Capitolo secondo UNA MISSIONE DELLA CHIESA VERSO L'UOMO TERRENO Dovremmo ora trarre delle conseguenze in riferimento a ciò che abbiamo fin qui detto circa il luogo che l'umano ha nella realtà totale del fenomeno cristiano: l'umano è stato scelto da Dio come strumento di comunicazione esistenziale di sé, voluto condizionamento nel tempo e nello spazio di quella comunicazione. Abbiamo dettagliato le implicazioni derivanti dalla coscienza che la Chiesa fin dai suoi primi passi ha manifestato di essere fatta di uomini, fenomeno dentro la storia, la società, il mondo. Domandiamoci ora: la presenza della Chiesa nella storia, nella società, nel mondo, da quale funzionalità è definita proprio nei riguardi della storia, della società, del mondo come tali? Qual è la funzione che essa pretende di avere sul corso degli eventi storici come tali? Occorre rispondere bene a questa domanda. La funzionalità della Chiesa sulla scena del mondo è già implicita nella sua consapevolezza di essere prolungamento di Cristo: è cioè la funzionalità stessa di Gesù. La funzione di Gesù nella storia è l'educazione al senso religioso dell'uomo e dell'umanità (proprio per poter «salvare» l'uomo!), dove per religiosità, o senso religioso, intendiamo come già si è detto - la posizione esatta come coscienza e tentativamente come atteggiamento pratico dell'uomo di fronte al suo destino. Nell'orizzonte di questa formula si situa il problema della liberazione che Gesù, il Salvatore, è venuto a portare. La salvezza si genera da una verità di posizione dell'uomo di fronte a se stesso e al suo destino ultimo. Ma la definitiva parola sulla struttura dell'uomo singolo - del nostro «io» – e sulla storia dell'uomo non la possono dire né un'appassionata introspezione, né un'analisi scientifica, né le varie ideologie che ogni epoca crea come proiezione dei suoi sforzi e dei suoi limiti, perché ogni ideologia nella storia sarà bloccata dalle condizioni in cui nasce, sarà irreversibilmente angolata dal punto di vista da cui pure trae vita. L'ultima parola sulla struttura dell'uomo singolo, e perciò sul suo immanente destino, e sulla storia è stata fatta emergere nella storia stessa da Dio: il Verbo si è comunicato all'uomo facendosi carne. 1. L'ultima parola sull'uomo e la storia Questa parola definitiva può essere ricondotta a due espressioni: «persona», o anima, per usare un termine evangelico, e «regno di Dio». La prima espressione sottolinea l'irriducibilità dell'«io» a qualunque schema o categoria: la persona è sorgente di valori, e non è soggetta ad alcuna dipendenza se non quella originale, costituita da Dio. E l'espressione «regno di Dio» coincide con l'affermazione di un significato cui tutto tende, cui tendono tutti i frammenti di vita che ci abbagliano - tanto che, avendone afferrato uno in condizioni fortunate, crediamo di aver raggiunto l'acme del nostro destino, e in presuntuosità tentiamo di affermare il significato di tutto in quel breve tratto che possiamo misurare con la nostra spanna -. È un significato che comprende anche il senso di tutti quei segmenti, di cui noi non comprendiamo neppure l'orientamento - tanto che una generazione non arriva neppure a vedere le coerenze di ciò che ha prodotto nella generazione seguente -; un significato per cui tutto fluisce in un disegno di cui conosciamo già il nome, il volto (non certo lo abbiamo esaurito, come non può esaurire il volto amato chi s'innamora): è il nome e il volto di Gesù, che ricapitolerà in sé ogni cosa, e di cui ogni cosa consta, come diceva san Paolo. Questa parola definitiva salva l'uomo e lo indirizza a una giusta posizione di fronte a se stesso e al mondo, lo toglie dai pericoli di una foresta di inganni crudeli e selvaggi e lo indirizza sulla strada della sua vera libertà, della sua umiltà, cioè della sua religiosità. La Chiesa, come prolungamento di Cristo, pretende di dare all'uomo questa parola: la persona, l'uomo immortale, intangibile, irriducibile, di cui nessuno può disporre a suo talento; in funzione del regno di Dio, l'ordine segreto delle cose, che il tempo può contribuire a oscurare, ma che il tempo conduce verso la sua chiarezza definitiva. 2. Una sollecitazione continua In che cosa consiste dunque questa educazione religiosa dell'umanità, che la Chiesa proclama come suo scopo, per ciò stesso che si riconosce prolungamento di Cristo? È una sollecita preoccupazione pedagogica perché l'uomo abbia ad avere coscienza di quel che Dio è, una preoccupazione che si esprime in richiami continui per condurre l'uomo a vivere questa coscienza di dipendenza totale dal Mistero che ci parla. Perché questa è la legge della vita: la dipendenza dal Padre che in ogni istante formula la nostra vita, sorgente continua del nostro esistere. E un appello appassionato a ricordare ciò per cui io sono irriducibilmente io, partecipazione ontologica all'Essere. La indipendenza dell'uomo è tracciata dal vivere la dipendenza da Dio. La paradossalità di questo non ne toglie la verità: è la dipendenza da Dio che rende me a me stesso, è la dipendenza da un Altro che mi rende libero da tutti gli altri. È la stessa preoccupazione educativa che abbiamo visto in Gesù, l realizzata nel modo con cui si è proposto ai discepoli perché lo riconoscessero: una linea educativa concreta e amorosamente cauta, ma esigente, mai dimentica della necessità costante di valorizzare la situazione in cui la libertà dell'altro si è messa. È la linea pedagogica della rivelazione. La Chiesa non ha mai dimenticato questa sua vocazione educativa e fin dai primi secoli della sua storia i suoi fedeli hanno incarnato tale convinzione nell'immagine - presente in tanti inni e canti di lode - della madre. Si dice ancor oggi, infatti, «Santa madre Chiesa». In questa madre premurosa, cantata dai martiri e dai Padri della Chiesa, Cristo continua la sua pedagogia per riportare l'uomo a se stesso, cioè al Padre che lo ama e non vuole perderlo. Ascoltiamo le parole di Ambrogio di Milano: «Ecco la donna, madre di tutti i viventi. Ecco la casa spirituale. Ecco la città che permane in eterno perché si è scordata della morte». 2 L'immagine della madre si accosta a quella familiare dei muri di casa e della cinta a protezione delle città, all'interno della quale il pericolo è più lontano. Immagini di una cura attenta alla vita umana, che è la cura di Dio stesso fatto uomo. Come dice Gottschalk di Limburg, un autore del primo Medioevo, in una sequenza di lode a Cristo composta per l'ottava dell'Epifania: «Disponendo, plasmando, tu ci formi come un artista in una bellezza variopinta, [...] tu rendi robusta la vita umana che è come vaso di terracotta». 3 La Chiesa eredita dunque le preoccupazioni amorevoli di Dio stesso e conquista così il titolo di madre. In uno degli inni più belli da lui dedicati alla Chiesa, Agostino esclama: «Veramente, o Chiesa cattolica, tu sola sei la madre dei cristiani. Tu ci insegni come si adora Dio in un modo limpido e puro, e ci dici che la vita beata consiste nel tornare a casa tua. Infatti tu ci mostri che non esiste alcuna creatura di fronte alla quale dovremmo inchinarci in un sottomesso atteggiamento di adorazione».4 Agostino compone questo canto ancora sotto l'impressione della sua recente conversione: è il sollievo di chi ha ritrovato la strada di casa, di chi sa di essere ormai nelle mani di una madre piena di premure, capace di far fronte alla vita quotidiana. Ma, soprattutto, la Chiesa è madre attraverso le preghiere che da lei si levano a Dio, che lo Spirito di Gesù suscita perché noi neppure di chiedere siamo capaci. La funzione della Chiesa nella storia, dunque, è il materno richiamo alla realtà delle cose: la dipendenza dell'uomo da Dio, un Dio misericordioso. E come una madre aiuta nel concreto i suoi piccoli, il richiamo della Chiesa, lo vedremo in seguito, non è teorico, ma è come qualcosa che fa balenare la salvezza a un naufrago, l'appoggio essenziale a chi ha le gambe malferme: «La misericordia di Dio è una fune lunga e forte, e non è mai tardi per aggrapparvisi»,5 fa dire Bruce Marshall a un suo personaggio. Per questo l'incessante richiamo della Chiesa alla educazione religiosa autentica dell'umanità è una dimensione che, nel riconoscimento leale della propria dipendenza, trova anche la speranza nella misericordia di chi ha creato, trova la salvezza come una fune tesa per te, trova espressa la figura di un uomo che non è solo, che per definizione è in compagnia di un Altro che gli è Padre. Per questo, quando hanno chiesto a Gesù come avrebbero dovuto pregare, Egli non ha trovato di meglio entro l'orizzonte delle esperienze umane che mostrare l'uomo come un figlio tra le braccia dei suoi e ha risposto di rivolgersi a Dio chiamandolo Padre, e Padre «nostro». L'uomo si definisce così nei termini di una compagnia che implica l'origine stessa delle cose e sta con gli altri uomini. Se questo nesso si oblitera, l'uomo nella compagine sociale smarrisce se stesso. È dunque necessaria l'inesausta sollecitazione della Chiesa che ci difende cosi da quell'isolamento per cui si può essere tanto facilmente strumentalizzati. Solo la religiosità vera, infatti, è limite a qualunque tipo di invadenza e strumentalizzazione, perfino a quella ecclesiastica. Concludiamo con l'osservazione sintetica di Guardini: «Or dunque: la Chiesa pone sempre di nuovo l'uomo davanti a quel fatto, che lo porta al retto atteggiamento: davanti all'Assoluto. Pone l'uomo davanti all'Assoluto: allora questi diviene cosciente di non essere egli stesso illimitato, ma nasce in lui il desiderio di un' esistenza libera dalle mille dipendenze della vita terrena, giunta alla pienezza interiore. Lo pone davanti all'eterno. E allora diviene consapevole di essere perituro, ma destinato a vita immortale. Lo pone davanti all'infinito ed egli si fa intimamente consapevole di essere finito in tutto il suo essere, ma che solo l'infinito lo appaga».6 3. La posizione ottimale per affrontare i problemi umani La Chiesa dunque sollecita a un «retto atteggiamento» nei confronti di se stessi e dell'esistenza, richiama, come una madre pratica della vita, al realismo, ad agire in modo tale da ricordarsi come stiano effettivamente le cose. La Chiesa sola dice la parola definitiva, che Dio stesso ha voluto entrasse nella storia, sulla nostra personale struttura, sul destino nostro, sul destino comune dell'umanità. Tutti noi, però, avvertiamo i problemi che sono la stoffa delle nostre ore e delle nostre giornate, problemi grandi e piccoli. E se c'è un impeto che segna ogni vita, è l'impeto a risolverli. Filosofie e ideologie, realtà sociali e politiche propongono delle soluzioni. La Chiesa indica la posizione ottimale per affrontare i problemi umani. Se è vissuta la coscienza della dipendenza originale, che è la verità prima e suprema, tutti i problemi si situeranno in una condizione più facilitante la soluzione. Non sono risolti, ma in condizione favorevole perché lo siano. Potremmo riferirci alle soluzioni dei diversi problemi dell'umanità come alla costruzione di un palazzo: il senso religioso al quale la Chiesa richiama è come il necessario test del terreno per arrivare al punto più solido dove far sorgere il palazzo. Se queste rilevazioni danno un buon risultato, si può costruire e la casa resisterà al tempo, se si sbaglia il test o se si cominciano i lavori senza essere sicuri di aver trovato un terreno adatto, allora, dopo qualche anno, la casa denuncerà questo errore di base. È il paragone fatto da Gesù stesso.7 Oppure, se si è nella situazione di dover sollevare un grosso peso, vi saranno posizioni più facilitanti questo compito, altre meno, e altre ancora che rendono addirittura impossibile il sollevamento, come nell'uso di una leva. Analogamente, se l'uomo si colloca nella posizione giusta, potrà affrontare il problema e cercare di risolverlo, se non è nella posizione giusta, la possibilità di affrontare i problemi si complica. Infatti Gesù dirà ai suoi discepoli: «In verità vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del Vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna». 8 E lo diceva riferendosi a un episodio in cui un giovane, che Egli da subito aveva guardato con amore, di fronte alla sua proposta di lasciare tutto per seguirlo, tristemente rinuncia, perché molto attaccato alle sue ricchezze. Vale a dire: il giusto atteggiamento potrebbe anche voler dire un distacco dal proprio punto di vista, o da quel segmento di vita che si vorrebbe afferrare come fosse tutto, ma se tale distacco si realizza, esso genera una nuova vera ricchezza, un nuovo vero possesso delle cose e degli affetti. La salvezza perciò operata da quel giusto atteggiamento incomincia, e con abbondanza - «cento volte tanto» -, nel tempo presente, secondo la fisionomia dell'impegno e della storia di ognuno. Questo è il significato del richiamo della Chiesa in riferimento alla molteplicità dei problemi umani: è un richiamo al fatto di un rapporto che costituisce originariamente la capacità fondamentale della nostra persona e dell'intera storia dell'umanità. E il rispetto, l'adesione, la serietà e l'amore con cui si traccia questo rapporto costituiscono anche la stabilità e il fondamento di ogni tentativo di costruzione dell'uomo, di ogni tentativo di soluzione dei suoi problemi. Fa parte dell'esperienza di ciascuno il fatto che tanti problemi ci si alterano fra le mani, proprio mentre ci dibattiamo per risolverli, aumentano anziché sfumare, si complicano anziché mostrare con semplicità la loro vera origine. Il motivo è che non siamo orientati alla nostra origine noi, altrimenti avremmo per quei problemi uno sguardo che ne farebbe emergere il lato costruibile, o uno sguardo che ce li farebbe accettare, o uno sguardo, infine, che rivolto a noi stessi ci farebbe trovare la forza di chiedere aiuto. Sarebbe, infatti, uno sguardo diretto a Qualcosa di più grande del singolo problema, che a tutto potrebbe conferire la prospettiva di un cammino buono. 4. I problemi dell'uomo Possiamo, sintetizzando, ricondurre tutta la gamma degli umani problemi a quattro grandi categorie fondamentali. La categoria della cultura convoca nel suo orizzonte tutti i problemi connessi alla ricerca della verità e del senso della realtà. Tale categoria svela come l'uomo si concepisca davanti al proprio destino, poiché è in base alla posizione che uno ha di fronte al proprio destino che mobilita e utilizza gli elementi della propria esistenza. Alla categoria dell'amore si possono ricondurre i problemi che l'uomo sperimenta relativi alla propria continua ricerca di completezza personale. Mentre l'esigenza dell'uomo di esprimere la propria personalità, con le sue aspettative di incidere sulla realtà di tempo e di spazio che ha da vivere, porta a quei problemi riconducibili alla categoria del lavoro. Il problema, sinteticamente indicato, della convivenza umana, infine, con il suo ventaglio di comprensività e difficoltà, può essere annoverato tra quelli categorizzabili con il termine politica. Ognuna di queste categorie raggruppa in sé le differenti sfaccettature degli ostacoli e delle problematiche che l'uomo si trova a dover affrontare nel suo cammino, e il singolo ne è in ogni caso determinato, comunque abbia pensato di poter risolvere, o dimenticare, o addirittura reprimere le esigenze fondamentali che esse rappresentano. Se la Chiesa conclamasse come suo scopo quello di battere in breccia lo sforzo umano di promozione, di espressione, di ricerca, farebbe, per riandare all'immagine della madre che abbiamo appena evocato, come quei genitori che si illudono di risolvere i problemi dei figli sostituendosi a loro. Sarebbe anche per la Chiesa un'illusione, poiché verrebbe cosi meno al suo compito educativo. Vale per la Chiesa, infatti, ciò che ho avuto modo di riferire al singolo educatore nel Rischio educativo.9 Sarebbe inoltre, da una parte, svilire la storia essenziale propria del fenomeno cristiano, dall'altra, depauperare il cammino dell'uomo. 10 5. La Chiesa non ha come compito la soluzione dei problemi umani La Chiesa, dunque, non ha come compito diretto il fornire all'uomo la soluzione dei problemi che egli incontra lungo il suo cammino. Abbiamo visto che la funzione che essa dichiara sua nella storia è l'educazione al senso religioso dell'umanità e abbiamo visto anche come ciò implichi il richiamo a un giusto atteggiamento dell'uomo di fronte al reale e ai suoi interrogativi, giusto atteggiamento che costituisce la condizione ottimale per trovare più adeguate risposte a quegli interrogativi. Abbiamo anche appena sottolineato che la gamma dei problemi umani non potrebbe essere sottratta alla libertà e alla creatività dell'uomo, quasi che la Chiesa dovesse dar loro una soluzione già confezionata, perché in questo modo essa verrebbe meno al suo primigenio atteggiamento educativo e toglierebbe valore a quel tempo che l'uomo coinvolto dall'iniziativa «storica» di Dio deve essere chiamato anzi a considerare profondamente «sacro». C'è nel Vangelo un episodio da questo punto di vista illuminante. «Uno della folla gli disse: "Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità". Ma Egli rispose: "O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?". E disse loro: "Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni"».11 Certamente quest'episodio ci suggerisce anzitutto che, benché la cosa sia riportata solo da Luca, non doveva essere inusuale che qualcuno si riferisse a Gesù, come spesso si faceva con coloro che si riconoscevano maestri, per risolvere liti e controversie. Tanto è istintivo nell'uomo pensare di aver trovato la sorgente di soluzione dei problemi! Gesù sgombera subito il campo da quest'equivoco e, proprio Lui che si era manifestato più volte giudice autorevole dei peccati dell'uomo sfidando l'opinione pubblica e osando perdonarli, in questo caso tiene a dichiarare decisamente che non tocca a Lui arbitrare quella questione. Certo il suo interlocutore deve essere rimasto sconcertato, e Gesù subito non tralascia di adempiere ciò che a Lui invece tocca fare. Non attaccatevi a ciò da cui la vostra vita non dipende, richiama, e con questo mette a nudo quello che per tutti e due i fratelli in lite sarebbe stato l'atteggiamento giusto: non lasciarsi dominare dal desiderio della ricchezza, ricordarsi che la propria vita dipende da Dio, come chiarirà nella parabola che narra subito dopo, definendo come sia più intelligente arricchire «davanti a Dio», piuttosto che accumulare tesori «per sé».12 E, forse, quell'amore al denaro che ingiustamente faceva trattenere al fratello la parte di eredità che non gli sarebbe spettata, era lo stesso amore al denaro presente nell'altro fratello che reclamava i suoi diritti. Gesù è venuto a dirci quale sia, di fronte a ogni problema, l'atteggiamento autenticamente religioso e perciò vero nella sua radice. Gesù, dunque, di fronte al fratello ignobilmente diseredato dal fratello, sente di dover richiamare tutti e due alla libertà, definendo la qualità che il nostro atteggiamento nei confronti delle ricchezze di questo mondo deve avere: «La sua vita non dipende dai suoi beni». Cristo, come la Chiesa - sua continuazione -, non è venuto a risolvere i problemi della giustizia, ma a porre nel cuore dell'uomo quella condizione senza la quale la giustizia di questo mondo potrebbe avere la stessa radice dell'ingiustizia. 6. Le facilitazioni della libertà rettamente impostata Non è comunque uguale a zero la funzione di Cristo e della Chiesa nei riguardi dei problemi degli uomini. Come abbiamo già ricordato, da essi gli uomini vengono sollecitati a quei principi e a quelle condizioni, non perdendo di vista i quali tutto si trova a poter essere affrontato con verità e quindi con più rendimento. È, per esempio, il richiamo al valore della persona dell'altro - carità - o al contesto nel quale il denaro deve trovare il suo posto con misura, che, ascoltato, rende meno facile lasciarsi andare ai delitti derivanti dall'odio e dalla cupidigia. Certo, non è la formula magica per evitare meccanicamente tali delitti, ma è il fondamento perché la soluzione sia più facilmente umana, non fittizia e non unilaterale. È un fermento indispensabile, senza del quale la pasta di frumento della vita risulterebbe indigesta. Ma è un inizio per la costruzione, non è già tutto. Comprensività di tutti gli aspetti, equilibrio nella soluzione, stabilità nella soluzione avvenuta, fecondità dopo. Queste possono essere alcune connotazioni dell'umanità che tutte le soluzioni dei nostri problemi devono cercare di avere. Nella misura in cui questa umanità è dimenticata in qualcuno dei suoi aspetti, qualcosa della costruzione potrebbe crollare, minacciando di seppellire sotto le sue macerie l'uomo stesso. Da ultimo, va riaffermato che proprio la libertà è il sintomo essenziale dell'umanità della soluzione: la libertà nel suo senso pregnante, potente e completo, quella cui Cristo e la Chiesa richiamano, quella dell'uomo vigile, con l'occhio attento e l'animo spalancato di fronte alla sua origine e al suo destino, quella libertà per cui l'intelligenza non può essere fermata da nulla, per cui la volontà non è frenata da nessun termine di amore equivoco, per cui la sensibilità accompagna l'una e l'altra con il vigore di una pazienza inesauribile. Dunque si può ben dire che la Chiesa conduce l'uomo alla soluzione dei suoi problemi, in quanto - a parità di condizioni - l'uomo riesce in modo più duraturo, completo, realistico nella misura in cui ha un atteggiamento, almeno implicitamente, autenticamente religioso, quello che Gesù è venuto a indicarci. 7. Il lavoro di ogni uomo Nel corso della vicenda terrena la soluzione dei singoli problemi deve essere cercata dall'uomo, lo sforzo risolutivo deve essere applicato a quelle quattro categorie di problematiche. Questo è il compito dell'uomo singolo e dell'uomo nel suo contesto storicosociale, nel concreto della storia personale, nelle contingenze della storia sociale e politica. Tale compito è affidato alla sua libertà dentro la libertà del disegno di Dio che si attua nella storia.13 Libertà e storia: l'uomo è all'interno di una possibilità di soluzione, perché Dio non ci ha immesso nel flusso del tempo senza una ragione. Ma la possibilità esauriente di soluzione non è dentro il meccanismo concepito dall'uomo, e non viene neppure dall'esterno, dalle cose. Tale possibilità è affidata alla tua libertà di mettere te stesso e le cose o le circostanze che creano il problema in nesso con il fondamento della vita. Dio non obbliga l'uomo a essere se stesso se l'uomo non lo vuole. Glielo chiede, però, lo incita a questo, lo richiama continuamente. E così la Chiesa ci sprona ad attuare le condizioni dell'atteggiamento religioso che realizzano quel nesso e facilitano il lavoro dell'uomo nella storia. Infatti, se si affronta sinceramente quella condizione cui richiama la Chiesa, non si tarda a sperimentare un'energia e una fierezza nel mettersi al lavoro con una intensità tutta particolare. Se, al contrario, un cristiano crede di vivere la condizione religiosa richiamata dalla Chiesa senza impegnarsi nell'applicarla in se stesso per la soluzione dei suoi problemi, ribalta fuori dal tempo il fatto cristiano, perché ciò che evita i problemi è fuori dal tempo, visto che il destino si gioca nel tempo e nello spazio e tutto nel tempo e nello spazio si rende problema. La Chiesa è viva e si pone davanti agli occhi di una generazione, esprimendo tutto lo spettro delle sue risorse vitali esattamente nella misura in cui i cristiani vivono il fondamento della propria religiosità e sentono il dovere di essere impegnati nel contesto del tempo e dello spazio che disegna il loro problema di uomini. «L'attualità del Vangelo - diceva Chenu - passa attraverso i problemi degli uomini», 14 e quanto più il cristiano è impegnato nella soluzione dei problemi umani, tanto più diventa segno «della coerenza del Vangelo con la speranza degli uomini». 15 Dalla Chiesa, perciò, ci proviene questa affermazione assoluta e intransigente di religiosità, che è la pietra angolare della nostra vita e della nostra società. Essa non solo non è astratta, perché è fondamento di una costruzione che spetta a ognuno di noi; ma l'equi1ibrio, la sicurezza, la solidità e la fecondità di quella affermazione facilitano e addirittura ci spingono nelle pieghe della storia, nella concretezza dei problemi alla ricerca di soluzioni. In una storia in cui Dio si è incarnato, come prova del suo amore per gli uomini, l'essere impegnati nei problemi che il tempo ci pone è la prima forma di carità. 8. La religiosità non sarà mai integralmente vissuta nella storia Come una madre accorta, la Chiesa ha però dell'uomo e della storia una concezione estremamente realistica. Essa, nel momento in cui insiste perché si rispetti la condizione dell'atteggiamento religioso, sa che la linea evolutiva della storia - che da quell'atteggiamento potrebbe essere semplificata - sarà comunque complicata anche dalla mancanza di libertà dell'uomo. Nella storia, perciò, l'uomo spesso non accetterà di vivere quell'atteggiamento religioso e, anche quando lo accettasse, non sempre riuscirà a mantenersi in tale atteggiamento. La religiosità quindi non sarà vissuta adeguatamente nel tempo. Ogni Messa, infatti, ogni giorno, in tutto il mondo, inizia con la confessione dei propri peccati, con il riconoscimento di una libertà che non si è mantenuta nel retto atteggiamento. Fino a che il mondo ci sarà, le comunità dei credenti saranno invitate dalla Chiesa a iniziare le loro riunioni con quel Confiteor, segno della inadeguatezza della libertà umana al destino, sproporzione immanente che seguirà fino all'ultimo la storia dell'uomo. È la dottrina misteriosa, ma nello stesso tempo sperimentabile, del «peccato originale». La figura dell'anticristo, o dei falsi-cristi, nel Nuovo Testamento 16 è posta alla fine dei tempi per segnalare che, nella visione cristiana della storia, la lotta tra il bene e il male sarà combattuta fino all'ultimo istante, simbolo di un'ambiguità che sussisterà sempre e anzi crescerà. Quanto più l'evoluzione dell'umanità progredisce tanto più mostra l'ambivalenza, la capacità di bene e la capacità di male, il valore e il disvalore. È una ambivalenza che sempre si mostra per mettere in gioco la libertà, l'adesione al vero. Così Cristo, nell'immagine di un'ultima ora di Gerusalemme, che racchiude in sé il senso dell'ora decisiva di tutte le nostre vite e dell'intera storia, avverte i suoi: «Allora se qualcuno vi dirà: Ecco, il Cristo è qui, o: E là, non ci credete. Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti [...] Come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, cosl sarà la venuta del Figlio dell'uomo».17 In questo contesto di ambiguità, nella compresenza del bene e del male che ci seguirà fino alla fine, siamo avvertiti che c'è qualcosa cui non si deve credere, falso, che si appropria cioè di attributi non suoi, e qualcosa invece che si proporrà alla nostra fiducia, il fulmine che attraversa il cielo, la luce di Cristo. Ma siamo avvertiti che questa non si imporrà meccanicamente, non saremo mai «costretti» a riconoscere: i falsi profeti potranno sempre ingannare, Cristo che viene potrebbe essere considerato meno smagliante dei prodigi dei falsi cristi. Per la sicurezza del riconoscere nulla potrà sostituire l'umile abitudine al retto atteggiamento che la Chiesa nei secoli richiama. La religiosità rende saggi di fronte alla enigmatica figura del male che attende gli uomini alla fine della strada, o alla fine di ogni tratto di strada: senza eliminarla, perché il limite che alla nostra libertà sopraggiunge al di là del suo essere creatura (limite dovuto a una scelta originale del primo uomo e che la tradizione della Chiesa chiama, appunto, «peccato originale») non sosterrà a lungo la rettitudine dell'atteggiamento religioso, al punto che la sollecita previdenza della Chiesa insiste che il cristiano la mendichi continuamente da Dio. Soprattutto per questa mancanza, i problemi umani avranno sempre degli aspetti irrisolti, porteranno sempre dei pesi di complicazione, proprio perché il giusto atteggiamento di fronte al reale, ispirato da Cristo, da parte dell'uomo non sarà sempre adeguatamente rispettato. 9. La tensione morale del cristiano Allora, ci si potrebbe domandare: visto che per risolvere bene i problemi occorre l'atteggiamento religioso richiamato dalla Chiesa e visto che tale atteggiamento religioso non sarà mai fino in fondo vissuto dalla nostra libertà, come si può fare? La concezione della vita umana che la Chiesa propone è quella di una tensione, come una vigilanza simile a quella di una sentinella che sugli spalti bada al minimo rumore, o, secondo l'immagine del pellegrino, come cammino verso una meta. Ognuno, nella misura in cui ama la propria umanità e vive l'orizzonte di una coscienza cristiana, si deve continuamente sforzare - e da ciò deriva la parola «ascesi» - di affrontare i problemi umani dal punto di vista di una religiosità autentica. Così Guardini descrive la tensione morale del cristiano che la Chiesa sollecita: «La Chiesa s'appella sempre in lui a quella tensione che è in fondo al suo essere: fra essere e desiderio, realtà e compito, e la risolve col mistero della immagine e somiglianza di Dio e dell'amore divino, che, nella sua pienezza, dona quello che sorpassa ogni natura». 18 Così, l'uomo cristiano - homo viator, l'uomo viandante, secondo la stupenda espressione della cristianità medievale - è consapevole del fatto che la vita è un cammino, è un andare verso il proprio traguardo, e che la soluzione totale sta al fondo di tutti i problemi ed è opera di Dio, non più nostra. Noi siamo incapaci di fronte alla inestinguibile sete del nostro destino e del nostro traguardo, ed è solo la potenza di Dio che ci può completare. Ma la ricerca di una completezza sempre maggiore, la ricerca del meglio, quanto si può, questo caratterizza in ogni istante la grandezza del cristiano, caratterizza in ogni istante l'invito che ci fa la Chiesa, e con ciò la misura del nostro essere cristiani. È quindi un impegno senza limite e senza tregua. Ricordiamo la parabola narrata da Gesù, in cui si mettono a confronto due atteggiamenti morali: quello di un fariseo e quello di un pubblicano. E ricordiamo che i farisei si consideravano i fedeli custodi delle leggi divine, mentre i pubblicani, che riscuotevano le imposte per conto dell'impero romano, erano additati pubblicamente come peccatori. È Luca che riporta il noto racconto di Gesù: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava cos1 tra sé: "O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano [ ... ]". Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: "O Dio, abbi pietà di me peccatore"». 19 E Gesù condanna l'atteggiamento morale del fariseo. Perché? Perché egli è contento di sé, sfugge e rinnega la tensione della sua vita, mentre il pubblicano, in fondo, la esprime nella sua formula più elementare che è il disagio doloroso di sé. In questa tensione è racchiusa la concezione morale che la Chiesa addita all'uomo. E non c'è nulla di più contrario a questo che la figura di chi si acquieta in una soddisfazione di sé o spera in una possibile felicità contingente. C'è un segno sperimentale di questa ricerca continua nell'uomo cristiano della verità di se stesso, e quindi della verità del mondo. Gesù l'ha indicato con la parola «pace». Uno dei più bei commenti a questo aspetto della antropologia cristiana è la preghiera che nella Messa recita il sacerdote, dopo che l'assemblea ha terminato il Padre nostro: «Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni, e con l'aiuto della tua misericordia vivremo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento, nell'attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo». Tutti gli elementi di una tensione morale sono qui contenuti: il riconoscimento della dipendenza dal Dio che mi ha creato, nelle cui mani sto senza timore, l'affermazione che la consistenza della vita è un Altro e che perciò la speranza del destino è un Altro, la necessità di vivere un'attesa, e perciò una ricerca, un cammino in cui un vuoto è sempre da colmare. Così, la tensione ad affermare il reale secondo lo sguardo di Cristo è il fondamento della pace. Non ci può essere durata di questa pace se non ci si appoggia alla consistenza ultima della realtà, cioè al Mistero che fa le cose, a Dio, al Padre. Senza questo contesto ultimo la pace è fragilissima e si deteriora in ansia. Diversa è la fatica della fedeltà nel seguire il vero: questa è lotta, che non è contraria alla pace, può essere un dolore o un grave peso, ma non è ansietà. L'ansia è una menzogna che continuamente risorge e s'annida a impedire l'adesione a ciò che nella nostra coscienza è emerso come vero. La pace è una guerra, ma con se stessi. Per questo un cristiano non può testimoniare l'annuncio acquietandosi nella facile affermazione della sua fede: la religiosità autentica che Gesù ha portato nella storia umana, e che la sua Chiesa continua a proporci, è profondamente incidente sulla storia. Per essa il soggetto umano è posto di fronte ai problemi in un atteggiamento adeguato alla sua umanità e al suo destino. E in ciò egli è chiamato ad applicare la sua libertà, quindi il suo lavoro. Nella coscienza che il suo cammino è tentativo, e correggibile, e che la sua libertà è fragile e bisognosa di perdono, e che con questo è sempre in ripresa. 1 Cfr. L. Giussani, All'origine della pretesa cristiana, op. cit., capitoli 6-8, pp. 71-125. 2 «Ecce mulier omnium mater, ecce domus spiritalis, ecce civitas, quae vivit in aeternum, quia mori nescit» (Sant'Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo Luca II, 88, Biblioteca Ambrosiana-Città Nuova Editrice, Milano-Roma 1978, p. 226). 3 Cfr. Gottschalk di Limburg, «In Octava Epiphaniae», 6 a; 3 b, in Analecta Hymnica Medii Aevi, voI. L, HymnograPhi Latini. Lateinische Hymnendichterdes Mittelalters, O.R. Reisland, Leipzig 1907, p. 353). 4 «Merito, Ecclesia catholica, mater christianorum verissima, non solum ipsum Deum cuius adeptio vita beatissima est, purissime atque castissime colendum praedicas, nullam nobis adorandam creaturam inducens, cui servire iubeamur» (Sant'Agostino, De moribus Ecclesiae catholicae 1,30,62). 5 B. Marshall, A ogni uomo un soldo, Jaca Book, Milano 1997, p. 385. 6 R. Guardini, Il senso della Chiesa, op. cit., p. 73. 7 Cfr. Le 6,46-49. 8 Mc 10,29-30. 9 «Al mistero dell'Essere, a quella Misura che ci ha fatti, che ci eccede da tutte le parti e che non è da noi misurabile, è a Questo che l'amore dell'educatore deve affidare lo spazio sempre più grande delle imprevedibili vie che la libertà dell'uomo nuovo apre nel dialogo con l'universo» (L. Giussani, Il rischio educativo. Come creazione di personalità e di storia, SEI, Torino 1995, pp. 40-41). 10 Osserva de Lubac, commentando questa valorizzazione unica della storia come tale da parte della Chiesa: «Secondo il cristianesimo [...] la durata è qualche cosa di molto reale. Non è uno sparpagliamento sterile, ma ha, per cosi dire, una densità ontologica e una fecondità. [...] I fatti non sono più soltanto fenomeni, sono degli avvenimenti e degli atti. Si opera, incessantemente, qualche cosa di nuovo [...] Una creazione non soltanto mantenuta, ma continuata. Il mondo avendo uno scopo, ha dunque un senso, cioè. insieme, una direzione e un significato. La razza umana intera è la figlia di Dio, e con un grande movimento che persiste attraverso la varietà sconcertante dei suoi gesti [...] sostenuta dalle due mani di Dio, il Verbo e lo Spirito, queste due mani che, malgrado i suoi errori, non l'hanno mai completamente abbandonata, essa s'incammina verso il Padre suo» (H. de Lubac, Cattolicismo. Aspetti sociali del dogma, op. cit., pp. 98-99). 11 Lc 12,13-15. 12 Lc 12,21. 13 Dice de Lubac, descrivendo l'atteggiamento del lavoro dell'uomo nel tempo: «Il tempo è vanità solo per colui che, usandone contro natura, vuole fissarsi in esso - e non pensare che a un "avvenire" è ancora un fissarsi nel tempo. Ma per elevarsi fino all'eterno bisogna necessariamente appoggiarsi sul tempo e lavorare in esso. A questa legge essenziale s'è sottomesso il Verbo di Dio: è venuto per liberarci dal tempo - ma per mezzo del tempo [...] Sull'esempio di Cristo [...] ogni cristiano deve accettare la condizione d'essere impegnato nel tempo; condizione che lo fa solidale di tutta la storia» (H. de Lubac, Cattolicismo. Aspetti sociali del dogma, op. cit., p. 101). 14 M.D. Chenu, La Chiesa nel tempo. I segni dei tempi, Vita e Pensiero, Milano 1965, p. 32. 15 Ibidem, p. 23. 209 16 Cfr. Mt 24,24; Mc 13,22; l Gv 2,18ss; l Gv 4,3; 2 Gv 7. 17 Mt 24,23-24.27. 18 R. Guardini, Il senso della Chiesa, op. cit., pp. 73-74. 19 Lc 18.10-11.13.