RASSEGNA STAMPA Sommario: Martedì 03 marzo 2015 Rassegna Associativa 2 Rassegna Sangue e Emoderivati 6 Rassegna Medico-scientifica, politica sanitaria e terzo settore 10 Prime Pagine 16 Rassegna associativa FIDAS IL PICCOLO (ed. Gorizia) La donazione del sangue entra in classe Successo di adesioni all’istituto Pertini, ma la stazione resta inaccessibile a una studentessa disabile di Laura Blasich Il dono del sangue è entrato negli istituti superiori di Monfalcone. Lo ha fatto in modo concreto ieri con l'arrivo dell'autoemoteca dell'Azienda socio sanitaria all'Isis "Pertini" di via Baden Powell, dove ha accolto la prima donazione di 18 tra ragazze e ragazzi, maggiorenni, dello stesso istituto tecnico e professionale e del liceo Buonarroti. Solo quattro le defezioni tra gli studenti che avevano dato la propria disponibilità, dopo l'incontro informativo organizzato dall'Associazione donatori volontari di sangue del Monfalconese, in particolare dal Gruppo giovani, a inizio dicembre nel teatro di Monfalcone. «Dispiace però in particolare aver dovuto reindirizzare per la donazione al Centro trasfusionale una studentessa disabile, che quindi non ha potuto salire sul mezzo», ha spiegato ieri il presidente dell'Advs Franco Devidé all'assessore regionale all'Istruzione e Politiche giovanili Loredana Panariti, che ha voluto essere presente all'iniziativa. «Credo vada effettuato almeno un approfondimento, per verificare se possa esserci una soluzione al problema - ha detto l'assessore regionale -, perché la donazione del sangue è un atto di solidarietà forte che è e deve essere aperto a tutti». L'assessore Panariti, come l'assessore comunale alle Politiche sociali Cristiana Morsolin, non si è meravigliata del fatto che ieri a donare siano state più ragazze che ragazzi. «Non ci stupiamo per nulla - hanno affermato -, perché sta nella forza e nella caparbietà che le ragazze dimostrano in tutti i campi». L'adesione complessiva alla prima sosta dell'autoemoteca e quella prevista per lunedì all'Isis Bem di Staranzano (una trentina gli studenti che vorrebbero donare) per l'Advs rappresenta in ogni caso un segnale molto positivo. «Il progetto "Il dono del sangue a 360°" pensato proprio per coinvolgere i più giovani ha raccolto l'interesse dei ragazzi - così Devidé -, molto più disponibili e solidali di quanto li dipingiamo». L'Advs, e il servizio sanitario, hanno in ogni caso l'esigenza di fermare il calo di donazioni degli ultimi anni. Nel 2013 quelle di sangue sono state 2.090 contro le 2.255 del 2012, quelle di plasma 411 contro 501. La diminuzione complessiva è stata quindi del 9,2%, ben superiore a quella registrata l'anno precedente e che si aggirava attorno al 2-3%. MESSAGGERO VENETO (ed. Pordenone) Zambon confermato alla guida dell’Afds BUDOIA Assemblea generale dei soci, per la sezione di Santa Lucia di Budoia dell’Afds, l’Associazione friulana donatori di sangue. L’incontro, che ha riscosso un’ottima partecipazione, ha avuto luogo al centro sociale della frazione. Un appuntramento importante, quello della sezione di Santa Lucia, in quanto i soci sono stati chiamati a eleggere il consiglio direttivo che guiderà il sodalizio durante il quadriennio 2015-2018. All’elezione del direttivo sono seguite le nomine di presidente e vice. Sono stati confermati nei loro incarichi il presidente uscente Pietro Zambon e il vicepresidente Pietro Del Maschio. Quale rappresentante e portavoce dei donatori di Santa Lucia, è stato nominato Valerio Aralti. Il consiglio direttivo, con il presidente Pietro Zambon e il vice Pietro Del Maschio, vede quali consiglieri eletti Lucio Carlon, Antonella Del Zotto, Graziano Del Zotto, Luigino Morson, Guido Giusto, Valerio Aralti e Umberto Coassin, nella veste di revisore dei conti. Fra le più attive della provincia di Pordenone, la sezione Afds di Budoia-Santa Lucia fa registrare oltre 100 donazioni l’anno e in tutto registra più di 2 mila 500 donazioni dalla sua costituzione. Nell’ultima festa del donatore, celebrata nella parrocchiale di Santa Lucia, sono stati assegnati, per aver superato le 65 donazioni della loro “carriera” di iscritti all’Afds, i pellicani d’argento a Gian Pietro Fort e Renato Poletto, già presidente della Pro loco. In quell’occasione furono insigniti dei distintivi d’oro, per aver raggiunto il traguardo delle 50 donazioni, Eligio Carlon, Vincenzino Gislon e Pietro Zambon. (s.c.) IL GIORNALE DI VICENZA Fidas, anno record con 528 associati e 1.057 donazioni Il 2014 è stato un anno da record per il gruppo Fidas di Dueville: da gennaio a dicembre sono state effettuate 1057 donazioni di sangue, il numero più alto nella storia dell´associazione. «È un ottimo risultato, frutto del lavoro di tutto il gruppo, del nuovo direttivo e che celebra i 55 anni di vita della Fidas di Dueville», sottolinea la presidente Mariledi Moro. «Il nostro obiettivo è sensibilizzare i cittadini al dono del sangue, oltre a lavorare in sinergia con Aido Dueville per portare avanti i valori condivisi di solidarietà e volontariato. Inoltre crediamo fermamente nell´importanza di trovare nuovi giovani donatori. È un ruolo che va incentivato con atteggiamento positivo, volto a diffondere la cultura della donazione, in modo che possa diventare un gesto da affrontare con naturalezza e serenità nella vita quotidiana». Il gruppo di Dueville attualmente conta 528 iscritti, di cui 476 attivi e 45 nuovi donatori. Numeri in costante crescita. «Ci siamo sempre impegnati nell´organizzare attività che annualmente proponiamo ai donatori e ai simpatizzanti. Così facendo – conclude – siamo riusciti ad aumentare gli iscritti e a superare le mille donazioni in un anno». M.B. Rassegna sangue e emoderivati PANORAMA.IT Sclerosi multipla: cura "miracolo" con le staminali di Marta Buonadonna I medici sono riusciti per la prima volta a invertire gli effetti della malattia degenerativa, tutt'ora senza cura, abbinando l'uso di farmaci chemioterapici alla infusione di cellule staminali dei pazienti. Ottenendo risultati che alcuni degli autori dello studio, pubblicato sulla rivista JAMA, non esitano a definire miracolosi. Far ripartire il sistema immunitario Pazienti costretti da anni in sedia a rotelle hanno potuto nuovamente camminare e alcuni addirittura correre e ballare dopo questo trattamento pionieristico messo alla prova su un paio di dozzine di malati in due ospedali inglesi: il Royal Hospital di Sheffield Hallamshire e il Kings College Hospital di Londra. Grazie alla somministrazione di farmaci chemioterapici, quelli usati per curare il cancro, il sistema immunitario del malato viene di fatto annientato. Per farlo "ripartire" si utilizzano le cellule staminali prelevate dal sangue del paziente. "Da quando abbiamo iniziato a trattare i pazienti, tre anni fa, alcuni dei risultati che abbiamo visto sono stati miracolosi", ha dichiarato al Sunday Times Basil Sharrack, un neurologo consulente del Sheffield Teaching Hospitals NHS Foundation Trust, tra gli autori dello studio. "Questa non è una parola che userei con leggerezza, ma abbiamo visto profondi miglioramenti neurologici". Durante il trattamento, le cellule staminali del paziente vengono raccolte e conservate per un uso successivo. Poi i medici impiegano farmaci aggressivi che di solito vengono dati ai malati di cancro per distruggere completamente il sistema immunitario. Anche se non è ancora chiara la causa della sclerosi multipla, c'è infatti chi ritiene che sia il sistema immunitario stesso ad attaccare il cervello e il midollo spinale, causando infiammazione, dolore, disabilità e nei casi più gravi, la morte. Le cellule staminali raccolte sono poi infuse nuovamente nel corpo del paziente dove cominciano a crescere nuovi globuli rossi e bianchi nel giro di due settimane. Entro un mese il sistema immunitario è di nuovo attivo e completamente funzionante ed è a questo punto che i pazienti cominciano a notare insperati segni di ripresa. Ma ci sono dei limiti Le buone notizie si fermano qui, dove cominciano le dichiarazioni cautelative dei ricercatori. Il primo limite del trial clinico è che è stato svolto senza gruppo di controllo, quindi i risultati ottenuti non possono ritenersi "robusti". Occorreranno quindi altri trial, con assegnazione casuale dei pazienti al gruppo della terapia e al gruppo di controllo, per confermare i benefici della cura. Una cura che, secondo aspetto delicato, non è adatta a tutti i malati, ma solo a quelli abbastanza in forma da poter tollerare un trattamento così aggressivo nella prima fase, quella in cui si fa la chemioterapia. Ma i testimonial entusiasti non mancano. Holly Drewry, madre 25enne di una bimba, era in sedia a rotelle da due anni, in pratica dalla nascita della figlia, ma dopo essere stata sottoposta al trattamento è finalmnente in grado di camminare e portare la bambina al parco come tutte le altre mamme. "Mi ricordo che ero in ospedale", racconta Holly, "e dopo tre settimane ho chiamato mia mamma e le ho detto: 'Posso stare in piedi'. Ci siamo tutti messi a piangere". IL PICCOLO (ed. Trieste) L'enigma dell'Aids rivelato a Trieste di Simona Regina Mettere a nudo il virus dell’Hiv per riuscire a sconfiggerlo definitivamente. Una sfida che impegna diversi gruppi di ricerca, in tutto il mondo, e che vede in prima linea il Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologie (Icgeb) di Trieste. L’Hiv aggredisce particolari cellule del sistema immunitario, i linfociti T di tipo CD4. Si inserisce nel Dna della cellula infettata e dà il via alla produzione di nuove particelle virali che provocano un indebolimento progressivo del sistema immunitario fino allo sviluppo della Sindrome da Immunodeficienza Acquisita: l’Aids, che è lo stadio clinico avanzato dell’infezione da Hiv. Attualmente, è possibile interrompere la progressione della malattia grazie all'assunzione di un cocktail di farmaci capaci di bloccare la replicazione del virus. Ma non esistono farmaci in grado di eradicare l'infezione: si può curare, insomma, ma non guarire. «Che il problema dell'Aids sia dovuto alla proprietà del virus di inserire il proprio Dna in quello delle cellule che infetta e diventare così parte del loro patrimonio genetico è noto da tempo. Ma perché il virus scelga soltanto alcuni dei 20mila geni umani per integrarsi e, soprattutto, come riesca all'interno di questi geni a nascondersi ai farmaci era finora un enigma» spiega Mauro Giacca, direttore dell’Icgeb e coordinatore del team che, sulla rivista Nature, fa luce sulle capacità di Hiv di sfuggire a ogni terapia attualmente disponibile. In collaborazione con il Dipartimento di Medicina dell’Università di Trieste, l'Università di Modena e Reggio Emilia e il Genethon di Parigi, i ricercatori dell’Icgeb hanno fotografato la struttura del nucleo delle cellule infettate dal virus, e hanno scoperto che Hiv integra il proprio Dna vicino al guscio esterno che delimita il nucleo, in corrispondenza delle strutture del poro nucleare da cui il virus stesso si è fatto strada per accedere. «Si inserisce cioè – sottolinea Giacca – nei geni vicino alla porta d'ingresso. Ed è proprio l’architettura del nucleo dei linfociti e le zone che il virus sceglie per localizzarsi a favorire la sua capacità di nascondersi, impedendo di fatto ai farmaci oggi disponibili di sconfiggere definitivamente la malattia». Marina Lusic e Bruna Marini hanno sviluppato nei laboratori in Area Science Park una tecnica di microscopia ad alta risoluzione per osservare il virus integrato nelle cellule. E hanno così riscontrato che Hiv entra in uno stato di latenza funzionale - cioè diventa dormiente e smette di replicarsi - riuscendo a mascherarsi all'interno del genoma della cellula infettata, grazie a un processo di spegnimento dei propri geni attivato da una serie di proteine presenti nella periferia del nucleo, proprio vicino alle porte di ingresso attraverso cui si è fatto strada. E così né il sistema immunitario è in grado di riconoscere le cellule infettate dal virus, né i farmaci risultano efficaci nell’eradicarlo. «Il virus sparisce letteralmente dal radar - spiega Lusic - rimanendo completamente latente all'interno del Dna delle cellule che ha invaso». Lo studio segna un importante passo verso lo sviluppo di nuovi farmaci che possano portare a una cura. Sempre ai ricercatori triestini si deve la scoperta del ruolo determinante della proteina chiamata Pml nel rendere latente il virus: distruggendola, Hiv torna infatti a replicarsi riattivando, così, la sensibilità ai farmaci. Una possibile strada, dunque, per aggredire la malattia potrebbe consistere nel risvegliare il virus dormiente e, prima che possa fare danni, ucciderlo. I ricercatori suggeriscono l’uso di composti a base di arsenico, già approvati per il trattamento di alcuni tipi di leucemia. Tuttavia, c’è ancora tanta strada da fare prima di poter riscontrare sui pazienti i benefici che hanno osservato in laboratorio. Rassegna medico-scientifica e politica sanitaria Prima pagina