barth-teologia dialettica

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CHIESA
di don Angelo Maffeis *
La teologia dialettica
Prende avvio in questo numero una “Piccola storia della teologia del Novecento” che si snoderà
in quattro puntate all’interno della rubrica Chiesa. Grazie alla sintesi ragionata di alcuni docenti,
verranno proposti i principali temi che hanno animato il dibattito teologico nel secolo che ci precede e i profili dei più importanti teologi che vi hanno preso parte. Si tratta di un’iniziativa, nata
allo scopo di fornire una cornice orientativa alle recensioni uscite in questi anni all’interno della Piccola Biblioteca teologica e liturgica, di stimolare l’approfondimento teologico all’interno dei gruppi
Fuci e di incentivare la riflessione sulle “ragioni della fede”.
Niccolò Bonetti, Francesca Simeoni, Francesco Tripodi Commissione Teologica
n Teologia della crisi
La nascita della teologia dialettica all’inizio del
XX secolo si colloca in un contesto segnato dalla
crisi della società e della cultura che caratterizzano la situazione europea all’indomani della
prima guerra mondiale. La constatazione del
crollo del mondo del quale la chiesa era parte integrante stimola alcuni teologi a riflettere sull’identità della chiesa e sul contenuto del suo
annuncio. Nella crisi della cultura e della società
la teologia dialettica ha visto infatti non un fenomeno negativo, ma l’occasione propizia per liberarsi dai condizionamenti che impedivano di
porre la domanda su Dio in tutta la sua radicalità. In tale situazione – osserva Friedrich Gogarten – diviene ineludibile la questione se la
religione debba difendersi dalla crisi della cultura
nella quale è coinvolta o se non sia piuttosto la
religione stessa a dover provocare la crisi della
cultura e conclude senza esitazione che «se la
crisi è fatale per la religione [...] allora è un segno
infallibile del fatto che la religione ha perduto se
stessa nella cultura»1. La crisi della sintesi tra cristianesimo e cultura elaborata nel corso del XIX
secolo si ripercuote dunque sulla teologia che ha
elaborato tale sintesi e sui metodi di cui la rifles-
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sione teologica si è servita per comprendere il suo
oggetto, ma anche per accreditarsi tra le scienze.
Un segno inequivocabile di un nuovo orientamento si trova nell’ermeneutica biblica applicata
da Karl Barth nell’interpretazione della lettera ai
Romani. La scelta di abbandonare la via della critica storica per mettere in luce il messaggio per il
presente che risuona nel testo paolino documenta con chiarezza la volontà di rottura rispetto
ai metodi correnti dell’interpretazione biblica.
«Come interprete – dichiara Barth nel 1922, nell’introduzione alla seconda edizione dell’Epistola
ai Romani – mi devo spingere fino al punto in
cui ormai mi trovo di fronte soltanto all’enigma
della cosa, e non mi trovo più invece di fronte all’enigma del documento come tale; dove dunque dimentico di non esserne l’autore, e lo
capisco tanto bene, che posso farlo parlare in mio
nome, ed esso stesso può parlare in mio nome»2.
n L’alterità di Dio
Attraverso la netta presa di distanza da una
teologia che aveva posto l’accento sulla continuità tra le realtà storiche – l’esperienza religiosa, l’etica, l’ordine sociale, la creatura – e Dio
e aveva cercato vie che dall’antropologia con-
ducono alla teologia, la teologia dialettica si
caratterizza per l’affermazione della trascendenza di Dio e della sua assoluta alterità rispetto a tutto ciò che è mondano. La teologia
deve rinunciare alla pretesa di disporre con il
proprio discorso della verità di Dio ed è autentica solo quando si presenta come testimone
della verità di Dio che si trova al di là di ogni affermazione e negazione. Neppure il metodo
dialettico, che mette in relazione l’affermazione dogmatica e la negazione mistica, è in
grado di costruire un discorso che sia capace di
dire Dio. La meta cui tende la via dialettica percorsa dalla teologia è che Dio stesso parli, che
egli sia non oggetto del nostro parlare e pensare, ma soggetto che ci viene incontro e che ci
rivolge la sua parola. Ma la possibilità che Dio
stesso parli dove si parla di lui si apre non sulla
via del discorso dialettico, come sua conclusione logica, ma piuttosto là dove questa via si
interrompe. Barth può quindi affermare che «la
parola di Dio è il compito tanto necessario
quanto impossibile della teologia»3.
Proprio perché la teologia dialettica non cerca
di relativizzare la crisi, ma la assume pienamente in senso teologico e anzi la radicalizza,
interpretandola come giudizio di Dio sulla storia umana, essa appare particolarmente appropriata ad interpretare la situazione storica ed
ecclesiale all’indomani della prima guerra mondiale e trova seguito nelle giovani generazioni
di teologi e pastori. La volontà di porre una
netta cesura rispetto alla tradizione teologica
ed ecclesiale del XIX rappresenta una delle ragioni fondamentali della convergenza tra i protagonisti della teologia dialettica – oltre a K.
Barth si devono ricordare E. Thurneysen, F. Gogarten, R. Bultmann, E. Brunner e G. Merz –
ma questa attitudine negativa spiega anche la
labilità dei legami tra gli esponenti del movimento e cela in sé i presupposti della sua dis-
soluzione che troverà il suo suggello nel 1933
con la cessazione della pubblicazione della rivista Zwischen den Zeiten, che era stata l’organo della teologia dialettica.
n La questione dell’antropologia
La fine dell’alleanza tra gli esponenti della teologia dialettica riflette l’evoluzione divergente della
riflessione di coloro che all’inizio degli anni ‘20
avevano condiviso la medesima battaglia teologica. Centrale a tale riguardo è in particolare la
questione dell’antropologia e le differenti risposte
date alla questione circa i presupposti che permettono di pensare il giungere della parola di Dio
al destinatario cui è indirizzata. Il dissenso sempre
più profondo che si manifesta a questo riguardo
induce Barth ad affermare che la teologia di Emil
Brunner rappresenta «un ritorno, compiuto sotto
una nuova bandiera, a quelle marmitte di carne
dell’Egitto che dovevano essere abbandonate sul
serio [...] cioè allo schema neoprotestante o cattolico “ragione e rivelazione”»4.
Sono le risposte diverse date dai protagonisti
della teologia dialettica alla questione circa la
possibilità di un’antropologia che non sia dedotta dalla cristologia a determinare l’evoluzione divergente delle prospettive di coloro che
avevano aderito al movimento dialettico. La risposta di E. Brunner e di F. Gogarten alla questione antropologica prende forma attraverso la
recezione dell’impulso proveniente dal pensiero
dialogico di Ferdinand Ebner e Martin Buber. In
tal modo essi intendono mantenere l’alterità di
Dio rispetto alla creatura umana, che era il tema
fondamentale della teologia dialettica, e, al
tempo stesso, pensare in modo più adeguato la
relazione stabilita da Dio con gli esseri umani e
con il loro mondo. Gli indizi di questo orientamento affiorano già molto presto negli scritti
dei due teologi e conferiscono una tonalità particolare ai temi cari alla teologia dialettica. F.
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Gogarten sottolinea come la fede che accoglie la
rivelazione non possa essere compresa come
esperienza immediata o unione mistica, ma
«può essere solo un ascolto della parola», dal
momento che «la Parola è l’unica forma della
comunicazione tra l’Io e il Tu»5. Il medesimo autore, sulla base della dialettica luterana di legge
e vangelo, interpreta il contenuto della legge
come affermazione del legame del soggetto
umano con il Tu divino, che si trova in profondo
contrasto con l’assolutizzazione moderna dell’io. Ne risulta una concezione della relazione
Io-Tu in cui il Tu è fatto valere come principio
superiore rispetto a un Io che, proprio nella sua
tendenza ad assolutizzarsi, si rivela come peccatore e in contrasto con la costituzione della
sua soggettività che ha origine da Dio.
Entro questo medesimo orizzonte Brunner difende contro Barth la rilevanza del tema della
creazione dell’uomo a immagine di Dio anche
dopo il peccato. Essere a immagine di Dio significa infatti per l’uomo essere soggetto capace di parola e di responsabilità. Questi due
elementi costituiscono l’imago dei in senso formale, che non è distrutta dal peccato, mentre è
totalmente perduto l’aspetto materiale, che
consiste nella giustizia originale. Ed è proprio la
capacità di parola e la responsabilità del soggetto a rappresentare il punto di aggancio per
la rivelazione e per la grazia divina della redenzione. Ciò significa che l’essere umano ha una
natura recettiva nei confronti di Dio, anche se
«questa recettività non dice nulla circa il dire sì
o no alla parola di Dio. Essa è la pura possibilità formale che gli sia rivolta la parola»6.
n Dalla dialettica all’analogia
La polemica condotta da Barth con coloro che
avevano condiviso inizialmente le convinzioni
della teologia dialettica per poi imboccare vie
diverse non significa che la sua posizione teo-
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logica sia rimasta immutata. Anche la prospettiva teologica barthiana, rispetto alla fase dialettica, ha conosciuto uno sviluppo che si
compie a partire dalla cristologia, pensata non
più nei termini dell’Epistola ai Romani solo
come irruzione dell’eschaton senza alcun nesso
con la storia mondana, così come si compie in
forma paradigmatica nell’evento della risurrezione, ma come umanizzazione di Dio nell’incarnazione e, conseguentemente, come reale
assunzione dell’umanità e della storia. L’analogia che Dio stabilisce tra sé e la sua Parola fatta
carne e le forme in cui tale Parola si attesta costituisce dunque il principio fondamentale del
discorso teologico. E tuttavia, anche nella
nuova prospettiva che governa la sistematica
della Kirchliche Dogmatik barthiana, l’antropologia non può mai rappresentare il punto di
partenza o sussistere autonomamente di fronte
all’atto nel quale Dio si manifesta, ma è fondata dall’evento della rivelazione e può essere
dedotta solo dalla cristologia7.
*Docente dell’Università Cattolica,
Presidente dell’Istituto Paolo VI di Brescia
NOTE
1
F. Gogarten, La crisi della nostra cultura [1920], in
J. Moltmann (ed.), Le origini della teologia dialettica, Queriniana, Brescia 1976, p. 527.
2
K. Barth, L’epistola ai Romani. Prefazione alla seconda edizione (1921), ivi, pp. 143-144.
3
K. Barth, La parola di Dio come compito della teologia (1922), ivi, p. 256.
4
K. Barth, Commiato da Zwischen den Zeiten,
(1933), ivi, p. 734.
5
F. Gogarten, Comunione o organizzazione comunitaria [1923], ivi, p. 378.
6
E. Brunner, Natur und Gnade. Zum Gespräch mit
Karl Barth, Mohr, Tübingen 1934, p. 18.
7
Sull’origine e gli sviluppi della teologia dialettica
cfr. A. Maffeis, La teologia dialettica: differenze e
sviluppi, in G. Angelini - S. Macchi (edd.), La teologia del Novecento. Momenti maggiori e questioni
aperte, Glossa, Milano 2008, 135-188.
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