Genetica mendeliana e formale
Gregor Mendel fu il primo ad individuare i cosiddetti caratteri ereditari,che egli definì fattori
o determinanti genetici, all’interno delle cellule germinali. I fattori saranno poi denominati
“geni” da Johannsen nel 1909, e in seguito saranno chiamati “alleli”. I geni costituiscono il
genotipo,cioè il patrimonio genetico dell’organismo, mentre l’aspetto,cioè la
manifestazione dei geni, costituisce il fenotipo.
Mendel utilizzò per i suoi esperimenti la pianta del pisello (pisum sativum),per poche
semplici ragioni: è una pianta facilmente coltivabile; i singoli caratteri sono molto
distinguibili; la riproduzione può avvenire per autofecondazione.
Per condurre efficacemente le sue prove,Mendel selezionò le cosiddette linee pure,
ovvero popolazioni di soggetti che mostravano sempre lo stesso fenotipo per un certo
carattere.
Possiamo riassumere i risultati degli esperimenti di Mendel in 3 leggi che portano il suo
nome:
1. Legge della dominanza (o legge della omogeneità di fenotipo): Gli individui nati
dall'incrocio tra due individui omozigoti che differiscono per una coppia allelica,
avranno il fenotipo dato dall'allele dominante. Con significato più ampio rispetto al
lavoro di Mendel, può essere enunciata come legge dell'uniformità degli ibridi di
prima generazione.
2. Legge della segregazione (o legge della disgiunzione): gli alleli di un singolo locus
segregano al momento della formazione dei gameti (in seguito fu evidente che ciò
era dovuto al fenomeno noto come meiosi). Può essere enunciata come ricomparsa
del recessivo nella F2.
3. Legge dell'assortimento indipendente: i diversi alleli si trasmettono
indipendentemente l'uno dagli altri, secondo precise combinazioni (in realtà
sappiamo che questa legge è valida soltanto se i diversi caratteri sono portati da
geni in cromosomi distinti).
Dominanza incompleta.
Se si incrociano due linee pure di “bocca di leone”,che differiscono per il solo carattere
“colore del fiore” (rosso e bianco),si noterà che la F1 è costituita tutta da piante con fiori
rosa. La colorazione “intermedia” potrebbe far pensare a una miscela di pigmenti; in realtà
non è così,perché nell’autofecondazione di individui F1 si ottiene una F2 in cui riappaiono i
colori dei parents,nello specifico 1/4 rossi (omozigoti), 1/4 bianchi (omozigoti) e 2/4 rosa
(eterozigoti). Questo significa che non vi è stata mescolanza, le informazioni rimangono
separate e inalterate,ma comunque la legge della dominanza non è stata rispettata,perché
gli eterozigoti non hanno lo stesso fenotipo degli omozigoti dominanti. Questo fenomeno
viene chiamato “dominanza incompleta”. Per via di questo fenomeno,si preferisce
nominare la 1 legge di Mendel “legge di uniformità degli ibridi” (perché sia con dominanza
completa che incompleta,gli individui F1 derivanti da parents con genotipo puro che
differiscono per un solo carattere presentano lo stesso fenotipo,quindi gli eterozigoti,gli
“ibridi”, sono fenotipicamente uniformi).
Codominanza.
Un’ulteriore eccezione al principio della dominanza si verifica quando due alleli si
esprimono in eguale misura, producendo un fenotipo rappresentativo di entrambi gli
omozigoti.
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Il fenomeno della codominanza si verifica ad esempio nel carattere “screziature delle
foglie” nel trifoglio, oppure nella presenza di particolari glicoproteine antigeniche negli
eritrociti umani (che conferiscono il cosiddetto gruppo sanguigno).
DOMINANZA COMPLETA GENE APLOSUFFICIENTE;
DOMINANZA INCOMPLETA GENE APLOINSUFFICIENTE.
Allelia multipla o poliallelia.
È possibile osservare che molti geni sono presenti in più di due forme alleliche: possono
esservi cioè tre o più alleli per uno stesso locus (serie allelica multipla). Solitamente si
indica come allele selvatico (wild-type) l’allele che è maggiormente diffuso in una
popolazione,mentre gli alleli alternativi sono detti alleli mutanti. In genere l’allele selvatico
specifica per un fenotipo selvatico che è dominante, ma vi sono casi in cui un allele
mutante si esprime per un fenotipo dominante rispetto al selvatico. Un esempio di allelia
multipla è il carattere “colore degli occhi” della Drosophila Melanogaster,che varia dal
bianco (completa assenza di pigmento) al rosso mattone, comprendendo più di 12
allelomorfi.
Epistasi.
Ci sono casi in cui l’espressione di un singolo carattere è determinata dall’interazione tra
più geni e tra i geni e l’ambiente. Questa condizione,detta epistasi, prevede che
l’espressione di un gene sia influenzata da uno o più altri geni non allelici. Pertanto, in
presenza di epistasi i rapporti mendeliani tipici non sono rispettati. Per spiegare il
fenomeno,si può ricorrere ad un esempio: quando alcuni geni agiscono sequenzialmente,
a cascata, come nelle vie metaboliche, un allele che codifica un enzima non funzionante
interromperà la catena delle reazioni per il resto della catena.
Il gene che condiziona l’espressione viene detto epistatico; il gene regolato è invece
ipostatico.
Il linkage: esperienze di Morgan e associazione genica
Per linkage si intende la condizione di associazione di geni presenti sul medesimo
cromosoma che segregano insieme durante la meiosi. I geni in linkage sono detti anche
associati o concatenati.
Morgan scoprì che i caratteri “lunghezza delle ali” e “colore del corpo” della drosophila
melanogaster avevano loci genici che si trovavano sullo stesso cromosoma e quindi
segregavano insieme; si rese conto tuttavia che nella ovogenesi ma non nella
spermatogenesi avveniva il crossing over, e quindi avveniva una certa ricombinazione.
Ambienti e geni: penetranza ed espressività.
Come già detto, l’ambiente è in grado di influire in maniera determinante sull’espressione
di un dato gene. Allora si dice penetranza la percentuale di individui con un dato genotipo
che mostrano il fenotipo ad esso associato. Ad esempio se su 100 individui,che hanno tutti
il genotipo T, vi sono 85 individui che manifestano il fenotipo ad esso correlato,la
penetranza sarà dell’85%. Quando la penetranza è del 100% si dice completa; se è
inferiore, sarà incompleta.
In maniera simile, l’espressione di un allele non risulta sempre uniforme,a causa
dell’azione di altri geni o dell’ambiente. Vi può cioè essere una variazione nell’intensità di
espressione di un genotipo. Questa condizione di modulazione della manifestazione
genica viene indicata con il termine di espressività.
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Poligenia ed eredità quantitativa.
Alcuni caratteri complessi come peso, altezza, colore della pelle e attività metaboliche non
sono il risultato dell’azione di un solo gene ma dipendono dagli effetti di più geni: questi
sono detti caratteri poligenici.
I geni che controllano un singolo carattere, insieme, producono una variazione continua
(graficamente è una distribuzione normale) nell’espressione fenotipica.
Comunque ad ogni determinato genotipo non sempre corrisponde un definito fenotipo,
bensì una gamma di possibilità fenotipiche, sulle quali possono influire più fattori, indicata
come norma di reazione. Quando in genere si parla di caratteri determinati sia dai geni
che da altri fattori di natura non genetica (l’ambiente,l’alimentazione) si parla di eredità
multifattoriale.
Sesso e geni
Con determinazione del sesso si intende la determinazione delle gonadi. A differenza di
quanto si possa pensare, solo negli uccelli e nei mammiferi l’assetto cromosomico è
responsabile della determinazione del sesso; nei coccodrilli,nelle tartarughe e in molte
lucertole il differenziamento delle gonadi è funzione della temperatura ambientale a cui è
sottoposto l’embrione nel trimestre centrale dello sviluppo (determinazione del sesso
temperatura-dipendente).
Inoltre,se in alcune specie il differenziamento sessuale avviene in un certo momento dello
sviluppo embrionale e da quel momento resta determinato, in altre la determinazione del
sesso è reversibile. Ad esempio il pesce pagliaccio è in grado di cambiare sesso nel corso
della sua esistenza. È un fenomeno comune tra pesci teleostei e altri animali acquatici:
sviluppano sia gonadi maschili che femminili (sono quindi ermafroditi), ma ne adoperano
solo una, pronti ad “utilizzare” l’altra in seguito a segnali chimici o per ragioni di
sopravvivenza.
È importante notare che, a prescindere dal meccanismo di differenziamento sessuale, i
geni che vengono attivati o inibiti per la determinazione delle gonadi appaiono essere
molto conservati tra i viventi.
Ci occuperemo di specie animali in cui il sesso è determinato geneticamente: vi sono due
diversi meccanismi di differenziazione, uno dosaggio-dipendente (DSD, dosagedependent sex determination), l’altro dovuto alla presenza o meno di un gene dominante
(GSD, genetic sex determination).
Nei casi di digametia maschile, il maschio produce due diverse classi di gameti,mentre
nella digametia femminile sarà la femmina a produrre due diverse classi di gameti.
La digametia maschile ha due diverse tipologie: tipo Lygaeus, con cariotipo XY, il
maschio produce gameti X e Y mentre la femmina sarà XX,quindi produrrà solo gameti X.
È la condizione dei mammiferi,degli anuri,dei nematodi,dei coleotteri etc; tipo Protenor, in
cui il maschio ha cariotipo X0,mentre la femmina è XX. È la situazione dei grilli e delle
cavallette.
La digametia femminile,detta anche tipo Phragmatobia, prevede che i due
eterocromosomi (ZW) siano posseduti dalla femmina,mentre il maschio avrà la coppia ZZ.
È la condizione degli uccelli,di molti pesci, anfibi,lepidotteri,crostacei etc.
Un’ulteriore modalità di determinazione del sesso,del tutto peculiare, è quella delle api: la
femmina è diploide mentre il maschio è aploide perché deriva da un ovocita attivato ma
non fecondato.
I cromosomi sessuali X e Y.
Dal punto di vista evolutivo si ritiene che i cromosomi sessuali si siano originati e
differenziati da un coppia di autosomi circa 300 milioni di anni fa. Sembra inoltre che il
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cromosoma Y si sia originato molto più tardivamente rispetto all’X. Ciò significa che il
differenziamento gonadico in senso maschile era determinato in altro modo. Sul
cromosoma X risiedono circa 1100 geni; di questi nel cromosoma Y ne sono rimasti una
70ina. Si pensa che in epoca remota un frammento si sia staccato dal cromosoma X,
determinando un effetto di interazione negativa con gli altri cromosomi, un effetto tale da
determinare un’espressione incompleta del fenotipo femminile: il maschio.
I cromosomi X e Y hanno pochi geni in comune, presenti in regioni dette
pseudoautosomali in cui è possibile il crossing over. In questo modo questa coppia di
cromosomi, nonostante parzialmente omologa, è capace di appaiarsi regolarmente.
Il cromosoma X è costituito da 220 Mb mentre l’Y da circa 55 Mb.
Nella Drosophila si è reso evidente che non è il cromosoma Y a conferire la mascolinità (in
quanto privo di geni atti a questo scopo come l’ SRY) ma che sia piuttosto la mancanza di
un altro cromosoma X a determinare il sesso maschile (determinazione dosaggiodipendente).
Quindi un individuo con cariotipo 9,XXY ,che per la presenza dell’Y ci aspetteremmo
essere maschio, è invece femmina. Ancora, una mosca con cariotipo 7,X0 risulta maschio
anziché femmina. Una mosca con cariotipo XY è maschio perché manca di una X, non
perché ha Y.
Nei mammiferi il cromosoma Y è molto piccolo e presenta un braccio corto e uno lungo.
Le regioni PAR (pseudoautosomali) sono solo il 5%, quindi l’omologia con il cromosoma X
è ridotta.
Tra i 70 geni che possiede, alcuni codificano per proteine necessarie a tutte le cellule, altri
sono specifici per proteine funzionali soltanto nella gonade maschile.
Una regione importante è la MSY (Male specific Y region). All’interno di questa regione,nel
braccio corto (Yp11.3) vi è il gene SRY (Sex determining region of the Y chromosome) che
codifica per il fattore TDF (Testis Determining Factor) , proteina che consente lo sviluppo
dei testicoli.
Il gene SRY non presenta introni, la sequenza codificante è lunga 897 bp e codifica una
proteina di 204 amminoacidi. Questa proteina contiene un dominio di legame per il DNA
che può interagire col solco minore della doppia elica. In pratica la proteina si lega a
regioni del DNA lineare correlate a geni essenziali per il differenziamento gonadico,
inducendo un ripiegamento della molecola: ciò avvicina fattori di trascrizione,
determinando l’attivazione o la repressione della trascrizione di geni bersaglio,come ad
esempio SOX9 (17q24) che innesca una cascata di eventi che induce la formazione del
testicolo e SOX3(Xq26-27),gene che sembra coinvolto nello sviluppo femminile (che deve
essere quindi inibito dalla proteina TDF).
Il cromosoma X è stato identificato in questo modo perché sconosciuto per molti anni.
Nelle femmine dei mammiferi tale cromosoma viene parzialmente inattivato per impedire
che vi sia un’eccessiva espressione di geni. Tale fenomeno è detto “effetto di
compensazione di dose”.
Citologicamente infatti riscontriamo nel nucleo (in interfase) una zolla di eterocromatina,di
solito adesa alla membrana nucleare, denominata corpo di Barr.
Questa inattivazione, che colpisce in maniera casuale uno dei due cromosomi X,porta a
una condizione di mosaicismo funzionale. Gli unici geni che non vanno incontro ad
inibizione sono circa 9, e sono presenti anche sul cromosoma Y (regioni PAR).
L’inattivazione di uno dei cromosomi X è indotta dall’azione di un gene denominato XIST
(X inactivation specific transcript) all’interno di una regione ampia (Xq12-13) detta XIC (X
inactivation centre). Il gene XIST viene trascritto in un lungo RNA che non viene tradotto,
bensì si accumula coprendo la regione del cromosoma che contiene il gene XIST attivo: in
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questo modo si attua l’inattivazione di quasi tutti i geni (75-80%) presenti su quello stesso
cromosoma X.
Pochi geni del cromosoma X hanno un’azione diretta sulla determinazione del sesso e
comunque interagiscono con geni autosomici. Un gene importante è l’RSPO1, (Rspondina 1,localizzato sul cromosoma 1), considerato come l’alter ego femminile di SRY in
quanto permette lo sviluppo dell’ovario. Il prodotto di questo gene interagisce con il
prodotto del gene SOX9.
Il sesso è un complesso di caratteri ereditari, alcuni dei quali consentono la formazione
delle gonadi: tali caratteri sono specificati da più geni che risiedono sui cromosomi
sessuali ma che sono comunque correlati a geni autosomici.
La trasmissione dei caratteri nella specie umana
Il corredo cromosomico,chiamato anche cariotipo, consiste nell’uomo di 46 cromosomi,
23 coppie di omologhi di cui 44 autosomi ed una coppia di cromosomi sessuali (gli
eterocromosomi X e Y).
Tale corredo cromosomico è diploide in tutte le cellule somatiche e nelle cellule primitive
della linea germinale (spermatociti ed ovociti di prim’ordine). Nei gameti maturi invece tale
corredo è dimezzato (aploide) e consiste di 23 cromosomi. Il cariogramma è l’immagine
che rappresenta il cariotipo di un individuo. Generalmente i cromosomi sono mostrati per
come appaiono in metafase, al momento di massima compattazione. Spesso si usa
sangue venoso trattato con fitoemoagglutinina,in modo che in un tempo di 72 ore si
ottengano linfociti T in mitosi. Successivamente si utilizza colchicina per bloccare le
cellule in metafase; si aggiunge una soluzione ipotonica per favorire la dispersione dei
cromosomi; si fissano le cellule con metanolo e acido acetico; si prepara il vetrino, usando
colorazione Giemsa; si analizza la piastra metafasica.
In caso di diagnosi prenatale, è possibile analizzare cellule fetali dei villi coriali o del
liquido amniotico. L’amniocentesi prevede l’inserimento di un ago, attraverso l’addome e
l’utero,con il quale si aspira un campione (20 ml circa) di liquido amniotico contenente
cellule di sfaldamento dal feto. Il campione viene centrifugato, e le cellule vengono
analizzate,con diagnosi effettuate attraverso cariogramma e analisi biochimiche per i
disordini metabolici.
La tecnica di prelievo dei villi coriali invece prevede l’inserimento di un catetere o
attraverso la vagina e l’utero o attraverso l’addome (procedura cervicale e procedura
transaddominale).
Tutte le precedenti tecniche sono guidate da una sonda ecografica.
In base alla posizione del centromero, i cromosomi si classificano in metacentrici
(centromero più o meno al centro), submetacentrici (centromero sub mediano) e
acrocentrici (centromero quasi terminale).
Talvolta non è facile riconoscere i cromosomi in base alla sola lunghezza e posizione del
centromero; per ovviare a questo problema, è stata introdotta la tecnica del bandeggio.
Le tecniche di bandeggiatura permettono di distinguere i cromosomi in base alla
colorazione di ciascuno di essi secondo una precisa alternanza di bande
adiacenti,trasversali, che appaiono scure o chiare. Ogni cromosoma ha un suo specifico
pattern di bandeggio.
Si aggiunge tripsina per denaturare le proteine e si effettua una colorazione Giemsa.
Questo colorante si lega al DNA secondo un preciso pattern di zone, estremamente nette,
producendo delle bande scure,dette bande G,specifiche per ogni coppia di omologhi.
Altri tipi di bandeggiatura,usati meno spesso,sono il bandeggio Q (quinacrina), R
(reverse),C (eterocromatina costitutiva o centromerica).
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Molti caratteri umani sono multifattoriali,cioè dovuti a più geni in più loci e sono anche
fortemente condizionati dalle condizioni ambientali e dall’alimentazione.
Di fondamentale importanza è l’albero genealogico (pedigree), una sintetica
rappresentazione grafica che illustra come si distribuiscono nelle generazioni di una
famiglia i fenotipi di uno o più caratteri considerati.
Le caratteristiche ereditarie umane possono essere suddivise in 3 tipi di trasmissione
genetica:
1. eredità autosomica, cioè per caratteri specificati da alleli presenti su
autosomi,dominante o recessiva
2. eredità associata al sesso, cioè per caratteri specificati da alleli che risiedono sui
tratti differenziali degli eterocromosomi, X-linked dominante,X-linked recessiva o Ylinked
3. eredità mitocondriale, cioè per caratteri specificati da geni presenti nel DNA
mitocondriale,di origine esclusivamente materna (matrilineare).
Nell’ambito degli studi medici risulta fondamentale stabilire le modalità di trasmissione di
un carattere per predire il rischio di insorgenza di una malattia genetica in vari casi.
Eredità autosomica.
Un carattere autosomico dominante segregherà secondo le leggi mendeliane. Si
manifesterà fenotipicamente anche quando sarà presente una sola copia dell’allele.
Maschi e femmine trasmettono il carattere con la stessa frequenza,ed allo stesso modo
figli maschi e femmine esprimeranno il fenotipo con la stessa frequenza; ogni individuo
con il fenotipo considerato ha almeno un genitore con la stessa manifestazione; in una
famiglia, il carattere passa attraverso tutte le generazioni senza salti (trasmissione
verticale); il fenotipo degli omozigoti è clinicamente più grave di quello degli eterozigoti.
Tanti sono gli esempi di caratteri con tale andamento ereditario: ipercolesterolemia
familiare, malattia di Huntington, brachidattilia, capelli lanosi.
Nella brachidattilia l’interpretazione dell’albero genealogico può complicarsi in presenza
di fenomeni di penetranza incompleta: è possibile infatti che una persona che porta il gene
della brachidattilia non manifesti la condizione patologica.
Nella còrea di Huntington, malattia neurodegenerativa che colpisce un individuo su 10
mila, il fenotipo patologico si manifesta in età adulta,tra i 40 e i 45 anni, con movimenti
involontari e spasmodici. Si verificano in seguito problemi psichiatrici e infine demenza. La
maggior parte dei pazienti muore entro 10-15 anni dall’esordio della malattia.
L’anomalia genetica riguarda l’espansione di una tripletta di nucleotidi CAG nel primo
esone del gene IT-15 presente sul braccio corto del cromosoma 4. Tale gene codifica la
proteina huntingtina, fondamentale per la vita dei neuroni. Le eccessive ripetizioni della
tripletta provocano un incremento del numero di copie di glutammina nella proteina. Tale
aumento,detto espansione a poliglutammina, produce una proteina anomala che non solo
è inattiva, ma si deposita nel citoplasma ostacolando i processi cellulari. La diagnosi
avviene tramite PCR o Southern Blot.
L’osteogenesi imperfetta indica una serie di difetti eterogenei caratterizzati da fragilità
ossea. La forma più frequente è l’OI di tipo 1,che colpisce 1/15 mila individui. Le persone
affette si fratturano facilmente le ossa degli arti e le costole; si osserva anche la perdita
dell’udito e la colorazione blu (variabile) della sclera dell’occhio. Nella OI di tipo 1 viene
annullata l’espressione dell’allele responsabile della sintesi delle catene alfa-1 di
procollagene per mutazioni diverse,come delezioni o inserzioni o difetti di splicing. Ne
deriva che le catene di procollagene alfa1 si riducono del 50%, l’eccesso di catene di
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procollagene alfa2 viene degradato e quindi la quantità totale di collagene di tipo I risulterà
ridotta della metà.
L’OI di tipo 2 è una malattia molto più grave che porta alla morte entro le prime settimana
di vita: mutazioni puntiformi portano alla sostituzione di residui di glicina o a
riarrangiamenti negli alleli che codificano per il procollagene a1 e a2. Tali alterazioni
producano proteine inattive, oppure la proteine non si assemblea neanche. Ne deriva una
grande mancanza di collagene, incompatibile con la vita.
I caratteri autosomici recessivi necessitano, per potersi esprimere, della doppia dose
allelica: il fenotipo si manifesta quindi solo in omozigosi. I soggetti eterozigoti per quel
gene sono portatori del carattere ma non lo manifestano.
La fibrosi cistica o mucoviscidosi è una grave malattia disabilitante, con esisto spesso
letale,con incidenza variabile, in Europa con incidenza 1/2000, con tipica ereditarietà
autosomica recessiva.
È caratterizzata da una secrezione anomala di muco dalle ghiandole esocrine e dalla
produzione eccessiva di sale delle ghiandole sudoripare che rappresenta spesso un
parametro diagnostico. Il denso muco prodotto ostruisce dotti pancreatici, bronchiali,
spermatici e uterini. Si avranno quindi difficoltà digestive, respiratorie e diminuzione della
fertilità. La CF è causata dalla mutazione di un gene molto grande, circa 250 kb suddiviso
in 26 esoni, nella regione 7q31 che codifica per una proteina transmembrana (CFTR, 1480
aa) del plasmalemma detta “regolatore della conduttanza transmembrana”. La CFTR
regola il flusso di ioni cloro nella cellula, per cui un’anomali di questa proteina altera la
secrezione di liquidi necessari per fluidificare il muco prodotto dalle ghiandole. Le
mutazioni del gene sono di tipo missenso,frameshift,delezioni,inserzioni e di splicing.
La mutazione più comune tra gli individui affetti è una delezione di 3 nucleotidi nell’esone
10 che comporta la perdita di fenilalanina in posizione 508.
Le emoglobinopatie sono una classe eterogenea di patologie ereditarie in cui è alterata
la struttura e la funzione dell’emoglobina. Rappresentano le più comuni patologie con
trasmissione mendeliana. Si tratta di malattie che hanno un impatto notevole sulla
morbilità e mortalità umana.
Si distinguono emoglobinopatie qualitative (in cui vi sono mutazioni nelle sequenze
codificanti o regolatrici dei geni delle globine) e quantitative (mancata o ridotta sintesi di
una o più tipi di catene globiniche).
L’anemia falciforme (o drepanocitosi), descritta per la prima volta nel 1910, ha
un’incidenza di 1/500 nati nella popolazione afro-americana. È una malattia debilitante e la
terapia medica è solo di supporto. Nel circolo sanguigno vi sono eritrociti a forma di falce,
in quanto posseggono un’emoglobina anomala detta HbS che ha una solubilità inferiore
della HbA. I tetrameri di molecole HbS risultano instabili nella forma deossigenata e
quando la saturazione di O2 è inferiore a 85%, le molecole polimerizzano, formando
strutture paracristalline dette tattoidi, che precipitano all’interno dell’eritrocita. Quest’ultimo
risulta molto fragile e sopravvive poco: ciò causa anemia cronica e rallentamento della
circolazione con ostruzione del microcircolo, con effetti sistemici più o meno severi. La
terapia si avvale di frequenti trasfusioni e in casi estremi si ricorre al trapianto del midollo
osseo.
Tutto ciò è causata da una mutazione missenso, in cui una timina viene sostituita con una
adenina nel 6 codone del primo esone del gene della globina beta. Ne consegue la
sostituzione dell’acido glutammico con la valina. I due amminoacidi hanno caratteristiche
chimico-fisiche molto diverse, e l’idrofobicità e apolarità della valina crea dei siti
appiccicosi che portano i tetrameri ad aggregarsi e a precipitare,determinando la
falcizzazione del globulo rosso.
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La diagnosi certa si basa sull’elettroforesi dell’emoglobina che rileverà la presenza di HbS
con valori superiori all’80% oppure con la tecnica PCR.
Gli eterozigoti, detti portatori del tratto falcemico, sono generalmente sani ma
potrebbero presentare problemi clinici in condizioni di bassa saturazione d’ossigeno, come
in alta montagna o sott’acqua. La diagnosi prenatale si effettua tramite RFLP.
Un altro esempio di sostituzione a livello dell’esone 6 nel gene della globina beta è quello
che determina la malattia da emoglobina C, in cui l’acido glutammico è sostituito dalla
lisina. È un’anemia emolitica lieve, in quanto l’emoglobina precipita in cristalli solo ad alte
concentrazioni.
Le talassemie sono un gruppo di emoglobinopatie dovute ad un difetto di sintesi di
globina alfa o beta. La sintesi di una delle due globine può essere ridotta o assente,
causando molecole di emoglobina alterate instabili che non legano bene l’ossigeno. Le
talassemie sono diffuse principalmente nel Mediterraneo e nel Sud Est asiatico (20-30%
della popolazione è affetta).
Si conoscono due tipi di talassemie: talassemia  e talassemia . In entrambi i
casi,ereditabili come caratteri autosomici recessivi, si identificano differenti cause e negli
eterozigoti il fenotipo è spesso irriconoscibile.
Nella talassemia alfa la mancanza delle catene globiniche alfa è da ricondurre a una
mutazione (spesso crossing over ineguale) che porta alla perdita o alla delezione di uno
od entrambi i geni della globina alfa. Normalmente un individuo sano ha quattro geni alfa
funzionali; si identificano quindi le seguenti condizioni:
a) solo 1 alle deleto: talassemia alfa 2, asintomatica;
b) 2 dei 4 alleli sono deleti: talassemia alfa 1 o alfa 2, dette anche tratto alfa 0, sintomi
di scarsa rilevanza;
c) 3 dei 4 alleli deleti: il quadro è patologico, perché la globina beta in eccesso forma
dei tetrameri nei globuli rossi,formando l’emoglobina H (HbH). Comporta
anemia,emolisi frequente e splenomegalia cronica;
d) Tutti e 4 gli alleli deleti: forma gravissima di talassemia alfa,incompatibile con la
vita. La morte avviene nella fase intrauterina o neonatale in seguito all’idrope fetale
(edema generalizzato).
Le talassemia beta invece comportano un deficit della produzione delle globine beta a
causa di mutazioni nel gene beta presenta in unica copia nel cromosoma 11. La forma più
grave è detta talassemia beta maior o morbo di Cooley. È dovuta a mutazioni in entrambi
gli alleli per la globina beta che impediscono la trascrizione e la traduzione del polipeptide,
per cui nell’adulto non vi è presenza di emoglobina HbA. Tale fenotipo è denominato
talassemia beta 0. In questo caso le catene alfa formano dei tetrameri instabili che
precipitano e ostacolando la maturazione dell’eritrocita. Gli individui affetti presentano
HbA2 e HbF,che però non riescono a garantire un sufficiente apporto di ossigeno. Individui
in cui avviene la sintesi, seppur in quantità modeste, di globina beta, si dicono affetti da
talassemia beta +.
Gli individui eterozigoti sono detti invece microcitemici, perché affetti da talassemia beta
minor, in cui i globuli rossi sono più piccoli della norma e di solito non si hanno problemi
clinici.
Le cause della talassemia beta maior sono mutazioni puntiformi o piccole delezioni
nell’allele della globina beta. La regioni più colpita è il promotore; altre mutazioni nonsenso
e frameshift sono responsabili di un arresto prematuro della traduzione che produce
globine beta tronche, non funzionali.
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Il gene della globina beta nella talassemia beta 0 è mutato nel 39esimo codone, con una
transizione da C a T nel primo nucleotide: ciò determina che la tripletta CAG per la
glutammina diviene TAG che è un codone di stop.
Nella talassemia beta + invece la mutazione più frequente è la transizione da G ad A in
posizione 110 nel primo introne. Si forma una sito accettore di splicing anomalo.
La diagnosi avviene per PCR, RFLP e Southern Blot.
La fenilchetonuria è la più comune malattia pediatrica congenita,diffusa soprattutto nei
paesi occidentali. È dovuta a una carenza enzimatica e comporta aumentati livelli sierici di
fenilalanina e ritardo mentale. È dovuta alla mutazione di un gene (12q24.1). La frequenza
è di 1/10-12 mila.
La malattia è determinata da una mutazione nel gene che codifica per la fenilalanina
idrossilasi (PAH), un enzima che converte la fen. in tirosina. Si crea quindi un accumulo di
fenilalanina che,convertita in acido fenilpiruvico invece che in tirosina, ostacola il corretto
sviluppo del sistema nervoso causando ritardo mentale. Spesso gli individui affetti sono
eterozigoti composti piuttosto che omozigoti per la stessa mutazione.
L’albinismo è una malattia del metabolismo caratterizzata dall’assenza o moderata
presenza del pigmento melanina nella pelle, negli occhi e nei peli. I soggetti affetti sono
suscettibili ai carcinomi della pelle e possono avere frequenti problemi visivi (fotofobia e
diminuzione del visus).
La malattia è causata da una mutazione nel gene che codifica per una tirosinasi, che
dovrebbe convertire la tirosinasi in DOPA da cui si ottiene la melanina.
Le forme patologiche vanno dall’albinismo totale a quello parziale (in cui l’assenza di
pigmento è limitata a poche zone del corpo). Le diverse forme di albinismo si catalogano
in tirosinasi-positivo (la tirosinasi è sintetizzata ma non si produce melanina) e tirosinasinegativo (tirosinasi non sintetizzata o non funzionale,più grave).
Oggi si preferisce comunque classificare l’albinismo in 2 categorie:
o Albinismo oculocutaneo (OCA), forma autosomica recessiva.
o Albinismo oculare (OA), X-linked recessivo o autosomico recessivo a seconda dei
casi.
I diversi geni associati all’albinismo codificano vari enzimi della catena metabolica della
fenilalanina e della tirosina.
A volte è possibile constatare che un individuo i cui genitori sono entrambi albini non
mostri nessun difetto di pigmentazione: ciò è dovuto al fatto che i genitori sono affetti da
diverse forme di albinismo,ad esempio il padre tirosinasi-positivo e la madre tirosinasinegativo. Questo fenomeno si chiama “complementazione” genica.
Allelia multipla, gruppi sanguigni, sistema MN.
Esistono vari sistemi di gruppi sanguigni, il più noto dei quali è il sistema AB0. Il gruppo
sanguigno si analizza col test di agglutinazione.
Gli antigeni A e B sono catene oligosaccaridiche che si trovano sul plasmalemma degli
eritrociti, ancorate ad un lipide o ad una proteina. Gli enzimi che permettono la sintesi degli
antigeni,detti glicosiltransferasi, sono codificati dal gene 9q34 (eredità autosomica).
Gli antigeni A e B sono quasi uguali,differiscono per l’ultimo monosaccaride. Il substrato
comune è detto antigene H. La formazione di quest’ultimo è permessa da un gene
indipendente dal gene AB0. il locus che contiene il gene codificante l’enzima
glicosiltransferasi è indicato con I,e presenta tre alleli IA,IB e I0. Quest’ultimo è una forma
allelica che ha subito una mutazione frameshift nella regione codificante e porta
all’assenza di attività transferasica dell’enzima. Quindi si ha il gruppo 0 perché vi è
l’antigene H “nudo”.
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Vi sono rari casi di individui che pur possedendo alleli A o B non esprimono gli antigeni
corrispondenti: un individuo geneticamente IA-IB potrebbe apparire al test immunologico di
gruppo sanguigno 0. Questa situazione è detta “fenotipo Bombay”. Ciò è dovuto ad una
mutazione del gene H che comporta l’incompletezza della sostanza H, a cui non possono
quindi agganciarsi gli zuccheri terminali che determinano normalmente gli antigeni A o B. Il
fenotipo Bombay si manifesta in omozigosi per l’allele mutato del gene H. Questo è un
chiaro esempio di epistasi, in cui il gene H è il gene epistatico e il gene I è ipostatico.
Un altro sistema di gruppo sanguigno è il fattore Rh (da Macacus Rhesus,lo scimpanzé in
cui l’antigene fu scoperto). Vi sono individui Rh+ che presentano l’antigene Rh e individui
Rh- che ne sono privi. Questo sistema è regolato da due geni in tandem (1p34-p36). Il
primo, l’allele D, codifica per l’antigene D (o fattore Rh). Gli individui Rh negativi
presentano una delezione di questo gene in entrambi i cromosomi 1 (mutazione null).
L’altro gene codifica per gli antigeni C ed E (per splicing alternativo) e partecipa al
fenotipo Rh.
Un particolare fenomeno collegato a questo sistema è l’anemia emolitica del neonato,
condizione patologica correlata all’incompatibilità tra sangue Rh+ e Rh- che può avvenire
tra madre e figlio. Se una madre Rh- concepisce un figlio Rh+,al momento del parto la
madre si immunizza contro gli antigeni D del figlio producendo gli anticorpi specifici. In tal
caso una seconda gravidanza di un feto Rh+ potrebbe essere letale per il nascituro, in
quanto gli anticorpi anti-D possono attraversare la placenta e far agglutinare gli eritrociti
fetali. Per prevenire queste situazioni la madre può essere desensibilizzata
immunologicamente, evitando la produzione di anticorpi anti-D.
Oggi sono noti numerosi altri sistemi di gruppi sanguigni (Kell,Lewis,Kidd,MN) ad eredità
autosomica (Xg è l’unico X-linked). Quelli realmente importanti dal punto di vista clinico
sono comunque il sistema AB0 e Rh, gli unici capaci di stimolare una rilevante risposta
immunitaria.
Si ritiene però utile citare il sistema MN, usato in ambito forense. Gli antigeni M ed N non
determinano alcuna reazione anticorpale nell’uomo ma la producono nelle cavie come i
conigli. Quindi anticorpi animali anti-M ed anti-N possono agglutinare eritrociti umani. Gli
antigeni M ed N sono espressione di due alleli dello stesso locus L, presente in 2q. I due
fenotipi sono tra loro codominanti.
Eredità associata al sesso.
Il maschio è in condizione di emizigosi, quindi qualsiasi gene presente sul cromosoma X
sarà espresso (eredità diaginica), mentre la femmina ha diverse varianti fenotipiche
correlate al mosaicismo funzionale (effetto di lyonizzazione).
a) L’eredità X-linked recessiva: si esprime in entrambi i sessi ma con differente
frequenza; in genere i maschi con il carattere hanno genitori che non lo presentano;
donne con il carattere (quindi omozigoti) lo trasmettono a tutti i figli maschi; figlie
femmine di maschi con il carattere sono portatrici; ½ dei figli maschi di madri
portatrici presentano il carattere; maschi con il carattere non possono trasmetterlo
ai figli maschi; donne con il carattere sono figlie di un padre con il carattere e una
madre almeno portatrice.
b) Eredità X-linked dominante: il carattere fenotipizza nei due sessi con una
frequenza difficile da riconoscere al confronto con caratteri autosomici;
statisticamente questi caratteri fenotipizzano maggiormente nelle femmine; donne
omozigoti per il carattere generano maschi e femmine tutti con il carattere; maschi
con il carattere trasmettono a tutte le figlie il carattere; donne eterozigoti
trasmetteranno il relativo allele a metà dei figli; donne omozigoti sono figlie di un
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padre con il carattere ed una madre almeno portatrice; maschi con il carattere
generano figlie femmine con lo stesso fenotipo,mentre nessuno dei figli maschi lo
presenterà.
c) Eredità Y-linked (eredità olandrica): il carattere si manifesta solo nei maschi e
viene trasmesso di padre in figlio maschio.
Eredità X-linked recessiva.
Il daltonismo è una condizione ereditaria che comporta alterata percezione dei colori
(discromatopsia). Varia dalla totale cecità ai colori (visione in bianco e nero) alla più
frequente cecità al rosso-verde.
Tra gli individui europei circa l’8% dei maschi e lo 0,7% delle femmine sono incapaci di
distinguere il rosso dal verde.
I soggetti affetti possiedono in scarse quantità o non hanno del tutto il pigmento tipico di un
determinato tipo di coni (sono 3 tipi,percepiscono rosso verde e blu). Vi sono perciò
individui tricromati anormali (pigmento limitato e quindi alterata percezione cromatica);
dicromati (pigmento solo in due tipi di coni); monocromati o acromati (è presente solo un
tipo di pigmento o addirittura nessuno).
Gli individui affetti da daltonismo protan sono incapaci di riconoscere il rosso e le sue
tonalità; i daltonici deutan invece non percepiscono il verde e le sue gradazioni.
Queste condizioni sono determinate da mutazioni in due geni contigui, detti appunto
deutan e protan, mappati in Xq28. Per questi due geni si hanno 3 diversi alleli: selvatico,
produzione pigmento normale; mutato-non si produce il pigmento; mutato-sintesi di
pigmento alterato.
L’emofilia è una malattia che determina emorragie molto frequenti per la mancata
coagulazione del sangue a causa di vari difetti ai fattori della coagulazione. La forma più
diffusa e grave è l’emofilia A, dovuta all’assenza o non funzionalità del fattore VIII della
coagulazione. Il gene corrispondente si trova in Xq28,e le mutazioni sono per lo più
puntiformi (delezioni e inserzioni quindi frameshift,nonsense e missense.
Un difetto simile ma riguardante il gene del fattore IX causa l’emofilia B (malattia di
Christmas).
Per la diagnosi esatta della mutazione si ricorre a RFLP e PCR.
Il deficit di glucosio-6-fosfato deidrogenasi (GP6D) , spesso associato al favismo, è un
carattere patologico che comporta un’anemia emolitica dovuta all’assenza o carenza
dell’enzima G6PD, il cui gene è mappato in Xq28. Questo enzima interviene nel
metabolismo dei carboidrati; è particolarmente importante negli eritrociti dove impedisce
l’acuirsi di vari stress ossidativi.
È da notare che gli individui di sesso femminile, per il fenomeno della lyonizzazione
(eterocromatizzazione di uno dei due cromosomi X), presentano una gamma variabile di
fenotipi e quindi una funzionalità enzimatica molto variabile.
Anche nel favismo, come per l’anemia falciforme e le talassemie, l’individuo eterozigote è
“avvantaggiato” nella sopravvivenza nelle regioni malariche perché il plasmodium
falciparum si sviluppa correttamente solo in presenza dell’emoglobina non mutata HbA.
Quindi la selezione naturale permette la conservazione di questi geni mutati nelle regioni a
rischio di malaria, in quanto gli individui eterozigoti resistono bene all’infezione.
Eredità mitocondriale.
I caratteri dovuti ad alleli che mappano su geni del DNA mitocondriale sono trasmessi con
modalità matroclina o matrilineare a tutti i figli. È utile precisare che il mtDNA muta con
frequenza 20 volte maggiore rispetto al DNA nucleare,in quanto non vi sono meccanismi
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di riparazione e l’ambiente mitocondriale presenta potenziali mutageni come radicali liberi
dell’ossigeno. I geni mitocondriali sono principalmente quelli che codificano per enzimi
della catena respiratoria e le malattie correlate colpiscono i tessuti ad alto consumo
energetico,come cuore,muscoli e SNC. Si riscontra comunque una espressività molto
variabile delle patologie causate dalle mutazioni di questi geni, in quanto ogni popolazione
cellulare ha i propri mitocondri,con o senza mutazioni. Coesistono cioè diverse popolazioni
mitocondriali, normali e mutati. Questa condizione è detta eteroplasmia. Questa
eterogeneità genetica gioca un ruolo fondamentale nella manifestazione fenotipica dei
geni mitocondriali alterati. Quindi anche tra fratelli è possibile riscontrare un grado diverso
di manifestazione dell’allele mutato.
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