Il boom creditizio della Cina presenta dei rischi per

Morgane Delledonne
Associate Director – Fixed Income Strategist
[email protected]
6 aprile 2017
Ricerca Reddito Fisso di ETF Securities:
Il boom creditizio della Cina presenta dei rischi per gli investitori?
Sintesi

Il boom del credito in Cina rischia di pregiudicare la
solidità del sistema bancario locale e potrebbe preludere a
una lunga fase di crescita inferiore al tendenziale.

Tuttavia, i rischi di contagio per il sistema finanziario
globale sono a nostro avviso modesti, visto il basso livello
del debito esterno della Cina.

Nel breve termine ci attendiamo tuttavia un aumento
dell’avversione al rischio a discapito di questo mercato,
accompagnato da una maggiore volatilità del tasso di
cambio e da un potenziale aumento del rischio
obbligazionario legato alle prossime mosse della banca
centrale cinese (People’s Bank of China, PBOC).
Stabilizzazione dell’economia
La crescita economica della Cina si è stabilizzata negli ultimi
trimestri, attestandosi al 6,8% su base annua alla fine dell’anno
scorso. Gli indici PMI del settore manifatturiero e dei servizi si
mantengono sopra la soglia dei 50 punti che segna il confine
tra contrazione e espansione ormai dalla metà del 2016.
Inoltre, la produzione industriale e gli investimenti in capitale
fisso della Cina nel mese di febbraio hanno superato le attese,
con un aumento, rispettivamente, del 6,3% e 8,9% a/a, in rialzo
dal 6,0% e 8,3% a/a di gennaio.
prospettive di lungo termine. Il rallentamento della crescita del
PIL, iniziato sette anni fa, è infatti imputabile alla lentezza dei
progressi fatti nel contenere le vulnerabilità e nella
realizzazione delle riforme strutturali. Le prospettive di lungo
termine dell’economia cinese dipendono dalla determinazione
con cui il governo intende perseguire le riforme strutturali
necessarie a favorire la convergenza dell’economia locale verso
un modello più simile a quello dei Paesi sviluppati.
Una politica monetaria meno
espansiva
Ora che la Fed ha accelerato il ciclo di inasprimento, Pechino
dovrà necessariamente adottare un approccio più flessibile
nella gestione della propria politica economica. La fine delle
misure di allentamento quantitativo negli Stati Uniti, seguita
dall’avvio del ciclo di rialzo dei tassi, ha spinto al ribasso il
renminbi provocando ingenti deflussi di capitali. Di
conseguenza, dal 2014 in poi la PBOC ha dovuto liquidare ben
1.000 miliardi di dollari di riserve valutarie per alleviare le
pressioni negative sulla moneta, mentre le autorità di vigilanza
hanno intensificato i controlli sui movimenti di capitali.
Tuttavia, il costo esplicito e implicito di queste misure - ossia il
ridimensionamento forzato delle riserve valutarie e l’aumento
dell’avversione al rischio dovuto ai maggiori controlli sui
capitali - si è dimostrato insostenibile. A marzo Pechino ha
quindi annunciato un’ulteriore liberalizzazione del corso del
renminbi.
Tuttavia, l’incertezza circa l’effettiva capacità di Pechino di
liberalizzare il settore finanziario e migliorare la gestione dei
conti pubblici e delle imprese statali continua a pregiudicare le
Il valore degli investimenti può aumentare o diminuire e gli investitori potrebbero perdere interamente o in parte il capitale investito. I risultati passati non sono una garanzia
di quelli futuri.
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Nel medio termine ci attendiamo nuovi interventi di
liberalizzazione del cambio e del mercato finanziario. All’inizio
di quest’anno Pechino ha introdotto un progetto pilota per
migliorare la flessibilità dei finanziamenti esteri alle società
locali, finalizzato ad agevolare la rimessa dei proventi di queste
operazioni nel mercato interno. A lungo andare, questi flussi di
capitali dovrebbero in parte compensare i deflussi dovuti al
rimborso dei debiti esteri da parte delle società locali,
stabilizzando in ultima istanza il saldo in conto capitale.
Ci aspettiamo quindi che la PBOC inasprisca gradualmente la
politica monetaria per frenare la crescita dei prestiti, ridurre
l’esodo di capitali e alleviare le pressioni sul renminbi. Nel
breve termine, in vista della prossima mossa della banca
centrale è però probabile un aumento della volatilità del tasso
di cambio e del rischio obbligazionario.
L’eccesso di credito
Dopo la crisi finanziaria, la crescita dell’economia cinese è stata
alimentata dall’espansione del credito e dagli investimenti,
stimolati dalla politica monetaria espansiva. Di conseguenza, il
debito complessivo del Paese è lievitato dal 145% del PIL nel
2007 a quasi il 260% del PIL alla fine del 2016, acuendo le
pressioni sul sistema bancario nazionale e compromettendo
l’efficienza degli investimenti. Il debito della Cina continua a
salire (13% a/a nel 2016), anche se a un ritmo inferiore rispetto
al passato. Nel frattempo, il tasso di crediti in sofferenza è
salito all’1,8% nel 2016 dall’1% del 2012.
Il maggior contributo all’esplosione del credito è ascrivibile alle
aziende. Nel 2016 il debito complessivo delle società cinesi è
infatti salito al 160% del PIL dal 100% del 2008, e la quota
maggiore di questi prestiti è stata erogata dalle banche. I
crediti e prestiti bancari rappresentano ormai il 70% del
finanziamento sociale totale (TSF). I finanziamenti esterni al
settore bancario, erogati dalle cosiddette banche ombra 1,
rappresentano il 16% del TSF, mentre i mercati capitali, cioè i
finanziamenti raccolti mediante emissioni azionarie e
obbligazionarie, costituiscono la quota minore del TSF (14%).
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Tuttavia, le maggiori passività sono state accumulate dalle
società statali (SOE), che in genere hanno un’esposizione
limitata ai mercati finanziari globali e sono implicitamente
finanziate dal governo centrale. Secondo l’FMI, nel 2016 il
debito pubblico complessivo della Cina (che comprende anche
l’indebitamento dei governi locali) si attestava a un livello
relativamente basso, pari al 60,4% del PIL, chiaro segno che le
casse statali sono in grado di assorbire una fetta consistente
delle potenziali perdite. Anche l’esposizione internazionale del
debito pubblico cinese è limitata, visto il livello relativamente
contenuto (12,7%) del debito estero rispetto al PIL.
Esposizione estera e rischi di contagio
Abbiamo utilizzato i crediti delle banche estere nei confronti di
controparti cinesi (banche, imprese del settore pubblico e
privato) come parametro per misurare l’esposizione finanziaria
degli investitori esteri al credito cinese. Secondo i dati
pubblicati dalla BRI, la domanda di credito estero della Cina è
nettamente aumentata a partire dalla metà degli anni ‘2000
toccando il record assoluto alla fine del 2014 grazie alla crescita
dell’offerta di finanziamenti dall’estero, alimentata dal livello
molto basso dei tassi d’interesse nelle economie sviluppate.
Dopo il 2014 la domanda di credito estero ha però accusato una
netta contrazione (-155 mrd di USD) quando la Fed ha iniziato
a ridimensionare il programma di acquisti di attività, per poi
stabilizzarsi nel 2016. L’aumento segnato dai prestiti
internazionali alle controparti cinesi negli ultimi dieci anni è
imputabile per il 50% alla crescita dei prestiti esteri alle banche
cinesi. Il restante 50% è rappresentato da prestiti concessi a
imprese private dei settori non bancari.
Malgrado la flessione, l’esposizione nominale delle banche
estere alla Cina si mantiene elevata. Alla fine del 2016 i crediti
delle banche estere nei confronti di controparti residenti in
Cina ammontavano in totale a 658 miliardi di dollari, un livello
quasi pari all’esposizione delle banche all’Italia. Tuttavia, in
termini relativi, il mercato del credito estero è ancora modesto
(6% del PIL) in Cina rispetto ad altri paesi emergenti (dove in
media corrisponde al 14% del PIL) e alle economie sviluppate
(41% del PIL in media).
Relativi a prestiti non bancari come ad esempio crediti fiduciari,
“entrusted loan” e accettazioni bancarie non scontate.
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Il valore degli investimenti può aumentare o diminuire e gli investitori potrebbero perdere interamente o in parte il capitale investito. I risultati passati non sono una garanzia
di quelli futuri.
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ETF Securities Ricerca 2016
Debito estero verso controparti
Totale
Settore
Settore privato
residenti in (in mrd di USD):
Totale
(% PIL)
Banche
ufficiale
non bancario
Stati Uniti
5.485
33%
480
1.841
3.120
Regno Unito
2.266
79%
500
354
1.387
Germania
1.355
40%
263
529
559
Giappone
876
21%
245
381
246
Cina
658
6%
250
95
311
Italia
620
34%
80
213
316
Brasile
371
21%
64
126
180
India
252
12%
54
52
143
Russia
103
8%
17
13
73
Fonte: BRI, ETF Securities, dati al 30 marzo 2017
Tra tutti i mercati analizzati, le banche britanniche appaiono le
più esposte al mercato del credito cinese, con il 23% del totale
degli impieghi esteri, seguite dagli USA, dall’Europa e dal
Giappone, rispettivamente con il 13%, il 12% e il 10%.
Nel complesso, il mercato creditizio cinese è relativamente
chiuso rispetto ad altri. Vista l’esiguità del debito cinese nei
confronti di banche estere, riteniamo che il rischio che le
tensioni del mercato del credito interno cinese si trasmettano
al sistema finanziario internazionale sia piuttosto ridotto.
Il valore degli investimenti può aumentare o diminuire e gli investitori potrebbero perdere interamente o in parte il capitale investito. I risultati passati non sono una garanzia
di quelli futuri.
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