LE PATOLOGIE CARDIOVASCOLARI E I FATTORI DI RISCHIO Le malattie cardiovascolari costituiscono ancora oggi in Italia uno dei più importanti problemi di salute pubblica: sono infatti tra le principali cause di morbilità, invalidità e mortalità. Le patologie più frequenti sono quelle di origine aterosclerotica, in particolare le malattie ischemiche del cuore (infarto acuto del miocardio e angina pectoris) e le malattie cerebrovascolari (ictus ischemico ed emorragico). Chi supera uno di questi eventi in forma acuta diventa un malato cronico con notevoli ripercussioni sulla qualità della vita e sui costi economici che la società deve affrontare. Nel mondo muoiono ogni anno 17 milioni di persone per le malattie cardio-cerebro-vascolari, 8,2 milioni per il cancro, 4.0 milioni per le malattie respiratorie e 1,5 milioni per il diabete. Nel mondo nel 2013 sono state registrate oltre 3,7 milioni di morti tra gli uomini, e oltre 2.1 milioni di morti tra le donne, a causa delle malattie cardiocerebrovascolari nella popolazione tra i 30 e i 70 anni. In Italia, secondo i dati del 2014 forniti dall’Istituto Superiore di Sanità, ben 127.000 donne e 98.000 uomini muoiono ogni anno per ictus e per malattie del cuore, tra cui infarto e scompenso; inoltre, molte di queste morti avvengono prima dei 60 anni di età. Ipertensione arteriosa È la condizione in cui il cuore deve vincere un aumento delle resistenze periferiche, correlate a un aumento della rigidità delle grandi arterie ed esercita quindi sulle pareti arteriose e sui tessuti degli organi una pressione superiore ai valori normali di riferimento. Se trascurata, può provocare danni irreversibili al cuore (favorendo un infarto) e ad altri organi come il cervello (scatenando un ictus) e i reni (insufficienza renale). Secondo quanto rilevato dall’Istituto Superiore di Sanità, in Italia questa patologia colpisce in media il 33% degli uomini e il 31% delle donne, di età compresa tra i 35 e i 75 anni; ma può manifestarsi anche in età più giovane, soprattutto se associata ad altre patologie come eccesso di peso o obesità e diabete. Il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari cresce con l’aumentare dei valori pressori. Quando i valori massimi e minimi (pressione sistolica e pressione diastolica) sono uguali o superiori a 130/85 mmHg, si parla di ipertensione arteriosa, mentre la pressione ottimale è quella con parametri al di sotto di 130 per i valori massimi e al di sotto di 85 per i valori minimi nei soggetti senza pregressi eventi cardiovascolari, diabete o insufficienza renale. In molte persone il disturbo non provoca sintomi per anni e spesso gli individui si accorgono di essere ipertesi solo a seguito di un controllo medico o quando sopraggiungono problemi o patologie più significativi. L'ipertensione arteriosa può essere classificata in primaria e secondaria. Nell'ipertensione arteriosa primaria, che rappresenta circa il 95% dei casi di ipertensione, non esiste una causa precisa, identificabile: gli elevati valori pressori sono il risultato dell'alterazione dei meccanismi complessi che regolano la pressione (sistema nervoso autonomo, sostanze circolanti che hanno effetto sulla pressione). Nel restante 5% dei casi, invece, l'ipertensione è la conseguenza di malattie, congenite o acquisite, che interessano i reni, i surreni, i vasi, il cuore e per questo è definita secondaria. In questi casi, l'identificazione e la rimozione delle cause può accompagnarsi alla normalizzazione dei valori pressori. A differenza dell'ipertensione arteriosa primaria, che in genere interessa la popolazione adulta, l'ipertensione secondaria può manifestarsi anche in persone più giovani e spesso si caratterizza per valori di pressione elevati e difficilmente controllabili con la terapia farmacologica. Tra i fattori di rischio noti che possono favorire l’ipertensione vi sono: familiarità, età, sovrappeso, diabete, fumo e alcol, squilibrio di sodio e potassio, stress e sedentarietà. Dislipidemia: colesterolo e trigliceridi Il colesterolo è un lipide necessario al corretto funzionamento dell’organismo: è un costituente delle membrane delle cellule e quindi è coinvolto nel loro percorso vitale e partecipa alla sintesi di alcuni ormoni e della vitamina D. Viene sintetizzato nel fegato, ma può essere introdotto anche con la dieta: è contenuto, per esempio, nei cibi ricchi di grassi animali, come carne rossa, burro, salumi, formaggi, tuorlo dell’uovo, fegato. È, invece, assente in frutta, verdura e cereali. Il colesterolo viene trasportato nel sistema vascolare, dove si ha una circolazione continua di tale elemento tra il fegato e le pareti arteriose in un processo di andata e ritorno. Quando questa circolazione, in seguito a modificazioni biologiche in termini di quantità, si accentua, una quota di colesterolo può depositarsi nella parete delle arterie formando delle accumuli di grassi che in alcune condizioni, legate prevalentemente all’età o anche a condizioni genetiche particolari, provocano una reazione del tessuto della parete arteriosa fino alla formazione di placche (strie lipidiche) difficilmente rimovibili che rappresentano la base dell’aterosclerosi, e che in base alla modificazione chimica locale possono arrivare a irrigidire la parete arteriosa e anche in alcuni casi a calcificarsi (arteriosclerosi). Il livello desiderabile del colesterolo totale nel sangue è inferiore ai 200 mg/dL. Il livello desiderabile di colesterolo 'buono' o HDL è maggiore di 40 (uomo)-45 (donna) mg/dL, mentre il target di colesterolo 'cattivo' o LDL (le lipoproteine a bassa densità che trasportano il colesterolo all’interno delle cellule) dovrebbe essere ridotto sotto i 100 mg/dL nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare in prevenzione primaria. L’obiettivo di colesterolo LDL dovrebbe essere invece inferiore a 70 mg/dL nei pazienti a rischio molto alto, che hanno già avuto un evento cardiovascolare, come infarto o angina, oppure cerebrovascolare, come l’ictus. L’Istituto Superiore di Sanità stima che il 21% degli uomini e il 25% delle donne italiane siano affetti da ipercolesterolemia familiare e più di un terzo della popolazione nazionale è a limite della soglia di rischio. I trigliceridi rappresentano la principale riserva energetica dell'organismo, in quanto è sotto questa forma di lipidi che i nutrienti vengono depositati nel tessuto adiposo e in parte utilizzati dal fegato per la formazione di altre sostanze utili all’organismo. Alti livelli di trigliceridi nel sangue contribuiscono ad alzare i valori di colesterolo ‘cattivo’ LDL. Livelli di trigliceridi inferiori a 150 mg/dL sono considerati “normali”, trigliceridi compresi tra 150 e 200 mg/dL sono considerati “al limite” (borderline), tra 200 e 400 mg/dL sono considerati “elevati”. Ipercolesterolemia familiare In Italia, si stima che un numero di persone compreso tra 120-300mila siano portatrici di un’alterazione genetica che causa una grave ipercolesterolemia. L’alterazione colpisce principalmente il gene che codifica per il recettore delle LDL. Questo recettore si trova sulla superficie della cellula ed ha il compito di “catturare” le particelle di colesterolo LDL, rimuovendole dal sangue. Con l’alterazione del gene, i recettori non sono in grado di rimuovere in modo adeguato il colesterolo LDL dal sangue. È possibile ereditare un solo gene difettoso da uno dei due genitori (in questo caso, si parla di ipercolesterolemia familiare eterozigote) oppure due geni alterati da entrambi i genitori (ipercolesterolemia familiare omozigote). Quest’ultimo caso è molto raro, colpisce, infatti, circa una persona su un milione, ma ha conseguenze molto più gravi delle forme eterozigoti. L’ipercolesterolemia familiare eterozigote (HeFH), invece, è la forma genetica grave più comune: colpisce da 1 persona su 500 fino a 1 persona su 200. Si stima che le persone affette da HeFH siano tra i 14 milioni e i 34 milioni in tutto il mondo e tra 120.000 e 300.000 nel nostro Paese. La diagnosi di ipercolesterolemia familiare può essere fatta clinicamente, sulla base dei seguenti fattori di rischio di possibile FH: Livelli di colesterolo LDL (LDL-C) molto alto: oltre 190 mg/dL (in assenza di trattamento) Livelli di colesterolo totale molto alto: oltre 240, ma spesso oltre 270/280 mg/dL (in assenza di trattamento) Segni clinici caratteristici della malattia, come accumuli di colesterolo nei tendini delle mani, o nel tendine del tallone (il tendine di Achille) noti come xantomi o ancora attorno agli occhi (xantelasmi) Storia personale e/o familiare di malattie cardiache o vascolari precoci, prima dei 55 anni (uomo) e dei 60 anni (donna) Presenza di FH accertata nei genitori, fratelli e sorelle, figli Nel 10-20% di individui con FH, il livello di colesterolo LDL non è sempre eccessivamente alto. Non si è ancora stabilito con certezza se i portatori della mutazione FH che presentano valori di colesterolemia normali corrono un rischio maggiore di sviluppare malattie cardiovascolari rispetto alla popolazione generale. Fondamentale è la tempestività della diagnosi: se una persona è colpita da ipercolesterolemia familiare i suoi parenti più prossimi (genitori, fratelli, sorelle, figli) hanno il 50% di probabilità di aver anch’essi ereditato la malattia. Negli individui con ipercolesterolemia familiare, il rischio cardiovascolare è sensibilmente più alto rispetto alle persone sane o con livelli di colesterolo elevato, ma non ereditario. Tale rischio aumenta con l’aumentare dei livelli di colesterolo LDL ed è amplificato dalla presenza di altri fattori, quali diabete e ipertensione. Una persona con ipercolesterolemia familiare omozigote (HoFH) raggiunge il livello soglia per lo sviluppo di patologie cardiovascolari (dato dall’esposizione prolungata ad elevati livelli di LDL-C) già durante l’infanzia o la prima adolescenza. Questi sono livelli che una persona con HeFH raggiunge attorno a 35 anni e una persona senza FH attorno a 55-60 anni. Un paziente con HeFH non trattata presenta, quindi, un rischio di infarto o di ictus cerebrale, in età precoce, di circa 20 volte superiore rispetto alla media della popolazione. E’ importante tenere presente che un adeguato controllo della colesterolemia, attraverso opportune misure dietetiche e farmacologiche e un corretto stile di vita, può ridurre sensibilmente il rischio di malattie cardiovascolari anche gravi. Scompenso e insufficienza cardiaca Si verifica quando il cuore non riesce più a fare circolare la quantità di sangue necessaria alle funzioni dei diversi organi e tessuti. Può coinvolgere inizialmente il solo ventricolo sinistro, ma con il tempo tutto il muscolo cardiaco verrà interessato. Se il cuore non pompa il sangue con la dovuta forza, le aree periferiche del nostro organismo non ricevono sufficiente ossigeno. Aterosclerosi L’aterosclerosi è caratterizzata da depositi di colesterolo nella parete arteriosa, e dalla reazione tissutale locale, con la formazione di addensamenti o placche che possono determinare un ispessimento non elastico della parete, a sua volta responsabile di un restringimento del lume e a volte della completa occlusione del vaso. Tale ispessimento della parete, in alcuni casi anche con la deposizione di sali di calcio, comporta un irrigidimento della parete ed è una delle cause della arteriosclerosi. Se questi fenomeni si presentano a livello delle arterie coronarie (quelle che riforniscono il cuore di ossigeno) può svilupparsi una angina pectoris o un vero e proprio infarto; se la lesione, invece, si verifica nei vasi che portano il sangue al cervello, si verifica un ictus ischemico. Angina pectoris L’angina pectoris può verificarsi quando il flusso ematico nelle coronarie viene fortemente rallentato, o quando il flusso ematico non porta sufficienti quantità di sangue alla muscolatura del cuore. Questo può avvenire quando le coronarie sono solo parzialmente ostruite e il flusso non si arresta completamente. Si manifesta con un dolore acuto al torace che è causato da una richiesta di sangue maggiore rispetto alle condizioni di base, come durante un’attività fisica, uno stress, da emozioni forti o da sbalzi anomali di temperatura; in alcuni casi l’angina si manifesta anche in condizioni di riposo della persona, come nel sonno per esempio. Infarto L’infarto di solito si presenta in modo acuto ed intenso. A volte può manifestarsi in modo subdolo con poco dolore, un lieve malessere. Nelle crisi acute, il sintomo principale è un forte dolore al centro del torace che persiste più di 20 minuti o è ricorrente. Può essere avvertito un senso di oppressione, un bruciore o una morsa al petto. La sensazione di dolore può irradiarsi alle braccia, alla spalla sinistra, ai gomiti, alla mascella ed alla schiena. È possibile che si avvertano altri sintomi come respiro corto, nausea, vomito, pallore, debolezza, sudori freddi. Con una certa frequenza nella donna tali sintomi non esistono o non sono così marcati e a volte il dolore compare in aree diverse come nel retro del torace. L’infarto acuto può essere provocato dalla rottura di una placca aterosclerotica e dalla conseguente formazione di un trombo ricco di piastrine e di fibrina che porta all’immediata occlusione totale di un’arteria coronarica. Come conseguenza si ha la necrosi o morte del tessuto muscolare irrorato dall’arteria ostruita. Nei casi più gravi può complicarsi sino al collasso cardiocircolatorio e alla morte. Ictus L'ictus (‘colpo’ in latino) è una lesione cerebrovascolare causata dall'interruzione del flusso di sangue al cervello. L’ictus è causato da ischemia (ictus ischemico) o da emorragia (ictus emorragico). Quando un'arteria che porta sangue al cervello, o una sua diramazione in tale organo, si rompe o si ostruisce interrompendo il flusso di sangue, le cellule cerebrali private di ossigeno e dei nutrimenti necessari, anche solo per pochi minuti, cominciano a morire. Le cellule cerebrali danneggiate dalla lesione iniziale causata dall'ictus innescano una reazione a catena con edema reattivo circostante che porta a sofferenza le cellule cerebrali anche in una vasta area circostante. Poiché la rigenerazione delle cellule cerebrali è un percorso molto lungo nel tempo e necessita di condizioni locali estremamente difficili da mantenere, il danno causato dall'ictus è permanente. A seconda della parte del cervello colpita, l'ictus può avere come conseguenze la paralisi delle aree muscolari collegate e la perdita di alcune funzioni (la parola, la visione o la memoria). L’ictus è la prima causa di invalidità negli adulti, può portare al coma o alla morte e si manifesta sovente come evento acuto, specie in soggetti affetti da ipertensione grave non adeguatamente trattata. L'ictus ischemico più comune è l'ictus trombotico o trombosi cerebrale. In questo tipo di ictus, all'interno di una arteria cerebrale si forma un coagulo di sangue o trombo la cui presenza può interrompere completamente il flusso sanguigno a valle. I trombi si formano molto spesso in vasi sanguigni danneggiati dall'aterosclerosi. In altri casi un coagulo di sangue o embolo, che si è formato in un'altra parte del corpo, solitamente nel cuore, può immettersi nel flusso sanguigno e arrivare a incastrarsi in una arteria cerebrale. Si scatena così un ictus embolico. L’ ictus emorragico rappresenta nel nostro paese il 15% di tutti gli ictus ma è spesso più grave e potenzialmente fatale perché si verifica quando un’arteria cerebrale si rompe. Le cause possono essere diverse: brusco aumento della pressione arteriosa, rottura di un aneurisma, cioè di una porzione della deformazione patologica (allargamento) della parete di un'arteria, anomala coagulazione del sangue, per esempio in seguito a trattamento con farmaci anticoagulanti. I segnali premonitori dell'ictus possono essere: debolezza unilaterale, torpore, o paralisi di faccia, gamba e braccia, improvviso annebbiamento o calo della vista in uno o in entrambi gli occhi, difficoltà di espressione o di apprendimento di semplici frasi, vertigini, perdita di equilibrio o perdita della coordinazione, specialmente quando combinate con un altro sintomo, improvvisa e inspiegabile emicrania.