ebola: cronistoria di un ritardo, un`esperienza sul campo

 Commentary,16ottobre2013
EBOLA: CRONISTORIA DI UN RITARDO,
UN’ESPERIENZA SUL CAMPO
GABRIELE EMINENTE
D
a quando, nei primi mesi dell’anno, il virus
Ebola ha fatto la sua comparsa nella regione
dell’Africa occidentale, 4.500 sono stati i
decessi registrati e 9.000 il numero totale dei casi
(confermati, probabili e sospetti) secondo i dati diffusi
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Dalla Guinea, dove l’epidemia è stata confermata per
la prima volta il 22 marzo 2014, il virus si è rapidamente diffuso in Liberia, Sierra Leone e, con
un’estensione contenuta, in Nigeria e Senegal. Travalicando il continente Africano, Ebola è persino arrivata
negli Stati Uniti, Spagna e Germania anche se con una
trasmissione localizzata e casi sporadici.
©ISPI2014 L’Ebola è apparso per la prima volta nel 1976 simultaneamente a Nzara, in Sud Sudan, e a Yambuku, nella
Repubblica Democratica del Congo. L’ultimo caso di
quell’anno venne registrato in un villaggio vicino al
fiume Ebola, da cui la malattia ha preso il nome.
L’Ebola è un’infezione virale ad altissima letalità ed
estremamente contagiosa. Può uccidere fino al 90%
delle persone che lo contraggono. Il serbatoio naturale
del virus Ebola resta ancora sconosciuto ma sembrerebbe essere un tipo di pipistrello o altri animali che
vivono nella foresta. Non accade spesso che le persone
contraggano il virus dal contatto con animali infetti ma
una volta contagiate, si ammalano gravemente e possono trasmettere l’infezione ad altri esseri umani. Ci
sono cinque ceppi diversi del virus Ebola: Bundibugyo,
Ivory Coast, Reston, Sudan e Zaire, così chiamati a
seconda del rispettivo luogo di origine. Quattro di
questi cinque ceppi causano la malattia negli esseri
umani. Il sottotipo Reston, invece, non è patogeno per
l’uomo.
La portata attuale dell’epidemia non ha precedenti in
termini di aree geografiche coinvolte, casi registrati e
tasso di mortalità. È la prima epidemia di Ebola che
coinvolge simultaneamente diversi paesi, che colpisce
i contesti urbani e che conta un numero di casi e di
morti 3 volte superiore a quelli notificati globalmente
nelle diverse epidemie riportate dal 1976 a oggi. Il
numero dei contagi continua ad aumentare esponenzialmente rendendo ancora più complicata la ricostruzione dei contatti, e quello che all’inizio sembrava un
problema locale si è trasformato in una crisi umanitaria
internazionale. La magnitudine della crisi non tocca
solamente il settore sanitario ma coinvolge le fonda-
Gabriele Eminente, Medici senza Frontiere, Sierra Leone
Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI. Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo. 1 commentary
Tra i diversi paesi coinvolti in quest’epidemia, il contagio è avvenuto più frequentemente tra il personale
sanitario per la mancanza di misure igieniche e di
protezione (maschera, camice, guanti, occhiali) e tra i
familiari del malato per l’elevata probabilità di contatti.
Inoltre il contatto diretto con i defunti durante le cerimonie di sepoltura probabilmente ha avuto un ruolo
non trascurabile nella diffusione della malattia nei
paesi colpiti. Strutture sanitarie insufficienti, mancanza di controlli e di servizi di sorveglianza epidemiologica adeguati hanno fatto il resto. Non esiste
alcun trattamento specifico per curare questa malattia
né un vaccino che abbia un’efficacia comprovata sugli
esseri umani e sia registrato per l’utilizzo sui pazienti.
Organizzazioni come Msf, riducono il tasso di mortalità curando i sintomi, in particolare vengono tenuti
sotto controllo l’idratazione del paziente, il mantenimento di un adeguato livello di ossigenazione e di
pressione arteriosa, vengono somministrati antibiotici
in caso di infezioni e complicazioni e viene fornita
un’alimentazione altamente nutritiva. Il supporto terapeutico offerto, a volte, aiuta il paziente a sviluppare
una risposta immunitaria sufficiente per superare la
malattia.
menta stesse delle società minandole profondamente.
Medici Senza Frontiere (MSF), presente sia nei tre
paesi maggiormente colpiti dal virus, Guinea, Liberia e
Sierra Leone, sia in Nigeria e Senegal, dove l’epidemia
è stata contenuta, ha più volte invocato un intervento
massiccio della comunità internazionale per tentare di
arginare l’epidemia ed evitare che i già fragili sistemi
sanitari collassassero definitivamente.
©ISPI2014 Msf costruisce e gestisce centri di isolamento per il
trattamento dei pazienti affetti dalla malattia, installa
camere di decontaminazione tra i pazienti in isolamento e l’ambiente esterno, cura i pazienti per limitare
la diffusione del contagio, supporta i Ministeri della
salute locali nell’attività di sorveglianza epidemiologica, invia i propri esperti tra le comunità locali per
definire la mappatura dei contatti, sensibilizza le comunità sulla diffusione della malattia e sulle misure
igienico-sanitarie da adottare, forma gli operatori sanitari locali. L’assistenza ai pazienti è affidata a personale esperto e formato sulle tecniche di isolamento
necessarie, sull’utilizzo di dispositivi di protezione e
sul rispetto scrupoloso delle norme di comportamento
in tutte le fasi dell’assistenza al malato. Le equipe di
MSF hanno trattato complessivamente circa il 60% dei
casi registrati. Hanno ricoverato più di 4.200 persone,
di cui circa 2.400 sono risultate positive all’Ebola. Più
di 1000 sono guarite.
In mancanza di farmaci e vaccini la prevenzione si
affida, quindi, al rispetto delle misure igienico-sanitarie, alla capacità di una diagnosi clinica e di
laboratorio precoci e all’isolamento dei pazienti e dei
contatti ad alto rischio. Per limitare l’epidemia e identificare la catena di trasmissione, Msf effettua la ricerca attiva di tutti gli individui che sono entrati in
contatto con i malati sui quali viene istituita una sorveglianza sanitaria per le 3 settimane successive
all’ultimo contatto, a cui segue il ricovero e
l’isolamento al primo segnale d’infezione. Anche in
caso di semplice sospetto, il paziente viene isolato.
I nostri operatori entrano nella zona di isolamento
sempre in coppia per controllarsi vicendevolmente e
indossano dei dispositivi di protezione individuale
(tuta completa, doppio paio di guanti, occhiali protettivi, maschera che copre l’intera superficie del volto,
stivali). All’ingresso e all’interno delle unità sono
predisposte taniche di acqua clorata per il lavaggio
delle mani e dei piedi che deve avvenire in ogni passaggio della visita del malato e per evitare la contaminazione con altre aree. Nella zona che precede la
stanza di isolamento l’operatore si veste e si sveste
con accortezza gettando il materiale monouso nel
sacco dei rifiuti speciali. Rigide sono anche le procedure per lo smaltimento dei rifiuti, dei fluidi biologici e
la disinfezione di tutti gli strumenti utilizzati.
Questa epidemia e la sua sorprendente rapidità di diffusione ci ricordano come la salute sia da considerarsi
un problema globale; impossibile disinteressarsene
solo perché accade in un altro continente. La lenta e
inadeguata risposta della comunità internazionale ha
amplificato le dimensioni di un dramma che poteva
essere contenuto. Fin da marzo, Medici Senza Fron-
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tiere ha lanciato numerosi allarmi sulla portata senza
precedenti dell’epidemia, chiedendo la mobilitazione
della comunità internazionale; appelli per troppo
tempo sottovalutati dalla stessa OMS. Per ben due
volte il presidente internazionale di MSF Joanne Liu si
è rivolta agli Stati Membri delle Nazioni Unite per
chiedere di agire rapidamente per fermare l’epidemia.
A oggi, alcuni paesi si sono impegnati con risorse
umane ed economiche ma le tante promesse ancora
faticano a concretizzarsi.
Ora è importante reagire prontamente, inviare personale sanitario esperto per curare i malati e rintracciare i
casi sospetti, inviare materiale medico e dispositivi di
protezione, far fronte alle altre sfide sanitarie che vedono molte persone affette da malattie curabili morire
per la mancanza di accesso alle cure e la chiusura dei
centri di salute. I paesi colpiti vanno supportati,
l’isolamento va scongiurato per non compromettere lo
sforzo degli aiuti internazionali e non aggravare la
frattura sociale ed economica. L’impatto di questa
epidemia si protrarrà ben oltre la sua fine, i sistemi
sanitari avranno bisogno di essere ricostruiti e la fiducia ristabilita, la sorveglianza epidemiologica ridefinita, le perdite economiche risanate.
©ISPI2014 La ricerca clinica, finalmente avviata, di terapie e di un
vaccino è ancora in una fase iniziale; eventuali nuovi
prodotti non arriveranno in tempi utili per moltissime
persone e in ogni caso non potranno prescindere da un
approccio alla malattia più globale e fin qui sottolineato, ovvero la sensibilizzazione alle comunità, la
ricostruzione dettagliata dei contatti, il ricovero immediato dei pazienti sospettati di aver contratto
l’Ebola presso centri specializzati nel trattamento e un
coordinamento efficace della risposta. Per questo
servono risorse immediate che aiutino ad arginare
l’epidemia e a supportare i sistemi sanitari della regione colpita. È un obbligo morale e una responsabilità
cui non ci si può sottrarre. La salute del continente
africano è anche la nostra salute.
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