LA CHIESA DI SANTA MARIA DELL`ITRIA ( dal libro “Le Cento

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Salvatore Rizzeri
LA CHIESA DI
SANTA MARIA DELL'ITRIA
( dal libro “Le Cento Chiese di Randazzo” )
Il titolo di MADONNA DELL'ITRIA, come scrive il Prof. Santi Correnti a pag. 32 della sua opera "
Saggi Siciliani di storia e di letteratura " è un'abbreviazione dell'antichissimo titolo Bizantino di "
ODEGITRIA od ODIGITRIA " che, gli Imperatori di Costantinopoli, diedero alla Madonna come guida nel cammino della vita - che in italiano potrebbe tradursi come: " Madonna del Buon
Cammino ". Questo culto religioso della Madonna, prosegue il Prof. Correnti, è tipicamente
Bizantino e questa speciale devozione alla Madonna Odegitria ( o più brevemente dell'Itria ) si
diffuse in tutti i territori sottoposti ai Bizantini. In Calabria, a San Basile ( Cosenza ), esiste ancora
un Santuario mariano dedicato alla Madonna Odegitria, in cui la Vergine appare vestita come
un'Imperatrice Bizantina, con ricchissima collana e diadema regale; in Puglia, nella cripta della
Cattedrale di Bari, si venera ancora una immagine della Madonna Odegitria, che si vuole sia quella
originaria, venerata nella Chiesa degli Odeghi di Costantinopoli, e trasportata in Italia nel secolo
VIII°, durante la persecuzioni degli Iconoclasti, da due Monaci Basiliani. In Sicilia. Il culto
religioso della Madonna dell'Itria divenne assai diffuso, tanto che a Patti ( ME ) la Chiesa dedicata
alla Madonna Odegitria, viene ancora chiamata - Santa Maria dei Greci -. Altre chiese esistono in
parecchi centri religiosi della Sicilia, come a Piana degli Albanesi, ad Acireale e perfino a Roma,
dove costituitasi nel settembre del 1593 la Confraternita Siciliana intitolata a Santa Maria dell'Itria,
ebbe dal Papa Clemente VIII, in data 5 febbraio 1594, l'autorizzazione a costruire una Chiesa e un'
Ospedale su una vasta area edificabile donata alla confraternita dal Siciliano Matteo Catalani,
divenendo, una volta edificata, la " Chiesa Nazionale dei Siciliani in Roma ". 1 Anche nel territorio
di Randazzo è ormai certa la presenza dell'elemento Bizantino. In contrada " S. Anastasia " doveva
infatti sorgere un centro Bizantino che ci viene confermato non solo dal ritrovamento di numerosi
reperti archeologici conservati nel Museo Vagliasindi, ma anche da tre vistose costruzioni che,
come si è precedentemente detto, ( Cap. 1° ), con parola Araba le locali popolazioni chiamano "
CUBE ". A Randazzo ne esistono tre: La Cuba di Sant'Anastasia, La Cuba dell'Acquafredda, e
quella di Jannazzo. Esse rappresentano la testimonianza di come dovette colà fiorire un centro
Bizantino fino alle incursioni Barbaresche e fino alla invasione Araba, tempo in cui la popolazione
cercò asilo più sicuro sulle balze dell'Alcantara, luogo su cui sorge l'attuale Città. Il sito in cui si
trova Randazzo si sarebbe prestato perfettamente ai requisiti di sicurezza. Esso infatti era difeso da
due fiumi: dall'attuale Alcantara e dal così detto " Fiume Piccolo " che fino al 1536 circondava
Randazzo dalla parte di mezzogiorno, passando per il Piano di Tutti i Santi.
Era inoltre difeso a ponente non solo dall'imponente ciglione lavico su cui sorge l'attuale Castello,
ma soprattutto da una vasta palude di cui è residuo il cosiddetto "Gorgo della legname", che fu
cancellata assieme al fiume Piccolo dalla violenta e catastrofica colata lavica che il 23 Maggio 1536
ricoprì e distrusse la contrada più bella e fertile di Randazzo, la pianura dell' " Annunziata ". Su
queste posizioni, naturalmente fortificate, avrebbe trovato pace e sicurezza la popolazione
proveniente dal medio corso dell'Alcantara. Randazzo fu successivamente cinta di mura, che
migliorarono ed accrebbero notevolmente le sue possibilità di difesa; ma il crescere della
popolazione e l'espandersi della città obbligarono parte degli abitanti ad edificare nuovi quartieri al
di fuori delle mura di cinta. Sorsero così nuclei di case nell'attuale quartiere di San Vito, a Tutti
1
Santi Correnti - Saggi Siciliani di storia e di letteratura - Ed. Greco, Catania 1978
Op. cit. pag. 32 - 33.
Santi, ed altre ancora nei pressi dell'ormai scomparso Convento dei Carmelitani. Ma senza ombra di
dubbio il quartiere più importante che venne edificato al di fuori della cinta muraria, fu quello di
" SANTA MARIA DELL'ITRIA ". Esso sorgeva a nord della città, nel vallone all'interno del quale
scorrono il torrente Annunziata ed il fiume Alcantara. Si snodava lungo le balze del fiume
dall'attuale Via Pozzo, all'altezza del colle del Monastero dei Padri Cappuccini, fino al vecchio
ponte sull'Alcantara, nella zona prospiciente " Porta Pugliese ", per poi estendersi ed allargarsi nella
" Timpa di San Giovanni ". La sua importanza deriva dal fatto che esso era il quartiere commerciale
ed industriale della città, in questo favorito anche dal fatto che veniva attraversato dalla cosiddetta "
Via dei Monti ", unica strada sicura usata dalle carovane di mercanti che, per sfuggire agli assalti
dei pirati barbareschi lungo le coste, la usavano per spostarsi da Messina e dalla costra Jonica verso
l'interno della Sicilia fino a Palermo. Il suo nome dovuto oltre che alla devozione per la Madonna "
Odegitria ", il cui culto religioso era allora il più diffuso della Sicilia e accomunava veramente tutti i
Siciliani, ma anche e soprattutto perchè in detto quartiere venne edificata la chiesetta di cui
trattiamo, evidenziata anche al n. 26 della pianta litografica della città, nell'ingenuo disegno che ne
fece il canonico storico Randazzese Don Giuseppe Plumari ed Emmanuele ( 1770 - 1851 ). Tale
Chiesa era un tempo Parrocchia che amministrava i Sacramenti agli abitanti del quartiere di cui si è
detto, e che veniva più comunemente chiamato dei " Conciariotti ", proprio per la presenza di
numerose concerie. Era inoltre sede dell'omonima Confraternita, una delle più importanti della
Città. Edificata tra il XIV ed il XV secolo, ebbe vita prospera per diversi decenni fino a quando, a
seguito della disastrosa alluvione del 1682, non subì gravissimi danni. "... La tempesta trascinò via
l'intero quartiere dell'Itria, distrusse il ponte sull'Alcantara, la Chiesa di San Giovanni il vicino
molino e interrò la Fontana Grande, lasciando la città priva di acqua..." 2 A seguito di questa
catastrofe la cappella della Chiesa di San Giovanni, ormai distrutta, venne traslata in questa Chiesa,
che da allora ne prese il nome. Negli anni successivi la Chiesa perse quell'importanza che aveva
caratterizzato la sua vita fino all'evento disastroso di cui si è detto. Non più sorretta dagli aiuti degli
abitanti del quartiere, ormai distrutto, venne successivamente sconsacrata ed alienata a privati che la
adibirono agli usi più disparati. Era infatti proprietà del sig. Paolo Caldarera quando nel Luglio del
1943 venne centrata da diverse bombe d'aereo che la ridussero in macerie. Di essa rimangono solo
alcuni pezzi sparsi qua e là dei muri perimetrali, la cripta che sorgeva al centro della Chiesa
sicuramente destinata a sepoltura, nonché i resti di un deturpato affresco incorniciato all'interno di
un archetto a tutto sesto in pietra arenaria, in cui a stento distinguiamo l'immagine del Cristo, della
Vergine col bambino attorniati da Angeli, e alla base dell'affresco anime del Purgatorio che
bruciano nel fuoco eterno.3 La confraternita che da essa prendeva il nome, solennizzava come feste
proprie quella di San Biagio, ( 3 febbraio ), quella di Santa Maria dell'Itria, ( terzo giorno dopo
Pentecoste ), quella di S. Aloi ( S. Eligio, 25 giugno ), ed infine quella dell'Immacolata ( 8
dicembre ). Tanti giorni prima si iniziavano i preparativi: si comprava la cera grezza con cui uno dei
confrati modellava i grossi ceroni che servivano per la luminaria e la processione; si acquistava il
cotone ed il fiocco che veniva benedetto e poi distribuito, il giorno della festa, ai fedeli che lo
portavano a casa come reliquia. Si pensava inoltre all'addobbo della Chiesa: vi era un Sacerdote ( il
Sac. Domenico Blandini ) che affittava il necessario ( tarì 24 ). Il tamburinaio, seguito da un
codazzo di fanciulli, percorreva tutte le strade della cittadina e la gente accorreva in massa alla
Chiesa della Confraternita. E poi, il giorno della festa, nello splendore della liturgia del tempo, con
musica, tamburi e ciaramelle si portava in processione il Santo. Ma il momento più aspettato era il
lancio delle colombe: si acquistavano da sette a otto colombe e più, quando il Santo si ritirava in
Chiesa, giunto sulla soglia, da una gabbia opportunamente nascosta, si liberavano le colombe che,
spaventate dai mortaretti, prima volteggiavano intorno al Santo e quindi si perdevano nello spazio.
Cose semplicissime che fanno forse sorridere noi che siamo più raffinati di gusto, ma che allora si
2
3
S. Calogero Virzì - La Chiesa di Santa Maria di Randazzo - a cura dell'Amministrazione
Comunale di Randazzo, 1984 , op. cit. pag. 69.
S. Rizzeri - Randazzo e la sua storia - " Un quartiere scomparso: Santa Maria
dell'Itria ". Da Randazzo notizie n. 29, pag. 12 -13, maggio 1989.
godevano pienamente nella aspettativa consapevole, consacrata della lunga tradizione. Nella festa di
S. Biagio, oltre ad offrire, la mattina, ai confrati nella Sacrestia, una piccola colazione a base di
biscotti acquistati nel Monastero di San Bartolomeo, che aveva allora l'esclusiva, la sera si
distribuiva al popolo " U panuzzu di San Blasi " che veniva consumato con devozione particolare da
tutti i fedeli.
E le spese di tanto sfarzo donde si ricavavano? E' tanto curioso il mezzo per far denaro e leggendo i
documenti un sorriso non può non manifestarsi sulle nostre labbra. Oltre alle raccolte in Chiesa e
per le strade, fatte dalla " Commissione ", preceduta dai tamburinai ( tre nella festa di S. Biagio ),
lungo l'anno si ricorreva a varie industrie per raccogliere le somme necessarie. Leggo sul registro
degli introiti di detta confraternita per il 1696: " Fata raccolta per li manganelli libera, tarì 20 elemosina di seta raccolta nelli manganelli, tarì 15 ....... Sorteggio di una porcella il giorno di S.
Blasi, tarì 4..... ". Ed ancora nell'introito del 1690 - 1691: " ..... I confrati vendono una troia a
mastro Filippo Perciabosco per tarì 14 ...." e nel 1686 - 1687, " .... mezza troia per tarì 5 .... ".
Inoltre affittano n. 126 capre a Giambattista Saitta per onze 3 e tarì 30 all'anno.4
Tutte piccole industrie che assieme alle rendite dei legati che la chiesa possedeva, fornivano, le
modeste somme necessarie per l'esercizio del culto esterno della Confraternita. Sono costumi pieni
di suggestiva semplicità che ci aprono uno squarcio di quel passato glorioso della città dalle oltre
cento Chiese, in gran parte centro dell'attività religiosa delle numerose Confraternite, che con le
loro numerose feste caratterizzavano il costume di questa singolare e gloriosa cittadina " dalle molte
vite " 5
Ruderi della chiesa di S. Maria dell’Itria
4
5
A.C.S.M. :- Documenti della Confraternita di S. Maria dell'Itria Fisauli Gualtiero: Notizie storiche sulle Chiese parrocchiali di Randazzo.
Ms. presso archivio della famiglia.
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