L`antisemitismo a Vienna ai tempi di Mahler

L’antisemitismo a Vienna ai tempi di Mahler A proposito dell’esposizione di vignette antiebraiche durante il periodo
viennese di Mahler – a cura di Hubert Stuppner
L’antisemitismo a Vienna è cresciuto nella misura nella quale nel corso del 19° secolo si
sono succedute ingenti migrazioni in seguito ai pogrom in Russia e nei paesi limitrofi.
Nell’Impero austroungarico hanno trovato condizioni civili più tolleranti e lo stesso
imperatore Francesco Giuseppe ha creato le condizioni di accoglienza con i suoi decreti
liberalizzanti, che permettevano agli ebrei di insediarsi anche nelle città guarnigione
liberandoli dal sospetto di essere un pericolo per la sicurezza dello stato. Lo scrittore
Joseph Roth racconta in “Radetzky-Marsch” come Francesco Giuseppe ricevesse al mattino
i “suoi ebrei”, venuti dalla lontana Galizia per sottoporgli i loro problemi. La grande
ambizione della maggioranza di loro era l’assimilazione e l’ascesa sociale sotto la
protezione di uno stato di diritto, come lo garantiva un impero in cui le etnie erano tante.
L’immigrazione ebraica era particolarmente intensa durante il periodo della forte
espansione urbanistica e la crescita economica della cosiddetta “Gründerzeit”, durante la
quale Vienna si allargò a grande metropoli intorno alla “Ringstraße”. Questo periodo,
definito culturalmente come “Ringstraßen - Epoche”, che muoveva grandi capitali e vide
nascere giganteschi colossi industriali, conobbe anche una questione sociale. E gli ebrei
accorsi in massa a Vienna divennero involontariamente gli odiati concorrenti della mano
d’opera locale. Nasceva da lì un nuovo antisemitismo di cui il popolare sindaco di Vienna, il
cristiano-sociale Dr. Karl Lueger fu il portavoce politico più in vista. Lueger veniva ogni
anno a Bressanone a sottoporsi, nella clinica Guggenberg, a lunghe cure e in quelle
settimane ispirava il più letto giornale tirolese di ispirazione cattolica “Der Tiroler”, edito
proprio a Bressanone e antesignano dell’antisemitismo in Tirolo.
Ma assai più pericoloso era l’antisemitismo razziale, di cui fu il massimo sobillatore Georg
Schönerer, leader dei pangermanisti sotto l’emblema del “fiore azzurro”, che vedevano
nell’ebreo il contaminatore della razza germanica. Fu questo movimento che ispirò il
giovane Hitler, che in quegli anni era un nullatenente socialmente sradicato in cerca di una
propria identità.
L’antisemitismo ai tempi di Mahler era quindi un misto tra due tendenze, che
s’integravano e s’influenzavano a vicenda. Un ruolo deleterio lo giocavano certi settimanali
- “La pulce”, “Caricature viennesi”, “La Bomba”, ”L’Umorista” e soprattutto “Kikeriki”, una
tra le riviste più ferocemente antiebraica, che prendeva in giro sia l’ebreo ricco, presentato
come avido capitalista e sanguisuga, sia l’ebreo nullatenente, asociale e ortodosso, che
viveva ai margini della società e in affollati quartieri. L’immagine comune dell’ebreo era la
testa di gallo – da lì il titolo della testata “Kikeriki”, che alludeva costantemente alla
loquacità e all’arroganza, nonché alla supposta invadenza e fertilità.