L'impero di Carlo V Nel 1519 Carlo d'Asburgo fu eletto imperatore con il nome di Carlo V (1519-1556). Radunando sotto la sua corona anche i precedenti possedimenti ereditari, Carlo V divenne il sovrano più potente della prima metà del Cinquecento. Figlio primogenito di Filippo il bello, duca di Borgogna e unico discendente dell'imperatore Massimiliano I e di Giovanna la Pazza (erede dei e cattolici di Spagna, Isabella si Castiglia e Ferdinando II d'Aragona). Carlo ereditò dunque: -il dominio borgognone del padre (1506) -la corona d'Aragona, di Napoli e della Sicilia dal nonno materno (1516) -in seguito alla malattia della madre divenne anche reggente di Castiglia (da cui dipendevano i possedimenti americani). Il riconoscimento della sovranità dell'Asburgo sulla Castiglia fu contrastato dai comuneros, gli abitanti delle città, che insorsero per difendere le autonomie e i privilegi comunali contro la politica di accentramento della corona. Alla morte del nonno paterno Massimiliano I, Carlo entrò in possesso, con il fratello minore Ferdinando degli Stati ereditari asburgico, e si candidò a fingere la corona imperiale. Tuttavia il titolo imperiale era elettivo e a Carlo vennero contrapposti il re d'Inghilterra Enrico VIII, l'elettorato di Sassonia Federico il Saggio e il re di Francia Francesco I; l'Asburgo la ebbe comunque vinta con l'aiuto determinate dei banchieri tedeschi Fugger e Welser, che si comprarono l'appoggio dei grandi elettori dell'impero. L'obiettivo politico di Carlo V fu quello di far rivivere l'universalistico del Sacro romano impero attraverso la realizzazione di una repubblica cristiana, cioè una Europa di Stati cristiani che riconoscessero l'imperatore come guida morale e politica nell'impegno comune contro l'espansionismo ottomano nel Mediterraneo e nei Balcani. L'esplosione e la diffusione della Riforma incriminarono però dall'interno il progetto di Carlo V, mentre la rivalità con Francesco I lo costrinse a una guerra permanente contro la Francia, che non esitò ad allearsi ora con i luterani tedeschi, ora con gli ottomani, per contrastare il sogno egemonico dell'Asburgo. Le guerre d'Italia tra Carlo V e la Francia (1521-1556) I motivi della rivalità franco-imperiale La contesa tra Carlo V e il re di Francia Francesco I interessò diversi fronti, dalle Fiandre alla Navarra e al Rossiglione, ma il conflitto si sviluppò soprattutto in Italia. L'obiettivo della Francia era quello di rompere l'accerchiamento del suo territorio da parte dei domini asburgico mentre Carlo V mirava a facilitare i collegamenti tra i territori imperiali; al centro della contesa erano dunque il ducato di Milano e Genova (entrambi in orbita francese). Per la Francia il ducato padano era importante nodo strategico per contrastare un'invasione imperiale della Provenza, rivendicata da Carlo V come antico dominio imperiale, mentre il suo possesso avrebbe consentito all'Asburgo il miglioramento dei collegamenti via terra con i domini dell'Italia meridionale. I banchieri di Genova erano tra i principali finanziatori del regno di Francia, e la città con la sua potente flotta, costituiva un obiettivo importante per Carlo V, perché gli avrebbe consentito il controllo delle rotte tra Spagna e resto dell'Impero e fornito un importante approdo per contrastare la minaccia turca nel Mediterraneo. La conquista imperiale del ducato di Milano La guerra tra i due sovrani si accese nell'estate 1521, quando Francesco I, approfittando della rivolta castigliana dei comuneros, cercò senza successo di occupare la Navarra e iniziò scorrerie nelle Fiandre; d'altro canto Carlo V, essendosi assicurato l'appoggio del re inglese Enrico VIII, l'assenso del papa Leone X e quindi del suo successore Adriano VI, che era stato precettore dell'imperatore, occupò Milano, consegnandola al duca Francesco Maria Sforza. Calò allora in Italia l'esercitò francese sotto la guida dello stesso Francesco I, il quale fu comunque costretto a capitolare nella battaglia di Pavia avvenuta nel febbraio del 1525, dove venne fatto prigioniero e costretto con il trattato di Madrid (1526), a rinunciare a ogni pretesa sul Milanese e a cedere all'impero la Borgogna. La guerra della Lega di Cognac e il sacco di Roma Appena riottenuta la libertà in cambio di un forte riscatto, Francesco I si riorganizzò contro il nemico è seppe far leva sui timori dei principali Stati italiani per il ruolo egemonico ottenuto dall'imperatore nella penisola, promuovendo nel 1526 la costituzione della Lega di Cognac. Allo schieramento antimperiale aderirono: Genova, Firenze, Milano e lo Stato pontificio, dove si era da qualche anno il nuovo papà Clemente VII. Così come nel conflitto precedente anche questa volta per l'inizio delle ostilità contro Carlo V, l'abile Francesco I scelse un momento delicato della vita dell'impero impegnato a oriente nella lotta contro gli ottomani, che avevano invasa gran parte dell'Ungheria e avanzavano verso Vienna. L'impegno militare dei francesi fu tuttavia insufficiente e l'esercito raccogliticcio della Lega, guidato dal valoroso Giovanni de'Medici detto Giovanni dalle Bande Nere, non seppe far fronte alla pronta risposta di Carlo V, il cui esercito di spagnoli e lanzichenecchi prese d'assalto lo Stato pontificio è come punizione per il voltafaccia filo francese del papà, mise a sacco Roma (maggio 1527). Seppure tardivamente, intervenne allora l'esercito francese attaccando il Milanese e il Napoletano, senza tuttavia ottenere importanti successi e la situazione volse definitivamente a favore degli imperiale quando l'Ammiraglio genovese Andrea Doria passò dalla parte di Carlo V. Privato dell'appoggio della flotta genovese l'esercito di Francesco I rimase intrappolato nel Meridione e il re francese venne costretto alla pace di Cambrai (agosto 1529), detta anche "pace delle due dame", perché negoziata da Luisa di Savoia, madre del re francese, è da Margherita d'Austria, zia dell'imperatore. In virtù del nuovo accordo Francesco I rinunciò a ogni pretesa in Italia, mentre l'impero rinunciò alla Borgogna. Poco dopo l'imperatore convocò il congresso di Bologna (novembre 1529) dove convennero i principi italiani e il papà, per sancire l'assetto politico della penisola, ormai saldamente controllata da Carlo V, il quale ottenne anche la solenne incoronazione papale a re d'Italia e imperatore del Sacro romano impero (febbraio 1530). L'ultimo focolaio di autonomia nella penisola venne quindi soffocato con l'assalto degli imperiali alla Repubblica di Firenze, che dopo lunghi mesi di resistenza sotto la guida militare di Francesco Ferrucci, capitolò il 12 agosto 1530. Vennero così restaurati i Medici con Alessandro, un nipote del Papà, il quale ottenne in seguito dall'imperatore il titolo di duca. Guerra per la successione del ducato di Savoia La nuova guerra d'Italia tra Francia e impero fu causata dal problema della successione del ducato di Savoia, dove Francesco I intendeva far valere i suoi diritti come figlio di una principessa sabauda. Questa volta la Francia operò a tutto campo contro Carlo V, e strinse un trattato di alleanza con il sultano Solimano I, il quale minacciava per terra gli Stati asburgico e per mare i domini Spagnoli nel Mediterraneo occidentale; Francesco I inviò inoltre aiuti ai protestanti di Germania, ribelli all'imperatore. Dopo essersi preparato il terreno Francesco I occupò tra il 1535 e il 1536 gran parte del ducato di Savoia, provocando l'intervento degli imperiali, che attaccarono la Provenza e occuparono Nizza, senza tuttavia riuscire a ribaltare la situazione militare, favorevole alla Francia. A dare una soluzione politica alla crisi pensò questa volta il nuovo papà Paolo III (Alessandro Farnese), preoccupato per il pericolo ottomano e protestante che convinse i due sovrani alla tregua di Nizza (1538), per la quale i belligeranti mantenevano le conquiste fatte durante la guerra. La tregua che avrebbe dovuto essere decennale fu invece rotta nel 1542, quando Francesco I mise sotto assedio Nizza, che resistette, mentre Carlo V sferrò la sua controffensiva Nel nord della Francia e dopo la vittoria di Château Thierry (1544) si spinse a minacciare Parigi. Si giunse così alla pace di Crépy (1544) con la quale il re di Francia rinunciava alla Savoia e alle mire italiane. In quegli stessi anni la situazione politica dell'Italia fu resa ancora più instabile da una serie di conflitti e congiure interni ai singoli Stati, spesso fomentati da una delle due grandi parti in lotta per l'egemonia in Italia, Francia e impero. Nel 1537, per esempio, il banchiere Filippo Strozzi tentò di far rientrare Firenze nell'orbita della Francia, ma il duca Cosimo I de' Medici sventò il progetto è consolidò l'ordine mediceo, estendendo i suoi domini a gran parte della Toscana. Tentativi analoghi avvennero nella piccola Repubblica di Lucca nel 1546 a opera del gonfaloniere Francesco Burlamacchi e a Genova nel 1547 con la fallita "congiura dei Fieschi", capeggiata da Gian Luigi Fieschi. La fine dell'impero di Carlo V e l'egemonia spagnola sull'Italia L'abdicazione di Carlo V e la pace di Cateau-Cambrésis con la Francia La contesa tra Carlo V e la Francia continuò negli anni successivi su altri fronti. Morto nel 1547 Francesco I, il nuovo sovrano francese Enrico II si fece prosecutore della politica asburgica del padre e strinse un'alleanza con i protestanti tedeschi ottenendo in cambio degli aiuti promessi le fortezze di Metz, Toul e Verdun (1552), molto importanti per la difesa del confine orientale della Francia. Contemporaneamente Enrico II penetrò in Italia occupando il marchesato di Saluzzo (in Piemonte) e appoggiando la resistenza della Repubblica di Siena assediata dalle truppe dei Medici e dell'impero, che l'avrebbero sottomessa nel 1557. A questo punto si rese conto che il suo progetto politico di pacificazione dell'Europa sotto l'egemonia dell'imperatore cattolico era fallito. In lotta su vari fronti con la Francia e gli ottomani, in una guerra perenne che aveva portato le casse imperiali alla bancarotta, è impotente a contenere la diffusione del protestantesimo nel mondo tedesco, Carlo V promosse la pace di Augusta con i protestanti e giunse alla tregua di Vaucelles (1156) con i francesi, preparando quindi la sua abdicazione che avvenne nel novembre del 1556. Il fratello Ferdinando I, già re di Boemia e Ungheria, fu investito della sovranità sui domini austriaci e con l'assenso della Dieta dei principi tedeschi fu eletto imperatore; i possedimenti asburgico in Italia (Milanese, Napoletano e Sicilia), i Paesi Bassi e la Spagna co le colonie americane passarono al figlio di Carlo, Filippo II. Toccò appunto a Filippo II sostenere nel 1556 una nuova guerra contro la Francia, che interessò soprattutto la Fiandra. Grazie anche all'interessamento di papà Paolo IV, in funzione di mediatore, Asburgo di Spagna e francesi firmarono l'importante pace di Cateau-Cambrésis (aprile 1559), che pose fine alla contesa tra le due potenze soprattutto in Italia. La Francia infatti restituì il Piemonte ai duchi di Savoia, riconoscendo l'egemonia degli Asburgo di Spagna sulla penisola italiana. L'egemonia spagnola sull'Italia L'egemonia spagnola sull'Italia sancita dalla pace di Cateau-Cambrésis stabilizzò la situazione politica della penisola fino agli inizi del XVIII secolo. Direttamente dipendenti dalla corona spagnola di Filippo II erano: -i regni di Napoli (comprendente l'Italia meridionale continentale), i regni di Sicilia e di Sardegna,che erano retti da viceré; -il ducato di Milano, retto da un governatore; -lo strategicamente importante Stato dei Presìdi, creato nel 1557 (Talamone, Orbetello, l'Argentario e parte dell'Isola d'Elba). Nel corso della dominazione spagnola si sviluppò negli Stati italiani una classe dirigente locale, che a Milano fu reclutata soprattutto tra il patriziato urbano, mentre nel Meridione si costituì un ampio ceto autonomo di giuristi, che vennero inseriti nella pubblica amministrazione con il compito di fare da contrappeso al potere economico e alle tendenze centrifughe dei proprietari fondiari (i baroni). Oltre agli stati direttamente dominati, l'influenza spagnola gravava su gran parte di quelli formalmente autonomi: -Genova reggeva la sua economia e la sua indipendenza soprattutto sugli ingenti prestiti fatti alla corona spagnola; -nessuna possibilità di iniziativa politica autonoma avevano i piccoli Stati dell'Italia centro-settentrionale: il ducato di Mantova, governato dai Gonzaga, il ducato di Parma e Piacenza, governato dai Farnese, quello di Ferrara, Modena e Reggio, governato dagli Estensi, il ducato di Urbino con i Della Rovere, la Repubblica di Lucca, i principati di Piombino e di Massa-Carrara; -il resto della Toscana era sotto il dominio dei Medici che erano stati sostenuti dagli eserciti asburgico e che nel 1570 ottennero dall'Imperatore il titolo ereditario di granduchi; -strettamente alleato degli Asburgo di Spagna era poi lo Stato pontificio, che riconosceva in Filippo II e nei suoi successori i protettori della Chiesa cattolica. Rimasero invece relativamente autonomi dall'influenza spagnola: -il ducato di Savoia, che sotto il governo di Emanuele Filiberto e del suo successore Carlo E,Aniene I si costituì come un moderno Stato assoluto; -la Repubblica oligarchica di Venezia, la quale pur in una fase di decadenza economica continuò a condurre una politica estera indipendente, disputandosi militarmente con i turchi l'egemonia nel Mediterraneo orientale. Il concilio di Trento e la Controriforma Il concilio di Trento Con il termine di Controriforma, coniato nel XIX secolo, si definisce il grande moto di reazione religiosa che la Chiesa di Roma promosse a partire dalla seconda metà del Cinquecento per contrastare la diffusione del protestantesimo. L'evento decisivo di quella sistemazione dogmatica e disciplinare della Chiesa cattolica, che costituì la base della Controriforma, fu il Concilio ecumenico di Trento, cioè la grande riunione di vescovi e prelati aperta nel dicembre 1545 da papa Paolo III, e conclusasi nel 1563, sotto il pontificato di Pio IV. Toccò proprio a Pio IV confermare e dare forza di legge alle decisioni del concilio con la bolla Bendictus Deus, emanata nel gennaio 1564, e intraprendere l'opera di tridentizzazione della chiesa, valendosi dell'aiuto di suo nipote e segretario personale, l'arcivescovo di Milano Carlo Borromeo. Tra le principali decisioni del Concilio vi erano i concetti e le dottrine che le confessioni riformate avevano contestato: -la riaffermazione della teologia della Chiesa come fonte della verità accanto alle Sacre Scritture; -la validità delle indulgenze e del culto dei santi e delle reliquie; -il carattere sacrificale e non simbolico dell'Eucaristia; -la conferma dell'esistenza del Purgatorio. Fu inoltre approvata la riorganizzazione dogmatica della Chiesa, e l'intera gerarchia arcivescovile e vescovile fu posta sotto un più stretto controllo papale; mentre per il rinnovamento del clero si approntò una rete di apposite istituzioni, i seminari. La formulazione ufficiale della dottrina cattolica a uso del clero e dei fedeli fu divulgata nel Catechismo romano, rimasto in vigore fino al 1992. Metodi e protagonisti della Controriforma Il Concilio di Trento elaborò dunque sul piano dogmatico la dottrina della Chiesa della Controriforma, ma l'opera di rinnovamento e di riorganizzazione del cattolicesimo e della chiesa romana procedette anche per altre vie. Una funzione importantissima svolsero per esempio i nuovi ordini religiosi (Cappuci, Filippini, Scolopi), fondati nella prima metà del XVI secolo non più soltanto a scopo ascetico e contemplativo, ma anche assistenziale, educativo, missionario. Ma l'ordine religioso che più di ogni altro contribuì all'opera della Controriforma fu la Compagnia di Gesù (l'ordine dei gesuiti), fondata nel 1534 dallo spagnolo Ignazio di Loyola che la organizzò come una milizia spirituale al servizio del papato per combattere il protestantesimo. L'ordine dei gesuiti ricevette quindi l'approvazione papale nel 1540 e da allora si diffuse rapidamente in tutti i paesi cattolici, dove i suoi membri divennero consiglieri e confessori di principi e uomini di Stato, educatori dei figli delle classi abbienti; un importante ruolo fu svolto dai gesuiti anche nell'evangelizzazione delle colonie dell'America Latina. Per difendere l'ortodossia religiosa e l'autorità della Chiesa il papato rafforzò nel corso del Cinquecento anche il suo apparato repressivo. Paolo III aveva richiamato in vita nel 1542 il tribunale dell'Inquisizione (che risaliva al XII secolo) per la repressione dell'eresia, affidandone l'istanza suprema, cioè il tribunale del Sant'Uffizio, a cui erano demandati i casi più gravi, al cardinale Carafa. Lo stesso, divenuto papa Palo IV, istituì la congregazione dell'Indice dei libri proibiti quelli che risultavano contrari ai dogmi, alle dottrine o semplicemente agli interessi secolari della Chiesa. Il clima della Controriforma fu dunque contraddistinto anche da un'ossessione per la repressione dell'eresia, di cui fecero le spese le comunità riformate, come i valdesi di Calabria che furono sterminati nel 1561, le pratiche superstiziose e la cosiddetta stregoneria, particolarmente diffusa nelle campagne, che gli inquisitori ecclesiastici perseguirono e repressero con accanimento nei paesi cattolici, con analoga meticolosità, del resto, a quella dimostrata dai protestanti negli Stati riformati. Anche se la pena di morte per gli eretici fu assai meno frequente di quanto comunemente si creda, è comunque da ricordare il caso del filosofo Giordano Bruno, che fu arso sul rogo com eretico a Roma, durante il pontificato di Clemente VIII. Sorte non molto migliore toccò più tardi a un altro intellettuale "eretico", Tommaso Campanella che fu incarcerato per trent'anni dall'Inquisizione e ripetutamente torturato.