erramento” ferino, con l’atto iniziale fondante l’umanità, la religione del “fulmine”, Vico descrive un processo, basato
fondamentalmente sulle vicende del popolo romano e sulla sua lotta
di classe, che, dopo un percorso secolare, giunge alla “repubblica
popolare”. Quest’ultima, benché sia da Vico descritta in modo assai
positivo, degenera, secondo l’insegnamento platonico, nella corruzione, e la pace sociale lascia il posto alla guerra civile e all’anarchia.
A questa situazione si danno come possibili tre rimedi: o la “monarchia”, in cui uno abbia in mano tutti gli ordini e le leggi con la
forza delle armi, ma, al fine di conservare il potere, renda contento,
nella religione e nella libertà, il popolo; o la “conquista” da parte di
nazioni migliori — perché più virtuose — e più “giovani”; o infine il
“ricorso” .
La storia ideale eterna, dunque, in quanto descrizione dello sviluppo tipico, dell’andamento regolare del processo socioculturale,
sembra indicare una sorta di necessità del divenire e del trasformarsi
delle vicende civili dei popoli. Ma, dal lato della scienza, come procede lo studioso nello scoprire l’ordine di questo divenire? Alcune
Degnità indicano un metodo fondamentalmente genealogico, di tipo
non aprioristico: «Natura di cose altro non è che nascimento di esse
in certi tempi e con certe guise» , recita la Degnità XIV, e la successiva specifica: «Le propietà inseparabili da’ subbietti devon essere
produtte dalla modificazione o guisa con che le cose son nate; per
lo che esse ci possono avverare tale e non altra essere la natura o
nascimento di esse cose» , mentre la Degnità CVI ricorda che: «Le
dottrine debbono cominciare da quando cominciano le materie che
trattano» . Queste tre Degnità vanno ricordate insieme. Il metodo
.
.
.
.
Ivi, pp. –.
Ivi, p. .
Ibidem.
Ivi, p. .
. Caso e necessità nella nuova scienza vichiana

vichiano appare così di tipo genetico–critico, non essenzialistico, nella misura in cui risolve la natura di una cosa nella sua costituzione
genetica, riportandola alla complessità di condizioni che ne hanno
determinato la nascita–natura. La “natura” sorge nel “tempo”. La
“natura” di ogni oggetto dato appartiene interamente all’ordine del
“fenomeno storico” ed esclude il rimando a qualsivoglia altro ordine
di significato. Ciò è quanto stabilisce lo scienziato sociale, che definisce con ciò stesso l’autonomia del proprio ambito disciplinare. In ciò
è da vedersi la vicinanza di Vico al metodo della scienza moderna,
che registra la “guisa”, ovvero il modo, il “come”, fermandosi «sopra certi primi oltre i quali sia stolta la curiosità di domandare altri
primi, che è la vera caratteristica della scienza» . La scienza ricerca
l’uniformità, la tendenza, la costanza, o, con la terminologia vichiana,
l’“eterno”. Occorre infatti «meditare questo mondo di nazioni nella
sua idea eterna, per quella propietà di ciascuna scienza, avvertita da
Aristotile, che scientia debet esse de universalibus et aeternis» .
Come sanno i lettori della Scienza nuova, il suo metodo deve unire
“filosofia” e “filologia”, fino ad allora rimaste separate devono venire
unificate. La “filologia”, il certum, è intesa da Vico in un senso assai
ampio, perché le parole rimandano alle cose, non sono comprensibili
senza le cose che esse significano o significavano e, viceversa, le cose
risultano comprensibili solo attraverso le parole che le significano o
che le significavano. Come mostra lo scavo etimologico, le parole
sono composte di strati che sono gli strati delle cose, cioè, in ultima
analisi, delle vicende storiche . Di esse si occupa dunque la “filologia”: leggi, guerre, commerci, costumi dei popoli, ossia l’insieme
della tradizione storica. Nella Spiegazione della dipintura proposta al
frontispizio con cui si apre la Scienza nuova si trova scritto:
l’etimologie delle lingue natie sieno istorie di cose significate da esse voci
su quest’ordine naturale d’idee, che prima furono le selve, poi i campi colti
e i tuguri, appresso le picciole case e le ville, quindi le città, finalmente
. G.B. V, Scienza nuova (), in I., Opere, cit., p. . Il passo citato si trova nella
Scienza nuova prima, ma è mantenuto quasi inalterato nell’ultima edizione dell’opera (Cfr. ivi,
pp. –). Cfr. anche il commento di Battistini: «Vico dimostra di avere assimilato la lezione
della moderna epistemologia galileiana, le cui leggi, anziché pretendere di risalire, con un salto
nella metafisica, alla causa prima, si contentano di stabilire le norme costanti di relazione tra i
fenomeni ovvero le cause seconde» (ivi, p. ).
. I., Scienza nuova (), cit., p. .
. Cfr. la ricostruzione etimologica del termine lex (ivi, p. ).

Teoria e pratica della scienza del mondo civile
l’accademie e i filosofi (sopra il qual ordine ne devono dalle prime lor origini
camminar i progressi).
Si ritrova, in questo passo sull’etimologia, la Degnità LXV: non
solo le parole significano le cose, ma l’etimologie sono «istorie di
cose» che si modellano su un «ordine naturale d’idee». In ciò consiste
l’unione del certum col verum, cioè della “filologia” con la “filosofia”,
intesa come “regola” di sviluppo, “legge” del corso delle cose umane,
senza la cui luce la “filologia” rimarrebbe un caotico insieme di dati
ordinabili soltanto cronologicamente — e secondo delle cronologie
arbitrarie. Il certum è ciò che è “peculiare”, ma anche ciò che è “conosciuto” e “indubitabile”, mentre il verum è il “commune”, ciò che
appartiene a molti . Del resto, la Scienza nuova si propone appunto il
compito di schiarire la caoticità della tradizione antica e di portare i
cosiddetti “tempi oscuri” al livello di una “conoscenza vera” e “certa”.
Anche la filosofia non può stare però senza la filologia: il verum senza
certum è privo di contenuto e sterile. Vico si vanta di essere stato il
primo a congiungerli. Croce si è entusiasmato per questa reciprocità di storia e filosofia, ha visto in Vico «il secolo decimonono in
germe», cioè un confuso filosofo dello spirito, un genio, nella desolazione culturale dell’Italia della sua epoca, anticipatore dei grandi
temi dell’idealismo storicistico ottocentesco . Da parte nostra, si
tratta di continuare questa disamina, per vedere quale sia in realtà il
rapporto d’implicazione reciproca tra l’ambito del “tempo” e quello
dell’“idea”. Il “tempo” è rappresentato da Tacito, uno storico che
ha saputo cogliere ciò che “è”, descrivendo il carattere particolare
di un popolo, così come avviene ne La Germania. L’“idea” trova il
suo rappresentante in Platone, che ha considerato la società come
“deve” essere, vedendola attraverso la filosofia. Nella Vita scritta da se
medesimo, Vico racconta come, con la lettura di Platone,
incominciò in lui, senz’avvertirlo, a destarsi il pensiero di meditare un diritto
ideale eterno che celebrassesi in una città universale nell’idea o disegno
della providenza, sopra la quale idea son poi fondate tutte le repubbliche di
tutti i tempi, di tutte le nazioni: che era quella repubblica ideale che, in con. Ivi p. .
. Cfr. G.B. V, De antiquissima italorum sapientia in I., Opere filosofiche, a cura di P.
C, Firenze, Sansoni, , pp. –.
. Cfr. B. C, La filosofia di Giambattista Vico, Bari, Laterza,  [], pp. –.
. Caso e necessità nella nuova scienza vichiana

seguenza della sua metafisica, doveva meditar Platone, ma, per l’ignoranza
del primo uom caduto, nol poté fare.
Non ci si deve far ingannare dal riferimento alla mitologia biblica
ebraico–cristiana. La teologia non c’entra niente. Platone non riuscì nel suo intento perché mancò di un metodo genealogico, che
considerasse la stessa società perfetta, anziché come mera costruzione razionale operata da filosofi, come risultato di uno sviluppo
storico che aveva preso le mosse dal «primo uom caduto», cioè —
trasformando il racconto teologico in assunto antropologico — dall’umanità delle origini, dalla condizione pre–sociale, cioè pre–umana.
La considerazione platonica della “repubblica ideale” si trasforma, in
Vico, nel rilevamento storiografico dell’“ordine sociale”, intrinseco
ad ogni cultura e collocabile in un continuo processo. Esso vien
così perdendo ogni valenza aprioristica. A riprova di come l’idea di
Platone non sia da intendersi, in Vico, nel suo significato metafisico,
basterebbe soltanto ricordare come l’autore a cui è attribuita la felice
sistemazione di un sapere unitario sia Grozio, che «pone in sistema
di un dritto universale tutta la filosofia e la filologia» .
Vi è, dunque, un “ordine eterno”, che è «appo tutte le nazioni
uniforme, quantunque sien surte e incominciate in tempi tra loro
differentissimi, ovunque se ne dieno le medesime occasioni delle
stesse umane bisogne, sopra le quali egli ha costanti le sue origini e i
suoi progressi» . L’ordine eterno si dà, in Vico, alla luce di uno sguardo di tipo antropologico, che vede, nelle società umane, comuni, o
universali, momenti formativi e costitutivi, «ovunque se ne dieno le
medesime occasioni delle stesse umane bisogne». Lo sviluppo tipico
non implica, pertanto, la necessità propria di una filosofia dello spirito
— con il dualismo che essa sempre comporta tra il piano dell’essenza
e quello del fenomeno, tra l’universale e l’individuale, tra il razionale
e l’empirico, e in cui, con tutta la sua immanenza, ciò che si manifesta
rimanda sempre a un’origine altra del suo manifestarsi — ma è da
. G.B. V, Vita scritta da se medesimo, in I., Opere, cit., pp. –.
. Ivi, p. .
. G.B. V, Scienza nuova (), cit., p. . Così commenta Battistini: «mentre dunque
i giusnaturalisti ponevano il diritto in una prerogativa immutabile nel tempo perché dettata da
una condizione naturale che esclude differenze tra i primordi dell’umanità e gli attuali tempi
illuminati, per Vico l’eternità consiste nella costanza di una legge evolutiva che tuttavia, pur
passando attraverso le stesse fasi, ammette profonde trasformazioni nel corso del tempo» (ivi,
pp. –).

Teoria e pratica della scienza del mondo civile
intendersi come un registro che, senza coincidere con nessuna di
esse, scorre nelle storie delle nazioni — le quali costituiscono delle
varianti che possono anche allontanarsi sensibilmente dalla regolarità
propria del modello. Eccone un esempio:
I greci filosofi affrettarono il natural corso che far doveva la loro nazione, col
provenirvi essendo ancor cruda la loro barbarie, onde passarono immediatamente ad una somma dilicatezza, e nello stesso tempo serbaronv’intiere
le loro storie favolose così divine com’eroiche; ove i romani, i quali ne’ lor
costumi camminarono con giusto passo, affatto perderono di veduta la loro
storia degli dèi [. . . ] e conservarono con favella volgare la storia eroica che
si stende da Romolo fino alle leggi Publilia e Petelia, che si truoverà una
perpetua mitologia storica dell’età degli eroi di Grecia.
Quindi, i greci costituiscono una variante dello sviluppo tipico,
essendo passati quasi repentinamente da una condizione di barbarie
ad una assai raffinata. Ciò che accadde in Grecia accadde anche in
Francia, «nella quale perché di mezzo alla barbarie del mille e cento
s’aprì la famosa scuola parigina, dove il celebre maestro delle sentenze Piero Lombardo si diede ad insegnare di sottilissima teologia
scolastica, vi restò come un poema omerico la storia di Turpino
vescovo di Parigi, piena di tutte le favole degli eroi di Francia che si
dissero “i paladini”, delle quali s’empieron appresso tanti romanzi e
poemi. E, per tal immaturo passaggio dalla barbarie alle scienze più
sottili, la francese restonne una lingua dilicatissima, talché, di tutte le
viventi, sembra aver restituito a’ nostri tempi l’atticismo de’ greci e
più ch’ogni altra è buona a ragionar delle scienze, come la greca; e
come a’ greci così a’ francesi restarono tanti dittonghi, che son propi
di lingua barbara, dura ancor e difficile a comporre le consonanti
con le vocali» . Lo stesso fenomeno — il fatto cioè che la mitologia
romana non sia giunta fino a noi, e che la sua storia, raccontata in
lingua prosaica, costituisca però, sotto il profilo del contenuto storico,
un analogon della mitologia greca, giunta come favola e come poesia
— ha però una spiegazione anche dal lato della storia romana, e cioè
che Romolo fondò Roma in mezzo ad altre più antiche città del Lazio, e
fondolla con aprirvi l’asilo [. . . ], perché, durando ancora le violenze, egli
naturalmente ordinò la romana sulla pianta sulla quale si erano fondate le
prime città del mondo. Laonde, da tali stessi princìpi progredendo i romani
. G.B. V, Scienza nuova (), cit., pp. –.
. Ibidem.
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