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Aula magna della Corte di Cassazione, Roma
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Dove c’è un gruppo stabilmente organizzato in un territorio, là c’è (e c’è sempre stata) la
necessità di individuare regole di comportamento che hanno lo scopo sia di garantire a ciascuno
un'esistenza pacifica, sia di permettere che le attività umane si svolgano in maniera sicura.
Il diritto, cioè il complesso di norme e istituzioni giuridiche valide ed operanti in una data
epoca, in un certo territorio, è uno degli elementi che caratterizzano la cultura e la civiltà di un
popolo e costituiscono la sua risposta ai problemi dell'esistenza.
Moltissimi aspetti della nostra vita quotidiana sono condizionati da una serie di regole, ma le
situazioni che possiamo incontrare nella vita di tutti i giorni sono le più disparate e, a circostanze
diverse, corrispondono regole diverse.
Le regole di comportamento che nascono dalla nostra coscienza, cioè dalla convinzione di agire
secondo ciò che è considerato giusto in una determinata società, in un determinato momento, si
chiamano regole "morali".
Le regole che riguardano il vivere associato (cioè lo stare con gli altri) sono dette regole "sociali".
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Ci sono, inoltre, delle regole che nascono dalla fede religiosa: in tutte le religioni, infatti, è
presente una gran quantità di regole che disciplinano la vita e le azioni di chi abbraccia un
determinato credo.
Le norme giuridiche, vale a dire le regole di diritto, sono un’altra categoria di regole necessarie
per organizzare la vita di società che presentano una rete complessa di rapporti tra persone.
Queste regole, scaturite dall’autorità dello Stato, si rivolgono a tutti indistintamente e sono in
grado di indirizzare il comportamento di ogni individuo in modo tale da garantire che le persone
possano vivere in una società ordinata e pacifica.
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Nella nostra esperienza giuridica che, come vedremo, prende vita dall’elaborazione del
diritto romano nel corso di secoli e millenni,
le norme giuridiche presentano alcune caratteristiche fondamentali.
Innanzitutto la generalità: questa caratteristica sta a significare che le norme giuridiche si
rivolgono appunto a tutti i cittadini (cioè alla generalità dei consociati) senza nessuna
discriminazione; tutt'al più, sarà possibile avere delle norme che si riferiscono a determinate
categorie di persone (ad esempio ai commercianti, agli studenti, ai pensionati, ai portatori di
handicap ecc.), ma non incontreremo mai una norma che si riferisce soltanto a una persona in
particolare, perché la Corte Costituzionale ne dichiarerebbe la nullità.
Altra caratteristica fondamentale è l'obbligatorietà, che consiste nel dovere che tutti abbiamo
di rispettare le norme giuridiche: ciascun cittadino è obbligato a non trasgredire le norme
giuridiche, salvo incorrere in una sanzione.
La sanzione è, dunque, una conseguenza negativa cui si va incontro quando si contravviene a
una norma imperativa e può essere di vario tipo: può consistere nel pagare una somma di
denaro (sanzione pecuniaria) o, in casi particolarmente gravi, nella limitazione della libertà
personale (sanzione penale detentiva).
La minaccia della sanzione serve quindi a far desistere dall'intenzione di violare le norme
giuridiche imperative, mentre l'applicazione della sanzione nei confronti di chi ha comunque
violato la norma rappresenta la punizione per la violazione commessa.
Vi è poi l'astrattezza, il che significa che le norme giuridiche prescindono da casi particolari
(sono formulate in modo tale da potersi adattare al maggior numero di casi possibile), ma si
riferiscono a situazioni astratte, le cosiddette situazioni-tipo o fattispecie astratte.
Una caratteristica comune delle norme giuridiche è quella di prendere la particolare forza di
cui sono dotate dall'autorità dello Stato, così come noi lo intendiamo nell’accezione attuale:
infatti è proprio lo Stato, attraverso i suoi organi, che dà vita all'ordinamento giuridico.
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Le caratteristiche di un ordinamento giuridico che si ispiri a quanto appena
descritto, sono proprie di un sistema chiuso di produzione del diritto (presente
in Europa a partire dalla rivoluzione francese) dove si trova una netta
separazione tra potere esecutivo (organi che agiscono nell’interesse della
comunità), potere legislativo (organi che creano il diritto) e potere giudiziario
(organi che applicano il diritto in sede giurisdizionale).
Nei sistemi aperti, invece, sia di diritto giurisprudenziale, come fu
prevalentemente il diritto romano, o giudiziale, come gli attuali sistemi di
“common law”, i giuristi a Roma e i giudici nel common law, per risolvere una
controversia tra soggetti, non sono tenuti ad applicare una norma prefissata,
ma possono anche innovare andando oltre i giudizi di valore precedentemente
espressi, autorevoli certamente, ma non immutabili.
Le pronunce dei giuristi e dei giudici funzionano dunque come precedenti.
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Le norme giuridiche di un sistema chiuso
non possono essere disapplicate
salvo che un’altra norma non le abbia abrogate,
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cancellandole dall’ordinamento giuridico.
Naturalmente, tanto nell’esperienza romana che nel common law, giuristi e giudici debbono
confrontarsi con norme espresse la cui osservanza è obbligatoria, ad esempio le regole di
procedura per lo svolgimento dei processi.
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L'esperienza romana può essere considerata, fin dalle origini, un sistema aperto di diritto
giurisprudenziale, caratterizzato dall'esistenza di uno specifico ceto di persone cui era affidato
il compito dell'accertamento e dello sviluppo del diritto esistente.
Dalla monarchia, alla res publica, al principato, all’impero, le primitive istituzioni di diritto
privato e l’organizzazione della civitas, scaturite come risposta alle congiunture, alle necessità,
alle vicende che affrontò il popolo romano, furono trasformate nel tempo per adattarsi ad
ordinamenti politico-sociali diversi poggiati sull’autorità dei capi ai quali era riconosciuto
l’imperium indispensabile a tutelare la vita del gruppo.
Le regole giuridiche vigenti in Roma, fondate sui “mores”, trovavano la loro legittimità nella
corrispondenza ad un ordinamento connaturato alla struttura stessa dei rapporti socioeconomici e intersoggettivi e proprio per questo flessibile e destinato a mutare nel tempo.
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Aula magna Corte di Cassazione, Roma
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Nel periodo arcaico la sfera etico-religiosa e quella giuridica erano strettamente connesse, in
quanto a Roma, come in tutte le città-stato del mondo classico esisteva una religione di stato,
per cui l’appartenenza alla civitas comportava la partecipazione al culto cittadino.
Le norme dell’organizzazione religiosa erano pertanto anche norme della comunità per
garantire la “pax deorum”, cioè un corretto rapporto con la divinità a garanzia della prosperità
delle “familiae” e della città stessa.
Questo legame ai “sacra”, cioè all’aspetto religioso, dall’epoca arcaica fino all’epoca tardo
repubblicana, costituiva il fattore che permeava la società romana e garantiva la legalità di
ogni attività individuale o di gruppo, sia nell’ambito privato che in quello pubblico: la familia, il
matrimonio, i rapporti di filiazione naturale o adottiva, la successione ereditaria, le
contrattazioni commerciali, le procedure processuali nelle quali era fondamentale la fedeltà
del giuramento decisorio per la risoluzione delle controversie, l’elezione dei magistrati che
governavano la res publica.
Ogni azione trovava la sua giustificazione e la sua modalità di svolgimento nei mores e nel
rispetto dei sacra.
Sin verso la fine del III sec. a.C., il compito dell'accertamento del diritto esistente era svolto
dal collegio dei pontifices, il cui capo - il pontifex maximus – impersonava la massima autorità
religiosa dello stato, esercitata dal re nel periodo monarchico (fino al 509 a. C.). L’attività dei
pontifices che avevano un ruolo di mediatori fra l’ordinamento giuridico e la società, non
consisteva, dunque, nella produzione di proposizioni normative di carattere generale ed
astratto, ma nella elaborazione di “responsa”, cioè di pronunce in risposta – almeno in epoca
repubblicana - ai quesiti dei magistrati, dei giudici e dei privati intorno alla regola di diritto da
applicare al caso concreto.
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I responsa, conservati negli archivi pontificali (dopo un primo periodo in cui probabilmente
furono tramandati a memoria), erano considerati dei precedenti che, in certi limiti,
vincolavano l'ulteriore attività del collegio, ma - proprio perché soltanto precedenti potevano essere modificati e adattati alle nuove esigenze.
Nell'interpretatio pontificum ha origine il carattere di diritto
giurisprudenziale che ha sempre conservato,
l'ordinamento giuridico romano.
A partire dal periodo tardo-repubblicano e nel principato,
gradualmente, il diritto romano si staccò dal legame con i sacra
per assumere un carattere laico,
poggiato in prevalenza sui senatusconsulta e sulle costituzioni del princeps
la cui forza e ragione, chiaramente enunciata
nella “lex de imperio Vespasiani”, era proprio la indiscutibile auctoritas
di chi era investito dell’imperium.
A partire dalla prima metà del V sec. a.C, cioè agli albori della Repubblica, l'interpretatio
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Pontifex Maximus
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pontificum, come autonoma attività del collegio pontificale, venne affiancata da
disposizioni normative espresse, le Leges Rogatae deliberate nei Comitia Centuriata, una
sorta di assemblea popolare, in cui il magistrato chiedeva al popolo l’approvazione dei
provvedimenti predisposti per il periodo della sua carica.
Alcuni studiosi ritengono che anche le XII Tavole (451-450 a.C) fossero una lex rogata: in tal
modo furono codificate le pronunce pontificali conservate negli archivi del collegio, dopo
un’opera di accurata selezione da parte della commissione dei Decemviri presieduta da
Appio Claudio. 4
Le XII Tavole probabilmente ricoprivano l'intero campo del diritto
sacro, pubblico, penale, privato, processuale.
Secondo la tradizione, furono stilate per rispondere alle richieste dai plebei
che volevano norme scritte per frenare
l’arbitrio dei patrizi nell’amministrazione della giustizia.
I responsa non trascritti nelle XII Tavole divennero desueti e furono abbandonati: si garantì
in tal maniera, se non la certezza del diritto - impossibile in un sistema aperto – almeno
quella dei precedenti pontifìcali, cui si potevano rifare i privati ed i magistrati e di cui
dovevano tener conto gli stessi pontifìces nell'ulteriore elaborazione.
Si trattava, comunque, di decisioni di massima, che potevano esser sempre riviste
all’evolversi dei bisogni e della cultura. Anche dopo le XII Tavole, i pontifìces rimasero
sempre degli interpretes iuris senza sentirsi limitati in linea di principio ai giudizi di valore
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Nel 451 a.C. fu istituita una commissione di decemviri legibus scribundis che rimpiazzò le magistrature ordinarie, sia
patrizie che plebee, sospese in quell'anno. I componenti della commissione furono scelti tra gli ex-magistrati patrizi; T.
Livio ce ne fornisce i nomi: Appio Claudio, Tito Genucio, Publio Sestio, Lucio Veturio, Gaio Giulio, Aulo Manlio, Publio
Sulpicio, Publio Curiazio, Tito Romilio e Spurio Postumio. Le Dodici Tavole vennero affisse nel foro, dove rimasero fino
al sacco ed all'incendio di Roma del 390 a.C.
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su cui si fondavano le regole versate nelle XII Tavole stesse.
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La tecnica interpretativa del collegio pontifìcale
fu affiancata nel periodo tardo repubblicano
dall’opera di prudentes laici
che dettero vita ad una vera e propria scienza del diritto.
Questi giuristi, originariamente senatori e poi funzionari della cancelleria imperiale, erano
non solo esperti di diritto, ma anche autori di una produzione letteraria consistente nella
raccolta di pareri utilizzati sia dai magistrati per emettere una sentenza, sia dagli avvocati
delle parti.
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Marco Tullio Cicerone, senatore e giurista (106 a. C. – 43 a. C.)
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Quando nel periodo del principato, a partire dal I secolo d.C.,
la soluzione di un problema giuridico si dovette ricercare
Evoluzione del
anche nelle leges o nei senatusconulta
la funzione dei prudentes si trasformò
originando un’attività tesa alla comprensione del testo normativo,
molto simile alla moderna interpretazione giurisprudenziale
Diritto Romano
Alle leges rogatae, deliberazioni dei comizi centuriati, l'assemblea di tutto il popolo, si
affiancarono nel tempo i plebiscita, delibere prese nei concilia plebis tributa,
organizzazione della plebe esclusa sino al 367 a.C dalle magistrature cittadine, monopolio
della nobiltà patrizia. Nel 287 a.c. con la lex Hortensia i plebiscita, denominati genericamente
lex, vennero equiparate alle leges rogatae votate dall'intero popolo.
I plebiscita, per tutto il periodo repubblicano, servirono prevalentemente per
aggiornare e integrare istituti giuridici esistenti, non per introdurne di nuovi,
fatto che si verificò, invece a partire da Augusto che li utilizzò ampiamente per
innovare la disciplina del matrimonio, della famiglia e delle successioni.
Tra il IV e il III secolo, l’intensificarsi dei rapporti commerciali con l’estero
fece sentire l’inadeguatezza di un diritto affidato prevalentemente
all’interpretazione dei pontifices.
Le situazioni sprovviste di tutela da parte dello ius civile (il diritto della civitas)
fondato sui mores, cominciarono, pertanto, ad essere tutelate
dall’attività del magistrato in carica, il pretore.
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Dopo la fine della monarchia, le funzioni pubbliche furono affidate a funzionari che
svolgevano attività amministrative in vari settori – magistratus minores – mentre il potere
civile e militare, nonché la giurisdizione sugli affari privati, si concentrava nei due pretori,
detti poi consoli, istituiti nel 509 a.c., cui si aggiunse nel 367 a.c. il pretore urbano.
Nel 242 a.c. a questi magistrati venne associato il pretore peregrino che si occupava
principalmente delle controversie in cui uno dei contendenti era uno straniero.
Tutti questi magistrati la cui azione era svolta nell’interesse del popolo romano (res publica),
all’inizio del loro mandato emanavano un editto con il quale annunciavano le loro linee di
intervento nei processi sottoposti alla loro giurisdizione.
Con il passare del tempo gli editti non furono più rinnovati di anno in anno, ma finirono per
essere confermati in blocco dal collega successivo, dando vita così all’edictum tralaticium.
Accanto allo ius civile fondato sui mores,
si venne così a creare lo Ius Honorarium,
che costituiva un nuovo sistema di regole elaborate dai magistrati.
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Durante il Principato, l’assetto politico mutò profondamente rispetto al periodo
repubblicano e questo influenzò gradatamente anche l’ordinamento giuridico che rimase
fondamentalmente un sistema aperto, ma alle interpretazioni giurisprudenziali, come già
visto, si affiancarono altri modi di produzione del diritto.
La lex rogata cadde in disuso, legata com’era alle strutture repubblicane e fu sostituita dai
senatusconsulta che almeno per tutto il I secolo d.C. conservarono l’originario valore di
consulenza al magistrato nello svolgimento delle sue funzioni giurisdizionali.
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Aula magna, Corte di Cassazione, Roma
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Solo con il regno di Adriano (117/138 d.c.) i senatusconsulta cominciarono a produrre norme
di ius civile, generando effetti diretti e obbligatori sui privati.
Nel II secolo d.C. il senatusconsultum mutò ulteriormente la sua funzione trasformandosi in
una proposta di legge fatta dall’imperatore e letta da un questore davanti al Senato.
Anche l’editto pretorio nella stesso periodo venne codificato, perdendo la sua autonomia
nella produzione di ius honorarium, in quanto lo stesso pretore non aveva più indipendenza
di Imperium di fronte all’Imperatore.
A partire dall’epoca di Augusto, gli imperatori utilizzarono altre modalità di
produzione di ius civile,
le constitutiones principum che ebbero diverse finalità:
gli Edicta ponevano norme generali ed astratte
i Decreta, le Epistulae, e i Rescripta erano finalizzati a risolvere casi concreti
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(erano essenzialmente istruzioni vincolanti sulla risoluzione di controversie)
i Mandata rappresentavano istruzioni ai magistrati.
Un provvedimento legislativo, la Lex de Imperio, che di fatto era un senatusconsultum, già
nel periodo dei Flavi avvalorava l’assunzione dell’imperium da parte di imperatori che non
potevano vantare legami familiari, seppure adottivi, con il princeps che li aveva preceduti, né
l’appartenenza all’aristocrazia romana.
La crisi della repubblica con le lotte tra Silla e Cesare per usurpare il potere delle
magistrature cittadine sovvertendo l’ordinamento politico della res publica, portò Roma
sull’orlo della guerra civile. L’impegno militare per spegnere la ribellione di alcune province e
la guerra tra Ottaviano e Antonio per il dominio sull’Egitto crearono una situazione di
pericolosa destabilizzazione aggravata da una carestia che svuotò le riserve annonarie.
Il Senato e il popolo, per salvare Roma e i suoi mores, furono così indotti ad appoggiarsi sul
Console Ottaviano, figlio adottivo di Cesare, che aveva un potere immensamente superiore
a quello del suo collega sia per il suo personale carisma sia per la gratitudine tributatagli dal
popolo romano per aver liberato Roma dal pericolo e aver reintegrato, a sue spese, le scorte
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alimentari.
Acclamato Imperator in quanto generale vittorioso dell’esercito, Ottaviano fece sì che il
Senato gli riconoscesse tale appellativo in via definitiva come status personale che lo poneva
al di sopra di qualsiasi altro magistrato.
Riconosciuto “Princeps Senatus”, cioè la personalità più alta del Senato, non fu più solo un
“primus inter pares”, ma divenne la suprema personalità politica.
Ottaviano nel corso degli anni, pur mantenendo integre
dal punto di vista formale
le diverse magistrature romane,
ne assommò le funzioni concrete, esautorando di fatto i colleghi
che nominalmente mantenevano la carica.
Per organizzare la guerra contro Antonio, Ottaviano - denominato Augusto per i suoi meriti
e per il suo personale carisma - assunse il comando dell’esercito romano di cui era già
divenuto capo supremo per effetto della “coniuratio Italiae et provinciarum”, giuramento
con il quale tutti i popoli dei territori dominati da Roma si erano legati a lui con vincoli di
fedeltà.
Di fatto, l’ordinamento della res publica rimaneva immutato, ma il potere esercitato dal
Princeps aveva assunto un carattere personalista, consacrato dagli onori che gli vennero
tributati, dai rami di alloro che ornavano l’ingresso delle sue abitazioni, allo scudo d’oro nella
Curia Iulia che lo riconosceva restauratore dello Stato, alla corona civica che lo riconosceva
come salvatore dei cittadini e di Roma, fino all’assunzione dei “sacra” della sua famiglia da
parte della cittadinanza.
Iniziava, nel periodo che vide al potere la gens Iulia e la gens Claudia,
quella divinizzazione della persona del Princeps
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che Vespasiano, comandante militare proveniente dalla classe equestre
e dotato di un forte senso dell’ironia, irrise, come racconta Svetonio,
La cura et tutela rei publicae, già attribuita a Cesare sul finire della res publica, con
Ottaviano si estese oltre i confini tradizionali del “pomerium”, cioè il confine della città di
Roma, per trasformarsi in cura et tutela rei publicae universa, vale a dire senza limiti di
competenza per materia e territorio e in “cura legum et morum”.
Il dominio di Ottaviano, acclamato “dictator rei publicae constituenda”e “pater patriae e
pontifex maximus”, fu totale sul panorama politico e giunse ad intervenire anche nei
rapporti tra privati con la creazione di una sorta di giudizio di appello, nel quale le sentenze
del giudice erano emesse dopo aver interpellato i giuristi della sua cancelleria.
Il problema legato alla successione, sia nel periodo della gens Iulia che in quello della gens
Claudia, venne risolta con l’adozione dell’erede designato, al quale venivano trasmessi in
blocco i poteri attribuiti ad Ottaviano Cesare Augusto: fu così che il nome Caesar, anche
dopo l’estinzione della casa Iulia, rimase agli imperatori ad indicare il legame e la
continuità nell’imperium.
Lo strumento giuridico che permetteva la successione nel potere fu
la Lex de imperio
che veniva votata prima dal Senato e poi dal popolo per acclamazione,
in omaggio ad un rito divenuto ormai solo formale.
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In realtà e più incisivamente, fu l’esercito a divenire il vero arbitro nella proclamazione dei
nuovi imperatori, fatto decisivo nell’assunzione del potere da parte di Vespasiano al termine
dell’anno che vide lo scontro tra i quattro imperatori, Galba, Otone, Vitellio e lo stesso
Vespasiano.
La narrazione della guerra è giunta sino a noi attraverso gli scritti di Publio Cornelio Tacito
che negli Annales e nelle Historiae ha illustrato la storia dell'Impero romano del I secolo,
dalla morte dell'imperatore Augusto, avvenuta nel 14, fino alla morte dell'imperatore
Domiziano, avvenuta nel 96. 7
7
Dal 68 al 69 d.C. con Galba, Vitellio e Otone la gestione dell’impero era stata divisa in quattro aree di influenza:
legioni siriane, Spagna, legioni germaniche e guardia pretoriana.
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Publio Cornelio Tacito, (nato nella Gallia Narbonense nel 55 e morto nel 120) è stato uno storico, oratore e senatore
romano.
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Tito Flavio Vespasiano, fondatore della dinastia Flavia
Vespasiano, Tito, Domiziano
governò fra il 69 e il 79 col nome di Cesare Vespasiano Augusto.
Divenne imperatore al termine della guerra tra i quattro imperatori
Galba, Otone, Vitellio, Vespasiano,
ponendo fine a un periodo d'instabilità seguito alla morte di Nerone.
Avvalendosi del sistema dei precedenti, Vespasiano con la Lex de imperio, approvata con un
senatusconsutum il 22 dicembre dell'anno 69 d.C, determinò l’estensione del suo imperium
che assommava in sé i poteri che avevano esercitato i suoi predecessori.
Il princeps, il cui agire era definito ormai “absolutus ex legibus”, spogliava definitivamente il
Senato della sua autonomia organizzativa e si arrogava il potere di indire e presiederne le
sedute.
La supremazia gerarchica della Lex de imperio Vespasiani su tutte le altre norme ordinarie era
sancita dalla clausola del Caput tralaticium de immunitate, che legittimava in tutte le
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controversie, sia penali che civili, non solo la condotta del princeps, ma anche di coloro che in
suo nome avevano agito.
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La “commendatio”, introdotta da Cesare per assicurare l’elezione dei suoi favoriti alle cariche
pubbliche e adottata anche da Augusto e dai suoi successori, assunse con Vespasiano la forza
di una norma di diritto, divenendo il metodo usuale con il quale il princeps designava i suoi
candidati alle cariche pubbliche, anche disattendendo il tradizionale “cursus honorum”.
In forza dei poteri che aveva assunto come censore 10 Vespasiano compilò nuove liste di senatori e
cavalieri in cui furono inclusi molti cittadini delle province. Si favoriva in tal modo l’accesso alle
10
Parte della Lex de Imperio Vespasiani conservata in un'iscrizione bronzea, rinvenuta nel 1347 da Cola di Rienzo nella
basilica di San Giovanni in Laterano e conservata presso i Musei Capitolini di Roma.
10
La magistratura del Censore, che era eletto nei Comitia Centuriata, fu istituita nel 443 a.C. per risolvere i ritardi nei
censimenti fino ad allora di responsabilità dei Consoli. Solo nel 339 a.C. poterono essere eletti alla carica anche
rappresentanti della classe plebea. I censori si occupavano principalmente del censimento della popolazione, della
cura morum (cioè della sorveglianza sui comportamenti individuali e collettivi) e della lectio senatus con la quale i
censori decretavano i candidati alla carica senatoriale. Con il declino e la caduta della Repubblica Romana la carica
venne poi assunta direttamente dagli imperatori, spesso in chiave anti-senatoria. Il criterio del censimento basato sul
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cariche pubbliche anche delle élites locali, promuovendo l’integrazione della società con la
concessione di diritti di cittadinanza ai provinciali, specialmente a quelli delle regioni più
romanizzate dell'Occidente. La Lex Flavia municipalis che estese, lo ius Latii alla Spagna, per
placare gli animi dopo la guerra tra i quattro imperatori, come racconta Plinio il Vecchio, ampliò
enormemente non solo la base sociale dell'impero, ma anche quella per l’imposizione fiscale.
Il nuovo imperatore, oculato amministratore per i suoi sostenitori o gretto avaro per i detrattori,
fu infatti un attento amministratore delle finanze dello stato, dissanguate dalle guerre e dallo
sfrenato lusso dei suoi predecessori e delle loro corti.
Tra i tributi introdotti, ricordiamo la famosa tassa sui vespasiani 11 e il fiscus iudaicus 12.
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Fu nel periodo della dinastia dei Flavi che l’apparato dell’amministrazione pubblica, ormai molto
complesso e articolato per funzioni e ruoli, cominciò ad assumere l’aspetto che conserva ai giorni
reddito relativo alla quantità di terra coltivabile posseduta oppure sul numero di capi di bestiame, fu modificato da
Appio Claudio Cieco nel 312 a.C. che introdusse come unità base il capitale mobile. Questa riforma fu fondamentale
per l'apertura dei Comizi centuriati alle nuove classi sociali in ascesa, che fondavano la propria ricchezza sul
commercio e sull'artigianato piuttosto che sull'agricoltura.
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La tradizione, accolta da Svetonio (70-126) in De vita Caesarum VIII, 23, e ripresa poi da Dione Cassio (155-229) in
Storia LXV, 14, 5, attribuisce a Vespasiano la celebre frase “Pecunia non olet”, il denaro non ha odore, pronunciata per
rispondere alle critiche sull’origine della centesima venalium, la tassa sull'urina raccolta nelle latrine gestite dai privati,
popolarmente denominati da allora "vespasiani". Dall'urina veniva ricavata l'ammoniaca necessaria alla concia delle
pelli.
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Il fiscus iudaicus è la tassa e cui andarono soggetti gli Ebrei sconfitti da Tito, figlio di Vespasiano. Era infatti pagata
dagli ebrei assoggettati all'Impero romano dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme in favore del tempio di
Giove Capitolino in Roma. Anche tramite questo tributo l'imperatore riuscì a risanare le finanze dell'impero dando
slancio all'economia e creando numerose opere pubbliche.
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Sesterzio di Vespasiano, coniato nel 71 per celebrare la vittoria nella prima guerra giudaica; il rovescio della moneta
reca la scritta IVDAEA CAPTA, "Giudea conquistata".
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nostri, con funzioni dirigenziali attribuite non più a liberti dell’imperatore, ma ai cavalieri ai quali
era riconosciuta una retribuzione di sessantamila, centomila e duecentomila sesterzi a seconda
dell’importanza dell’incarico.
Accanto agli edili cui già in epoca repubblicana era affidata il mantenimento di strade, templi ed
edifici pubblici, durante il principato furono istituiti un servizio antincendi affidato a coorti
dislocate in tutta la città comandate da un praefectus vigilum, servizi per garantire la navigabilità
del Tevere e la manutenzione delle rive e degli impianti fognari “cura alvei Tiberis et riparum et
cloacarum”, la cura degli acquedotti affidata a un curator aquarum, la supervisione
dell’approvvigionamento alimentare affidata al praefectus annonae, la distribuzione del frumento.
Tra gli altri compiti svolti dall’amministrazione pubblica ricordiamo anche quelli assegnati alla
polizia urbana per garantire l’ordine nelle ore notturne e ai funzionari che sovraintendevano alle
palestre dei gladiatori e alle biblioteche imperiali.
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Tempio di Vespasiano, intitolato all’imperatore e a suo figlio Tito, si erge nei pressi del Tabularium nel foro Romano
Vespasiano, Coppenaghen, Ny Carlsberg Gyptotek
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Il diritto romano è giunto sino a noi ed ha pervaso gli ordinamenti giuridici
di molti paesi dell’Europa continentale
attraverso la poderosa opera di studio, rielaborazione e codificazione
delle leggi romane di epoca repubblicana
e imperiale e dei responsa dei giuristi
ordinata da Giustiniano, Imperatore Romano d’Oriente.
Il 13 febbraio 528 d. C. Giustiniano, da poco nominato imperatore, emanò la costituzione “Haec
quae necessario”, nella quale dichiarava l’intento di riordinare il settore della giustizia e la materia
processuale raccogliendo in un unico Codex i materiali facenti parte delle statuizioni legislative che
si erano susseguite e, spesso, sovrapposte nel tempo.
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Giustiniano, Mosaico in San Vitale, Ravenna
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Il Codex Iustinianus era costituito da una raccolta ufficiale di costituzioni imperiali redatta ad
opera di una commissione da lui nominata, composta di dieci membri, funzionari o ex funzionari
imperiali, avvocati e capi militari, con l'aggiunta di un professore di diritto, che aveva il compito –
diremmo noi nel linguaggio attuale - di “semplificare” la vastissima materia scegliendo le norme
in vigore ed eliminando, invece, le disposizioni cadute in desuetudine o abrogate da costituzioni
successive.
Il lavoro fu concluso in un anno: il 7 aprile 529, con la Costituzione Summa rei publicae,
Giustiniano emanava il Codice, ordinando di citare nei processi solo le costituzioni in esso
contenute e vietando l'utilizzo di testi diversi.
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L’opera di sistemazione di tutto il diritto romano era appena iniziata: l’anno successivo Giustiniano
con la Costituzione Deo auctore conferì a Triboniano, quaestor sacri palatii, cioè responsabile
della giustizia dell’Impero, l’incarico di selezionare e raccogliere in un'unica opera quanto
prodotto dalla giurisprudenza romana, con la facoltà di apportare le modifiche ai testi giuridici
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Triboniano: bassorilievo in marmo alla Camera dei Rappresentanti del Campidoglio di Washington. La sua data di
nascita è ignota, ma si sa che proveniva dalla Panfilia e che forse era pagano. È considerato il più importante giurista
dell'Impero Romano d'Oriente e del suo tempo.
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ritenute necessarie al fine di eliminare le contraddizioni e di adeguarli al diritto vigente (c.d.
interpolazioni).
Il lavoro dei commissari si concluse dopo soli tre anni, nel 533, dando vita al Digesto o Pandette,
opera di 50 libri. 18
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Ciascun libro è a sua volta suddiviso in titoli ed ogni titolo ha una propria rubrica indicante
l'argomento trattato. All'interno dei titoli sono ordinati i frammenti delle opere della
giurisprudenza romana, soprattutto di Ulpiano.
L’opera, ai cui principi e istituzioni si ispirano gli attuali codici civili, era utilizzata sia per la pratica
forense, sia per la formazione degli studenti di diritto dal 2º al 4º anno.
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Il termine "Digesto" deriva dal verbo latino "digerere", che significa "disporre ordinatamente, razionalmente"; il
termine equivalente con cui viene indicato il Digesto, "Pandette" ha invece etimologia greca, derivando da pandektes
che significa "che riceve o comprende tutto", per indicare la completezza della compilazione.
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Digestorum, seu Pandectarum libri quinquaginta. Lugduni apud Gulielmu[m] Rouillium, 1581. Biblioteca Comunale
"Renato Fucini" di Empoli
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Questa la materia dei libri: Principi Generali, Tutela della proprietà e dei diritti reali, Obbligazioni e
Contratti, Diritto di Famiglia, Successioni testamentarie, Successioni del possesso e pretoria,
Diritto criminale.
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Il 21 novembre 533 con la Costituzione Imperatoriam furono pubblicate le Istituzioni di Giustiniano
(in latino: Institutiones), opera didattica in 4 libri voluta dall'imperatore e realizzata dai giuristi
Triboniano, Teofilo e Doroteo utilizzando principalmente le Istituzioni di Gaio a cui si ispirava la
suddivisione in quattro libri: Persone, Res (la proprietà e le successioni testamentarie), Obbligazioni
(successione legittima e le obbligazioni da atto lecito -obbligazioni contrattuali), Azioni (obbligazioni da
atto illecito – delitti, le azioni e il diritto criminale).
Questa opera, usata a volte per la pratica forense, fu soprattutto utilizzata per la formazione
degli studenti del primo anno di diritto.
Nel 534 su incarico di Giustiniano, una nuova commissione sempre presieduta da Triboniano,
iniziò una revisione del Codex per aggiornarlo ed eliminare le costituzioni superflue e quelle
abrogate.
20 Triboniano consegna le Pandette a Giustiniano: parte dell’ affresco “Le virtù e la legge” attribuito ad allievi di Raffaello Sanzio e situato nella
Sala della Signatura , una delle quattro affrescate da Raffaello nei Musei Vaticani.
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Il compimento dell’opera fu annunciato dall’imperatore con la Costituzione Cordi (Cordi nobis
est= Ci sta a cuore).
IL CODEX IUSTINIANUS REPETITAE PRAELECTIONIS
è l'unica edizione del Codex ad essere pervenuta fino a noi.
L'opera è divisa in 12 libri, contenenti ognuno numerosi titoli.
Le costituzioni in ogni titolo sono in ordine cronologico.
Le costituzioni, alcune in greco e la maggior parte in latino,
conservano l'INSCRIPTIO contenente il nome dell'imperatore e del destinatario
e la SUBSCRIPTIO con la data e il luogo di pubblicazione.
L'opera comprende 1600 costituzioni
(oltre 1200 dell’imperatore Diocleziano)
ed è divisa per argomenti: Diritto ecclesiastico, Diritto privato, Diritto penale,
Diritto amministrativo e finanziario.
Oltre a essere utilizzato nel diritto il codice di Giustiniano veniva studiato dagli studenti al 5º e
ultimo anno di studio di diritto.
Le costituzioni emanate dall'imperatore dopo la pubblicazione del Codex Iustinianus repetitae
praelectionis, dal 535 al 565 anno della sua morte, sono dette Novellae (nuove costituzioni).
Nell'aspetto esteriore le Novellae differiscono molto dalle costituzioni presenti nel Codice
Giustiniano.
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Di esse, infatti, abbiamo il testo pressoché integrale, preceduto da una prefazione in cui si
illustrano i motivi che hanno richiesto l'intervento imperiale, seguita da un epilogo con le
consegne per l'entrata in vigore.
Delle costituzioni facenti parte del Codice, al contrario, abbiamo solo i passi selezionati dai
commissari.
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Statua di Gaio, Tribunale Supremo di Madrid
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Nel III secolo d. C. il Principato si trasformò gradualmente nel Dominato, una forma di
governo caratterizzata dal dispotismo: l'imperatore, non più contrastato dai residui delle
antiche istituzioni della Repubblica Romana, poteva disporre dell'Impero come se fosse una
proprietà privata, dominus et deus, unica fonte del diritto.
Se dal compromesso con le istituzioni repubblicane era scaturito, per opera di Augusto, il
regime del principato, dall’affermazione dell’imperatore come monarca assoluto derivò
l’assetto che Roma si diede, per sopravvivere, a partire dalla fine del 3° sec. d.C.: il territorio
fu ripartito in circoscrizioni periferiche strutturate in cerchi concentrici - prefetture, diocesi,
province - coordinate da una forte burocrazia centralizzata e lo stesso potere imperiale fu
condiviso tra più Domini.
L’impero romano durò fino all’anno 395 d. C.,
quando alla morte di Teodosio I venne suddiviso
in una pars occidentalis e in una pars orientalis.
attraverso la poderosa opera di studio, rielaborazione e codificazione
L’Impero romano d’Occidente terminò la sua storia nell’anno 476 d.C. con la deposizione
dell’ultimo imperatore legittimo Romolo Augusto ad opera di Flavio Odoacre, generale di
origine germanica e primo rex Italiae.
Il dominato, pur con diversi aggiustamenti e difficoltà, continuò ad esistere fino al 565 d. C. ,
anno della morte di Giustiniano.
L’Impero romano d'Oriente si protrasse fino all’anno 1453 quando, morto in battaglia
l'imperatore Costantino XI Paleologo, Costantinopoli fu conquistata dagli Ottomani guidati
dal sultano Maometto II.
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Jean Chartier, L'assedio di Costantinopoli, 1470 - Jean Chartier, storiografo francese, monaco dell’Abbazia di SaintDenis.
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L’eredità dell’Impero Romano era stata raccolta e conservata dagli imperatori bizantini che
chiamavano il loro stato "Regno dei Romani", ma in occidente una nuova forza politica ne
rivendicava l’eredità spirituale, il Sacro Romano Impero (detto poi impero romano – germanico)
che si protrassse fino al 1806 anno in cui l’imperatore Francesco II, dopo l’esito infausto della
guerra contro Napoleone, abdicò, rinunciando per sempre al titolo di Imperatore dei Romani
e23 assumendo il titolo di Imperatore d'Austria con il nome di Francesco I .
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La pretesa di atteggiarsi come eredi dei romani, sebbene giuridicamente discutibile, ebbe alcuni
innegabili risultati positivi, come il ripristino del diritto romano che, a partire dalla metà del XII
secolo, tramite l'attività delle Università tornò in Occidente sostituendosi in larga parte alle
legislazioni germaniche, in vigore dai tempi delle invasioni e a quelle canonistiche diffuse dalle
istituzioni ecclesiastiche.
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Il titolo aveva ormai solo valore onorifico ed era tramandato internamente alla casa degli Asburgo d'Austria.
Carlo I, detto Carlo Magno, fondatore della dinastia Carolingia
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A partire dal XV secolo, il diritto romano venne riconosciuto come il diritto comune dell’impero
costituendo l’elemento unificante e sussidiario dei singoli ordinamenti principeschi.
Il Diritto Comune indica il diritto romano giustinianeo
nell’esperienza giuridica di studio e interpretazione che si sviluppò
nell'Europa continentale e in alcuni paesi dell’Europa Orientale - Romania, Polonia, Boemia dal X secolo fino alle codificazioni
ottocentesche.
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La Pandettistica
È un movimento di pensiero della scienza giuridica tedesca
attivo in Germania dalla fine del sec. XVII a tutto il secolo XIX.
Per promuovere con metodo rigorosamente scientifico lo studio del diritto
si basò sui testi del diritto romano
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e inl'Italia
particolare
Pandette
(o Digesto)
Ottone I nel 962 conquistò
potendo sulle
così cingere
la corona
imperiale. di
DaGiustiniano,
quell'anno ci fu una perenne
identificazione fra le corone tedesca, italiana ed imperiale.
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I Pandettisti, convinti che il diritto romano (in quanto ius comune) costituisse il patrimonio
spirituale della nazione tedesca, attraverso un’operazione di recupero del testo originario del
Corpus Iuris Giustinianeo, rimasto la fonte del diritto comune vigente in Germania fino quasi al
termine dell’Ottocento e attraverso una precisa ricostruzione teorica degli istituti privatistici
romani, si proponevano di fondare una giurisprudenza costruttiva, tesa a generare nuovi concetti,
e quindi nuove regole, da concetti precedentemente inseriti nel sistema - cosiddetta piramide
sistematica.
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Francesco II ultimo imperatore del Sacro Romano Impero e primo Imperatore d’Austria.
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Attraverso la ricostruzione degli istituti giuridici romani, i Pandettisti fecero acquisire alla storia
giuridica la conoscenza di istituti che, pur presenti nel Corpus Iuris, erano stati ignorati dalla
pratica giurisprudenziale del diritto comune e contribuirono allo sviluppo della scienza giuridica
contemporanea.
In Inghilterra il sistema giuridico, detto di Common Law,
si sviluppò dalle origini senza rilevanti influenze del Diritto romano,
il che spiega le notevoli differenze
rispetto agli ordinamenti giuridici dei paesi continentali.
Con il contributo dei Pandettisti il diritto romano
è divenuto un fattore essenziale della costruzione
dei principi del moderno diritto privato
e in Germania come in Italia,
si pone la priorità della37dottrina sulla pratica,
delle scuole di diritto sul giudice.
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Giotto, La Giustizia, 1306, Cappella degli Scrovegni, Padova
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