a cura di G. Pieranti IL TEATRO MUSICALE DALLE ORIGINI AL SETTECENTO Fig. 1 Caravaggio, Concerto, 1595. Olio su tela, 87,9x115,9 cm. New York, The Metropolitan Museum of Art, Roger Fund. A. FIRENZE 1600: LA NASCITA DEL DRAMMA IN MUSICA Melodramma, opera in musica, opera lirica o soltanto opera sono alcuni dei termini con i quali si intende una forma di spettacolo nella quale l’azione teatrale viene realizzata attraverso la musica, la poesia, la recitazione, l’arte scenografica e, non raramente, anche la danza. Sebbene si abbiano precedenti di rappresentazioni sceniche in cui si trovano fusi in un’unica espressione arti- © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS stica parola e musica (dalla tragedia classica al dramma liturgico medievale), in nessuna di queste forme si può rintracciare una sostanziale continuità con il melodramma moderno, se non l’elemento rituale della festa, religiosa, civica, aristocratica o principesca, nella quale diversi linguaggi espressivi, prima separati, collaborano alla messa in scena dello spettacolo celebrativo. Vol. 2 - Cap. 7 - Il teatro musIcale dalle orIgInI al settecento 1 Fig. 2 Nicolas Poussin, Paesaggio con Orfeo ed Euridice, 1649-1651. Olio su tela, 120x200 cm. Parigi, Museo del Louvre. 2 A Firenze, il 6 ottobre 1600, in occasione delle nozze per procura tra Maria de’ Medici ed il re Enrico IV di Francia, nelle stanze di don Antonio de’ Medici a Palazzo Pitti si tenne un nuovo genere di spettacolo nel quale si trovavano fusi in un’unica espressione artistica il canto, la poesia, la recitazione e la scenografia. La “favola per musica”, questa la denominazione originaria del melodramma, si intitolava Euridice e nasceva dalla collaborazione tra il poeta Ottavio Rinuccini (1564-1621) e il musicista Jacopo Peri (1561-1633), con la partecipazione, se pur in misura minore, di un altro musicista, Giulio Caccini (1560-1618). L’Euridice è la prima composizione teatrale interamente cantata e concepita come spettacolo autonomo. La storia narra la vicenda di Orfeo, il leggendario cantore tracio che, in virtù della bellezza del proprio canto, riesce a placare le divinità infernali e a ricondurre dal regno dei morti la sposa amatissima. La scelta del soggetto risolveva il problema della verosimiglianza, in quanto giustificava il canto sulla scena (come sarà per gli altri ricorrenti protagonisti dei primi melodrammi: Apollo dio della musica o le ninfe e i pastori d’Arcadia); la figura di Orfeo inoltre veniva fatta rivivere “perché manifestasse sul palcoscenico il potere magico della musica, la quale, se posta al servizio d’amore, può agire sulla natura e vincere l’in- Vol. 2 - Cap. 7 - Il teatro musIcale dalle orIgInI al settecento ferno” (L. Spitzer). Con la rappresentazione delle vicende di Orfeo il melodramma celebra se stesso e annuncia la propria poetica temperata, sospesa fra tragedia e commedia, che rifiuta il terrore e gli eccessi a favore, come afferma il prologo dell’opera, di “meste e lagrimose scene” che destino “ne i cor più dolci affetti”. Ad accrescere il senso stupefatto di meraviglia negli spettatori concorrevano le scenografie di Ludovico Cigoli e la messinscena di cui abbiamo la testimonianza diretta di Michelangelo Buonarroti il Giovane: “Il magnifico apparato in degna sala dopo le cortine fra l’aspetto di un grand’arco, e di due nicchie da fianchi suoi, entro le quali la poesia e la pittura con bell’avviso dello inventore vi erano istatue, mostrava selve vaghissime, e rilevate, e dipinte, accomodatevi con bel disegno: e per lumi ben dispositivi piene di una luce come di giorno”. Il melodramma è, quindi, tipico prodotto del gusto barocco in quanto spettacolo inteso come forma totale di espressione, cui collaborano in unità coerente più arti (la poesia, la musica e la scenografia), ma anche perché, in tal modo, esso realizza compiutamente quella teatralizzazione degli affetti e delle emozioni che la nuova estetica andava riconoscendo quale strumento essenziale per meravigliare, commuovere, coinvolgere e soggiogare il pubblico. © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS Fig. 3 Bozzetto per L’amico fido di Giovannni de’ Bardi. Firenze, Biblioteca Nazionale. © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS Origine, estetica e caratteri del melodramma L’Euridice di Peri fu l’ultimo risultato di una lunga elaborazione teorica, musicale e anche estetica che aveva portato a rivedere l’intera tradizione musicale precedente e a rinnovarne i contenuti. Contributo fondamentale alla nascita del melodramma fu l’attività di un gruppo di musicisti e letterati (oltre a Ottavio Rinuccini collaborarono, tra gli altri, Gabriello Chiabrera e Girolamo Mei) che, raccolti attorno alla figura del conte Giovanni de’ Bardi, diedero vita nell’ultimo quarto del XVI sec., alla cosiddetta Camerata fiorentina: oltre a Peri e Caccini vanno ricordati almeno Vincenzo Galilei (1520-1591), che formulò i principi estetici del gruppo nel Discorso della musica antica e della moderna (1581), ed Emilio de’ Cavalieri (1550-1620) autore della Rappresentazione di anima e corpo (1600), una specie di sacra rappresentazione in cui venivano utilizzati gli stessi procedimenti musicali dell’Euridice. Questi intellettuali, nel perseguire il progetto di ridare vita alla concezione musicale degli antichi greci e soprattutto all’uso che essi ne avevano fatto nella tragedia, giunsero a teorizzare e poi a sperimentare uno scarno stile di canto monodico tendente a “imitare [...] chi parla e [che] usasse un’armonia che, avanzando quella del parlare ordinario, scendesse tanto dalla melodia del cantare che pigliasse forma di cosa mezzana” (J. Peri). La purezza e la semplicità del recitar cantando venivano opposte polemicamente alla complessità degli intrecci delle regole, all’alta elaborazione tecnica della polifonia che, privilegiando le ragioni formali, sacrificava il testo poetico e, quindi, ogni possibilità di effetto sul pubblico: il canto monodico, infatti, fu interpretato dai musicisti della Camerata de’ Bardi come la possibilità di rappresentare attraverso la musica le emozioni del testo e suscitare nello spettatore affetti e sentimenti. Questa concezione della musica, come strumento capace di toccare le varie corde del cuore umano, è la grande, rivoluzionaria novità dell’epoca che si porta dietro anche l’altrettanto rivoluzionaria inversione del rapporto fra musica e poesia. Se, infatti, la polifonia contrappuntistica privilegiava il linguaggio musicale rispetto a quello verbale e considerava, come dice Monteverdi, “l’armonia non comandata ma comandante, e non serva, ma signora dell’oratione”, ecco che, invece, i musicisti fiorentini, e sulla loro scia i compositori del pieno Seicento, sostengono che la musica debba assumere un ruolo di subordinazione nei confronti della poesia e abbia il compito, attraverso la naturalezza e la razionale classicità della monodia accompagnata, di descrivere i contenuti espressivi del testo poetico, col fine di “muovere gli affetti”. L’elemento figurativo-scenico, in quanto integra testo, azione e suono, collabora a Vol. 2 - Cap. 7 - Il teatro musIcale dalle orIgInI al settecento 3 Fig. 4 Jacques Callot da Giulio Parigi, Il teatro mediceo degli Uffizi, 1617. Incisione. Firenze, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe. Rappresentazione dell’Intermedio della Liberazione di Tirreno ed Arnea. questa drammatizzazione delle emozioni e dei sentimenti che dominano la scena, ma ancora più importante è, in questo senso, l’affermarsi del moderno linguaggio tonale poiché, come afferma lo storico di estetica della musica Enrico Fubini, “esso si è rivelato come il più consone a tradurre musicalmente i conflitti emotivi tra i personaggi del melodramma, ad evidenziare le loro tensioni interiori, a sottolineare e rappresentare le azioni drammatiche che si svolgono sulla scena e ad indicare la via musicale per la soluzione dei conflitti e la pacificazione finale”. Tonalità, subordinazione della musica al testo, teoria degli affetti, monodia, spettacolarità sono quindi gli elementi che con- 4 Vol. 2 - Cap. 7 - Il teatro musIcale dalle orIgInI al settecento corrono a generare i primi esperimenti di melodramma. Spettacoli teatrali di canto si erano già avuti con gli intermedi, inseriti tra un atto e l’altro di tragedie o commedie rappresentate in occasioni di fastose celebrazioni di corte, come ad esempio quelle delle nozze di Cosimo I de’Medici (1539) o di Francesco I de’ Medici (1579), ma in questi casi si era adottato come stile di canto il madrigale polifonico. Nell’Euridice del 1600 si ha, invece, lo stile del recitar cantando, pensato dalla Camerata fiorentina specificamente per il teatro: questo tipo di canto diventerà poi elemento fondamentale dell’opera lirica italiana e si diffonderà in Europa con il nome di recitativo. Certamente per evitare la monotonia che sareb© ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS Fig. 5 Guido Reni, Bacco e Arianna, 1619-1621. Olio su tela, 96,5x86,3 cm. Collezione privata. be derivata da un uso continuato dello stile recitativo, fin dai primi melodrammi si ebbe cura di rompere la declamazione con brevi momenti di canto dalla musicalità distesa, melodiosa, elegante e semplice che successivamente prese il nome di aria. Sempre per ottenere una rappresentazione drammaturgicamente varia, ai recitativi e alle arie si aggiungevano anche cori, danze e passaggi solo strumentali. L’orchestra degli esordi è, eccezion fatta per alcune scene, affidata a pochi strumenti, come il clavicembalo e il chitarrone, che dovevano sostenere e accompagnare il canto. Diffusione del melodramma e Monteverdi Agli esperimenti di dramma in musica di Peri e Caccini ne seguirono altri fedeli allo stile recitativo della Camerata de’ Bardi, come la Dafne (1608) e la Flora (1628) di Marco da Gagliano (1582-1643); tuttavia, © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS diffondendosi fuori Firenze, in città come Mantova, Bologna, Venezia, Parma, l’opera teatrale si andò affrancando dal modello originario e assunse caratteristiche locali peculiari. Ad esempio, a Roma l’opera (si ricordino prima di tutto Sant’Alessio del 1632 di Giulio Rospigliosi, poi divenuto papa con il nome di Clemente IX, e la più tarda Tancia ovvero il podestà di Colognole del 1657 di Jacopo Melani su libretto di Moniglia) si distingue per la ricercatezza della linea melodica che comporta la predilezione di arie e duetti, per l’uso frequente del coro e della danza e soprattutto per la tendenza alla mistione dei generi comico e patetico e alla spettacolarità che si avvale del sapere di artisti come il Bernini. Ma è con Claudio Monteverdi (15671643) che il melodramma segna una nuova importante tappa di evoluzione. Il grande compositore, che probabilmente aveva assistito alla messa in scena fiorentina dell’Euridice del 1600, fece rappre- Vol. 2 - Cap. 7 - Il teatro musIcale dalle orIgInI al settecento 5 A lato Fig. 6 Bernardo Strozzi, Ritratto di Claudio Monteverdi a Venezia, 1630 circa. Olio su tela, 84x70,5 cm. Tiroler Landesmuseum Ferdinandeum. A destra Fig. 7 Bernardo Strozzi, Frontespizio di un’edizione (Venezia, 1609) dell’Orfeo, di Claudio Monteverdi. sentare nel 1607, a Mantova, alla corte dei Gonzaga, la sua prima opera, Orfeo, su libretto di Alessandro Striggio; in essa Monteverdi riversò tutta l’esperienza che aveva raccolto nell’attività precedente di madrigalista orientato verso una concezione della musica non astratta nelle sue formule scolastiche ma come espressione delle passioni umane. L’Orfeo, pur avendo come modello lo stile recitativo dell’opera fiorentina, presentava alcuni elementi innovativi come l’accentuata espressività della musica, le importanti inserzioni madrigalistiche, la presenza di brani di canto virtuosistico, una certa varietà data anche da cori e passaggi di danze, e l’uso e l’importanza che assumeva l’orchestra, ormai non più limitata solo all’accompagnamento delle voci. All’Orfeo seguì l’Arianna (1608) su testo di Rinuccini, di cui non ci rimane altro che lo straordinario Lamento pubblicato poi separatamente, nel Sesto Libro dei Madrigali del 1614. Le due opere più importanti di Monteverdi che ci sono arrivate risalgono all’ultimo periodo della sua vita e sono Il ritorno di Ulisse in patria e L’incoronazione di Poppea, su libretto di Gian Francesco Busenello, rappresentate a Venezia rispettivamente nel 1640 e 1642. La prima è un’opera vivace sia nei movimenti scenici che nell’azione e nella musica, in cui la varietà degli affetti è un elemento decisivo, segno di una volontà essenziale di divertire e far partecipare il proprio pubblico. L’incoronazione di Poppea ha nella trama di carattere storico parte della sua originalità, perché i personaggi, non essendo mitologici o leggendari, ma realmente vissuti, potevano essere rappresentati con inconsueto realismo e attua- 6 Vol. 2 - Cap. 7 - Il teatro musIcale dalle orIgInI al settecento lità. L’opera, infatti, attraverso una rivisitazione aggiornata della Roma imperiale, descrive sentimenti, psicologie, rapporti sociali e valori della società seicentesca piuttosto che di quella di Nerone. “L’estetica del melodramma vi è compiutamente fondata: l’efficacia drammatica delle arie ormai pienamente organizzate e del ricco movimento orchestrale è nutrita da una musicalità copiosamente irruente e istintiva. La potenza della caratterizzazione psicologica e passionale giunge ad un impressionante realismo. La schiettezza irresistibile dell’ispirazione musicale non permette che si formi alcuna convenzione, alcuna retorica” (M. Mila). L’opera con Monteverdi, nella sua ricchezza e varietà, diviene spettacolo sensibile alle esigenze di un pubblico più vasto e meno selezionato di quello della corte, come il pubblico veneziano che in quegli anni comincia a interessarsi al genere e a frequentare i teatri a pagamento che allestiscono drammi in musica. Nel carnevale del 1637, infatti, una compagnia di musicisti affitta a Venezia il Teatro di San Cassian, di proprietà della famiglia Tron e destinato alla commedia dell’arte, per allestirvi l’Andromeda, dramma di Benedetto Ferrari con la musica di Francesco Manelli, oggi perduta. Era la prima rappresentazione pubblica della storia dell’opera. L’anno dopo gli stessi musicisti producono in proprio e mettono in scena La Maga fulminata e nel 1639 passano al Teatro di San Giovanni e Paolo, una sala di commedie riadattata dai proprietari per destinarla appositamente all’opera. Da questo momento nasce la stagione lirica pubblica, lo spettacolo impresariale che si diffonderà in tutta Italia e che determinerà una trasformazione dei modi di produzione e fruizione del melodramma in senso commerciale. © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS B. Fig. 8 Marco Ricci, Prova d’opera, 1709 circa. Collezione privata. © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS VENEZIA 1637: LA NASCITA DEL TEATRO D’OPERA Con il trasferimento del melodramma dalla corte al teatro, si ha la nascita di un’impresa legata a questo tipo di spettacolo che richiede prodotti capaci di incontrare il gusto di un pubblico socialmente più ampio e variegato e sempre più esigente. Le leggi del mercato orientano non solo le scelte dei temi e dei toni del repertorio, determinando un distacco dalla tradizione mitologica per aprire a influenze comiche, epiche e romanzesche, ma influiscono anche sugli allestimenti, meno fastosi e imponenti, e sulla stessa struttura dell’opera, che verrà incontro alle esigenze di contenimento dei costi, limitando gli esecutori, favorendo il canto solistico e quindi “appellandosi più direttamente alle ragioni del personaggio, della situazione drammatica, del virtuosismo interpretativo, e alle lusinghe di un’invenzione musicale concisa e perennemente rinno- vata” (M. Baroni, in Storia della Musica, Einaudi, Torino, 1988). Per la portata storica di tale evento, se si può dire che l’opera, intesa come il primo dramma interamente cantato di cui possediamo la partitura, nasce a Firenze nel 1600 con la messa in scena dell’Euridice di Rinuccini e Peri, il teatro d’opera, invece, nasce a Venezia nel 1637 con l’istituzione di teatri pubblici su base imprenditoriale. Tale innovazione, infatti, procurò al nuovo genere non solo “quella stabilità, quella continuità, quella regolarità e frequenza, insomma quella solidità economica ed artistica che ne fece lo spettacolo dominante d’Italia e d’Europa per i secoli a venire”, ma influì anche sulla struttura dello spettacolo, modificando radicalmente il modo “di intendere, fare, percepire il teatro musicale” (L. Bianconi, Il Seicento, Edt, Torino, 1983). Vol. 2 - Cap. 7 - Il teatro musIcale dalle orIgInI al settecento 7 Fig. 9 Incisione dell’epoca raffigurante il Teatro della Pergola di Firenze visto dal palcoscenico la sera dell’inaugurazione. L’evoluzione del teatro d’opera italiano L’opera veneziana della seconda metà del Seicento, che ha in Francesco Cavalli (160276) e Giovanni Legrenzi (1626-1690) i suoi maggiori rappresentanti, risente pertanto di queste nuove esigenze e si afferma nel panorama europeo per la verosimiglianza degli affetti, la coerente caratterizzazione dei personaggi, la varietà delle trame e la mistione dei generi, l’invenzione melodica piacevole e la struttura non tediosa dell’opera. Con Alessandro Stradella (1644-1682) e Antonio Cesti (1623-1669), tale modello si aprì a caratteri nuovi, caratteristici di esperienze teatrali regionali, come il virtuosismo e la magnificenza scenografica; dal punto di vista strutturale, comunque, l’opera veniva fissandosi attorno a schemi formali ripetitivi che avevano il centro di gravità nell’aria, sempre più staccata dal recitativo ormai convenzionale e che trova pieno sviluppo in Alessandro Scarlatti (16601725), il più importante compositore di melodrammi tra Seicento e Settecento. Autore di almeno sessantasei opere (si ricordi almeno La Griselda su testo di Apostolo Zeno del 1721 e Il trionfo dell’onore Fig. 10 Bozzetto di scenografia per l’opera Il pomo d’oro di Antonio Cesti. 8 Vol. 2 - Cap. 7 - Il teatro musIcale dalle orIgInI al settecento © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS Fig. 11 Pietro Domenico Oliviero, Interno del Teatro Regio di Torino, 1753 circa. Torino, Museo Civico d’Arte Antica. del 1718), Scarlatti fu il punto di riferimento per almeno due generazioni di compositori che trovarono, nella sua concezione musicale e teatrale, un modello insuperabile da imitare. Lo stile di Scarlatti, che prese il nome di opera napoletana e all’estero fu riconosciuto come lo stile italiano per eccellenza, presenta alcuni caratteri di grande novità. a. L’artista introduce l’aria col da capo a struttura tripartita (ABA, le prime due parti, cioè, presentano due temi diversi, mentre la terza è una ripetizione variata con abbellimenti ornamentali, la “coloritura”, del primo tema); essa è l’asse portante dell’opera per consistenza e ampiezza e si arricchisce di risorse espressive, sentimentali e musicali nuove. b. Al recitativo secco accompagnato dal solo basso continuo convenzionale e con il solo fine di rendere comprensibili i dialoghi, Scarlatti aggiunge anche il recitativo accompagnato, cioè un recitativo sorretto da altri strumenti d’orchestra. © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS c. L’orchestra, di solito basata sugli archi, si arricchisce dei fiati per esigenze drammatiche e viene impiegata per la “sinfonia avanti opera” che si regolarizza nello schema tripartito allegro-adagio-allegro. Per cinquant’anni questi furono gli elementi costitutivi della struttura del melodramma italiano, all’interno dei quali furono inserite nel corso degli anni variazioni anche importanti, ma senza mai intaccare il sistema formale di fondo. Musicisti di grande talento dell’epoca, quali Francesco Durante (1684-1755), Niccolò Porpora (1686-1768), Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736), Giovanni Bononcini (16701747), Antonio Vivaldi (1678-1741), per citare i nomi più noti, diffusero e, in un certo senso, imposero nei teatri di tutta Europa il modello stilistico del melodramma italiano, applicandolo sostanzialmente immutato alle diverse tipologie dell’opera in musica diffuse all’inizio del Settecento: l’opera seria, l’opera comica o buffa e gli intermezzi. Vol. 2 - Cap. 7 - Il teatro musIcale dalle orIgInI al settecento 9 Fig. 12 L’opera seria, dipinto settecentesco. Milano, Museo Teatrale alla Scala. 10 L’opera seria L’opera seria era il genere più nobile: le vicende che vi si raccontavano erano storiche, mitologiche o fiabesche, comunque descrivevano situazioni e personaggi eroici o altolocati. La varietà dei filoni narrativi non riflette la sostanziale ripetitività degli intrecci, che servivano principalmente a permettere a librettista e musicista di programmare un determinato numero di arie. Il genere risentì fortemente dei condizionamenti del mercato che richiedeva prodotti sempre nuovi in grado, anche a scapito della qualità sia musicale sia poetica, di soddisfare i desideri del pubblico e, soprattutto, le necessità virtuosistiche dei cantanti. Tentativi di rinnovare il teatro, innalzando la qualità dei libretti e dell’impianto drammaturgico e sottraendo il testo alle varie manipolazioni dei musicisti e dei cantanti, furono fatti da Apostolo Zeno (1668-1750) e successivamente dal più grande librettista del Settecento, Pietro Metastasio (1698-1782), ed ebbero, però, effetti limitati sul piano musicale, a cui i poeti effettivamente avevano dedicato scarsa attenzione. Vol. 2 - Cap. 7 - Il teatro musIcale dalle orIgInI al settecento Altra riforma assai importante del melodramma fu quella promossa dal musicista tedesco Christoph Willibald Gluck (17141787) assieme al librettista italiano Ranieri de’ Calzabigi (1714-1795): a differenza degli altri tentativi di rinnovamento, questo aveva il pregio di rivedere il genere in ogni sua componente letteraria, musicale e drammaturgica. L’obiettivo polemico era l’opera di stile italiano o meglio, più in generale, il costume teatrale del tempo a cui si opponeva un modello razionale di severa e classica compostezza. Secondo Gluck e Calzabigi, infatti, la musica doveva aderire intimamente al testo e all’azione, creando un’opera unitaria: la distinzione tra recitativo e aria andava pertanto eliminata a favore di un’azione continuata; nel canto bisognava evitare gli abbellimenti gratuiti e le ornamentazioni superflue; l’orchestra a cui si assegnava l’ouverture, intesa come introduzione all’atmosfera della tragedia, doveva assumere in tutta l’opera un ruolo importante, come grande spazio veniva attribuito al coro; dal punto di vista narrativo, invece, la vicenda doveva essere semplice, verosimile, equilibrata nel suo svolgimento. © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS Fig. 13 Anonimo, L’opera buffa, XVIII sec. Olio su tela. Milano, Museo Teatrale alla Scala. Le opere nelle quali Gluck applicò i nuovi criteri, Orfeo e Euridice (1762) e Alcesti (1767), si scontrarono con i fautori dello stile tradizionale italiano e con le consuetudini del pubblico; per questo, nonostante l’alta qualità dei testi gluckiani e la lezione stilistica a cui si rifecero importanti autori come Antonio Salieri (1750-1825) e Luigi Cherubini (1760-1842), la riforma non riuscì mai ad affermarsi. L’opera buffa e l’intermezzo L’opera buffa nacque a Napoli all’inizio del Settecento come opera dialettale destinata ad un pubblico popolare; diffusa, successivamente, fuori dall’ambiente napoletano, percorse una strada parallela e alternativa a quella dell’opera seria: parallela perché sul piano delle strutture formali i due generi si assomigliano, alternativa perché la destinazione popolare e il conseguente impiego di più modeste compagnie di musicisti e cantanti richiesero un linguaggio più semplice e sciolto, un minor utilizzo del virtuosismo e maggior vivacità espressiva e teatralità. I temi, tratti dalla sfera del quotidiano e del cittadino, ricalcavano gli intrecci e le situazioni tipiche del © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS teatro popolaresco e della commedia dell’arte, con una forte caratterizzazione dei personaggi. Dal genere comico nacque anche l’intermezzo, breve opera di pochi personaggi, nato per essere collocato tra due atti di un’opera seria al fine di allentarne la tensione drammatica. L’intermezzo presentava le stesse situazioni narrative e musicali dell’opera comica: casi di vita quotidiana, intrecci amorosi, comici conflitti tra personaggi e mentalità di classi sociali diverse. Capolavoro assoluto del genere è La serva padrona di Pergolesi del 1733, in cui “la straordinaria potenza inventiva dà alla breve partitura il respiro di un’opera buffa, sicché il genere dell’intermezzo, in sé povero e dimesso, si alza di tono e si trasforma con una caratterizzazione di personaggi incredibilmente puntuale: commovente e pungente, sorridente e ironica, ammiccante e impertinente”. (A. Basso). Momento di svolta fu la riforma goldoniana della commedia, che assegnò una diversa dignità all’opera comica, arricchendola anche di alcuni elementi di novità, quali il realismo psicologico e sociale, una maggiore ricchezza tematica e una più Vol. 2 - Cap. 7 - Il teatro musIcale dalle orIgInI al settecento 11 Fig. 14 Gabriel Bella, Scenario e illuminazione del teatro di San Samuele, XVIII sec. Acquerello su carta. Venezia, Biblioteca Querini Stampalia. Figg. 15 e 16 Illustrazioni da frontespizi di alcuni drammi musicali di Carlo Goldoni. Venezia, Biblioteca di Casa Goldoni. 12 sottile analisi dei personaggi; inoltre, il melodramma comico assorbì da esperienze teatrali francesi di successo, quale la comédie larmoyante (‘commedia lacrimevole’), elementi patetici e sentimentali che trasformarono profondamente il genere, orientandolo verso quella che sarà la commedia borghese ottocentesca. Esempi di questo processo evolutivo dell’opera buffa si possono trovare in Baldassarre Galuppi (1706-1785), che collaborò con Goldoni in una ventina di opere fra cui soprattutto Il filosofo di campagna (1754) e Il mondo della luna (1750), in Niccolò Piccinni Vol. 2 - Cap. 7 - Il teatro musIcale dalle orIgInI al settecento (1728-1800), autore de La Cecchina ovvero la buona figliola (1760) anch’essa su libretto di Goldoni, e poi nell’enorme produzione di Giovanni Paisiello (1740-1816), che ha ne Il barbiere di Siviglia (1782), Nina pazza per amore (1789) e La bella molinara (1788) i suoi capolavori; infine ne Il matrimonio segreto (1792) di Domenico Cimarosa (1749-1801) con il quale, come sostiene Massimo Mila, si “conclude il secolo che muore: la gaiezza settecentesca è ormai tutta permeata di malinconia e di patetica sensibilità”. © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS Fig. 17 Giovanni Paolo Pannini, Rappresentazione al teatro Argentina per le nozze del delfino di Francia, 1747. Olio su tela. Parigi, Museo del Louvre. Particolare. C. IL TEATRO D’OPERA IN EUROPA Il teatro musicale italiano entusiasmò tutta Europa e impose il suo modello formale, la sua concezione drammaturgica e i suoi meccanismi narrativi al punto che rappresentò sempre, per i compositori stranieri, il modello di riferimento da emulare o da evitare. È assai significativo che i tedeschi Johann Adolf Hasse (1699-1783) e Georg Friedrich Haendel (1685-1759) abbiano conteso a Scarlatti il primato nell’opera in stile italiano, mantenendo spazi di originalità creativa e apportandovi delle importanti novità, o che, come abbiamo già ricordato, sia stato il boemo Gluck a operare la più importante riforma del melodramma italiano o che le opere di Mozart segnino il punto più alto dell’arte operistica del Settecento. Certamente il prepotente dilagare dell’opera italiana determinò anche forme di ostilità e tentativi di dar vita a opere locali alternative che soddisfacessero le specifiche esigenze soprattutto linguistiche dei diversi Paesi, magari rifacendosi a tradizioni di spettacolo preesistenti, come il mask (composizione che univa recitativo, dialogo, musica e danza) in Inghilterra, o il ballet de cour (mescolanza di poesia e musi- © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS ca con grande spazio assegnato alla danza) in Francia. In Germania nasce, nei primi del ’700, il Singspiel, un genere di teatro che alterna recitazione e canto, che grazie a Georg Philipp Telemann (1681-1767) si affermò come prodotto caratteristico e tipicamente tedesco ed ebbe un grande successo fino a Mozart, che lo adottò per Il ratto dal serraglio e Il flauto magico. La paternità del Singspiel è da ricercarsi nella ballad opera inglese che presentava anch’essa un misto di recitazione e canto di carattere comico-satirico. È grande l’importanza di The Beggar’s Opera (‘L’opera del mendicante’) del 1728 su testo di John Gay e musica di diversa provenienza (da Haendel a Purcell), che sarà rielaborata nel 1928 da Kurt Weill e Bertolt Brecht ne L’opera da tre soldi, poiché per i temi realistici e quotidiani affrontati e l’esecuzione affidata a musicisti non professionisti, l’opera si poneva in polemica con l’egemonia della tradizione classicheggiante italiana. Nella Francia del Seicento l’opposizione all’egemonia dell’opera italiana si caricò anche di valenze politiche frondiste: fu paradossalmente un italiano naturalizzato Vol. 2 - Cap. 7 - Il teatro musIcale dalle orIgInI al settecento 13 Fig. 18 Pier Luigi Pizzi, Bozzetto per il siparietto dell’opera Orlando, XX secolo. Acquerello e china su carta. Firenze, Teatro Comunale. Fig. 19 Ritratto di Jean-Baptiste Lully, Milano, Civica Raccolta Stampe Bertarelli. 14 francese, Jean-Baptiste Lully (1632-1687), in collaborazione con Philippe Quinault, a creare, con elementi drammaturgici e musicali preesistenti, un genere che avesse identità diversa da quella italiana: la tragédie lyrique o tragédie en musique (ne sono esempi l’Alceste del 1674, l’Armide e Acis et Galathée del 1675) presenta un’ouverture iniziale, un originale recitativo declamato, una strumentazione ricca, brevi arie senza fioriture, cori e inserzioni di danze e un’imponente scenografia. La tragédie lyrique ebbe un grande successo e giunse fino al Settecento, grazie anche all’opera di Jean-Philippe Rameau (1683-1764), che ne rinnovò profondamente il tessuto armonico e strumentale, finché dovette soccombere all’opera italiana, promossa e caldeggiata dagli enciclopedisti che trovavano in essa realizzati i loro criteri estetici di naturalezza, di espressione dei sentimenti e di aderenza alla vita quotidiana. Si arriva, infine, a Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791), con il quale si chiude il XVIII secolo e si inaugura una nuova epoca del melodramma. L’opera del compositore salisburghese ha la caratteristica di condensare tutte le esperienze musicali e drammaturgiche del secolo in una sintesi di altissimo valore artistico e insieme di indicare nuove possibilità espressive, di proporre originali soluzioni fervide di sviluppi futuri. Le opere della maturità, scritte in collaborazione con il librettista italiano Lorenzo da Ponte (17491838), come Le nozze di Figaro (1786), Don Vol. 2 - Cap. 7 - Il teatro musIcale dalle orIgInI al settecento Giovanni (1787), Così fan tutte (1790) e Die Zauberflöte (‘Il flauto magico’, 1791), Singspiel su libretto di E. Schikaneder, rappresentano autentici capolavori, nei quali la tradizionale distinzione tra opera buffa e dramma viene superata in un’originale sintesi di natura essenzialmente musicale. Benché le esigenze drammatiche e teatrali dell’opera, infatti, siano per Mozart fondamentali, la musica rimane il centro intorno al quale si coagula l’intera azione drammatica, lo strumento di analisi psicologica e di interpretazione, talora ambigua, dei personaggi e delle azioni da essi compiute. © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS Fig. 20 Angelo Inganni, Facciata del Teatro alla Scala, XIX secolo. Olio su tela. Milano, Museo Teatrale alla Scala. GLI SVILUPPI DELL’ARCHITETTURA TEATRALE TRA XVI E XVIII SECOLO Il passaggio dall’opera di corte all’opera impresariale si riflette anche nella struttura e nella concezione architettonica dell’edificio teatrale che, per rispondere alle nuove esigenze di visibilità, pubblico e acustica, si modifica radicalmente, fissandosi in un modello di costruzione che durerà fino all’Ottocento. I luoghi in cui si rappresentarono i primi tentativi di dramma musicale erano provvisori, spesso occasionali (come il cortile del palazzo, la sala adattata a teatro, come accadde per l’Euridice di Peri o per l’Orfeo di Monteverdi a Mantova), oppure permanenti (ad esempio il teatro Mediceo degli Uffizi progettato da Bernardo Buontalenti, dove furono eseguiti gli intermedi di Giovanni Bardi per gli spettacoli del 1586). Dopo l’esperienza del Teatro di San Cassiano a Venezia, al teatro di corte si va gradualmente sostituendo il teatro stabile aperto al pubblico a pagamento, che diventa, con il diffondersi del melodramma, un’impresa commerciale e una forma di investimento sicuro per i patrizi che si convincono a riadattare vecchi edifici dediti alla commedia dell’arte o a costruirne di nuovi. Comincia, quindi, dal 1640 un’intensa fase di sperimentazione architettonica che dai prototipi teatrali rinascimentali giungerà alla sala barocca o “all’italiana”. I nuovi teatri devono poter accogliere un pubblico numeroso e variamente composito dal punto di vista sociale e privilegiare le necessità di visibilità e acustica; dalle classicheggianti cavee a gradoni dei teatri della fine del Cinquecento (come nel Teatro Olimpico di Vicenza di Vincenzo Scamozzi, su progetto del 1585 di Andrea Palladio, o il Teatro di Sabbioneta del 1590 sempre di Scamozzi, o il Teatro della Dogana a Firenze) si passa a una struttura a palchetti sovrapposti orientati verso la scena come nel Teatro di San Cassian e nel Teatro di San Giovanni e Paolo a Venezia (1637-38), che permetteva di contenere un numero superiore di spettatori, divisi secondo il grado sociale in settori distinti, e che consentiva un maggiore assorbimento acustico, in modo che gli spettatori potessero ascoltare il suono “concentrato e non guastato”. I tempi di riverberazione del suono, inoltre, erano diminuiti dalla presenza del pubblico che occupava la platea antistante il palcoscenico e dallo spazio della sala limitato da un soffitto alto. Il modello architettonico di riferimento era il Teatro Farnese a Parma di G.B. Aleotti (1618-1619), che fissò alcune caratteristiche tipologiche del teatro all’italiana: cavea allungata a U, gradoni e ordini sovrapposti, palcoscenico sopraelevato e racchiuso nella cornice dell’arcoscenico, in modo da distinguere i due spazi della rappresentazione e del pubblico. Inizialmente la forma adottata per la pianta del teatro è infatti la U, come nel Teatro della Spelta di Modena, costruito da Gaspare Vigarani nel 1654, o in quello di San Giovanni e Paolo a Venezia, ma la soluzione presentava dei problemi di visibilità © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS Vol. 2 - Cap. 7 - Il teatro musIcale dalle orIgInI al settecento 15 Fig. 21 Giuseppe Piermarini, Interno del Teatro alla Scala, 1776-1778. Milano. nei palchetti laterali, a cui si cercò di ovviare in vari modi: scalando i palchetti in lieve aggetto, come nel Teatro Formagliari di Bologna (1641) o nel Falcone di Genova; oppure rivedendo proprio la forma a U e derivandone piante mistilinee, come nel Teatro dell’Accademia degli Immobili (1656), oggi Teatro della Pergola a Firenze, opera di Ferdinando Tacca, o nel Teatro della Fortuna di Fano (1667), realizzato su progetto di Giacomo Torelli. Comunque, poiché il melodramma costituiva ormai la destinazione principale dell’attività del teatro, esso poneva urgentemente soprattutto problemi di resa acustica, piuttosto che di visibilità, problemi che furono sempre presenti, ma che non limitarono la creatività e la qualità estetica, nelle opere dei Bibiena, una dinastia di architetti e scenografi operanti tra il 1680 e il 1780 circa, massimi interpreti della sala teatrale barocca. Tra le opere più significative si possono ricordare il Grosse Hoftheater (1704) di Vienna e il Teatro Filarmonico di Verona (1731) di Francesco Bibiena, lo straordinario Teatro Scientifico di Mantova (1767-1769) e quello dei Quattro Cavalieri di Pavia (1771) di Antonio; anche se non si può delineare un tipo unico di teatro bibienesco, si possono riconoscere, nella grande varietà delle loro opere, alcuni elementi importanti quali l’abbandono della pianta ad U per forme più aperte (a campana o a ferro di cavallo), l’ispessimento dell’arcoscenico fino a contenere i palchetti di proscenio, la ricca decorazione lignea o a stucco. L’Illuminismo, nella sua ampia opera di riforma, si interessò anche di architettura teatrale: il modello barocco dei Bibiena fu oggetto di critiche perché poco funzionale e in sostanza poco “classico” per gli esperti dell’Encyclopedie, che, invece, sostenevano i razionali e composti canoni costruttivi greco-latini, mediante un ritorno all’assise a gradoni e alla pianta semisferica. L’attenzione maggiore ai problemi di acustica affrontati con rigore scientifico, la riflessione sulla funzionalità dell’edificio teatrale e un diverso canone estetico condussero ad una messa in discussione di alcuni elementi costruttivi fondamentali del teatro. Si venne così ad imporre, come acusticamente ideale, la pianta ellittica della sala, con il boccascena in posizione ortogonale rispetto all’asse maggiore dell’ellisse, soluzione apparsa già nella ricostruzione del Teatro di Tordinona ad opera di C. Fontana (1696) e poi variamente interpretata nel Teatro Regio (1740) e nel Carignano di Torino (1752), nel San Carlo di Napoli (1737), e nel La Fenice di Venezia (1792) fino ad arrivare al Teatro alla Scala di Milano (1778), opera di Giuseppe Piermarini. La Scala di Milano può essere considerata la perfetta sintesi di due secoli di ricerca architettonica, in cui si sanziona definitivamente la pianta della sala a forma di ferro di cavallo come la migliore per visualità e acustica. Il teatro milanese si affermerà come un esempio sul quale si conformerà la tipologia media dell’architettura teatrale dell’Ottocento fino all’Opéra Garnier di Parigi (1876), quando, sulla spinta di altre originali proposte provenienti da varie parti dell’Europa, cesserà il suo ruolo di modello. 16 Vol. 2 - Cap. 7 - Il teatro musIcale dalle orIgInI al settecento © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS APPROFONDIMENTI E RICERCHE 1. Teatro classico ed edificio teatrale italiano • Basandoti sul testo di Storia dell’Arte e di Storia antica verifica quali sono gli elementi che l’edificio teatrale italiano ha preso in prestito dal teatro classico. 2. Acustica e problemi strutturali della sala teatrale • Imposta una ricerca in collaborazione con l’insegnate di fisica tesa ad indagare i legami tra l’acustica e la struttura della sala teatrale italiana. 3. La poesia per la musica • Indaga le forme poetiche e metriche ricorrenti nonché gli elementi drammaturgici comuni in Metastasio, Goldoni, Ranieri de’ Calzabigi e Lorenzo da Ponte. Fig. 22 Ferdinando Galli da Bibiena, Studio scenografico, inizio XVIII secolo. Penna e inchiostro bruno acquerellato. Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe. Bibliografia Sul melodramma • L. Bianconi, Il Seicento, in Storia della musica, a cura della Società italiana di musicologia, Edt, Torino 1985 • N. Pirrotta, Li due Orfei. Da Poliziano a Monteverdi, Einaudi, Torino 1985 • Baroni, Fubini, Petazzi, Santi, Vinay, Storia della musica, Einaudi, Torino 1999 Sulla poesia per musica e il teatro • F. Angelini, Il teatro Barocco, in Letteratura italiana, a cura di C. Muscetta, Laterza, Bari 1975 • P. Petrobelli, Poesia e Musica e L. Bianconi, Il Cinquecento e il Seicento, in Letteratura Italiana, a cura di A. Asor Rosa, vol. VI, Teatro, Musica, Tradizione dei classici, Einaudi, Torino 1985 • S. Ferrone, Il teatro, in Storia della Letteratura Italiana diretta da E. Malato, vol. V, parte II (L’Età Barocca), Salerno, Roma 1997 Sull’edificio teatrale • M. Forsyth, Edifici per la musica, Zanichelli, Bologna 1987 • S. Sinisi, I. Innamorati, Storia del teatro. Lo spazio scenico dai greci alle avanguardie, Mondadori, Milano 2003 Indicazioni discografiche • J. Peri, L’Euridice, Milano Polyphonic Chorus / I solisti di milano, A. Ephrikian, Rivo Alto • C. Monteverdi, Orfeo, favola in musica, Hansmann, Katanosaka, Barberian, Theuring, Kozma, Concentus Musicus Wien, cond. N. Harnoncourt, Telefunken • C. Monteverdi, Il ritorno di Ulisse in patria, Concentus Musicus Wien, cond. N. Harnoncourt, Telefunken • A. Scarlatti, Griselda, Roeschmann, Cangemi, Zazzo, Fink, Akademie fur Alte Musik Berlin, cond. René Jacobs • C. Gluck, Orfeo ed Euridice, Horne, Lorengar, Donath, Orchestra del Convent Garden, dir. George Solti, Decca • W.A. Mozart, Le nozze di Figaro, Prey, Mathis, Fischer-Diskau, Troyanos, Janowitz, Orchester der Deutschen Oper Berlino, cond. K. Boehm, Deutsche Grammophon • W.A. Mozart, Don Giovanni, Keenlyside, Salminen, Remigio, Terfel, Chamber Orchestra of Europe, cond. C. Abbado, Deutsche Grammophon • W.A. Mozart, Il flauto magico, Fischer-Diskau, Prey, Janowitz, Orchester der Deutschen Oper Berlino, cond. K. Boehm, Deutsche Grammophon © ISTITUTO ITALIANO EDIZIONI ATLAS Vol. 2 - Cap. 7 - Il teatro musIcale dalle orIgInI al settecento 17