La membrana diadica - Rivista Interazioni

La membrana diadica
A cura di Andreas Giannakoulas
La membrana diadica rappresenta il confine psicologico che delimita la coppia: è un termine
ripreso da Dicks, autore inglese che si rifà alla scuola inglese di psicoanalisi e alla scuola
kleiniana, per descrivere le evenienze cliniche nel trattamento psicoanalitico delle coppie.
Nel 1920 Freud descrive «l’organismo vivente nella sua forma più semplificata possibile, come
una vescichetta indifferenziata di una sostanza suscettibile di stimolazione».
Nel 1955 Lewin elaborò il concetto dello schermo del sogno e postulò la necessità dell’esistenza
di questo schermo in tutti i sogni. Sopra di esso, come sopra lo schermo cinematografico, si
proiettano le immagini del contenuto visuale manifesto del sogno.
Come fa notare Pontalis: «Il luogo, lo spazio del sogno, non è estraneo a ciò che la pittura cerca
di delimitare, ad un quadro ... non ci può essere film senza uno schermo, o dramma senza
palcoscenico, o quadro senza tela o cornice».
Masud Khan distingue clinicamente la differenza fra un sogno (un buon sogno) e un assurdo
melange di immagini che può usurpare il posto del sogno ma non può svolgere nessuna delle sue
funzioni. I processi onirici sono presenti, ciò che manca è lo spazio. Ormai sappiamo tutti
l’importanza clinica che molti autori della scuola inglese di psicoanalisi hanno dato a questo
tema: dalla cornice di Marion Milner all’holding di Winnicott, di cui il paziente necessita per poter
integrare quelli che sono essenzialmente stati non integrati. Anche il ben noto concetto di
contenitore/contenuto di Bion, sebbene faccia ricorso ad un quadro teorico differente (quello di
Melanie Klein), si riferisce alle medesime problematiche cliniche.
Tutti questi contributi sono stati fondamentali per le indagini e formulazioni di Dicks e
specialmente per il suo concetto della membrana diadica. Dicks, nel libro in cui raccoglie la sua
pluridecennale esperienza di lavoro psicoanalitico con coppie matrimoniali presso la Tavistock
Clinic di Londra («Marital tensions» 1977, di prossima pubblicazione in Italia), ha postulato che
legami inconsci fanno della coppia un’unità intorno alla quale si delinea una specie di comune
confine dell’Io, definito appunto col termine «membrana diadica».
Insieme col concetto di «collusione», la analisi clinica della membrana diadica nel lavoro con le
coppie è di estrema utilità.
Infatti non si tratta semplicemente di definire il fuori e il dentro del confine psicologico che
delimita la coppia, ma di rendere possibile una semiologia che possa valutare la qualità, lo
spessore, l’elasticità, la costituzione e le componenti della membrana diadica.
Se osserviamo la membrana in termini di componenti, esiste evidenza clinica dei diversi strati
che la costituiscono. Lo strato esterno, come un epitelio, è formato da elementi etico religiosi e
socio-politici; se gli altri strati sono atrofici e il matrimonio è basato prevalentemente su questo
strato esterno, rischia la disintegrazione quando questi elementi vengono a mancare. Un
esempio sono le coppie che si separano appena via dal proprio ambiente o le coppie che hanno
cambiato divergendo dalla ideologia politica, o dalla religione che le sosteneva.
Lo strato medio è formato da componenti culturali e familiari in senso lato. Il terzo strato, quello
interno, più sensibile (endotelio), è costituito più da aspetti personali, emotivi e istintuali. Qui i
conflitti e le tensioni riguardano sempre qualcosa di intimo: è il Sé che è coinvolto, di
conseguenza è importante nel lavoro clinico afferrare quale aspetto della membrana è investito,
valorizzato o addirittura erotizzato. Le coppie hanno una cognizione, conscia o inconscia, della
membrana diadica e possono trasformarla in un oggetto di manipolazione e connivenza.
Diventa così più facile capire come la membrana possa oscillare da un estremo all’altro, e come
possa organizzarsi e diventare una barriera verso il mondo esterno, portando ad una fusione
diadica, ad un Sé comune, o addirittura ad una folie à deux. Allora il mondo esterno, cioè al di
fuori della membrana, diventa l’equivalente del non Io e il dentro può esistere solo in armonia
totale, idealizzazione, e accordo completo. In questi casi si ha una collusione narcisistica, che
comporta la totale dissoluzione del Sé e la perdita dei confini dell’Io. Naturalmente maggiore è la
rigidità della membrana, più grande è il pericolo di lacerazione, in quanto qualunque
modificazione comporta il rischio del ritorno del rimosso, o spesso addirittura del dissociato che
può tornare sotto forma di incubo.
Interazioni, n. 0, 1992, pp. 129-132
«L’oggetto idealizzato, dice Dicks, è sempre lo stesso oggetto d’amore la cui “cattiveria” è stata
scissa o negata. Diventa così la figura “che da tutto”, cercata e investita proiettivamente nel
partner, negando l’ambivalenza dell’Io ... È inevitabile la delusione quando il partner e il Sé non
riescono a conformarsi alle aspettative fantastiche rigidamente sostenute circa il modo in cui
ciascuno dovrebbe svolgere il proprio ruolo coniugale...»
«L’aspettativa irreale che nel matrimonio i partners debbano essere in tutto l’uno per l’altro,
riparare tutti i difetti e offrire una perfetta gratificazione di tutti i bisogni è naturalmente
un’idealizzazione... Biologicamente, l’idealizzazione è molto utile alla pulsione riproduttiva
durante il corteggiamento e l’accoppiamento, rendendo l’amore “cieco”. L’esame di realtà che
segue la luna di miele può attivare il ritorno del rimosso. Anche in termini fairbairniani è il ritorno
del rimosso che provoca disturbo. Apre una breccia nelle idealizzazioni. Rapporti dell’Io con
oggetti precedenti, giacenti in profondità e fin qui ripudiati, vengono riattivati e riportati alla
coscienza almeno parzialmente nel matrimonio disturbato».
Dipendenze irrisolte con la famiglia d’origine in questo caso riemergono e l’ambivalenza, la
rabbia, la frustrazione e la delusione vengono a prendere il posto della precedente speranza,
unione e illusione. La membrana diadica in questo caso si scompensa e si deforma, oggetti
esterni vengono inclusi nello spazio diadico per sostenere una separazione rigida, intradiadica,
evitare l’intimità e preservare un confine fra i partner.
È in questo clima che i figli vengono usati a scopo di alleanza con uno dei genitori contro l’altro o
per diventare loro stessi una componente concreta della membrana diadica. Dice Masud Khan:
«Lo sfruttamento magico narcisistico del bambino è qui patente ... e a dispetto dello strettissimo
legame di intimità fra madre e bambino (o fra genitori e bambino) ... scarsa è la comunicazione
significativa tra il bambino, come persona separata e come Sé, e i genitori così importanti». Il
bambino in questi casi diventa il portatore e il messaggero dell’inconscio parentale e per la sua
posizione si presta ad essere usato, abusato, sedotto, idealizzato, inventato, spesso totalmente
depersonalizzato.
Il trattamento psicoanalitico della coppia, secondo le modalità sperimentate e codificate da
Dicks, con uno spazio terapeutico definito dal setting a impostazione psicoanalitica, offre in tal
modo la possibilità a entrambi i partner di analizzare lo stato di disagio della relazione attraverso
l’evidenziazione della collusione e della qualità della membrana diadica, valutandone lo spessore,
l’elasticità, la costituzione e le componenti e favorendone una trasformazione.
Bibliografia
Dicks H., Marital Tensions, Routledge-Keagan, London, 1977.
Giannakoulas A., Giannotti A., Il setting con la coppia genitoriale, in Il setting: l’approccio relazionale in
neuropsichiatria infantile, Boria, Roma, 1985.
Interazioni, n. 0, 1992, pp. 129-132