PARALLELI
La confisca nella Grecia Antica
Verso la fine del 4° secolo a.c. in Grecia viene istituita la nuova misura legale della
confisca.
Nasce come pena accessoria per colpire soprattutto i reati politici ed è abbinata
particolarmente – come sanzione accessoria – alla condanna a morte o alla resa in
schiavitù.
Ben presto, però, la confisca divenne il mezzo più efficace per spogliare dei propri
beni le persone più ricche nei periodi di crisi economiche sia per estreme necessità in
caso di guerra, sia a seguito di disfatte belliche.
Del resto, già verso la fine del 5° secolo a.c., ad Atene in relazione ai pesanti oneri
connessi alla guerra peloponnesiaca, erano state aumentate le imposizioni fiscali,
ricorrendo alla “eìsforà” che, con ogni probabilità, era un’imposta patrimoniale
progressiva sul reddito.
Da legale punizione per reati comuni e, soprattutto politici, la confisca divenne una
delle entrate ordinarie del bilancio ateniese. Aristotele giunse perfino ad affermare
(Politica Libro V cap. IV) che si ricorreva alla calunnia per confiscare i beni dei ricchi.
Vi fu quasi un ribaltamento tra cause ed effetti in quanto si puniva al fine di poter
confiscare, invece di confiscare i beni a chi avesse violato la legge.
Va aggiunto che la confisca assunse un fine sociale, considerato che spesso il
ricavato delle confische veniva distribuito tra i meno abbienti.
Poco prima della disfatta di Cheronea (338 a.c.) Licurgo fece decretare la
condanna a morte e la confisca dei beni nei confronti di un tale che aveva guadagnato
una immensa fortuna mediante lo sfruttamento illegale di una concessione.
Il ricavato della vendita dei beni confiscati fruttò cinquanta dracme per ogni
cittadino (vedi Pseudo-Plutarco “Licurgo”).
Fu Aristotele, per fini di giustizia, a proporre di destinare al culto le proprietà
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confiscate, nell’intento di smorzare gli appetiti delle masse.
Le tante iniquità derivate dalla confisca indussero i legislatori ateniesi a differenziare il bando perpetuo che comportava la confisca dei beni, dall’ostracismo.
Fu pertanto esclusa la confisca dei beni per chi aveva subìto l’ostracismo, al fine
di evitare che i familiari innocenti di chi era stato esiliato perché divenuto inviso ai
più, subissero un danno economico.
Furono promulgate altre leggi in materia e si stabilì che la moglie della persona
soggetta a confisca aveva il diritto di ottenere la restituzione della dote, mentre alla
madre spettavano gli alimenti.
Spesso, custode dei beni confiscati veniva nominato il suocero o il genero del
condannato.
Annotava Lisia: “Il Consiglio non commette ingiustizie negli anni in cui lo Stato
dispone dei mezzi sufficienti per l’amministrazione, ma nei tempi di penuria è
costretto a raccogliere denunce, a confiscare beni dei cittadini e ad obbedire alle più
disoneste suggestioni dei retori”.
Si può affermare che la confisca è una odiosa misura costrittiva che è influenzata
dalle temperie sociali e politiche del momento.
Giovanni Cipollone
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