Nuove speranze per il diabete con le staminali del cordone
ombelicale, che regolarizzano il sistema immunitario
28/09/2010 – Gainesville (Florida - USA) La possibilità del trapianto autologo con cellule staminali
del cordone ombelicale ha trovato un applicazione, soprattutto immunomodulatrice, anche nel
trattamento del diabete tipo 1, patologia che colpisce una persona ogni 200 ed che risulta in
continuo aumento1. Questa malattia autoimmune comporta la distruzione delle cellule beta, che
producono insulina da parte dei linfociti T;
l' insulino-deficienza, che ne deriva, comportando la dipendenza dalla somministrazione di forme
esogene d’ insulina per tutta la vita.
Nonostante tutti i progressi scientifici, che hanno portato questa patologia a diventare più di
frequente una malattia cronica e non sempre direttamente letale, come in passato, la sua incidenza
continua a essere estremamente alta. Inoltre nel lungo termine permangono gravissime le
conseguenze per il sistema nervoso, per i grandi vasi sanguini e soprattutto, per il microcircolo, con
danni alla retina, al rene, alle coronarie come ai vasi cerebrali o con il “piede diabetico”. Fra le
nuove strategie per il trattamento di malattie autoimmuni come questa già nel recente passato si è
fatto strada anche l' utilizzo autologo del sangue cordonale; questo risulta possibile data la
potenzialità delle cellule staminali del cordone di differenziarsi in tessuti non solo ematologici ma
anche di diversa natura. In questa direzione si muove lo studio pilota, condotto dal gruppo del
dottor J. Michael Haller2 del Dipartimento di Pediatria della University of Florida di Gainesville,
iniziato alla fine del 2005.
Le ipotesi che sono all' origine di questo studio si basano sulla possibilità, che il trapianto autologo
di cellule staminali derivanti dal cordone ombelicale possa attenuare il processo autoimmune all'
origine della patologia, seguendo diversi meccanismi: le cellule staminali migrano nel pancreas
danneggiato, dove possono differenziarsi in cellule beta che producono insulina; possono agire per
fare aumentare la proliferazione delle isole pancreatiche da parte del tessuto sano; alcune cellule del
cordone ombelicale sono in grado di mediare il recupero della immuno-tolleranza. Infatti si era
notata durante la gravidanza la capacità delle cellule cordonali di evitare il rigetto GVHD da parte
della madre contro la placenta e gli altri tessuti embrionali5.
Nel giugno del 2007 sono stati presentati i dati preliminari riferiti a otto pazienti sei mesi dopo l'
infusione di sangue cordonale autologo per il trattamento del diabete di tipo 1; questi hanno
descritto risultati molto incoraggianti, come la mancanza di significativi eventi avversi associati a
questo studio e i benefici ottenuti in seguito al trattamento collegati ad una maggior immunotolleranza. In questo studio, ad oggi, i soggetti sottoposti ad infusione di cellule staminali cordonali
per uso autologo sono quindici. Nonostante gli interessanti esiti parziali di questo trial clinico,
ulteriori dati e conclusione sono stati pubblicati in seguito3.
Secondo il Dr. Haller e i suoi collaboratori il sangue del cordone ombelicale può preservare senza
rischi la produzione d’ insulina nei bambini a cui è stato diagnosticato da poco tempo il diabete tipo
1. Questo è il risultato di un piccolo studio pilota presentato alla 67ª Sessione Scientifica della
American Diabetes Association a Chicago.
I ricercatori della University of Florida hanno cercato di determinare se sia possibile usare le cellule
staminali isolate dal sangue del cordone ombelicale del paziente per neutralizzare l’attacco
autoimmune al pancreas e per aiutare l’organismo a ripristinare l’abilità di produrre insulina,
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ormone che regola l’impiego degli zuccheri e di altre sostanze nutrienti con cui il corpo produce
energia .
“Questo è il primo tentativo di usare il sangue del cordone ombelicale come potenziale terapia per il
diabete tipo 1. Speriamo che queste cellule possano ridurre l’attacco del sistema immunitario al
pancreas o possibilmente introdurre cellule staminali, che riescano a differenziarsi in cellule
produttrici di insulina”, dice il Dr. Haller,
“Benché questo sia uno studio relativamente piccolo, possiamo affermare con certezza la sua
attendibilità: abbiamo osservato cambiamenti metabolici ed immunologici, che suggeriscono la
possibilità di trarne benefici”, dice il pediatra americano”. Non è una cura per il diabete, ma è il
primo passo per aiutarci ad imparare e a muoverci nella giusta direzione”.
I ricercatori hanno avuto l’idea per questo studio, in parte grazie al padre di un paziente, il quale
aveva letto che alcuni scienziati erano stati in grado di curare il diabete nei topi, prendendo il
midollo osseo da un animale ed iniettandolo nei suoi fratelli, senza usare chemioterapia o
radioterapia. E nel laboratorio gli scienziati erano riusciti a far produrre insulina alle cellule
staminali isolate dal sangue del cordone ombelicale. Quest’uomo ha chiesto ai ricercatori della UF
(University of Florida) se l’iniezione ad un paziente del sangue isolato dal proprio cordone
ombelicale avrebbe potuto avere un simile effetto positivo.
“Abbiamo pensato che questa fosse una domanda molto ragionevole e che sarebbe stato un
approccio sicuro finché non si fosse usata la chemioterapia, la radioterapia o manipolato le cellule.
Poiché ci sono molte più persone là fuori che depositano il sangue del cordone ombelicale rispetto a
5 anni fa, abbiamo avuto la sensazione che questo approccio sarebbe diventato sempre più
allettante”.
Dieci anni fa meno dell’1% degli Americani depositava il sangue del cordone ombelicale; oggi
questa cifra è cresciuta fino al 4% circa e sta aumentando notevolmente, dice Haller.
Il sangue del cordone ombelicale è ricco di cellule che aiutano la regolazione del sistema
immunitario, ma finora è stato tipicamente usato per risanare il sistema immunitario in pazienti che
erano stati sottoposti a trattamenti per la leucemia o per il linfoma. I ricercatori della UF hanno
identificato i bambini a cui è stato recentemente diagnosticato il diabete tipo 1 le cui famiglie
avevano depositato il sangue del loro cordone ombelicale alla nascita. La maggior parte produceva
ancora una piccola parte di insulina. A 7 pazienti di età compresa fra i 2 e i 7 anni sono state fatte
delle iniezioni endovenose di cellule staminali isolate dal sangue del loro cordone ombelicale. (Da
allora i ricercatori hanno trattato altri 4 bambini). Nei successivi due anni è stata misurata la
quantità di insulina che i pazienti producevano da sé e sono stati accertati i livelli di glicemia e il
funzionamento dei linfociti T.
Nei primi 6 mesi i bambini avevano bisogno di una quantità significativamente minore di insulina –
in media 0.45 contro le 0.69 unità di insulina per chilogrammo al giorno - e mantenevano un
migliore controllo dei livelli di glicemia rispetto ai loro coetanei affetti da diabete tipo 1 scelti
casualmente tra la popolazione. I ricercatori hanno anche notato che i bambini che erano stati
sottoposti alle iniezioni avevano livelli più alti di linfociti T nel sangue sei mesi dopo l’iniezione, in
media il 9% del volume totale di cellule rispetto al 7.21% al momento dell’iniezione.
“Questa non è una panacea. Pensiamo che somministrare queste cellule sia essenziale per fornire
una immunoterapia e diminuire l’autoimmunità di questi pazienti”, dice Haller. ”Realisticamente
speriamo di proteggere ciò che è rimasto della loro produzione d’ insulina per un vasto periodo di
tempo. Pensiamo che l’ipotesi della regolazione immunitaria sia più verosimile rispetto all’ipotesi
in base, alla quale le cellule staminali possano formare insulina producendo cellule da sé”.
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L’idea- continua il medico- è quella d’intervenire e riparare ogni danno iniziale durante il periodo
“luna di miele”, gradito da molti pazienti – periodo che può durare diversi mesi dopo la diagnosi,
durante il quale il bisogno d’ insulina è minimo”.
“L’idea del nostro gruppo è che non saremo in grado di curare il diabete senza un approccio di
terapia combinata”, dice Haller. “È ingenuo pensare che con un solo agente troveremo una cura
definitiva per una malattia molto complicata come il diabete tipo 1. Probabilmente dovremo agire
usando diverse medicine, per attaccare i vari aspetti della malattia. Curare il diabete potrebbe
richiedere un approccio simile a quello usato per il trattamento di AIDS o cancro. La cura di
pazienti affetti da queste complesse malattie non è migliorata notevolmente, finché non sono state
somministrate terapie combinate. Sospetto che sarà lo stesso con il diabete”.
Lo studio è finanziato dalla Juvenile Diabetes Research Foundation e dal National Institutes of
Health, con il supporto del UF’s Clinical Research Center. Il prossimo progetto dei ricercatori della
UF è quello di reclutare un massimo di 23 pazienti che verranno sottoposti ad iniezioni di sangue
del cordone ombelicale. Cercheranno anche di migliorare i piccoli vantaggi metabolici ed
immunologici che hanno notato finora, possibilmente testando l’aggiunta di una delle molte
medicine usate attualmente in altri esperimenti sul diabete tipo 1.
“Abbiamo bisogno di decidere quale agente funzionerà bene se combinato con il sangue del
cordone ombelicale”,dice Haller. Al momento non stiamo manipolando le cellule. Stiamo
semplicemente iniettando il sangue del cordone ombelicale. Oltre all’aggiunta di altre medicine,
potremmo aver bisogno di verificare la possibilità di prendere le cellule T dal sangue del cordone
ombelicale e manipolarle senza rischi per migliorare le nostre scoperte”.
L’applicazione di sangue del cordone ombelicale umano nel trattamento del diabete tipo 1 è di
estrema importanza, dice Colin P.McGuckin, professore di medicina rigenerativa alla Britain’s
University of Newcastle presso la Tyne Medical School.
“Il lavoro condotto presso la University of Florida è stato il primo a mostrare che il sangue del
cordone ombelicale contiene cellule che possono placare l’attacco del sistema immunitario al
pancreas dei pazienti”, dice McGuckin”. Sappiamo che il sangue del cordone ombelicale contiene
cellule molto specializzate il cui compito è evitare il rigetto della placenta del bambino alla madre
durante la gravidanza, e queste sono probabilmente le uniche utili per il trattamento del diabete tipo
1. Con il nostro lavoro, che mostra come le cellule beta produttrici di insulina possano essere
formate usando il sangue del cordone ombelicale, siamo sulla strada giusta per aiutare pazienti
diabetici in futuro. Il primo passo, tuttavia, deve essere frenare l’attacco del sistema immunitario, ed
è per questo che lo studio a Gainesville è così importante4 .
Il numero di Marzo 2005 della rivista Diabetes ha pubblicato un importante articolo su una strada
più “tradizionale” per la lotta contro il diabete. Essa utilizza sempre le staminali cordonali, ed è
stata ideata dal Diabetes Research Istitute di Hollywood in Florida. I suoi ricercatori hanno cercato
d' indirizzare la differenziazione di queste staminali immature verso le cellule beta produttrici d'
insulina delle isole di Langherans. Ad esse sono stati forniti gli stessi segnali ricevuti dal pancreas
durante il normale sviluppo embrionale. Gli scienziati dell'Università della Florida di Miami sono
riusciti ad inserire questi messaggi critici nella cellula tramite la “terapia della proteina”, una nuova
tecnica in rapida evoluzione, che è stata sviluppata per fornire peptidi e proteine all' interno di
tessuti e cellule. Questi segnali sono stati inviati in una sequenza tale da indurre la trasformazione
delle staminali cordonali trapiantate in cellule insulari.
Lungo questo percorso sono stati premuti in sequenza una serie d' “interruttori”, che attivano geni
necessari per sviluppare le cellule beta produttrici d' insulina, come: 1) Pdx1, che attiva il primo
programma del pancreas. 2) Neurogenina 3 , la cui espressione trasforma le staminali del pancreas
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in cellule endocrine. 3) Pax4, Isl1 e Nkx6.1, geni coinvolti nella caratterizzazione delle cellule beta.
Il processo di trasformazione delle staminali è stato , in parte, reso possibile da una innovazione
DRI, chiamata il “sandwich d' ossigeno”. Il loro sviluppo richiede una grande quantità d' ossigeno
per crescere; cosa che non poteva accadere nelle normali colture di Petri. Come alternativa gli
scienziati DRI hanno sviluppato un dispositivo a sandwich, che fa moltiplicare le staminali tra due
fonti d' ossigeno, sia dall'alto tramite il mezzo di cultura, sia dal basso attraverso una membrana di
silicone, che incorpora un legante d' ossigeno. Ciò può portare alla rapida produzione di una scorta
quasi illimitata di cellule delle isole di Langherans 5.
1) Department of Pediatrics – University of Florida – www.peds ufl.edu
2) Dr. J. Michael Haller è attualmente assistente alla cattedra di Pediatria presso l'Università della Florida. Dopo aver
completato i suoi studi universitari presso la Duke University, è tornato al suo luogo di nascita di Gainesville, in
Florida, dove ha completato la scuola di specializzazione medica in pediatria e la formazione in endocrinologia
pediatrica. Dr. Haller ha iniziato a lavorare in ricerca sul diabete di tipo 1 durante il suo primo anno di scuola medica e
da allora ha indirizzato la sua carriera accademica nello di sviluppo di terapie sicure ed efficaci per la prevenzione e la
cura del diabete di tipo 1. Dr. Haller ha pubblicato più di 30 ricerche e capitoli di libri in materia di diabete di tipo 1.
Egli è un ricercatore attivo nel TrialNet Diabete di tipo 1 finanziato dal NIH, lavora come pricipal investigator (PI)
dell'Università della Florida per gli studi anti-CD20 e ha la carica di presidente del Comitato di studio di
Implementazione Clinica dei Determinanti Ambientali del Diabete Giovanile (TEDDY).
E' anche il PI di un nuovo studio che consente l' utilizzazione delle cellule staminali autologhe del sangue del cordone
ombelicale come potenziale terapia per il diabete tipo 1. In questo studio, i bambini con recente diabete di tipo 1
ricevono un'infusione di un quarto delle cellule staminale del proprio sangue del cordone ombelicale, al fine di
determinare se queste cellule siano in grado di fornire una immunomodulazione sicura e significativa, che possa
tutelare le rimanenti cellule beta.
Inoltre, egli è il PI di uno studio pilota che mira a determinare il potenziale del fattore stimolante le colonie di
granulociti (GCSF), per aumentare la distruzione autoimmune delle isole nei pazienti con recente insorgenza di diabete
tipo I. Gli studi hanno già dimostrato che GCSF può prevenire il diabete in modelli animali e questi risultati sono ora in
fase di sperimentazione sugli esseri umani. Al Dr. Haller è stato assegnato il premio Lawson Wilkins Clinical Scholar,
un assegno per ricerche innovative JDRF, due premi NIH R21, e un JDRF Early Career Clinical Oriented award, per
sostenere il suo lavoro di ricerca di terapie combinate, in via di sviluppo per il diabete di tipo 1. Nel 2008, il Dr. Haller,
ed i suoi colleghi Dr. Desmond Schatz e il dottor Mark Atkinson hanno ricevuto il più alto riconoscimento per la ricerca
clinica JDRF, la Mary Tyler Moore e Robert S. Levine Excellence Award , per il loro approccio di gruppo allo sviluppo
di terapie per il diabete di tipo I.
3) Il Giornale - 28/09/2010
4) Medical News Today – University of Florida - 16/07/2007
5) Diabetes Research Istitute – www.diabetesresearch.org - 2010
Via G. Peroni 400 ed. 7/b – 00131 ROMA – Telefono 06.45218210 – Fax 06.45218212– N.Verde 800122999 P.I e C.F. c.f. 10172721002