Estratto da GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA Anno LXXXII (LXXXIV) Fasc. III – Settembre – Dicembre 2003, pp. 402-419 Text version Collettività ed individuo nell’Ottocento: il ruolo della teoria cellulare* Silvia Caianiello Lo sconfinamento tra rappresentazione del sociale e idea del corpo vivente è notoriamente antichissimo. Nella filosofia occidentale è possibile ricondurlo almeno fino al pensiero presocratico, quando Alcmeone, definendo la salute come equilibrio tra parti costitutive del corpo, faceva uso del concetto di isonomia, che significa anche eguaglianza dei diritti politici1. È dunque innanzitutto necessario, per un corretto approccio al tema prescelto, delimitare preliminarmente un preciso ambito semantico del concetto di organismo attraverso una contestualizzazione storica. La prima delimitazione è dunque di carattere cronologico. Si è detto da più parti che la «carriera straordinaria» del concetto di organismo comincia alla fine del Settecento2, una collocazione che nella storia della biologia coincide con l’autonomizzarsi di un ambito dell’organico in quanto distinto dall’inorganico. Tale distinzione è notoriamente fondativa del campo disciplinare della biologia, in quanto scienza dei fenomeni viventi, oltre le impasses in cui avevano condotto i tentativi di estendere il paradigma newtoniano al vivente nel corso del Settecento3; è in questo periodo che inizia quell’ascesa che farà della biologia un paradigma dominante nel corso del secolo XIX, atto a rappresentare un nuovo modello di scientificità dotato di una potente forza di attrazione su tutti i saperi che ambiranno ad elevarsi a scienza. Nello stesso periodo, è stato individuato un mutamento nel modo di concepire la relazione tra individuo e società, per il quale la società diventa in certo senso «realtà sostanziale»4. Ad essa corrisponde l’emersione di un nuovo concetto «democratico» di * Una versione ridotta di questo testo è stata presentata al Convegno “Patologie della politica moderna. La democrazia al vaglio del pensiero europeo”, Napoli 20-22 novembre 2002 e compare nel volume che ne raccoglie gli Atti, a cura di M.Donzelli e R.Pozzi, in corso di stampa presso Donzelli. 1 O.Temkin, Metaphors of Human Biology, in Science and Civilization, ed. by R. C.Stauffer, Madison, University of Winsconsin Press, 1949, p.167. 2 Cfr. in particolare G.Dohrn-van Rossum – E.-W. Böckenförde, Organ Organismus Organisation politischer Körper, in Geschichtliche Grundbegriffe, hg. von R. Koselleck, O. Brunner, W. Conze, Stuttgart, 1972, vol. IV, p.550, secondo i quali il concetto moderno di organismo che si afferma in questo periodo rende in parte obsoleta la metaforica del corpus senza però eliminarla completamente. Anche J. E. Schlanger, Les métaphores de l'organisme, Paris, Vrin, 1971, p.28 data in questo periodo l’assurgere da parte del concetto di organismo a modello ed archetipo di razionalità; A.Meyer, in Th.Ballauf - E.Scheerer - A.Meyer, Organismus, in Historisches Wörterbuch der Philosophie, hg. von J. Ritter und K.Gründer, Basel - Stuttgart, 1984, B.6, p.1352, osserva che solo dalla fine del Settecento il concetto di organismo riceve applicazione politico-metafisica. 3 P. H. Reill, Das Problem des Allgemeinen und des besonderen im geschichtlichen Denken und in den historiographischen Darstellungen des späten 18. Jahrhunderts, in Teil und Ganzes. Zum Verhältnis von Einzelund Gesamtanalyse in Geschichts- und Sozialwissenschaften, hg. von K.Acham und W.Schulze, München, DTV, 1990 (Theorie der Geschichte. Beiträge zur Historik, B.6), p. 147 ss, mostra come la critica alla filosofia meccanicistica della natura – cartesiana e newtoniana – cominciò proprio negli ambiti disciplinari legati ai fenomeni della vita, con Maupertuis, Whytt e soprattutto Buffon, la cui Histoire naturelle costituisce a suo avviso «il punto di partenza della critica al meccanicismo di molti pensatori tardo-settecenteschi». Cfr. anche P.H. Reill, Science and the Science of History in the Spätaufklärung, in Aufklärung und Geschichte. Studien zur deutschen Geschichtswissenschaft im 18. Jahrhundert, hg. von H. E. Bödeker, G. G.Iggers, J. B.Knudsen und P. H. Reill, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1992, p.438, in cui in Buffon viene rintracciato anche il punto di svolta nella nuova concezione dell’individualità e dell’organismo. 4 L. R. Pench, Spencer e Darwin: alcune considerazioni intorno al concetto di "organismo sociale" nel pensiero sociologico inglese della seconda metà del sec. XIX , in Scienza e pensiero politico nella seconda metà 1 Estratto da GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA Anno LXXXII (LXXXIV) Fasc. III – Settembre – Dicembre 2003, pp. 402-419 Text version legittimità, in cui il potere costituente viene ascritto al popolo, e che avrà, secondo l’analisi di Carl Schmitt, pieno sviluppo a metà dell’Ottocento5. Una importante sintesi degli sviluppi del concetto di organismo nelle scienze della vita alla fine del Settecento si può leggerla in Kant. La separazione ormai consumata tra organismo e meccanismo6 viene sancita nella definizione dello statuto speciale dell’essere organizzato di contro a qualsiasi altra causalità naturale. Nella Critica del giudizio, il vivente, «fine della natura», si distingue dalla macchina in virtù del nesso teleologico che lo costituisce, in quanto contemporaneamente causa ed effetto di se stesso, «essere organizzato e che si organizza da sé», in cui «le parti … siano possibili soltanto mediante la loro relazione al tutto», «la conservazione della parte e la conservazione del tutto dipendono l’una dall’altra»7. Ma la sintesi kantiana è rivelatrice non solo perché Kant formula un concetto di organismo in cui l’auto-organizzazione, l’esclusione di forze esterne nella determinazione della sua produttività, appaiono quali elementi distintivi; ma anche per l’applicazione politica che ne fa conseguire. In un’importante nota allo stesso § 65 della Critica del giudizio (che, vale ricordarlo, è del 1790) egli si spinge infatti a trasporre analogicamente sullo Stato il concetto di organismo, riflettendo sugli sviluppi politici appena trascorsi8. Kant si riferisce qui alla «radicale trasformazione recentemente intrapresa di un grande popolo in uno Stato», in cui ci si è serviti «spesso e assai opportunamente della parola organizzazione, per designare l’istituzione delle magistrature … e finanche dell’intero corpo statale»; opportunamente perché «in un simile intero ogni membro non deve essere meramente mezzo, ma insieme anche fine e, mentre coopera alla possibilità dell’intero, deve essere determinato a sua volta dall’idea dell’intero per quanto riguarda il suo posto e la sua funzione». In nome di questo concetto di organismo Kant liquida, nel §59, l’assolutismo: «si rappresenta uno stato monarchico come un corpo animato, quando esso sia governato da leggi interne del popolo, e invece come una semplice macchina … quando sia dominato da un’unica volontà assoluta». Trionfo del concetto di organismo sembra così corrispondere ad abbandono dell’assolutismo e sua liquidazione a mero meccanismo; a riprova del fatto che questo dell'Ottocento, Atti del Convegno di Pisa, 25-27 settembre 1981, Firenze, Olschki, 1982, che collega questa trasformazione con l’affermarsi dello Stato-nazione come forma politica tipica. 5 C. Schmitt, Teologia politica (1934), in Le categorie del “politico”, Bologna, Il Mulino, 1971, a cura di G. Miglio e P. Schiera, p. 73: «Dal 1848... al posto dell’idea monarchica di legittimità subentra quella democratica». Questa svolta è connessa in Schmitt al sorgere della concezione di uno Stato organico, in cui la sovranità è ascritta alla unità del popolo; essa è possibile a partire dalla fine del concetto teistico e deistico di Dio, e dunque a partire dal dissolversi della rappresentazione analoga della trascendenza del Sovrano rispetto allo Stato, propria dei secoli XVII e XVIII. In questo passaggio è decisiva l’interpretazione schmittiana di Hobbes, per la quale si rimanda a G. A. Di Marco, Thomas Hobbes nel decisionismo giuridico di Carl Schmitt, Napoli, Guida, 1999. 6 Su questa importante separazione, che va intesa come risultato di un processo in cui vengono conservati anche importanti elementi di continuità, si può qui solo rimandare ad alcune sintesi generali, quali Dohrn-van Rossum– Böckenförde, Organ Organismus cit.; J. E. Schlanger, Les métaphores cit.; G. Canguilhem, Macchina e organismo, in La conoscenza della vita (1965), Bologna, Il Mulino, 1976; E.-M. Engels, Die Teleologie des Lebendigen, Berlin, Duncker & Humblot, 1982; R. Mazzolini, Stato e organismo, individui e cellule nell'opera di Rudolf Virchow negli anni 1845-1860, in «Annali dell'Istituto storico italo-germanico in Trento», 1983, che contiene anche un’ampia bibliografia sul tema; Ballauf - Scheerer - Meyer, Organismus cit. 7 I. Kant, Critica del giudizio (1790), Roma-Bari, Laterza, § 65. 8 Cfr. Dohrn-van Rossum–Böckenförde, Organ Organismus cit.. 2 Estratto da GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA Anno LXXXII (LXXXIV) Fasc. III – Settembre – Dicembre 2003, pp. 402-419 Text version concetto di organismo, agli albori della sua «straordinaria carriera», mantiene i punti di non ritorno sanciti dal concetto di organizzazione la cui fortuna politica può essere collocata nella Rivoluzione Francese9. Qui l’organizzazione si connette all’idea di un’azione politica volta all’instaurazione di un nuovo ordine politico e sociale, in cui l’ambito delle istituzioni politiche organizzato dall’uomo prende il posto della natura intesa come campo di azione divina10. Il carattere della modificabilità, della Machbarkeit dell’ordine politico può così essere assunto come uno degli elementi di continuità tra il concetto di organizzazione e quello di organismo11. Che in Kant il concetto di organismo venga esplicitamente collegato a quello di organizzazione non può però indurre in semplificazioni quanto al decorso successivo del concetto. Così, nelle immagini della società o dello Stato come organismo si tende a sottolineare la differenza sensibile nei primi decenni dell’Ottocento tra pensiero francese, nel quale prevale l’immagine dell’organizzazione (la veritable machine organisée di SaintSimon, Comte), priva di connotazioni antimacchinistiche, ed invece di organismo, come comunità naturale in senso antimeccanicistico ed anticontrattualistico in area tedesca. Ma questa divergenza non elide alcuni elementi comuni nell’idea di una compagine sociale connotata dalla non indipendenza delle parti, come un soggetto collettivo nel quale la subordinazione delle parti al tutto è la condizione per la preservazione dell’armonia12. Se questa concettualità dell’armonia è in senso lato generalizzabile e collegata ad un retroterra comune nell’idea di organico, nonostante la diversità di figure e progetti sociali che essa veicola, è possibile in qualche modo riscontrarne – o datarne – la fine nel tramonto della rappresentazione dell’organismo su cui si appoggia. Il punto di innesto del presente discorso si incentra dunque sulla fine di questa rappresentazione dell’armonia, per indagarla dal punto di vista della trasformazione decisiva avvenuta nel pensiero biologico nell’immagine dell’organismo, ossia la teoria cellulare a partire dagli anni quaranta dell’Ottocento. È proprio in questo periodo che la biologia subentra alla fisica come modello scientifico egemone, che diviene normativo in particolare per quelle correnti di pensiero che, partendo da assunti materialisti o positivisti, ricercano la fondazione di una dottrina naturale della società. 9 Ivi; questa tesi, avanzata in particolare da Böckenförde, è argomentata però attraverso l’esclusione del concetto specificamente romantico di organismo, da Schelling a A. Müller (pp.602-604). 10 Ivi; Böckenförde analizza al proposito il nesso tra organizzazione e costituzione in Sieyès e nella costituzione giacobina del 1793. 11 Ivi. Interessante rispetto al rapporto tra modificabilità e concezione moderna dell’organismo mi sembra anche l’osservazione di Temkin, Metaphors cit., p.181, secondo il quale la svolta cartesiana nella concezione del corpo introdurrebbe una limitazione significativa all’idea galenica di un potere guaritore della natura, aprendo ad una autonomia dell’intervento medico e dunque ad una modificabilità non naturale – nel senso di non spontanea – dei corpi. 12 Cfr. Schlanger, Les métaphores cit., p. 59, la quale identifica i punti comuni tra i due stili di rappresentazione nell’idea della composizione unitaria di parti diverse, che concorrono al funzionamento del tutto (cfr. C.H. de Saint-Simon, De la physiologie appliquée à l’amélioration des institutions sociales, in Oeuvres de Saint-Simon et d’Enfantin, Paris, 1875-76, t.XXXIX, p.177: «una vera macchina organizzata le cui parti contribuiscono tutte in maniera diversa alla vita del tutto»); e nell’immagine armonica della loro interazione: «La falsa antinomia tra linguaggio del meccanismo e dell'organismo si risolve nel linguaggio dell'armonia» (Schlanger, Les métaphores cit). 3 Estratto da GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA Anno LXXXII (LXXXIV) Fasc. III – Settembre – Dicembre 2003, pp. 402-419 Text version La ricezione della teoria cellulare è ad esempio senz’altro uno degli elementi che marcano la differenza tra l’approccio di Comte e quello di Herbert Spencer13. Da dove trae Spencer, già all’inizio degli anni cinquanta, quella teoria cellulare che influenzerà la sua rappresentazione del Social Organism? Il luogo di nascita della teoria cellulare è la Germania, e per la precisione Berlino, nel contesto della scuola di Johannes Müller14. Nonostante gli elementi di relativa continuità che caratterizzano la ricerca dell’unità ultima costitutiva del vivente dalla teoria fibrillare di von Haller a quella dei tessuti di Bichat fino alla teoria cellulare15, la rottura apportata dalla teoria cellulare nella concezione dell’organismo è tuttavia radicale, come dimostra già l’avversione di Comte per questo oltrepassamento di supposti «confini naturali dell’analogia anatomica» verso una «chimerica e inintelligibile riunione di una specie di monadi organiche» quali «veri elementi primordiali di tutti i corpi viventi»16. Tali «monadi organiche» sono infatti dotate di un’inedita autonomia anatomica, fisiologica e chimica. Per Schleiden come per Schwann, che sistematizza e generalizza le scoperte del primo al mondo animale, le cellule sono a tutti gli effetti organismi individuali: la pianta è «un aggregato di esseri singoli, pienamente individualizzati e in sé indipendenti, le cellule», afferma Schleiden; e Schwann: «le cellule sono in senso proprio gli organismi» mentre la pianta e l’animale solo «un aggregato di questi organismi ordinato secondo leggi determinate»17. La conseguenza della collocazione dell’individualità al livello della cellula è una messa in discussione radicale della attribuzione di una funzione architettonica e teleologica ad un principio vitale egemone nel corpo vivente, proprio di quella tradizione di «teleomeccanicismo» risalente a Kant e Blumenbach, e sostenuta ancora da Müller, che sarà fautore di una subordinazione dell’attività delle singole cellule alla direzione dell’organismo globale18. L'organismo globale è invece, per Schleiden e Schwann, 13 Sul rifiuto della teoria cellulare da parte di Bichat e di Comte, cfr. P. Duris,– G. Gohau, Storia della biologia, Torino, Einaudi, 1999, pp.214-215. Secondo la ricostruzione di Mazzolini, Stato e organismo cit., fu Claude Bernard il primo a accettare in Francia la teoria cellulare nel 1866; ma F.Duchesneau, Genèse de la théorie cellulaire, Montreal/Paris, Bellarmin/Vrin, 1987, osserva che ciò non contribuì a modificare l’indirizzo degli studi francesi, che si volsero verso la teoria cellulare solo verso la fine del secolo. Spencer invece la recepì già all’inizio degli anni cinquanta, come si desume da H. Spencer, Social Statics: or the Conditions essential to Human Happiness specified, and the first of them developed, London, 1851. 14 Sulla «genesi della teoria cellulare», cfr. Duchesneau, Genèse cit., il quale sottolinea tra l’altro l’importanza del contributo del globulismo di Dutroichet e Raspail per lo sviluppo dei fondamenti di tale teoria. 15 Cfr. ad es. L.J. Rather, Some Relations between Eighteenth-Century Fiber Theory and Nineteenth-Century Cell Theory, in «Clio medica», 1969, vol. 4, pp.191-202. 16 Cours de philosophie positive, 1838, lezione XLI, riportato in Duris - Gohau, Storia della biologia cit., 17 Cfr. M.J. Schleiden, Beiträge zur Phytogenesis Beiträge zur Phytogenesis, in «Archiv für Anatomie, Physiologie und wissenschaftliche Medicin», hg. von Joh. Müller, Jg. 1838, p. 168 e Th. Schwann, Mikroskopische Untersuchungen über die Übereinstimmung in der Structur und dem Wachstum der Tiere und Pflanzen, Berlin, Sander, 1839, p. 225. La scuola di Müller fu caratterizzata da decisivi sviluppi antivitalistici, volti ad una emancipazione definitiva dalla Naturphilosophie; cfr. M.J. Schleiden, Schellings und Hegels Verhältnis zur Naturwissenschaft, Leipzig, Engelmann, 1844. Duchesneau, Genèse cit., argomenta la tesi che l’orientamento materialistico fu il quadro di pensiero determinante per lo sviluppo della teoria cellulare. 18 La definizione di “teleomeccanicismo” risale a T. Lenoir, The Strategy of Life. Teleology and Mechanics in Nineteenth-Century German Biology, Dordrecht-Boston, Reidel, 1982. Duchesneau, Genèse cit., ripercorre l’itinerario di Müller, dall’iniziale ritrosia ad accettare la teoria cellulare di Schwann fino alla elaborazione e ricomprensione di essa a partire dal 1838, fino ad integrarla nel suo fondamentale Handbuch der Physiologie des Menschen nel 1840 e 1844 (ivi, p.215). Müller concilierà i nuovi dati istologici con la sua concezione 4 Estratto da GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA Anno LXXXII (LXXXIV) Fasc. III – Settembre – Dicembre 2003, pp. 402-419 Text version solo un multiplo, che esiste meramente in virtù dell'azione reciproca delle parti elementari particolari, risultante della loro interrelazione. Questa immagine dell’individuo e dell’organismo resterà costante nello sviluppo successivo della teoria cellulare, ad opera di Robert Remak e Rudolf Virchow, e sarà anzi quest’ultimo a generalizzarne le conseguenze. Ma la differenza tra la prima e la seconda teoria cellulare è rilevante ai fini del presente discorso, perché riguarda la spiegazione del processo della differenziazione delle cellule all’interno dell’organismo, e dunque la natura della loro diversità. La differenza essenziale tra le due teorie riguarda infatti la citogenesi. Secondo Schleiden e Schwann, che pure poggiando su assunti radicalmente materialistici mantengono in questo modo una continuità con le anticipazioni di Lorenz Oken all’interno della Naturphilosophie19, la cellula si genera a partire da una sostanza gelatinosa originaria, denominata citoblastema; in questa versione di una freie Zellenbildung, libera formazione cellulare, le cellule si producono a partire da una sostanza vivente indifferenziata, secondo un processo che come in Oken è inteso in analogia con la cristallizzazione minerale. Se in Oken un simile assunto era legato a un’idea di un continuum naturale del tipo della scala dell’essere, qui diviene la riprova dell’esistenza di una legalità universale comune ad organico ed inorganico. Questo è sufficiente a spiegare perché questa versione della teoria cellulare sarà preferita da Spencer e da Haeckel. Ma questa teoria consente anche di pensare la differenziazione come un processo alla maniera di von Baer, dall’omogeneo all’eterogeneo e specializzato; quel principio che sarà generalizzato da Spencer ed in parte equivocato come passaggio da una minore ad una maggiore complessità nell’evoluzione delle forme viventi20. Sono noti l’estensione e i limiti dell’organicismo di Spencer; tra organismo individuale ed organismo sociale esiste un «parallelismo di principio nella disposizione dei componenti»21. Sulla base della fusione tipicamente biologistica tra ontogenesi e filogenesi22, il parallelismo è garantito nell’analisi di Spencer principalmente da un identico processo di differenziazione delle parti, che corrisponde a una differenziazione delle funzioni. Il moltiplicarsi e differenziarsi degli uomini nella società come delle cellule nel corpo appare come legge unitaria, dopo la universale accettazione in ambito biologico del celebre principio dell’organismo come depositario di una funzione architettonica e regolatrice rispetto all’attività delle singole cellule, alla luce della quale il cancro sarà da lui considerato come il prodotto di un’anarchia delle cellule, sottrattesi al controllo dell’istanza centrale (ivi, p.221). Su Blumenbach si rimanda a A. De Cieri, Il vitalismo nel XVIII secolo e il rinnovamento del pensiero biologico: l’epigenesi in Wolff e Blumenbach, in “Atti dell’Accademia di Scienze Morali e Politiche della Società Nazionale di Scienze Lettere e Arti in Napoli”, XCVIII, 1987, pp.45-64 e al saggio Il Bildungstrieb tra filosofia e scienza, in J. F. Blumenbach, Impulso formativo e generazione (1781), a cura di A. De Cieri, Salerno, 1992. 19 Cfr. G. Canguilhem, La teoria cellulare, in La conoscenza della vita cit. 20 Di equivoco si può in parte parlare in quanto, come sottolinea A. Orsucci, Dalla biologia cellulare alle scienze dello spirito. Aspetti del dibattito sull'individualità nell'Ottocento tedesco, Bologna, Il Mulino, 1992, p. 43, lo sviluppo da omogeneo a eterogeneo si colloca per von Baer all’interno dei confini della teoria dei tipi morfologici, ed è da intendersi come una sorta di processo discendente dalla generalità del tipo alla individualità delle singole specie; una specificazione progressiva ben diversa dunque dall’idea di una crescita ascendente di complessità, come nella prospettiva evoluzionistica in cui lo traspone Spencer. Sulla ricezione della teoria citoblastemica da parte di Spencer, cfr. H.Spencer, First principles, London, 1862, § 119. 21 Cfr. H. Spencer, The principles of sociology, London, Williams and Norgate, 1877, vol. I, pp.465-480. 22 Cfr. S.Caianiello, Il concetto di sviluppo tra biologia e storia, in La biologia: parametro epistemologico del XIX secolo, a cura di M. Donzelli, Atti del Seminario di Studio 30/31 marzo 2001, Napoli, Liguori, in corso di stampa. 5 Estratto da GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA Anno LXXXII (LXXXIV) Fasc. III – Settembre – Dicembre 2003, pp. 402-419 Text version della «divisione del lavoro» negli organismi superiori enunciato da Milne-Edwards nel 1827, che con Durkheim diventerà un fondamento della nuova sociologia23. Se l’organicismo di Spencer si misura sulla insistenza tra la mutuale dipendenza delle parti, sulla sanzione di un’autonomia della vita dell’intero da quelle delle parti componenti, il suo limite corrisponde con i limiti dell’analogia che egli sancisce tra individuo-cellula e società-organismo. Gli organismi sociali essendo, per usare la bella espressione stoica, corpora ex distantibus24, e non corpi continui come gli individui biologici, non dispongono di una centralizzazione delle funzioni sensoriali e della coscienza, che percepisca piacere e dolore di tutti, e dunque «il benessere dell’aggregato, considerato separatamente da quello delle sue unità, non è un fine da perseguirsi. La società esiste per il beneficio dei suoi membri; non i suoi membri per il beneficio della società». Il baluardo del liberismo di Spencer diventa così il sistema nervoso, anche contro le competenti obiezioni di Thomas Huxley, per le quali la storia evolutiva proverebbe al contrario un accrescimento della funzione regolatrice centrale e dunque l’analogia biologica condurrebbe piuttosto all’ipotesi di un accrescimento del potere governativo con l’evoluzione delle società25. Ma frattanto in area tedesca proprio a proposito del sistema nervoso il fisiologo Pflüger andava dimostrando, di nuovo contro Johannes Müller, che esso non è coeso ma dotato di una articolazione stratificata e pluricentrica; estendendo tali conclusioni anche ai fenomeni coscienti e allo psichico in generale, egli offriva così un poderoso argomento a favore di quella divisibilità dell’ ‘anima’ che sarà caposaldo della psicopatologia francese con Ribot, Binet e Janet alla fine del secolo26. Negli stessi anni in cui Spencer riprende la teoria di Schleiden e Schwann, una nuova teoria cellulare si fa strada in Germania attraverso i lavori di Remak e Virchow. Essa si distingue dalla precedente per la spiegazione della citogenesi a partire dalla scoperta della divisione cellulare; il blastema, che Virchow definisce semplicemente «sostanza intercellulare», lungi dall’essere la matrice da cui si generano le cellule, è ridotto a prodotto e residuo del metabolismo cellulare. Al di sotto della cellula non c'è che mutamento27. Se omnis cellula e cellula, la tanto conclamata individualità della cellula non è il risultato di un processo di differenziazione, ma qualcosa di dato sin dall’inizio, preesistente all’interazione funzionale con altre cellule, alla loro “confederazione” in organismo28. Se in 23 H.Milne-Edwards, Organisation in Dictionnaire classique d’histoire naturelle, sous la dir. de B. de SaintVincent, Paris, Rey et Gravier - Baudouin frères, t. XII, 1827, pp. 340 e 343-344. Durkheim applicò nel 1893 il principio della divisione del lavoro alle società, enunciando la legge che essa sia direttamente proporzionale alla crescita di dimensioni e di densità della compagine sociale. Cfr. E. Durkheim, De la division du travail social (1893), Paris, PUF, 1930; sulla mutuazione di Durkheim da Milne-Edwards, cfr. Schlanger, Les métaphores cit., cap.I e B.I., Cohen, Interactions: Some Contacts Between the Natural Sciences and the Social Sciences, Cambridge MA - London, MIT Press, 1994, pp. 20 ss. Sul concetto di organico in Durkheim, cfr. P. Rossi, La sociologia nella seconda metà dell'800: dall'impiego di schemi storico-evolutivi alla formulazione di modelli analitici, pp.188-21 in Scienza e pensiero politico, cit. 24 Sulla distinzione stoica tra corpora continua e corpora ex distantibus, cfr Dohrn-van Rossum - Böckenförde, Organ Organismus cit., p.525. 25 Per la ricostruzione della polemica tra Spencer e Huxley negli anni settanta cfr. Pench, Spencer e Darwin cit. 26 Cfr. Orsucci, Dalla biologia cellulare cit., cap. III. Sul “rimaneggiamento” del concetto di coscienza da parte di Pflüger cfr. anche M.Gauchet, L’inconscio cerebrale, Genova, Il Melangolo, 1994, pp.72 s. 27 R. Virchow, Die Cellularpathologie in ihrer Begründung auf physiologische und pathologische Gewebelehre, Berlin, Hirschwald, 1858. 28 Cfr. Mazzolini , Stato e organismo cit., p.277. 6 Estratto da GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA Anno LXXXII (LXXXIV) Fasc. III – Settembre – Dicembre 2003, pp. 402-419 Text version Schwann la cellula poteva ancora oscillare tra il senso di atomo e quello di individuo, in Virchow si afferma come individuo contrapposto ad atomo29. Ma in che senso individuo? È infatti proprio Virchow a trarre programmaticamente tutte le conseguenze della teoria cellulare per ristrutturare profondamente il concetto di individualità biologica. L’individualità in senso stretto è, in Virchow come in Schwann, ascritta alla cellula, l’unica a poter essere definita «individuo-singolo»30. Gli individui intesi nel senso corrente, sono invece un che di collettivo, tutt’altro che indivisibili; non «parti ultime, non ulteriormente scomponibili … al contrario intendiamo con questo termine corpi o esseri visibili e tangibili spesso … di struttura così composta che in essi riconosciamo ancora sistemi e organi e elementi, che a loro volta sono ulteriormente scomponibili e le cui parti più piccole, ancora percepibili possono a loro volta essere pensate come composte di numerosi atomi»31. Di principio dunque la vita delle cellule è originariamente autonoma da quella dell’organismo e non è condizionata da un’istanza centrale32. Pure esiste un legame tra le cellule che costituiscono l’organismo, anche in assenza di «un’unità anatomica e fisiologica», che secondo Virchow «non si è finora potuta mostrare in nessun luogo»33. Questo legame può essere compreso solo se si abbandona «un'accezione puramente psichica del concetto di individualità», per attingere ad una concezione degli organismi superiori come «strutture comunitarie»34, nella quale «è l’unità, non la federazione, ad apparire come un assioma». Liberandosi dall’assioma dell’unità, si potrà infatti intendere il rapporto tra le parti costituenti dell’organismo biologico: «chi come noi ammetta molteplici focolai di attività vitale non necessariamente compromette l'unità dell'organismo. Certo, la nostra unità … manca di uno spiritus rector. Esiste, invece, un libero Stato di entità dotate di eguali diritti, ma non identiche»35. Queste cellule dissimili danno vita alla «unità comunitaria» dell’organismo, che sfruttando una sinonimia intraducibile in italiano, Virchow definisce una «istituzione». «La composizione di un corpo più grande ha sempre come risultato una istituzione … di tipo sociale, nella quale una massa di esistenze singole dipendono l’una dall’altra, ma in modo tale che ciascun elemento (cellula) preso per sé esercita una particolare 29 Cfr. R. Virchow, Atome und Individuen (1859), in Vier Reden über Leben und das Kranksein, Berlin, Reimer, 1862, pp.35-76. 30 Virchow, Atome cit., pp. 54 e 73: la cellula «non è semplicemente il contenitore della vita, è essa stessa la parte vivente»; «Se non si vuol distingue tra individui collettivi (Sammel-Individuen) e individui singoli (EinzelIndividuen), come sarebbe più comodo fare, allora il concetto di individuo deve essere, nelle branche organiche della scienza della natura, o abbandonato, o legato strettamente alla cellula». 31 Ivi, p.44. 32 Virchow, Die Cellularpathologie cit, p. 14: «Ogni singola cellula può andare per la propria strada, subire una specifica trasformazione, senza che a ciò si leghi di necessità il destino delle cellule limitrofe». 33 Ivi, pp. 15-16: «ogni animale si manifesta come una somma di unità vitali, delle quali ciascuna reca in sé pienamente le caratteristiche della vita. Il carattere e l’unità della vita non possono essere trovate in un punto determinato di un’organizzazione superiore, per esempio nel cervello dell’uomo, ma solo nella costituzione (Einrichtung) determinata… di ciascun singolo elemento». 34 R. Virchow, Vecchio e nuovo vitalismo, a cura di V. Cappelletti, Bari, Laterza, 1969, pp. 167-168. 35 Virchow, Die Cellularpathologie cit, 1858. 7 Estratto da GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA Anno LXXXII (LXXXIV) Fasc. III – Settembre – Dicembre 2003, pp. 402-419 Text version attività e che, anche se riceve lo stimolo all’attività da altre parti, pure l’azione sua propria scaturisce soltanto da lui»36. Dunque nella federazione, nell’istituzione comunitaria del corpo, l’indipendenza delle cellule cessa: «Dovunque esistono, l'una accanto all'altra, autonomia e subordinazione: nella psiche come nel corpo, nella vita semplice e in quella composta»37. Se anche la sua attività resta patrimonio esclusivo di ogni cellula, «le parti del corpo» sono «necessariamente connesse tra loro, dipendenti le une dalle altre e collegate dalla solidarietà del reciproco bisogno. L'unica differenza è che secondo la teoria cellulare le parti del corpo costituiscono un'unità comunitaria e non come pensano la scuola umorale e quella solidistica un'unità dispotica o oligarchica»38. Nella immagine societaria di Virchow – nel quale va osservato è assente ogni prospettiva evoluzionistica39 – la differenziazione non si traduce in gerarchia, la quale richiede comunque l’orientamento verso un vertice che Virchow come già detto non riconosce anatomicamente. Eguaglianza di diritto, diversità di dotazioni, restano pensabili all’interno di un modello democratico di organismo, in cui la differenziazione è compensata dall’interdipendenza. Sul piano antropologico, Virchow non esita a trarre conseguenze che avranno una influenza considerevole sulla riflessione filosofica: «l’ ‘io’ del filosofo non è che una conseguenza del ‘noi’ del biologo» 40. 36 Ivi; la parola che si traduce qui con istituzione è Einrichtung, che oltre a rappresentare il conio germanico del termine di origine latina Institution, significa anche disposizione, organizzazione nello spazio. Cfr. il passo originale, pp.12-13 (le sottolineature sono mie): «Der Charakter und die Einheit des Lebens kann nicht an einem bestimmten Punkte einer höheren Organisation gefunden werden, z. B. im Gehirn des Menschen, sondern nur in der bestimmten, constant wiederkehrenden Einrichtung, welche jedes einzelne Element an sich trägt. Daraus geht hervor, dass die Zusammensetzung eines größeren Körpers immer auf eine Art von gesellschaftlicher Einrichtung herauskommt, eine Einrichtung socialer Art...» 37 Virchow, Vecchio e nuovo vitalismo cit., p.152. 38 Ivi, pp. 163-164; ma cfr. anche Gesammelte Abhandlungen zur wissenschaftlichen Medicin del 1856, cit. in Mazzolini, Stato e organismo cit., p. 288, dove Virchow per descrivere l’azione della teoria cellulare usa la metafora di una difesa di un «diritto del terzo stato, dei piccoli elementi». 39 L’interlocutore delle posizioni antidarwiniste di Virchow fu principalmente Haeckel; nel 1877 Virchow sferrò un violento attacco alla teoria darwiniana della discendenza, che fu seguito dalla difesa di Haeckel da una interpretazione che collegava strettamente il darwinismo al socialismo, con l’argomento che il darwinismo corrispondeva piuttosto a una legittimazione delle élites. Cfr. Mann, Medizin-biologische Ideen cit.; per la contestualizzazione storica di questo dibattito cfr. F. Wagner, Biologismus und Historismus im Deutschland des 19. Jahrhunderts, e E. Benz Theologie der Evolution im 19. Jahrhundert, entrambi in Biologismus im 19. Jahrhundert, hg. von G. Mann, Stuttgart, Enke, 1973; e soprattutto P. Tort, La pensée hierarchique et l'evolution, Paris, Aubier, 1992, pp.315 ss, che inquadra il “voltafaccia” di Virchow nel quadro delle dinamiche politiche e religiose dell’età bismarckiana. 40 Virchow, Atome cit., pp.171-172; sulla influenza di questo assunto di Virchow sulla filosofia successiva, e in particolare sulla riflessione etica, cfr. Orsucci, Dalla biologia cellulare cit.; sull’influsso in generale della teoria cellulare sulla genesi dell’idea di una pluralità interna al soggetto, sulla filosofia di Nieztsche e Bergson e sulla psicopatologia francese della fine del secolo, cfr. R. Bodei, The Broken Mirror: Dissolution of the Subject and Multiple Personality. Pirandello and Late Ninteenth-Century French Psychopathology, in «Differentia», 2; Id., Un episodio di fine secolo, in « Atque», 1990, n.1, pp.91-105 e Id., The Dissolution of the Subject in Nineteenth Century Culture, in Ricostruzione della soggettività / Reconstruction of the Subject/ Rekonstruktion der Subjektivität, Atti del Convegno Cagliari-Chia 4-8 aprile 2001, a cura di R. Bodei, G. Cantillo, A. Ferrara, V. Gessa-Kurotschka, S. Maffettone, Napoli, Liguori, in corso di stampa. 8 Estratto da GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA Anno LXXXII (LXXXIV) Fasc. III – Settembre – Dicembre 2003, pp. 402-419 Text version Molto è stato detto su questa «metafora societaria», su come la sua ispirazione sia in ultima analisi politica, vista la storia personale di Virchow, legato alla Fortschrittspartei e membro militante nelle file democratiche durante il quarantotto; come lo stesso Virchow riconobbe, non esiste iato tra la sua vita politica e scientifica41. Basti rilevare che sulla base del suo concetto di organismo, Virchow procede a una critica serrata del concetto di organismo politico, che è stata dettagliatamente situata nel contesto della critica coeva al concetto di Staatsorganismus, il quale ebbe una grande fortuna a partire dagli anni trenta, anche nelle fazioni democratiche e liberali42. Si può definire lo Stato un organismo, perché esso consiste di cittadini viventi; si può viceversa definire l’organismo uno Stato, una società, una famiglia, in quanto consiste di membri viventi di una stessa discendenza. 43 Ma con ciò la comparazione ha termine . L’esplicito rifiuto dell’organicismo da parte di Virchow, che sarà peraltro ampiamente rimosso nella sua ricezione successiva, si basa in sostanza anch’esso sull’inconsistenza empirica dell’idea di un corpus ex distantibus, e affonda le sue radici in una tradizione liberale che si può far risalire al primo Humboldt: Lo Stato non è e mai sarà un organismo ma solo un complesso di organismi. Ma poiché in quanto complesso rappresenta sempre qualcosa di ideale, incorporeo, allora la legge dei singoli organismi, la legge fisiologica dei singoli corpi deve diventare decisiva per il complesso. Il cosiddetto organismo statale fiorisce quando lo sviluppo del singolo è massimamente garantito e questo sviluppo in quanto organico presuppone certe 44 forme necessarie sotto le quali può prodursi nel modo migliore . È noto che una delle acquisizioni principali di Virchow è l’applicazione della teoria cellulare alla patologia. Riprendendo il principio di Broussais – che già Comte aveva generalizzato alla terapeutica sociale45 – Virchow intende il patologico come mera 41 Sull’impegno politico di Virchow – che nel 1848-49 fondò e codiresse il periodico «Die medicinische Reform» – per la diffusione della medicina sociale, cfr. Mazzolini, Stato e organismo cit., che svolge una analitica ricostruzione della vita scientifica e politica di Virchow, collocandola nel contesto storico contemporaneo. 42 Cfr. Mazzolini, Stato e organismo cit., § IV. 43 Passo del 1859 citato in Mazzolini, Stato e organismo cit., p. 289; con la stessa consequenzialità Virchow liquida qui anche ogni residua analogia tra micro- e macrocosmo: «Il cosmo non è un’immagine dell’uomo! L’uomo non è un’immagine del cosmo!». 44 Passo del 1849 (Der Staat und die Ärtze) cit. in Mazzolini, Stato e organismo cit., p. 284. Cfr. anche la tesi sostenuta da Virchow nel 1854, secondo la quale la ricerca naturale ha il compito, per quanto concerne l’uomo «di garantire al singolo la possibilità di uno sviluppo conforme alla natura nella maggiore misura possibile» (dal saggio del 1854, Empirie und Transzendenz, cit. in Mann, Medizin-biologische Ideen cit., p. 4). Che questa matrice liberale abbia avuto un ruolo nel fatto che Engels declinò la proposta del medico Kugelmann di conquistare Virchow alla causa comunista, dandone, in una lettera a Marx (cit in Mazzolini, Stato e organismo cit., n.262), la sola spiegazione che quel «braver Bürger» aveva già troppo da fare? 45 Cfr. anche Schlanger, Les métaphores cit., p. 176, che osserva, a proposito del nesso tra arte politica e arte medica, come la terapeutica svolga all’interno delle teorie naturalistiche della società la funzione di preservare un ambito di intervento volontario e dunque la possibilità di una prassi. Sulla tradizione della terapeutica sociale e i suoi prolungamenti novecenteschi ad es. in Luhmann cfr. G. Giorello Una catena di specchi, in AA.VV., Molecole e società. Le metafore della biologia contemporanea, Napoli, CUEN, 1999. Su Broussais cfr. J.-F. Braunstein, Broussais et le matérialisme. Médecine et philosophie au XIX e siècle, Paris, Méridiens-Klincksieck, 1986. 9 Estratto da GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA Anno LXXXII (LXXXIV) Fasc. III – Settembre – Dicembre 2003, pp. 402-419 Text version perturbazione del funzionamento normale, che ne segue le stesse leggi ma in condizioni alterate. Dalla teoria cellulare discende però un orientamento nuovo per la patologia, che diviene per l’appunto, come recita il titolo del più celebre scritto di Virchow, Patologia cellulare: «Se la patologia non è null'altro che la fisiologia più certi ostacoli ai processi vitali, e se la vita ammalata non è null'altro che la vita sana impedita da azioni esterne …, anche la patologia dev'essere ricondotta alla cellula»46. Ricondurre la patologia alla cellula significa essenzialmente che la malattia è sempre localizzata47; la terapia deve volgersi contro le condizioni alterate, localizzandole anatomicamente nelle cellule in cui si manifestano. Questa tensione verso la localizzazione della patologia e della terapia si volge, come già in Schwann – che come Virchow aveva lavorato sui tumori – contro l’idea di una forza terapeutica naturale, Naturheilkraft che rispecchia il principio vitale centralistico che entrambi rifiutano48. Si può osservare, generalizzando gli assunti comuni a entrambe le versioni della teoria cellulare, che nel momento in cui essa ricusa l’esistenza di una forza terapeutica naturale che garantisca il ripristino dell’armonia dell’organismo, in cui in generale il rapporto tra le parti dell’organismo non risulta più pensabile in termini di armonia – ma addirittura di conflitto, se si pensa al testo di Wilhelm Roux del 1881, La battaglia delle parti nell’organismo –, la sola concettualità possibile per comporre i contrasti delle parti, l’evoluzione dell’idea organica dell’equilibrio49, è l’idea biologica della regolazione, quel meccanismo omeostatico garante 46 Virchow, Vecchio e nuovo vitalismo cit., p.69. 47 Virchow, Vecchio e nuovo vitalismo cit., p. 97, dichiara che il compito del suo tempo è acquisire le premesse per «un modo di pensare che è essenzialmente specifico, cioè tende a dare una localizzazione». Sul ruolo della localizzazione in Virchow, cfr. L.J. Rather, Harvey, Virchow, Bernard and the Methodology of Science, introduzione a R. Virchow, Disease Life and Man. Selected Essays, Stanford University Press, 1958, p. 97; sulla storia dell’idea di localizzazione della malattia a partire dalla Scuola di Parigi, cfr. W.Coleman La biologia nell'Ottocento, Bologna, Il Mulino, 1984, cap. II. 48 Nel 1847, nel saggio Über die Reform der pathologischen und therapeutischen Anschauungen durch die mikroskopischen Untersuchungen, cit. in Mazzolini, Stato e organismo cit., p.183, Virchow attacca la tradizione della «patologia teleologica» facendola risalire per intero a Stahl: «Il cancro non è più un parassita che vive la propria esistenza a costo della vita altrui, e contro il quale l’organismo ingaggia qualche battaglia, per distruggerlo... I corpuscoli del pus non sono più i gendarmi comandati dallo Stato di polizia a scortare questo o quello straniero infiltratosi senza passaporto oltre i confini; il tessuto cicatrizzante non costituisce più le mura della prigione, in cui un tale straniero verrebbe rinchiuso, quando ciò piaccia all’organismo-polizia. Ché fino a tal punto si sono effettivamente spinte le concezioni mediche sotto l’influsso dei principi filosofici e politici dominanti…». Questa rappresentazione secondo Virchow ha cominciato a mutare «solo nell’epoca più recente, quasi contemporaneamente al cambiare delle idee politiche». Virchow resta estraneo alla rivoluzione batteriologica cui Pasteur darà vita, con le sue scoperte tra gli anni settanta e ottanta dell’ ‘800, anche se ritornerà nel periodo più tardo ad una concezione in certo senso “ontologica” della malattia. Cfr. Rather, Harvey, Virchow cit., il quale illustra chiaramente come nella concezione della malattia come lesione o alterazione cellulare di Virchow, l’interlocutore polemico principale fosse la più antica versione parassitaria della malattia tipica della scuola della storia naturale, a partire da Sydenham, secondo la quale parassita non è l’agente eziologico ma la malattia stessa, vista come forma vitale inferiore; concezione alla quale corrispondeva, quale corollario terapeutico, che a ciascuna malattia corrispondesse una specifica entità terapeutica. 49 Come osserva G. Mann Medizin-biologische Ideen und Modelle in der Gesellschaftslehre des 19.Jh, in «Medizinhistorisches Journal», 1969, IV, pp.1-23, con l’affermarsi della figura dell’organismo, allorquando la biologia subentra alla meccanica come fondamento della visione del mondo, muta la concezione dell’armonia tra le parti, intesa non più come equilibrio meccanico delle forze, ma loro interazione equilibrata. 10 Estratto da GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA Anno LXXXII (LXXXIV) Fasc. III – Settembre – Dicembre 2003, pp. 402-419 Text version del funzionamento normale dell’organismo destinato a diventare il programma della fisiologia per tutto il Novecento50. In Virchow il meccanismo della regolazione si svolge su due piani distinti: «nella singola cellula l'attività regolativa è esercitata da parti appropriate della struttura cellulare, mentre nell'organismo composito quest'attività dipende da centri estrinseci alla cellula che ne subisce l'effetto»51. Ma, sostiene Virchow, entrambi i livelli sono necessari per la salute del corpo; il livello comunitario non mette dunque fuori gioco quello cellulare. E parimenti rilevante è che la peculiare concezione di Virchow dell’attività regolatrice comunitaria è policentrica, collocata in diversi Mittelpunkte, centri organizzatori dell’organismo52, e dunque non sussunta sotto alcuna istanza centrale. Ma il mutamento di prospettiva collegato all’affermarsi del concetto di regolazione non risolve in un senso univoco la problematicità di cui si è arricchita la rappresentazione dell’organismo. Ciò è particolarmente visibile nel caso di quella importante mediazione nella ricezione della teoria cellulare svolta in Francia da Claude Bernard, figura il cui influsso sul pensiero sociologico francese nella seconda metà dell’Ottocento è generalmente riconosciuta53. Già nel 1866, nelle Leçons sur le propriétés des tissus vivants, ma soprattutto nelle Leçons sur les phénomènes de la vie communs aux animaux et aux végétaux del 1878-79, Bernard si appropria di una teoria cellulare che riprende importanti tratti di quella di Virchow54. Accettando la definizione della cellula come organismo potenzialmente completo, e la «metafora societaria» per rappresentare l’organismo complesso55, egli ripropone anche l’assunto di Virchow, della coesistenza di autonomia e subordinazione delle cellule nel corpo vivente. Quasi con gli stessi termini di Virchow egli afferma: «c’è dunque allo stesso tempo autonomia degli elementi anatomici e subordinazione di questi elementi all’insieme morfologico, o, in altri termini, delle vite parziali alla vita totale». Ma l’idea di subordinazione che risulta dalle argomentazioni di Bernard è molto diversa da quella di Virchow. Nella «legge di costruzione dell’organismo» o di perfezionamento organico egli sintetizza le istanze della differenziazione e della divisione del lavoro cellulare asservendole 50 Cfr.L.R. Perlman The Concept of the Organism in Physiology, in «Theory in Biosciences», vol. 119, 2000, no. 3-4. 51 Cfr. Virchow, Vecchio e nuovo vitalismo cit., p. 153; per Virchow gli elementi moderatori a livello cellulare sono la membrana e il nucleo. 52 Cfr. R. Virchow, Cellular-Pathologie, in «Archiv für pathologische Anatomie und Physiologie und für klinische Medizin», 1855, 8, pp.1-39. 53 Cfr. J. Michel, Émile Durkheim et la naissance de la science sociale dans le milieu bernardien, in La nécessité de Claude Bernard, Actes du Colloque de Saint-Julien-en-Beaujolais des 8-10 décembre 1989, sous la dir. De J.Michel, Paris, L’Harmattan, 2001, pp.229-254. 54 Cfr. Mazzolini, Stato e organismo cit., p. 259, che fa risalire la lettura di Bernard della Patologia cellulare di Virchow al 1860, e Duchesneau, Genèse cit., p. 13. 55 Cfr. Mazzolini, Stato e organismo cit., e C.Bernard, Leçons sur les phénomènes de la vie communs aux animaux et aux végétaux, Paris, A.Dastre, 1878-1879, p.354: «La cellula è già un organismo: questo organismo può essere già da sé un essere distinto; può essere l’elemento individuale di cui l’animale o la pianta sono una società». 11 Estratto da GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA Anno LXXXII (LXXXIV) Fasc. III – Settembre – Dicembre 2003, pp. 402-419 Text version alla costituzione dell’ambiente interno. Si tratta di una legge fisiologica destinata a dare ragione più di quanto non sia riuscito all’anatomia della complicazione crescente dell’organismo56. Infatti il complicarsi dell’organismo attraverso una differenziazione progressiva, ha il fine di creare intorno a ciascun elemento l’ambiente e le condizioni necessarie alla sua vita, come, dice Bernard, in una società avanzata le manifatture o industrie forniscono il necessario alla vita del singolo. Ma la conseguenza di questa specializzazione e raffinamento è infine di limitare l’autonomia della cellula, la sua capacità di vita indipendente. Le condizioni della vita cellulare sono infatti così delicate e irripetibili che essa è garantita solo nel luogo destinato al singolo elemento. La cellula può funzionare correttamente solo «dans des lieux speciaux»; altrove la sua funzione muterebbe o essa cesserebbe di vivere57. In realtà, come ha notato Canguilhem, la ricezione di Virchow da parte di Bernard è ricca di equivoci. Bernard non abbandona infatti la teoria citoblastemica secondo la quale la cellula si genera da una sostanza indifferenziata, che egli rinomina con il termine che aveva preso il sopravvento dopo Schwann, «protoplasma» 58. Anche in Bernard risulta fortemente un nesso tra ipotesi citoblastemica e enfasi sulla differenziazione funzionale nella costituzione dell’organismo59. La metafora sociale che Bernard utilizza per descrivere questa differenziazione è immediatamente rivelatrice dell’irrigidimento del concetto di subordinazione e del vincolo stabilito dalle funzioni che si è cercato di evidenziare. Rappresentiamoci l’essere vivente complesso, animale o pianta, come una città … gli abitanti di questa città rappresentano gli elementi anatomici nell’organismo; essi… possiedono tutti le stesse facoltà generali, quelle dell’uomo. Ma ciascuno ha il suo mestiere, o la sua opera, o le sue attitudini o talenti, attraverso i quali partecipa alla vita sociale e ne dipende. Il muratore, il panettiere, il macellaio, l’industriale… forniscono prodotti diversi e tanto più vari, più numerosi e differenziati quanto più alto è il grado di sviluppo raggiunto dalla società in questione. Così è per l’animale complesso. L’organismo, come la società, è costruito in modo tale che le condizioni della vita elementari o individuali siano rispettate… ma allo stesso tempo ciascun membro dipende… a causa della sua funzione e per la sua funzione, dal posto che occupa nell’organismo, nel gruppo sociale60. 56 Bernard, Leçons cit., p. 357. Il riferimento è ovviamente all’anatomia cellulare di Virchow; sulla portata dell’approccio anatomico, ossia morfologico, in Virchow cfr. l’Introduzione di Cappelletti a Virchow, Vecchio e nuovo vitalismo cit. 57 Bernard, Leçons cit., pp. 359 ss; l’esempio che Bernard adduce è quello del trapianto di ossa, che se collocate in luoghi impropri nell’organismo vengono riassorbite. 58 Il termine protoplasma risale a J. E. Purkinje, e viene in uso negli anni sessanta dell’Ottocento. Sull’adesione alla idea della genesi citoblastemica delle cellule, cfr. Bernard, Leçons cit., p. 193; cfr. pp. 186-187 e 201, dove, menzionando la teoria della divisione cellulare di Virchow e Remak, osserva che sulla citogenesi non esiste ancora una soluzione univoca. Sulla incomprensione di Virchow da parte di Bernard cfr. G. Canguilhem, La formazione del concetto di regolazione biologica nel XVII e XIX secolo, in Ideologia e razionalità nella storia delle scienze della vita, Firenze, La Nuova Italia, 1992. 59 L’enfasi di Bernard sulla differenziazione funzionale è estranea alla prospettiva evoluzionista che doveva invece marcare la ricezione sociologica del concetto di differenziazione; Bernard non sembra infatti sia stato toccato più di Virchow dalle dottrine di Darwin, cui anzi avanzò critiche sostanziali sul piano metodologico nel 1865, in Introduzione allo studio della medicina sperimentale; nel 1872, in L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, Darwin definì invece Bernard «il più grande fisiologo vivente» (cfr.Perlman, The Concept of the Organism cit.). 60 Bernard, Leçons cit.; sott. mia. 12 Estratto da GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA Anno LXXXII (LXXXIV) Fasc. III – Settembre – Dicembre 2003, pp. 402-419 Text version La regolazione avviene attraverso l’ambiente interno, legato al sangue e per la precisione al plasma, e rappresenta dunque un’istanza di comunicazione globale tra le parti dell’organismo; così come globale sarà di nuovo la concezione della malattia, nonostante gli accenni in favore della localizzazione alla Virchow, in quanto Bernard sposa il punto di vista neuropatologico61 (quello stesso cui Virchow aveva attribuito una concezione «oligarchica e dispotica» dell’organismo), che riconduce la malattia alle alterazioni nervose, dunque di nuovo ad una istanza centralizzata nel sistema nervoso. L’ambiente interno ha così una funzione unificante; è «attraverso la mediazione dei liquidi interstiziali … ciò che ho chiamato ambiente interno, che si stabilisce la solidarietà tra le parti elementari e che ciascuna riceve il contraccolpo dei fenomeni che accadono alle altre» e da cui esse ricevono le «modificazioni che regolano la vita del singolo»62. Attraverso il medium unificante dell’ambiente interno l’istanza della regolazione (del controllo) diviene anch’essa globale; e che questa immagine dell’organismo in cui la subordinazione e la specializzazione si alleano nell’attribuire alle cellule un luogo “sociale” predeterminato, sia perlomeno compatibile con un’istanza volta a tradurre la subordinazione in gerarchia, è percezione fortemente rafforzata dalla nota che Bernard scrisse vari anni prima dei testi qui considerati: «La risultante della società è un comandante, come la risultante dell’organismo è la volontà. Le idee di subordinazione degli apparati si trovano nel nostro corpo come nella società»63. Nonostante il rigore delle sue premesse, Virchow fu estremamente utilizzato proprio nel nuovo corso biologistico delle teorie politiche sotto il doppio influsso di darwinismo e teoria cellulare64. D’altra parte nonostante l’evidente paradosso della ripresa di Virchow da parte di autori che ignorarono la sua critica all’organicismo, c’è una logica nel fatto che, come scrisse Otto Gierke, quanto più la legge evolutiva «concepisce l’organismo dell’individuo in modo sociale, tanto più facile è spiegare in modo organico la vita sociale»65. Così fu che Virchow venne usato sia dal partito biologistico che per contestare l’organicismo, come nel caso di Albert von Krieken e di Kautsky66. Malgrado Virchow, diversamente da Spencer, si sia ben guardato dal formulare una patologia sociale, la sua concezione della patologia venne comunque ripresa, come tutta la sua concezione dell’organismo, dalla sociologia biologistica della seconda metà dell’Ottocento67. 61 Cfr. Canguilhem, La formazione del concetto di regolazione cit. 62 Bernard, Leçons cit., p. 359. 63 Passo risalente al periodo tra il 1857 e il 1860, cit. in Mazzolini, Stato e organismo cit., p.259 n. 64 Ivi, p. 268. 65 Die Grundbegriffe des Staatsrechts 1874, cit. in Mazzolini, Stato e organismo cit., p.267 n. Su Gierke e il suo peculiare liberalismo organicistico, di impronta tra l’altro contrattualista, cfr. anche Dohrn-van Rossum – Böckenförde, Organ Organismus cit. 66 Cfr. Mazzolini, Stato e organismo cit., p.264 e n. e Mann, Medizin-biologische Ideen cit. 67 Cfr. Ballauf - Scheerer - Meyer, Organismus cit.; Schlanger, Les métaphores cit., pp.168 ss; Cohen, Interactions cit., pp. 90 ss; Mann, Medizin-biologische Ideen cit., che mostra come il patologismo sia l’unico elemento sopravvissuto oltre la caduta del biologismo e dell’organicismo; Mazzolini, Stato e organismo cit., pp.255 ss. L’assenza di una patologia sociale in Virchow, che all’inizio della sua carriera aveva identificato le cause politiche e sociali delle patologie endemiche in Alta Slesia e aveva compromesso la propria carriera per denunciarle (il suo rapporto apparso nella rivista «Die medicinische Reform» nel 1848-1849 fu bocciato come politico dal Kultusministerium, che ne rifiuterà la candidatura all’Università di Berlino costringendolo a 13 Estratto da GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA Anno LXXXII (LXXXIV) Fasc. III – Settembre – Dicembre 2003, pp. 402-419 Text version Paul von Lilienfeld, ad esempio, che aveva asserito «sociologus nemo nisi biologus», si richiamerà esplicitamente al concetto di malattia di Virchow: così come ogni malattia individuale deriva da uno stato patologico della cellula, ogni malattia sociale ha la sua causa nella degenerazione o azione anormale dell'individuo che costituisce l'unità anatomica elementare dell'organismo sociale. Allo stesso modo, una società attaccata dalla malattia non presenta uno stato essenzialmente diverso da quello di una società normale. Lo stato patologico consiste solo nella manifestazione da parte di un individuo o gruppo di individui di una attività intempestiva o nel luogo inappropriato o indica sovraeccitamento o 68 mancanza di energia . Ma del complesso capitolo della sociologia biologistica non si intende qui ripercorrere la storia, anche perché essa è marcata da influssi molteplici, ricca di motivi darwinisti, senza il cui esame il quadro non potrebbe esserne completo. Con un piccolo salto cronologico, vorrei invece fare ancora solo un breve riferimento a quello che si può considerare il suo epilogo alla fine del secolo, il dibattito apparso tra il 1900 e il 1901 nella «Revue philosophique», i cui protagonisti furono essenzialmente Bouglè, Novicow ed Espinas69. L’attacco alla sociologia biologistica è lanciato da Bouglè, con un saggio dal titolo: La sociologie biologique et le règime des castes. Il saggio si apre con la domanda: «Le società sono degli organismi, e le leggi che governano questi si applicano anche a quelle?». Tra organismi e società c’è una differenza di grado o una differenza di natura? Nel proporre gli argomenti delle due parti, rievocando il dilemma della definizione spenceriana di organismo sociale, tra continuo e discreto, la nozione di organismo che Bouglè mette alla prova, al fine di verificarne l’efficacia concreta sul piano descrittivo, ha due tratti caratterizzanti: differenziazione e gerarchia. Il suo confronto si impernia su di un nucleo e un obiettivo preciso: l’idea democratica. Libertà ed eguaglianza sono opposte alle istanze di differenziazione, specializzazione e selezione, che per l’organicismo sociologico sono necessità naturali di un insieme organico70? trasferirsi a Würzburg), dovuta probabilmente alla crescente cautela con cui Virchow guarderà alle applicazioni politiche delle teorie dell’organismo, contrasta palesemente con le sue posizioni iniziali: «Se la medicina è la scienza dell'essere sano come dell'essere malato (…) quale altra scienza sarebbe più adeguata a proporre leggi come basi della struttura sociale per rendere operanti quelle inerenti all'uomo stesso? Quando la medicina si costituirà in antropologia, e quando gli interessi dei privilegiati non determineranno il corso degli eventi pubblici, il filosofo e il medico generico saranno considerati i maggiori politici a sostegno della struttura sociale» (1849, cit. in L.J. Rather, Harvey, Virchow cit., p.24). 68 P. von Lilienfeld, La pathologie sociale, avec un Préface de R.Worms, Paris, V.Giard & E.Brière, 1896, pp.24. Lilienfeld fu negli anni novanta Presidente della Società Internazionale di Sociologia. 69 Cfr. C. Bouglè La sociologie biologique et le régime des castes, in «Revue philosophique e la France et de l’Étranger», 1900, vol. XLIX, pp. 337-352 e Le procès de la sociologie biologique, in «Revue philosophique e la France et d' l’Étranger», 1901, vol. LII, pp. 121-146; L.Novicow, Les castes et la sociologie biologique, in «Revue philosophique e la France et de l’Étranger», 1900, vol. L, pp.361-373; Espinas Être ou ne pas être ou du postulat de la sociologie, in «Revue philosophique e la France et de l’Étranger», 1901, vol. LI, pp.449-480; G.Tarde La realité sociale, in «Revue philosophique e la France et de l’Étranger», 1901, vol. LII, pp.457-471. 70 Cfr. Bouglè, La sociologie biologique cit. Significativamente, alcuni argomenti per dimostrare l’inconsistenza dell’organicismo sono tratti da Bouglè dalla stessa biologia. Contro Perrier ed Espinas, che giustificano le élites biologicamente sulla base dell’idea che negli organismi il progresso consiste nella centralizzazione delle attività direttive in un piccolo numero di elementi, egli adduce ad esempio la critica di Haeckel a von Baer, che la differenziazione non implica necessariamente un progresso evolutivo, e che spesso esseri meno differenziati sopravvivono meglio ai cambiamenti climatici. Un legame tra il tramonto dell’idea organicista e l’ulteriore 14 Estratto da GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA Anno LXXXII (LXXXIV) Fasc. III – Settembre – Dicembre 2003, pp. 402-419 Text version Il punto del saggio di Bouglè che vorrei sottolineare è la complicazione del concetto di individualità che egli evidenzia nella specializzazione sociale, e di cui fa il cardine della propria definizione di libertà democratica. Il nodo della vertenza risulta infatti essere specificamente l’eguaglianza sociale. Novicow, significativo perché è l’unico che nel dibattito difende ancora una posizione rigorosamente organicista71, non ha alcun problema ad ammettere l’eguaglianza politica, ma liquida come utopica ed innaturale l’eguaglianza sociale in una società complessa, caratterizzata appunto dalla differenziazione delle funzioni72. Bouglè osserva che se le cellule si specializzano restando ancorate alla funzione e alla localizzazione delle loro funzioni (secondo un’accezione della differenziazione e della localizzazione a mio avviso più vicina a Bernard che a Virchow), gli individui, «elementi sociali», sono diversi da quelli vitali perché svolgono simultaneamente molte funzioni diverse. «L’individuo conserva o piuttosto aumenta, nel seno della società diversificata, la diversità dei suoi bisogni e facoltà»73. La differenziazione si traduce nell’individuo in una diversificazione interna, in una sorta di moltiplicazione di appartenenze funzionali a più ambiti. «Posto nel punto di incrocio tra tante cerchie, egli non si lascia inglobare da alcuna di esse» – quel progresso della differenziazione che è vincolo per la cellula è liberazione per l’uomo. Secondo un principio che propone di chiamare di «complicazione sociale», avviene dunque che gli uomini siano chiamati ad esercitare successivamente o anche simultaneamente funzioni diverse, e a partecipare a gruppi diversi. La complicazione progressiva finisce così per affievolire le distinzioni collettive che oppongono gli uomini per categorie, e fa sorgere nuove distinzioni di natura individuale – non colori netti, dice Bouglè, ma «sfumature infinite che percepiamo sulla superficie cangiante del mondo sociale». La libertà consiste proprio dell’incrociarsi e moltiplicarsi di queste diverse cerchie, e cresce con il loro aumentare. Di contro si ha asservimento se la differenziazione rinchiude l’individuo in poche cerchie determinate, lo ancora a delle funzioni. complicarsi dell’immagine della vita e delle funzioni cellulari in seguito a nuove acquisizioni biomediche è avvertito anche da Worms nel 1903; cfr. Cohen, Interactions cit., p.58. 71 Come osserva Bouglè, Le procès cit., Espinas assume qui posizioni caute sull’analogia tra organismi e società, rivendicando il ruolo storico della sociologia biologica ai fini di sancire l’autonomia epistemica degli oggetti sociali. La sua polemica è invece qui rivolta soprattutto contro Tarde, ossia contro la nuova minaccia di una sussunzione della sociologia sotto la psicologia sociale. Cfr. la risposta di Tarde, La realité sociale cit. Anche René Worms nel 1903 ridimensionava il proprio organicismo, riconoscendo l’importanza dell’autonomia dell’individuo e della libertà del suo volere nei fenomeni sociali (cfr. Cohen, Interactions cit., p. 57). 72 Cfr. Novicow, Les castes cit. 73 Bouglè, La sociologie biologique cit., p.343-344. 15 Estratto da GIORNALE CRITICO DELLA FILOSOFIA ITALIANA Anno LXXXII (LXXXIV) Fasc. III – Settembre – Dicembre 2003, pp. 402-419 Text version Questa argomentazione è tanto più interessante in quanto anche Dilthey negli anni ottanta, attraverso un percorso che Orsucci ha mostrato nel dettaglio e che passa per un confronto con la teoria cellulare e Virchow in particolare, arriva ad una conclusione affine, al rifiuto del concetto di individuo come forma sostanziale e ad una idea di individualità intesa come punto di intersezione in una pluralità di sistemi che si intrecciano nella realtà storicosociale. Una sorta di interiorizzazione, da parte del filosofo, del «noi del biologo» di Virchow: ciascuno è membro di più insiemi, di più sistemi di riferimento, simultaneamente74. Si può vedere anche in questo esito un’onda lunga della teoria cellulare? Il divenire plurale dell’io che Bodei ha riscontrato nella psicopatologia di Ribot, Binet e Janet, sottolineando l’influsso, oltre che della teoria cellulare, dello studio delle società animali di Perrier e Espinas75? Senza cercare di rispondere a questa domanda complessa, che costituisce piuttosto la formulazione di un problema che la sua possibile risoluzione, vorrei concludere questa riflessione con una citazione di Simmel, tratta da un saggio anch’esso datato 1901: Le due forme dell’individualismo, e che ne sintetizza efficacemente l’argomento principale. La formazione ideale del secolo XVIII richiedeva individui isolati, omogenei nell’essenza, tenuti insieme da una legge universal-razionale e dalla armonia naturale degli interessi. Quella caratteristica del secolo XIX faceva i propri conti con individui esplicitamente differenziati dalla divisione del lavoro, tenuti insieme da organizzazioni che poggiavano proprio sulla divisione del lavoro e 76 sull’intrecciarsi dei differenziati . Un’opposizione che egli sintetizza ulteriormente nell’espressione lapidaria: eguaglianza senza individualità e individualità senza eguaglianza. Non so se la felicità dell’analisi di Simmel consenta di condividere anche il suo auspicio finale, o meglio il compito prescrittivo che egli presenta al futuro: «una costituzione di vita e di società che crei una sintesi positiva dei due tipi di individualismo»; certo l’idea di individualità che si assume nelle teorie contemporanee dell’eguaglianza sembra prendere le mosse dall’assunto originario della diversità77, di quella «differenza dei singoli, autolegalità (Eigengesetzlichkeit) delle personalità» che Simmel riteneva acquisizione del secolo XIX. Un’acquisizione che come si è cercato qui di mostrare era destinata ad amplificarsi e complicarsi ulteriormente nello sviluppo del secolo. 74 Cfr. W. Dilthey Introduzione alle scienze dello spirito (1883), Firenze, La Nuova Italia, 1974, pp.72-73: «Il singolo individuo è il punto di intersezione di una pluralità di sistemi che nel progresso della cultura si specializzano sempre più sottilmente… Ogni sistema si sviluppa nel tutto della realtà storico-sociale»; cfr. Orsucci, Dalla biologia cellulare cit., p. 86. 75 Cfr. Bodei, The Broken Mirror cit., Un episodio di fine secolo cit. e The Dissolution of the Subject cit. 76 Cfr. G. Simmel, Die beiden Formen des Individualismus, in «Das freie Wort. Frankfurter Halbmonatszeitschrift für Fortschritt auf allen Gebieten des geistigen Lebens», 1, 5.10.1901, n.13, pp. 397403. 77 Cfr. A. Sen, La diseguaglianza, Bologna, Il Mulino, 1994, p. 9: «l’importanza sostantiva della domanda “eguaglianza di che cosa” deriva dall’effettiva diversità degli esseri umani… è collegata all’evidenza empirica della diffusa diversità umana». 16