SECONDO INCONTRO
E B R EI
LUOGO
ORIGINE
DI
CRISTIA
NI
DALLA
MESOPOTAMIA
MUSULMANI
PALESTINA
PENISOLA
ARABA
IN
PALESTINA
EPOCA
1900 a.C.
ANNO 0
622 D.C.
TESTO
SACRO
TORAH
BIBBIA
CORANO
GIORNO
SACRO
SABATO
DOMENICA
LUOGO
CULTO
DI
AUTORITA’
RELIGIOSA
SINAGOGA
RABBINO
CHIESA
SACERDOTE
VENERDI’
MOSCHEA
IMAM
MUEZZIN
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LA RELIGIONE EBRAICA
La storia di Israele si identifica nel rapporto con il suo Dio. Il racconto di questa esperienza, ricca di
significati, è contenuto in 24 libri, scritti in epoche diverse, divisi in tre gruppi.
1. TORAH: (legge, guida, insegnamento), narra le origini dell’umanità, la nascita del popolo
ebraico, le leggi e i precetti che regolano la vita di ogni uomo. La Torah è divisa in sezioni,
affinchè ogni israelita possa, nel corso di un anno, leggerla interamente.
2. NEBIIM: (profeti), riuniscono i libri storici: Giosuè, Samuele, i Re; i 3 grandi profeti: Isaia,
Geremia, Ezechiele ed infine i profeti minori.
3. KETUBIN: (scritti), raccolgono i libri poetici e sapienziali (Salmi, Giobbe, i Proverbi, Cantico
dei Cantici, Ecclesiaste), i libri storici (Cronache, Esdra e Neemia) e i libri di Rut, delle
Lamentazioni, di Ester e di Daniele.
Per i Cristiani questi libri costituiscono una parte della Bibbia, l’Antico Testamento.
LA STORIA DEL POPOLO EBRAICO
La storia del popolo ebraico inizia 1800 anni prima della nascita di Cristo, quando JHVH parlò ad
Abramo; egli divenne capostipite di questo popolo. Lasciò Ur in Caldea in Mesopotamia, dove
abitava, per recarsi nella terra di Canaan, che Dio gli aveva promesso. Giacobbe, figlio di Isacco,
figlio di Abramo, è il padre dei 12 figli che daranno il nome alle tribù di Israele; durante una
terribile carestia la famiglia di Giacobbe si trasferisce nel vicino Egitto.
Il faraone preoccupato del numero e della potenza raggiunti dal popolo sorto dalla famiglia di
Giacobbe, costrinse gli ebrei a faticosi lavori forzati e giunse a ordinare l’uccisione dei loro figli
maschi. Ma un neonato della tribù di Levi, affidato dalla madre ad una barchetta-canestro lasciata
galleggiare sul fiume Nilo, fu salvato dalla figlia del faraone che adottò il “salvato dalle acqua”
Mosè. Questi, una volta cresciuto, ricevette da JHVH l’ordine di pretendere dal faraone la
liberazione dei figli di Giacobbe. Ma il faraone si rifiutò di liberare il popolo che quel Dio
rivendicava; furono colpiti con la morte tutti i primogeniti degli egiziani. Il faraone terrorizzato, si
rassegnò a lasciar partire Mosè e il suo popolo. Durante il cammino nel deserto verso la Terra
Promessa da Dio, il popolo di Israele compì un lungo percorso spirituale. Mentre era accampato nei
pressi del Monte Sinai ricevette da Dio un codice di comportamento (ALLEANZA), il rispetto del
quale avrebbe assicurato aiuto efficace contro ogni nemico. Le tribù d’Israele, guidate da Giosuè,
entrarono nella terra di Canaan, la terra che Dio offrì ad Abramo.
Dopo un periodo di prosperità e pace durante i regni di Saul, Davide e Salomone, il territorio su cui
si erano insediate le tribù d’Israele venne occupato dagli Assiri (721 a.C.) e dai Babilonesi (587 a.C.)
che deportarono la popolazione in massa. Nel 538 a.C. l’imperatore Ciro permise agli ebrei di
tornare nel loro paese. Nel 63 a.C. gli ebrei subirono la dominazione di Roma. Nel 70 d.C. Tito, che
diverrà imperatore romano, dopo un assedio crudele, distrusse il Tempio di Gerusalemme e iniziò la
dispersione totale del popolo d’Israele, DIASPORA (in lingua greca significa “seminare qua e là).
Dopo l’occupazione romana gli israeliti furono costretti ad abbandonare la Palestina, la terra dove
avevano vissuto i loro padri, e a migrare nelle città europee e in seguito anche in America. A lungo
furono perseguitati dai cristiani e considerati deicidi, colpevoli di aver ucciso Gesù Cristo. Il papa
Paolo IV istituisce nel 1555 il GHETTO, il quartiere dove gli ebrei sono costretti a risiedere. La
parola veneziana GHETO, fonderia, è anche il nome dell’isola vicina a Venezia, dove nel XVI gli
ebrei vennero costretti a risiedere. La Palestina venne abitata da nuove popolazioni; fu territorio di
guerre (le crociate, dal 1099 al 1270) organizzate dai regni cristiani europei. Rimase poi sotto il
dominio dei romani fino all’occupazione inglese del 1917. A partire dal 1897 si sviluppò il
MOVIMENTO SIONISTA (Sion è il nome del quartiere di Gerusalemme dove era costruito il
tempio, di cui rimane solo il MURO DEL PIANTO), con lo scopo di ricostituire in Palestina uno
stato ebraico. Dopo le terribili persecuzioni subite dagli ebrei durante la seconda guerra mondiale
nei campi di concentramento nazisti, dove furono sterminati (SHOA) quasi sei milioni di ebrei, il 20
novembre 1947 l’Organizzazione delle Nazioni Unite adotta un piano di spartizione della Palestina,
che viene respinto dalle nazioni arabe confinanti. Lo stato di Israele venne creato il 14 maggio 1948;
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da quel momento cercò di estendere il suo territorio attraverso una serie di guerre mosse ai paesi
limitrofi: Egitto, Libano, Siria e Giordania. I palestinesi residenti nei territori occupati da Israele
vengono deportati in campi di concentramento; lotte sanguinose oppongono i palestinesi arabi (di
religione musulmana), da sempre residenti in quella terra, ai nuovi immigrati ebrei (giudaismo). Nel
1988 i palestinesi avviarono uno scontro violento contro Israele in Cisgiordania e nella striscia di
Gaza chiamata Intifada (in lingua araba rivolta delle pietre). Essi sono riuniti nell’Organizzazione
per la Liberazione della Palestina (OLP), guidata da Yasir Arafat. Il 13 settembre 1993 a
Washington, vengono firmati degli accordi di pace tra palestinesi ed ebrei. Erano presenti Yasir
Arafat e Itzhak Rabin, primo ministro israeliano; il 4 novembre 1995 Rabin venne ammazzato da un
fondamentalista ebreo. Sembra che la pace sia fallita. La Palestina è contesa da movimenti islamici
che non intendono riconoscere Israele e da gruppi di ebrei contrari agli accordi di pace.
Con il termine Ebraismo si indica il complesso di credenze religiose, scritte ed orali, e l’insieme di
tradizioni culturali, etniche e rituali propri del popolo ebraico. Il testo sacro dell’Ebraismo è
l’Antico Testamento, che è stato redatto, in maniera definitiva, tra il VII ed il VI sec. a.C., e che
testimonia dell’elezione del popolo di Israele da parte di Dio e del patto stretto da Questi con gli
Ebrei. Il fulcro della fede israelitica è la confessione monoteistica (Dt. 6,4: “Ascolta Israele, il
Signore è il nostro Dio, il Signore è Uno...”), la quale, malgrado i precedenti tentativi compiuti in
Egitto dal faraone Amenofi IV(XIV sec. a.C.), solo nell’Ebraismo trova la sua più compiuta
affermazione. A sua volta, la fede monoteistica si incentra nella definizione che Dio medesimo offre
di sè in Es. 3,14: “Io sono Colui che sono”. Se ci atteniamo alla lettera del testo biblico, questa
affermazione (in ebraico Ehyèh ashèr èhyèh) è di fatto, intraducibile, poiché si dovrebbe disporre di
un tempo verbale in grado di rendere, contemporaneamente, il presente, il passato ed il futuro.
Infatti, Dio è Colui che, pur non mutando nella Sua essenza, accompagna il popolo ebraico in tutte
le vicissitudini storiche. In questo senso, Dio è legato all’uomo nel passato, nel presente e nel
futuro. La principale conseguenza di questa consapevolezza monoteistica è, in primo luogo, l’idea
della signoria di Dio sul mondo e sulla storia, anche se ciò non significa che la realtà terrena non
goda di una sua autonomia espressa dal libero arbitrio dell’uomo. Visto, però, lo stretto legame fra
immanenza e trascendenza, in ambito ebraico non si conosce il dualsimo ontologico, proprio
invece del Cristianesimo, che separa il mondo da Dio (Cristo dice: Sono venuto in questo mondo,
ma il mio regno non è di questo mondo). L’Ebraismo presenta una concezione dualistica solo in
ambito etico, ambito in cui vengono distinte le “vie del Bene” dalle “vie del Male”. Proprio a
partire da questa dottrina morale, l’Ebraismo sviluppa sia l’idea della creazione quale creatio ex
nihilo (fino ad allora sconosciuta) sia l’idea di uno sviluppo lineare e non ciclico della storia.
Percepito dagli uomini nella sua limitatezza, il tempo non viene considerato come l’insieme di
quelle irripetibili occasioni, offerte all’uomo per manifestare la sua libertà all’interno della
creazione (decidersi per il Bene o per il Male, per la vita o per la morte). Un’altra caratteristica
propria dell’Ebraismo è l’idea di un legame con Dio, che non ha nulla di mistico o di ascetico.
Questo legame si instaura nella comunione dell’alleanza, in cui il Creatore e la creatura mantengono
separate le rispettive identità. E’esattamente la categoria teologica dell’alleanza ad essere costitutiva
dell’Ebraismo: essa rappresenta il reciproco impegno, per cui all’elezione e alla benevolenza di Dio
deve corrispondere, da parte di Israele, l’osservanza del decalogo e di quei precetti (613 in tutto),
che abbracciano ogni aspetto della vita del popolo. Per questo motivo, gli studiosi parlano spesso di
“nomismo dell’alleanza”, essendo la religione di Israele fondata sulla Legge. In effetti, però, il
termine Torah (il Pentateuco) non significa nómos (“Legge”), bensì “insegnamento”, ecco perchè,
riguardo all’Ebraismo, si parla di ortoprassia anzichè di ortodossia. Va tenuto presente, però, che,
malgrado la signoria della Legge divina su ogni aspetto della vita umana, nell’Ebraismo la teocrazia
si combina con una particolare concezione dell’autonomia creaturale, che rappresenta una sorta di
premessa teorica della laicità. Nell’elaborazione teologica dell’Ebraismo, è di notevole importanza
il ruolo che viene attribuito a Mosè, il quale è considerato il più grande dei profeti non perchè la sua
speculazione su Dio sia superiore a quella di Isaia o di Ezecheile, bensì perché Mosè è stato il
fondatore, per così dire, dell’Ebraismo stesso. A Mosè è stata consegnata la Legge e a lui è stato
affidato il compito di condurre il popolo ebraico attraverso il deserto, fino alla Terra Promessa.
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Naturalmente, una funzione importantissima svolgono anche gli altri profeti, i quali richiamano
all’essenzialità e allo scopo ultimo della Legge, così come i “Libri Sapienziali” approfondiscono il
significato dei precetti morali contenuti nella Torah. Il valore attribuito alla Parola divina (il Logos)
e all’elemento escatologico esercita una grande influenza sia sul Cristianesimo primitivo (basti
pensare al prologo del Vangelo giovanneo) sia sulla prima speculazione dell’età giudeo-ellenistica
(Filone d’Alessandria è il primo pensatore a tentare una conciliazione fra le categorie filosofiche
greche e la fede ebraica). Anche lo sviluppo dell’apocalittica cristiana risente molto dell’influsso
ebraico e, in particolare, del Libro di Daniele. In epoca rabbinica, il problema fondamentale
dell’Ebraismo diviene quello di preservare la propria identità all’interno di un mondo ostile, che, al
massimo, concepisce l’Ebraismo come una dottrina propedeutica alla comprensione del
Cristianesimo. Pertanto, i rabbini si preoccupano di preservare e di attualizzare il patrimonio della
Torah, preoccupazione che approda nella stesura della Mishna e del Talmud (babilonese e
gerosolomitano). In questo periodo, si assiste anche alla compilazione della Halakhah, che
interpreta i precetti della Legge, pur considerando misteriosa, in ultima istanza, la volontà di Dio, e
della Haggadhah, ossia la tradizione esegetica ed omiletica che si esprime per mezzo di leggende,
basate sul testo biblico e aventi il compito di illuminarne i significati più reconditi. Il Midrash o
“Commento Biblico” racchiude ed interpreta sia la Halakhah che la Haggadhah. L’Ebraismo ha
prodotto anche una filosofia vera e propria, la quale passa attraverso l’influenza stoica, neoplatonica
ed aristotelica, quest’ultima mediata dai pensatori arabi (Avicenna e Averroè in particolare). Per
quanto riguarda l’apporto filosofico, si ricordano, nel Medioevo ebraico, le figure di Yehudah haLewi e di Mosè Maimonide. L’Ebraismo sefardita si distingue per i suoi studi di natura filosoficoteologica, mentre l’Ebraismo ashkenazita si caratterizza per una maggiore concentrazione sugli
studi talmudici e sulla mistica, la quale sfocerà nel movimento chassidico dell’Europa orientale. Il
misticismo ebraico si radica nell’esperienza profetica e, soprattutto, nelle interpretazioni della
Ma’asè Merkava (l’ “opera del carro”) con cui si apre il Libro di Ezechiele. Gli studi mistici danno
vita alla Kabalah, che nasce nel XIII sec. in Provenza ad opera di Abraham Abulafia e che viene poi
approfondita, nel XVI sec., dalla scuola di Safed, di cui Isaac Luria èl’esponente di spicco. Il
movimento pseudomessianico del sabbatianismo e del chassidismo polacco (seconda metà del
XVIII sec.) rappresentano i momenti più significativi nello sviluppo del misticismo ebraico,
misticismo che ha molto influenzato anche la dottrina ascetica cristiana. E’ interessante notare la
costante tensione, in seno all’Ebraismo, fra misticismo e filosofia, poiché, malgrado la diversa
prospettiva, i problemi di fondo sono comuni: il rapporto fra Creatore e creatura, il legame fra finito
ed infinito, la realtà del Male. In età moderna, Moses Mendelssohn è il filosofo che, sempre in seno
all’Ebraismo, cerca di conciliare la haskalah o Illuminismo ebraico con la stessa modernità
occidentale, mostrando come l’Ebraismo si armonizzi con le esigenze della ragione. Strade simili
hanno percorso, più avanti, Hermann Cohen, Franz Rosenzweig e Martin Buber. In tempi più
recenti, si è assistito alla nascita dell'Ebraismo riformato, il quale, sorto in Germania, si è ben
presto diffuso negli Stati Uniti. L’Ebraismo riformato cerca di ridurre e relativizzare l’imponente
complesso di quei precetti, che separano di fatto il popolo di Israele dal resto della comunità.
Naturalmente, grandi modifiche sono subentrate nel pensiero filosofico e religioso ebraico a seguito
della fondazione, nel 1948, dello Stato di Israele. L'uomo non può percepire la reale essenza della
Divinità, come viene detto nell'Esodo 33:20 «Un uomo non può vedermi e vivere»; Dio è
conoscibile soltanto dalle Sue opere e dai suoi attributi, le Sue middòt. I primi tre nomi divini nel
Tanach sono Elohìm (Dio), Havayàh (Eterno, espressione utilizzata per evitare di scrivere o
pronunciare il Tetragramma) e Adonài (Signore, Padrone). Il nome divino Elohìm sottolinea il
ruolo di Dio come creatore del mondo; semanticamente denota onnipotenza, la fonte eterna di
energia creatrice. Tale nome non indica tuttavia un legame diretto di Dio con la creazione, e
compare come Sua unica denominazione nel primo capitolo della Genesi.
Il nome Havayàh, costituito dalle quattro lettere yod-heh-vav-heh (il Tetragramma), si collega
invece alla stessa essenza divina, l'Essere, e viene pronunciato dal Gran Sacerdote solamente nel
giorno di Kippur; è anche definito «il Nome ineffabile», in quanto è proibito pronunciarlo in
circostanze estranee alla procedura rituale. Havayàh denota l'Essere eterno, la più pura essenza di
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Dio costituendo l'abbreviazione dell'espressione hayàh, hovèh veyiheyèh (fu, è e sarà), che afferma
come la Sua esistenza comprenda insieme passato remoto, presente e futuro infinito. Il nome
Adonài comprende i significati di signore» e padrone» afferma che Dio è il signore di tutto il creato.
Il sionismo è un movimento di natura soprattutto laico, iniziato in Europa agli inizi del 1800. Le sue
cause erano la constatazione della grande sofferenza e discriminazione che gli ebrei avevano
sofferto dorante tutti i lunghi secoli del loro esilio. Gli ideologi del sionismo concepirono il progetto
del ritorno degli ebrei in Palestina, e della nascita di uno stato ebraico, che avrebbe dovuto
convivere fianco a fianco con gli stati arabi della zona. Qui gli ebrei avrebbero potuto finalmente
ottenere uno status sociale identico e pari a quello d’ogni altro cittadino, avrebbero potuto avere una
loro vita pubblica, parlare l'ebraico, osservare le feste religiose. Nonostante il ritorno a Sion fosse
stato il desiderio costante degli ebrei religiosi d’ogni tempo e luogo, presente di continuo nelle
preghiere quotidiane d’ogni generazione, il sionismo venne portato avanti soprattutto dagli
intellettuali ebrei laici, sovente in forte opposizione all’Ebraismo tradizionale. Il sogno del
sionismo si è realizzato con la nascita, nel 1948, dello stato ebraico d’Israele, con capitale
Gerusalemme.
ASHKENAZITI
La maggior parte degli ebrei odierni discendono dagli Ashkenaziti o dai Sefarditi. "Ashkenaz"
significa Germania ed è soprattutto da qui, oltre che dalla Francia e da altri paesi eurocentrali, che
provengono quegli ebrei in seguito trasferitisi in Polonia e URSS. Questo gruppo ha sviluppato la
lingua yiddish (dialetto tedesco medievale) e ha prodotto una ricca cultura artistica, letteraria e
musicale.
YIDDISH
Questa lingua ha le sue origini in quella ebraico-tedesca che andò sviluppandosi nel
Medioevo (yìddish occidentale); essa si diffuse poi nel territorio slavo dell’Europa orientale,
diventando la lingua parlata dal popolo (yìddish orientale). Nel Medioevo esisteva una
letteratura yìddish di intrattenimento piuttosto vasta, nell’epoca moderna si ebbe una
letteratura religiosa; nel tardo XIX secolo lo yìddish divenne nell’Europa orientale una
moderna lingua letteraria, che continuò a rimanere viva anche dopo la Seconda Guerra
mondiale in alcune comunità chassidiche, negli USA e in Israele. E’ una lingua nata dal
mescolamento di ebraico e tedesco in misura maggiore, francese, ungherese, polacco,
galiziano, rumeno e russo. E’ lingua parlata e non scritta, in quanto la sua scrittura adotta i
tipici caratteri ebraici e lo sviluppo da destra verso sinistra, sebbene la lettura richiami i
fonemi tedeschi.
SEFARTIDI
Gli ebrei sefarditi provengono invece dalla Spagna (Sepharad) e qui hanno elaborato la
lingua ladina (uno spagnolo popolare), allacciando stretti rapporti, prima dell'espulsione del
1492, col mondo musulmano. I sefarditi sono una delle grandi divisioni del popolo ebraico.
Più precisamente sefarditi furono detti quegli ebrei che abitarono la penisola iberica, per
distinguerli da quelli che abitarono la Germania e le altre regioni dell’Europa centrale e
orientale indicati con il nome di Ashkenaziti. Gli ebrei sefarditi riuniscono elementi
tradizionali raccolti lungo le loro peregrinazioni. I testi sefarditi antichi risalgono alla Spagna
medioevale e il repertorio si compone di ballate, di canzoni che illustrano il ciclo della vita, di
brani religiosi ma anche di testi pieni di allegria e di ironia. Il fatto di discendere da questo o
quel gruppo etno-culturale oggi non ha molto significato, perché il popolo ebraico è da
duemila anni sparso in tutto il mondo. Le differenze culturali da un gruppo all'altro oggi sono
enormi: si pensi al divario che separa gli ebrei falasha neri dell'Etiopia dagli ebrei indiani del
Messico. E' quindi più costruttivo fare riferimento alle differenze politico-religiose. In questo
senso le principali sono tre: ortodossia, riformismo e conservatorismo, tutte radicate nel
giudaismo rabbinico o talmudico.
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GIUDAISMO ORTODOSSO
Il giudaismo ortodosso si considera l'unico vero giudaismo. Durante la prima metà del sec.
XIX era già un movimento ben definito, deciso a preservare il giudaismo tradizionale
(classico) contro l'emergente movimento riformistico est-europeo. Praticamente è l'ala
integrista del giudaismo contemporaneo. Essa accetta il rapporto col mondo laico o non-ebreo
solo nella misura in cui la Torah rimane salvaguardata nella sua interezza. Inutile dire che
questo atteggiamento estremistico spesso copre interessi tutt'altro che religiosi. Politicamente
appoggiano i sionisti e il governo di Tel Aviv. Curano molto gli aspetti scolastico-educativi.
L'ala ultraortodossa è costituita dai Chassidim, che per voler restare fedeli alla "lettera" della
Torah sono costretti a isolarsi quasi completamente dal mondo.
GIUDAISMO LIBERAL RIFORMISTICO
Il giudaismo liberal-riformistico (sviluppatosi soprattutto negli USA) mosse i primi passi in
Germania, coll'Illuminismo, e puntò a modificare le leggi rituali, cultuali e alimentari della Torah.
Tradusse le preghiere ebraiche in lingua moderna, introdusse l'uso dell'organo nelle sinagoghe,
abbreviò le funzioni religiose, abolì il matroneo e dal 1970 ha istituito il rabbinato femminile.
Alcuni gruppi cominciano addirittura a svolgere il culto di domenica. Questa corrente è la più
progressista, sia perché considera la "rivelazione" come un processo evolutivo, sia perché dà più
peso agli insegnamenti etici dei profeti che non alla legge rituale, sia perché si preoccupa di cercare
un rapporto col mondo moderno e con le altre religioni. Il ramo più giovane di questa corrente è il
Ricostruzionismo, che considera la religione un fenomeno culturale.
GIUDAISMO CONSERVATORE
Il giudaismo conservatore sorge alla fine del XIX sec. (sempre negli USA) come reazione ai
mutamenti introdotti da quello riformistico. Esso in pratica si sforza di conciliare le esigenze dei
riformisti con quelle degli ortodossi. Politicamente è sionista, ma sul piano etico-religioso è più
flessibile, lasciando ai singoli gruppi una relativa autonomia.
CHASSIDISMO
Il Chassidismo è il più recente dei movimenti mistico-religiosi: fondato intorno al 1750 a
Miedzyborz (Ucraina) dal rabbino Israel ben Eliezer (1698-1760) chiamato anche Ba'al Sem-Tob
(ebraico: "signore del buon nome"), si diffuse soprattutto nell'area dell'Europa orientale (Polonia,
Unione Sovietica, Romania, Ungheria). Il Chassidismo affonda le sue radici nella Cabala e persegue
un approfondimento della devozione. Ba' al Sëm-Tob affermava: "Ciò che è determinante non è che
Dio è, ma che tutto ciò che è, è insito in Dio". Ba'al Sem-Tob era pienamente cosciente del
problema sollevato dal basso livello culturale dei più giovani e dallo stato di prostrazione spirituale
e morale nel quale si trovano gli adulti. Decise cosi' di mettere in moto una campagna a due livelli,
diversamente mirata per queste due fasce di eta'. Tuttavia egli era ugualmente consapevole che il
momento non era assolutamente favorevole ad un simile tentativo. Gli errori sabbaitiani e franchisti
erano ancora troppo recenti perche' fosse possibile agire senza suscitare sospetto e di conseguenza
provocare la condanna quasi automatica dei rabbini e dei capi delle comunita'. L'opera doveva
dunque essere svolta, almeno in un primo tempo, nella più assoluta discrezione. Ba'al Sem-Tob
stesso era discepolo di un saggio chiamato Baal Shem, maestro del nome. Si trattava del Rabbi
Adam Baal Shem di Ropshitz, a sua volta discepolo di un saggio della precedente generazione il
Rabbi Yoel Baal Shem di Zamoshtz. Gia' all'eta' di diciotto anni faceva parte di un gruppo di
Nistarim, dei mistici erranti, ai quali Rabbi Adam Baal Shem aveva assegnato la missione di andare
di villaggio in villaggio e da comunita' in comunita' per portare il conforto necessario al popolo
ebraico e contribuire alla sua ricostruzione e spirituale. In questo contesto Ba'al Sem-Tob prese atto
dei bisogni, delle necessita' e della realta' della condizione ebraica. L'accesso alla cultura e al
sapere, gli sembro' un terreno d'azione talmente determinante che per un breve periodo, scelse di
esercitare la funzione di assistente presso l'istitutore di villaggio, consacrandosi in modo concreto
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all'educazione dei più giovani. Dopo la morte del Rabbi Adam Baal shem, il Ba'al Sem-Tob divenne
capo dei Nistarim. Questo nuovo ruolo risultera' il più adatto a favorire l'auspicata diffusione
dell'insegnamento. La struttura funziono' in modo stupefacentemente efficiente, tanto che all'eta' di
36 anni il Baal Shem Tov assunse agli occhi di tutti, la funzione di capo spirituale del movimento
che ben presto si sarebbe chiamato Chassidico. Da allora Ba'al Sem-Tob pote' contare su un certo
numero di discepoli ripartiti in diverse comunita' polacche che avevano gia' ampiamente preparato il
terreno all'impressionante espansione che il movimento stesso avrebbe avuto. Ovviamente fra i
discepoli della prima ora vi erano degli eruditi di primo piano. Nel frattempo Ba'al Sem-Tob si
prese cura di mantenere il contatto con le masse ebraiche. A lui premeva di conservare il ruolo
d'insegnante popolare. E' questa la ragione per cui nei sui insegnamenti il Baal Shem ricorreva
spesso alla parabola o alla metafora in tutti i casi in cui questi permettevano trasmettere concetti
profondi attraverso termini estremamente semplici. Tuttavia, lo scopo evidente di questo
insegnamento sembrava essere soprattutto quello di rispondere ai problemi del momento e a quelli
che verranno. Ba'al Sem-Tob non voleva creare un movimento rivolto solo ad un gruppo ristretto,
dal sapore vagamente scismatico, e come tale chiamato a separarsi dalla corrente principale della
tradizione ebraica. Al contrario, concepiva un movimento di massa, che coinvolgendo inizialmente
singoli individui o piccoli gruppi si espandesse a tutte le classi del popolo ebraico. Naturalmente si
scontro' con un'opposizione vivacissima. La gioia è una delle caratteristiche della vita chassidica:
tutto ciò che procura gioia possiede valore religioso. La massima espressione della gioia è l'estasi,
durante la quale si fa l'esperienza della completa unione con Dio. E in questo modo che il devoto
(chassid) di ogni condizione può raggiungere il livello di giusto (zaddik). M. Buber affermava: "Il
vero zaddik è una Torah". Ma egli lo è proprio perché la Torah si personifica in lui". Lo zaddik è
il capo della comunità chassidica. Il filosofo M. Buber (1878-1965) e il pittore M. Chagall (18871985) furono importanti interpreti dei Chassidismo.
SABBATIANESIMO
Il Sabbatianesimo, fondato da Shabbatai Sebi (1626-1676) nel 1648, è il più grande movimento
messianico nella storia della diaspora ebraica. Originario di Smirne, l'attuale città turca di Izmir,
Shabbatai, dopo studi cabalistici e talmudici, in qualità di nuovo messia, annunciò nel 1648
l'imminente inizio dell'era salvifica. Nel 1651 venne messo al bando dal suo maestro e nel 1666
imprigionato dal sultano turco; sempre nello stesso anno si convertì all'islAm per sfuggire alla pena
di morte e prese il nome di Mehmed Effendi. Il profeta successivo, Nathan di Gaza (1644-1680),
interpretò questa conversione in senso cabalistico, come condizione ultima, necessaria, per la
redenzione dal- l'involucro dei peccati. Shabbatai Sebi morì nel 1676 in Albania. Nel 1683 i suoi
seguaci fondarono a Salonicco il gruppo giudaico-islamico dei Denmeh (turco: "rinnegati"), ancora
oggi presente in quella città.
FRANKISMO
L'altro importante movimento messianico è costituito dai Frankisti, fondato dal polacco Jacob Frank
(1726-1791). Questi dichiarò in un primo tempo di essere sabbatiano e abbracciò l'Islam a
Salonicco sotto l'influsso dei Denmeh. Successivamente sostenne di essere un'incarnazione dei
messia, così come lo erano stati, prima di lui, David, Elia, Gesù, Maometto e Shabbatai Sebi. A
partire dal 1755 si trasferì in Polonia e qui incorse nella scomunica rabbinica. Nel 1759, a Varsavia,
si convertì con molti dei suoi seguaci al Cattolicesimo; tra 111760 e ii 1782 venne imprigionato
come eretico. I suoi discorsi sono raccolti nel Libro delle parole del Signore.
KARAITI
Si tratta di una corrente scismatica ebraica, iniziata nell’ottavo secolo. I Karaiti richiedevano un
ritorno ad un’osservanza più letterale delle Scritture, e contestavano l’autorità rabbinica
tradizionale. In realtà essi stessi si ritrovarono, nel corso dei secoli, ad assumere una serie
d’abitudini e di pratiche loro proprie, che non hanno una base biblica precisa. Si trattò un
movimento abbastanza cospicuo, diffuso in tutti i paesi dell’area araba e medio orientale. I karaiti
non riconoscevano nessuna autorità principale, ed erano pertanto costituiti da molti diversi gruppi.
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Ciò che li accomunava era soprattutto la loro opposizione all’autorità rabbinica degli eredi dei
Farisei. Furono particolarmente forti nel periodo tra i nono e il dodicesimo secolo. Di solito molto
tradizionali e conservatori, rigettavano lo studio e l’importanza delle scienze naturali, cercarono di
fare opera proselita, e ciò portò ad una grossa reazione da parte degli ebrei veri e propri. Molti
rabbini di quell’epoca scrissero e insegnarono tutta una serie di sconfessioni della fede karaita.
Le fortune dei karaiti conobbero notevoli alti e bassi. Dopo il dodicesimo secolo, e un breve periodo
in Spagna, il loro centro si spostò nell’area bizantina.
Nel 17 e 18 secolo si spostarono in Lituania e in Crimea, e poi finirono sotto il dominio russo, che
diede loro una certa preferenza, rispetto al modo col quale trattava gli ebrei. Tuttavia, il loro numero
totale rimaneva sempre basso, poche migliaia o decine di migliaia. Oggi essi sopravvivono quasi
esclusivamente in Israele, dove mantengono una identità religiosa separata da quelle degli ebrei
ortodossi, ma dove hanno gli stessi diritti e doveri civili d’ogni altro cittadino.
CONTEMPORANEI
Nell'Ebraismo contemporaneo si annoverano quattro correnti principali di diversa origine: I Qaraiti
(ebraico beni mikra': "figli della scrittura") rappresentano un movimento riformatore giudaico
fondato da Anan Ben David nell'anno 750 in Persia. I suoi seguaci si designavano originariamente
Ananiti, dal nome del loro fondatore. Ammontano oggi a circa 18.000 e vivono principalmente
nell'Unione Sovietica (Eupatoria, in Crimea), in Turchia e in Israele. Nel loro riferirsi alla Bibbia,
come unica autorità religiosa e di vita, e nel loro parallelo rifiuto della tradizione orale codificata
dal Talmud, essi fanno propri i principi degli antichi Sadducei.
Chi sono gli Ebrei? Che cosa l’Ebraismo?
Il concetto di religione non è univoco. L’Ebraismo mette in discussione il concetto di religione. È
l’antisemita che fa l’ebreo. È una religione, ma non soltanto una religione. Molti ebrei non sono
credenti. Il mondo ebraico è stato toccato dalla secolarizzazione. Alcuni dicono: sono credente, ma
non praticante. Ci sono ebrei che non sono credenti, ma praticanti, cioè seguono riti e feste, perché
legati al concetto di vivere le tradizioni.
Gli Ebrei non hanno la stessa opinione. C’è l’idea di un tempo. Cosa c’è dopo la morte?
Ognuno da sempre la sua opinione. Nel mondo ebraico esiste un divario diffuso di proselitismo.
TRE CORRENTI FONDAMENTALI:
1. EBRAISMO ORTODOSSO: legato alla tradizione;
2. EBRAISMO LIBERALE-RIFORMATO: innovativo;
3. EBRAISMO CONSERVATIVO: cerca una mediazione.
Gli ebrei sono un popolo sia etnicamente che religiosamente. L’ebraismo è una tradizione, cioè si
evidenzia la continuità, è importante riconoscersi parte di questa tradizione. Ebreo è una persona
che ricorda; infatti ogni giorno ripete: “RICORDA ISRAELE…” (Dt). Nelle celebrazioni si ricorda
la memoria, perché niente deve essere dimenticato, in quanto si è dentro una tradizione.
Gli aspetti non sono dottrinali, ma ciò che mantiene la tradizione viva è la famiglia, nonostante la
DIASPORA (dispersione). La famiglia educa dentro una tradizione.
Nel tempio il posto centrale era il SANTO dei SANTI.
La Pasqua è la celebrazione più importante ed è realizzata all’interno della famiglia.
L’Ebraismo è una civiltà, cioè evidenzia la globalità. Un modo di essere e di vivere, di organizzare
la società. È una prassi, cioè un modo di operare e agire.
E’: popolo, religione, tradizione, civiltà e prassi.
È ebreo chi è nato da madre ebrea e/o chi è diventato ebreo attraverso la conversione e non
appartiene alla religione. Per le donne c’è un bagno rituale, per gli uomini c’è la circoncisione,
incisa nella carne.
Quanti sono gli ebrei?
15 milioni circa.
L’islam ha 1 miliardo e 200-300 milioni di fedeli
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I cristiani sono 2 miliardi (tutti assieme).
4-5 milioni di ebrei risiedono in Israele. La maggior parte degli ebrei della Diaspora vivono negli
Stati Uniti (più di 6 milioni).. Altri vivono nel continente europeo, dove quella russa è la comunità
più numerosa (1 milione e mezzo), poi ci sono 700.000 persone in Francia. Negli ultimi anni sono
arrivati in Israele moltissimi ebrei russi.
ITALIA: 30-35 mila: le comunità più numerose sono a Roma, Milano (a Venezia c’è una comunità
ristretta). In Italia ci sono ebrei ortodossi o moderati.
Il termine ebreo deriva dalla Bibbia: “HEBER” discendente di Sem, quindi del popolo ebraico
(Genesi 10,21-259. Nel passato si usava il termine Giudaismo, ma non è un termine amato in
quanto faceva venire in mente Giuda.
Israeliano: è cittadino di Israele (fondato nel 1948). Non tutti sono ebrei.
Israelita: come termine viene abbandonato. C’è poi l’unione delle comunità ebraiche.
RAPPORTI TRA CRISTIANI ED EBREI
N.439-448: Catechismo della Chiesa Cristiana. Il Cristianesimo deriva dall’ebraismo, è un
passaggio difficile fatto di crisi e tristezze. All’inizio la minoranza cristiana è stata perseguitata
dall’ebraismo. Dal 70 d.C. in poi, la situazione si è capovolta.
ANTIGIUDAISMO: atteggiamento contrario per ragioni culturali e religiose. Si è acculturato nel
Medioevo.
DEICIDIO: accusa, hanno ucciso il figlio di Dio, meglio rifiutato.
ANTISEMITISMO: atteggiamento contrario agli ebrei. (è diventato pregiudizio razziale). Nel
secolo scorso è uscito da alcuni pensatori.
Dal Concilio Vaticano II°: NOSTRA AETATE (In questa nostra età): è un decreto, un documento
sui rapporti tra Cristiani ed altre religioni. Titolo che dà il segno di un rinnovamento.
Vangeli di Mt e di Gv risentono degli influssi ebraici, dove il contrario è accentuato.
Nostra Aetate: afferma che la colpa è pari sia per autorità ebraica e romana.
ROMANI 11: Paolo ha un problema di rapporto con il suo popolo.
Qual è il ruolo del popolo ebraico nella Chiesa? NON SI SA.
Non esiste consapevolezza o insegnamento. Ci sono ancora molti passi da fare nella VIA DEL
DIALOGO.
I TESTI FONDAMENTALI DELL’EBRAISMO
Per quel che riguarda i testi, c’è un unico libro. L’ebraismo fa riferimento alla Bibbia, è stato
definitivamente stabilita nel II° secolo d.C.
In ebraico:
T
N
Torah
Neriim
Pentateuco
Profeti
Nella tradizione ebraica MINAGHIN= usi e leggi.
K
Scritti
Agiografi
Gli ebrei dopo l’esilio babilonese hanno cominciato a parlare l’aramaico, tralasciando l’ebraico.
PARASHOT: testi letti durante il lunedì, venerdì e sabato.
L’ultima festa del periodo di pentimento (Sukkot): allegria della Torah, si festeggia la Torah.
FESTE, NORME E TRADIZIONI EBRAICHE
Piero Stefani: “Gli Ebrei”, Il Mulino. Alberto Mello: “L’Ebraismo” Queriniana.
PRIMO TESTAMENTO, SCRITTURA EBRAICA. Il popolo ebraico è l’unico popolo vissuto fino a
questo periodo. Gli ebrei hanno avuto distrutta Gerusalemme dall’impero romano. Non si sono
integrati (non parlavano più l’ebraico, ma l’aramaico, lingua semitica). Nabucodonosor aveva
distrutto il tempio e deportato i capi a Babilonia. Ciro li ha rimandati a ricostruire il tempio.
Neemia ed Esdra erano capi del popolo e hanno guidato il ritorno a Gerusalemme. Hanno dato
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importanza alla TORAH come testamento. Hanno letto tutti i primi 5 libri per rivalutare la parola
scritta da Dio. Hanno deportato centomila ebrei più la lampada a 7 bracci. I romani hanno
chiamato Gerusalemme ELIA CAPITOLINA.
Torah: base delle leggi che regolano la vita dell’Ebraismo.
PRIMO SECOLO: è stato reso valido il canone della Bibbia. Sono stati fatti i commenti.
MISHNA’: 6 volumi, vuol dire ripetizioni.
TORAH: 5 libri, dalla creazione del mondo, fino alla morte di Mosè.
Le lingue semitiche vanno da destra a sinistra
A
R
O
T
MISHNA’: 6 ordini che sono la torah orale; messo per iscritto nel II° secolo al pari, in parallelo
dei Vangeli.
TALMUD (=STUDIO): dei maestri che discutono le regole della Torah; è stato chiuso nel 5° o 6°
secolo. Ha un’ampiezza pari all’enciclopedia Treccani (40 volumi).
PAGINA DEL TALMUD:
Ebraico è una lingua sacra.
TORAH E MISHNA’: scritti in ebraico.
TALMUD: scritto in aramaico.
Non ci si è fermati al 6° secolo, ma i maestri hanno continuato a commentarla.
MISHNA’ è stata scritta in Palestina del nord, Galilea. Dopo il popolo ebraico si è diviso.
TALMUD: una parte è stata scritta in Palestina, l’altra in Babilonia.. i rabbini prendono in esame
tutte le scritture per spiegarle.
La legge dello stato è legge anche per la comunità ebraica. Nella comunità ebraica si seguono le
leggi ebraiche. Infatti hanno mantenuto:
• COSTUMI SESSUALI;
• RITI DI PREGHIERA;
• RITI ALIMENTARI (seguono il Levitico per le regole alimentari).
È un popolo dedicato a Dio, diverso rispetto ai popoli che lo circondavano o in mezzo a cui
vivevano.
Estrema rigidità sugli atti sessuali, per far sì che il popolo d’Israele rimanga più vicino a Dio. Dio
invisibile, perché non può essere raffigurato. Ci sono sempre state invettive su questo popolo che
ha voluto essere diverso rispetto gli altri popoli.
Il ripudio in ebraico equivale al divorzio, sia per l’uomo che per la donna.
ANNO 1000: un rabbino, chiamato “LUCE DELLA DIASPORA” ha decretato che in Europa gli
ebrei possono sposare solo una donna. Gli altri invece possono continuare a sposare 2 mogli
(difficile più di 2).
Gli ebrei hanno 2 richieste:
1. Un pezzo di terra per seppellire i morti; la sepoltura è eterna, non si possono riesumare i corpi.
2. Macellare gli animali, sgozzandoli, facendo uscire tutto il sangue (chiaramente gli animali di
grossa taglia).
Non è mai stato possibile costruire sinagoghe visibili esternamente fino al 600. Non è necessario
che ci sia una sinagoga.
L’educazione dei bambini è stata un fine nel tramandare le diverse feste.
FESTE DEL PELLIGRINAGGIO:
1. PASQUA (PESACH);
2. PENTECOSTE (FESTA DELLE SETTIMANE, 7 SETTIMANE DOPO LA PASQUA);
3. FESTA DELLE CAPANNE.
Raccontare ai bambini tutto questo, è ricordare l’intervento di Dio con l’uomo.
MIDRASH: modo per interpretare i testi.
TORAH: significa INSEGNAMENTO.
SEDER= ORDINE, cena pasquale.
Per le tre feste c’è anche un sacrificio di animale o frutti della terra.
PASQUA = PRIMO RACCOLTO DELL’ORZO
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PENTECOSTE = SHAVOUT – RACCOLTO DEL FRUMENTO
CAPANNE = SUKKOT – RACCOLTO DELL’UVA.
HANNUKAH: dura 8 giorni, è la FESTA DELLE LUCI, cade in dicembre. Ricorda la conquista
del tempio da parte dei Maccabei. Vengono accese delle lampade, una al giorno. Ai bambini si
regalano dolci e si raccontano storie.
PURIM: ricorda la regina Ester, ed è un tipo di Carnevale.
FESTA DEGLI ALBERI: legata alla mistica ebraica, cioè rinnovarsi come la natura. Infatti
alcuni cibi, ricoperti di scorze, hanno all’interno cose buone. Le scintille del bene sono sempre
ricoperte dal male; l’uomo deve cercare di aiutare a far sì che la creazione venga perfezionata
recuperando tutto il bene che c’è.
TIKKUN: Dio ha dato il via alla creazione, ma non l’ha terminata; questo avverrà solo quando
arriverà il Messia.
GESU’: è considerato una figura rivoluzionaria, ma non un profeta, perché il periodo dei profeti
era terminato.
L’annuncio del Messia sarà dato dal profeta Elia, il quale non è morto, ma è stato portato in cielo
da un carro di fuoco. Gli ebrei aspettano che ritorni; a Pasqua preparano un posto e lasciano le
porte aperte; anche quando nasce un bambino maschio, c’è una seggiolina al momento della
circoncisione, perché quel bambino potrebbe essere Elia.
Per ERA MESSIANICA gli ebrei pensano ad un mondo diverso, non celeste.
TESTIMONIANZA: è la funzione principale del popolo ebraico.
Inoltre ci sono le 7 leggi di Noè, alle quali devono tener conto tutti i popoli, tra cui anche gli ebrei
devono attenersi.
L’EBRAISMO OGGI
La società vuole che gli ebrei cambino.
FILOSEMITISMO: simpatia, percezione dell’ebraismo. Molte accuse sono state mosse agli ebrei.
GOLA’= DIASPORA geografica, dove tutte le tradizioni non sono rimaste intatte.
DIASPORA IDEOLOGICA = riguarda l’identità ebraica. Gli ebrei sono l’antico popolo del
libro. Oggi ci sono 15 milioni di ebrei; le due comunità più numerose si trovano in Israele e negli
Stati Uniti. Comunque oggi c’è una rinascita dell’ebraismo nell’Europa Orientale.
In ogni città è nata una parlata: a Venezia, il giudeo veneziano, a Roma il giudeo romanesco. Gli
ebrei tentano di contribuire all’ampia cultura del paese che li ospita, spesso a scapito della propria
vita. Barbie e Ken sono invenzioni di persone ebree, e anche la canzone WHITE CHRISTMAS.
Israele oggi è il centro ebraico più importante, esiste un dislivello sociale nello stato d’Israele;
l’ebraico moderno è più vicino all’europeo.
Gli Stati Uniti sono il 2° polo dell’Ebraismo. C’è una divisione tra le diverse congregazioni
religiose.
RIFORMA EBRAICA: consentono l’uso della lingua tedesca.
Nelle grandi città d’America esistono diverse congregazioni ebraiche:
1. ORTODOSSI, fedeli, divisi in ORTODOSSI MODERNI e ULTRA ORTODOSSI
(comunità chiuse). Hanno i PEOTH (riccioli), e si vestono di nero.
2. CONSERVATORI: rispettosi di tutto, non sono fossilizzati, ma si aggiornano.
3. RIFORMATI: eredi della riforma, iniziata in Germania. Uomini e donne si siedono assieme
nella sinagoga, non ci sono differenze sessuali.
4. RICOSTRUZIONISTA: ha rivoluzionato l’idea di Dio, rendendola il personale; ha un volto,
ma non un veto. Vale anche per chi è figlio di un solo ebreo.
In Italia ci sono 30.000 ebrei che vivono al centro nord. A Venezia ce ne sono solo 500. Le più
numerose comunità sono quelle di Roma e Milano.
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(dal greco “BIBLIA” significa BIBLIOTECA quindi LIBRI)
è una raccolta di 73 LIBRI, divisa in due parti
ANTICO TESTAMENTO (A.T.)
NUOVO TESTAMENTO (N. T.)
(= PATTO – GIURAMENTO)
(= PATTO – GIURAMENTO)
46 LIBRI: vengono narrati gli avvenimenti più
importanti della storia del popolo ebraico e
dell’ANTICA ALLEANZA fra
Dio e il popolo d’Israele:
ADAMO,
NOE’,
ABRAMO,
ISACCO,
GIACOBBE,
GIUSEPPE, MOSE’, DAVIDE,
SALOMONE…
27 LIBRI: vengono narrati gli avvenimenti della
vita di Gesù, degli apostoli, della
Chiesa,
quindi
della
NUOVA
ALLEANZA di Dio con l’uomo
attraverso GESU’ CRISTO.
Questi 27 libri sono stati scritti in greco, la
Questi 46 libri sono stati scritti in aramaico (la lingua più parlata in quel periodo; era anche la
lingua che parlava anche Gesù) e in ebraico.
lingua utilizzata dagli apostoli per evangelizzare
parte dell’Europa.
Questo perché gli ebrei non credono che Gesù Cristo sia il Messia; loro lo stanno
ancora attendendo.
Ebrei e Cristiani affermano che il vero Autore della Bibbia è Dio; egli si è servito di
collaboratori: gli scrittori sacri, così chiamati perché co-autori di un libro sacro. Gli
autori sacri furono molti e quasi tutti sconosciuti, di qualcuno di loro si ricavano
scarse notizie dai loro stessi scritti (Isaia, Geremia…).
DIO NON DETTA IL TESTO SACRO
DIO ISPIRA LA VERITA’ DI FEDE CHE VUOL FAR CONOSCERE
GLI SCRITTORI SACRI HANNO SCRITTO LA BIBBIA
SECONDO LE LORO CAPACITA’ E LA FORMA A LORO PIU’
CONGENIALE: STORICA, POETICA, SAPIENZIALE, PROFETICA O
DI LETTERA
GENERI LETTERARI NELLA BIBBIA
I testi che leggiamo nella Bibbia conservano molte caratteristiche che avevano i
racconti orali. Nella Bibbia i fatti storici sono mescolati alle parabole, alle poesie, alle
preghiere, ai modi di dire… perciò quando si legge la Bibbia, bisogna stare attenti per
capire quello che il veramente il testo vuol dire.
nome del libro
Genesi 1,12-14
numeri che indicano i versetti (dal 12 al 14)
questo è il numero del Capitolo
13
Anno o: A
Betlemme
in Giudea
nasce
Gesù
Cristo.
Anno 30 d.C.:
Gesù, dopo aver
ricevuto
il
battesimo presso
il fiume Giordano
da Giovanni
il Battista,
inizia
la
sua
Missione.
Anni 380-392 d.C.:
l’imperatore
Teodosio, con una
serie
di
editti,
proclamò
il
Cristianesimo
religione di Stato,
cioè l’unica religione
ammessa.
Anno 1545 d.C.:
Papa Paolo III
convocò a Trento
un
Concilio
Ecumenico perché
si occupasse del
rinnovamento della
Chiesa
e
per
ristabilire
l’accordo tra le
Chiese Cristiane.
Anno
33
d.C.:
a
Gerusalemme
muore
crocifisso
Gesù.
Dopo 3
giorni
risorge.
Alla fine del V
secolo, la Chiesa si
era diffusa sia in
Oriente
sia
in
Occidente. Sono i
secoli dei <<Padri
della Chiesa>>, come
sant’Ambrogio
e
sant’Agostino.
Anno 33 d. C.: 40 giorni
dopo la Pasqua Gesù sale
al cielo (Acsensione). A
Pentecoste (50 giorni
dopo la Pasqua) gli
apostoli ricevono il dono
dello
Spirito
Santo.
Iniziano ad evangelizzare
il mondo; Pietro è a capo
della Chiesa (è il primo
papa).
Anno 33 d. C.: 50
giorni dopo la Pasqua,
nel
giorno
di
Pentecoste,
gli
apostoli ricevono il
dono
dello
Spirito
Santo, che dà loro la
forza e il coraggio di
annunciare il Vangelo.
476 d.C.: con la
caduta
dell’impero
d’Occidente,
Costantinopoli
divenne
la
nuova
capitale dell’Impero.
Anni 1962-1968 d.C.: Papa
Giovanni XXIII convocò il
Concilio Ecumenico Vaticano
II per il rinnovamento della
Chiesa Cattolica e per la
promozione del dialogo
a
favore dell’unità di tutti i
Cristiani (ECUMENISMO) e
con le altre religioni non
cristiane
(DIALOGO
INTERRELIGIOSO).
Anni 60-90 d.C.:
gli
evangelisti
Matteo,
Marco,
Luca e Giovanni
scrivono i Vangeli,
riconosciuti
dal
Canone
cristiano.
Anno 1054 d. C.:
scisma (divisione ) tra
la Chiesa Ortodossa (in
Oriente) e la Chiesa
Cattolica
(in
Occidente).
27 ottobre 1986: Papa
Giovanni
Paolo
II
convocò ad Assisi il primo
incontro
internazionale
interreligioso al quale
parteciparono
i
rappresentanti di
diverse religioni
del mondo.
Anno 313 d. C.: dopo diversi
anni di persecuzioni subite dai
Cristiani,
l’imperatore
Costantino,
convertitosi
al
Cristianesimo,
emanò
l’editto di Milano che
consentiva ai Cristiani
di
professare
liberamente la propria religione.
Anno 1521 d.C.: scisma
protestante che portò
allo smembramento della
Chiesa d’Occidente in
una pluralità di Chiese
separate: evangeliche,
protestanti
o
riformate.
24 gennaio 2002: Papa Giovanni
Paolo II, dopo i gravissimi atti
terroristici negli Stati Uniti dell’ 11
settembre
2001,
invitò
i
rappresentanti di tutte le religioni,
in particolare i Cristiani e i
Musulmani, a ritrovarsi ad Assisi.
Qui pregarono assieme per il
superamento delle contrapposizioni
e per la promozione di una pace
stabile fondata sulla giustizia.
Anno 1534 d.C.:
Enrico VIII re
d’Inghilterra
si
proclamò
capo
della
Chiesa
Anglicana.
16 ottobre 2003: Sua
Santità Giovanni Paolo
II, capo della Chiesa
Cattolica, celebra i
suoi
25
anni
di
Pontificato. Muore il
2 aprile 2005. il
nuovo
Papa
è
Benedetto XVI eletto
il 19 aprile 2005
14
I CRISTIANI, DIVISI IN 4 DIFFERENTI CONFESSIONI, NASCONO CON GESU’ CRISTO
CATTOLICI
ORTODOSSI (=opinione corretta)
Si separano nel 1054
1 miliardo e 700 milioni di persone in 200 milioni di persone in Europa
Europa Occidentale e in America Latina Orientale: Grecia, Turchia, Medio
Oriente e Russia
Il capo della loro Chiesa è il PATRIARCA
Il capo della loro Chiesa è il PAPA
I loro ministri del culto sono i SACERDOTI
I loro ministri del culto sono i POPE
Si riuniscono nella CHIESA per Si riuniscono nella CHIESA per
celebrare la MESSA (EUCARESTIA)
celebrare la LITURGIA
PROTESTANTI
ANGLICANI
Si separano nel 1534 con Enrico VIII
Si separano nel 1520 con Lutero
400
milioni
in
Europa
centro 100 milioni in America e Stati Uniti
settentrionale e in America del nord.
L’unica autorità religiosa riconosciuta è DIO
Il capo della loro Chiesa è il RE (Regina)
I loro ministri sono i PASTORI (anche donne)
I loro ministri del culto sono i PASTORI
Si riuniscono nel TEMPIO o SALA per
celebrare la CENA o il CULTO con
preghiere e canti
Seguono la BIBBIA: Vangelo, Lettere Seguono la BIBBIA: Vangelo, Lettere Seguono la BIBBIA: Vangelo, Lettere
degli Apostoli
degli Apostoli
degli Apostoli
Celebrano molte festività in onore di Celebrano molte festività in onore dei Santi Maria e i Santi non sono oggetto di
e di Maria (anche se non credono culto
Maria e dei Santi
Seguono la BIBBIA: Vangelo, Lettere
degli Apostoli
Maria e i Santi non sono oggetto di
culto
Giorno di festa è la DOMENICA
Giorno di festa è la DOMENICA
Giorno di festa è la DOMENICA
Feste importanti: PASQUA, PENTECOSTE
e NATALE festeggiato il 25 dicembre
7 SACRAMENTI: battesimo, eucaristia,
confermazione, matrimonio, ordine sacro,
riconciliazione, unzione degli infermi
Feste importanti: PASQUA, PENTECOSTE Feste importanti: PASQUA, PENTECOSTE Feste importanti: PASQUA, PENTECOSTE
e NATALE festeggiato il 6 gennaio
e NATALE festeggiato il 25 dicembre
e NATALE festeggiato il 25 dicembre
Ciascuna chiesa ortodossa ha un proprio 2 SACRAMENTI: battesimo ed eucaristia 2 SACRAMENTI: battesimo ed eucarestia
rito, fatto di formule, gesti del celebrante,
uso di oggetti sacri e di ICONE
nell’Immacolata Concezione, cioè che
Maria sia nata senza peccato originale)
Immagini legate al culto di Maria e dei Immagini legate al culto di Maria e dei
Santi
Santi (ICONE: immagini sacre dipinte
su legno dai monaci per la preghiera)
Alla salvezza si arriva per dono di Dio Diaconi e sacerdoti possono essere sposati
(la grazia), ma anche per la disponibilità solo se il matrimonio precede l’ordinazione.
I vescovi sono celibi, perché scelti solo tra i
concreta dell’uomo
Giorno di festa è la DOMENICA
Non hanno immagini
Si riuniscono in CHIESA per leggere la
Bibbia, pregare e cantare
Non hanno immagini
Non hanno un’organizzazione gerarchica. Non hanno un’organizzazione gerarchica.
Solo attraverso la FEDE ci si può avvicinare Solo attraverso la FEDE ci si può avvicinare
a Dio e ottenere il perdono dei peccati
a Dio e ottenere il perdono dei peccati
monaci, che sono tenuti a voti di castità,
obbedienza e povertà
TUTTI CREDONO IN CRISTO, ANCHE SE HANNO MODI DIVERSI DI INTENDERE LA DOTTRINA DI CRISTO E
LA SUA CHIESA. TUTTI VORREBBERO TORNARE UNITI;
IL MOVIMENTO CHE CERCA DI REALIZZARE QUESTA FUTURA UNITA’ SI DICE ECUMENISMO
15
CHIESE CRISTIANE A CONFRONTO
ANGLICANI
PROTESTANTI
ORTOTODOSSI
CATTOLICI
CHIESA
Capo della chiesa è Cristo, ma il
vescovo di Roma (il papa) è il
garante dell'unità.
I vescovi dipendono da lui e sono
in comunione con il successore di
Pietro.
SACRAMENTI
SACERDOZIO
SALVEZZA
Sono istituiti da Cristo e sono,
sette: battesi mo, confermazione
(o cresima), eucaristia penitenza,
unzione degli infermi, ordine
sacro e matrimonio.
Cristo è il sommo sacerdote, e tutti i fedeli
partecipano al suo ministero, ma la cura della
Chiesa è affidata al sacerdozio ministeriale
o gerarchico: vescovi, preti e diaconi. I primi
due hanno l'obbligo del celibato, e non sono
ammesse le donne perché gli apostoli erano
uomini.
Dio ha mandato il suo Figlio, Gesù
Cristo, perché tutti gli uomini siano salvi
e conoscano il vangelo.
La Chiesa continua la sua missione
attraverso la fedeltà alla tradizione e alle
Scritture.
MADONNA
La venerazione della Madonna, madre di Gesù,
ha sempre caratterizzato la pietà cattolica.
Nel 1854 è stato proclamato il dogma
dell'Immacolata concezione (preservata dal
peccato originale), e nel 1950 dell'Assunzione al
cielo.
La salvezza viene dalla grazia divina e
dai meriti acquisiti con le opere buone.
Le singole Chiese sono autonome
(autocefale), dipendenti da un patriarcato (Mosca, Costantinopoli... ).
Non riconoscono il primato universale dei vescovo di Roma. L'unità
è garantita dalla condivisione
dell'unica fede e dall'aiuto dello
Spirito.
In opposizione soprattutto alla
concezione cattolica, pongono l'accento sulla Chiesa spirituale che ha
in Cristo il solo capo.
Sono sette come quelli cattolici.
I riti sono solenni e le chiese
piene di icone (immagini) dorate
perché anticipano lo splendore
del Regno.
Ne riconoscono soltanto due:
battesimo ed eucaristia, perché
gli altri non sono stati istituiti
direttamente da Gesù.
L'unica autorità è quella della Parola
rivelata nelle sacre Scritture.
La struttura gerarchica è molto
simile a quella della Chiesa
cattolica, ma con un'autonomia
delle singole comunità, sul
modello di quella ortodossa.
L'arcivescovo di Canterbury è il
primate; con funzione di semplice
coordinatore delle Chiese.
Ne riconoscono solo due: il
battesimo e l'eucaristia, ma
danno valore anche ai riti che
riguardano i sacramenti
riconosciuti dai cattolici e dagli
ortodossi
Hanno una concezione simile a quella
cattolica, ma i pope (sacerdoti) possono
sposarsi.
Non prevedono il sacerdozio femminile.
Rifiutano il sacerdozio ministeriale o
gerarchico, in quanto ogni cristiano è
sacerdote.
I pastori hanno soltanto il compito di
guidare le celebrazione e i culti, e possono
sposarsi. Anche le donne possono accedere
a questo servizio.
Non riconoscendo l'ordine come
sacramento, il sacerdozio non ha lo stesso
valore attribuito dai cattolici e dagli
ortodossi, ma di fatto svolge una missione
simile.
La teologia ortodossa fondamentalmente
non si differenzia da quella cattolica.
La divisione attuale è soprattutto legata
alla questione del primato papale e
dell'autonomia delle varie Chiese.
Tutte le variegate confessioni protestanti
hanno in comune il concetto che la
salvezza è un dono esclusivo di Dio;
alcune parlano di predestinazione.
La salvezza è indipendente dalle colpe o
dai meriti accumulati in questa vita.
La teologia della salvezza è simile a
quella delle Chiese protestanti, dove si
privilegia la fede in Dio che salva,
piuttosto che le opere compiute dall'uomo.
La tradizione orientale invoca la Madre di
Dio (Teuthokos) come «la tutta Santa»,
vergine e «immune da ogni peccato».
È però incon-cepibile un culto (è anche la
rappresentazione delta madre) senza il figlio
Gesù.
Il mondo protestante rispetta la madre di
Gesù, secondo il ruolo importante che le
affidano i Vangeli; ma contestano il culto
dei cattolici e degli ortodossi, che sconfina
nell'adorazione. Non riconosce i dogmi
mariani.
Non hanno particolari forme di devozione
mariana, né celebrano feste, ma Maria
viene ricordata come la madre di Gesù e
come esempio di fede, secondo quanto
testimoniato dai Vangeli.
Ai sacerdoti è consentito il matrimonio e
le don-ne, da qualche tempo, sono
ammesse al sacerdozio.
16
Il Cristianesimo
Il cristianesimo ha origini molto antiche ed è sorto in Asia, per la precisione in Palestina, circa 2.000 anni
fa. Nonostante la sua “veneranda” età questa religione non è comunque la più arcaica tra quelle diffuse
nel mondo; il culto verso Buddha, ad esempio, nacque circa seicento anni prima di Cristo e, quando i
cristiani si diffusero nel mondo per portare la parola di Gesù, i buddisti avevano già “compiuto” più di
200 anni! Il cristianesimo, come l’Ebraismo e l’Islamismo, è una religione monoteista, ovvero si
identifica e crede in un solo e unico Dio che si rivela all’uomo, gli si manifesta e comunica con lui, oltre
che parlargli anche per mezzo di suoi “inviati speciali” (profeti). Nel caso del cristianesimo Dio non
manda solo i profeti a diffondere la sua parola, ma invia sulla Terra addirittura suo figlio, Gesù Cristo,
che morirà sulla croce dopo essersi fatto uomo, quindi dopo essersi incarnato e dopo aver partecipato
attivamente alla vita del suo popolo.
Chi era Gesù Cristo
Gesù (dal nome ebraico Yeshua) era ebreo, nacque a Betlemme, vicino a Gerusalemme, più di 2000 anni
fa e visse quasi sempre a Nazaret, da qui il soprannome de “il Nazareno”. Sua madre, Maria, era sposata
ad un falegname di nome Giuseppe e Dio scelse questa coppia umile e obbediente per far venire alla luce
suo figlio ed inviarlo sulla Terra. Per i due sposi non fu inizialmente facile accettare un tale compito, ma
con coraggio e molta fede allevarono quel bambino che sarebbe diventato il Salvatore. Dell’infanzia di
Gesù si sa poco, tranne che fosse molto rispettoso ed educato, oltre che molto intelligente, al punto di
stupire con la sua erudizione, in tenera età, un gruppo di sapienti che discutevano nel tempio. Attorno ai
30 anni Gesù lasciò la sua famiglia e il lavoro che svolgeva insieme al padre per andare ad annunciare la
parola di Dio, attività peraltro abbastanza diffusa tra gli uomini del tempo, basti pensare che anche il suo
stesso cugino, Giovanni Battista, faceva da anni la vita del predicatore. Le persone che sentivano parlare
Gesù, però, non potevano non notare che egli aveva qualcosa di speciale rispetto a tutti gli altri: non solo
discuteva i libri sacri, ma si poneva come diretto conoscitore del pensiero di Dio, andando anche contro
a precedenti tradizioni e leggi. Gesù Cristo (dal greco christos, che significa "unto" e che corrisponde al
termine ebraico Messia) fu infatti una specie di innovatore, un rivoluzionario rispetto ad alcune visioni
molto tradizionaliste dell’epoca. In una particolare occasione, ad esempio, guarì un paralitico e fu per
questo aspramente criticato dalle autorità religiose ebraiche in quanto compì questo miracolo durante il
sabato, giorno considerato di riposo e in cui non si doveva fare nulla. Il Maestro, come veniva chiamato
allora, fece invece capire proprio con quel gesto che il bene altrui veniva prima di tutto, anche delle
regole religiose. Gesù compì nella sua vita alcuni miracoli, come appunto guarigioni improvvise o come
la moltiplicazione dei pani e dei pesci, ma non agì mai per mostrare la propria “bravura”, semplicemente
per aiutare le persone a credere ed avere fede nella grandezza di Dio. Nel suo cammino, Gesù accolse
intorno a sé dodici apostoli che decisero di dedicarsi a lui e di seguirlo: Simon Pietro, Andrea (fratello di
Pietro), Giacomo, Giovanni (evangelista e fratello di Giacomo), Filippo, Bartolomeo, Tommaso,
Matteo (secondo evangelista), Giacomo il Minore, Giuda Taddeo, Simone il Cananeo e Giuda
Iscariota che lo avrebbe tradito. Gesù, per essere il più possibile comprensibile alla gente e ai suoi
discepoli, si esprimeva con delle parabole, ovvero dei racconti brevi, degli esempi, con cui era possibile
spiegare facilmente un concetto più complicato. Queste parabole e alcuni episodi della vita di Cristo sono
raccolti nel Nuovo Testamento, formato dai quattro Vangeli di Marco, Matteo, Luca e Giovanni. Tra i
quattro Vangeli, quelli relativi a Matteo, Marco e Luca, sono detti sinottici. Ciò significa che hanno uno
svolgimento ed una struttura parallela, come se i tre evangelisti si fossero in un certo senso copiati a
vicenda e si fossero ispirati da una fonte comune. Il quarto Vangelo, invece, quello di Giovanni è a se
stante, diverso dagli altri anche nello stile che sembra più riflessivo e approfondito, riportando anche
vicende che gli altri Evangelisti non narrarono. La Bibbia è il libro sacro cristiano per eccellenza,
comprende sia il Vecchio Testamento (la raccolta degli scritti epici del popolo ebraico, e quindi comune
anche alla religione ebraica, che comprende diversi generi letterari e racconti, quali la creazione del
mondo, la storia dei patriarchi, le leggi di Mosè, la predicazione dei profeti, i libri sapienziali e i salmi)
che il Nuovo Testamento (i Vangeli). La Bibbia è formata da settantatre libri ispirati e scritti da più
persone in un lunghissimo arco di tempo. La Chiesa cattolica riconosce l’autorità del Papa (ovvero il
primato papale) è l'autorità apostolica dello stesso sulle chiese sia di rito latino che di rito orientale (che
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hanno ovviamente delle differenze sostanziali le une dalle altre) e che deriva dal primato di Pietro,
primo Papa della storia e apostolo di Gesù Cristo. La Chiesa cattolica ritiene che in sé stessa sussista la
Chiesa fondata da Gesù Cristo a cui appartengono tutti i cristiani battezzati, pur distinguendo fra coloro
che sono in piena comunione con la Chiesa Cattolica e le altre chiese da essa sono separate.
L'Islamismo
Da Gibilterra fino alla Cina, passando per l'Africa e abbracciando saldamente la vasta cultura araba:
l'islamismo è la seconda religione più diffusa al mondo, con oltre 1.250.000.000 fedeli e uno sconfinato
territorio interessato. Le diverse aree culturali, toccate dall'Islam nel corso dei secoli, hanno dato origine a
particolari e differenti approcci religiosi ma tutti con fondamenti unici e condivisi da ogni fedele,
assolutamente intoccabili. L'islamismo è infatti una religione monoteista , in cui viene adorato un solo e
unico Dio, Allah , e tutti i fedeli si recano almeno una volta nella vita in pellegrinaggio alla Mecca , la
città santa, in direzione della quale tutti pregano più volte nell'arco della giornata. Gli islamici (la parola
islamico deriva da muslin , credente) di tutto il mondo, indipendentemente dalla loro razza, cultura e
condizione sociale si sentono fortemente legati e ciò influisce non solo sulla loro spiritualità, ma anche
sulle loro scelte economiche, politiche ed etiche. La legge coranica , infatti, è un insegnamento che
uniforma fortemente la vita dei fedeli non solo da un punto di vista religioso, ma condiziona anche la
morale quotidiana e le azioni che ognuno svolge verso se stesso e verso gli altri.
La Mecca
Il profeta Muhammad, per noi occidentali il nome è stato tradotto in Maometto , nacque tra il 570 e 572
d.C. da una famiglia potente poi sopraffatta da altri gruppi tribali. Dopo la morte del padre, avvenuta
quando Maometto era ancora bambino, il piccolo viene cresciuto prima dal nonno e di seguito dallo zio,
ricco commerciante e mercante, che portò con sé il nipote nei suoi lunghi viaggi, nei quali egli conobbe
altre culture e soprattutto il Cristianesimo. Molti anni più tardi, Maometto si sposò con Kadigia, una ricca
e vedova ereditiera, acquisendo stabilità economica e sociale e divenendo uno stimato e rispettato
carovaniere, portato ad esempio per la sua fedeltà coniugale e per la sua onestà professionale. Nonostante
una vita soddisfacente e senza problemi, la ricchezza portò comunque Maometto, in età più matura, a
porsi fondamentali domande religiose e sul senso della vita, così da arrivare ad una profonda crisi che lo
spingerà alla ricerca profonda del vero Dio. Sentendosi investito da questa missione, Maometto si impose
di annunciare agli arabi pagani l'esistenza di una grande ed unica divinità ed iniziò a gettare i fondamenti
dell'Islam. Osteggiato dalla gente del suo stesso clan, Maometto non si perse d'animo e gridò a gran voce
le sue verità, verità che costituiranno poi i punti essenziali del Corano. La sua impresa non fu però certo
facile: gli abitanti della Mecca continuarono ad osteggiare le sue azioni, per questo egli decise, con un
gruppo di seguaci, di ritirarsi a Yathrib (chiamata poi Medina, ovvero città del profeta) e nel 622 questa
emigrazione (conosciuta come égira) segnerà l'avvento dell'era musulmana. A questo punto iniziò la sua
vera e propria lotta contro la Mecca stessa, in cui Maometto diede prova del suo coraggio e della sua
abilità di condottiero, da cui uscì vincitore alcuni anni dopo. La sua fama e la forza dei principi che
predicava, come l'unificazione di tutte le tribù, superò i confini stessi del suo territorio, arrivando a
migliaia di orecchi. Moltissime conversioni alla parola del profeta ebbero velocemente luogo, arrivando
persino a intaccare la città santa, la Mecca , che Maometto visitò e purificò, mettendo fine al paganesimo.
Anni dopo il profeta compì, con moltissimi seguaci, l'ultimo pellegrinaggio che precederà la sua morte e
compì rituali che diverranno fondamentali nelle successive epoche e nel culto islamico.
Maometto diede così vita alla Comunità musulmana, unificando l'Arabia e dandole un ordine giuridico,
rendendola anche una potenza forte e compatta da ogni punto di vista. Dopo la morte del profeta, i califfi
salirono al potere politico religioso dei popoli arabi ma, dopo un inizio solido e unitario, in cui la
religione islamica si diffuse ancora di più fino a toccare territori lontani e sconosciuti, iniziarono
spaccature e discordie interminabili, tra le varie dinastie. Si susseguirono vere e proprie lotte religione e
di potere ( la Guerra Santa che vide l'oriente contro occidente né un chiaro e indimenticabile esempio),
che coinvolsero anche la grande stirpe turca islamizzata (ovvero i sultani, chiamati così per differenziarli
dai califfi, successori di Maometto). Dopo i Selgiuchidi e i Mongoli, vi fu l'avvento del lunghissimo
impero Ottomano e dei vari conquistatori che assoggettarono anche l'Asia minore, la Persia e la
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Mesopotamia fino all'India settentrionale, toccando poi l'occidente (i Balcani) e Costantinopoli (nel
1543). La potenza dell'impero Ottomano decadde solo nel 1918 e pochi anni più tardi decaddero anche il
sultanato e il califfato.
Il Corano ( alqor'an =predicazione)
Non potremmo mai pensare alla vita di un musulmano senza fare riferimento al Corano. Ogni musulmano
infatti, si è formato, ha studiato e meditato su questo fondamentale libro sacro, paragonabile per certi
versi alla Torah per gli ebrei e ai Vangeli per i cristiani. Il suo valore inconfutabile sta nel fatto che questo
testo eterno è una manifestazione di Dio che, attraverso il Corano, si esprime e parla al suo popolo (alla
comunità musulmana) e lo guida, per voce dei profeti (i suoi inviati) e ispirati dall'arcangelo Gabriele. Il
Corano è costituito dalle rivelazioni dell'arcangelo Gabriele al profeta Maometto (per i musulmani è
sempre Muhammad e mai Maometto ), trasmesse prima oralmente e di seguito scritte (all'epoca del
califfo Uthman che le fece raccogliere) ed è formato da 114 capitoli di varia lunghezza, divisi in versetti.
Le Hadit sono invece le frasi dette dal profeta nelle predicazioni e non sono presenti nel Corano. I
musulmani hanno degli importanti versetti, acquisiti appunto dalla predicazione di Maometto, che sono
uguali in tutto il mondo dell'Islam e che devono essere rispettati. Ogni musulmano le deve conoscerli a
memoria e li deve ripetere ogni tanto, tramandandoli ai suoi figli e ricordandoli nella preghiera
quotidiana.
La preghiera ( salat )
I musulmani pregano 5 volte al giorno:all'alba, verso mezzogiorno, nel pomeriggio, al calar del sole e di
notte. La preghiera inizia con il ?richiamo? del muezzin che, dall'alto del minareto (torre alta e sottile
della moschea), invita i fedeli al raccoglimento e lo fa con un preciso rituale. La preghiera si compie con
il capo coperto e a seconda delle tradizioni esistono molto copricapo diversi, ma tutti sono una sorta di
riverenza nei confronti di Dio che guada dall'alto ed un modo per essere, ai suoi occhi, tutti uguali. Anche
le abluzioni (il lavaggio del proprio corpo per purificarsi) sono necessarie per accostarsi alla preghiera ed
entrare nella moschea. La preghiera inoltre presuppone varie posizioni del corpo che sono vere e proprie
prostrazioni all'interno delle quali vengono pronunciate invocazioni ben specifiche. La preghiera più
importante della giornata è la seconda, quella di mezzogiorno e ogni venerdì, giorno santo dei musulmani,
vieni recitata dalla comunità che si riunisce nella moschea, con lettura di brani scelti del Corano. Se non è
possibile recarsi in moschea, i fedeli pregano su un tappeto, orientato verso la Mecca.
Il digiuno ( ramadân )
Un altro dogma importante, prescritto dal Corano, è l'impegno del digiuno per un intero mese. In questo
modo il fedele obbedisce a Dio e assume padronanza di sé, ma è comunque una prova dura. Durante tutto
il giorno, ovvero dall'alba alle prime ombre notturne, i musulmani non possono mangiare, niente né bere
nemmeno un sorso d'acqua (a meno che non soffrano). Inoltre non si può fumare o aspirare del profumo, i
sensi devono essere quasi controllati. Poi, con l'arrivo della notte, tutto torna nella norma. Non bisogna
però vedere questo precetto come una forma di costrizione che vuol far penare (Allah non vuole la
sofferenza) ma come un'offerta che gli uomini fanno a lui con rispetto. Ne sono dispensati i minorenni, gli
anziani (se il digiuna comporta per loro un rischio), i malati di mente, i malati cronici, i viaggiatori, le
donne incinte e o che allattano.
In generale i musulmani non possono consumare alcool e mangiare carne di maiale, considerato portatore
di malattie.
L'elemosina ( zakat )
Il Corano prescrive la beneficenza, ovvero l'elemosina verso i più poveri. Con il tempo questa pratica è
divenuta una vera e propria imposta ed oggi è usata per abbassare il dislivello tra più ricchi e più poveri,
oltre che per giustificarsi e purificarsi davanti a Dio.
Il pellegrinaggio ( hagg)
Ogni musulmano deve compiere, almeno una volta nella vita, il pellegrinaggio alla Mecca. Non vi sono
distinzioni di sesso o di ceto sociale, è soltanto necessario aver compiuto il diciottesimo anno di età.
Proprio nel pellegrinaggio, che coinvolge in tutto il mondo persone estremamente diverse per cultura e
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storia, per condizioni economiche o per tradizioni ma anche semplicemente per lingua, usi e costumi è un
fondamentale esempio di quanto sia forte lo spirito comunitario islamico. Questa unità ( ummah )
annienta ogni differenza e rende ogni fedele uguale all'altro e unito ai suoi fratelli.
L'arte delle moschee
Per gli islamici la moschea non è la casa dei Dio, ed in essa loro non gli fanno offerte, ma si radunano
esclusivamente per pregare, per adorare e prostrarsi innanzi a Lui. Essa prende origine probabilmente
dalla casa del profeta Maometto, a Medina, la classica casa araba con cortile, ed è ornata secondo i criteri
dell'arte islamica che mira a una raffigurazione e armonica ispirata alla natura e alle sue forme. In
moschea il fedele entra scalzo, per questo è piena di tappeti. I musulmani, inoltre non hanno nelle
moschee o nelle case immagini sacre che rappresentino Dio perché il Corano non ammette tale pratica,
ma accetta solo ed elusivamente la rappresentazione stilizzata di animali e piante.
ISLAMISMO e CRISTIANESIMO
Si riportano brevemente le differenze tra le due religioni monoteiste, in particolare tra Islamismo e
Cattolicesimo:
1) Islam: unità-unicità di Dio
Cattolicesimo: unità e trinità di Dio
Dobbiamo richiamare alla memoria che l'affermazione dell'unicità di Dio e della sua unità è uno dei
cardini della fede islamica e che la negazione della trinità, anche se probabilmente è stata fraintesa da
Maometto, è chiara e chiaramente espressa nel Corano (Cor 4,17). Da questo punto di vista dunque il
Corano intende essere proprio la correzione di ciò che i nasara (così sono chiamati i cristiani nel Corano)
andavano dicendo e credendo di Dio e di Gesù Cristo. Come credenti in un Dio uno ma anche trino i
cristiani vengono considerati mušrikun (cioè «associatori» o «politeisti») e, nella mentalità popolare
attuale, sebbene il Corano li associ agli Ebrei chiamandoli ahl al-kitab («gente del libro») prevedendo uno
statuto particolare protetto all'interno della comunità islamica in quanto non del tutto politeisti, talvolta i
cristiani vengono considerati come kafiruna cioè come «reprobi» e «infedeli». Non possiamo dimenticare
da questo punto di vista la fatica con la quale la Chiesa primitiva è andata custodendo le verità essenziali
non solo sull'unità di Dio, ma sulla piena divinità e umanità di Cristo e sulla divinità dello Spirito.
Essendo Dio in se stesso una comunione di persone che chiama alla comunione con sé, appare già la
totale divergenza da una visione islamica di Dio che è anche già visione dell'uomo: non chiamato alla
comunione con Dio nella figliolanza adottiva nella quale gridiamo «Abba», Padre (Rm 8,15), ma pensato
per essergli 'abd («servo») o al massimo halífah («servitore califfale») che invoca Dio chiamandolo rabb
«Signore»), rah-man («clemente») e rahím («misericordioso») ma sempre rabb «Signore»). Tra i
novantanove nomi di Dio che la tradizione islamica ha assunto o desunto dal Corano, è rigorosamente
escluso il nome «Padre» (attributo incompatibile con il Dio coranico e negato dal Corano stesso)[che
invece è la caratteristica precipua della preghiera insegnata da Gesù stesso ai suoi discepoli.Dobbiamo
notare inoltre come le Chiese arabofone abbiano in parte mantenuto i vocaboli coranici per esprimere la
propria fede e per pregare Dio nella liturgia e (Alldh «Dio», Masíh «Cristo» o «Messia», Ruh «spirito»)
ma abbiano cercato anche di distanziarsi dai musulmani con un vocabolario proprio (Ab «Padre», talut
«Trinità», rahum «misericordioso», ecc.). Perciò tutta l'economia sacramentale dei misteri «santi e
vivificanti» mostrano come la tradizione cristiana, e in particolare quella ortodossa e quella cattolica,
abbia vissuto attraverso la pratica sacramentale e in particolare nella celebrazione dell'eucaristia il mistero
di un Dio comunione-di-persone che invita l'uomo alla comunione con la vita divina.
2) Islam: inconoscibilità di Dio e verità del Corano
Cattolicesimo: inconoscibilità e rivelazione di Dio
Ribadendo che Dio è 'alim (sciente) e che tutto conosce in contrapposizione all'uomo, che la verità viene
dal Signore (Cor. 2,148), il Corano suggerisce che Dio non può essere conosciuto e che e che ha voluto
rivelare di sé ciò che ha voluto e ribadisce la gratuità della rivelazione che Dio ha fatto della propria
volontà nel Corano. Di fronte alla rivelazione di Dio che si è attuata in modo particolare nella rivelazione
dei suoi «libri», termine tremendamente ambiguo nel Corano, tra i quali la legge di Mosè e il Vangelo 20
che però nella forma attuale sono ritenuti falsificati -, l'unico messaggio sicuro di Dio rimane il Corano, le
uniche parole e sicure sono quelle ispirate da Dio a Maometto e da lui dettate e fatte trascrivere, mentre
come parte secondaria ma vincolante e autorevole rimane poi la tradizione, la sunnah del profeta. Di
fronte a queste posizioni il dato della inconoscibilità di Dio debba essere accolto e recuperato dalla nostra
stessa tradizione che, in parte influenzata dalla mentalità illuministica, ha recentemente sopravvalutato la
capacità della ragione umana e ha messo in secondo piano alcuni dati propri della stessa tradizione
cristiana. Che l'uomo sia in una condizione di distanza da Dio e che non sia per lui agevole conoscerlo in
conseguenza del peccato originale viene affermato fin dalle prime pagine dell'Antico Testamento. Egli si
nasconde al sopraggiungere di Dio e viene da lui esiliato dal giardino dell'Eden (Gen 3). Si ricorda
inoltre che nessuno può vedere Dio e rimanere in vita (Es 33,20). Poiché l'uomo si trova in questa
condizione nella quale rischia di esporre senza discernimento cose troppo superiori a se. stesso (cf. Gb
42), Dio ha fatto conoscere la sua legge e i suoi decreti a Israele (Sal 147) chiedendo i sacrifici ma
soprattutto l'ascolto e l'obbedienza alla sua parola quale sacrificio a lui maggiormente gradito (Gen 22), la
conoscenza e l'amore di Dio dal valore più grande degli olocausti (Os 6,6). Oltre alla manifestazione
della propria volontà Dio stesso, per mezzo dei profeti, ha promesso che l'umanità intera sarebbe stata
ricolmata della conoscenza di Dio e che la legge esterna all'uomo sarebbe stata trascritta nel suo cuore: tu
conoscerei il Signore (Os 2,22); la conoscenza di Dio riempirà il paese come le acque ricoprono il mare
(Is 11,9). Non dovranno più istituirsi gli uni gli altri dicendo: «Riconoscete il Signore», perché tutti mi
conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore (Ger 31,34). Nel Nuovo Testamento si
riprende il dato della inconoscibilità di Dio e la promessa della sua rivelazione per mostrare che ora è lui
che, in Gesù Cristo, da lontano si è fatto vicino, da inconoscibile si è reso conoscibile: Chi intatti ha
conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo dirigere? Ora noi abbiamo il pensiero di Cristo (1
Cor 2,16). Nessuno mai ha visto Dio. Il figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui ce lo ha rivelato
(Gv 1, 18). Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il
Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? (Gv 14,9). Anzi di fronte all'uomo incapace di un'osservanza
piena e totale della sua volontà manifestata nella Legge, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato
sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l'adozione a figli (Gal
4,4). Solo se recuperiamo questi dati, quali l'inconoscibilità di Dio nella sua essenza, e se ci spogliamo di
un'interpretazione illuministica ed esclusivamente razionale del «conoscere» biblico, possiamo vedere
appieno la grandezza della rivelazione, cioè che Dio in Gesù Cristo si è voluto far conoscere. Ciò che gli
uomini non potevano vedere rimanendo in vita ora invece lo possono contemplare e adorare: la Vita si è
fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza (1 Gv 1,2).
La tradizione cristiana perciò ha sempre dovuto mantenere vivi questi due poli opposti, intersecantisi in
Gesù Cristo: Dio inconoscibile in Gesù Cristo si è fatto conoscibile, l'Invisibile si è fatto visibile, Colui
che i cieli e i cieli dei cieli non possono contenere si è fatto uomo in Gesù, Dio è entrato nel tempo (un
momento della storia) e nello spazio (in un luogo, in un popolo, in una cultura ... ) diventando così il
centro del cosmo e della storia: Dio abbassò i cieli e discese (Sal 18, 1 0).
3) Islam: l'uomo deve mettere in pratica il Corano
Cattolicesimo: conoscenza e amore di Dio nello Spirito
Nella concezione islamica l'uomo «naturalmente» può riconoscere l'esistenza di Dio - e dal Corano stesso
è invitato a questo -, ma in quanto creatura permane in una incapacità di conoscerlo: Sappi che la natura
dell’uomo nella sua condizione originaria è stata creata vacua, ingenua, ignara dei mondi di Dio eccelso.
L'uomo non è incorso in un peccato originale che abbia «offuscato» questa capacità. In ogni modo la
verità viene partecipata tramite la profezia, di cui quella di Maometto e del Corano è la prima e
indubitabile. Gli sciiti poi credono nella prosecuzione del carisma profetico di Maometto nei suoi
successori. L'uso della razionalità umana nella tradizione islamica non è stata rifiutata ma, quando si
tentò di indagare Dio, è stata ritenuta sospetta e pretenziosa. Il tentativo del movimento mu'tazilita di
recuperare anche tramite l'eredità greca il valore della razionalità e delle verità enunciabili razionalmente
da comporre con le verità della fede è stato dichiarato eterodosso. L'esegesi allegorica del Corano viene
considerata sospetta e già condannata nel Corano stesso (Cor 3, 1 ss). Se dunque i musulmani accolgono
il Corano come legge di Dio rivelata, l'intelligenza e la razionalità dell'uomo entrano in gioco nel
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momento in cui si deve applicare questa legge alla vita, non nella comprensione del dato rivelato e
tantomeno nella conoscenza di chi lo ha rivelato e della sua intenzione.
Accanto alla verità e alla novità della rivelazione di Dio in Gesù Cristo la Chiesa ha difeso
contemporaneamente la concezione dell'uomo che ne consegue: volendo far conoscere se stesso all'uomo,
D.io ha creato l'uomo «capace» di conoscerlo e di amarlo. Scriveva Gregorio di Nissa: Colui che vede
Dio, per il fatto stesso che lo vede, ha ottenuto tutti i beni, una vita senza fine, l'incorruttibilità eterna, la
beatitudine immortale, un regno senza fine, una gioia perenne, la vera luce (... ) ciò che il Verbo propone
alla beatitudine sembra cosa né mai effettuata né effettuabile (... ) Ma le cose non stanno così, perché egli
non comanda di diventare uccelli a coloro ai quali non ha fornito le ali, né di vivere sott'acqua a coloro
per i quali ha stabilito una vita terrestre. Il magistero della Chiesa definisce: Piacque a Dio nella stia bontà
e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà mediante il quale gli uomini per
mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della
divina natura (Dei Verbum 2). L'uomo pertanto è stato creato da Dio e per Dio, è stato creato a
immagine di Dio (Gen 1,27), a immagine del Verbo incarnato, perché conoscendo e amando il proprio
Creatore e Redentore raggiungesse la felicità in questa vita e lo godesse eternamente nell'altra. Anche se
la Chiesa riconosce nel peccato originale un offuscamento e un'attenuazione della capacità dell'uomo di
conoscere e corrispondere alla verità, tuttavia questa capacità non è mai tolta all'uomo.
Nel fare la volontà di Dio, il cristiano, poi, non è chiamato a mettere al centro la norma in quanto tale e ad
applicarla, ma a penetrare lo spirito della legge per conoscere e amare sempre più colui che ha dato il
comandamento e ha manifestato la sua volontà. Nella visione cristiana questa progressiva conoscenza
non solo del comandamento ma anche di chi l'ha dato e del perché l'ha dato è necessaria per una vita
autenticamente cristiana. Per fare ciò sia la capacità conoscitiva dell'uomo sia la sua volontà devono
sempre essere sostenute e rese operanti dallo Spirito di Dio. Le discussioni che si sono agitate nella
Chiesa antica e moderna circa la natura dell'uomo e l'opera della grazia e le dispute circa l'esicasmo nella
Chiesa orientale hanno mostrato che è per l'opera dello Spirito di Dio operante soprattutto nella liturgia e
nella celebrazione dei sacramenti che l'uomo da Dio stesso può essere progressivamente reso capace di
conoscere Dio e corrispondere alla sua opera di santificazione.
4) Islam: rivelazione di Dio nel Corano
Cattolicesimo: rivelazione nel Verbo incarnato
La visione islamica di rivelazione è totalmente differente da quella cristiana. Se la rivelazione per
eccellenza per i musulmani è avvenuta per opera di Maometto e si è concretizzata nel libro sacro, il
Qur'an, per i cristiani la rivelazione si è andata dispiegando fin dai primordi della storia avendo in Cristo
il suo culmine: tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui (Col 1,16). Perciò non si
possono accettare quei comuni modi di associare musulmani, ebrei e cristiani come «religioni
monoteiste» o «religioni dei libro» in quanto, oltre al fatto che si servono di un termine ambiguo e tutto
da chiarire come quello di «religione», tradiscono già una mentalità coranica e islamica. Noi cristiani
invece crediamo che prima che in un libro, recentemente Dio ci ha parlato per mezzo del Figlio (Eb
1,2). Non è a caso che le comunità cristiane orientali abbiano venerato le icone della Vergine con il suo
Figlio perché in esse veniva rappresentato quello che Ignazio di Antiochia chiamava «il mio archivio»: Il
mio archivio è Gesù Cristo, i miei archivi inamovibili la sua croce, la sua morte e risurrezione e la fede
che viene da lui (Lettera ai Filadelfesi 8,2). Se perciò i musulmani credono che il Corano sia venuto per
mezzo di Maometto che viene dichiarato «profeta», i cristiani riconoscono in Maria lo stilo, lo strumento
materiale libero e consapevole di cui Dio si è servito perché il Verbo di Dio della forma di Dio prendesse
la forma del servo (Fil 2,6.7) e si facesse uomo.
La Parola di Dio, il Verbo di Dio, innanzitutto è Gesù Cristo. Perciò la Chiesa, che è il suo corpo,
continua il suo cammino nella storia consapevole di essere il prolungamento storico di quella
manifestazione. Il confronto con la fede islamica che vede la rivelazione avvenuta in un libro non deve
portare i cristiani a ridurre la rivelazione di Dio alle sacre Scritture. Inoltre Cristo, Parola di Dio e Verbo
di,Dio, è sempre presente nella sua Chiesa in modo speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel
sacrificio della messa sia nella persona del ministro... sia soprattutto sotto le specie eucaristiche. È
presente con la sua virtù nei sacramenti, di modo che, quando uno battezza è Cristo stesso che battezza. E
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presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura. E
presente infine quando la Chiesa prega e loda, lui che ha promesso: «Dove due o tre sono riuniti nel mio
nome, là sono io, in mezzo a loro» (SC 7).
A questo proposito si deve ricordare che la verità rivelata nella fede cattolica è storica, cioè si è maturata
nella storia con la rivelazione di più libri - nel giro di un migliaio di anni e tramite più autori - che di volta
in volta sono stati raccolti e che la Chiesa, dopo l'apparire del Verbo di Dio, non ha eliminato ma ha
conservato e ha letto come preparazione alla rivelazione di Gesù nella consapevolezza di ciò che Gesù
stesso dice: sono proprio esse che rendono te,testimonianza a me (Gv 5,39).
Anche la dottrina dell'ispirazione è diversamente interpretata. Mentre nella tradizione islamica la
partecipazione dell'uomo e della sua razionalità può solo offuscare e ottenebrare la parola rivelata di Dio,
nella tradizione cristiana si è mostrato che Dio si serve della capacità veritativa dell'uomo posta da Dio
stesso nell'uomo, per parlare agli uomini. Perciò i musulmani non parlano di ispirazione ma di tanzíl «discesa» del libro -, e la dottrina tradizionale ha insistito nell'affermare l'incapacità di Maometto nel
leggere e scrivere per sostenere la tesi dell'assoluta estraneità di una qualche facoltà di Maometto nella
composizione del testo coranico. Invece, seppure con difficoltà, progressi e regressi, anche nel Vaticano
Il si è ribadito ciò che già Pio XII, nella Divino afflante Spiritu, aveva affermato, che cioè Dio scelse
degli uomini, di cui vi servì nel possesso delle loro facoltà e capacità (DV 11). Se dunque nella
rivelazione islamica si è cercato di arrivare a unificare i testi coranici e a chiarire come doveva essere letta
ogni singola parola, nella rivelazione cristiana è nata la preoccupazione di fissare il -testo ispirato due
secoli dopo l'incarnazione - e ancora non si -è smesso - e si è arrivati alla definizione del canone delle
scritture ispirate solo con il concilio di Trento sotto la spinta della Riforma. La preoccupazione
preminente della Chiesa pertanto fu non solo-di chiarire quale fosse il testo ispirato (cf. le esapla di
Oricene), ma quali libri fossero da leggere nella comunità, cioè quali libri riflettevano la vivente
tradizione apostolica.
5) Islam: la comunità difende il singolo
Cattolicesimo: la dignità della persona umana
Altra prospettiva che vede una netta opposizione tra Islam e Cristianesimo riguarda il diritto e la persona
umana. Il diritto va inteso come diritto della comunità (ummah), non della persona. L'Islam non
conosce la parola «persona», il suo sinonimo è «fard» (individuo). Il fard è parte integrante e dipendente
della grande società islamica (ummah). Dentro l'ummah egli ha diritti e doveri. Se abbandona la
religione per ateismo o conversione a un'altra religione, perde tutti i suoi diritti, anzi, è passibile di morte
per tradimento.Perciò la fonte dei diritti nei paesi a maggioranza islamica è la comunità islamica e, in
ultima analisi, essa è garante dei diritti e dei doveri che il Corano e la legge islamica, la šari'ah,
riconoscono, concedono e negano. Nei paesi che adottato la legge islamica i cristiani sono spesso
considerati, alla stregua degli altri non musulmani, dei cittadini di seconda categoria impossibilitati o
limitati a una partecipazione attiva nella società e nelle istituzioni. Così anche le discriminazioni delle
donne rispetto agli uomini nel diritto processuale, nel diritto ereditario e in quello matrimoniale hanno il
loro fondamento nel Corano stesso e sono più o meno codificate dalle legislazioni di ispirazione islamica.
Non si deve dimenticare invece come nell'esperienza del cristianesimo occidentale si sia fatto strada il
diritto legato all'essere umano, alla persona umana. L'approfondimento che è stato fatto a livello delle
dispute ci-istologiche del termine «persona» e l'applicazione nella formulazione della fede un solo Dio ín
tre, persone ci richiama quanto il termine persona si sia arricchito di spessore nella cristianità, e come la
dichiarazione universale dei diritti dell'uomo sia frutto di una cultura cresciuta su radici cristiane ed
evangeliche. Pur con titubanze legato per lungo tempo al modernismo, anche la Chiesa cattolica è
arrivata a riconoscere la validità della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Questo è il motivo
fondamentale per cui la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo non è riconosciuta in molti paesi
che intendono applicare la legge islamica. Per questo motivo la Dichiarazione univer-sale dei diritti
dell'uomo nell'Islam emanata dal Consiglio islamico d'Europa presso l'UNESCO nel 1981 rimane una
dichiarazione che riguarda l'uomo nell’Islam. Similmente anche la Dichiarazione dei diritti dell'uomo
nell'Islam promulgata al Cairo nel 1990 nella XIX Conferenza islamica dei ministri degli esteri, prevede,
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ad. es. all'art. 2, che: è vietato sottrarre la vita salvo che la šari'ah lo consenta, e pertanto subordina, in
questo come in altri casi, i diritti dell'uomo alla šari'ah.
Non ci si deve nascondere inoltre che nei paesi a maggioranza islamica non è consentito abbandonare la
propria fede islamica per aderire a un'altra. con il rischio anche della sentenza di morte, talvolta
commutata in carcere. Il Corano, in materia di libertà religiosa e di apostasia, è diversamente interpretato
e permane tutto il peso della tradizione nell'interpretazione del testo. Il principio che deve valere per il
cattolicesimo - principio recepito nei codici giuridici contemporanei - è la libertà di coscienza della
singola persona. Ciò che viene sottolineato nei paesi islamici è la dimensione collettiva della comunità
islamica che non può essere «intaccata» dall'apostasia dei suoi membri senza che la scelta personale vada
a detrimento della comunità.
6) Islam: l'Islam è religione e Stato
Cattolicesimo: la Chiesa non si identifica con lo Stato: la laicità
All' inizio del XX secolo, sullo sfaldamento dell'impero ottomano si andarono costituendo i vari stati
nazionali, adottando ora forme di governo monarchiche, ora socialiste e, in ogni modo, ispirate alla forma
parlamentare europea che sembrava la più vicina all'esperienza di Maometto e dei suoi compagni a
Medina. Proprio nel momento in cui sorgevano gli stati nazionali, ciò che è stato recuperato, in
particolare dalle correnti radicali, è stato il principio della non scindibilità di religione e Stato. Una delle
poche eccezioni fu la Turchia dove, dopo una prima fase in cui si proponeva di liberare le «terre
islamiche» e i «popoli islamici» e di respingere e scacciare l'invasore infedele,furono aboliti il sultanato e
molte prescrizioni islamiche, adottando la domenica come giorno di festa, il calendario occidentale,
vietando l'uso del velo, adottando l'alfabeto occidentale ecc. e ciò fu sentito come una deislamizzazione. Ma a partire dalla prima metà del XX secolo gli ideologi del fondamentalismo hanno
ribadito la non scindibilità di religione e Stato e hanno ribadito che l'Islam è dín wa-dawla cioè religione e
Stato. La grave crisi che stanno correndo gli stati che hanno tentato strade di compromesso con le forme
di governo occidentali è la fessura nella quale le idee fondamentaliste cercano di incunearsi, soprattutto
nei ceti più poveri, per propagandare il ritorno all'Islam e l'abbandono di ogni compromesso con le forme
di governo pqqidentale quale panacea di ogni malcontento e difficoltà.
In maniera opposta il Vaticano Il afferma che la missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa
non è di ordine politico, economico e sociale: il fine, infatti che le ha prefisso è di ordine religioso (GS
42). E la convinzione che era propria dell'A Diogneto, quando si dice che i cristiani partecipano a tutto
come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri (A Diogneto 5,5). Certo la parabola della storia ha
presentato varie e numerose eccezioni, ma penso che la prospettiva sia quella che la Chiesa cattolica oggi
persegue. Il concetto della laicità ò della autonomia delle realtà terrene è stato riconosciuto dal concilio
(GS 36) ed è stato pure chiarito come questa autonomia debba mantenere un riferimento a Dio: La ricerca
metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali non
sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal
medesimo Dio (GS 36 citando CONC. VAT. 1, Dei Filius).
Da questo punto di vista perciò si può constatare come l'ingresso di numerosi musulmani in Europa abbia
costretto o possa costringere a rivedere un concetto di laicità nel senso laicistico del termine, dove ogni
riferimento a Dio o a una norma morale fondata su una visione cristiana dell'uomo viene sentito come
aggressione alla legittima autonomia delle istituzioni. Non ci si deve nascondere tuttavia che, nei paesi
islamici, nell'XI secolo della nostra era la separazione del potere religioso e politico non solo esisteva
concretamente ma era elaborata e giustificata dottrinalmente. La domanda che si pone tuttavia è la
seguente: il «fondamentalismo» o il «radicalismo» islamico al quale abbiamo assistito nel corso del XX
secolo è espressione di una deviazione dal vero Islam oppure è l'espressione di una corrente che intende
essere «musulmana» nel senso più genuino del termine?
EBRAISMO E CRISTIANESIMO
La religione con la quale il Cristianesimo ha il più stretto legame è l' Ebraismo perché Gesù era ebreo ed
ebrei furono i suoi primi seguaci. Dall'Ebraismo il Cristianesimo trae una parte delle proprie Scritture
(l'Antico Testamento), l'idea del Dio unico creatore rivelatore e guida della storia e le basi della sua
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visione morale. La divergenza sostanziale con l'Ebraismo sta nella credenza in Gesù Cristo Dio e uomo e
nell'interpretazione di tutta la rivelazione biblica che da questa credenza in Cristo deriva. Il fatto che la
maggioranza degli ebrei del I secolo non abbiano aderito alla predicazione dell'ebreo Gesù e che nei
secoli successivi l'Ebraismo abbia continuato ad esistere e a svilupparsi ha portato ad aspre polemiche
teologiche e politiche. Dal punto di vista teologico i cristiani hanno spesso pensato che il popolo ebraico,
avendo rifiutato di credere in Gesù Cristo avesse perduto il diritto di considerarsi il popolo di Dio, e che
la Chiesa fosse ormai il nuovo Israele che aveva sostituito l'antico Israele. Quando i cristiani
conquistarono il potere nell'impero romano, cominciarono a perseguitare gli ebrei, limitandone le libertà e
i diritti. Si diffuse anche la concezione per la quale gli ebrei avrebbero perduto il diritto alla propria terra
destinata ormai da Dio al possesso dei cristiani. La storia secolare della presenza delle comunità ebraiche
nei territori a maggioranza cristiana non è però solo di intolleranza e persecuzione, e testimonia uno
scambio continuo creativo da ambedue le parti, anche se non mancano periodi ed episodi di straordinaria
violenza e drammaticità. Dopo la Shoah, nelle chiese cristiane, soprattutto protestanti e cattoliche, si è
sviluppata una radicale autocritica dell' antisemitismo cristiano che ha portato ad un diverso tipo di
rapporti e ad una diversa teoria dei rapporti tra le due religioni.
DIFFERENZE TRA LE TRE RELIGIONI
-Nomi diversi per Dio: (Javhé = da YHWH = verbo essere; Dio = dal latino Deus, deriva da deiwos =
luminoso; Allah = da al - ilah = il dio maggiore)
-La figura di Gesù Cristo: (per i cristiani è il Messia, per gli Eberi e i Mussulmani è un profeta)
-Alimentazione: (i Cristiani non hanno precise regole alimentari, i Mussulmani non possono mangiare
carne di maiale e bere vino, gli Ebrei non possono mangiare carne di maiale, pesci privi di pinne e
di squame, non possono consumare contemporaneamente carne e latticini
-Il calendario: (Per gli Ebrei e i Cristiani è di dodici mesi solari, per i Mussulmani di dodici mesi
lunari; il Capodanno cade in periodi diversi)
-Giorno di festa: ( per i Mussulmani il venerdì, per gli Ebrei il sabato, per i Cristiani la domenica)
-Obbligo di preghiera: ( per gli Ebrei al mattino, e al sabato nella Sinagoga, per i Mussulmani 5 volte
al giorno e il venerdì nella Moschea, per i Cristiani la domenica in Chiesa)
-Abbigliamento: Obbligo del velo per le donne musulmane, obbligo dello zuccotto (kippah) per gli
uomini ebrei, nessun obbligo per i Cristiani)
-Nomi dei luoghi di culto: Sinagoga, Chiesa, Moschea)
-Testi: ( Antico Testamento per gli Ebrei, Nuovo Testamento per i Cristiani (Vangeli), Corano per i
Musulmani)
Testimoni di Geova
I Testimoni di Geova sono un movimento millenaristico fondato nel 1872 negli Stati Uniti da Charles
Russel, un pastore avventista dissidente, che prima ancora era stato presbiteriano e che di professione
faceva il commerciante. Era conosciuto coi nomi di "Uomini dell'aurora millenaria" o "chialisti",
"Studenti internazionali della Bibbia", "Russeliti". All'inizio si rivolgevano prevalentemente agli studenti,
in seguito anche agli immigrati, agli emarginati, alle minoranze di colore, sfruttando i loro sentimenti di
ribellione. Nato nel 1852 in una facoltosa famiglia della Pennsylvania, Russel divenne molto popolare
quando cominciò a predicare in tutte le contee degli Stati Uniti. La prima setta la fondò nel 1878. Nel
1914 le diede il nome di "Studenti della Bibbia". Nel 1884 fondò una società per azioni, la Watch Tower
Bible and Tract Society of Pennsylvania, di cui aveva la maggioranza delle azioni ed era presidente a vita.
Fu un abile affarista: ad es. vendeva ai ceti meno abbienti il grano, che vantava come miracoloso, ad un
prezzo 60 volte superiore al suo valore. Inoltre faceva pressione sugli ammalati per carpire i loro beni ed
era spacciatore di medicinali miracolosi. Giurò falsamente di conoscere latino, greco ed ebraico per
dimostrare l'esattezza della sua interpretazione biblica. In realtà non aveva alcuna competenza teologica,
né storico-filologica. Semplicemente egli si sforzava di chiarire il senso dei testi biblici (soprattutto le
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profezie e l'Apocalisse) accostando i passi più diversi, cercando di spiegare gli uni con l'aiuto degli altri.
Fu il tema della "fine del mondo", su cui centrò la sua predicazione, che lo indusse a uscire dai
presbiteriani e ad accostarsi agli avventisti. E tentò di rinchiudere in manicomio la moglie, cui negò gli
alimenti prescritti dalla sentenza di divorzio che lei aveva chiesto, lasciandola morire di stenti. Il suo
giornale ufficiale era ed è ancora oggi La Torre di Guardia, nato nel 1879. Russel rimase il leader
indiscusso della setta sino al 1916, anno della sua morte. Profetizzò la fine della "perversione" del mondo
per il 1874, poi per il 1914 e infine per il 1918. Ma già con il fallimento delle predizioni millenaristiche
relative al 1914, il movimento subì un collasso, da cui si riprese solo nel 1925, allorché il successore di
Russel, il giudice Joseph Rutherford prese in mano l'organizzazione, la ribattezzò nel 1931 col nome che
ha ancora oggi e la diffuse in tutto il mondo. (Jehowah o, in italiano, Geova è la pronuncia errata del
tetragramma JHWH, le cui consonanti venivano vocalizzate dagli ebrei con Jahweh o anche con lo stesso
Jehowah, per esigenze di tabù rituale, essendo il nome di Jahweh impronunciabile). Rutherford non aveva
il carisma di Russel, ma seppe accentuare l'aspetto amministrativo della setta sul modello delle grandi
imprese industriali, con gerarchia piramidale e soprattutto con la formazione intensa dei "proclamatori", il
personale dedito al proselitismo. L'entusiasmo iniziale venne sostituito dalla efficienza burocratica e
manageriale della propaganda. Egli abolì il natale, la pasqua e il simbolo della croce. Rutherford modificò
alquanto l'interpretazione escatologica di Russel. Secondo questi infatti l'anno 1914 avrebbe segnato la
distruzione della cristianità, la glorificazione in cielo della vera chiesa e l'instaurazione del regno di
Geova. Oggi invece, dopo le ritrattazioni e rettifiche di Rutherford, il 1914 viene indicato come l'anno del
ritorno invisibile di Cristo sulla terra e l'inizio del "periodo della fine". Previde per il 1930 l'inizio di
un'èra idilliaca per l'umanità. Rutherford morì nel 1942 in California, in una villa sontuosa che aveva fatto
costruire per ospitare Abramo, Isacco e Giacobbe che, secondo una sua profezia, sarebbero dovuti
resuscitare nel 1925 per mettersi a capo dell'umanità. Naturalmente Rutherford non credeva in quello che
diceva, lo faceva solo per tenere più unito il suo movimento e per poter speculare finanziariamente. Su
questa linea hanno continuato anche i successori di Rutherford, Knorr e Franz, precisando ruoli gerarchici
e possibilità di carriera nell'organizzazione capillare, esasperando i controlli e le responsabilità
gerarchiche. Organizzazione e funzionalità oggi prevalgono su qualsiasi forma di umana solidarietà.
Ancora oggi il carisma religioso è gestito con i criteri di una società d'affari: si veda ad es. l'uso massiccio
per la propaganda di ogni mezzo comunicativo, compresi il cinema (già dal 1894), la tv, i processi, le
polemiche socio-religiose in America, Canada e in ogni parte del mondo. Nel periodo fra le due guerre
mondiali il movimento si diffuse in Europa occidentale: prima in Germania, ove vennero duramente
perseguitati dal nazismo, poi negli altri paesi. Nello stesso periodo furono messi fuori legge anche da
Australia e Nuova Zelanda. Nel 1942 divenne presidente della setta Nathan Knorr che impose come
attività principale la predicazione a domicilio, fece fare una traduzione della Bibbia manomettendola in
più parti, introdusse il divieto delle trasfusioni e fondò la sede centrale del movimento a New York, nel
quartiere di Brooklyn, dandole una strutturazione oligarchica, con il "Corpo direttivo". Previde anche lui
la fine del mondo per il 1975 e morì un anno dopo. Il movimento subì delle forti crisi nel 1975 e nel 1986,
allorché le due più recenti attese della restaurazione finale, quella di Knorr e quella di Franz, risultarono
di nuovo vane, sconcertando i fedeli. Tuttavia, dopo il fallimento delle previsioni e il breve periodo di
delusione generale, si è avuto un riesame dei testi su cui ci si era basati e una loro reinterpretazione in
senso lato, con la conseguente affermazione che qualche cosa era effettivamente accaduto, benché in
maniera invisibile. Di qui la decisione di riprendere alcuni aspetti della predicazione fallita, inserendoli in
un nuovo schema profetico che puntasse sempre l'attenzione sulle catastrofi e sulle crisi, al fine di
dimostrare che la setta ha pienamente ragione quando dice che la fine del mondo è vicina. Oggi non si
indica più alcuna data precisa per tale restaurazione, che però viene sempre considerata come imminente
e sempre collegata con catastrofi naturali, con la miscredenza e la criminalità. Dai geovisti si sono
separati due gruppi, quello svizzero di A. Freytag nel 1920, che concepisce la "terra rinnovata" come
un'indefessa opera di rimboschimento e di lotta contro l'egoismo; e nel 1947 quello francese di B.
Sayerce, un insegnante elementare nelle province basche. Nella vita professionale i geovisti si fanno
ammirare per la loro serietà e onestà, anche se rifiutano impegni troppo gravosi, che impediscano il
volontariato, la vita religiosa, la propaganda, le riunioni assembleari. Rifiutano il consumismo ostentato,
il lusso, la moda, pur senza sostenere l'ascetismo religioso. Si isolano da parenti e conoscenti che non
accettano di convertirsi. Leggono poche riviste e pochissimo i giornali, eccetto quelli della Torre di
Guardia, accolti senza alcun senso critico. Dubbio e ricerca sono aboliti. Tv e musica moderna
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ostracizzati. Chi diserta le riunioni viene espulso. Religiosità e preghiere sono molto stereotipati. Si
considerano eletti perché perseguitati, ma di questo si vantano. Rivendicano una posizione di assoluto
distacco dalle chiese cattoliche e protestanti: sono cioè antiecumenici ed elitari, in quanto pretendono di
essere l'unica organizzazione di salvezza voluta da dio, e l'unica dispensatrice di verità nel campo
religioso. Infatti alla fine del mondo solo i geovisti si salveranno: i profani, finché non diventano fedeli,
vengono considerati sotto l'influenza di Satana. Il totalitarismo assoluto nelle sfere di comando è stato
rivelato per la prima volta da R. Franz, uno dei massimi dirigenti dei geovisti e nipote dell'attuale
presidente mondiale. Egli ha scritto un libro di 515 pagine, Crisi di coscienza, in cui denuncia i metodi
autoritari delle imputazioni giudiziarie per dei semplici dubbi, le inquisizioni minuziose, gli interrogatori
interminabili, le occulte registrazioni di conversazioni e di telefonate, i processi a porte chiuse senza
alcuna difesa da parte degli inquisiti, le condanne e le scomuniche per soli sospetti o per qualche critica, i
condannati presentati come criminali e indemoniati.
L'ideologia geovista
L'aspetto predominante della loro dottrina è la predicazione del regno di dio, al fine di riportare la terra
alle condizioni paradisiache dell'Eden. I geovisti predicano una dottrina profetica ed escatologica: ad es.
dall'anno 607 a.C. (fine del regno d'Israele) Dio non sarebbe più stato rappresentato sulla terra. Ma con il
1914 saremmo entrati nell'ultimo periodo della storia umana. Secondo i loro calcoli, il millennio
apocalittico -come descritto dalla Bibbia- sarebbe iniziato nel 1914, con l'invisibile ritorno di Cristo fra
gli uomini. La I G.M. sarebbe stata il segno evidente della guerra finale tra Satana e Geova, il quale
naturalmente trionferà. Quel giorno la terra diverrà luogo di felicità per i sopravvissuti e i morti resuscitati
(non tutti i morti della storia, ma solo quelli che l'hanno meritato), mentre Cristo separerà i cattivi dagli
eletti, che costituiranno il mondo nuovo del regno di dio. Nel 1914 è cominciato il millennio (cioè
l'instaurazione del regno divino nel mondo). La grande crisi mondiale iniziata in quell'anno è il preludio
all'imminente battaglia di Armaghedon (Ap. 16,16) fra Geova e Satana. Dopo questa battaglia tutti i morti
risorgeranno con un corpo umano e avranno migliori condizioni per guadagnarsi la salvezza. Trascorsi
mille anni, i renitenti saranno annientati, mentre i salvati riceveranno la vita eterna, secondo varie
gradazioni di beatitudini: i 144.000 "eletti" (Ap. 7,1-8) vivranno nel cielo, tutti gli altri sulla terra. Il regno
di dio è quindi per loro un dominio reale che oggi è già presente in cielo e che presto si affermerà sulla
terra, riportandola alla originaria condizione paradisiaca. Questo per mille anni. Ecco perché i geovisti
aspettano un'imminente fine dell'attuale sistema mondiale attraverso le grandi tribolazioni con cui dio
libererà la terra dalla malvagità. Alla fine del millennio, Satana tornerà sulla terra e gli uomini avranno
una seconda possibilità di rinnegare dio. Chi lo farà morirà definitivamente, gli altri entreranno per
sempre nel paradiso ripristinato. Sarà una teocrazia priva di conflitti, malattie, morte e sfruttamento
dell'uomo sull'uomo. I "salvati" dunque si distinguono in due categorie: i 144.000 eletti (numero assunto
letteralmente dall'Apocalisse, ove però è riferito alle tribù d'Israele), che sono predestinati a una
resurrezione solo spirituale e a regnare con Cristo in cielo; e tutti coloro che, fedeli testimoni di Geova,
saranno ammessi ai mille anni di felicità terrena, ma solo dopo la battaglia di Armaghedon (altro termine
tratto dall'Apocalisse, ove è simbolo non di stragi sanguinose, ma della vittoria definitiva del Cristo nel
giudizio universale), in cui periranno le organizzazione sataniche che sono gli Stati, le chiese, l'ONU, il
mondo intero (il papa ad es. è identificato con la "bestia" che nell'Apocalisse porta il no 666). Superate
successivamente le prove cui Satana, prima incatenato da Geova e poi liberato, sottoporrà i fedeli alla fine
del millennio, questi otterranno la vita eterna sulla terra, anche col corpo, sempre in un paradiso terrestre.
Non vengono qui ipotizzate innovazioni sociali, ovvero un sistema comunitario particolare o altri modelli
socioeconomici. Non si tratterà neppure di una società altamente tecnologica. Si può solo notare che alla
concezione russeliana dell'apocalisse, secondo cui l'incendio del mondo sarebbe stato causato da una lotta
dei lavoratori contro i capitalisti, è subentrata una concezione più classica del catastrofismo, con
terremoti, epidemie, carestie, ecc. In ogni caso per ottenere la vita eterna occorrono la piena obbedienza a
Geova e la fede nel sacrificio-riscatto di Cristo. I geovisti ritengono la Bibbia unica fonte della parola di
dio, unica soluzione di tutti i loro problemi e ne promuovono lo studio domestico e presso le cd. "sale del
regno", per 3-5 volte la settimana, seguendo un'esegesi di tipo letterale e fondamentalista. Sotto la guida
del Corpo direttivo di Brooklyn, che si considera infallibile e superiore alla Bibbia, si è deciso di fare una
traduzione in italiano nel 1967 dalla loro Bibbia inglese del 1961: anche qui ovviamente le manipolazioni
sono innumerevoli. Gli altri punti fondamentali della loro fede sono, sulla scorta dell'eresia ariana, la
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negazione della trinità divina dei cristiani: Cristo, la prima creatura di dio, non è generato, è sommo
sacerdote e re nel regno di dio. Talvolta è presentato come l'incarnazione dell'arcangelo Michele. Per
riscattare gli uomini dal peccato originale dovette diventare uomo e morì sul "palo". Geova lo avrebbe
resuscitato spiritualmente, intronizzandolo nel 1914 in cielo, affidandogli, insieme con i 144.000
predestinati, il governo del cielo (qui sono forti le influenze calviniste). Nel 1914 si sarebbe realizzato
invisibilmente il secondo ritorno di Cristo, che è chiamato anche "feldmaresciallo" di Geova. Per loro
tutte le religioni sono state inventate dal demonio. Negano i miracoli, l'immortalità dell'anima e l'esistenza
del purgatorio e dell'inferno: quest'ultimo coincide con la morte fisica e gli infedeli, alla fine dei tempi,
saranno dissolti con Satana. Lo spirito santo è la "forza" di dio e come tale viene sempre scritto
minuscolo. Rifiutano i santi e la cosiddetta maternità divina e verginale di Maria. Accusano i cattolici di
idolatria, specie per quanto riguarda la messa, a causa del suo carattere sacrificale e perché implica la fede
nella presenza reale del corpo e sangue di Cristo.
Riti, usi e costumi
La pratica religiosa è ridotta al rito del battesimo, che viene impartito per immersione solo dopo averlo
chiesto personalmente. Ma può anche essere rifiutato a chi non ha reso la sua condotta conforme a
determinate esigenze (p. es. se fuma, se non conosce a sufficienza la dottrina, ecc.). Il battesimo non è un
sacramento (i geovisti hanno abolito tutti i sacramenti), ma solo pubblico affidamento di ogni persona a
Geova. Poi vi è la celebrazione annuale della morte di Cristo: una semplice commemorazione il venerdì
santo (Pasto serale), ricordando ciò che il Cristo fece (le parole "Questo è il mio corpo" vengono intese
alla maniera protestante: "Questo significa il mio corpo"). La preghiera fondamentale è il Padre nostro.
Non esiste organizzazione ecclesiastica, né un clero vero e proprio: unico mediatore tra dio e gli uomini è
Cristo. Non usano titoli onorifici come "don", "eccellenza", "eminenza", ecc. Rifiutano il monachesimo.
(In tutto questo assomigliano molto ai protestanti). Il matrimonio è celebrato secondo il rito religioso
della religione cristiana dei testimoni di Geova presso le Sale del Regno da ministri di culto autorizzati
dallo Stato Italiano. Ammettono il divorzio solo in caso di adulterio. Sono contrari all'aborto. Praticano
l'astinenza dal tabacco e dalle carni con sangue. Forte il loro moralismo sul piano sessuale. Non hanno
nessun giorno prestabilito per fare festa (non festeggiano i compleanni né si scambiano auguri di buon
anno o di altro genere). Celebrano i funerali nelle Sale del Regno e seppelliscono i morti nei cimiteri
comunali Nel loro calendario non venerano alcun santo perché per loro equivale ad "adorare delle
creature". Metodico è lo studio della Bibbia. La predica a domicilio avviene tutti i giorni, ma soprattutto
la domenica mattina. Frequentano corsi di addestramento professionale per imparare le tecniche di
persuasione e convincimento per la loro propaganda. I geovisti, che assomigliano a rappresentanti di
prodotti commerciali, si distinguono in "proclamatori" (chiunque presta servizio di propaganda) e
"pionieri", che dedicano al proselitismo 100 ore al mese e, se a tempo pieno, sono pagati con stipendio
fisso. Quando devono datare qualche persona o avvenimento del passato usano la sigla E.V. (era volgare).
Sono ostili naturalmente anche alla scienza. Fino a qualche tempo fa insegnavano che l'universo esiste da
48.000 anni e che l'uomo esiste da 6.000 anni: duemila anni dopo sarebbe accaduto il diluvio universale, e
così via. A dir il vero l'obiettivo delle loro polemiche si è focalizzato essenzialmente sul tema
dell'evoluzionismo in biologia e solo marginalmente ad alcune tematiche paleoantropologiche.
Nell'ultimo libro che hanno scritto su questo argomento: Come ha avuto origine la vita? (1985), i geovisti
hanno smesso di affermare le loro assurde cronologie, che contraddicono tutti i dati della chimica, fisica,
astronomia, geologia e paleontologia, e hanno cominciato a cercare delle basi scientifiche per la loro
teoria creazionista (citando ad es. di continuo l'opinione di quegli scienziati che hanno dei dubbi, peraltro
più che legittimi, sull'origine dell'universo). L'obiettivo finale è quello di convincere i Ministeri delle
pubbliche istruzioni di tutto il mondo a imporre nelle scuole pubbliche una trattazione del nonevoluzionismo che in quanto a ore di lezione e pagine di testi sia equivalente a quella dedicata
all'evoluzionismo. In modo particolare si sono accaniti contro Darwin.
Rifiutano il servizio militare e civile (se quest'ultimo è organizzato dal Ministero della Difesa), ogni
forma di giuramento, di rendere onore alla bandiera nazionale, di votare (le autorità politiche, sindacali,
economiche e ecclesiastiche sono ritenute alleate di Satana). Dal punto di vista sociale si caratterizzano
per la loro contestazione assoluta e globale di tutte le strutture ideologiche del mondo attuale di cui
criticano ogni forma di organizzazione civile e politica. Non possono aderire neanche ad un'associazione
sportiva o di beneficenza. Come già detto, sono contrari alle trasfusioni di sangue (ad es. nel 1980 i
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coniugi Oneda lasciarono morire la figlia Isabella, malata di talassemia). I tabù che hanno sul sangue sono
tutti di origine ebraica perché motivati sulla base dell'Antico testamento. Questi tabù d'altra parte sono
stati seguiti dagli stessi cristiani per molti secoli: dal Concilio di Gerusalemme di Atti 15 al Concilio
Quinisesto di Costantinopoli del 692 d.C. Ci sono stati momenti nel passato in cui il formalismo filogiudaico (quando prevaleva nella cristianità) prescriveva l'obbligo di astenersi dal sangue e dagli animali
soffocati o strangolati. Oggi i Testimoni si regolano in questo modo: se il paziente è un loro seguace
chiedono che egli possa firmare una semplice dichiarazione legale con la quale esimere il personale
medico e paramedico da ogni responsabilità nell'eventualità che il paziente subisca un danno per aver
operato senza sangue. Naturalmente essi escludono che le trasfusioni possano essere fatte ai loro figli
minorenni. Il rifiuto del paziente non deve essere considerato -essi dicono- come una forma di suicidio o
di eutanasia, in quanto essi non hanno alcuna difficoltà ad accettare terapie alternative, come ad es.
l'ipotermia spinta (abbassamento della temperatura corporea per ridurre al minimo la perdita di sangue
nell'intervento chirurgico), l'ipotensione (abbassamento della pressione del sangue), i composti del ferro
per via orale o parenterale, gli aminoacidi e altri sostituti non biologici, come le soluzioni fisiologiche,
chimiche, elettrolitiche, cristalloidi e colloidi. Se invece è il medico un TdG bisognerebbe che lo Stato gli
assicurasse il diritto all'obiezione di coscienza. Di fronte alle molte accuse che sono state loro rivolte
dagli ambienti laici, essi si difendono col dire che nessuna legge impone le trasfusioni di sangue o
l'obbligo del voto. Il movimento d'altra parte è diventato un maestro nell'arte delle procedure giudiziarie,
in quanto porta sempre di fronte ai tribunali le controversie che lo oppongono agli organismi
amministrativi statali. Pubblicazioni principali: due quindicinali, La Torre di Guardia e Svegliatevi, con
una tiratura complessiva, a livello mondiale, di 25 milioni di copie in 105 lingue, più vari opuscoli con
orientamento catechistico. Hanno inondato il mondo con più di un miliardo di libri e con parecchi miliardi
di periodici. Questa colossale struttura economico-finanziaria, che investe in terreni, palazzi, industrie,
banche ecc., oggi fa la fortuna di 420 dirigenti. In 90 nazioni c'è una sede centrale chiamata "Betel",
sempre molto lussuosa: in Italia è a Roma. Sono in trattative con lo Stato italiano per realizzare un'Intesa
che li riconosca come associazione religiosa, al pari degli ebrei, avventisti, valdesi ed evangelici. Nel
1986 sono stati riconosciuti come ente morale. Nel mondo sono almeno 3,8 milioni (in Europa circa 900
mila). Sono presenti in 212 nazioni. Da notare che nel 1942 erano solo 115.000. Oggi, con i
simpatizzanti, raggiungono i 5 milioni. Le congregazioni sono generalmente guidate dai leaders maschili
più anziani, nonostante che i fedeli di sesso femminile, specie le casalinghe, siano prevalenti a causa del
messaggio diffuso col colloquio diretto, porta a porta.
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VENEZIA, 9 MAGGIO 2001
INCONTRO DIBATTITO CON LA SIGNORA LAURA VOGHERA LUZZATO,
presso il CENTRO SOCIALE, Cannaregio ghetto vecchio 1189, VENEZIA
1. COM’E LA VITA ALL’INTERNO DEL GHETTO?
Appena aperto il ghetto, intorno alla fine del 1700, gli ebrei più ricchi che erano un piccolo strato, rispetto agli
ebrei di medio ceto sociale e agli ebrei meno abbienti (quindi con pochissimi soldi), hanno iniziato ad abitare al di
fuori del ghetto, ma non troppo lontano, perché avevano paura che avvenisse di nuovo una chiusura e dovessero di
nuovo essere perseguitati, e quindi tornare al ghetto. Le case degli ebrei erano abbastanza vicino al ghetto nel 1800
circa. Poi pian piano, sono andati fuori dal ghetto quasi tutti gli ebrei, e anche quelli che erano poverissimi, hanno
avuto un’elevazione sociale che ha permesso loro di uscire e di andare ad abitare fuori dal ghetto.
E così adesso all’interno del ghetto ci sono pochissimi ebrei residenti, anche se in ghetto ci sono tutte le istituzioni.
- IL CENTRO SOCIALE: dove si fanno le feste, la cena di Pasqua (il seder), si fa teatro, si fanno le conferenze.
Inoltre ci sono delle stanzette dove i bambini vanno a studiare la lingua ebraica, la religione, la storia del
popolo ebraico, almeno una volta alla settimana. C’è anche la sede della comunità, l’amministrazione, dove
avvengono le elezioni per votare il consiglio, i presidenti, come un piccolo comune, un piccolo municipio.
-
IL MUSEO;
LA CASA DI RIPOSO per gli ebrei, dove si può avere del cibo Kasher, del cibo secondo le regole
ebraiche.
-
CINQUE SINAGOGHE.
-
Ci sono anche delle vetrine, dei negozi, dei luoghi dove ci sono dei giovani che pregano, discutono, vestiti
di nero: questi non sono ebrei originari di Venezia, ma provengono dall’America. Sono molto più rigidi
rispetto agli ebrei veneziani, nell’osservanza della legge ebraica, e hanno scelto di venire nel ghetto di
Venezia per studiare; infatti fanno un’accademia talmudica, cioè studiano i testi ebraici; sono ebrei di un
altro tipo.
Infatti gli ebrei si suddividono in 3 categorie:
-
ebrei osservanti;
ebrei tradizionalisti;
in America ci sono quelli riformati e più aperti alla società, dove per esempio c’è la donna rabbino;
mentre nella comunità di Venezia non è pensabile: sono solo maschi i rabbini.
Ci sono queste tre differenze nel popolo ebraico: con un’interpretazione della legge diversa, anche se non così
sostanzialmente diversa.
Gli ebrei oggi vivono a Venezia (in qualsiasi zona), a Mestre e anche nei paesi al di fuori di Mestre. Per le feste
vengono solo qui, all’interno del ghetto, perché le sinagoghe sono solo qui a Venezia. Quindi la vita degli ebrei
veneziani si svolge principalmente intorno al centro sociale. Gli ebrei a Venezia sono circa 400.
Una volta invece, dal 1516 al 1797 gli ebrei dovevano vivere all’interno del ghetto; di giorno potevano uscire, ma
la sera dovevano rientrare perché dovevano dormire all’interno del ghetto.
Il 7 giugno ci sarà una riunione per la conclusione dei corsi di studio riguardanti la Torah, la lingua e la religione
ebraica, la storia, e tutti i bambini che hanno frequentato saranno qui insieme ai genitori e con l’occasione ci sarà
una cosa importante: il rabbino commemorerà la figura del padre della signora Laura, (morto un mese fa), che è
stato presidente della comunità ebraica di Venezia per ben 13 anni. Nell’occasione della morte di un ebreo è
consuetudine fargli onore nel ricordo, facendo uno studio, una conferenza particolare dove si studia un brano del
Talmud, della Mishnà: per onorare un defunto, la cosa più bella è studiare, perché lo studio è alla base della cultura
ebraica. Addirittura i maestri ebrei hanno detto che studiare un brano della Torah supera l’importanza della
preghiera; la preghiera si fa tre volte al giorno, di sabato, durante le feste; ma studiare la Torah è più importante che
non pregar, perché la Torah è la parola di Dio e studiarla è avvicinarsi a Dio.
2. CI SONO ALTRI GHETTI IN ITALIA?
In ogni città abbastanza grossa d’Italia, dove gli ebrei hanno risieduto, c’è un ghetto; a Roma c’è il ghetto più
vecchio del mondo, non è propriamente un ghetto, è stato tale nel periodo dei ghetti, cioè nell’era moderna, nel
1500. Comunque gli ebrei sono a Roma da prima della nascita di Gesù, per cui è la più antica residenza degli ebrei
in Italia. Il ghetto di Roma ha subito, nel 1800, delle distruzioni, giacché essendo rovinato necessitava di alcune
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opere di restauro; allora, nel passato, si usava far piazza pulita e si ricostruiva tutto nuovo: quindi c’è la sinagoga
nuova risalente al 1800. Invece a Venezia, tutto è originario e antico.
Poi c’è il ghetto di Padova, con le sinagoghe, una è stata bruciata dai fascisti (quella dove andava da bambina la
signora Laura, che abitava a Padova); ultimamente è stata ricostruita ed è divenuta sala per le conferenze. A
Treviso non c’è il ghetto, poiché gli ebrei furono mandati via dal vescovo di Treviso; in ogni modo c’è il cimitero.
3. COM’E’ STRUTTURATA LA SCUOLA EBRAICA?
A Venezia non c’è la scuola ebraica; le scuole ebraiche sono a Roma, Milano (fino al liceo compreso), perché a
Roma e Milano c’è la maggior parte degli ebrei in Italia: a Roma sono 13.000, a Milano sono circa 10.000. Qui
seguono il programma italiano tale e quale, sostenendo gli esami come nelle scuole pubbliche; in più fanno delle
ore pomeridiane dove studiano la lingua ebraica e la cultura ebraica tradizionale.
La scuola elementare a Venezia è esistita fino al 1960, poi però è stata chiusa per difficoltà legate
all’organizzazione dei trasporti e a problemi economici. A Venezia comunque c’è ancora l’asilo, aperto tre giorni
alla settimana, perché i bambini negli altri due giorni vanno nell’asilo pubblico; le difficoltà maggiori sono legate
alle spese onerose e al numero scarso dei bambini iscritti.
Nelle sinagoghe si studiano i testi sacri: Mishnà, Torah e Talmud.
4. E’ DIFFICILE PARLARE L’EBRAICO E IMPARARLO?
Per rispondere a questa domanda la signora Laura mostra la Torah e spiega che l’ebraico è composto da circa 24
lettere, con una differenza rispetto all’alfabeto italiano: ce ne sono di più come forma, perché alcune lettere
ebraiche si scrivono in un modo se sono dentro la parola, ma se sono alla fine della parola allora si scrivono in
modo diverso. È un’antica scrittura come l’arabo; infatti sono due lingue semitiche.
La Torah è composta dai:
-
5 libri di Mosè, “IL PENTATEUCO”, che vanno dalla creazione del mondo che inizia così: “In
principio il Signore creò il cielo e la terra”, e poi alla fine termina alla morte di Mosè, dove sta scritto:
“Non ci sarà mai un altro profeta in Israele come Mosè”, il più grande rimarrà Mosè, perché è quello
che ha fatto uscire gli Ebrei dall’Egitto con l’aiuto di Dio, ed è quello che ha creato il popolo.
Nella seconda parte ci sono i Profeti della Bibbia
Il sabato mattina, durante la funzione religiosa nella sinagoga, si legge un brano della Torah, e un brano dei Profeti.
5. QUANDO UN RAGAZZO EBREO A 13 ANNI DIVENTA “FIGLIO DEL PRECETTO” (BAR-MISVA’)
COSA SIGNIFICA?
Significa che a 13 anni, quando un ragazzo comincia a capire, può diventare responsabile delle sue azioni e parole;
prima dei 13 anni sono responsabili per il ragazzo i genitori, per quello che fa il ragazzo, anche se il ragazzo
contravviene ad un precetto della Torah, ad esempio se mangia carne che non è permessa, la colpa è data al
genitore che non l’ha seguito abbastanza. Dai 13 anni in poi, il ragazzo diventa figlio dei precetti, e quindi ha la
responsabilità dei precetti, cioè di condurre una vita secondo la legge ebraica. A quel punto, il ragazzo a 13 anni e
la ragazza a 12 anni devono assumersi la responsabilità di quello che possono e non devono fare, seguendo le leggi
ebraiche che riguardano tutta la sfera della vita:
-
alla mattina, appena alzati, bisogna subito lavarsi le mani (è un precetto, un bar-misvà), perché durante
la notte uno è incosciente e può aver fatto qualcosa di cui non si rende conto e che non è tanto secondo
le regole, quindi ci si lava le mani;
solo dopo si dice la preghiera (tutte le mattine si dice la preghiera) “Ascolta Israele il Signore Dio tuo,
il Signore è unico..” ecc.;
quando si va a mangiare, prima si dice la preghiera; se si spezza il pane, prima di mangiarlo si
dice: ”Signore Dio ti ringrazio per aver creato il pane dalla terra”;
dopo il pasto c’è la preghiera da dire “Signore ti ringraziamo per il cibo…” (è una preghiera lunga);
anche il cibo è una cosa che non ci sarebbe se Dio non lo permettesse;
quando si sale su un mezzo (autobus) si dice la preghiera del viaggio, cioè ci si affida a Dio affinché il
viaggio vada bene.
La vita dell’ebreo è tutta un relazionarsi tra terra e cielo, qualsiasi cosa si faccia, quando si apre la Torah per
leggerla e studiarla si dice una preghiera apposita. Quindi sono tutte benedizioni richieste: è un colloquio
permanente tra l’ebreo e Dio; per questo si presume che un ragazzo a 13 anni e una ragazza a 12 anni siano in
grado di farlo.
6. IN QUALE LUOGO SI CELEBRA IL MATRIMONIO?
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In ogni posto, anche in un campo di grano; l’unica cosa che serve è una HUPPA, una specie di baldacchino, che
può essere anche un manto di preghiera (quello che gli uomini ebrei indossano durante la preghiera della mattina).
Quando la signora Laura si è sposata, c’era il baldacchino, mentre quando si è sposata sua figlia in sinagoga, i
fratelli hanno tenuto teso il manto che è diventato simile ad un baldacchino. Adesso quasi tutti si sposano in
sinagoga. Ma dipende dalla volontà degli sposi; tra un mese si sposerà la cugina della signora Laura e si sposerà in
un ristorante, dove in un angolo del giardino sarà predisposto il baldacchino per la cerimonia.
Il matrimonio si può fare ovunque, l’importante è che ci siano gli sposi, i testimoni e il padre della sposa che deve
dare allo sposo il contratto del matrimonio, dove ci sono scritti i diritti della sposa, cioè la dote e la controdote: il
padre dello sposo dà la dote alla madre della sposa (questo dipende dalle capacità, possibilità della famiglia), però il
marito dà la cosiddetta controdote, cioè aggiunge al patrimonio qualcosa di suo. Questo rimane a sicurezza della
sposa, perché nel matrimonio ebraico esiste il divorzio: se le cose vanno male, il marito può ripudiare la moglie. La
sposa può andare dal rabbino e dire che il marito non segue e ottempera le leggi matrimoniali (non dà abbastanza
da mangiare a figli e moglie, la tratta male sotto tutti i punti di vista), e il rabbino può obbligare lo sposo a dare il
divorzio. Il contratto matrimoniale è decorato artisticamente, scritto in ebraico.
Il rito del matrimonio prevede 7 benedizioni, che vengono pronunciate normalmente dal padre della sposa, ma
come accade spesso, il padre della sposa non le sa dire e quindi vengono pronunciate dal rabbino di turno. È
l’officiante che dice le 7 benedizioni: tra queste si dice che la sposa è consacrata allo sposo.
Nel caso di un matrimonio misto ci si sposa in Municipio, perché non si può fare un matrimonio misto. Solo nelle
comunità cosiddette riformate si possono fare i matrimoni misti; questo succede solo in America, poco a Parigi e in
Israele.
Solo la donna mette l’anello al dito (la signora Laura ce l’ha sull’anulare della mano destra); nella cerimonia del
matrimonio (non è una legge di Mosè, ma è un uso, scritto anche nel Talmud), l’uomo mette l’anello all’indice
della donna, dopodiché la donna se lo mette nell’anulare per comodità. Anche gli uomini ora mettono la fede, ma
non è una cosa importante: ciò che conta è quello che c’è dentro al cuore.
7. SI USA ANCORA, DURANTE IL MATRIMONIO, ROMPERE IL BICCHIERE? L’HA FATTO
ANCHE LEI? CHE SIGNIFICATO HA?
È il marito che rompe il bicchiere davanti all’arca, se ci di sposa in sinagoga (anche il marito della signora Laura
l’ha fatto) e si usa ancora oggi farlo. Si rompe per ricordare, in un momento così felice del matrimonio, una cosa
triste e dolorosa quale è stata la distruzione del santuario-tempio di Gerusalemme nel 70 d.c. (dell’era volgare).
Questo vale anche per altre cose: ad esempio quando si costruisce una casa nuova, si mette a posto un appartamento
dove si va ad abitare, in qualche angolo della casa ci deve essere qualcosa di incompleto, di non finito, un piccolo
intonaco non perfetto, anche questo per ricordare la distruzione del tempio di Gerusalemme. Nel campo di ghetto
vecchio, nelle facciate delle sinagoghe si può osservare una piastrella, una lapide dove sono scritte in ebraico due
parole “SEFER LECORBANN”, che significa “RICORDO DELLA DISTRUZIONE DEL TEMPIO DI
GERUSALEMME”; anche le sinagoghe devono ricordare questo triste avvenimento. La distruzione del tempio di
Gerusalemme è stata un evento tragico perché è stata la fine del governo ebraico in Palestina; questo è preso a metà
di tutte le successive distruzioni di comunità ebraiche, l’umanità è quella della SHOA’, del cosiddetto olocausto.
Prima però ce ne sono state altre:
-
la cacciata degli ebrei dalla Spagna, con tantissimi ebrei morti sul rogo nel 1492;
l’attacco dei cosacchi in Ucraina alle comunità ebraiche che hanno registrato ben 200.000 morti nel
1648.
Ci sono stati tanti momenti tragici in tante parti del mondo.
La distruzione del tempio di Gerusalemme è il simbolo di tutto questo.
8. QUALI SONO I PRINCIPI FONDAMENTALI CHE CARATTERIZZANO LA RELIGIONE EBRAICA?
Le benedizioni che si dicono durante tutto l’arco della giornata e della vita, il colloquiare sempre con il Signore Dio
permette di rendersi conto, in ogni momento, che noi siamo provvisori sulla terra, siamo di passaggio e molto
deboli; è il Signore Dio che ci permette di vivere in questa terra. La cosa più importante è l’esistenza di un Signore
Dio che è nel cielo ma anche nella storia, che ha creato e governa il mondo, ma non da solo. C’è un Signore Dio
che ha creato il mondo e l’ha messo nelle mani dell’uomo. Quando il signore Dio crea gli animali e le piante, dice
ad Adamo “Tu adesso darai i nomi a tutti gli animali del creato”, e dare il nome è qualcosa di molto importante.
Questa è stata una prima collaborazione tra l’uomo e Dio; e la collaborazione continua, perché l’uomo ha il
compito di continuare a migliorare il mondo che è stato creato da Dio, un mondo dove esiste anche il male. Questo
male è l’uomo che deve sconfiggerlo e deve aiutare Dio a completare la creazione e a fare in modo che alla fine dei
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tempi quando verrà di nuovo il Messia (Gesù per i cristiani), tutto ritorni in pace e armonia come l’inizio; allora se
gli uomini si saranno comportati bene e avranno collaborato con Dio per rendere il creato perfetto, ci sarà la fine
dei tempi, cioè un mondo che funzionerà senza la malvagità e il male.
FINE DEL MONDO E RESURREZIONE DEI MORTI: non è ben chiarito dall’ebraismo che cosa sarà la fine dei
tempi; “I corpi riprenderanno la pelle, i muscoli, le ossa, diventeranno di nuovo uomini” è scritto nel libro di
Ezechiele. Non è così importante perché le anime dei nostri morti ci sono nei nostri cuori, hanno fatto del bene
nella nostra terra; qualcuno purtroppo ha fatto anche del male, l’importante è avere fiducia che con le nostre opere
ci si migliora, cioè obbedendo alla legge di Dio, perciò non rubando, non uccidendo, santificando il sabato, non
mangiando in un certo modo, rispettando i precetti. Gli ebrei hanno più precetti rispetto agli altri, ma questi precetti
sono di tutta l’umanità; se l’umanità insieme agli ebrei che avendo più precetti, hanno più doveri, riesce a creare un
mondo migliore, alla fine verrà il Messia; tutti assieme bisogna lavorare per far venire il Messia.
Un altro principio-fondamento essenziale dell’ebraismo è di trasmettere queste credenze ai propri figli: raccontare
la storia, dalla Bibbia in poi, di tutto quello che è successo al popolo ebraico.
Questo è il succo dell’ebraismo.
9. DA DOVE DERIVA IL TERMINE JHWH?
Questo è un termine che gli ebrei non pronunciano, perché a loro è vietato pronunciare il nome Dio; il nome JHWH
non è sicuro che sia un nome giusto, perché la lingua ebraica è fatta di segni che sono le lettere; (è una lingua
semitica come l’arabo, e sono dette così perché sono del Medio Oriente) sono lingue che si scrivono solo con
consonanti (es. CASA si scrive solo C S e si può leggere come ciesa, casa, cosa, ecc.), essendo una lingua scritta
solo con le consonanti, il nome di Dio che è fatto si 4 consonanti si chiama TETRAGRAMMA (TETRA in greco
vuol dire 4), J H W H: scritto così è un nome difficile da pronunciare e da leggere (l’H in ebraico non si legge). È
un nome che si potrebbe leggere in qualsiasi modo, quindi gli ebrei per non sbagliare non dicono il nome JHWH.
Quelli che scrivono libri religiosi usano il TETRAGRAMMA per indicare il nome di Dio, perché non si sa
realmente come deve essere pronunciato; molto spesso si usa la parola ADONAI, che vuol dire MIO SIGNORE,
oppure ELOELU, che vuol dire NOSTRO SIGNORE, DIO DEGLI EBREI. Nella Torah sotto le lettere ci sono
punti e lineette che sono stati messi dai maestri ebrei, in un arco di tempo fino all’anno 1000, perché non ci si
sbagli a pronunciare i nomi, specialmente quello di Dio (l’unico che sapeva pronunciarlo correttamente era il
Grande Sacerdote che lavorava solo nel santuario di Gerusalemme, sparito quest’ultimo è mancato anche il grande
sacerdote); tutto il testo della Bibbia è stato punteggiato per mettere le lettere e le vocali giuste, perché quando il
sabato mattina si legge il brano della Torah, lo si legge su un rotolo di pergamena o di pelle dove è scritto a mano e
sono scritte solo le vocali: quindi il rabbino o chi legge è molto bravo perché legge il testo senza le consonanti,
praticamente lo sanno a memoria. I libri stampati hanno le vocali per consentire una lettura corretta, per non
sbagliare, essendo Parola di Dio.
10. PERCHE’ QUANDO QUALCUNO MUORE SI COPRONO TUTTI GLI SPECCHI, SI METTONO
DELLE CANDELE IN OGNI STANZA DELLA CASA? PERCHE’ I FAMIGLIARI NON SI POSSONO
OCCUPARE DI NESSUNA COSA MATERIALE? PERCHE’ DEVONO ESSERE DEGLI ESTRANEI
ALLA FAMIGLIA A OCCUPARSI DEL DEFUNTO?
I parenti stretti del defunto non possono nemmeno far da mangiare, devono essere delle persone estranee ad
occuparsi di tutto questo per 7 giorni. Dio ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza, e allora vedere il corpo
del defunto sarebbe quasi come vedere l’immagine di Dio morto; infatti sarebbe terribile, perché finché c’è vita in
un corpo c’è l’anima divina che vive in lui, ma quando è solo il corpo morto non dice più niente ed è quindi meglio
coprirlo perché non onora Dio; questo perché guardando un uomo ci si specchia nell’uomo e contemporaneamente
in Dio finché l’uomo è vivo, perché quando muore non è più uomo, ma cadavere. C’è quindi questo uso di coprire
immediatamente il viso e il corpo del defunto, perché non rappresenta più quello che c’era di divino in lui. Inoltre i
parenti in lutto, quelli stretti sono i genitori e i figli (a volte anche i fratelli), non possono fare alcuna azione
materiale, ma devono mangiare, perché la morte fa parte della vita, anche se alla fine è la vita che vince la morte e
quindi bisogna dar conto che è la vita che conte è non la morte, perciò bisogna mangiare!
11. CHE COS’E’ IL KADDISH?
Il Kaddish è la preghiera che si dice in ricordo del defunto e deve essere pronunciata dal figlio, se il defunto è il
proprio genitore, dal genitore se il defunto è il proprio figlio, oppure il parente più stretto. Non è una preghiera
lamentosa, ma è una preghiera che onora Dio come giudice in questa terra, nel senso che se una è morta significa
che era stato decretato così e ci saranno i motivi divini che noi non conosciamo; infatti quando ci si incontra con
una persona in lutto quello che gli si dice è “Dio e giudice, giudice di verità”: cioè la persona non capisce perché il
parente è morto, ma Dio lo sa perché è giudice.
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Quando muoiono dei bambini malamente ci si domanda che giustizia c’è, ma la vita è fatta anche di questo.
12. LEI E GLI EBREI IN GENERALE, COME CONSIDERATE GESU’ CRISTO?
Gli ebrei considerano Gesù come facente parte del popolo ebraico, nato in una famiglia eraica, da un padre e una
madre e non dallo Spirito Santo. Gesù è considerato come una persona normale, anche se ha lasciato una grossa
traccia e questo vuol dire che ha avuto una grossa funzione all’interno della comunità in cui viveva, che era la
Palestina dell’epoca, attraverso la sua predicazione, che non è stata scritta ai tempi di Gesù, ma alcuni decenni dopo
dai suoi discepoli. Quindi se è vero quello che è scritto sui Vangeli, Gesù ha avuto la funzione di richiamare il
popolo ebraico, che era peccatore, in quanto non seguiva la legge di Dio (non tutti almeno).
13. IL PIU’ GRANDE STERMINIO PER VOI EBREI E’ STATO NELL’ANTICHITA’ O NEI CAMPI DI
CONCENTRAMENTO NAZISTI DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE?
Il più grande dal punto di vista numerico è senz’altro quello dei campi di concentramento nella seconda guerra
mondiale: ben 6 milioni di persone, tra cui un milione e mezzo di bambini (che non avevano colpe). L’ebraismo ha
stentato a riprendersi dopo questa catastrofe, anche se ha trovato la forza di farlo e tutt’oggi ci sono comunità
ebraiche piccole o grandi in tutto il mondo, dalla Cina, all’America all’Europa, e questo significa che la vitalità del
popolo ebraico non è stata stroncata da Hitler, come invece lui voleva. Lo sterminio ha interessato solo le comunità
ebraiche residenti in Europa, tutte le comunità cosiddette sefardite o africane (c’erano tante comunità di ebrei nel
Nord Africa, in Marocco, in Libia, in Tunisia, in Iran, in Iraq), Hitler non le ha colpite, anche se la tragedia subita è
segno di lutto per tutto il popolo ebraico.
La signora Laura, al termine dell’incontro, invita i bambini a tener sempre le antenne alte per captare nei discorsi
che si fanno per la strada, a casa, o che si leggono sui giornali, o che si sentono alla radio, alla televisione, se c’è
ancora tutt’oggi qualcuno che odia gli ebrei. Purtroppo si sente ancore questo odio verso gli ebrei; perché si sente
ancora qualcuno che sostiene che gli ebrei sono tutti ricchi, e questo è un pregiudizio, anche perché nel passato
all’interno del ghetto c’erano ¾ di persone miserabili, al limite della sussistenza, e aiutati dalle famiglie ricche a
sopravvivere. Oggi come oggi, in Israele c’è un popolo ebraico che comprende tutti gli strati sociali: è verissimo
che c’è uno strato di persone ricche, ma come in tutti i paesi, però ci sono anche persone che vivono solo del loro
lavoro, e persone che come da noi, chiedono la carità per le strade, suonando il violino. Questo è un primo
pregiudizio.
Un altro pregiudizio è che gli ebrei vogliono far tutto per se stessi e che non vogliono aver nulla a che fare con gli
altri: invece ci sono ebrei che ricoprono cariche pubbliche. Purtroppo fa male sentire politici che usano ricordi, che
agli ebrei fanno male in quanto tragici, tipo i vagoni piombati (=alle porte dei vagoni mettevano una catena di ferro
con il sigillo di piombo perché nessuno li aprisse, e all’interno c’erano uomini, donne e bambini, senza gabinetti,
senza mangiare che ci mettevano una settimana ad arrivare ad Auschwitz), con i quali hanno portato via i vecchi
della casa di riposo di Venezia, nel 1943 ad Auschwitz; quindi fa male sentire politici che affermano che vogliono
prendere tutti i marocchini, musulmani,tunisini, negri, tutti quelli che vendono per le strade e che non sono italiani
e mandarli al Brennero, regalandoli all’Austria, mettendoli su vagoni piombati, perché non vogliono che queste
persone vengano a sporcare le strade italiane, ma che rimangono nei loro paesi a morire di fame. Questo è un
messaggio che la tragedia del popolo ebraico può essere riproposta non solo per il popolo ebraico, ma addirittura
per altri popoli.
Inoltre quando i maschi vanno allo stadio e sentono chiamare un calciatore ebreo, questa dicitura non è un
complimento, ma è detta con tono spregiativo (dare dell’ebreo ad una persona è un offesa per il popolo ebraico,
perché viene preso in tono spregiativo).
Un altro pregiudizio è sostenere che l’olocausto è un invenzione e che gli ebrei sono morti solo perché erano vecchi
ed ammalati.
L’invito quindi è di andare in Israele a vedere il monumento all’olocausto che è un insieme di costruzioni su una
collina bellissima, dove ci sono due cose importanti:
-
una grande stanza vuota con tutti i nomi dei campi di sterminio, con una fiamma sempre accesa per
tener viva la memoria; un museo con tante immagini.
il monumento ai bambini (un milione e mezzo), morti durante l’olocausto; è una collinetta con una
porta dalla quale si entra e ci si trova al buio totale; c’è un corrimano per evitare di perdere il senso
dell’orientamento. Mentre si cammina si vedono delle fiammelle che tremolano nel buio e
contemporaneamente si sente una voce monotona che ripete i nomi dei bambini morti (per elencare
tutti i nomi ci vogliono più di due anni). Quando si esce ci si trova al sole, in un bel giardino con degli
alberi: ogni albero ha un’etichetta che riporta i nomi dei giusti di Israele, a cui il Governo di Israele ha
riconosciuto il merito di aver salvato degli ebrei durante la SHOA’ (ce ne sono anche di veneti). Quindi
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ci sono anche cristiani che hanno aiutato gli ebrei e hanno il diritto di avere il loro posto nel
monumento della SHOA’: chi non ha posto nel monumento della SHOA’ sono i nazisti e tutti coloro
che hanno aiutato a far morire gli ebrei, tra cui anche tanti italiani (moltissimi ebrei sono stati salvati da
quelli che hanno l’albero sulla collina di Gerusalemme, ma anche moltissimi ebrei sono stati portati via
dai nazisti, perché degli italiani hanno fatto la spia. Del ghetto di Venezia è stato portato via un
bambino di appena 2 mesi.
Tutte queste cose devono essere trasmesse agli altri perché non vengano dimenticate e ripetute
Le domande sono state poste dagli alunni delle
classi 4 e 5 della scuola elementare “Vittorino da Feltre” di Biverone
VISITA AL MUSEO EBRAICO E ALLA SINAGOGA, SITUATI NEL GHETTO VECCHIO
Il ghetto di Venezia è il primo che nasce nel mondo: la parola ghetto deriva da una parola veneziana
“geto” che significava fonderia; infatti i veneziani preparavano le bombarde di bronzo per la guerra. Nel
1516 la zona abbandonata venne data ad alcune famiglie ebree: prima gli ebrei vivevano al di fuori di
Venezia e venivano in città solamente 15 giorni all’anno per tenere i banchi di pegno, delle banche
primitive, divenute un’attività utile; il governo decise che diventassero una presenza fissa e scelse come
luogo il ghetto nuovo perché era una zona facilmente controllabile, in quanto poteva essere chiusa durante
la notte attraverso dei portoni, che venivano chiusi dal tramonto fino all’alba e controllati da alcuni
guardiani.
Nel 70 d. C. a Gerusalemme cadde il regno di Giuda e gli ebrei si dispersero in tutto il mondo dando
inizio a quel fenomeno definito LAGALUT=DIASPORA, e iniziando a dar vita a tre grandi gruppi in
Europa:
-
gli ebrei ASHKENAZITI, tedeschi, del nord-est dell’Europa;
gli ebrei SEFARDITI, spagnoli, provenienti da tutto il Mar Mediterraneo;
gli ebrei italiani, che già vivevano in Italia, prima della chiusura del Tempio a Gerusalemme,
soprattutto a Roma, e poi anche a Venezia.
I primi che arrivarono a Venezia furono gli ebrei tedeschi che tenevano due attività nel campo del ghetto
novo: le banche e facevano gli staccivendoli, cioè vendevano stoffe usate.
Con l’arrivo dei primi ebrei Sefarditi provenienti dalla Grecia e dalla Turchia, le cose cambiarono; infatti,
loro parlavano diverse lingue orientali, avevano la famiglia sparsa per tutto il Mediterraneo e quindi
spesso il Governo li impiegava nei servizi commerciali che la città di Venezia teneva con l’Impero
Ottomano, cioè con l’Oriente. In cambio di questo, Venezia dava dei privilegi maggiori a questi ebrei, che
potevano ottenere il commercio, a loro volta, di lana, seta, spezie al di fuori di Venezia, creando così la
comunità sefardita di ebrei più grande e sviluppata di tutto il ghetto.
Un’altra professione era quella medica, tenuta dagli ebrei; i medici ebrei erano molto apprezzati ed erano
gli unici che potevano uscire dal ghetto, durante la notte; inoltre erano gli unici che non portavano il
segno distintivo, che invece tutti gli altri dovevano portare: un cerchio giallo cucito sui vestiti, divenuto
poi un cappello giallo o rosso a seconda dei vari periodi, portato come segno di differenza, ma anche
come segno di disprezzo. Tutto ciò continuò fino al 1797, quando arrivò Napoleone a Venezia e portò con
sé gli ideali della Rivoluzione Francese, secondo i quali tutti gli uomini erano uguali e nessuno doveva
essere chiuso di notte da nessuna parte; quindi le porte del ghetto furono aperte. In realtà le porte del
ghetto rimasero aperte solo per 6 mesi, perché dopo questo breve periodo, Napoleone regalò Venezia agli
Austriaci, i quali non avendo sentito parlare di Rivoluzione Francese, riportarono le discriminazioni che
c’erano prima fino al 1866 (per 70 anni circa). In questa data Venezia venne annessa al regno d’Italia: il
ghetto venne riaperto, e gli ebrei poterono abitare dove volevano e scegliere le professioni che
preferivano. Diventarono dei normali cittadini.
Nel 1938 vennero promulgate le leggi razziali in Europa, con le quali le persone erano divise in modo
diverso: persone migliori e persone peggiori. Inizialmente tutti i bambini ebrei vennero cacciati dalle
scuole, le persone adulte vennero allontanate da ogni attività prima pubblica e poi privata, e nel 1943
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iniziarono ad essere eliminati fisicamente, attraverso i campi di concentramento prima e di sterminio in
seguito.
Gli ebrei di Venezia erano molto pochi: la comunità contava circa 1000 persone, di questi circa 246
vennero catturati; prima vennero chiusi nella casa di riposo(trasformata per l’occasione in una specie di
prigione), poi portati dai fascisti a Fossoli in Emilia Romagna, nei campi di concentramento, e poi con i
treni ad Auschwitz, da dove ritornarono 8 persone su 246.
I monumenti che ci sono sul campo del ghetto vecchio ricordano questi eventi, che chiudono il capitolo di
storia che comprende 4 secoli vissuti dagli ebrei all’interno del ghetto di Venezia.
Oggi la comunità degli ebrei di Venezia è costituita da circa 500 persone: è una comunità per la maggior
parte di ebrei sefardita (spagnola).
Il calendario ebraico non parte dalla nascita di Gesù, ma molto prima: infatti questo per gli ebrei è l’anno
5764. I mesi sono 12, però a volte sono 13, perché è un calendario basato sulla luna e non sul sole; così
ogni 4 anni capita un mese in più.
I giorni iniziano la sera e non la mattina: dal tramonto della sera prima, inizia il giorno dopo; questo
perché nella Bibbia c’è scritto “Fu sera e fu mattina”.
LE FESTE EBRAICHE
La festa più importante è lo SHABBAT, IL SABATO. Viene inaugurato il venerdì sera, solitamente dalla
mamma che accende due lumi e dà luce al sabato; quando il babbo torna dalla sinagoga si celebra tutti
assieme il rito del Kiddush, cioè della santificazione del sabato: si fa una benedizione speciale sul vino, su
due pani e si dà il via a questo giorno che è dedicato al riposo e allo studio della Torah, cioè i primi 5 libri
della Bibbia. Quindi non si lavora, non si cucina, non si va a scuola, non si fa assolutamente niente,
questo perché Dio il settimo giorno si è riposato e così lo deve fare anche l’uomo, imitando Dio.
Quando termina il sabato, all’interno di alcune scatole si mettono delle spezie per diffondere dei profumi
nella casa, in modo tale da rendere meno triste la fine di questo giorno di festa e allungare il sabato,
attraverso il profumo che rimane nella casa. Questa si chiama la cerimonia della ABDALLA’ =
SEPARAZIONE DAL SABATO.
IL CAPODANNO EBRAICO cade tra settembre e ottobre; si dà inizio al nuovo anno attraverso il suono
di due corni. Il capodanno dura 10 giorni, nei quali si riflette sulle cose fatte durante l’anno.
Il decimo giorno è il giorno di YOM- KIPPUR, l’unico giorno in cui gli ebrei confessano i propri peccati,
attraverso una preghiera pubblica, comune a tutti. Nell’Ebraismo si possono espiare solo i peccati contro
la legge ebraica; non si possono espiare i peccati contro gli uomini. Per questo i 10 giorni servono per
chiedere scusa a tutti quelli a cui si è fatto un torto, in modo da entrare in un altro spirito nel Kippur ed
espiare quello che manca. Si passa nel completo digiuno: non si mangia e non si beve per 25 ore e si
trascorre il giorno nella sinagoga. Alla fine di questo giorno c’è il suono del corno che ne segna la fine al
e ricorda i tempi che furono; si ricorda anche il sacrificio di Isacco.
HANNUKAH è la festa di inaugurazione e ricorda la reinagurazione del tempio di Gerusalemme, dopo
una delle varie volte in cui è stato profanato. Successe che non si trovava più l’olio per accendere la
MENORAH, il candelabro a 7 bracci che ardeva nel tempio (7 come i giorni della settimana), e ci fu un
miracolo: trovarono una boccetta sola che teoricamente poteva durare un solo giorno, invece durò per 8
giorni, senza consumarsi mai ed ebbe il tempo di ripurificare tutto, di riprendere a rifare questo olio e di
riprendere così la vita normale, il culto del tempio. Così in memoria di questo evento, questo ritorno alla
luce per il popolo ebraico, si accende ogni sera un lume per 8 giorni, durante la festa di Hannukah, che
cade in dicembre. Oggi è una festa dove si mangia, si balla, si canta; il primo giorno si mangiano dei dolci
fritti, pesanti chiamati SULFACNIOT.
PESACH è la Pasqua; la parola deriva da passach, che significa passaggio: passaggio dalla schiavitù in
Egitto alla libertà nella terra di Israele. Su un grande piatto il “SEDER”, vengono messi alcuni cibi
simbolici che vengono mangiati secondo un certo ordine durante le prime due sere della festa di Pasqua.
Al centro del piatto si mette il pane azzimo che è la cosa più importante, in quanto la festa di Pasqua è
chiamata anche festa delle azzime; poi si mettono le erbe amare che ricordano l’amarezza della schiavitù
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passata in Egitto, un cosciotto d’agnello che però non si mangia in quanto vietato, perché l’agnello si
mangiava in occasione del sacrificio che si faceva al tempio, che ora non c’è più; il charoset che è una
specie di poltiglia di frutta secca molto buona da mangiare, che ricorda la malta con cui gli ebrei
fabbricavano i mattoni in Egitto. È una festa che serve soprattutto a far capire ai ragazzi come è nato il
popolo ebraico.
IL ROTOLO DELLA TORAH
Il rotolo della Torah è lungo quasi 30 metri, è fatto di pergamena, cioè di pelle di vitello conciata. È tutto
scritto in ebraico, una lingua semitica, formata da 22 lettere, tutte consonanti; non si scrivono le vocali
che invece si imparano a memoria; nella scrittura ebraica non esiste la punteggiatura, ci sono puntini,
lineette, accenti.
Il rotolo si presenta così:
-
c’è il mail, una stoffa che lo protegge, ci sono delle corone; di solito la corona è posta sopra il rotolo a
significare la regalità della legge di Dio,
- In alto ci sono due pinnacoli, in ebraico rimonin che significa melograni, e sono dei puntali d’argento
che decorano elegantemente i due bastoni di legno su cui si avvolgono i rotoli;
- ci sono dei campanellini che accompagnano in musica il rotolo durante la processione che va
dall’armadio al tavolo di lettura (chiamato BIMA’ = luogo di lettura e da dove il rabbino predica);
- poi c’è una piastra decorativa che si mette per bellezza, ma anche per scriverci dietro o sotto, il
capitolo che verrà letto durante quella settimana;
- ci sono anche delle manine strane che si usano per non toccare direttamente il rotolo, che è vietato per
motivi rituali, ma anche pratici (perché se tutti passassero le dita, nell’arco di pochi anni, non si
leggerebbe più nulla; un rotolo della Torah ha un certo costo in fatica, in quanto ci vuole circa un
anno per scriverne uno). Si usa la manina d’argento per non perdersi, perché la scrittura è molto fitta,
e se si sbaglia a leggere, bisogna ricominciare la frase; già la funzione religiosa dura dalle tre alle
quattro ore, se si sbaglia dura molto di più.
La Torah viene letta nell’arco di un anno, ogni settimana ha il suo capitolo.
Il rotolo della Torah è contenuto in un armadio; sopra c’è il MERTAMID, una luce eterna, sempre accesa
nelle sinagoghe e ricorda la presenza divina all’interno dei rotoli della legge ebraica. In alto sono
rappresentate le 2 tavole con i 10 comandamenti, e una tenda che si chiama PAROCH, che ricorda la
tenda che c’era davanti al Santo dei Santi nel Tempio di Gerusalemme (era una grande stanza vuota
perché c’era la presenza divina). Davanti c’era l’ARCA DELL’ALLEANZA, con all’interno le tavole
della legge, il bastone di Mosè e la manna. I rotoli della Torah ricordano queste cose, e si mette anche la
tenda in ricordo di tutto ciò. Durante la funzione si tira la tenda, si apre l’armadio e dentro ci sono i rotoli;
ogni sinagoga ha circa tre rotoli, uno per ogni festa principale: PESACH, FESTA DELLE CAPANNE e
SHAVOUT che è la festa della Pentecoste.
Il TALLITH è lo scialle di preghiera che si indossa per la preghiera della mattina; la cosa importante sono
le 4 frange che ci sono agli angoli dello scialle che si chiamano TSIOT; TSIT vuol dire frange in ebraico,
ma vuol dire anche 600, perché ogni lettera in ebraico è anche un numero, come per i numeri romani. Se
si sommano le lettere che danno il TSIT, si ha il numero 600, le frange sono fatte con 8 file e 5 nodi, e
sommati si arriva a 613 che sono i precetti religiosi che gli ebrei seguono durante la loro vita di tutti i
giorni. Uno di questi precetti è di farsi delle frange allo scialle o ai vestiti per ricordare questi precetti. Si
porta anche un piccolo scialle sotto i vestiti con queste 4 frange. Dio nell’ebraismo non si rappresenta
graficamente perché non si sa come è fatto, non assomiglia alle persone, per cui rappresentarlo
significherebbe sminuirlo (quindi è considerato una bestemmia). Secondo il comandamento non si può
rappresentare Dio e quindi neanche le sue creature, animali, persone (secondo comandamento).
La BRITMILA’ = LA CIRCONCISIONE è il primo atto con cui il bambino ebreo entra a far parte della
comunità ebraica. Al di là dell’operazione chirurgica in se stessa, nell’ebraismo si crede che Dio non ha
creato gli uomini perfetti, ma li ha creati con il dovere di cercare di perfezionare se stessi. E’ un patto di
sangue che fa sì che l’uomo cambi la propria natura; lo si fa lì perché è l’organo della natura, che genera
la vita; lo si fa a 8 giorni dalla nascita. Le bambine vengono solo presentate pubblicamente al tempio.
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<<LA STORIA, LO STERMINIO, LA MEMORIA>>
“… alle vittime dobbiamo la memoria della loro morte, ma anche della loro vita. La loro eredità deve
aiutare l’umanità a consolidare la sua fede in un futuro libero dal razzismo, dall’odio, dall’antisemitismo,
proprio come dobbiamo la memoria alle vittime di Auschwitz, dobbiamo ai vivi l’attenzione alla pace,
alla tolleranza, al rispetto dei diritti umani….”
LA PERSECUZIONE DEGLI EBREI DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE
Come conseguenza delle idee proclamate da ADOLF HITLER, il regime nazista adottò misure
sistematiche contro gli ebrei sin dalla sua ascesa al potere in Germania, nel 1933. <<EBREO>> era
chiunque risultasse avere 3 o 4 nonni osservanti della religione ebraica. Dal 1933 al 1939, il Partito
Nazista e gli enti governativi misero in atto un’azione comune volta ad emarginare gli ebrei dalla vita del
paese. L’obiettivo dichiarato del regime nazista, prima della seconda guerra mondiale era spingere gli
ebrei all’emarginazione. Durante la famosa “Notte dei Cristalli”, in cui in Germania iniziarono le vere e
proprie persecuzioni nei confronti degli ebrei, molti di questi si convinsero ad abbandonare il paese; molti
trovarono rifugio all’estero, ma altrettanti si videro costretti o scelsero di rimanere.
Nel 1939, anche il re d’Italia Vittorio Emanuele III ratificò leggi razziali antiebraiche, volute, sul modello
di quelle tedesche, dal governo fascista di Benito Mussolini. Ne conseguì un esodo di cittadini italiani di
origine ebraica.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale (settembre 1939), l’esercito tedesco occupò la Polonia
occidentale, che contava tra gli abitanti due milioni di ebrei, sottoposti a restrizioni ancor più severe di
quelle vigenti in Germania. Furono costretti a trasferirsi in <<GHETTI>> circondati da mura e filo
spinato.
A un mese dall’inizio delle operazioni in Unione Sovietica, il numero due del <<REICH>>, Hermann
Goring diede inizio “alla soluzione finale” della questione ebraica in Germania. Dal settembre del 1941,
gli ebrei tedeschi furono costretti ad indossare fasce recanti una stella gialla; nei mesi seguenti, decine di
migliaia di ebrei furono deportati nei ghetti in Polonia e nelle città sovietiche occupate. Si realizzarono i
primi campi di concentramento, delle strutture concepite appositamente per eliminare con il gas le vittime
deportate. Bambini, vecchi e tutti gli inabili al lavoro venivano condotti direttamente nelle camere a gas;
gli altri invece erano sfruttati per un certo periodo in officine private o interne ai campi, e poi eliminati.
Il maggior numero di deportazioni ebbe luogo nell’estate – autunno del 1942; i beni dei deportati (conti
bancari, proprietà immobiliari, mobili, oggetti personali) vennero sistematicamente confiscati dal governo
tedesco.
Il trasporto delle vittime nei campi di sterminio avveniva generalmente in treno; i treni, composti da
vagoni merci sprovvisti di tutto, persino di prese d’aria, viaggiano lentamente verso la destinazione e
molti deportati morivano lungo il tragitto. Il più grande e conosciuto campo di sterminio fu
<<AUSCHWITZ>>: qui vi trovò la morte oltre un milione di ebrei. Per una rapida eliminazione dei corpi,
nel campo vennero costruiti grandi forni crematori.
Al termine della guerra, nell’olocausto avevano trovato la morte circa 6 milioni di
ebrei.
PAROLE E TERMINI USATI
FASCISMO: regime politico autoritario instaurato in Italia
nel 1922 da Mussolini. Questa forma di regime era una
dittatura, in quanto il potere era concentrato in un governo
autoritario che non lasciava spazio alla libertà dei cittadini.
NAZISMO: era in Germania il partito di Hitler,
fondato nell’aprile del 1920. Nazismo venne
chiamata la sua dittatura, una volta conquistato
il potere. La dittatura hitleriana cominciò nel 1934.
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CAMPO DI CONCENTRAMENTO E DI STERMINIO:
luogo di prigionia dove uomini, donne e bambini sono
imprigionati senza processo e per un tempo indeterminato.
Nella Seconda Guerra Mondiale venivano usati per
eliminare fisicamente gruppi etnici o religiosi.
ANTISEMITISMO:sentimento diffuso nella
Germania Nazista che voleva prima la persecuzione,
poi lo sterminio di tutti gli ebrei dei territori tedeschi.
GENOCIDIO: eliminazione fisica totale di
un gruppo etnico o religioso.
OLOCAUSTO: (dal greco HOLOS “INTERO”
e CAUSTOS “BRUCIATO”: bruciato completamente),
rito religioso in cui l’offerta veniva distrutta dal fuoco.
Oggi il termine è usato con specifico riferimento al
genocidio degli ebrei europei operato dalla Germania Nazista.
SHOA’:il periodo storico così denominato include
la persecuzione e lo sterminio degli ebrei.
SOLUZIONE FINALE:termine usato dai nazisti
per indicare lo sterminio totale degli ebrei.
SE QUESTO E’ UN UOMO (Primo Levi)
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e viso amici.
Considerate se questo è un uomo che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno
Meditate che questo è stato: vi comando queste parole scolpitele nel vostro cuore stando in casa,
andando per via, coricandovi, alzandovi; ripetetele ai vostri figli
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EBREI A VENEZIA DAL 1938 AL 1945
La campagna anti – razziale ha come data ufficiale di inizio il 14 luglio 1938, quando un gruppo di
scienziati sottoscrive il “Manifesto della razza”, firmato dallo stesso Benito Mussolini. Il 15
agosto dello stesso anno nasce un giornale pubblicato ogni 15 giorni, intitolato “La difesa della
razza” che propaganda l’inferiorità degli ebrei. Vengono disegnate anche delle caricature con
uomini deformi. A Venezia viene fatto un censimento delle persone di religione ebraica che
vivevano soprattutto nell’area dell’Alto Cannaregio e nel sestiere di S. Marco. Gli ebrei vennero
licenziati dal pubblico impiego, dagli istituti bancari e assicurativi e da molti posti privati. Non
potevano utilizzare nessun tipo di servizio pubblico come ad esempio scuole, ospedali. C’erano
dappertutto scritte antisemite contro gli ebrei.
Gli ebrei, comunque non si scoraggiarono e fondarono alcune loro scuole: elementari e medie nella
zona del Lido, organizzarono delle case di riposo per gli anziani e l’assistenza ai profughi scappati
dai campi di concentramento. Nel 1943 si passò alla “discriminazione razziale” di tipo fascista alla
soluzione finale nazista. Il 27 novembre 1943 gli ebrei vennero dichiarati nemici dello Stato e
quindi vennero arrestati e portati nei campi di concentramento. Il 31 dicembre 93 ebrei, compresi 4
bambini, di cui il più piccolo aveva 10 mesi, furono portati nel campo di sterminio di Auschwitz, in
Polonia. All’inizio dell’estate seguente giunse da Trieste un nucleo di polizia tedesca, specializzato
nell’identificazione e nella cattura degli ebrei e riuscirono a scovare 21 persone: malati ed anziani
che si erano rifugiati in case private o in istituti religiosi. Dopo la liberazione che, a Venezia arrivò
il 28 aprile 1945, riprese immediatamente l’attività dell’esercizio del culto ebraico. Pochissime
persone riuscirono a scappare dai campi di sterminio.
TESTIMONIANZE DI UNA SOPRAVVISSUTA Relatrice: Liliana Segre
(Liliana era una bambina di soli 8 anni quando ha cominciato a vivere l’esperienza di
emarginazione delle leggi razziali; ne aveva tredici quando vide la sua famiglia disgregarsi e fu
costretta a subire l’orrore di Auschwitz. Come fecero molti sopravvissuti, per lungo tempo non ha
voluto parlare di questa sua lunga esperienza e ha deciso di interrompere il proprio silenzio solo nei
primi anni ’90 quando, maturando la consapevolezza che dare testimonianza significa dare
concretezza alla memoria storica, è riuscita a fare del dolore dei ricordi uno strumento di forte
valenza etica. Da allora si è resa disponibile a partecipare a incontri con i giovani e con gli
insegnanti per raccontare loro la propria storia e anche per dare voce a tutti coloro che sono morti
nella Shoà per la sola colpa di essere nati ebrei).
INTRODUZIONE
Il Consiglio della comunità ebraica di Venezia è lieto di avere qui la Signora Liliana Segre che
porta la propria testimonianza riguardo ai campi di concentramento e sterminio; ricordo 58 anni fa
l’esperienza sofferta di Liliana, una ragazza adolescente, nella notte tra il 5 e il 6 dicembre; nella
stessa notte, iniziò a Venezia la cattura e deportazione degli ebrei ad opera dei nazifascisti, con il
conseguente drammatico inizio della Shoa. Si può dire che quanto avvenne allora, non solo a
Venezia, ma in tutta Europa, diede a noi ebrei la volontà di non dimenticare, ma di trasmettere a chi
ci è accanto e alle future generazioni quella tragedia che ha vissuto ogni persona deportata.
Il Rabbino di Venezia interviene dicendo che è da diversi anni che conosce la signora Liliana, e da
diverso tempo che ascolta la sua testimonianza, la sua storia personale. È importante sottolineare
due cose:
Si tratta di una storia personale, ma che si inserisce nella storia con la S maiuscola;
quello che noi leggiamo sui libri o che sentiamo alla tv sono cose viste con l’occhio distante
dello storico, del ricercatore, del giornalista, ma quando si tratta di eventi vissuti in prima
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persona, allora questi assumono il valore della testimonianza, che significa trasmissione di un
qualcosa.
I sopravvissuti sono pochi e ancora meno disposti a parlare di vicende che fanno ancora male; il
testimone è una persona che passa agli altri una lezione di vita, insegnamento affinché ciò che è
stato venga riconosciuto e condannato. I testimoni spariscono, ma passano agli altri quello che
hanno vissuto.
Dei circa 8600 ebrei di ogni età deportati dall’Italia, sono tornati a casa solo 91 persone; di queste
91 persone solo 5 o 6 sono ancora in grado di testimoniare, sia per problemi fisici, per anzianità, sia
perché solo queste persone si sentono di rivivere ogni volta quello che hanno passato. I testimoni
dobbiamo essere tutti noi, noi che li abbiamo conosciuti, che li abbiamo ascoltati che abbiamo
condiviso la loro preziosa testimonianza.
TESTIMONIANZA
Mi chiamo Liliana Segre, sono nata a Milano nel 1930 e a Milano ho sempre vissuto. La mia
famiglia era ebraica agnostica, cioè non frequentavamo il Tempio o ambienti ebraici. Io ero una
bambina amatissima, vivevo in una bella casa della borghesia piuttosto piccola, insieme a mio padre
e ai miei nonni paterni, in quanto la mia mamma era morta di parto. Mi ricordo una sera di fine
estate del 1938: avevo fatto la prima e la seconda elementare in una scuola pubblica del mio
quartiere, quando mio padre cercò di spiegarmi che siccome eravamo ebrei, non sarei più potuta
andare a scuola. Quel momento ha segnato una cesura tra il prima e il dopo; era difficile per mio
padre, con un sorriso commosso, spiegarmi quel fatto: io che mi sentivo così uguale a tutte le altre
bambine, invece ero considerata diversa. Mi ricordo la fatica di dover cambiare scuola e di non
dover dire mai niente nei primi giorni nella nuova scuola quello che io ero al di fuori delle mura
scolastiche. Le bambine con le quali ero stata a scuola nei primi due anni, quando le incontravo per
strada, mi segnavano e dicevano che io non potevo più andare nella loro scuola in quanto ero ebrea.
Io sentivo e vedevo quelle risatine e non capivo perché facessero così. Mi ricordo come cambiò la
nostra vita: ad esempio suonavano alla porta, mia nonna andava ad aprire ed io dietro di lei; erano
dei poliziotti che venivano a controllare i documenti. Mia nonna, piemontese, li faceva accomodare
in salotto e offriva loro dei dolcetti e questi rimanevano spiazzati, in quanto dovevano trattarci da
nemici della patria; noi che nella nostra famiglia avevamo avuto mio zio e mio padre ufficiali nella
prima guerra, loro che si ritenevano italiani, patrioti. Loro non sapevano cosa fare con una signora
così affabile e gentile; mia nonna mi mandava fuori della stanza, ma io stavo dietro la porta ad
origliare per sentire cosa dicevano questi poliziotti, ma avevo anche molta paura.
Gli anni di persecuzione si snodarono uno dopo l’altro e queste leggi razziali fasciste erano così
umilianti, perché avevano deciso che questa piccola minoranza (35.000 – 37.000 ebrei italiani di
allora), erano stati declassati ad essere cittadini di serie B. Era difficile essere cittadini di serie B, in
una zona grigia come la nostra; la solitudine si faceva tangibile, vedendo coloro che finora erano
stati amici, allontanarsi da noi, perché è sempre facile essere amici di chi è sulla cresta dell’onda,
ma non di quelli che sprofondano inesorabilmente. Mi ricordo che non venivo più invitata alle
festicciole delle amiche, alcuni genitori dicevano alle figlie di non invitarmi alle loro feste, a casa
loro. Mi ricordo che queste cose che vedevo le leggevo con una maturità inadatta alla mia età; mi
ricordo che non potevamo più ascoltare la radio, dovevamo chiedere il permesso per fare tutto, la
cameriera che seguiva mio nonno che era ammalato del morbo di Parchinson, non potevamo più
tenerla. Erano molte le cose che non potevamo fare, proibite, e ci venivano indicate in un modo
sottile, sottorrenaeo e universalmente accettato. Ho letto poi da adulta tante cose che allora non
sapevo, per esempio del silenzio colpevole di tutto il popolo universitario italiano, che quando i
professori dell’università italiana di allora, videro mandar via dei professori ebrei per la colpa di
essere nati ebrei, invece di scendere in strada a gridare il loro disgusto (anche molti di questi furono
poi chiamati in America, tanta era la loro professionalità ed esperienza), nessuno fece sentire la
propria voce, anzi fu molto interessante prendere i posti lasciati liberi; ci fu questo silenzio assenso
che faceva parte del grande trionfo del fascismo di quegli anni; e non importa se, finita la guerra,
tutti quelli che incontravo per strada mi venivano a dire, noi eravamo anti-fascisti, noi abbiamo fatto
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scappare molti ebrei…ci fu qualcuno antifascista, e qualcuno ha fatto scappare alcuni ebrei, ma la
maggior parte andava in piazza Venezia ad applaudire quello che gridava più forte. Questo silenzio
colpevole intorno a noi fu la cosa più grave di tutte: perché davanti a delle leggi così discriminanti,
un popolo che sa ragionare con la propria testa, non fa come le pecore che vanno dietro il gregge,
anche se questo va a finire in un fosso.
Allo scoppio della guerra, gli italiani vivevano in una situazione precaria, gli ebrei italiani in una
situazione ancora più difficile.
Mi ricordo che quando nell’ottobre del 1942 iniziarono i bombardamenti su Milano, tutti i Milanesi
cercarono di fuggire, come noi che ci rifugiammo in un paese della Brianza, dove non c’era una
scuola adatta a me, in quanto c’era solo una scuola pubblica; a 12 anni ho smesso di andare a scuola.
Quindi stavo sempre a casa, curavo mio nonno che adoravo, mio nonno che era ammalato (quando
vedo il papa che in tv trema con la sua debole mano, mi viene in mente mio nonno). Mio nonno non
era più autosufficiente ed io vivevo vicino a lui: piangeva, non aveva più le forze per riprendersi, lui
che era stato attivissimo, aveva portato il benessere alla nostra famiglia, si rendeva conto dello
sfacelo che stava succedendo intorno a sé. Io inventavo storie fantastiche, gli facevo da infermiera
e sentivo la radio e capivo quello che stava succedendo in tutta Europa: ero diventata un’ esperta dei
bollettini di guerra. Capivo come l’esercito nazista stava mettendo in ginocchio tutta l’Europa, e
stava avanzando e che quindi gli ebrei venivano trattati in quel modo disumano che ancora noi non
conoscevamo. Nell’estate del 1943, subito dopo la caduta del fascismo (l’8 settembre), i nazisti
divennero padroni dell’Italia del nord, e alle leggi razziali fasciste severe si sovrapposero le leggi di
Norimberga che avevano nel loro testo quelle due paroline “SOLUZIONE FINALE”, di cui
ancora nessuno capiva il significato.
Mi ricordo che mio padre decise che avremmo dovuto cambiare identità, comprò una carta
d’identità falsa; mi ricordo lo strazio di una famiglia onesta e normale che si recuperava una carta
d’identità falsa. Mi ricordo che dovevo imparare il mio nuovo nome e cognome, le mie nuove
generalità che avrebbero potuto essere la mia salvezza… ma il mio cervello si rifiutava di impararle.
Non riuscivo a memorizzare quei dati che non erano i miei e che mi facevano nata a Palermo con un
altro cognome. Con quella carta falsa fui ospite di due famiglie cattoliche eroiche che mi nascosero.
Mio padre con quella carta falsa, ogni tanto mi veniva a trovare ed era sempre più disperato perché
non sapeva cosa fare: era stanco, esaurito da 5 anni di persecuzione con la responsabilità di una
ragazzina di 13 anni e di vecchi genitori, mia nonna stava diventando pazza, e mio nonno stava
sempre peggio. Ad un certo punto riuscì dalla questura di Como, pagando un funzionario, ad avere
per i propri genitori un permesso che diceva che Olga e Giuseppe Segre, visto il loro stato fisico,
potevano risiedere nella loro casa sotto la custodia di gente cattolica, perché impossibilitati a
nuocere al grande Reich Tedesco. Evidentemente non erano impossibilitati a nuocere al grande
Reich Tedesco, perché nel mese di Maggio, quando già noi eravamo ad Auschwitz, furono
deportati, denunciati e uccisi per la colpa di essere nati ebrei.
Avuto questo permesso in cui ancora si credeva, perché era stato rilasciato dalla questura di Como,
mio padre, aiutato da alcuni amici, decise che io e lui saremmo fuggiti in Svizzera. Eravamo non
lontani dal confine svizzero e tentammo questa fuga grottesca e per certi versi nata male fin
dall’inizio. Era il 7 dicembre 1943, quando noi tentammo questa fuga verso la Svizzera. Mi ricordo
come fuggivo nella notte, correndo e tenendo la mano di mio padre su quelle montagne,. Era una
fuga in cui mi sentivo una eroina… mi sembrava un’avventura fantastica sulla montagna, con i
contrabbandieri che ci dicevano di andare più veloci se non volevamo essere presi, ma io ero
fiduciosa, con la mia mano nella mano di mio padre, a due passi dalla Svizzera, dove ci sarebbe
stata la libertà. All’alba del 7 dicembre passammo il confine e ci sembrava impossibile avercela
fatta e quando fummo al di là su questa cava di sassi, guardavamo la montagna ed eravamo felici, ci
abbracciavamo, io, mio padre e due cugini che si erano uniti a noi. Ma la sentinella che ci prese in
custodia in quel boschetto, ci accompagnò al comando di polizia del paese più vicino del Canton
Ticino (esiste ancora adesso e si chiama Arlov), e dopo una lunga attesa dentro il comando, senza
un bicchiere d’acqua, senza una parola da parte di nessuno, ci ricevette nel suo ufficio, un ufficiale
tedesco e ci disse, con disprezzo, ebrei impostori, non è vero che succede tutto quello che accade in
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Italia, in Svizzera non c’è posto per voi e ci rimandò indietro con le guardie armate che ci
scortavano. È stato quell’ufficiale tedesco a condannare a morte 4 persone, di cui solo io mi sono
salvata. Seppi dopo che 28.000 ebrei che avevano chiesto ospitalità in Svizzera, furono respinti, e
rimandati indietro.
Nel pomeriggio di quella giornata interminabile, sotto una piogerellina battente, noi tentammo di
tornare in Italia passando per quelle rete che delimita la terra di nessuno tra due stati, appena toccai
la rete suonò l’allarme, vennero dei finanzieri italiani in camicia nera e fummo arrestati. Il giorno
dopo entrai da sola nel carcere femminile di Varese: avevo 13 anni e ho subito quell’iter consueto
che subisce un arrestato: fotografie, impronte digitali, e mi ricordo i miei passi tra le lacrime in quel
corridoio lungo con quella secondina gelida alle spalle che poi mi spinse malamente nella cella a me
destinata. Era una cella grande dove c’erano altre donne ebree. Sono stata 6 giorni dentro il carcere
di Varese e piangevo disperata, perché non sapevo quello che mi sarebbe successo; poi nel carcere
di Como e poi tutte le famiglie furono riunite nel grande carcere di Milano che si chiama San
Vittore. È fatto come una stella: un corpo centrale con dei raggi; uno di questi era adibito per gli
ebrei. Non c’erano divisioni tra uomini e donne, io e mio padre potevamo stare insieme nella stessa
cella; rimanemmo qui 40 giorni. Ero felice di stare a San Vittore, in una cella nuda e spoglia, ma
insieme a mio padre. Ogni 4 o 5 giorni la Gestapo chiamava tutti gli uomini per degli interrogatori e
io rimanevo sola nella mia cella a piangere senza una spalla sulla quale appoggiarmi: sapevo che li
picchiavano e li torturavano. Furono giorni speciali, ma un pomeriggio entrò un tedesco del raggio
ed elencò 605 nomi: eravamo uno dei tanti trasporti che partivano dall’Italia. Era la deportazione a
cui non avevamo creduto fino all’ultimo momento: la gente diceva non è possibile che mandino
degli italiani fuori dal paese. Mi ricordo questa lunga fila che usciva dal carcere con le loro poche
cose e come furono straordinari gli altri detenuti comuni che ci vedevano dalle loro celle e ci
urlavano parole d’incoraggiamento: Dio vi benedica! Non avete fatto niente di male! Ci
lanciavano arance, biscotti, guanti, di tutto e noi uscimmo dal carcere con questo grande scoppio,
bagno di umanità, furono gli ultimi uomini…poi incontrammo solo mostri. Saranno stati anche
ladri e assassini, ma erano uomini che hanno provato pietà per noi.
Portati alla stazione centrale, nei sotterranei erano preparati dei vagoni: a calci e pugni fummo
caricati dalle SS e dai loro servi. Come si sta dentro un vagone? Il viaggio è un momento
importantissimo – chiave della prigionia; il viaggio durò una settimana ; eravamo sprangati dentro
un vagone dove non c’era niente, con un secchio per i nostri bisogni, che ben presto si riempì; non
c’era luce, non c’era acqua, c’eravamo solo noi con la nostra umanità dolente;
Io, insieme agli altri, vissi tre fasi:
la fase del pianto;
la seconda fase, quella surreale: gli uomini pii si riunivano al centro del vagone pregavano e
lodavano Dio; era un momento di tensione fortissima che ci teneva uniti, mentre questi uomini
ci portavano a morire.
La terza fase è quella del silenzio: persone coscienti che andavano a morire; noi lo sentivamo
che sarebbe stato così. Non c’era più niente da dire.
Gli occhi che comunicavano al vicino: “Sono qui con te, ti voglio bene!”, ma non c’era più niente
da dire, non c’era più bisogno di parlare. Furono gli ultimi miei giorni con mio padre, e devo dire
che la fase del silenzio è quella che è stata di massima trasmissione tra noi; poi a questo silenzio
così importante, c’è quel rumore osceno e assordante degli assassini intorno a noi, quando arrivati a
quella stazione preparata per noi, dai nostri assassini, già da anni, Birkenau – Auschwitz: la porta
si aprì e con grande violenza fummo tirati fuori tutti. C’era una folla immensa: scendevamo dai
vagoni, smarriti, non sapevamo cosa fare, perché c’erano le SS con i loro cani, i prigionieri adibiti a
dividerci, ad ammucchiare i nostri bagagli; le SS con i loro occhi gelidi e i loro sorrisini
(straordinari i loro sorrisini), avevano un ghigno con il quale ci dicevano: “State calmi, calmi,
adesso vi dobbiamo solo registrare e poi le famiglie saranno riunite”. Ma anche divise, le donne con
i bambini da una parte, e gli uomini dall’altra. Lasciai per sempre la mano di mio padre e non lo
rividi più, e fui messa in fila con le altre donne. Certo non lo sapevo che non l’avrei più rivisto, che
era un momento così determinante della mia vita. Ed ecco che i nostri assassini perpetrarono il
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delitto massimo del momento, cioè facevano l’atroce selezione, perché così feroce non la facevano
più. Loro nella loro organizzazione teutonica, avevano in mano la lista del numero dei deportati nei
treni, sapevano quanti uomini e donne contenevano i vagoni appena arrivati, sapevano quanta forza
lavoro desideravano far rimanere nei lager, e decisero quel giorno che sarebbero rimaste una
trentina di donne e una sessantina uomini. Io fui scelta, non so perché, mentre tante donne, ragazze
andarono direttamente al gas. Noi scelte guardavamo con una certa invidia quelle che andavano con
i camion via; c’erano dei camion dove venivano caricate tutte le persone che da lì andavano
direttamente al gas. Noi in quel momento, stravolte dal viaggio, con i piedi sulla neve fredda, non
sapere cosa fare di noi, e ci sembrava una grande fortuna per quelle che venivano portate via con i
camion. Io, con le altre donne, fui avviata a piedi nella sezione femminile del campo di
concentramento di Birkenau ad Auschwitz: una città immensa dove c’erano 60.000 donne di tutte
le nazionalità, era una babele di linguaggi, in quanto c’erano le polacche, le ungheresi, le
cecoslovacche, le greche, le francesi, olandesi, le belghe, pochissime italiane. Là dove erano passati
i nazisti avevano fatto queste retate spaventose, portando i prigionieri ad Auschwitz. Ci guardavamo
intorno, noi ragazze scese da quel treno dove ancora qualcuno ci chiamava amore, tesoro,
guardavamo questo posto con muri grigiasti, fili spinati elettrizzati e ci chiedevamo ma dove siamo,
quale posto è, stiamo sognando, è un incubo da cui ci sveglieremo, non è possibile? Poi il dramma
nella prima baracca: fummo denudate, mentre i soldati passavano sghignazzando, questi non ci
guardavano come donne, perché per le leggi di Norimberga gli ariani puri non si dovevano
accoppiare con donne di razze inferiori, per cui non ci trattavano come donne, ma come pezzi, delle
persone schiave delle quali prendersi gioco. Fummo denudate, ci portarono via tutto, della nostra
vita precedente non ci rimase manco un fazzoletto, una fotografia, un libro, nulla; lì venivamo
rasate dappertutto sempre davanti ai soldati sghignazzanti e poi ci tatuarono un numero: il mio è
75190 e io lo porto con grandissimo onore perché è una vergogna per chi l’ha fatto.
Se voi pensate che tre anni fa il sindaco di Milano ha invitato i padroni dei cani, che amano le loro
bestie, a tatuare sulla zampa un numero, così qualora il cane si perdesse, il padrone lo potrebbe
ritrovare.
Be, anche allora i nostri padroni ci volevano tenere sott’occhio e questo numero che fa parte di noi
sopravvissuti è più importante del nostro nome. In questo sono riusciti i nostri assassini, perché,
mentre in quel momento con quel numero volevano sostituire la nostra identità di persone e farci
diventare dei numeri, sono riusciti a far si che questo numero sia così profondamente inciso nella
nostra carne da essere diventato simbolo di noi stessi: noi siamo essenzialmente quel numero,
perché chi ricorda Auschwitz, perché c’è stato, non dimentica mai.
Rivestite di stracci con un fazzoletto in testa, con gli zoccoli ai piedi, ci guardavamo l’una con
l’altra: non eravamo già più quelle scese dal treno due ore prima, eravamo già delle cose diverse,
eravamo già quelle nullità che loro volevano noi fossimo. Il dramma della prima baracca non fu
nulla rispetto alla seconda, dove delle ragazze francesi che erano lì da 15 giorni ci spiegarono dove
eravamo arrivate: ci spiegarono cos’era quell’odore di bruciato che permeava sul campo: è l’odore
della carne bruciata, perché qui gasano e poi bruciano nei forni. Noi ci guardavamo l’una con l’altra
e tra noi pensavamo che queste erano pazze, ma che cosa stanno dicendo che qui bruciano le
persone. Ci mostrarono la ciminiera in fondo al campo dicendoci che lì bruciavano le persone e
dicendoci che si chiamava crematorio. Noi non volevamo credere loro, ma poi ci spiegarono perché
la neve era grigia e c’era la cenere, che eravamo diventate schiave e che per un sì o per un no
potevamo andare anche noi al gas, che non dovevamo mai guardare in faccia i nostri assassini, che
dovevamo imparare in tedesco il nostro numero il più in fretta possibile, solo così potevamo
sopravvivere. Come si fa a vivere in queste condizioni? Sopportare tutto questo?
Perché l’uomo è fortissimo e questo io l’ho sperimentato. Io ero una ragazzina di 13 anni, non
avevo nessuna particolarità, semmai ero una ragazzina viziata, cresciuta in una famiglia che aveva
fatto in modo di preservarmi da tutti i problemi della vita; la forza che c’è in ognuno di noi è
grandissima, ed è di questa che noi dobbiamo far tesoro. Tutti i ragazzi devono credere in questa
forza, perché se loro crederanno di avere questa grandissima forza psichica più che fisica, allora non
diranno male di nessuno, della famiglia, della scuola, della società se non riescono a fare qualcosa.
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Ognuno di noi è un mondo e se si impegna può assolutamente fare della sua vita o un capolavoro o
anche una piccola vita normale che se sarà onesta e per bene sarà comunque un capolavoro. Noi
abbiamo scelto la vita: certamente chi ha scelto la vita e soprattutto di non farsi abbattere da queste
disgrazie terribili, è stato aiutato a mantenersi con la mente sveglia, perché da quel momento e per
mesi il corpo è diventato scheletro, per mesi abbiamo visto morire le nostre compagne, per mesi
abbiamo visto calare le nostre forze, abbiamo visto i nostri assassini torturare, fare esperimenti e
trattare con un’inumanità che non credevamo possibile al mondo (che degli esseri umani fossero
capaci di fare delle cose del genere ad esseri simili, colpevoli solo di essere nati). Abbiamo scelto la
vita. Io avevo scelto, senza avere una spalla in cui piangere o qualcuno che mi consigliasse, avevo
scelto di non essere lì, di estraniarmi, sì il mio corpo era lì, veniva picchiato e torturato, aveva fame,
era dimagrito, aveva freddo, aveva paura, ma il mio spirito no, la mia mente no: io ero quella di
prima, quando correvo sulla spiaggia, quando coglievo un fiore sul prato, quando ero seduta nella
mia casa con le persone care vicino a me. Io non volevo essere lì, mi rendevo invisibile, cercavo di
non guardare in faccia i miei persecutori e vigliaccamente non mi voltavo mai a guardare indietro
tutti i cadaveri, gli scheletri fuori, pronti per essere bruciati, non guardavo le compagne in punizione,
non guardavo la fiamma del forno che bruciava, io guardavo solo i miei zoccoli, li potrei disegnare
anche adesso; guardavo i miei piedi perché non volevo assolutamente guardarmi intorno, non
volevo essere lì, non volevo che i miei persecutori si impadronissero anche del mio spirito.
Nel campo tra le prigioniere amicizia e fratellanza erano morte quasi subito, perché quando non si
ha nulla è molto difficile essere fratelli ed essere amici. Parlavamo solo di mangiare, eravamo delle
ragazze affamate, che avevamo inventato delle ricette che oggi si chiamerebbero virtuali e
soprattutto avevamo inventato una torta enorme, straordinaria, grande come una casa, che avrebbe
potuto stare sul piazzale dove avvenivano le esecuzioni, le impiccagioni e che avrebbe sfamato con
la sua panna, con il suo cioccolato, con la sua crema, tutte le prigioniere e tutte avremmo scavato
questa torta. Questi erano i nostri discorsi legati al pensiero fisso di mangiare. Noi per essere
diventati scheletri mangiavamo delle cose che facevano parte di una dieta ben studiata per ridurci
così, e per una sopravvivenza di pochi mesi. Alla mattina, con la frustata e con l’appello, ci veniva
dato sulla scodella senza cucchiaio che dovevamo condividere in 5 o 6, con l’ammalata, con quella
con le croste, un sorso di una bevanda che non sapeva né di te, né di caffè, era una cosa strana, forse
una specie di tisana, indescrivibile perché, per fortuna, non ho mai più sentito una cosa del genere
nella mia vita. Era una cosa molto voluta, perché era calda; poi uscivamo, nel gelo della Polonia
d’inverno, vestite di stracci e stavamo in piedi una o due ore per l’appello, a seconda di quello che
volevano i nostri aguzzini. Poi uscivamo dal campo, io ero stata fortunata ad essere scelta per
diventare operaia – schiava in una fabbrica dove si costruivano munizioni; una fabbrica che esiste
ancora che si chiama UNION, e che in tempo di pace faceva automobili, in tempo di guerra
munizioni per mitragliatrici. Io ebbi la grande fortuna di essere scelta per quel lavoro, nonostante
non sapessi fare nulla; fui scelta per un lavoro di fatica che mi permise però di lavorare al coperto.
Eravamo 700 ragazze di tutte le nazionalità (700 del turno di giorno, 700 del turno di notte).
Uscivamo la mattina dal campo, dopo l’appello e raggiungevamo a piedi la fabbrica che si trovava
nella città di Auschwitz. Mi ricordo le ragazze violiniste, prigioniere nel lager, facenti parte della
famosa orchestrina ed erano obbligate a suonare delle allegre marcette sia che il comando uscisse
per andare a morte oppure per andare a lavorare. Era strano vedere queste violiniste suonare delle
marcette allegre piangendo. Noi facevamo questo tragitto con le guardie vicine che ci obbligavano a
marciare, cantando canzoni tedesche. Incrociavamo dei ragazzi tutti i giorni, erano bei ragazzi su
delle biciclette (io avevo lasciato la mia bicicletta a Milano, e quando compii 14 anni mi venne in
mente la mia bella bicicletta lasciata a casa più di ogni altra cosa), io li guardavo questi ragazzi che
ci sputavano addosso e ci dicevano delle parolacce che quando iniziai a capire, non volevo credere
che dopo averci tolto tutto, l’odio, il fanatismo fossero tali, da permettere alle loro menti di
comandare al cervello di dire delle parole di quel tipo. Io allora li odiavo profondamente quei
ragazzi e sentivo nei loro confronti qualcosa di forte, di prepotente che quasi mi facevo paura; negli
anni mi sono accorta, nella mia maturità di donna di pace, che quel sentimento si è tramutato in
pietà, ad avere pena. Quando scoprii che era molto meglio essere stata vittima o figlia di vittima,
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piuttosto che carnefice, fu un momento molto importante nella mia vita, fu un momento di
maturazione psicologica non indifferente nel mio percorso di donna di pace. Allora invece li odiavo
profondamente.
Poi arrivavamo in fabbrica e lavoravamo tutto il giorno; alla sera tornavamo indietro e vedevamo la
fiamma con il fumo.
Tre volte passai la selezione nell’anno che trascorsi ad Auschwitz. Non era la selezione della
stazione. Erano delle selezioni annunciate, di cui noi sapevamo a che cosa andavamo incontro. Ecco
che le Kapò ci chiudevano dentro le baracche e poi a gruppi ci portavano nella sala delle docce,
tanto cara ai nostri assassini, e lì tutte nude, in fila indiana, dovevamo attraversare la sala e uscire
attraverso un’uscita obbligatoria, dove un piccolo tribunale di tre persone ci guardava, come le
mucche al mercato, davanti, dietro, in bocca, se avevamo ancora i denti, se eravamo abili al lavoro e
poi un piccolo gesto gelido che voleva dire va. Io mi ricordo come attraversavo quella sala: il cuore
batteva come un pazzo e io mi dicevo: “non voglio morire, non voglio morire…” e rimanevo lì, non
avevo il coraggio di guardarli in faccia, mi atteggiavo ad indifferenza; mi ricordo la prima volta che
passai la selezione che il medico (uno dei tre assassini era medico), mi fermò e con un dito mi toccò
la pancia, dove due anni prima avevo fatto l’operazione dell’appendicite e dissi: “Adesso, perché ho
la cicatrice sulla pancia, questo mi manda a morte”, e invece lui tutto sorridente, mostrava ai suoi
colleghi assassini la cicatrice, dicendo che questo medico italiano era una bestia, aveva fatto male la
cicatrice. Questa ragazza la vedrà sempre questa cicatrice, mentre io la faccio sottilissima e se anche
una donna è nuda, questa cicatrice non si vede più. Poi mi fece un segno, con il quale mi indicava
che io potevo andare avanti con la mia cicatrice sulla pancia, e io avevo fatto quei due passi che mi
separavano dall’uscita, provando una felicità immensa; non mi importava niente di dove ero, di cosa
mi era successo, dell’orrore di cui facevo parte, ero viva. Ma una volta fui vigliacca e orribile
quando fermarono dietro di me, Janine, una ragazza francese che lavorava con me alla macchina in
fabbrica; la macchina, qualche giorno prima, le aveva tranciato due dita. Durante la selezione, lei,
che era nuda, aveva coperto la ferita con uno straccio, ma certamente l’assassino lo vide subito, e
senza neanche fiatare fece segno alla scrivana (una prigioniera come noi), di prendere il numero. E
io sentii dietro di me che fermarono Janine, che lavorava con me da diversi mesi, ma io non mi
voltai; io fui spaventosa e Janine fu portata al gas per la sola colpa di essere nata ebrea. Janine era
una ragazza francese, di 22 –23 anni, voce dolce, occhi azzurri, capelli biondi. Io non mi voltai, non
mi comportai come i prigionieri di San Vittore; ma non potevo più sopportare distacchi, io ero viva.
Alla fine di gennaio del 1945, fummo, da un momento all’altro, obbligati a lasciare il campo di
Auschwitz e a cominciare quella marcia, giustamente detta della morte, che attraverso la Polonia e
la Germania portava i prigionieri che ancora stavano in piedi su verso il nord e man mano si
avvicinavano i russi. Noi da un po’ sentivamo il rumore della guerra che si avvicinava, ma non
sapevamo niente, perché noi da un anno non avevamo più sentito la radio, visto un giornale, non
avevamo né un calendario, né un orologio, non sapevamo mai che ora fosse, che giorno fosse. Ad
un certo punto i nostri assassini decisero di far saltare il campo di Auschwitz per non far trovare
nulla ai russi e per far andare via noi prigionieri.
Lessi poi, che i prigionieri ancora vivi che si misero su quelle strade d’inverno, fummo 56.000. Fu
una cosa epocale: cortei infiniti di prigionieri scheletriti che si snodavano su queste strade tedesche,
di notte soprattutto, seguiti dalle guardie con i cani.
Non so come ho fatto! (oggi ho un nipote, Edoardo che ha l’età che io avevo allora, e lo vedo così
acerbo, così fragile e vedo i miei figli preoccupati che tutto vada bene, che si copra quando fa
freddo). Mi vedo su quella strada e mi vedo nonna di me stessa: quella ragazzina di allora aveva
l’età che ha mio nipote oggi. Il cervello comandava alle gambe di camminare; non si poteva cadere,
perché chi cadeva veniva finito dalle guardie. Io non mi voltavo a vedere quelli che cadevano;
facevo una fatica enorme a camminare, non avrei mai potuto aiutare nessuno. Quando qualcuno
cadeva, si sentiva quel rumore sordo della fucilata alla testa; mi ricordo i bordi della strada
insanguinati. Camminavano di notte attraverso cittadine e strade deserte e come pazze ci gettavamo
sui letamai e ci rubavamo l’una con l’altra i rifiuti: bucce di patate crude sporche di terra, ossi
spolpati… uno schifo. E ci riempivamo come pazze lo stomaco, sapendo che il giorno puntualmente
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dopo vomito e diarrea ci avrebbero atteso; ma non importava, intanto lo stomaco si riempiva in quel
momento e il cervello poteva comandare di camminare alle nostre gambe. Furono molte notti, altri
letamai, altre stelle in cielo.
Arrivammo nel lager di Ravensbruck, ma subito ripartimmo per raggiungere un sottocampo che si
chiamava Sachsenhausen nel nord della Germania; era un piccolo campo dove non si lavorava, e
dove invece, non come ad Auschwitz, dove finito un lager ne cominciava un altro, lì vedevamo
fuori dal lager cosa c’era. C’erano prati, in quanto era arrivata anche lì la primavera incredibilmente;
questo dono straordinario di cui godiamo ogni anno, senza accorgersene, questa terra che sboccia la
vita. Eravamo delle larve, eravamo ragazze dure, miserabili, ragazze che non sentivano neanche più
la fame, non sentivamo neanche più le botte, eravamo degli esseri ancora attaccati alla vita per
miracolo e se la guerra da lì a poco non fosse finita, di certo saremmo morte. Mi ricordo insieme ad
altre due ragazze italiane, che sono sopravvissute anche loro: una è Luciana Sacerdoti di Genova e
l’altra è Graziella Coino di Roma, che adesso sta in Sud Africa, che pur nella nostra miseria,
eravamo ancora in piedi, mentre la maggior parte non si alzava più dai propri giacigli. Nelle prime
ore del pomeriggio, non mi ricordo se si allentasse la sorveglianza o se avessimo il permesso di
uscire dietro la baracca, uscivamo e prendevamo quel tiepido sole dell’Europa del nord. Io avevo
avuto un ascesso terribile sotto l’ascella sinistra in quei giorni, tagliato con le forbici e non
certamente curato come normalmente si cura un ascesso; stavo molto male per i dolori che avevo al
braccio, e mi ricordo che tiravo giù il misero straccio di giacca che avevo e mettevo questo mio
braccio massacrato al sole tiepido, e mi sembrava che qualcuno avesse detto che questo metodo
faceva bene.
Passavano, al di là del filo spinato, dei soldati francesi prigionieri di guerra, che avevano lavorato
per 5 anni nelle fattorie tedesche e che quindi non erano diventati scheletri come noi; passavano e
vedevano queste figure indistinte da lontano, giorno dopo giorno, ci chiamavano e in francese ci
chiedevano chi fossimo. Noi in coro, perché nessuna di noi aveva abbastanza voce per rispondere,
urlavamo che eravamo delle ragazze ebree italiane. Loro stupiti, non potevano credere che eravamo
ragazze, perché eravamo così orribili, degli scheletri senza forma, con le occhiaie profonde, senza
più femminilità. Furono i primi, dopo i detenuti di San Vittore, ad avere pietà di noi; e giorno dopo
giorno, ci dicevano di non morire, state vive e serene perché la guerra sta per finire, stanno per
arrivare gli americani da una parte e i russi da un’altra. Noi ragazze nulla, schiave non ci potevamo
credere, noi che ci eravamo abituate a sopportare tutti i dolori del mondo, alla gioia non eravamo
più abituate; mi ricordo che rientravamo nelle baracche e alle nostre compagne che stavano
veramente per morire, davamo queste notizie strepitose e straordinarie e loro con gli occhi facevano
fatica a seguire e chiedevano se era vero, se era proprio vero. E noi urlavamo che era tutto vero. I
soldati francesi che sentivano la radio, giorno dopo giorno, ci davano queste notizie meravigliose
che i russi e gli americani erano vicinissimi. Sentivamo rumori sopra di noi, aerei che volavano,
sentivamo cannonate e ci chiedevamo cosa sarebbe successo di noi; pensavamo che ci avrebbero
ucciso perché non possono farci trovare così. Vivevamo con un ansia terribile quei momenti, non
sapendo cosa stessero per fare i nostri persecutori, e loro portavano via tutto dal campo: portavano
via scrivanie, documenti, registri… e mentre prima erano con noi sempre implacabili e crudeli, ora
tra loro erano nervosi. Noi li spiavamo e non volevamo morire, ma volevamo vedere questo
momento tanto atteso ed insperato. Sognavamo di uscire da quel cancello, di strappare quell’erba,
quelle foglie, di mettercele in bocca, di sentire il sapore della clorofilla. E questo avvenne, in quei
giorni di fine aprile, proprio l’ultimo giorno di aprile, aprirono quel cancello e ancora prigioniere,
con le guardie vicine, quelle che ancora stavano in piedi, uscimmo da quel cancello e veramente
strappavamo l’erba, le foglie e ce le mettevamo in bocca, non potevamo mandarle giù, ma
sentivamo che era un sapore speciale, diverso, sognato e improvvisamente su per la strada tedesca,
un miracolo: noi ragazze nulla, noi ragazze schiave fummo testimoni della storia che cambiava
davanti ai nostri occhi ed era una visione incredibile perché vedemmo i civili tedeschi uscire dalla
loro case (fino ad allora erano rimasti serragliati all’interno, senza darci mai un pezzo di pane, un
bicchiere d’acqua, senza mai degnarci di uno sguardo), e caricavano tutto sui carri perché volevano
andare verso la zona americana, mentre lì fu poi zona russa, e volevano andare verso gli americani.
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Noi non capivamo niente e le nostre guardie che camminavano insieme a noi, buttavano via le
divise, le armi, si mettevano in borghese, in mutande, mandavano via i cani che erano stati proprio
il simbolo del potere del soldato SS, e i cani andavano e poi tornavano e non capivano più niente.
Noi eravamo sbalordite, con i nostri occhi, con la nostra debolezza, con le gambe che non
reggevano più, vedevamo questa storia che cambiava davanti a noi ed era una situazione
apocalittica, straordinaria, incredibile. Si mettevano in mutande e buttavano via quella divisa che
aveva terrorizzato gli eserciti di tutta Europa; quando il comandante di quell’ultimo campo vicino a
me, che mi sfiorava, si mise in mutande, quell’uomo alto, sempre elegantissimo, crudele sulle
prigioniere inermi e buttò la divisa sul fosso, la sua pistola cadde ai miei piedi ed io ebbi la
tentazione fortissima di prenderla e sparargli. Io avevo odiato quello che mi era successo, avevo
sofferto tanto e sognavo la vendetta e odiavo profondamente i miei carnefici; quando vidi quella
pistola ai miei piedi, pensai di chinarmi, prendere la pistola e sparargli. Mi sembrava un giusto
finale di quella storia, ma capii di essere tanto diversa dal mio assassino, che la mia scelta di vita
non si poteva assolutamente coniugare con la teoria dell’odio e del fanatismo nazista; io nella mia
debolezza estrema e molto più forte del mio assassino, non avrei mai potuto raccogliere quella
pistola, e da quel momento sono stata libera.
Dopo è successo che non sapevamo cosa fare in terra nemica; vedemmo arrivare gli americani e fu
una visione festosa, incredibile, perché questi ragazzi americani che venivano dalle prime linee,
erano ragazzi bellissimi e vidi la prima jeap americana con la stella bianca. Questi ragazzi buttavano
dal camion, senza distinguere se eravamo prigionieri, soldati, civili tedeschi perché ancora ne
sapevano poco, sigarette, cioccolato, frutta secca e quel giorno che era il primo maggio io mi
ricordo che ricevetti addosso un’albicocca secca, squisita e me la misi subito in bocca e il giorno
della liberazione è legato per me al sapore dell’albicocca secca.
Vidi poi il giorno dopo, unirsi le due armate vincitrici ed era una cosa molto particolare vedere
arrivare i camion con questi soldati così pronti a montare mense e ospedali da campo e a darci cibo
buono. L’armata russa passò di corsa ed era composta da ufficiali a cavallo senza sella, carri armati
cigolanti, che fungevano da cucine improvvisate e tiravano dietro capre, bestiame vario; era così
differente rispetto l’armata americana così ben organizzata. Furono dei giorni particolari; poi
passarono lunghi mesi prima di essere divisi a seconda della nazionalità e sempre gli americani ci
organizzarono per farci tornare nelle nostre case. Quando arrivai a Milano, la mia casa era chiusa.
Spero che almeno uno di quelli che hanno ascoltato oggi questi ricordi di vita vissuta li imprima
nella sua memoria e li trasmetta agli altri, perché quando nessuna delle nostri voci si alzerà più a
dire io mi ricordo, ci sia qualcuno che abbia raccolto questo messaggio di vita e faccia sì che 6
milioni di persone non siano morte invano per la sola colpa di essere nate, se no tutto questo potrà
avvenire nuovamente, in altre forme, con altri nomi, in altri luoghi, per altri motivi. Ma se ogni
tanto qualcuno sarà candela accesa e viva della memoria, la speranza del bene e della pace sarà più
forte del fanatismo e dell’odio dei nostri assassini.
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